❝
Lo sclero di
ℰver❞
CAPITOLO
III
I ricordi
che ho di te
|
È Makoto a dare il via a quella competizione. Una
competizione che, agli occhi di chi guarda, sembra una sfida destinata
a rimanere aperta; sebbene la gambata del rosso sia più
potente, le bracciate che spingono il corvino a stargli dietro sono
decisamente più poderose.
Mizuko sa che, nonostante siano solo cento metri, quella è a
tutti gli effetti una gara di resistenza: il primo che rinuncia alla
bracciata decisiva, perde.
Rimane con gli occhi sbarrati a fissare la curva longilinea dello
squalo, colpita dal suo modo violento di nuotare. Le sembra subito che
l’acqua attorno a lui si sposti da sola, per paura
d’essere picchiata. Non riesce ad essere sorpresa come i due
compagni che le stanno a fianco; lei può vederla,
l’acqua, può sentire cosa prova: Haruka
l’accarezza dolcemente, perfino a quella velocità
non vuole arrecarle nessun tipo di danno; è accorto, attento
e magnificamente in armonia con il suo elemento.
«Incredibile, Haru è davvero
bravissimo!» esclama Makoto, mentre una goccia di sudore gli
scivola lungo la tempia.
«È vero.» Nagisa si sporge in avanti per
osservare meglio i due rivali. «Ha perso terreno ad ogni
virata, ma l’ha quasi raggiunto!»
Lei rimane zitta, rapita dall’espressione decisa del libero;
per qualche istante si sente mancare l’aria nei polmoni,
desiderando anche lei di tuffarsi in quella vastità e
dimenticare tutto, la sua paura di non essere all’altezza, le
selezioni, le mezze verità dette a chi di lei si fida
ciecamente, l’incapacità di ricordarsi la gaiezza
che le procura l’acqua, ogni volta accogliendola con
ciò che ha sempre ritenuto essere due confortanti braccia.
«Vai, Nanase-kun!» grida, facendo sobbalzare gli
altri due.
Non le importa. Non le importa se appare strana, non le importa se gli
reca fastidio incitandolo. Vuole trovare anche lei
quell’inconscia forza di superare il grande muro che le
sormonta l’anima, perché è troppo alto
e da lì non riesce a vederlo,
il grande oceano delle sue emozioni.
Rin stringe i denti, infastidito da quell’incitamento non
richiesto. Si domanda ancora chi diavolo sia quella ragazzina tutta
pelle e ossa, mentre la virata lo porta nuovamente in vantaggio
rispetto al delfino. Si dice che questa volta potrebbe davvero vincere,
se rimane concentrato. Eppure…
«Vai, vai!»
Che cazzo ha da strillare!?
Sente il sangue pulsargli più del dovuto lungo la tempia
sinistra; comprende subito come non sia dovuto allo sforzo fisico, ma
alla voce della ragazza, divenuta quasi isterica per
l’entusiasmo. Tappati
quella bocca, mocciosa.
S’accorge che il rivale ha perso un po’ di
velocità, ma non se ne spiega il motivo. Di colpo, la sua
potenziale vittoria gli sembra inutile con il suo avversario in quelle
condizioni.
Haruka è lontano da tutti quei pensieri. Mentre nuota, sente
improvvisamente giungere all’orecchio la voce di lei, come
l’eco di un ricordo lontano e che risorge dal fondo della
piscina.
˪ È lei. La sente, lo sta chiamando. «Nanase-kun!
Nanase-kun!»
Si sente un attimo imbarazzato, mentre con l’ennesima
bracciata sorpassa l’ultimo bambino accanto alla sua corsia,
toccando per primo la parete della vasca. La ragazza grida di gioia e
lo raggiunge al suo blocco, spintonando per sbaglio l’amico
ch’è solito afferrargli la mano.
«Mizuko» la rimprovera docilmente Makoto,
afferrandola per un braccio per evitare che cada in piscina.
«Stai attenta, quando cammini. Qui si scivola.»
Haru sposta di lato lo sguardo, indispettito dal contatto tra i due.
«Ohi» chiama infine, puntando gli occhi sulla
figura gracilina della bambina. «Non gridare in questo modo.
È solo un allenamento.»
Lei si sporge dal bordo vasca, avvicinando il volto al suo. Il giovane
delfino si allontana di qualche centimetro, mentre le guance gli si
colorano di rosso. «C-che fai?»
Gli sorride, chiudendo gli occhi. «È che quando
nuoti sei davvero bellissimo, Nanase-kun.»
Per un brevissimo istante, le iridi azzurre del corvino tremano al
sentirle pronunciare quelle parole; sente le orecchie ancora tappate
dall’intermittente apnea della gara, ma la voce squillante di
Mizuko non ha bisogno di un udito che senta, ma di un cuore che
l’ascolti.
Fatto savio di questa verità, Haruka la fissa per la prima
volta, rendendosi conto di quanto gli piaccia che lei lo inciti a quel
modo, che lo sostenga e sia sempre lì ad attenderlo ai
blocchi di partenza.
Guardami, vorrebbe dirle. Non smettere mai di
guardarmi, Mizuko. ˥
Adesso la ricorda, quella sensazione. Capisce quello che stava
cercando, perché gli torna tutto alla mente: non ha bisogno
delle altre persone, fino a quando riesce a stare da solo con
l’acqua. Però, quella voce… quella voce
non avrebbe mai potuto dimenticarla.
Era lei,
nei suoi ricordi. Lo è sempre stata.
Tocca per secondo la parete della piscina; quando si toglie la cuffia e
gli occhialini, una strana felicità prende possesso di ogni
suo muscolo, mentre la vede correre verso di lui, seguita dagli altri.
Rimane fermo, con la testa tutta gocciolante, speranzoso che lei gli
dica qualcosa. Quando la vede accovacciarsi accanto a lui, il delfino
sta ancora ansimando per il colossale sforzo di raggiungere il rivale.
«Ne, Nanase-kun» lo chiama, con il sorriso
più bello che le abbia mai visto dipinto addosso.
«Sei ancora bellissimo quando nuoti, lo sai?»
Rin rimane impietrito a fissare l’avversario che le sorride.
Per un istante, tutta la grinta che sente straripargli addosso per la
vittoria si placa. Haru non sembra affatto dispiaciuto di aver perso,
al contrario: s’è accorto di come la guarda.
Eppure, non ricorda di aver mai sentito parlare di quella ragazza. Mai.
