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Ispirata
e basata sulla one shot Gli
ospedali tirano fuori il meglio dele persone. O forse non il meglio, ma
la
verità. di sheswanderlust,
pubblicata nel fandom degli Alter Bridge –
ovviamente con la sua autorizzazione. L’idea iniziale della
storia non è mia,
così come la trama e le scene descritte (mi sono permessa
anche di riprendere
qualche dialogo dalla sua storia), ho cercato di rielaborarla
narrandola da un
altro punto di vista. Quindi se vi piace ciò che leggerete,
i complimenti vanno
tutti a lei :P
La
scena iniziale e quelle
finali, invece, sono farina del mio sacco!
Buona
lettura ^^
P.s:
vi STRACONSIGLIO di leggere
la shot su cui mi sono basata, sia perché così vi
fate un’idea su come l’ho
trattata, sia perché è un CAPOLAVORO ♥
You don't know
how much I love him
Il
concerto era andato a gonfie
vele, non potevo che essere soddisfatto di quello che io e i ragazzi
eravamo
riusciti a mettere su anche quella sera.
Avevo
il boato della folla nelle
orecchie quando, una volta nel backstage, mi avvicinai a Myles, Todd,
Brent e
Frank per complimentarmi con loro.
“Anche
stasera è andata alla
grande, bravi ragazzi!” esclamai, sfilandomi il cilindro per
liberare i capelli
zuppi di sudore.
Il
mio sguardo si posò su Myles:
il suo viso imperlato di sudore e arrossato per la fatica dopo i live
era una
visione quasi sovrumana per me, mi inteneriva e mi faceva impazzire.
Era
bellissimo.
Comunque
evitai di fissarlo per
troppo tempo, non volevo dare nell’occhio. Eppure…
c’era qualcosa in lui che
non quadrava quella sera, forse erano gli occhi persi o il viso un
po’ troppo
pallido.
“Grazie
a te, capo! Allora,
prendiamo una birra tutti insieme per festeggiare?” propose
Todd, poggiandosi
con l’avambraccio sulla spalla di Myles.
“Veramente
io ho fame” affermò
Brent guardandosi attorno, sicuramente in cerca di qualcosa di
commestibile.
“Un
attimo, io…” mormorò Myles,
la sua voce era appena udibile. Feci
appena in tempo a
lanciargli un’occhiata interrogativa e preoccupata, prima di
vederlo
impallidire ulteriormente e perdere l’equilibrio. Cadde
contro la parete a peso
morto, senza riuscire ad aggiungere altro; Todd, colto alla
sprovvista, ci
mise qualche istante a sorreggerlo e il cantante sbatté
appena la testa contro
il muro, prima che il bassista lo bloccasse contro di sé.
Il
mio cuore perse un battito, lo
sentii sprofondare nel petto. Subito mi precipitai verso di lui per
aiutare
Todd, mentre Frank afferrava un atterrito Brent per fare qualche passo
indietro
e lasciare uno spazio a terra, in modo che noi potessimo far sdraiare
Myles.
Un’orda
di roadie e ragazzi dello
staff ci si fece attorno, offrendosi per dare una mano, ma averli
così addosso
non faceva che infastidirmi e togliermi il respiro.
“State
indietro, ha bisogno di
respirare! Indietro, così non siete di nessun
aiuto!” sbottai, prima di
gettarmi a terra accanto a Myles e cercare di capire in che condizioni
fosse.
“Myles,
cazzo, rispondimi. Myles…
porca puttana!” borbottavo in preda alla disperazione, mentre
lo scrollavo per
una spalla e gli davo dei colpetti sul viso nella speranza di destarlo.
Anche
se non lo davo a vedere, ero in preda al panico e cercavo di trattenere
le
lacrime; perché Myles
era svenuto in quel modo? Qualcosa
non andava e non me n’ero reso conto? Lo sapevo, avrei dovuto
stare più attento
a lui, forse non era abituato ai ritmi del tour quanto me.
Perché non ero
capitato io in quella situazione al posto suo?
Distolsi
per un attimo lo sguardo
dal suo volto pallido e mi accorsi che Frank aveva afferrato le gambe
di Myles
e le aveva sollevate.
“Ho
sentito dire che bisogna fare
così quando uno perde i sensi” spiegò
in tono calmo.
“Qualcuno
ha chiamato il 911?
Cazzo, l’avete chiamato?” sbraitai, sempre
più allarmato. Perché Myles non si
era ancora svegliato?
“Ci
ho pensato io!” mi rassicurò
Todd, avvicinandosi a noi e rimanendo in piedi alle mie spalle.
“È ancora
incosciente?”
Annuii
e tornai a concentrarmi
sul mio cantante. Dopo aver preso un profondo respiro, decisi di
controllare
battito e respirazione: gli posai una mano davanti a naso e bocca e
tirai un
sospiro di sollievo quando il fiato caldo e leggero di Myles mi
solleticò la
pelle. Poi gli afferrai il polso e premetti i polpastrelli
all’altezza delle
vene; il battito c’era, ma era debole e troppo rapido.
“Cazzo,
cazzo, cazzo” cominciai a
imprecare e d’istinto strinsi forte la mano di Myles.
Avevo
visto tanta gente svenire,
qualcuno aveva sfiorato la morte e io stesso avevo vissuto in prima
persona
queste situazioni, ma lì c’era di mezzo la droga.
