The Great Pretender
IX
The
Great
Pretender
Un
infinito susseguirsi di campi
e bassi arbusti tutti uguali sfilava al di là del
finestrino, alla mia
sinistra, mentre il mio sguardo era immerso tra le righe di un libro;
quando i
ritmi del tour si facevano sfiancanti, leggere era un ottimo metodo per
rilassarsi.
Anche
Mark, Flip e Brian parevano
distrutti, tanto che avevano finito per sonnecchiare ai loro posti,
tranne il
bassista che armeggiava col suo cellulare.
Un
vibrare nella tasca della mia
giacca attirò la mia attenzione, così lasciai
andare il libro sulle mie
ginocchia e portai fuori il telefono; Slash mi stava chiamando.
Sorrisi,
piacevolmente sorpreso:
era da measi che non lo sentivo, non aveva più risposto ai
miei messaggi né
tantomeno mi aveva chiamato. L’unica informazione che mi
aveva dato era che il
nostro progetto sarebbe continuato nonostante la reunion con i Guns
N’ Roses,
il che mi aveva rassicurato parecchio.
Non
ce l’avevo con lui dopotutto,
sapevo com’era fatto e a volte si rinchiudeva nel suo mondo o
si lasciava
assorbire dai suoi impegni; non aveva deciso di ignorarmi, non
l’aveva fatto
intenzionalmente.
“Pronto?”
risposi.
“Ehi
Myles, come stai?” mi
domandò lui col suo solito tono calmo, che però
tradiva un certo entusiasmo. Un
po’ mi era mancato, dovevo ammetterlo.
“Slash!
Io tutto bene, piuttosto…
tu? Era da un po’ che non ti facevi sentire!”
Lui
ridacchiò. “Eh, lo so, è
stato un periodo molto intenso. Noi dei Guns eravamo un po’
arrugginiti, ti
lascio solo immaginare quanto abbiamo dovuto provare per rimetterci in
carreggiata.”
“Spero
di riuscire a esserci
almeno per una vostra data” ammisi, sebbene sapessi che
sarebbe stato difficile
incastrare quell’impegno con il lavoro degli Alter Bridge.
“A
me farebbe molto piacere, puoi
anche portare i tuoi ragazzi e ne potrebbe uscire una serata carina!
Comunque…
stai lavorando a qualche nuovo brano? Perché io ho
già un po’ di materiale
pronto.”
Mi
illuminai. “Stai dicendo che
dopo il tour con i Guns hai intenzione di fare un nuovo album
solista?”
Slash
rise, probabilmente
divertito dal mio grande entusiasmo. “Dipende anche da te e
dai tuoi impegni,
non posso mica creare un album senza il mio cantante! Sto solo dicendo
che ho
del materiale su cui potremmo lavorare, poi se vediamo che funziona
potremmo
mettere insieme un album.”
“Okay,
manda tutto, sono
curioso!” tagliai corto, già pronto a mettermi al
lavoro.
“Per
caso stavi aspettando questa
chiamata con ansia?”
Quella
domanda mi lasciò un
attimo perplesso. “Perché me lo chiedi?”
feci con una mezza risata nella voce.
“Sei
scattato come una molla
appena ti ho comunicato le mie intenzioni!”
Entrambi
scoppiammo a ridere.
“È
vero,” convenni, “ed è vero
anche che aspettavo questa chiamata, volevo capire se fossi ancora vivo
e tutto
intero!”
“Ma
figurati, sono sopravvissuto
praticamente a qualunque cosa! Comunque grazie per la preoccupazione e
per aver
deciso di collaborare con me nonostante la mia incostanza.”
Sorrisi.
“Ognuno ha i suoi
difetti.”
Dopo
un breve scambio di battute,
misi giù con un grande sorriso sulle labbra. Ora anche
quella questione in
sospeso si era risolta e avevo tante nuove bozze su cui lavorare.
Era
una bella giornata.
♫
♫ ♫
In
fondo era così che doveva
andare, avrei dovuto capirlo fin dall’inizio.
