Fanfic su artisti musicali > Slash, Myles Kennedy & The Conspirators
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Autore: Soul Mancini    02/07/2019    3 recensioni
[IN REVISIONE dall'11/01/2021!
Accenni ai componenti di Guns N' Roses e Alter Bridge.
Mylash - Slash x Myles]
Nove capitoli, nient'altro che una serie di momenti che si susseguono, piccoli slice of life per raccontare una storia. Un'amicizia nata nel 2009, quasi per caso, da una bizzarra collaborazione.
Un'amicizia che però cela qualcosa di più, qualcosa di difficile da accettare, qualcosa di dolce e al contempo doloroso.
DAL SECONDO CAPITOLO:
«Una voce inaspettatamente dolce e delicata, colma di profonda emozione, si sparse per la stanza, irradiata dalle casse ai lati del computer. Mentre la ascoltavo rapito, non potei fare a meno di chiedermi se seriamente appartenesse al ragazzo con cui avevo parlato al telefono. Pareva così diversa, così passionale, potente e vellutata allo stesso tempo.
Non avevo mai sentito nulla del genere.»
NOTE:
- All'interno dei capitoli si susseguiranno i POV di Slash e Myles. Non preoccupatevi, sarà semplice capire la voce narrante ^^
- Il primo capitolo si è CLASSIFICATO QUATTORDICESIMO al contest "Chi ben comincia è a metà del prologo" indetto da BessieB sul forum di EFP.
Genere: Fluff, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Myles Kennedy, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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The Great Pretender

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IX

 
The Great Pretender
 
 
 
 
Un infinito susseguirsi di campi e bassi arbusti tutti uguali sfilava al di là del finestrino, alla mia sinistra, mentre il mio sguardo era immerso tra le righe di un libro; quando i ritmi del tour si facevano sfiancanti, leggere era un ottimo metodo per rilassarsi.
Anche Mark, Flip e Brian parevano distrutti, tanto che avevano finito per sonnecchiare ai loro posti, tranne il bassista che armeggiava col suo cellulare.
Un vibrare nella tasca della mia giacca attirò la mia attenzione, così lasciai andare il libro sulle mie ginocchia e portai fuori il telefono; Slash mi stava chiamando.
Sorrisi, piacevolmente sorpreso: era da measi che non lo sentivo, non aveva più risposto ai miei messaggi né tantomeno mi aveva chiamato. L’unica informazione che mi aveva dato era che il nostro progetto sarebbe continuato nonostante la reunion con i Guns N’ Roses, il che mi aveva rassicurato parecchio.
Non ce l’avevo con lui dopotutto, sapevo com’era fatto e a volte si rinchiudeva nel suo mondo o si lasciava assorbire dai suoi impegni; non aveva deciso di ignorarmi, non l’aveva fatto intenzionalmente.
“Pronto?” risposi.
“Ehi Myles, come stai?” mi domandò lui col suo solito tono calmo, che però tradiva un certo entusiasmo. Un po’ mi era mancato, dovevo ammetterlo.
“Slash! Io tutto bene, piuttosto… tu? Era da un po’ che non ti facevi sentire!”
Lui ridacchiò. “Eh, lo so, è stato un periodo molto intenso. Noi dei Guns eravamo un po’ arrugginiti, ti lascio solo immaginare quanto abbiamo dovuto provare per rimetterci in carreggiata.”
“Spero di riuscire a esserci almeno per una vostra data” ammisi, sebbene sapessi che sarebbe stato difficile incastrare quell’impegno con il lavoro degli Alter Bridge.
“A me farebbe molto piacere, puoi anche portare i tuoi ragazzi e ne potrebbe uscire una serata carina! Comunque… stai lavorando a qualche nuovo brano? Perché io ho già un po’ di materiale pronto.”
Mi illuminai. “Stai dicendo che dopo il tour con i Guns hai intenzione di fare un nuovo album solista?”
Slash rise, probabilmente divertito dal mio grande entusiasmo. “Dipende anche da te e dai tuoi impegni, non posso mica creare un album senza il mio cantante! Sto solo dicendo che ho del materiale su cui potremmo lavorare, poi se vediamo che funziona potremmo mettere insieme un album.”
“Okay, manda tutto, sono curioso!” tagliai corto, già pronto a mettermi al lavoro.
“Per caso stavi aspettando questa chiamata con ansia?”
Quella domanda mi lasciò un attimo perplesso. “Perché me lo chiedi?” feci con una mezza risata nella voce.
“Sei scattato come una molla appena ti ho comunicato le mie intenzioni!”
Entrambi scoppiammo a ridere.
“È vero,” convenni, “ed è vero anche che aspettavo questa chiamata, volevo capire se fossi ancora vivo e tutto intero!”
“Ma figurati, sono sopravvissuto praticamente a qualunque cosa! Comunque grazie per la preoccupazione e per aver deciso di collaborare con me nonostante la mia incostanza.”
Sorrisi. “Ognuno ha i suoi difetti.”
Dopo un breve scambio di battute, misi giù con un grande sorriso sulle labbra. Ora anche quella questione in sospeso si era risolta e avevo tante nuove bozze su cui lavorare.
Era una bella giornata.
 