Mentre
qui c’era di mezzo Myles, il mio
Myles.
“Slash?
Slash! Non farci
preoccupare, che cazzo succede?” mi riportò alla
realtà Todd.
“Il…
il battito è un po’ debole.”
Strascicai le parole come se avessi paura di pronunciarlo.
“Porca
puttana!” replicò lui,
coprendosi il volto con le mani.
“Non
so che altro fare” ammisi in
tono piatto, arrendendomi all’evidenza. L’unica
cosa che potevo fare era
aspettare l’arrivo dei soccorsi e stare accanto a Myles,
stringergli la mano e
di tanto in tanto tastargli il polso per sentire il battito. Forse
parlargli
poteva essere utile.
“Myles,
per favore, non fare
scherzi. Ti giuro che quando ti sveglierai faremo tutto quello che
vuoi,
allenteremo i ritmi del tour, ci prenderemo una pausa” presi
a mormorare con
disperazione, reprimendo l’impulso di gettarmi addosso a
Myles e stringerlo in
un abbraccio.
“Si
riprenderà, ne sono sicuro”
disse Frank, più a se stesso che a me, e io sperai con tutto
il mio cuore che
avesse ragione.
Avevo
passato la notte a fissare la parete della stanza d’ospedale
in una sorta di
stato confusionale. Era tutto terribilmente bianco e luminoso, mi dava
alla
testa. Myles era accanto a me, inerme su un letto, con una flebo
conficcata
nella pelle e i muscoli sinistramente rilassati; il suo viso, anche
quello, era
bianco.
Durante
la notte non avevo chiuso
occhio e non mi ero mosso di un millimetro, ormai la sedia su cui mi
trovavo
era diventata un prolungamento del mio corpo. Brent, Frank e Todd erano
rimasti
con noi e ogni tanto avevano provato a rivolgermi la parola, ma una
volta constatata
la mia poca reattività mi avevano lasciato perdere, durante
le incursioni nella
stanza erano rimasti ih silenzio o avevano borbottato tra loro.
L’unica cosa
che avevo avuto la forza di fare, una volta in ospedale, era stata
avvisare
Mark, mi sembrava giusto che il migliore amico di Myles venisse
informato
subito; lui non mi aveva quasi dato modo di parlare, mi aveva chiesto
in che
ospedale ci trovavamo ed era partito subito per Los Angeles. Non avevo
dubbi al
riguardo: tra Myles e Mark c’era un rapporto davvero
speciale, qualcosa che
nemmeno io mi sarei mai riuscito a spiegare, ero sempre più
convinto che il
chitarrista degli Alter Bridge provasse per Myles dei sentimenti simili
a
quelli che provavo io.
Quando
il chitarrista mi avvisò
che sarebbe arrivato a breve, mi imposi di trovare la forza per alzarmi
e
uscire in corridoio ad aspettarlo, intimando a Todd, Brent e Frank di
restare
nella stanza con Myles e non perderlo d’occhio nemmeno per un
istante.
Avevo
un aspetto di merda, ma
dovevo cercare di darmi un contegno, non volevo che si capisse quanto
questo
malore di Myles mi stesse distruggendo.
L’azzurrino
sbiadito delle pareti
dell’andito era, se possibile, ancora più
irritante del bianco candido in cui
ero stato immerso nelle ultime ore. Attesi per un tempo che mi parve
infinito,
tenendo la porta della stanza di Myles leggermente socchiusa per poter
sbirciare all’interno di tanto in tanto.
Quando
finalmente vidi Mark
svoltare l’angolo e percorrere a grandi falcate il corridoio,
tirai un sospiro
di sollievo. La sua presenza in un certo senso mi rassicurava, forse
lui
avrebbe saputo cosa fare in questa situazione, a differenza mia che ero
solamente riuscito ad andare nel pallone.
Ma
appena il chitarrista fu a
pochi metri da me, notai subito le sue occhiaie accentuate e i suoi
lineamenti
tirati per via della preoccupazione; probabilmente non aveva chiuso
occhio
nemmeno lui. Non lo invidiavo affatto: aveva dovuto affrontare otto
estenuanti
ore in aereo per arrivare fin qui, senza avere notizie di Myles, mentre
io
avevo avuto la fortuna di stargli accanto fin dall’inizio.
Stavo
per salutarlo, ma lui mi
superò ed entrò nella stanza come una furia,
ignorandomi completamente. La cosa
non mi sorprese poi tanto, perciò tacqui e mi limitai a
seguirlo, restando alle
sue spalle; lo osservai mentre, di fronte al letto, restava in silenzio
con lo
sguardo su Myles. Tutto era immobile nella stanza, mi chiesi
addirittura se
Mark stesse trattenendo il respiro… poi lo sentii mormorare:
“Come sta?”.
Mi
accostai al letto per poter
guardare Mark in faccia e presi la parola, sentendomi in dovere di
spiegare la
situazione. “Ha avuto un collasso, probabilmente a causa
dello stress e della
troppa stanchezza. Cadendo ha sbattuto la testa, ha un lieve trauma
cranico,
non è niente di grave. Hanno fatto altre analisi, il medico
dovrebbe arrivare
tra poco con i risultati.”
Mark rimase a fissarmi per qualche istante, poi si voltò,
passandosi una mano
sul viso nel tentativo di assimilare le mie parole. Non doveva essere
semplice
per lui e lo capivo bene, ogni volta che l’occhio mi cadeva
su Myles mi si
formava un groppo in gola.