Neanche una volta.
Fissa cogitabondo la giovane, incapace di distogliere lo sguardo dai
suoi occhi. Si sorprende di come uno dei due assomigli tanto ai suoi;
è rosso, ma di quel corallo delicato e dai tratti leggeri.
Si sente smarrito al solo guardarla ed una rabbia cieca prende possesso
di ogni suo nervo quando vede il vecchio compagno voltarsi verso di
lui; reca sul volto un insolito sorriso.
«Hai vinto» gli dice solamente. «Bravo,
Rin.»
«Bravo?» ripete, sputando via tutto il rancore che
nutre per il delfino. Lo afferra per gli occhialini che gli cingono il
collo, avvicinandolo a sé. Se potesse, gli tirerebbe
volentieri un pugno.
«Ehi, tu!» sente infine sbraitare dalla stessa voce
isterica che ha sentito prima. «Lascialo in pace, che diavolo
vuoi?»
Si volta indispettito a cercare lo sguardo di lei. È chiaro
che non capisca cosa significhi rimanere al proprio posto in momenti
come questo.
«Chiunque tu sia, mocciosa…»
sta per replicare, ma le parole gli muoiono in gola.
Qualcuno ha appena aperto la porta della piscina.
«Perfetto» la sente mormorare. «Ora
sì che siamo fregati.»
⚘
Sente il telefono vibrare per l’ennesima volta; è
inutile cercare di dormire, quando sua sorella si ostina a mandargli
messaggi. Sbuffa incazzato, afferrandolo di malavoglia e leggendo
accigliato il contenuto dell’ultima mail.
Da: Gou Matsuoka
A: Rin Matsuoka
Sei andato da Nanase e
gli altri?
«’Fanculo» sbraita, lanciando via il
dispositivo elettronico.
Poggia la testa sulle braccia muscolose, socchiudendo lo sguardo;
è stanco e arrabbiato, ma non per il messaggio. È
incapace di pensare ad altro che non sia la vittoria rubata di quella
sera, lo sguardo luminoso del rivale mentre raggiungeva il blocco di
partenza. Perché non era arrabbiato, perché gli
ha sorriso?
I pensieri confusi lo spingono a cercare una risposta che forse non
riesce ancora a darsi, fino a quando distrattamente focalizza
l’attenzione sul nitido ricordo dello sguardo più
insolito che ha visto quella sera: è certo di non averla mai
incontrata prima, eppure sembrava intima con il resto dei suoi vecchi
compagni. Ripensa confuso allo sguardo dell’avversario quando
l’ha vista correre verso i blocchi di partenza.
Non ricorda di averlo mai visto sorridere a quel modo, prima. Non
avrebbe mai creduto, in passato, che una mocciosa del genere potesse
scuotere l’animo imperturbabile di uno come Haruka. Se ben
presta attenzione a ciò che ha osservato, ricorda
perfettamente di averli visti vicini quando ha aperto la porta.
È impossibile,
si dice, sfociando in pensieri totalmente incompatibili con
ciò che conosce dell’ex compagno. Non è proprio il suo
tipo.
Vinto dalla curiosità e dalla rabbia per non essere riuscito
ad andare avanti, afferra lo smartphone. Prende un profondo respiro,
mentre pigia coi pollici sulla tastiera del touchscreen.
Da: Rin Matsuoka
A: Gou Matsuoka
Chi diavolo
è quella ragazzina?
Non vuole rispondere alla precedente domanda postagli dalla
consanguinea, ma sa per certo che lei risponderà alla sua.
In fondo, è solo una sorella che ricerca l’affetto
del fratello maggiore, troppo cambiato per essere ancora un buon
esempio da seguire.
Rimane in attesa di un chiarimento, mentre la sua mente si rifiuta di
lasciar andare lo sguardo conosciuto quella sera, la voce squillante e
quell’aria trasognante che sembravano esser frutto della sua
immaginazione, se non fosse che quella ragazza lui l'ha vista davvero.
E, con lei, ha visto Haru cambiare, divenendo una persona a lui del
tutto sconosciuta.
Il telefono vibra, risvegliandolo dai pensieri; s’affretta ad
afferrarlo, mentre cerca di concentrarsi.
Da: Gou Matsuoka
A: Rin Matsuoka
Non so di chi tu stia
parlando, ma credo si tratti di una ragazza che andava con loro
all’Iwatobi Swimming Club prima del tuo arrivo.
Credo si chiamasse
Mizuko o qualcosa del genere, non ricordo bene.
Ricorda che Makoto l’ha chiamata proprio con quel nome, per
cui è certo che debba essere lei.
Una ragazza
dell’Iwatobi SC? Si ritrova a pensare, non
riuscendo a focalizzare il suo viso in nessun ricordo tangibile. Lo
innervosisce il pensiero che gli altri potessero aver avuto una vita
prima del suo arrivo e non si spiega la strana sensazione che gli
stringe il petto, mentre con lo sguardo vaga lungo le doghe del letto a
castello, ingelosito dal fatto che l’ignaro compagno di
stanza riesca a trovare il sonno molto più facilmente di
quanto non faccia lui.
Un’improvvisa curiosità l’assale: se
è andata via dal circolo, vuol dire che è partita
da qualche parte. E dove? E, soprattutto, perché
è tornata?
Sa perfettamente che non ha il diritto di farsi simili domande; in
fondo, la vita privata di una ragazza che ha visto di sfuggita non
è certo materia che possa interessargli, ma non riesce a
togliersi dalla testa lo sguardo di Haruka mentre la guarda.
Si convince che persino la sua immeritata vittoria abbia a che fare con
lei e non ha alcuna intenzione di continuare a tormentarsi con domande
a cui non può trovare una risposta. Si alza, facendo
attenzione a non svegliare il compagno: a volte, su un letto a
castello, dormire sotto non è poi così male.
S’avvia circospetto lungo il perimetro della Samezuka, con le
mani nelle tasche della felpa e lo sguardo fisso dinnanzi a
sé, preda della voglia di sapere chi diavolo sia quella
mocciosa e il perché stava con loro.
Magari l’hanno vista di sfuggita. Certo, Rin, come no.
Si dà mentalmente dello stupido, crollando sfinito su di una
panchina lì vicino. Lascia andare la testa
all’indietro, venendo colpito dal bel cielo stellato di
quella notte. Si chiede come mai tutti siano riusciti ad andare avanti
tranne lui.