 
♫ ♫ ♫
 
 
In fondo era così che doveva andare, avrei dovuto capirlo fin dall’inizio.
Io e Myles saremmo sempre stati amici, migliori amici, ma nulla di più. Era una consapevolezza che avevo maturato durante il tour con i Guns N’ Roses e, in fin dei conti, non me ne dispiacevo poi tanto. Certo, avere Myles al mio fianco e nascondere ciò che provavo non sarebbe stato facile, ma ce la potevo fare. Avevo la musica – il mio più grande amore –, gli amici… e il tempo avrebbe curato le mie ferite.
Ero sempre stato fin troppo sensibile e questa mia caratteristica mi aveva portato tante volte a sbagliare, ma in quel momento, all’età di cinquantatré anni, mi sentivo abbastanza forte da tener testa ai miei demoni.
“Sai, c’è un posto qui in Italia che mi piace particolarmente, forse ne hai sentito parlare” disse Myles mentre, appena scesi dal palco, tamponavamo il nostro viso e i nostri capelli zuppi di sudore con degli asciugamani.
Ci pensai su un attimo e gli lanciai un’occhiata. “Penso me ne avessi parlato tu stesso, ma adesso non mi viene in mente.”
“Il lago di Como” spiegò.
Mi illuminai. “Ah, sì! Quello dove hanno ambientato quel classico della letteratura, come si chiama? Quello con il tizio e la tizia che non riuscivano a sposarsi, ho visto il film qualche anno fa…”
Myles scoppiò a ridere. “I Promessi Sposi!”
“Ah, ecco!”
“Ci sei mai stato?”
Scossi la testa. “Non conosco molto bene l’Italia.”
“Domani, dato che non dobbiamo partire subito, ci potremmo fare un salto!” propose, raggiante.
“Sei fuori, Myles? Hai un giorno libero e non ti riposi?” intervenne Frank, il nostro secondo chitarrista, con fare stranito.
“Invece è una bella proposta” lo contraddisse Todd, che infatti era profondamente interessato alla nostra conversazione.
“Anche a me, mi piacerebbe andarci” ammisi con sincerità.
“Todd, tu non sei stato invitato” precisò Myles in tono scherzoso. “Io stavo parlando solo con Slash!”
Il bassista incrociò le braccia al petto e assunse un’aria teatralmente minacciosa. “Bene, grazie, me ne ricorderò. Non fa nulla, starò in albergo a dormire!”
“Veramente qui il capo sono io!” feci notare con una risata.
“Ma l’idea di andare al lago è stata mia!” si oppose Myles in tono scherzoso.
“Ma il lago non è tuo!” gracchiò Todd.
Frank intanto ci osservava confuso, o forse era soltanto stanco.
“Cosa mi sono perso?” si intromise Brent, raggiungendoci con diverse bottiglie di birra fresca tra le mani, per poi distribuirne una a ciascuno.
“Stanno organizzando una gita per domani” spiegò il chitarrista.
“Davvero? Quanto si paga per partecipare?” scherzò il batterista.
“Nulla di che, devi solo donare un organo” ironizzò Myles.
“Allora, io ci andrò a una sola condizione: dobbiamo trovare un punto non troppo affollato, altrimenti rischio di essere riconosciuto e avere un’orda di fan alle calcagna” dissi, facendomi serio.
Myles mi sorrise dolcemente. “Ovvio! Vedrai, ti piacerà!”
Ricambiai il sorriso e non potei fare a meno di pensare che Myles era un raggio di sole nella mia vita.
“Fuori ci sono due gradi, non ci sarà nessuno al lago” commentò Brent.
“Ma quindi voi venite o no?” mi rivolsi agli altri musicisti.
Frank scosse la testa, mentre Todd esclamò: “Ma certo!”.
“Se mi sveglio, sì” borbottò Brent.
“Oh, ma piantala di fare l’orso, sei in Italia e vuoi rimanere in albergo a dormire?” lo apostrofò il bassista, lanciandogli un’occhiataccia.
“Io so solo che voglio dormire, a prescindere dal luogo in cui mi trovo” rispose l’altro con un’alzata di spalle.
Così i due cominciarono a battibeccare e punzecchiarsi come al solito.
 