“Cosa è successo?” domandò il
corpulento chitarrista in tono vagamente
minaccioso.
Non capii la domanda e gli lanciai un’occhiata perplessa.
“Te l’ho detto:
avevamo appena finito il concerto e…”
“No” mi interruppe subito Mark, puntandomi addosso
il suo sguardo duro e
indagatore. “Intendo dire perché
è successo. Cosa aveva, stava male?
Cosa avete fatto quel giorno? Non avete notato niente di
strano?”
Stavo
per ribattere, ma Frank
mosse qualche passo verso di noi e intervenne: “No, sembrava
tutto normale, mi
sembrava stesse bene”.
Lo ringraziai mentalmente per il supporto, Mark era molto agitato e
avevo paura
di non riuscire a fronteggiarlo.
“E durante il concerto è andato tutto bene, ha
cantato alla grande” aggiunsi,
come per avvalorare le parole di Frank. Non era altro che la
verità: non mi ero
accorto di niente se non subito dopo il concerto, eppure ero stato
attento a
Myles. Lo guardavo sempre, fin troppo.
Mark proruppe in una risata sarcastica che mi fece sobbalzare,
cogliendomi alla
sprovvista. “Già, è solo di quello che
ti importa, vero Slash? Se è andato bene
il concerto è tutto okay, non c’è
nessun problema” esclamò sprezzante.
Sentii il viso andare in fiamme e la rabbia montare dentro di me. Come
si
permetteva di insinuare una cosa del genere? Non aveva neanche la
minima idea
di quanto tenessi a Myles.
Comunque,
come al mio solito,
cercai di mantenere la calma. “Sai benissimo che non
intendevo questo” ribattei
in tono piatto e distaccato, sostenendo il suo sguardo carico
d’odio.
“Già,
già, certo…” borbottò Mark
sarcastico, prima di uscire dalla stanza. Io fui il primo a
raggiungerlo
all’esterno, seguito poi da Brent, Todd e Frank. Di certo non
era il caso di
continuare a discutere lì, di fronte a Myles – non
era un’atmosfera favorevole
alla sua guarigione –, ma l’idea di lasciarlo
totalmente da solo non mi andava
tanto a genio, avrei voluto dire a uno dei miei amici di restare con
lui.
Tuttavia in quel momento non ci feci tanto caso, ero stato ferito
profondamente
dalle parole di Mark e volevo mettere in chiaro un paio di cose. Quando
si
trattava di Myles, non potevo sopportare di essere etichettato come
egoista.
“Senti, se credi che a noi non importi niente di
lui…” iniziò Brent dopo
essersi chiuso la porta alle spalle, ma Mark lo interruppe, il viso
paonazzo
dalla rabbia.
“Se ora siamo qui è tutta colpa vostra e della
vostra smania di suonare
costantemente” ringhiò, la vena del collo gli
pulsava visibilmente.
Non avevo nessuna intenzione di lasciarmi insultare da lui.
“Mark, ora non…”
cominciai, sollevando il tono della voce, ma ancora una volta il
chitarrista
degli Alter Bridge partì all’attacco.
“No, Slash, non hai nessun diritto di incazzarti! Sei tu che
l’hai portato allo
stremo, tu che l’hai trascinato da una parte
all’altra del mondo, tu che non
gli hai lasciato neanche un attimo per prendere fiato negli ultimi due
anni!
Complimenti, queste sono le conseguenze!” gridò,
incurante delle infermiere che
ci passavano accanto e ci osservavano stranite.
Se
gli sguardi avessero potuto
uccidere, sarei morto in quel momento.
Strinsi i pugni, incapace di contenere la rabbia. Mi stava accusando di
quello
svenimento di Myles? Mi stava dicendo che non ero stato abbastanza
attento al suo
cantante? In realtà gli avevo sempre chiesto se fosse
stanco, mi ero reso
disponibile per qualsiasi cosa avesse bisogno, avevo avuto un occhio di
riguardo per lui, gli ero stato accanto per tutta la notte senza
mollarlo un
attimo. E dopo tutto questo, mi sentivo dare dell’insensibile?
“Non
l’ho mai obbligato a fare
niente! Non sei l’unico a volergli bene qui dentro, ficcatelo
in testa!”
sputai.
E se questo fosse accaduto durante un tour con gli Alter Bridge? Non mi
sarei
mai permesso di dare la colpa ai componenti della band, del resto
nessuno
poteva impedire a Myles di fare ciò che voleva.
“Tu gli vuoi bene perché lui ti serve,
perché è il cantante migliore che
potessi trovare, perché senza di lui saresti spacciato,
Slash” sibilò Mark.
“Questo non è volergli bene.”
Ora basta, questo era veramente troppo. Stavo per scagliarmi contro di
lui,
infischiandomene della mia netta minoranza fisica e del fatto che Mark
mi
avrebbe messo al tappeto in due secondi, ma qualcosa mi
fermò. Una voce nella
mia testa bisbigliò che non potevo venire alle mani col
migliore amico
dell’uomo che amavo, mi dovevo trattenere e lo dovevo fare
per Myles.
Così
ci fissammo in cagnesco per
qualche istante e io incassai anche quel colpo senza fiatare.
Cosa
ne poteva mai sapere lui?