Quel malessere che sente montargli addosso gli fa rabbia,
perché è la prova di quanto lui sia infinitamente
più debole rispetto agli altri. Rispetto ad Haruka, che
sembrava completamente diverso dal ragazzino apatico conosciuto cinque
anni prima.
Scatta a sedersi composto, come scottato dal pensiero appena avuto: se
era nel club di nuoto, allora anche lei nuota.
Allora, forse…
˪ Il rosso scruta attentamente l’armadietto accanto
all’amico. Incuriosito, sfiora con la punta delle dita la
piccola antina in acciaio, ma quando cerca di aprirla, la rigida manata
del corvino richiude il piccolo spiraglio che Rin era riuscito ad
aprire.
Sbuffa, innervosito. «Ohi, Haru!»
Il giovane delfino non ha voglia di rispondergli, gliel’ha
già ribadito molte volte: quell’armadietto non
deve essere toccato.
«Haru!» insiste a chiamarlo il rosso, gonfiando le
guance per il disappunto. «Ma perché non posso
aprirlo?»
«Perché non è il tuo.» Lo
sguardo blu minaccia di divenire presto un mare in tempesta.
Il piccolo squalo si sorprende ogni volta; non vi è cosa che
faccia infuriare quell’apatico bambino, ma quando qualcuno
sfiora – anche solo per sbaglio –
quell’armadietto, i suoi occhi s’incupiscono al
punto tale da far desistere chiunque dall’intento di aprirlo.
Rin osserva di sbieco le iniziali sbiadite sul piccolo cartello
dell’antina: M. H.
Si volta verso il bambino. «Non ho mai visto nessuno aprirlo,
da quando sono qui. Dì un po’, non è
che lo conosci, questo M.H.?»
Vede quello sguardo blu tremare leggermente al suono di quella domanda.
Si chiede se non abbia esagerato con la sua continua invadenza, ma
l’intervento repentino di Makoto distoglie entrambi dalla
conversazione.
«Rin» lo chiama, col suo solito sorriso.
«È una storia vecchia, non
dovresti…»
«Non è una storia vecchia.» La voce del
bruno è incrinata, ma non per il pianto. Quella è
rabbia. «Non ha mai detto che non sarebbe tornata.»
«Haru» cerca di consolarlo l’amico
più caro, ma il rosso si stupisce di come il delfino
respinga il suo aiuto.
«Non ti riguarda!» sbraita, prima di correre via
dalla stanza.
Rin fissa Makoto, spaesato. L’orca non ha voglia
d’incrociare altri sguardi, per quella giornata.
«Perché Haru è così
affezionato a quell’armadietto?» chiede infine,
sulla strada per tornare a casa.
«Apparteneva ad una persona speciale.» Non ha
voglia di aggiungere altro, questo Rin lo comprende facilmente, ma non
riesce proprio a trattenersi.
«A chi?»
«Una bambina.»
«EH?!»
Vede comparire sul viso dell’amico l’impronta di un
nostalgico sorriso. «Voleva avere l’armadietto
accanto a quello di Haru.»
«U-una femmina?!» domanda Rin, in preda al panico.
«Nello spogliatoio maschile?»
Makoto fa spallucce. «Lei ed Haru erano sempre gli ultimi ad
uscire dalla piscina. Il coach Sasabe ha pensato che non vi fosse nulla
di male, dopotutto.»
Il castano ha compreso male, non è per quello che il rosso
è così sconvolto. È semplicemente
l’idea d’immaginare Haruka, che già di
suo non esterna alcun tipo di emozione, affezionato ad una bambina.
Congettura subito su come possa essere: bionda, castana, bruna? Alta,
bassa? Robusta, gracile?
Fatica a immaginarla. E chissà che occhi deve avere, magari
azzurri oppure verdi. Gli piacerebbe che fosse bruna con gli occhi di
smeraldo, come il suo amico Sosuke. Però non riesce proprio
a fantasticarla robusta, immagina possa trattarsi di quelle graziose
bimbe che però non hanno un filo di muscolo oltre ai
tendini.
Il suo entusiasmo straripa facilmente a sorprendere l’amico
che gli sta accanto. Non vede l’ora di vederla.
«Quando torna?»
Lo sguardo smeraldino si rabbuia, distogliendosi dagli occhi cremisi
pieni d’energia dello squalo.
«Non credo tornerà mai» mormora, rivolto
al mare. Se potesse andrebbe lui stesso a cercarla, sperando di
ritrovare quella parte di Haru che è partita con lei.
Rin se ne sta zitto, mentre osserva le iridi spente di Makoto
illuminarsi debolmente di una pallida luce.
«È un peccato che tu non possa
conoscerla» dice infine l’orca, tornando a
sorridere. «Lei era davvero speciale.»
«Ah?» Il rosso è confuso, ma non ha
voglia d’interrompere l’amico. Per qualche motivo,
gli sembra che non sia Haru il solo ad essere rimasto ferito.
«Makoto» lo chiama infine, arrestando il passo.
«Non è che…»
«Come ho detto prima» lo interrompe
l’orca, dandogli le spalle. «È una
storia chiusa, ormai.»
Il rosso rimane a fissare inebetito la schiena del dorsista, pensando a
quanto dolore debba ancora celarsi in quella faccenda per ferire
così i suoi amici. Per un istante sente di odiarla, quella
bambina. Anche se non la conosce. Anche se non l’ha mai vista.
E nonostante tutto, Haru la sta ancora aspettando, non comprendendo il
perché l’abbia abbandonato.
Lui si dice che non l’avrebbe mai fatto.
Non li avrebbe mai abbandonati. ˥
La sorte è davvero ironica, o almeno è quello che
pensa ora, mentre la sua colpa sfocia a lacerargli il cuore: lui ha
fatto peggio, perché non solo li ha lasciati, ma adesso
è anche il rivale peggiore che Haru potesse trovare.
È arrabbiato, incattivito dalla sua incapacità di
superare un muro per lui troppo alto, e tuttavia gli fa ridere
l’idea che se lo sia costruito da solo, mattone dopo mattone,
ostacolo dopo ostacolo, senza più essere in grado di capire
perché l’ha fatto. Ha davvero il diritto di
giudicare qualcun altro, proprio lui che ha deciso di andarsene per
realizzare il suo sogno senza curarsi di ciò che si lasciava
alle spalle? Una domanda del genere non se la sarebbe mai posta prima,
ma ora è diverso. Lui è tornato.