 
The mask you wear is only your disguise
To hide the tears that fall inside
 
Quel giorno mi ero svegliato con quei due versi in testa, facenti parte di una delle ballad del nostro nuovo album, ovvero The Great Pretender. Non era la prima volta che quel brano mi rimaneva in testa, non appena avevo composto la melodia portante mi ero reso conto di quanto fosse fottutamente geniale e quanto funzionasse… ma quel giorno fu proprio quella frase a imprimersi nei miei pensieri.
Quando Myles me l’aveva fatta leggere, ne ero rimasto subito colpito e mi ci ero rispecchiato, anche se avevo evitato di farglielo sapere. Era proprio così che mi sentivo quando pensavo alla situazione tra me e lui: ogni giorno, che ci ritrovassimo in studio o in tour, ero costretto a indossare una maschera per apparire sempre tranquillo. Già, ma in realtà era una farsa, perché era difficile controllare le emozioni quando posavo il mio sguardo su Myles.
Se solo avesse saputo quanta sofferenza si nascondeva dietro il mio atteggiamento assorto e taciturno. Lui pensava che fossi fatto così, che non ci fosse da preoccuparsi, e in parte aveva ragione.
La nebbia, che ci aveva accompagnato per tutto il viaggio e che ancora non aveva deciso di dissiparsi sotto il tiepido sole, mi portava a formulare questi tristi pensieri, mentre perdevo lo sguardo sulla superficie del lago ovattata dalla foschia. C’era una calma surreale in quel luogo, il silenzio era interrotto solo dalle risate di Myles, Brent e Todd alle mie spalle e un’impercettibile brezza fredda s’infiltrava sotto la mia giacca pesante.
Myles era così allegro, così ignaro di tutto. Ormai mi ero arreso all’idea che non avrebbe mai saputo dei miei sentimenti, ma a volte – come quel giorno – mi sentivo in colpa per quanto spudoratamente gli mentissi. Mi sentivo proprio un great pretender, un grande impostore. Però alcune bugie, se vengono raccontate a fin di bene, possono essere perdonate, no?
“Ehi.” La voce di Myles alle mie spalle precedette il tocco leggero della sua mano sul mio braccio. La cosa non mi sorprese, mi ero già reso conto di avere qualcuno accanto.
“Ehi” risposi in tono piatto.
“Tutto bene? Questo posto è un paradiso, non trovi?”
Decisi di ignorare la prima domanda. “È bellissimo, hai ragione, mi mette voglia di suonare e comporre.”
Myles mosse qualche passo in avanti, poi si voltò per sbirciare la mia espressione. “C’è qualcosa che non va” sentenziò.
Mi sorpresi di quanto fosse capace di leggermi dentro, come solo i miei migliori amici riuscivano a fare. Comunque negai tutto: “No, è tutto okay”.
“Pensi di prendermi per il culo? Ti conosco. Non insisterò per sapere a cosa pensi, però voglio almeno sapere che posso fare per tirarti su di morale.”
Sorrisi appena. “Ti ho detto che sto bene!”
“Ma tu dici sempre il contrario di quello che pensi.”
Mi imbronciai. “Non è vero.”
“Comunque… mi dispiace che tu sia di malumore proprio oggi, che ci troviamo nel mio luogo d’Italia preferito. Se parlarne ti può aiutare, io sono qui” si offrì in tono apprensivo e sincero, e dai suoi occhi celesti traspariva una dolce preoccupazione.
Myles era sempre in grado di strapparmi il cuore dal petto e farlo sciogliere. Sorrisi e, preso da un impulso irrefrenabile, mi lasciai andare a un piccolo gesto d’affetto: fingendomi affascinato dagli anelli che indossava, gli afferrai una mano. “Oddio, che figo questo con il serpente! È nuovo?”
Lui annuì, per niente a disagio; ormai conosceva il mio modo di agire e non si poneva troppe domande.
“In realtà ce l’ho già da un po’, ma non lo uso spesso perché ho paura di perderlo o rovinarlo” spiegò.