Io
e Myles saremmo sempre stati
amici, migliori amici, ma nulla di più. Era una
consapevolezza che avevo
maturato durante il tour con i Guns N’ Roses e, in fin dei
conti, non me ne dispiacevo
poi tanto. Certo, avere Myles al mio fianco e nascondere ciò
che provavo non
sarebbe stato facile, ma ce la potevo fare. Avevo la musica –
il mio più grande
amore –, gli amici… e il tempo avrebbe curato le
mie ferite.
Ero
sempre stato fin troppo
sensibile e questa mia caratteristica mi aveva portato tante volte a
sbagliare,
ma in quel momento, all’età di
cinquantatré anni, mi sentivo abbastanza forte
da tener testa ai miei demoni.
“Sai,
c’è un posto qui in Italia
che mi piace particolarmente, forse ne hai sentito parlare”
disse Myles mentre,
appena scesi dal palco, tamponavamo il nostro viso e i nostri capelli
zuppi di
sudore con degli asciugamani.
Ci
pensai su un attimo e gli
lanciai un’occhiata. “Penso me ne avessi parlato tu
stesso, ma adesso non mi
viene in mente.”
“Il
lago di Como” spiegò.
Mi
illuminai. “Ah, sì! Quello
dove hanno ambientato quel classico della letteratura, come si chiama?
Quello
con il tizio e la tizia che non riuscivano a sposarsi, ho visto il film
qualche
anno fa…”
Myles
scoppiò a ridere. “I
Promessi Sposi!”
“Ah,
ecco!”
“Ci
sei mai stato?”
Scossi
la testa. “Non conosco
molto bene l’Italia.”
“Domani,
dato che non dobbiamo
partire subito, ci potremmo fare un salto!” propose,
raggiante.
“Sei
fuori, Myles? Hai un giorno
libero e non ti riposi?” intervenne Frank, il nostro secondo
chitarrista, con
fare stranito.
“Invece
è una bella proposta” lo
contraddisse Todd, che infatti era profondamente interessato alla
nostra
conversazione.
“Anche
a me, mi piacerebbe
andarci” ammisi con sincerità.
“Todd,
tu non sei stato invitato”
precisò Myles in tono scherzoso. “Io stavo
parlando solo con Slash!”
Il
bassista incrociò le braccia
al petto e assunse un’aria teatralmente minacciosa.
“Bene, grazie, me ne
ricorderò. Non fa nulla, starò in albergo a
dormire!”
“Veramente
qui il capo sono io!”
feci notare con una risata.
“Ma
l’idea di andare al lago è
stata mia!” si oppose Myles in tono scherzoso.
“Ma
il lago non è tuo!” gracchiò
Todd.
Frank
intanto ci osservava
confuso, o forse era soltanto stanco.
“Cosa
mi sono perso?” si
intromise Brent, raggiungendoci con diverse bottiglie di birra fresca
tra le
mani, per poi distribuirne una a ciascuno.
“Stanno
organizzando una gita per
domani” spiegò il chitarrista.
“Davvero?
Quanto si paga per
partecipare?” scherzò il batterista.
“Nulla
di che, devi solo donare
un organo” ironizzò Myles.
“Allora,
io ci andrò a una sola
condizione: dobbiamo trovare un punto non troppo affollato, altrimenti
rischio
di essere riconosciuto e avere un’orda di fan alle
calcagna” dissi, facendomi
serio.
Myles
mi sorrise dolcemente.
“Ovvio! Vedrai, ti piacerà!”
Ricambiai
il sorriso e non potei
fare a meno di pensare che Myles era un raggio di sole nella mia vita.
“Fuori
ci sono due gradi, non ci
sarà nessuno al lago” commentò Brent.
“Ma
quindi voi venite o no?” mi
rivolsi agli altri musicisti.
Frank
scosse la testa, mentre
Todd esclamò: “Ma certo!”.
“Se
mi sveglio, sì” borbottò
Brent.
