II
Starlight
“Allora? Cosa ne
pensate?”
Ero molto in ansia
all’idea di sentire il parere dei miei amici, non tanto
perché avessi paura di
loro, ma perché avevo lavorato giorno e notte sul materiale
che mi aveva
fornito Slash; quasi non avevo dormito per quarantotto ore, ci avevo
messo
tutto me stesso, ma temevo che il risultato non fosse soddisfacente.
“Cosa vuoi che ti
dica, Myles? È fottutamente perfetta, pazzesca, alla tua
altezza. Slash rimarrà
sicuramente senza parole” ribatté Mark in tono
ovvio, dall’altro capo del
telefono.
Rimasi per qualche
istante imbambolato a fissare lo schermo del mio computer, aperto sulla
casella
della posta elettronica. Poi mi resi conto che ancora stavo trattenendo
il
fiato e allora espirai bruscamente. “Grazie”
mormorai, davvero riconoscente.
“Ora che hai finito
questa dannata demo, puoi farci il favore di inviarla a Slash e poi
riposare?
Da quanto tempo non chiudi occhio?” mi apostrofò
Flip.
Sorrisi e impostai
il vivavoce – come, per fortuna, avevano fatto anche i miei
amici – per poter
utilizzare il pc mentre conversavo con loro. “Beh,
sì, non ho dormito tanto… ma
sto bene, sul serio, non mi sento tanto affaticato. E ora che ho finito
sto
meglio, non potevo convivere col pensiero di avere un lavoro in
sospeso!”
Mentre parlavo,
avevo cliccato sul pulsante rispondi sotto
l’e-mail che mi aveva mandato Slash e avevo cercato il file
audio da allegare.
Ora non mi restava che lasciarlo caricare.
“Sempre il solito”
mi rimproverò bonariamente Brian.
“A voi come sta
andando?” domandai, giusto per cambiare discorso; avevo
bisogno di pensare ad
altro.
“Noi ce la passiamo
bene, ci divertiamo. Avevi dubbi?” rispose Mark con una
risatina.
“Devo ammettere che
mi manca lavorare con voi” confessai con una leggera nota
malinconica nella
voce.
“La cosa è
reciproca…”
“Ma non fare tanto
il melodrammatico, altrimenti ci commuoviamo, piantiamo in asso Scott
Stapp e
torniamo da te” aggiunse Flip ironico. Ecco, come al solito
aveva rovinato
l’atmosfera.
Ridacchiai. “Sei un
disastro, Philips” gli dissi.
“Te lo mandiamo
volentieri, tanto non fa che rompere e disturbare” lo
rimbeccò Brian.
“Sei in cerca di
guai, Marshall?”
“Ce l’ho a fianco,
il guaio!”
“Smettetela di fare
gli idioti, altrimenti tolgo il vivavoce e me ne vado” li
minacciò Mark.
“Ehm…
ragazzi”
richiamai la loro attenzione.
“Sì?”
risposero
all’unisono.
“Ho caricato il
file, devo solo cliccare invia.”
“Schiaccia quel
pulsante, cazzo!” esultò il batterista.
“Fratello, siamo con
te!” cinguettò Brian.
Presi un respiro
profondo.
Click.
L’e-mail era stata
inviata.
“È partita,
cazzo!”
strillai.
“Oh, bene! Adesso
Slash potrà rifarsi le orecchie!”
ribatté Mark entusiasta.
Di colpo sentii i
muscoli sciogliersi e rilassarsi, la tensione scivolare via dal mio
corpo, la mente
sgomberarsi. Non sapevo come sarebbe andata, ma avevo dato tutto me
stesso
anche quella volta e potevo dire di averci provato. Ormai era andata,
potevo
soltanto sperare in un parere positivo da parte di Slash.
♫ ♫ ♫
Quella sera, quando
accedetti alla posta elettronica, rimasi abbastanza sorpreso nel
constatare che
Myles mi aveva già inviato la traccia audio con la sua demo.
Insomma, ci
eravamo sentiti meno di una settimana prima, era stato davvero
rapidissimo.
Curioso di sentirlo
cantare, non persi tempo e scaricai subito il file; nel frattempo
tamburellavo
con le dita sul piano della scrivania, impaziente. Ormai da anni
sentivo parlar
bene di quel tipo, doveva essere bravo per davvero se Jimmy Page e John
Paul
Jones dei Led Zeppelin gli avevano chiesto di collaborare, quindi le
mie
aspettative erano molto alte. Speravo fosse il cantante giusto per
quella
traccia, soprattutto: non vedevo l’ora di ultimare il mio
disco e non mi andava
di ricominciare la ricerca da capo.