Feci scorrere l’indice sull’incisione del gioiello, che ritraeva appunto un bellissimo serpente, e senza sollevare lo sguardo cominciai a parlare. “Sai, ci sono giorni in cui penso di essere finalmente arrivato a un punto stabile della mia vita, in cui mi sento a posto e felice… e altri in cui invece sto da schifo, mi sembra di non aver combinato nulla di buono, forse perché sono un insoddisfatto cronico. I guai più grandi li combino con le persone che mi stanno attorno: ho un sacco di cose per la testa e per il cuore, ma non vengono mai fuori e chi mi circonda non riesce a decifrarmi, perché non mi faccio decifrare. Sono… a volte mi sento un po’… patetico.”
Erano rari i momenti in cui riuscivo ad aprirmi così, a portar fuori le mie debolezze. Forse quelle parole non avrebbero spiegato a Myles per filo e per segno la mia situazione, ma era una chiave per comprendere almeno il mio stato d’animo.
Il mio amico sospirò; sentivo il suo sguardo addosso, anche se io non avevo il coraggio di sollevare il mio. Ancora gli stavo stringendo la mano – un fatto che per lui poteva sembrare involontario, ma che io avevo programmato.
“Penso che tutti si sentano così ogni tanto, me compreso. Siamo esseri umani, abbiamo paura di sbagliare e per questo siamo insicuri. Ancora di più se si è una leggenda – tu sei finito per diventarlo, anche per le persone che ti stanno accanto – e la gente si aspetta grandi cose. Ma non farti rapire il cervello da queste stronzate perché non ne hai bisogno, hai un grande cuore e, se hai il coraggio di seguirlo, lui non ti tradirà mai. E sei circondato da tante persone che ti vogliono bene, in primis noi della band, ed è così anche se a volte diventi asociale o se rompi le palle perché pensi di avere sempre ragione o perché vuoi fare le cose come dici tu.” Nell’ultima parte del discorso, la voce di Myles era passata da seria a scherzosa.
Adoravo anche questo di lui: non aveva peli sulla lingua, né quando si parlava di emozioni serie e sentimenti, né quando c’era da evidenziare qualche difetto. Era completamente genuino.
Con il sorriso sulle labbra e la commozione a scaldarmi il cuore, non potei fare a meno di trascinarlo più vicino a me e stringerlo in un abbraccio. Lui lo ricambiò subito, con affetto, senza alcuna esitazione.
“Grazie” mormorai. Stavo da dio tra le sue braccia e sì, stavolta ne ero certo: quello mi sarebbe bastato. Perché Myles mi voleva davvero bene e mi sarebbe stato sempre accanto.
“Foto!” strillò Todd a pochi centimetri da noi, distruggendo quel momento idilliaco.
L’avrei volentieri affogato.
Io e Myles sciogliemmo l’abbraccio e lo guardammo confusi.
“Facciamoci un selfie, tutti e quattro insieme, con il lago alle nostre spalle!” propose il bassista con entusiasmo.
“Non ci stiamo, e se ci stessimo non si vedrebbe il lago” commentai.
“Invece sì, perché qualche minuto fa è passato un venditore ambulante e ho comprato questo” intervenne Brent, comparendo alle spalle di Todd e mostrandoci fieramente un bastone per i selfie.
Myles scoppiò a ridere. “E va bene, che foto sia! Slash con i suoi Conspirators!”
“Che sempre cospirano alle mie spalle!” aggiunsi con una risata.
Brent montò il suo cellulare su quell’aggeggio infernale di forma allungata e ci mettemmo in posa per la foto; il batterista si trovava alla mia destra, mentre Myles era appollaiato contro di me alla sinistra. Circondai le spalle a entrambi, ma rafforzai la stretta su quelle del cantante in modo da averlo più vicino. Lui rideva e scambiava battute con gli altri, ignaro di tutto, mentre io lasciavo che quel contatto lenisse la mia anima.
“Slash, cazzo, sorridi! Sembri di ritorno da un funerale!” sbottò Todd.
“O ti devo fare il solletico?” aggiunse Myles.
Stavo per accettare di buon grado, ma alla sola idea mi lasciai scappare una risata. “E va bene, sorrido, ma solo per omologarmi a voi, gente poco seria!”
“Adesso dite Como” ci incitò Brent.
La foto venne bene e io avevo un bel sorriso, molto naturale. Sì, perché in quel momento, con una serie di date ad attendermi, circondato da degli amici veri e con l’uomo che amavo stretto a me, avevo un buon motivo per sorridere.
 