“Oh,
ma piantala di fare l’orso,
sei in Italia e vuoi rimanere in albergo a dormire?” lo
apostrofò il bassista,
lanciandogli un’occhiataccia.
“Io
so solo che voglio dormire, a
prescindere dal luogo in cui mi trovo” rispose
l’altro con un’alzata di spalle.
Così
i due cominciarono a battibeccare
e punzecchiarsi come al solito.
The
mask you wear is only your disguise
To
hide the tears that fall inside
Quel
giorno mi ero svegliato con
quei due versi in testa, facenti parte di una delle ballad del nostro
nuovo
album, ovvero The Great Pretender.
Non era la prima volta che quel brano mi rimaneva in testa, non appena
avevo
composto la melodia portante mi ero reso conto di quanto fosse
fottutamente
geniale e quanto funzionasse… ma quel giorno fu proprio
quella frase a
imprimersi nei miei pensieri.
Quando
Myles me l’aveva fatta
leggere, ne ero rimasto subito colpito e mi ci ero rispecchiato, anche
se avevo
evitato di farglielo sapere. Era proprio così che mi sentivo
quando pensavo
alla situazione tra me e lui: ogni giorno, che ci ritrovassimo in
studio o in
tour, ero costretto a indossare una maschera per apparire sempre
tranquillo.
Già, ma in realtà era una farsa,
perché era difficile controllare le emozioni
quando posavo il mio sguardo su Myles.
Se
solo avesse saputo quanta
sofferenza si nascondeva dietro il mio atteggiamento assorto e
taciturno. Lui
pensava che fossi fatto così, che non ci fosse da
preoccuparsi, e in parte
aveva ragione.
La
nebbia, che ci aveva
accompagnato per tutto il viaggio e che ancora non aveva deciso di
dissiparsi
sotto il tiepido sole, mi portava a formulare questi tristi pensieri,
mentre
perdevo lo sguardo sulla superficie del lago ovattata dalla foschia.
C’era una
calma surreale in quel luogo, il silenzio era interrotto solo dalle
risate di
Myles, Brent e Todd alle mie spalle e un’impercettibile
brezza fredda
s’infiltrava sotto la mia giacca pesante.
Myles
era così allegro, così
ignaro di tutto. Ormai mi ero arreso all’idea che non avrebbe
mai saputo dei
miei sentimenti, ma a volte – come quel giorno – mi
sentivo in colpa per quanto
spudoratamente gli mentissi. Mi sentivo proprio un great
pretender, un grande impostore. Però alcune bugie,
se vengono
raccontate a fin di bene, possono essere perdonate, no?
“Ehi.”
La voce di Myles alle mie
spalle precedette il tocco leggero della sua mano sul mio braccio. La
cosa non
mi sorprese, mi ero già reso conto di avere qualcuno accanto.
“Ehi”
risposi in tono piatto.
“Tutto
bene? Questo posto è un
paradiso, non trovi?”
Decisi
di ignorare la prima
domanda. “È bellissimo, hai ragione, mi mette
voglia di suonare e comporre.”
Myles
mosse qualche passo in
avanti, poi si voltò per sbirciare la mia espressione.
“C’è qualcosa che non
va” sentenziò.
Mi
sorpresi di quanto fosse
capace di leggermi dentro, come solo i miei migliori amici riuscivano a
fare.
Comunque negai tutto: “No, è tutto okay”.
“Pensi
di prendermi per il culo?
Ti conosco. Non insisterò per sapere a cosa pensi,
però voglio almeno sapere
che posso fare per tirarti su di morale.”
Sorrisi
appena. “Ti ho detto che
sto bene!”
“Ma
tu dici sempre il contrario
di quello che pensi.”
Mi
imbronciai. “Non è vero.”
“Comunque…
mi dispiace che tu sia
di malumore proprio oggi, che ci troviamo nel mio luogo
d’Italia preferito. Se
parlarne ti può aiutare, io sono qui” si
offrì in tono apprensivo e sincero, e
dai suoi occhi celesti traspariva una dolce preoccupazione.