Non appena il file
fu salvato nel mio computer, mi fiondai subito ad aprirlo, senza
esitare un
attimo.
Una voce
inaspettatamente dolce e delicata, colma di profonda emozione, si
sparse per la
stanza, irradiata dalle casse ai lati del computer. Mentre la ascoltavo
rapito,
non potei fare a meno di chiedermi se seriamente appartenesse al
ragazzo con
cui avevo parlato al telefono. Pareva così diversa,
così passionale, potente e
vellutata allo stesso tempo.
Non avevo mai
sentito nulla del genere.
In the distance
Light
years from tomorrow
Far
beyond yesterday
She is
watching
Heart
aching with sorrow
She is
broken, as she waits
Hoping
when all is said and done
We
learn to love and be as one
Avevo già deciso:
era lui quello giusto. Adoravo alla follia il suo timbro, il suo modo
di
interpretare ciò che cantava, il testo… tutto.
Era travolgente.
La mia idea si
consolidò ancora di più quando il ritornello
esplose, potente come la voce di
Myles, del tutto inaspettato.
Oh Starlight, don't you
cry
We're
gonna make it right before tomorrow
Oh
Starlight, don't you cry
We're
gonna find a place where we belong
(where
we belong)
And so
you know, you'll never shine alone
Era a dir poco
pazzesco, dovevo chiamarlo al più presto e chiedergli di
venire a Los Angeles
per registrarla.
Non ero un tipo che
si emozionava facilmente, eppure quella semplice demo, registrata in
maniera
approssimativa, era riuscita a commuovermi e infiltrarsi negli angoli
più
remoti del mio cuore.
Misi in play Starlight
almeno tre o quattro volte prima
di riuscire a darci un taglio e tornare alla realtà; a ogni
nuovo ascolto,
carpivo una sfumatura della voce di Myles che prima non avevo colto e
rimanevo
sbalordito.
Afferrai il
cellulare e feci partire la chiamata al suo numero senza esitazione.
Probabilmente
era inopportuno disturbarlo alle nove di sera, di certo aveva altro da
fare, ma
sentivo il bisogno di dirgli subito ciò che mi passava per
la testa.
Forse,
inconsciamente, avevo anche bisogno di accertarmi che la persona
all’altro capo
del telefono fosse davvero quel talentuoso cantante.
“Pronto?” rispose
l’ormai familiare voce di Myles dopo qualche squillo.
“Ehi, sono Slash, ho
appena sentito la demo” esordii senza troppi giri di parole.
“Buonasera. Ah…
davvero? Che te ne pare? Ti avviso già che è
registrata così, un po’ a caso,
perché in realtà doveva essere una prova ma alla
fine è venuta bene. E se noti
qualche imperfezione o incertezza è perché ci ho
lavorato in poco tempo, sai,
ero molto ispirato e mi sono lasciato trascinare, ma così
facendo forse il
risultato ha perso di qualità…” prese a
sproloquiare, le parole mi giungevano
fitte e nervose.
“Ehi, ehi, fermo,
tranquillo!” tentai di frenarlo. “Non ti devi
giustificare, okay? E poi io non
ho notato imperfezioni o incertezze o quello che hai detto, anzi:
ciò che ho
sentito è fottutamente strabiliante, pazzesco. Per quanto mi
riguarda, possiamo
anche fissare un appuntamento per vederci e parlarne… o
anche registrarla
direttamente.”
Alle mie parole
seguì qualche attimo di silenzio. “Mi stai dicendo
che mi vuoi all’interno del
tuo album?” chiese conferma Myles in tono esitante.
“Tu devi
stare nel mio album” chiarii in
tono deciso.
“Grazie, io sono…
oddio, sono contentissimo, davvero!” esclamò, la
sua voce era intrisa di gioia.
Sorrisi. “Anche io lo
sono,” ammisi, “e, se sei d’accordo,
vorrei registrare con te anche l’altro
brano di cui ti avevo parlato.”
“Ma certo, mi
farebbe molto piacere! Appena riesco ti raggiungo a Los Angeles,
d’accordo?”
“D’accordo. Allora
ci aggiorniamo nei prossimi giorni per organizzarci meglio
e… Myles?”
“Sì?”
Mi attorcigliai una
ciocca di capelli tra le dita, leggermente a disagio. “Grazie
mille per aver
accettato e complimenti, mi fa davvero piacere averti nel
disco.” Probabilmente
ero arrossito, non ero abituato a espormi tanto e portare fuori
ciò che pensavo
in modo così diretto. Per fortuna ero da solo.
