CAPITOLO 9
- QUESTIONE DI ABITUDINE, PARTE SECONDA: PURO VELENO -
Aran
e Darragh impiegarono diverso tempo a riemergere dall'armeria. Durante
la loro assenza, Freya si portò al limitare del campo e
iniziò a ritirare con cura le proprie frecce, controllandone
le condizioni man mano che le scorrevano davanti agli occhi; era
talmente immersa in quel lavoro minuzioso che solo quando
udì rumore di passi in avvicinamento distolse l'attenzione
dal compito che stava svolgendo.
Come le sue parole di prima le avevano confermato, Darragh stringeva
fra le mani una spada, la cui lama lunga e stretta riluceva nel sole
del pomeriggio. Il Principe la impugnò saldamente e si mise
in posizione per l'imminente duello. Le sue previsioni non si erano
però rivelate del tutto esatte per quanto riguardava Aran.
Il ragazzo infatti portava sì una spada, ma completamente
diversa da qualunque altra Freya avesse mai visto: aveva la lama dritta
ed elegante, monofilare, con una punta molto importante e leggermente
arcuata; l'elsa, chiaramente fatta per maneggiare l'arma a una mano
sola, era metallica e dotata di un pomolo piuttosto grande; la cosa
più peculiare, però, era certamente la guardia,
la cui strana forma asimmetrica saltava immediatamente all'occhio: il
braccio posto dal lato del taglio era lungo e piegava verso l'elsa,
mentre l'altro era più corto e andava nella direzione
opposta.
Incuriosita, Freya lasciò da parte le frecce e rimase a
guardare lo scontro. La tensione fra i due si fece sempre
più palpabile, mentre assottigliando gli occhi si studiavano
attentamente a vicenda in cerca di difetti, incertezze o brecce nella
difesa dell'altro. I loro lineamenti non lasciavano trasparire nulla,
come se anche la più piccola emozione potesse dare un
qualche vantaggio all'avversario.
Non fu possibile prevedere chi avrebbe attaccato per primo fino
all'ultimo istante, quando Aran scattò in avanti portando un
tondo rapido e preciso. Darragh fu altrettanto veloce a deviare il
colpo e quando le due lame cozzarono scintille dovute all'impatto
sprizzarono come mille tizzoni ardenti, ripartendosi dal punto di
sfregamento. Con la stessa immediatezza con cui si erano scontrate le
due figure si divisero, portando con sé le proprie armi, per
poi unirsi nuovamente mentre Darragh tentava un affondo alla spalla di
Aran. Quest'ultimo parò senza sforzo e sulle sue labbra
comparve un sorriso che presto fece capolino anche sul volto del
fratello. Era come se li divertisse constatare quanto bene conoscessero
i reciproci stili di combattimento. Più lo scontro andava
avanti, più Freya si rendeva conto che effettivamente era
così: i due fratelli dovevano allenarsi insieme da anni e
questo risultava evidente nella loro capacità di prevedere
quasi con esattezza quale sarebbe stata la prossima mossa dell'altro.
Erano entrambi molto abili, su questo non v'era ombra di dubbio. La
giovane, però, non poteva fare a meno di guardare
affascinata come quella strana spada danzasse fra le mani di Aran,
sempre pronta a vanificare ogni tentativo di fare breccia nella difesa
di colui che la impugnava. Era più un gioco di destrezza che
di forza, il suo. Man mano, anche lo scopo della guardia divenne
evidente: il braccio ripiegato verso l'elsa era un'ottima protezione
per la mano che stringeva l'arma e l'altro, per contro, rendeva
possibile braccare la lama avversaria e disarmare il nemico. Fu
così che Aran riuscì infine ad avere ragione di
Darragh. La lama dello spadone scivolò nella trappola della
guardia durante uno scontro ravvicinato e, con un repentino movimento
di braccio, Aran riuscì a strapparla dalla presa del
fratello maggiore.
I due contendenti, stanchi e oramai madidi di sudore, si fissarono in
silenzio ancora per un attimo, prima di avere una qualunque reazione.