Myles
era sempre in grado di
strapparmi il cuore dal petto e farlo sciogliere. Sorrisi e, preso da
un
impulso irrefrenabile, mi lasciai andare a un piccolo gesto
d’affetto:
fingendomi affascinato dagli anelli che indossava, gli afferrai una
mano.
“Oddio, che figo questo con il serpente! È
nuovo?”
Lui
annuì, per niente a disagio;
ormai conosceva il mio modo di agire e non si poneva troppe domande.
“In
realtà ce l’ho già da un po’,
ma non lo uso spesso perché ho paura di perderlo o
rovinarlo” spiegò.
Feci
scorrere l’indice
sull’incisione del gioiello, che ritraeva appunto un
bellissimo serpente, e
senza sollevare lo sguardo cominciai a parlare. “Sai, ci sono
giorni in cui
penso di essere finalmente arrivato a un punto stabile della mia vita,
in cui
mi sento a posto e felice… e altri in cui invece sto da
schifo, mi sembra di
non aver combinato nulla di buono, forse perché sono un
insoddisfatto cronico.
I guai più grandi li combino con le persone che mi stanno
attorno: ho un sacco
di cose per la testa e per il cuore, ma non vengono mai fuori e chi mi
circonda
non riesce a decifrarmi, perché non mi faccio decifrare.
Sono… a volte mi sento
un po’… patetico.”
Erano
rari i momenti in cui
riuscivo ad aprirmi così, a portar fuori le mie debolezze.
Forse quelle parole
non avrebbero spiegato a Myles per filo e per segno la mia situazione,
ma era
una chiave per comprendere almeno il mio stato d’animo.
Il
mio amico sospirò; sentivo il
suo sguardo addosso, anche se io non avevo il coraggio di sollevare il
mio.
Ancora gli stavo stringendo la mano – un fatto che per lui
poteva sembrare
involontario, ma che io avevo programmato.
“Penso
che tutti si sentano così
ogni tanto, me compreso. Siamo esseri umani, abbiamo paura di sbagliare
e per
questo siamo insicuri. Ancora di più se si è una
leggenda – tu sei finito per
diventarlo, anche per le persone che ti stanno accanto – e la
gente si aspetta
grandi cose. Ma non farti rapire il cervello da queste stronzate
perché non ne
hai bisogno, hai un grande cuore e, se hai il coraggio di seguirlo, lui
non ti
tradirà mai. E sei circondato da tante persone che ti
vogliono bene, in primis
noi della band, ed è così anche se a volte
diventi asociale o se rompi le palle
perché pensi di avere sempre ragione o perché
vuoi fare le cose come dici tu.”
Nell’ultima parte del discorso, la voce di Myles era passata
da seria a
scherzosa.
Adoravo
anche questo di lui: non
aveva peli sulla lingua, né quando si parlava di emozioni
serie e sentimenti,
né quando c’era da evidenziare qualche difetto.
Era completamente genuino.
Con
il sorriso sulle labbra e la
commozione a scaldarmi il cuore, non potei fare a meno di trascinarlo
più
vicino a me e stringerlo in un abbraccio. Lui lo ricambiò
subito, con affetto,
senza alcuna esitazione.
“Grazie”
mormorai. Stavo da dio
tra le sue braccia e sì, stavolta ne ero certo: quello mi
sarebbe bastato.
Perché Myles mi voleva davvero bene e mi sarebbe stato
sempre accanto.
“Foto!”
strillò Todd a pochi
centimetri da noi, distruggendo quel momento idilliaco.
L’avrei
volentieri affogato.
Io
e Myles sciogliemmo
l’abbraccio e lo guardammo confusi.
“Facciamoci
un selfie, tutti e
quattro insieme, con il lago alle nostre spalle!” propose il
bassista con entusiasmo.
“Non
ci stiamo, e se ci stessimo
non si vedrebbe il lago” commentai.
“Invece
sì, perché qualche minuto
fa è passato un venditore ambulante e ho comprato
questo” intervenne Brent,
comparendo alle spalle di Todd e mostrandoci fieramente un bastone per
i
selfie.