Quando chiudemmo la
chiamata, mi guardai attorno spaesato, come se mi fossi appena
risvegliato da
un sogno. Il mio occhio cadde sullo schermo del computer, dove la
traccia di Starlight ancora era
aperta, in pausa;
la schermata del lettore musicale occupava tutto il monitor, come a
voler
attirare la mia attenzione con prepotenza.
Prima che potessi
rendermene conto, avevo già messo in play e mi ritrovai a
sorridere come un
ebete, ancora e ancora, per l’ennesima volta quella sera.
L’avevo invitato
nella mia sala prove poco distante da casa. Quel giorno mi ci ero
recato di
mattina presto – tanto non avevo dormito granché e
avevo voglia di suonare un
po’ nell’attesa.
La sera prima Myles
mi aveva comunicato che era giunto a Los Angeles e che gli sarebbe
piaciuto
molto vedermi il giorno stesso, ma era davvero troppo stanco per
pensare di
uscire dall’albergo. Da quando avevo ricevuto quella
chiamata, una sottile e
inspiegabile ansia si era fatta strada in me. Eppure ero abituato a
quel tipo
di incontri, non avevo nessun motivo per essere agitato; la cosa mi
infastidiva
non poco.
Ero seduto su una
poltroncina con una chitarra tra le braccia e stavo cercando di
riportare alla
mente una vecchia canzone dei Velvet Revolver, quando mi avvisarono che
Myles
era arrivato. Mi misi in piedi, abbandonai il mio strumento sul divano
– me lo
sarei volentieri portato appresso – e uscii lentamente dalla
stanza. Nel
piccolo andito inondato dal sole mattutino, in piedi accanto alla
finestra, si
stagliava una figura snella e slanciata, alta all’incirca
quanto me e
completamente abbigliata di nero. Myles aveva un viso dolce, illuminato
da un
lieve sorriso e incorniciato da lunghi capelli castani; indossava una
giacca in
pelle molto semplice e dei jeans neri.
La mia prima
impressione di lui fu coerente con l’idea che mi ero fatto:
un ragazzo mite e
alla mano, dal viso simpatico e uno stile non troppo studiato. Mi
colpì, mi
intrigò da subito.
“Buongiorno Slash!
Come stai?” mi salutò educatamente, venendomi
subito incontro e tendendomi la
mano.
“Ehi! Tutto bene,
tu? È un piacere conoscerti, signor Kennedy”
ribattei con un leggero tono
ironico. Mi ero subito reso conto che Myles a volte aveva degli
atteggiamenti
un po’ troppo formali e la cosa mi divertiva, quindi avevo
deciso di dargli
corda. Gli strinsi la mano e mi accorsi che la sua presa era forte e
sicura,
tipica di chi ci sapeva fare con la gente.
“Tutto bene, grazie.
Il viaggio mi ha stancato, era da un po’ che non mi spostavo
da casa, ma ho
trovato un bel sole ad accogliermi qui in California. Quindi
okay!”
“Vieni, andiamo a
sederci nella saletta” lo invitai, facendogli strada fino
alla stanza in cui mi
trovavo fino a poco prima. Quando mi voltai verso di lui, lo trovai che
si
guardava intorno con interesse e stupore. Posava i suoi occhi azzurri
– li
avevo da subito trovati particolari e intensi, quegli occhi –
sulle mie
chitarre poste sui cavalletti o appese alle pareti, sugli spartiti
gettati in
ogni angolo e sparsi perfino sul pavimento, sui poster dei miei idoli,
sugli
scaffali stracolmi di CD e vinili, fino agli amplificatori addossati da
una
parte. Lo scrutai di sottecchi, sebbene gli occhiali scuri che
indossavo gli
impedissero di capire la traiettoria del mio sguardo, e sorrisi tra me
e me nel
vederlo così entusiasta e meravigliato.
“Accomodati” gli
dissi cortesemente, prendendo posto sul divano e imbracciando la mia
chitarra.
“Oh, certo. Scusa,
mi sembrava poco carino sedermi prima che tu mi dessi il
permesso” borbottò con
le guance leggermente rosse, mentre si posizionava su una poltroncina
di fronte
a me.
Risi. “Ma dici sul
serio? Myles, non ti devi porre problemi con me, non mi piace tutta
questa
formalità. Sentiti libero di fare quello che vuoi”
misi in chiaro le cose. In
realtà nel primo periodo mi tenevo distaccato con le persone
con cui lavoravo e
cercavo di inquadrarle prima di dare eccessiva confidenza, ma quel
ragazzo mi
era parso in ansia e mi ero sentito in dovere di rassicurarlo.