Il volto di Aran si aprì in un sorriso vittorioso mentre su
quello di Darragh comparve una smorfia piuttosto eloquente, affiancata
da un: «Maledetta guardia, senza quella non ci saresti mai
riuscito.»
«Te lo lascerò credere»
ribatté Aran, scherzoso, dandogli una pacca sulla spalla che
attestava però quanta stima avesse delle abilità
dell'altro.
Poi, si diresse verso Freya, ancora strabiliata dal duello a cui aveva
appena assistito. Era la prima volta che aveva occasione di vederne uno
e non ne aveva perso nemmeno il più piccolo dettaglio.
Questa volta era lei a poter imparare qualcosa da Aran, qualcosa che
l'avrebbe aiutata a migliorare la propria autodifesa e a cavarsela se
si fosse trovata in una brutta situazione. La direzione che stava
prendendo la sua vita non lasciava presagire nulla di simile, ma niente
poteva essere dato per certo. Gli andò incontro, osservando
come le spalle di lui si alzassero e abbassassero al ritmo forsennato
del suo respiro.
Appena si raggiunsero, Aran sorrise nuovamente e disse:
«Solitamente non ne esco così bene.»
Freya ricambiò e rispose: «A giudicare da come
combatti mi riesce difficile crederlo.»
Aran rimase in silenzio per un attimo, alzando il viso verso il cielo
in cui il sole dilagava cocente. Poi ribatté: «Non
è stato facile, all'inizio. Non amavo particolarmente
combattere, perfino adesso non è tra le mie
attività preferite, ma con l'arma giusta è
diventato tutto più semplice.»
L'occhio della giovane cadde sulla spada di Aran, che il ragazzo aveva
ancora con sé. Lui sembrò accorgersene,
perché senza dire nulla gliela porse e Freya
lasciò che la propria mano scivolasse sull'elsa
perfettamente sagomata. Era una spada da allenamento, ragion per cui il
filo era smussato, ma dava l'idea di poter comunque lasciare dei bei
lividi e addirittura rompere qualche osso, se usata con eccessiva
violenza. La ragazza la sollevò e ne osservò
più da vicino la foggia, dall'insidiosa guardia che aveva
fregato Darragh fino alla punta ricurva.
«Non ho mai visto nulla di simile»
mormorò infine, assorta. «Che tipo di spada
è?»
«Questa è una lama Meridis»
spiegò lui. «È un'antica spada tipica
della zona insulare di Riagàn. L'armaiolo di corte stava
impazzendo a causa mia, sembrava che nessun arma fosse adatta a
me.»
Freya fece roteare la spada un paio di volte, prima di restituirla al
suo proprietario; era sorprendentemente leggera. Prima che la giovane
potesse domandare qualunque altra cosa, Aran fu richiamato all'ordine
dal maestro d'armi.
«Se non ne avete ancora per molto possiamo proseguire,
Principe Aran» disse l'uomo, inarcando le sopracciglia
sottili e argentee, visibilmente irritato dalla distrazione del ragazzo.
Freya sorrise, divertita. Sembrava che tutti avessero sempre fretta in
quel palazzo. «Stai tranquillo, io non mi
annoierò. Ho ancora qualche freccia da sistemare»
lo rassicurò, sedendosi a gambe incrociate sotto lo sguardo
stranito dei frequentatori del campo.
Più che proseguire il proprio lavoro con le frecce, la
ragazza continuò a osservare con attenzione il resto
dell'addestramento. Si allenarono in ogni possibile variante della
scherma e lei rimase attenta per tutto il tempo, cercando di
interpretare i movimenti e coglierne la logica. Certo non sarebbe
bastato per aiutarla a migliorare, ma era un inizio. Il pomeriggio
volgeva al termine quando i due Principi vennero lasciati andare, non
prima di aver parlato a lungo con il maestro d'armi, il quale fece
ripercorrere loro tutti gli errori commessi durante il duello. Solo
quando i ragazzi ebbero corretto ognuno di essi da sé,
comprendendone tutte le implicazioni, l'uomo si allontanò e
scomparve oltre la soglia dell'armeria.
Aran, sfinito, la raggiunse nuovamente e si lasciò cadere a
terra al suo fianco. Quando notò che il giovane respirava di
nuovo normalmente, Freya disse: «Quindi è
così che voi giovani nobili trascorrete le
giornate.»