E forse ha davvero sperato di vedere il fallimento anche negli altri,
per convincersi di non essere stato il solo a non aver raggiunto il suo
sogno. Si sarebbe sentito meglio, se avesse visto Haruka ridotto alla
sua stessa maniera; sa di essere un egoista, ma non può fare
a meno di pensare che, se lei non ci fosse stata, magari il rivale si
sarebbe davvero sentito come lui adesso.
«Dannazione!» sbraita, sbattendo violentemente un
pugno contro un tronco lì vicino. Si lascia cadere in
ginocchio accanto all’albero, affaticato dai troppi pensieri
e dalle poche ore di sonno.
Tra qualche ora sarebbe sorta l’alba. Peccato che lui non
sarebbe stato lì per poterla vedere.
⚘
«Razza d’idioti!»
Beh certo, se lo meritano dopotutto. Rimane in disparte, mentre il
sensei sbraita contro i compagni. «Almeno mostratevi pentiti
per quello che avete fatto!»
«Ci dispiace» rispondono in coro, Nagisa e Makoto
chinando lo sguardo, Haruka con gli occhi ben piantati sulle lenti
inspessite del docente.
«Prima vi intrufolate in un edificio abbandonato, ora nella
piscina di un altro istituto!» continua l’uomo di
mezza età, ignorando le loro scuse. «Diamine. Per
fortuna che hanno deciso di minimizzare l’accaduto e di non
sporgere denuncia.»
Rimane zitta, pensando al perché i suoi amici siano stati
beccati in un edificio abbandonato. Allora forse è divenuta
un’abitudine, trovarsi dove non devono.
È in piedi accanto ad Amakata-sensei; vorrebbe
intervenire nella conversazione, spiegando il tutto e scusandosi anche
lei – in fondo, era lì con loro. Dà
qualche colpetto di tosse per attirare l’attenzione ed
evitare così che il professore possa inveire ancora contro i
suoi amici.
«Sensei.» Sorride imbarazzata, consapevole di
essere dalla parte del torto, ma comunque ostinata nel cercare di
mettere una pezza a colori. «Non deve prendersela solo con
loro. La colpa è anche mia.»
L’uomo la fissa sbalordito, mentre si alza in piedi e le va
incontro, afferrandole le mani con fare protettivo.
«Hoshino-san, la colpa non è tua. Sono loro che ti
hanno sicuramente trascinata in questa situazione. Una ragazza a modo
come te, che viene da un istituto di prestigio
come…»
«V-va bene così professore, è davvero
anche colpa mia!» interviene, senza dargli il tempo di finire
il discorso. Non vuole certo parlarne adesso, di quanto sia una brava
ragazza ed una studentessa diligente.
Alle orecchie dei presenti, tuttavia, risulta evidente come lei tenti
di sviare il discorso. La cosa non va affatto bene, si dice, mentre una
frase fuori luogo di Amakata-sensei riesce in qualche modo a confondere
il docente, che li lascia andare senza ulteriori prediche.
S’incamminano silenziosi lungo i corridoi; spera davvero che
nessuno di loro faccia domande su quanto hanno sentito. Si ricorda di
averne parlato con Nagisa, ma è convinta di non aver
rivelato nulla di compromettente che possa in qualche modo
insospettirlo. Ma, come ben sa, Haruka e Makoto sono un’altra
storia.
Mentre cammina non si accorge di aver distanziato gli altri di qualche
metro; rimane in attesa ad aspettarli. Haruka è il primo a
raggiungerla, mentre gli altri due sono rimasti indietro, catturati
dalla parlantina frenetica di quella ragazzina incontrata qualche
giorno prima sulla collina.
«Andiamo» lo sente dire, mentre l’afferra
per un polso e la invita a camminare insieme a lui.
«Ai»
si limita a rispondere, assecondando la sua andatura svogliata.
Rimangono in silenzio per un po’ di tempo. Per strada, a
quell’ora del pomeriggio, non c’è mai
nessuno. La tranquillità di quel momento della giornata
l’è sempre piaciuta, ma godere di quella pace
insieme al corvino è tutta un’altra storia.
Ora che sono soli vorrebbe fargli tante di quelle domande da stordirlo,
eppure quando finalmente trova la forza per iniziare a parlare, sente
la voce di lui giungerle all’orecchio. «Dove sei
stata?»
È una domanda semplice e precisa, esattamente come quelle
che è solito fare. Ammette d’essersi trovata
spiazzata più di una volta, in passato.
«In Francia.» A domanda diretta, risposta diretta.
«Per fare cosa?»
La brezza fredda le attacca il viso, obbligandola a chiudere gli occhi
per qualche istante. Quando li riapre, Haruka la sta fissando.
«Che c’è?
Ho qualcosa in faccia?»
Il corvino sospira, distogliendo lo sguardo. «Rispondi e
basta.»
«Non che dovessi proprio fare qualcosa» borbotta,
mentre i suoi occhi si puntano a fissare il rosso di un semaforo che
sembra non volerli far passare. «È stata mia
madre. Ha deciso così.»
«E allora perché non mi hai detto che te ne
andavi?» Giurerebbe di vedere un leggero rossore proprio
sotto i suoi occhi mentre le pone quella domanda.
Si sente un po’ a disagio, al pensiero di non riuscire ancora
a dirgli tutto. Però in fondo lui è
Haruka… magari a lui potrebbe dirla, la verità.
Si blocca, puntando i piedi e con la mano ben stretta attorno alla
tracolla che porta ciondolante sulla spalla.
«Perché non lo sapevo.»
Sa che è giusto così, sa che tra tutti lui sia
l’unico che non potrebbe mai giudicarla. Il delfino
è fatto così, quando è con lui sente
di non dover mai dare spiegazioni, nonostante adesso le pretenda. Si
chiede se non abbia sofferto, per non averla più vista.
«Ne, Nanase-kun.» Gli afferra maldestramente un
lembo della giacca, costringendolo a fermarsi. «Hai smesso di
nuotare davvero?»
La terrorizza l’idea che quella voce possa essere fondata. Il
panico che prova all’idea di non poterlo più
vedere nuotare le riempie il cuore di angoscia. Ha lo sguardo chino e
non accenna minimamente a guardarlo: ha improvvisamente paura che quel
silenzio sia un monito per ricordarle di non immischiarsi in affari che
non le riguardano.