Myles mi sorrise.
“Grazie, davvero.”
“Allora, siamo qui
per rifinire bene il lavoro che ci attende nei prossimi
giorni” cominciai,
arrivando dritto al punto.
“Se ti va possiamo
cominciare a registrare anche oggi, io mi sono preparato
parecchio” affermò subito
Myles.
Sollevai la mano
destra, con cui fino a poco prima stavo strimpellando. “Ehi,
calma, non c’è
fretta! Prima ce la suoniamo e proviamo insieme, che dici?”
Myles annuì.
“E poi ti vorrei
anche far sentire l’altra traccia in cui dovremmo
collaborare. Anzi, se ti fa
piacere posso farti sentire tutto l’album, che
dici?”
Lui si illuminò e mi
regalò un sorriso raggiante. “Dici
davvero?”
Era impossibile non
essere contagiati dall’entusiasmo che Myles sprigionava,
trasmetteva una gran
voglia di fare solo a guardarlo.
“Ci tengo a sapere
il tuo parere” ammisi, stringendomi nelle spalle.
Suonammo Starlight
quasi senza deciderlo; mentre
chiacchieravamo del più e del meno, mi venne spontaneo
suonare gli accordi di
quel brano e Myles iniziò a canticchiare. Come mi aveva
detto, era davvero
pronto: sapeva tutto il testo e padroneggiava la linea vocale senza
esitazioni.
Io lo ascoltai, ipnotizzato dalla sua voce così particolare
e intensa. Lo
osservai: teneva la schiena dritta e ondeggiava appena a ritmo, lo
sguardo era
perso nel vuoto e teneva le mani abbandonate in grembo.
Ancora una volta
ringraziai mentalmente i miei occhiali scuri, che nascondevano i miei
occhi
colmi di commozione e leggermente lucidi. Raramente mi ero emozionato
sentendo
qualcuno cantare e di certo non fremevo dalla voglia di darlo a vedere,
non ero
il tipo.
“Volevi capire se
funzionava? Ora ti sei chiarito tutti i dubbi!”
commentò Myles con una
risatina, mentre io eseguivo le ultime note del brano.
“Ce
l’abbiamo!”
esultai, mentre un sorriso si allargava sul mio viso –
l’ennesimo, da quando
avevamo cominciato a suonare. “Sono sempre più
convinto di aver fatto bene a
chiedere a te.”
“Wow, grazie di
cuore!”
“Ora ti faccio
sentire anche l’altra” affermai. “Spero
che ti ispiri e ti piaccia. Se poi riesci
a cantarci sopra già nel prossimi giorn, beh, tanto di
cappello.”
Calò il silenzio per
qualche istante, in cui io e Myles ci osservammo seri, poi lui
scoppiò a
ridere. “Tanto di cappello! Era una battuta?”
chiese, accennando al mio adorato
cilindro che avevo indossato anche quel giorno.
Solo allora mi resi
conto del mio involontario gioco di parole e risi a mia volta,
sfiorando la
tesa del mio cappello con una mano. “Ti giuro, non
l’ho detto apposta!”
“Beh, tornando
seri…” si ricompose Myles, mettendo su una faccia
che di serio non aveva
niente. “Dai, fammi sentire, sono curioso di vedere cosa
porterai fuori dal
cilindro.”
Fu il mio turno di
scoppiare a ridere come un idiota. “Cominci a piacermi
davvero, Kennedy.”
“Per così
poco?” si
sminuì, trattenendo a stento le risate.
All’improvviso mi
venne un’idea e d’impulso gli chiesi:
“Hai programmi per la giornata?”.
“No, sapevo di dover
venire qui e non ho preso impegni con nessuno, al massimo potrei fare
una
passeggiata al mare più tardi. Perché?”
“Che ne dici di
pranzare assieme? Così abbiamo più tempo per
lavorare, anche nel pomeriggio”
buttai lì, mantenendo un tono leggero.
“Oh, certo, mi
farebbe molto piacere!” accettò subito.
Si era sciolto, ora
aveva un modo di fare molto più spontaneo. Scrutai ancora
una volta i suoi
occhi azzurri e i movimenti rapidi con cui sistemava le ciocche lisce
dietro le
orecchie. Gli donavano tanto, quei capelli lunghi e un po’
ribelli.
Inspiegabilmente,
ero contento di trascorrere l’intera giornata con lui.