Myles
scoppiò a ridere. “E va
bene, che foto sia! Slash con i suoi Conspirators!”
“Che
sempre cospirano alle mie
spalle!” aggiunsi con una risata.
Brent
montò il suo cellulare su
quell’aggeggio infernale di forma allungata e ci mettemmo in
posa per la foto;
il batterista si trovava alla mia destra, mentre Myles era appollaiato
contro
di me alla sinistra. Circondai le spalle a entrambi, ma rafforzai la
stretta su
quelle del cantante in modo da averlo più vicino. Lui rideva
e scambiava
battute con gli altri, ignaro di tutto, mentre io lasciavo che quel
contatto
lenisse la mia anima.
“Slash,
cazzo, sorridi! Sembri di
ritorno da un funerale!” sbottò Todd.
“O
ti devo fare il solletico?”
aggiunse Myles.
Stavo
per accettare di buon
grado, ma alla sola idea mi lasciai scappare una risata. “E
va bene, sorrido,
ma solo per omologarmi a voi, gente poco seria!”
“Adesso
dite Como” ci
incitò Brent.
La
foto venne bene e io avevo un
bel sorriso, molto naturale. Sì, perché in quel
momento, con una serie di date
ad attendermi, circondato da degli amici veri e con l’uomo
che amavo stretto a
me, avevo un buon motivo per sorridere.
♠
♠
♠
E
siamo giunti alla fine di quest’avventura! Lo so, lo so:
molti di voi mi vorranno
picchiare perché la storia non è finita bene e la
Mylash non si è concretizzata,
ma cercate di capire, quando ho concepito questa storia ho subito
pensato che
dovesse finire così, nella mia mente non c’erano
alternative – anche perché
nella mia mente Myles non ricambia i sentimenti di Slash, se avessi
fatto che
il chitarrista gli confessava i suoi sentimenti sarebbe stata una
depressione,
invece ho optato per un finale volutamente aperto, né tutto
bianco e né tutto
nero.
Ma
non disperate! Per gli shipper della Mylash ho in serbo una piccola
sorpresa
che arriverà martedì prossimo, non vi anticipo
niente ma… è qualcosa di profondamente
collegato a questa piccola long ^^
Per
quanto riguarda gli eventi narrati qui… per chi non lo
sapesse, è vero che Myles,
Slash e i Conspirators sono tornati a lavorare insieme una volta
terminato il
tour dei Guns N’ Roses, e hanno sfornato un nuovo
figlioletto, Living The Dream
– album che dà il titolo alla storia. Ed
è proprio da qui che ho estratto il
brano di cui parlo in questo capitolo, The Great Pretender.
A voi il link
per chi non la conoscesse:
https://www.youtube.com/watch?v=j8sp0oaYAxc
L’ultima
scena è ambientata in Italia, proprio in corrispondenza del
concerto che si è
tenuto al Fabrique di Milano l’8 marzo di
quest’anno, che ho seguito in diretta
su Virgin Radio e che mi ha rubato il cuore. Tutto è
cominciato da lì per me e
mi sembrava carino finisse lì, durante quei giorni ^^
Poi…
ho letto in un’intervista che il luogo dell’Italia
preferito da Myles è il lago
di Como (ma non penso abbia mai visitato l’Italia da cima a
fondo, perché tra i
posti del nostro Paese è davvero impossibile scegliere) e
quindi mi sembrava
carino che ci portasse i suoi compagni di band! Ho adorato scrivere
questa scena
^^
Vi
lascio a una foto di Slash, Myles, Frank, Brent e Todd,
perché questi cinque
sono davvero adorabili e mi va di
inserirli u.u
Infine
ci tengo a fare un ringraziamento speciale ai miei fantastici lettori,
che mi
hanno seguito in questa pazza idea in questo fandom così
bizzarro! Kim WinterNight,
alessandroago_94 e sheswanderlust, senza di voi non sarebbe stato lo
stesso!!! :3
Alla
prossima e… tenete d’occhio la categoria ;) ♥
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