Vorrebbe dirgli che va tutto bene, che anche se ha smesso
c’è sempre un buon motivo per ricominciare
– ma certo, lo dice proprio lei che neanche ricorda
perché nuota.
«Io» continua, sapendo che il corvino non le
risponderà. «Io adoro il modo in cui nuoti. Non
sopporterei l’idea che tu… che
tu…»
È così stupida che le viene da piangere. Vorrebbe
continuare a parlargli, ma il groppo in gola non riesce più
a sciogliersi. Sente le labbra tremare ed il cuore mancare il battito
man mano che ripensa a tutto ciò che ha visto la sera
precedente. Non può aver smesso di nuotare. Non lui. Non
Haruka.
Si preme una mano contro la bocca, per evitare che possa sentirla
singhiozzare. Cerca di togliersi una lacrima che le scende lungo la
guancia con la manica della divisa scolastica, ma prima che il tessuto
possa dissipare via quell’improvvisa tristezza, la mano del
delfino è già lì, e con il pollice
asciuga via il piccolo rivoletto che le solca lo zigomo.
Quando alza lo sguardo, le due iridi blu la stanno già
aspettando. Si tuffa sconvolta tra le sue braccia, certa che lui non
sbaglierà la presa.
«Scusa!» strepita infine, lasciandosi andare ad un
pianto liberatorio. «Io non voglio che smetti di nuotare! Non
voglio che lo fai, voglio continuare a vederti, voglio continuare a
gridare il tuo nome, Nanase-kun!»
Haruka rimane assorto ad ascoltare il piagnisteo della ragazza;
è appagato nel vederla finalmente così vicina a
sé, spaventata e tremante, mentre gli sputa addosso tutta la
paura che prova, e l’ansia, e il dolore. Sorride
impercettibilmente, serrando la presa attorno alla sua piccola vita e
posando la testa sulla sua bella chioma bionda.
«Ohi, baka»
le sussurra infine, interrompendo di colpo il fiume in piena dei suoi
discorsi senza senso. «Se continui così, farai
girare tutta Iwatobi.»
Con il volto immerso nel calore del suo petto, Mizuko si guarda intorno
circospetta, poi torna con lo sguardo gonfio e ancora lucido a fissare
quello divertito del delfino. «Bugiardo! Qui non
c’è nessuno!»
Gli occhi di Haruka brillano di un’insolita luce;
è qualcosa che va ben oltre il vacuo senso di
felicità che prova quando è in acqua.
È più profondo e terribilmente più
dolce: è la serenità della normalità,
il sapere che lei è di nuovo lì con lui e che si
comporta esattamente come ha sempre fatto, come la bambina che
è stata, che è ancora.
S’inebria del dolce profumo dei suoi capelli,
tranquillizzandosi all’idea che lei non riesca a vedere
quanto il suo sguardo sia rilassato. «Mizuko.»
«Ai.»
Sorride, con le labbra premute contro la sua pelle morbida.
«Rimani.»
Non gli importa di altro, al momento. Vuole strapparle
l’insana promessa di non andarsene più,
perché gli si squarcia il petto al solo pensiero di perderla
nuovamente. Non vuole, è una cosa a cui non può
sopravvivere.
Rimani con me,
vorrebbe dirle, se ne avesse il coraggio. Rimani per me.
La sente aggrapparsi alla sua camicia, affondando il volto
nell’incavo del suo petto, mentre parte dei capelli dorati
s’intreccia all’ebano dei suoi.
«Non mi lasciare più.» Lo dice con una
tale spontaneità da non riuscire neppure a sorprenderlo. Da
lei se l’aspettava una richiesta assurda come quella.
Trattiene a stento una risata. È inutile. Con lei proprio
non riesce ad essere l’indifferente di sempre.
Dipenderà dal fatto che puntualmente, ogni volta che prova a
trattarla come se fosse una persona qualsiasi, Mizuko se ne esce con
qualche frase assurda e senza senso. Le stesse frasi di tutte le volte,
quelle che l’hanno indissolubilmente legato a lei fin da
quando l’ha vista cadere dal blocco di partenza il primo
giorno che l’ha incontrata.
Lo sa; resistere a quell’emozione, per quanto assurda sia,
è del tutto inutile. Il suo cuore, quando è con
lei, batte più velocemente. Chissà se
riesce a sentirlo in questo momento.
«Perché?» domanda infine, immergendo il
volto nel fitto dei suoi capelli e inspirando tutta l’aria
che riesce a far entrare nei polmoni. «Perché devi
essere così?»
La vede alzare il capo, confusa. «Così
come?»
Haruka sorride, mentre il suo sguardo inizia a tremare, riflesso nelle
iridi cangianti della piccola ragazza che stringe in un abbraccio di
quelli che non vengono definiti tali, ma che celano l’essenza
stessa di un sentimento troppo forte per poterlo esprimere a parole.
Già, così
come? Vi sarebbero una marea di aggettivi che potrebbe
attribuirle, ma in quel momento non gliene viene in mente neanche uno
per poter descrivere ciò che prova.
Forse un giorno la troverà, quella parola che vorrebbe tanto
dirle. Quella parola che la rappresenta, che appena la
pronuncia le viene in mente lei. Chissà se esiste davvero,
una parola simile.
«Vieni a casa mia» le dice infine, privo di malizia.
Gli occhi ancora umidi della giovane sembrano sorridergli e sente il
calore delle sue mani proteggergli il petto dal freddo sempre
più aggressivo. Se potesse concedersi ancora del tempo,
rimarrebbe in quella posizione ancora per un po’, ma a
giudicare dal nasino arrossato di lei il vento è diventato
decisamente troppo turbolento.
«Andiamo?» chiede la compagna, asciugandosi le
ciglia umettate. «Prometto di non piangere
più.»
Haruka le accarezza i capelli, stropicciandoglieli delicatamente.
«T’inventerai un’altra sciocchezza per
potermi abbracciare.»
Mizuko arrossisce di colpo, portandosi una mano a coprirsi le guance.
«N-no, non lo farò! Brutto cattivo!»
sbotta, incalzando il passo e portandosi un po’ distante da
lui.
Il delfino la osserva da lontano, contemplando il bel quadro che vede
dipingersi in ogni istante da quando è tornata. Si sente
bene, nonostante l’ombra di Rin continui a perseguitarlo.
Se sarà brava, forse lei riuscirà a farlo
smettere di scappare.
⚘
Non è felice, Mizuko. Per niente.