♫ ♫ ♫
Oh
Starlight, don't you
cry
We're
gonna make it right before tomorrow
Oh
Starlight, don't you cry
We're
gonna find a place where we belong
(where
we belong)
And so
you know, you'll never shine alone
Sollevai lo sguardo
dal foglio su cui era stampato il testo e istintivamente cercai quello
di
Slash. Come al solito le lenti scure mi impedivano di leggere i suoi
occhi, ma
ormai lo conoscevo abbastanza bene per capire i suoi stati
d’animo.
Era incredibile
quanto avessimo legato nell’ultimo periodo, io e lui eravamo
sulla stessa
lunghezza d’onda e avevamo condiviso tanto. Talmente tanto
che lui aveva
insistito per essere presente alle registrazioni della mia parte vocale
in Starlight, nonostante non fosse
necessario. Ma Slash era fatto così: quando si impegnava in
un progetto, ne
curava ogni aspetto e ogni sfaccettatura, lo voleva veder nascere e
prendere
forma passo dopo passo.
E anche il
ritornello era stato fatto.
Quando uscimmo dallo
studio, quel giorno, ero euforico e profondamente soddisfatto.
“Com’è
andata?”
chiesi a Slash una volta fuori.
“Secondo te
com’è
andata? Sei pazzesco, Myles!” sentenziò con
entusiasmo. Il suo tono era come
sempre contenuto, ma in esso si udiva quella punta di gioia che avevo
imparato
a riconoscere.
Felice come non mai,
mi lasciai trascinare dall’emozione del momento e strinsi
Slash in un abbraccio
fraterno. “Grazie di cuore per avermi coinvolto!”
Lui ricambiò appena,
visibilmente in imbarazzo, e allora interruppi subito quel contatto.
Sapevo che
il chitarrista non era una persona particolarmente affettuosa ed
espansiva,
quindi non me la presi. Non era stato infastidito dal mio gesto,
semplicemente era
fatto così.
“Domani Back
From Cali?” mi chiese.
“E sia!” affermai.
Quel giorno cenammo
insieme, a Slash non piaceva l’idea che rimanessi da solo.
Non che avessi
problemi, Los Angeles era una città ricca di vita e avrei
senz’altro trovato
qualcosa da fare. Tuttavia non rifiutai, ormai avevamo stretto una
bella
amicizia e passare il mio tempo con lui non mi dispiaceva.
Era surreale. Tutti
pensavano che il leggendario chitarrista dei Guns N’ Roses
fosse una persona
burbera e diffidente, eppure con me era stato sempre gentile e dolce.
Mi
sentivo fortunato, forse perché ero consapevole di essere
uno dei pochi ad
averlo conosciuto davvero.
♠ ♠ ♠
Ed eccoci giunti
alla conclusione del secondo capitolo! Sono davvero emozionata di star
pubblicando questa storia, ci ho messo tanto impegno e non vedevo
l’ora di
farvela leggere *-* Spero che la vicenda stia appassionando anche voi!
Per chiunque non
conoscesse Starlight, vi lascio qui
il link di YouTube per poterla sentire. Ve lo consiglio
perché è
ME-RA-VI-GLIO-SA, io me ne sono follemente innamorata non appena
l’ho sentita:
https://www.youtube.com/watch?v=-BTad4tTdrE
Vi lascio anche il
link dell’altra canzone che Myles ha registrato nel primo
album di Slash, e che
ho nominato alla fine del capitolo, ovvero Back
From Cali:
https://www.youtube.com/watch?v=ZisXBHZzKQ4
(Pensate un po’,
proprio mentre scrivo queste NdA sul canale TV di Virgin Radio
è partita una
canzone di Slash e Myles ♥.♥)
Allora, è vero che
Myles ha preparato la demo di Starlight da
inviare a Slash in pochi giorni, tanto che il chitarrista si
è sorpreso della
sua rapidità! È vero anche che Myles ha raggiunto
Slash a Los Angeles… per il
resto è tutta farina del mio sacco XD comprese le freddure
di Myles riguardo il
cilindro di Slash, sì!
Che ve ne pare del
loro primo incontro e del rapporto che si sta creando tra i due?
Ditemi, sono
curiosa! ^^
Ringrazio tutti i
miei lettori, quelli silenziosi e soprattutto i miei fedeli recensori,
che
riescono sempre a darmi la carica e la fiducia che altrimenti non
avrei! :3
Alla prossima
settimana (piccola comunicazione: gli aggiornamenti d’ora in
poi saranno
spostati al martedì) ♥
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