 
 
 

 
 
E siamo giunti alla fine di quest’avventura! Lo so, lo so: molti di voi mi vorranno picchiare perché la storia non è finita bene e la Mylash non si è concretizzata, ma cercate di capire, quando ho concepito questa storia ho subito pensato che dovesse finire così, nella mia mente non c’erano alternative – anche perché nella mia mente Myles non ricambia i sentimenti di Slash, se avessi fatto che il chitarrista gli confessava i suoi sentimenti sarebbe stata una depressione, invece ho optato per un finale volutamente aperto, né tutto bianco e né tutto nero.
Ma non disperate! Per gli shipper della Mylash ho in serbo una piccola sorpresa che arriverà martedì prossimo, non vi anticipo niente ma… è qualcosa di profondamente collegato a questa piccola long ^^
Per quanto riguarda gli eventi narrati qui… per chi non lo sapesse, è vero che Myles, Slash e i Conspirators sono tornati a lavorare insieme una volta terminato il tour dei Guns N’ Roses, e hanno sfornato un nuovo figlioletto, Living The Dream – album che dà il titolo alla storia. Ed è proprio da qui che ho estratto il brano di cui parlo in questo capitolo, The Great Pretender. A voi il link per chi non la conoscesse:
https://www.youtube.com/watch?v=j8sp0oaYAxc
L’ultima scena è ambientata in Italia, proprio in corrispondenza del concerto che si è tenuto al Fabrique di Milano l’8 marzo di quest’anno, che ho seguito in diretta su Virgin Radio e che mi ha rubato il cuore. Tutto è cominciato da lì per me e mi sembrava carino finisse lì, durante quei giorni ^^
Poi… ho letto in un’intervista che il luogo dell’Italia preferito da Myles è il lago di Como (ma non penso abbia mai visitato l’Italia da cima a fondo, perché tra i posti del nostro Paese è davvero impossibile scegliere) e quindi mi sembrava carino che ci portasse i suoi compagni di band! Ho adorato scrivere questa scena ^^
Vi lascio a una foto di Slash, Myles, Frank, Brent e Todd, perché questi cinque sono davvero adorabili e mi va di
inserirli u.u

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Infine ci tengo a fare un ringraziamento speciale ai miei fantastici lettori, che mi hanno seguito in questa pazza idea in questo fandom così bizzarro! Kim 
WinterNight, alessandroago_94 e sheswanderlust, senza di voi non sarebbe stato lo stesso!!! :3
Alla prossima e… tenete d’occhio la categoria ;)
 
 
   
 
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