O almeno è quello che si dice quando vede apparire
sull’uscio della porta di casa Nanase gli sguardi curiosi dei
compagni, più un paio di occhi cremisi che tanto ricordano
il ragazzo sfacciato della sera precedente.
«Mizu-chan! Ci sei anche tu!» strilla Nagisa
entusiasta, buttandosi tra le sue braccia. Dovrebbe capire di essere
ormai troppo grande per credere che il corpo gracilino della giovane
sia in grado di sostenerlo. «Pensavamo fossi tornata a
casa.»
L’idea era quella,
vorrebbe rispondere, ma si limita a sorridere.
«Sì, beh… Haru mi ha chiesto di
venire.»
Si blocca di colpo; da quando lo chiama Haru? Scuote la testa,
tirandosi tanti piccoli schiaffi sulle guance; mentre Nagisa la fissa
sbigottito, Makoto le si affianca, sfiorandole la testa con la mano.
Conosce la ragazza abbastanza da sapere che non si perdonerebbe mai se
le scappasse un’altra volta di chiamarlo per nome. A volte il
suo essere così rispettosa è quasi troppo formale.
«Dov’è Haru?» le chiede,
ignorando la sua piccola sceneggiata. «Dobbiamo parlargli di
una cosa molto importante.»
Mizuko fa un cenno con la mano. «È a farsi un
bagno.»
E adesso si ritrova incastrata in una situazione terribile, nella quale
i suoi tre amici stanno discutendo animatamente al piano superiore,
mentre lei è vittima del sorrisetto falso della ragazza che
le sta di fronte. No, decisamente non riesce a sopportarla, neppure
quando non parla. È ovvio che sia un’antipatia di
pelle, nonostante ammette di non capire il motivo preciso per cui non
riesce a farsela andare a genio – anche se, ad essere onesta
con se stessa, non ricorda di aver mai avuto delle amiche vere.
Vorrebbe chiederle alcune cose su suo fratello; per esempio,
perché diavolo sia così incazzoso. Si rende conto
che potrebbe tranquillamente mandarla al diavolo, se ponesse la sua
domanda in maniera sbagliata. Non trova una scappatoia e si sente un
po’ in trappola, almeno fino a quando gli altri ragazzi non
fanno capolino dalla porta del corridoio.
Tira un sospiro di sollievo; non dovrà confrontarsi con una
ragazza di cui non vuole sapere niente, e questa è davvero
una cosa fantastica, si dice, mentre continua a fissarla. Lei non
sembra guardarla, ma sembra aver posto l’attenzione su altro.
Si volta a fissare i ragazzi e le parole le muoiono in gola.
«N-Nanase-kun!» sbraita, mentre arrossisce
lievemente. «Ma p-perché sei nudo?»
Il delfino non fa in tempo a rispondere; vede l’attenzione
della ragazza rivolta alla figura che si è voltata di spalle
non appena l’ha visto. Sembra una ragazza della stessa
età di Mizuko, con lunghi capelli rossi avvolti in una folta
coda.
La giovane nuotatrice si chiede subito il perché di tanta
vergogna. In fondo è solo un ragazzo nudo, una cosa normale
da guardare. Per certi aspetti, l’atteggiamento imbarazzato
della ragazza che le sta accanto la indispettisce, cosa che sembra
peggiorare nell’esatto momento in cui la vede portarsi un
indice alla bocca, vittima della perfezione anatomica del corvino che,
incurante di tutto, si sta togliendo l’acqua in eccesso sulle
braccia con un asciugamano.
Potrebbe ammazzarla, si dice. In fondo, è una ragazzina come
tante altre nel mondo. Non importerebbe a nessuno, o almeno si convince
che sia così.
Il suo sguardo oscuro viene colto dal placido Makoto, che le afferra un
braccio, trascinandola al suo fianco.
«Cerca di non ucciderla» le sussurra, facendosi
scappare una risata. «A quanto pare è
l’unico modo che abbiamo per avvicinarci a Rin.»
Perché
dovremmo avvicinarci ancora a Rin? Vorrebbe domandare, ma
si rende conto di trovarsi nel contesto sbagliato. Non
c’è tempo, adesso, per discutere di una cosa tanto
futile come quella.
«Ah, già» interviene Nagisa, salvandoli
da un certo imbarazzo. «Haru non era con noi
l’altra volta.» Il biondino fa un cenno con la mano
verso l’ospite. «Lei è la sorella minore
di Rin.»
«C-ciao» risponde Gou, con la vocina sottile.
«Da quanto tempo.»
«Matsuoka…» fa Haruka, ignorando il
rossore sulle guance della giovane. Cerca di ricordarsi la pronuncia
esatta del suo nome. «… Kou.»
«Sì!» risponde la ragazza, entusiasta
che qualcuno l’abbia denominata col nome con il quale
preferisce sentirsi chiamare. «Mi scuso per il comportamento
di mio fratello.»
Scusati per il tuo, di
comportamento, vorrebbe gridarle addosso la bionda,
fulminando di sottecchi gli occhi trasognanti della giovane che le sta
seduta accanto.
«Tranquilla» le risponde il ragazzo, indossando una
felpa. Non sembra troppo coinvolto dal discorso accorato della piccola
Matsuoka, mentre s’annoda un grembiule da cucina attorno alla
vita per avviarsi ai fornelli col suo solito atteggiamento svogliato.
«Ah, se prepari il thè, ho anche dei calamari da
mangiarci insieme» gli dice Makoto, alzando la voce
affinché possa sentirlo.
Nagisa non sembra entusiasta all’idea. «EH!? Ma il
cioccolato è decisamente meglio!»
«Allora faccio lo sgombro e vi accontento entrambi»
asserisce infine il ragazzo ai fornelli, afferrando una padella da
sotto il piano cottura.
«Beh, “accontento” mica tanto!»
si lagna il biondino, buttandosi sulla spalla dell’amica.
«Mizu-chan! Diglielo tu!»
Haruka si blocca, voltandosi a fissarla. È chiaro che stia
aspettando una sua conferma e la cosa, sotto certi aspetti, la
gratifica più di quanto si aspettasse. Si è detta
che avrebbe dovuto sembrare più normale nei confronti del
corvino quando ci sono anche gli altri, ma quel blu che la guarda
è come un fiume in piena per il suo cuore, che non riesce
affatto a controllare.
«E-ehm…» cerca di dire, schiarendosi la
voce. «Effettivamente a me piacciono i calamari.»