Myles non era solo un cantante per me, non era un mezzo per raggiungere
il
successo, era la persona mugliore che avessi mai conosciuto e avrei
fatto
qualsiasi cosa, a costo di annientare me stesso, pur di vederlo felice.
Mark si allontanò di qualche passo, scosso da violenti
tremiti di rabbia. Lo
vidi frugare nelle tasche dei suoi pantaloni, afferrare il cellulare e
far
partire una chiamata, sicuramente destinata a Brian o Flip.
“Li ho avvisati io. Hanno preso il primo volo disponibile,
ora sono in aereo,
probabilmente è per questo che non ti rispondono”
lo informò Todd, tenendosi a
debita distanza da lui. Nonostante lui, Frank e Brent fossero rimasti
in
silenzio ad assistere allo scontro, intuivo che anche loro si
sentissero feriti
e offesi. Erano dalla mia parte, lo sapevo: per prima cosa, avevano
potuto
constatare di persona quanto stravedessi per Myles, e poi loro stessi
ce
l’avevano messa tutta per prendersi cura del cantante.
Sarei volentieri scoppiato in lacrime, tanta era la rabbia e il
nervosismo che
portavo dentro, ma per fortuna l’arrivo del medico mi
distrasse e riportò alla
realtà; l’espressione serena e distesa del nuovo
arrivato mi confortò, dedussi
che ci avrebbe dato buone notizie.
Subito
mi accostai a lui, seguito
dagli altri quattro.
“Allora” cominciò. “Come avevo
già detto, si è trattato di un collasso,
sicuramente causato dallo stress o dall’eccessiva stanchezza.
È una reazione
ovvia, l’organismo a un certo punto non ce la fa
più e crolla.” Aprì la
cartellina che teneva in mano e scorse alcuni fogli.
“L’elettrocardiogramma è
buono, la pressione è bassa ma nella norma. Cadendo ha
sbattuto la testa,
procurandosi un leggero trauma cranico; nei prossimi giorni potrebbe
avere un
po’ di emicrania, gli prescriverò un analgesico.
Le sue condizioni non sono gravi.
Dovrebbe svegliarsi nel giro delle prossime ore; con le flebo
provvederemo a
stabilizzare i parametri più carenti, per il resto
prescriveremo degli
integratori. Se va tutto bene, potrà tornare a casa
già domani mattina. E dovrà
rallentare un po’ il ritmo, ovviamente, o la prossima volta
potrebbe non essere
così fortunato.”
Mi dovetti trattenere dall’impulso di gettargli le braccia al
collo e gridare
di gioia. Myles stava bene, nonostante tutto stava bene! Grazie a
quella bella
notizia, improvvisamente dalla mia mente erano spariti i miei amici, il
medico,
Mark, la discussione di poco prima e perfino quel nauseante celeste
scialbo
delle pareti attorno a me.
Tirai
un profondo sospiro di
sollievo e, ancora tremante per l’ansia e con i palmi delle
mani sudaticci,
decisi che dovevo bere un bicchiere d’acqua per rilassare i
nervi. Senza dire
una parola, lanciai uno sguardo riconoscente al medico e mi diressi in
una
saletta d’aspetto munita di distributori automatici,
intenzionato a comprare
una bottiglietta d’acqua.
Dopo
qualche secondo, Todd mi
raggiunse e infilò a sua volta un paio di monete nel
distributore. “Non è stato
affatto carino” ruppe il silenzio, voltandosi nella mia
direzione. Entrambi
sapevamo a chi si stesse riferendo.
Mi
strinsi nelle spalle. “È stato
un vero stronzo. Però… in fondo lo
capisco” ammisi.
Pareva
incredibile, ma durante il
tragitto fino alla sala d’aspetto avevo ripensato alla
scenata isterica di Mark
e mi ero reso conto che il chitarrista non aveva fatto altro che
maturare un
mio sospetto: era innamorato di Myles, in una maniera profonda e totale.
Era
per questo che, dopotutto, mi
veniva facile immedesimarmi in lui.
E
a lui veniva facile odiare me.
“Ma
stai scherzando, amico? Come
puoi capire uno che ti accusa di usare Myles solo perché
è un bravo cantante?
Ha messo in dubbio il tuo affetto per lui!” si
indignò Todd, chinandosi per
recuperare la bottiglietta d’acqua che aveva acquistato.
Ci
spostammo di lato, nel caso
qualcun altro avesse avuto bisogno del distributore.
“Credo
che Mark non pensi davvero
ciò che ha detto, è stata la sua enorme
preoccupazione a parlare per lui,
doveva sfogarsi in qualche modo. Todd, secondo me tra lui e Myles
c’è un
rapporto che non possiamo capire e immaginare, sono davvero molto
uniti. Questo
non vuol dire che sono disposto a perdonarlo come se niente fosse, ha
detto una
marea di cazzate che mi hanno fatto molto male, ma sono sicuro che lui
stesso
se ne renderà conto, ora che l’adrenalina sta
cominciando a scemare.” Erano le
uniche parole che potevo usare per far capire il mio punto di vista a
Todd.
Lui
mi osservò stranito, prese un
lungo sorso d’acqua e disse: “Ti hanno mai detto
che sei troppo buono?”.
Accennai
un sorriso. “Mi hanno
detto tutto l’opposto.”
Lui
mi batté una pacca sul braccio,
poi affermò: “Torniamo dagli altri, voglio esserci
quando Myles si sveglia. Ti
va?”.