Ma che cazzo dico!? I
calamari, con il thè!? Pensa, mentre
l’ombra di un sorriso appare sul volto rilassato del delfino,
che si volta non concedendo a nessuno quella rara visione.
«Meglio che ti aiuti!» sbotta infine Nagisa,
avvicinandosi ai fornelli.
Mizuko tira un sospiro di sollievo, mentre Gou sofferma lo sguardo su
quello che ha tutta l’aria di essere un trofeo datato, posto
accanto al chabudai[1].
«Ma questo…»
La rossa non riesce neppure a concludere la frase che il dorsista le
sorride, portandosi una mano a grattarsi la nuca.
«È il trofeo che abbiamo vinto tempo fa. Rin ci ha
detto che non gli serve più.»
La giovane Matsuoka avvicina la mano ad una fotografia lasciata
lì vicino, afferrandola con le dita sottili.
Non sono affari miei,
pensa distrattamente la nuotatrice che le sta accanto, ma ignorando
completamente il flusso dei suoi pensieri butta un occhio,
convincendosi che non stia facendo nulla di male. Quando assottiglia lo
sguardo, riesce a vedere distintamente i tre amici e un bambino che
ricorda in tutto e per tutto il ragazzo scontroso della sera prima; si
stringono in un abbraccio vittorioso, con le medaglie al collo e Rin
che stringe tra le mani il trofeo del primo posto.
«State tutti ridendo…» sussurra triste
la giovane sorella dello squalo, ricordando i bei tempi in cui il
fratello ancora ricordava come si sorride.
«Beh, tranne Haru, in realtà» fa notare
l’orca, sorridendo gentile.
Mizuko sofferma lo sguardo sul bel bambino che ricorda con tanto
affetto, rimanendo colpita dal suo viso. Non è affatto come
dice Makoto, si dice. Solo guardando quella foto riesce a sentirlo,
quanto sia stato felice quel giorno. Le sue guance arrossiscono, mentre
i ricordi della piscina Iwatobi le tornano alla mente freschi e pieni
di dolci sentimenti.
«Ma lui in cuor suo sorride sempre.» La frase esce
sbadatamente dalla bocca del biondino che ha portato loro le tazze
colme di thè. Mizuko pensa per la prima volta che Nagisa
abbia fatto davvero centro: non avrebbe saputo descrivere meglio Haruka
di come non abbia fatto lui con quell’asserzione.
Gou ride, dimenticandosi per un istante della malinconia che si porta
addosso. «Così lo fai sembrare una persona brutta
e cattiva!»
Al contrario,
vorrebbe rispondere, ma qualcosa nello sguardo cremisi che le sta
accanto la fa desistere dall’intento di screditarla
ulteriormente. S’accorge di non riuscire affatto a provare
empatia per quella ragazza e la cosa sembra destabilizzarla
più di quanto non dia a vedere; è sempre stata
molto fiera della facilità con cui riesce a leggere le
persone, ma lei – così come il fratello
– le appare molto più distante di quanto non abbia
creduto la prima volta che l’ha vista. Forse è per
questo che crede di non sopportarla; è frustrante pensare di
non riuscire a leggerle addosso la storia della sua vita.
Si alza impensierita, avvicinandosi ai fornelli. «Serve una
mano?»
«Sì, passami i calamari» le risponde
Haruka, poi s’avvicina al suo orecchio, abbassando il tono
della voce. «Visto che gli sgombri non ti
piacciono.»
Gli tira una gomitata amichevole, trattenendo una risata, mentre nel
piccolo salottino Nagisa, Makoto e la Matsuoka intraprendono una
conversazione su Rin dai toni decisamente alti.
«Allora, è la prima volta che Rin torna in
Giappone?» chiede l’orca, cercando di fare
conversazione.
«Eh? Veramente è tornato ad ogni
Capodanno.» La confessione di Gou sembra turbarli, come
dimostra lo sguardo agitato del giovane nuotatore a rana.
«Perché non ce l’ha mai
detto?» domanda, sconvolto.
La nuotatrice non riesce affatto a capire come mai quella risposta li
inquieti in quel modo; avverte l’improvvisa tensione del
corpo che le sta a fianco: è tranquillo come al solito, ma
se posa l’attenzione sul suo sguardo, le sembra subito che
stia tremando. Nonostante la penombra non le permetta di focalizzare il
suo viso, Mizuko è certa d’averlo sentito
trattenere il respiro per qualche istante.
Si è sempre sentita inutile, quando anche in passato lo
vedeva in quello stato: solo, indifferente e completamente senza
difese. Si rimprovera per non essere in grado d’intervenire
neppure adesso, mentre il ricordo del vecchio amico lo ferisce, ma cosa
può farci lei, se neanche conosce la radice di quel male?
Vorrebbe gridargli di smetterla d’essere così
impassibile e di concedersi d’essere un po’
più umano almeno sotto quel punto di vista. Lo vorrebbe
tanto.
Si volta a guardare Makoto, certa che abbia sussurrato il nome
dell’amico. Quando incrocia il suo sguardo, capisce quanto
anche lui sia preoccupato per quella faccenda.
È come vedersi riflessa in uno specchio.
Un grande, immenso specchio che riflette nel castano tutte le
preoccupazioni che assillano anche lei, senza però la
certezza di poterle risolvere.
⚘
«Visto che siamo tutti d’accordo, ho preso il
modulo per la formazione del club!»
Mizuko rimane imbambolata, con il boccone a mezz’aria che le
cade distrattamente dalle bacchette. È certa di aver sentito
male. «Co-come?»
I tre amici la fissano, sorridendo tra di loro; per qualche motivo,
è convinta che di lì a poco possa scoprire
qualcosa di scioccante.
«Ragazzi» continua, riacquistando il controllo di
sé. «Spero vivamente che non stiate combinando
nulla di stupido.»
«È solo un club» sbotta Nagisa,
buttandosi sulle sue spalle. «Non fare la
bacchettona!»
Haruka lo strattona via, irritato. È inutile, da quando
Mizuko è tornata il biondino non riesce a staccarsi da lei;
deve ammettere che la cosa lo indispettisce un po’, specie
perché lui ha tanto tempo da poter passare con lei, comprese
le lezioni e l’ora di educazione fisica. «Ohi,
Nagisa. Cerca di spiegarle meglio.»
«Ai!»
risponde entusiasta il giovane nuotatore, ricomponendosi.
«Dunque… Abbiamo deciso di aprire un club di
nuoto.»