Annuii
e ci dirigemmo insieme
verso la stanza di Myles, percorrendo quel corridoio che ormai
conoscevo a
memoria. Fuori dalla porta, trovammo Brent e Frank che parlottavano tra
loro.
“Sono
appena arrivati Brian e
Flip” annunciò il batterista, accennando alla
soglia chiusa.
Li
superai ed entrai nella
camera, poi rivolsi un cenno di saluto ai nuovi arrivati. Mark,
visibilmente
più calmo, aveva occupato una delle sedie accanto al letto
– quella sedia su
cui ero stato seduto per ore interminabili – e vegliava su un
Myles ancora
incosciente e pallido.
Vedere
lo sguardo vigile del
chitarrista accarezzare i lineamenti del cantante mi irritò
e intenerì allo
stesso tempo. Era incredibile pensare quanto io e lui, a parte tutto,
ci
somigliassimo.
Se
l’amore avesse potuto guarire,
Myles si sarebbe rimesso in forma in pochi istanti.
Nonostante
fosse ora di pranzo,
lo stomaco mi si era chiuso e la sola idea di toccare cibo mi faceva
venire la
nausea.
Myles
ancora non si era svegliato
e la cosa mi metteva addosso una profonda agitazione; di tanto in tanto
mi
affacciavo nella camera per controllare la situazione, ma avevo evitato
di
restarci per tutta la mattina: ora era arrivato il turno di Mark e gli
altri
ragazzi degli Alter Bridge, ci tenevano a restare col loro cantante e
io
rispettai questa loro scelta.
E
poi, nonostante avessi capito
le motivazioni del chitarrista, ancora faticavo a starci a fianco. Le
cattiverie che mi aveva rivolto non mi erano proprio andate
giù.
Avevo
obbligato Brent e Frank a
tornare a casa, dal momento che non si reggevano più in
piedi, promettendo loro
che li avrei aggiornati su qualsiasi cosa, anche il minimo sviluppo
della
situazione. Per fortuna Todd era rimasto con me e mi aveva tenuto
compagnia per
tutto il tempo.
Eravamo
talmente stanchi che non
avevano neanche la forza di sbadigliare, ma non mi passava neanche per
l’anticamera del cervello di provare a chiudere occhio; dopo
una dozzina di
scadenti caffè dei distributori automatici, mi aggiravo per
i corridoi
dell’ospedale con gli occhi sbarrati e cerchiati di rosso,
come uno zombie.
Avevo incrociato così tante volte gli stessi medici e
infermieri che ormai mi
salutavano tutti.
Verso
mezzogiorno e mezza, mi
diressi per la milionesima volta verso la sala ristoro, pronto a
ingerire
l’ennesima dose di caffeina. Solo che quella volta,
appoggiato alla parete
accanto al distributore, trovai Mark con un bicchiere fumante tra le
mani.
Senza scompormi, accennai un saluto e mi fiondai subito ad acquistare
il mio
doppio espresso. Quello sarebbe stato il mio pranzo.
Dopodiché presi posto
contro la parete accanto al chitarrista e sorseggiai la bevanda calda,
in
attesa di trovare qualcosa da dire; era arrivato il momento di chiarire
le
cose, mi ero stufato di quella tensione, ma non avevo idea di come
cominciare
il discorso.
“Mi
dispiace” ruppe il silenzio
Mark in un mormorio.
Lo
scrutai con la coda
dell’occhio e notai che teneva lo sguardo basso.
“Lo
so” affermai, per nulla
sorpreso delle sue scuse. Come avevo previsto, non ci aveva messo tanto
a
pentirsi.
“Non
ho dato il meglio di me
prima” ammise mestamente.
Ora
quasi mi dispiaceva per lui,
il fatto che si fosse scusato con sincerità lo aveva fatto
riscattare dal ruolo
di rivale che aveva assunto ai miei occhi.
“È
comprensibile” cercai di
confortarlo.
“È
che…” Mark prese un respiro
profondo. Gettò il bicchiere di plastica ormai vuoto nel
bidone poco lontano e
poi tornò ad appoggiare la schiena al muro, passandosi una
mano fra i capelli. “Mi
sento in colpa. Avrei dovuto dirgli di fermarsi a prendere fiato ogni
tanto,
avrei dovuto impedirgli di ammazzarsi di lavoro come ha fatto negli
ultimi
anni… avrei dovuto fare qualcosa per evitare che si
arrivasse a questo punto. E
non l’ho fatto.”
Mi
lasciai sfuggire un sorriso
amaro, colpito da quelle parole così c
Tremendamente
vere. “Probabilmente
avremmo dovuto farlo tutti… ma lui è Myles. Pensi
davvero che sarebbe bastato
dirglielo? Avremmo dovuto come minimo legarlo al letto”
ironizzai, lanciandogli
un’occhiata complice.
Ero
io il primo a sentirmi in
colpa per quanto accaduto e mi sembrava giusto che io e Mark
condividessimo
questo peso, così che fosse più leggero per
entrambi.
Mark
ridacchiò e ne fui lieto,
per la prima volta dopo ore il suo muso lungo era scomparso.
“Mi
sento in colpa anche io” gli
confidai, facendomi di nuovo serio. “Però non
credo che saremmo riusciti a
fermarlo. È il suo carattere, è fatto
così: non riesce a stare fermo, è
qualcosa che va contro la sua natura.”
“Ora
però è in un letto
d’ospedale.”
Sospirai. “Lo so.
Appena si sveglierà,
cercheremo di farlo ragionare.”
Ero
fatto così: per quanto
potessi tenere a una persona, non riuscivo a imporle niente,
perché io stesso
andavo fuori di testa quando mi si diceva cosa fare. Avrei dovuto
fermare Myles
prima di arrivare a questo, ma in fondo lui era grande e vaccinato, non
potevo
prendere decisioni al posto suo.
Dopo
un minuto buono trascorso in
silenzio, fu nuovamente Mark a parlare: “È che ho
sempre l’impressione che ci
sia qualcosa, dietro questo suo non sapersi fermare. È come
se correre da un
lato all’altro del mondo e buttarsi a capofitto in un
progetto dopo l’altro lo
aiutasse a non pensare. Come se fermarsi per lui volesse dire essere
costretto
a pensare a tutto ciò che si impegna tanto a dimenticare e a
esorcizzare
attraverso la musica”.
Annuii.
“Peccato che non è
fuggendo che si dimentica; forse si dimentica per un po’, ma
alla fine tutto torna
a galla. Torna a galla fino a quando non riesci a elaborarlo e ad
accettarlo
come qualcosa che, nel bene o nel male, fa parte di te”
dissi. Lo sapevo bene,
dal momento che ero fuggito dai sentimenti che provavo per Myles fin
quando,
distrutto dal mio stesso atteggiamento, non ero stato costretto ad
accettarli.
Chissà
se anche Mark aveva
vissuto un processo simile.
Lui
sorrise. “Vorrei riuscire a
farglielo capire, una volta per tutte.”
Non
seppi bene cosa rispondere e
mi presi del tempo per riflettere un po’. Infine fu il mio
cuore a parlare: “Gli
voglio bene anche io, Mark. E non perché mi serve, non sono
un bastardo senza
cuore, o comunque non lo sono con i miei amici e con la mia band. Gli
voglio
davvero un gran bene e non farei mai nulla che gli possa nuocere. Se mi
fossi
accorto che non stava reggendo quei ritmi, l’avrei fermato.
Voglio che tu lo
sappia.” Non c’era nulla di più vero e
sincero di quelle parole.
“Lo
so” affermò Mark. Finalmente
aveva addolcito il suo sguardo e non vi scorsi più
risentimento, ma
comprensione.
Avrei
voluto dirgli che eravamo
simili, che capivo ciò che stava passando, che lui amava
Myles e io lo amavo
allo stesso modo… ma lasciai perdere, non ne avevo il
coraggio e avrei soltanto
complicato le cose.
In
ogni caso non era quello il
momento, eravamo troppo stanchi e in una situazione in cui avevamo
altro a cui
pensare.
Gettai
il bicchiere vuoto nel
cestino della spazzatura e io e Mark, senza aggiungere alltro, ci
dirigemmo
fuori dalla stanza, verso la camera del cantante.
Quando
vi entrammo, trovammo
Myles sveglio, seduto sul letto, che chiacchierava con Brian, Flip e
Todd.
Myles
era sveglio. Felice.
Sorridente. In forze.
Il
mio cuore fece le capriole nel
petto, un uragano di emozioni mi investì e dovetti fare
appello a tutto il mio
autocontrollo per non scoppiare a piangere dalla gioia.
Agii
d’istinto: percorsi in un
lampo la distanza che mi separava dal letto e intrappolai Myles in un
abbraccio. Era stupendo sentirlo così caldo e vivo, poter
inspirare il suo
profumo.
“Non
ti azzardare mai più a farmi
spaventare così, Kennedy” mormorai contro la sua
tempia. Non volevo più
sciogliere quell’abbraccio, volevo stare lì con
lui e coccolarlo, prendermene
cura, scusarmi per averlo forzato tanto e aiutarlo a
risollevarsi… ma sapevo
che il mio turno era finito, ora toccava a Mark, dovevo lasciar spazio
a lui.
Mi
staccai e, come previsto,
Myles posò subito lo sguardo sul suo chitarrista, che
intanto aveva assunto
un’espressione accigliata.
Tutti
capimmo che i due avevano
bisogno di chiarire e stare da soli, così lasciammo la
stanza – dal canto mio,
mi trascinai in corridoio di malavoglia, restio a lasciare Myles
così presto.
Mi
lasciai cadere pesantemente su
una sedia in plastica e mi passai una mano sullo stomaco, laddove un
groppo mi
si era formato. Non avevo mangiato niente, eppure era come se qualcosa
mi si
fosse bloccato proprio là e si stesse rimestando con impeto.
Probabilmente un
po’ di quel malessere era dovuto al fatto che Myles e Mark si
trovassero nella
stanza da soli, un po’ di gelosia da
parte mia era lecita.
“Tutto
bene, Slash? Non hai una
bella cera” mi chiese Brian gentile, accomodandosi accanto a
me.
“Non
ti preoccupare, è tutto a
posto,” mentii, “sono solo un po’ stanco,
non dormo da un giorno e mezzo.”
“Io
spero che Mark non faccia
qualche cazzata. Myles si è appena svegliato, è
ancora debole e sicuramente non
ha bisogno di qualcuno che gli sbraiti contro.” Flip diede
voce ai suoi dubbi,
camminando avanti e indietro di fronte a noi.