«Eh?!» Il suo stupore è del tutto
lecito, ma sembra non sorprendere affatto gli altri due ragazzi, che
continuano a consumare tranquillamente il loro pasto.
Nagisa continua, ignorando la sua incredulità.
«Dunque, vediamo…» Osserva il foglio che
stringe tra le mani. «Lo scopo di questo club è di
allenare mente e corpo tramite il nuoto e migliorare la nostra
esperienza scolastica.»
Mizuko sospira, ormai consapevole di non essere in grado di fermare in
alcun modo l’entusiasmo senza freni dell’amico. Lo
fissa di sbieco, schiaffeggiandosi il viso per non essere stata in
grado d’accorgersi prima del suo progetto senza speranze.
«Nagisa.»
«Sì, Mizu-chan?»
«Credi che basti questo per approvare un club?» gli
chiede, strappandogli di mano il foglio ed osservando minuziosamente le
diciture.
«Devo aggiungere altro?»
La ragazza si volta verso Haruka, che fissa quella scenetta senza dire
una parola, poi verso Makoto, che mastica tranquillamente un boccone di
riso bollito. «Non avete da dirgli niente, voi due?»
«Cosa dovremmo dirgli?» Makoto sorride, pulendosi
il contorno delle labbra dai chicchi bianchi. «Nagisa
è quello più informato.»
Haruka si limita a fare spallucce. Perfetto.
È ovvio che debba aiutarlo lei, nonostante non le abbia
chiesto ancora niente.
Sospira, sconfitta. «Per prima cosa devi specificare la
motivazione principale per la quale vuoi aprire il club. Hai qualche
idea migliore di quella di prima?»
Nagisa la fissa, senza capire.
«Non saprei» continua Mizuko, cercando di
spronarlo. «Avete intenzione di partecipare a delle
gare?»
«È un po’ presto per dirlo,
no?» domanda il castano, improvvisamente incuriosito dalla
piega che quella conversazione sta prendendo.
Mizuko sbuffa, infastidita. «Certo che no. Se scriviamo che
lo scopo del club è quello di competere a livello
agonistico, i risultati potrebbero portarci ad ottenere più
fondi, i quali potrebbero essere impiegati per i più
svariati motivi – attrezzature, costumi, persino per le
trasferte fuori porta.»
«Potrebbero
portarci?» Nagisa la fissa con sguardo
malizioso. «Ti unirai anche tu al club, vero
Mizu-chan?»
È certa di riuscire subito a replicare dandogli picche, ma
prima di rispondere il suo sguardo cerca quello blu di Haruka,
già in attesa d’incrociare i suoi occhi. Il
corvino la fissa intensamente, con uno strano luccichio che gli riempie
le iridi cerulee. «Dovresti farlo.»
Chissà perché, ma non riesce a pensare di
contraddirlo. È la stessa sensazione di sempre, quella che
pone il delfino su un piano più alto rispetto agli altri e
che la rende incredibilmente fragile in sua presenza. China lo sguardo,
cercando di non apparire troppo imbarazzata. «M-ma non vedo
come potervi aiutare, pur iscrivendomi.»
«È facile!» sbotta Nagisa, che vede
nell’intervento di Haruka la possibilità di
coinvolgere l’amica. «All’inizio ci
saranno quattro membri: Mako-chan sarà il
capitano.»
«Aspetta» lo ferma il castano, confuso.
«Non dovrebbe essere Haru, il capitano? È il
più veloce tra noi, in piscina.»
«Sì, ma qui la velocità non
c’entra. Ogni persona è portata per
qualcosa» spiega il biondino, mentre l’orca
immagina la scena esilarante del corvino che sbraita ordini ai suoi
sottoposti. Decisamente poco credibile.
«Haru-chan sarà il vicecapitano!»
continua imperterrito Nagisa.
«Ohi» lo interrompe il prodigio, irritato.
«Non decidere per me.»
«Dai! Il titolo di vicecapitano in realtà non
implica alcuna responsabilità, perciò non
preoccuparti» cerca di consolarlo Nagisa, poi, voltandosi
verso la ragazza: «Io sarò il tesoriere e tu,
Mizuko, sarai la nostra coordinatrice.»
«Coordinatrice?» ripete la ragazza, non capendo
cosa le voglia dire l’amico.
«Assolutamente.»
Nagisa le afferra un braccio con entrambe le mani, scuotendola
entusiasta. «Sarai impegnata in molte cose: dalla scelta
degli orari per gli allenamenti, all’agenda, al rendimento
settimanale di ogni esercizio, sarà divertente!»
«Per te, forse!» sbraita la bionda, in preda ad una
crisi di nervi. «Ti rendi conto che razza di lavoro mi stai
affibbiando?»
Il compagno s’imbroncia, guardandola di sottecchi.
«Sei tu quella brava in queste cose, Mizu-chan. Immagina uno
di noi tre a ricoprire un tale ruolo. Come pensi che possa
concludersi?»
Lei sospira, convinta che anche se provasse a rinunciare ad un incarico
simile, Nagisa gliela farebbe pagare per il resto della sua misera
vita. China il capo, alzando le mani in segno di resa, mentre il
giovane nuotatore si sporge per saltarle al collo dalla gioia.
Haruka rimane a fissare quella scena, chiedendosi per quale motivo sia
così innervosito dal fatto che il pinguino sia sempre
appiccicato a lei. Non è da lui irritarsi senza un vero
motivo, eppure si sente male ogni volta che la vede anche solo
sorridere a qualcun altro che non sia lui. Perché mai? In
fondo, anche Makoto e Nagisa sono suoi amici.
Non dovrebbe importargli, si dice, mentre la parte più
inconscia di lui vorrebbe che il ragazzo dagli occhi rosei
s’allontanasse da lei in quel preciso istante. Quel desiderio
che ha di poterla avere per sé diviene ben presto
più urgente, e con sguardo accigliato si ritrova a fissare
il suo cestino da pranzo ormai vuoto.
Un’idea, seppur piccola, gli balena nella testa.
Potrei invitarla a
mangiare da me, pensa, ignorando completamente il brusio
di sottofondo che sente provenire dalle voci del piccolo gruppo.
Sorride, mentre immagina quali piatti poterle preparare, dopo tanto
tempo che è stata lontana da casa.
Sì, una cena. Soltanto io e lei.
NOTE:
[1] Tavolo a
gambe corte, usato nelle case giapponesi tradizionali.
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