“Non
farebbe mai niente che lo
faccia star male, lo sai” lo rassicurò il suo
amico con un sorriso bonario.
“Povero
Myles, quando gli abbiamo
detto cos’era successo era mortificato, non voleva farci
preoccupare” commentò
Todd, lanciandomi un’occhiata.
Io
annuii, ma in realtà non li
stavo neanche ascoltando, concentrato com’ero a tentare di
placare la tempesta
all’altezza del mio stomaco.
Qualcosa
non andava.
Feci
appena in tempo ad alzarmi e
correre verso il primo bagno disponibile, che venni colto dal primo
conato. Per
fortuna riuscii a raggiungere il lavandino e lì mi svuotai
completamente,
nonostante non avessi nulla da espellere.
A
parte tredici o quattordici
caffè. Forse avevo un po’ esagerato.
Mentre
mi reggevo ai bordi del
lavandino, Todd irruppe nell’antibagno e mi
afferrò per un braccio; se non ci
fosse stato lui a sostenermi, le gambe deboli e tremanti mi sarebbero
cedute e
sarei crollato a terra.
“Oh
cazzo, ci mancava anche
questa!” imprecò il mio bassista in tono disperato.
“Serve
aiuto? Forse è il caso che
chiami un infermiere” constatò Flip. Lui e Brian
si erano fermati appena fuori
dallo stanzino e assistevano alla scena attraverso la soglia spalancata.
Sollevai
una mano verso di loro.
“Grazie, ma non serve. Sto… sto bene”
mormorai, sperando di sembrare
convincente. Aprii l’acqua, sciacquai il lavandino con
un’abbondante dose di
sapone e mi rinfrescai il viso e la bocca.
Mi
ero tolto un peso, ma ora ero
uno straccio.
Dopo
aver verificato che i miei
vestiti non si fossero sporcati, Todd mi condusse nuovamente in
corridoio e mi
fece accomodare sulla solita, scomoda sedia in plastica.
“Ci
hai fatto prendere un colpo”
ammise Brian con gli occhi sgranati.
“Non
esageriamo, dai” minimizzai.
“Cos’hai
mangiato?” indagò Flip.
“Non
sono Myles” scherzai, sapendo
che i componenti degli Alter Bridge ponevano spesso domande del genere
al loro
cantante.
“Seriamente”
insistette Brian,
soffocando una risata.
“Non
ho mangiato” ammisi
candidamente.
“Ha
solo bevuto due litri e mezzo
di caffè” intervenne Todd, sedendosi alla mia
destra.
Gli
lanciai un’occhiata in
tralice. “Fatti gli affari tuoi” lo rimbeccai.
“Vi chiedo un favore” cambiai
subito discorso.
I
tre si misero all’ascolto.
“Non
ditelo a Myles, non voglio
che si preoccupi inutilmente. Ora deve pensare solo a se
stesso.”
Flip
mi rivolse un sorriso. “Si
vede che tieni molto a lui e ci dispiace che Mark lo abbia messo in
dubbio. Ci
scusiamo anche noi da parte sua.”
“Sappiamo
che tu e lui avete
avuto una discussione” aggiunse Brian. “Cerca di
capirlo: è abituato ad avere
Myles sempre sotto la sua protezione, a volte diventa un po’
paranoico e l’idea
di lasciarlo andare con qualcun altro gli mette ansia. Un po’
come un padre che
manda il figlio in gita scolastica per la prima volta, ecco.”
Annuii.
“Non c’è bisogno che vi
giustifichiate, lo avevo capito. Ci ho parlato, ma dopo questo episodio
non so
se si fiderà mai di me.”
Flip
mi posò una mano sulla
spalla e mi fissò dritto negli occhi. “Stammi a
sentire: so per certo che non
sei uno stronzo, che non vuoi sfruttare Myles e che gli vuoi un mondo
di bene…
te lo si legge negli occhi, Slash. Io – ma penso di poter
parlare per tutti noi
– ho fiducia in te e nel resto della band, sei una persona
buona e sono sicuro
che saprai prenderti cura del nostro Myles. E poi lui ti adora,
stravede per
te, e questo dice tutto. Se lui è felice di lavorare con te,
lo siamo anche
noi.”
Distolsi
lo sguardo,
profondamente commosso da quelle parole. Non mi sarei mai aspettato una
tale
dimostrazione di fiducia e di stima, non pensavo neanche di meritare
tutte
quelle belle parole.
Se
Flip, Brian e Mark si fidavano
di me, avrei fatto tutto ciò che era in mio potere per non
deluderli.
“Grazie”
riuscii solo a
bofonchiare, in imbarazzo.
“Direi
che è arrivato il momento
di vedere cosa stanno combinando quei due” fece notare Todd
con una risatina,
dopo qualche secondo.
Il
batterista degli Alter Bridge
allora ritrasse la mano dalla mia spalla, si fiondò verso la
porta e la
spalancò, facendo irruzione nella camera.
Attesi
qualche istante prima di
seguirlo e sperai di avere quantomeno un aspetto dignitoso. Avevo
appena
vomitato e non dormivo da trentasei ore, se Myles mi avesse osservato
bene si
sarebbe spaventato.
Per
fortuna ero un bravo attore.
Avevo
cancellato diverse date del
tour per dare a Myles la possibilità di riposarsi e
rimettersi in forze; per
fortuna quella lunga serie di date si stava per concludere, poi il
cantante
avrebbe avuto tregua per un lungo periodo.
Lui
si era dispiaciuto e sentito
in colpa, sapeva quanto amassi
suonare
dal vivo, ma io ero stato
fermo nella mia decisione e non avevo nessuna intenzione di ritrattare.
Myles,
ancora stanco e preda di
forti mal di testa, non se la sentiva ancora di affrontare un lungo
viaggio per
tornare a casa sua, così aveva deciso di affrontare la sua
convalescenza a Los
Angeles. Mentre Brian e Flip erano andati via la mattina in cui Myles
era stato
dimesso, Mark era ovviamente rimasto con lui.
Avevo
insistito per ospitarli da
me, era il minimo che potessi fare per sdebitarmi del disastro che
avevo
combinato e non sopportavo l’idea che i due pagassero un
appartamento o una
stanza d’albergo per stare là. Avevo una casa
abbastanza grande da lasciar loro
un’intera porzione, non erano neanche obbligati a incrociarmi
per i corridoi,
se la mia presenza li avesse infastiditi.
Una
mattina li osservai di
soppiatto mentre, in giardino, sedevano uno di fianco
all’altro: parlavano tra
loro a bassa voce, Mark circondava le spalle di Myles con un braccio e
gli
accarezzava dolcemente i capelli, mentre il cantante aveva la testa
posata
sulla sua spalla e di tanto in tanto si stringeva di più a
lui, affondando il
viso nella sua maglietta.
Mi
faceva male vederli così, un
male talmente forte da essere quasi fisico. Tra loro due non
c’era solo
un’amicizia, era evidente: Myles ricambiava i sentimenti di
Mark con la stessa
intensità, non riuscivano a stare lontani e ogni gesto tra
loro era naturale e
tenero. Era stupido ed egoista essere geloso, eppure non riuscivo a
controllare
i miei sentimenti; li potevo gestire solo in due modi: reprimerli o
sfogarli in
qualche modo.
Distolsi
lo sguardo da quella
scena e, con gli occhi lucidi e il cuore colmo di malinconia,
imbracciai la
prima chitarra che mi capitò a tiro. Quel giorno dalle mie
sei corde sarebbero
provenute soltanto tristi melodie.
“Sai,
Slash” esordii Mark,
entrando nella stanza e accomodandosi sul divano accanto a me.
“Penso che Myles
abbia finalmente smesso di scappare.”
Distolsi
lo sguardo dal
televisore e lo posai su di lui, perplesso.
“Dov’è lui adesso?”
“È
andato a farsi una doccia.”
“E
cosa volevi dire con quella
frase?”
Lui
si strinse nelle spalle e un
sorriso raggiante gli illuminò il viso. “Ha capito
qual era il problema e, al
posto di scappare, l’ha affrontato. Con successo.”
Abbassai
lo sguardo, fingendo di
cercare il telecomando che, tra l’altro, avevo in mano. Avevo
capito cosa
intendeva, la mia paura più grande si era avverata e
l’unico modo che mi veniva
in mente per affrontare la cosa era sbattere la testa e svenire
all’istante.
“Mark,
tu… provi qualcosa per
lui” tirai a indovinare, pur sapendo già la
risposta.
“Sì”
ammise imbarazzato, con un
filo di voce.
“E
lui prova qualcosa per te”
conclusi, cercando di mantere un tono di voce neutro.
“A
quanto pare…”
Ecco.
Ora sì che volevo svenire.
Sollevai
lo sguardo e incrociai
gli occhi di Mark. “Io… sono molto contento per
voi. Vi meritate questa
felicità” mormorai, sforzandomi di sorridere.
Lui
annuì e mi scoccò un’occhiata
complice. “Grazie. Non so spiegare come e perché,
ma sei stato proprio tu a
scuoterci e far capire a me e Myles questi nostri sentimenti.”
Ancora
una volta, non potevo
spiegargli come mi sentissi e cosa questo significasse per me.
Però,
se questo era il prezzo per
la felicità di Myles, l’avrei pagato in silenzio e
senza lamentarmi, lasciando
che la mia chitarra piangesse per me.
♠
♠ ♠
Non
so bene come commentare
questo scritto malinconico/strappalacrime, so solo dirvi che
è frutto di
un’ispirazione improvvisa nata dalla sopraccitata one-shot di
sheswanderlust,
che ci tengo a ringraziare per avermi concesso di
basarmi sulla sua storia per scrivere. Grazie cara, riesci sempre a
rubarmi il
cuore con i tuoi scritti *-*
Povero
Slash, mi dispiace tanto
che sia andata così! Il finale me lo sono inventato in base
a ciò che gli
eventi mi hanno ispirato, per me in quest’occasione Myles e
Mark DOVEVANO stare
insieme… anche se poi a rimetterci è stato il
nostro adorato riccioluto!
Comunque quest’ultima scena era solo un piccolo bonus, la
storia è nata
principalmente per indagare il punto di vista di Slash in questa
faccenda.
Spero
che ora non vediate Mark
come l’antagonista, poveretto, non è mia
intenzione parlar male di lui u.u :3
Spero
che la storia vi sia
piaciuta e, nel caso non l’aveste fatto, vi consiglio ancora
una volta di
leggere la versione di sheswanderlust, che è semplicemente
GRANDIOSA *-*
Grazie
per la pazienza e per il
supporto, spero che anche questo piccolo scritto vi abbia trasmesso
qualcosa!!!
♥
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