Aran alzò lo sguardo su di lei e sorrise. «Non
c'è via di mezzo, o siamo qui al campo a duellare o in
biblioteca con il naso nei libri» rispose.
La ragazza rammentò le sue parole di qualche ora prima.
Aveva affermato che per lui combattere era stato difficile, all'inizio,
e che tutt'ora continuava a non piacergli particolarmente. Sperando di
non risultare troppo invadente, domandò: «Ti senti
più a tuo agio fra i libri che fra le armi, non è
vero?»
Il giovane Principe restò in silenzio per un attimo. Poi
asserì: «Sì, effettivamente preferisco
avere per le mani qualcosa che arricchisca le mie conoscenze piuttosto
che uno strumento di morte. Ma non ho molta scelta e, in ogni caso,
saper maneggiare una spada può salvarti la vita.»
Questa volta fu Freya a restare silenziosa per un lungo momento, prima
di decidersi a parlare. «Per questo ho bisogno di imparare a
impugnarne una come si deve, anche se l'idea non mi fa impazzire.
Potrebbe arrivare il giorno in cui il mio arco non basterà e
voglio essere pronta a qualunque evenienza » disse infine.
La verità era che, dal momento in cui aveva lasciato la sua
casa, aveva iniziato a rendersi conto che il mondo era molto
più grande di quanto avesse mai immaginato quando
s'immergeva nelle pagine delle Saghe di Finian; il pensiero di non
essere preparata ad affrontare l'ignoto la spaventava.
Rendendosi conto che la sua mente stava andando alla deriva e che Aran
la stava guardando, cercò di alleggerire il tono della
conversazione. «Comunque non so quanto il vostro maestro
possa essere disposto a insegnare a una donna, non ne vedo molte
qui» scherzò.
«Posso farlo io» disse Aran, semplicemente.
«Non conosco tutti i segreti della spada, ma posso insegnarti
quello che so.»
«Lo faresti davvero?» domandò lei.
Il ragazzo annuì. «Non farò l'errore di
sottovalutarti solo perché sei una ragazza.»
affermò. Poi, come se nulla fosse, si alzò e
iniziò a camminare verso l'armeria.
Solo quando fu arrivato a metà del campo Freya comprese:
«Non vorrai iniziare adesso?» chiese, alzando un
po' la voce per farsi udire. Non le piaceva urlare, si rese conto. Le
dolevano quasi le orecchie, come se fossero state talmente abituate al
silenzio da non sopportare quel tipo di suono.
«Voglio solo capire quale tipo di spada possa essere adatta a
te» ribatté lui, facendole cenno di seguirlo.
L'armeria era ordinata e perfettamente suddivisa: da un lato le armi
d'allenamento, dall'altro quelle da battaglia, a loro volta ripartite
in categorie. Perfino per Freya, che non c'era mai stata prima, fu
semplice individuare ciò di cui avevano bisogno.
Ben presto furono fermi di fronte a una schiera di spade in cui la
giovane non avrebbe saputo proprio come orientarsi. Certo, le era
piuttosto evidente che uno spadone a due mani sarebbe stato troppo
grande e pesante per lei, ma la sua conoscenza di quale lama nello
specifico potesse adattarsi alla sua corporatura si fermava
lì. Persa nelle proprie elucubrazioni non si accorse nemmeno
che Aran era scomparso, almeno fin quando non lo vide tornare
accompagnato da un uomo basso e dal ventre prominente, il quale le
rivolse un'occhiata perplessa non appena posò lo sguardo su
di lei.
«Parlavate di lei, Principe Aran?» chiese,
rivolgendosi al ragazzo come se Freya non fosse nemmeno lì.
«Esatto, Brant» rispose Aran, quieto.
L'uomo, Brant, sembrò interdetto. «Vostra Grazia,
non so quanto possa essere conveniente» ribatté
poi. Continuava a ignorare totalmente la presenza di Freya, come se
Aran fosse l'unico degno di considerazione.
La giovane non poté fare a meno di aggrottare le
sopracciglia, irritata. Forse c'erano molte altre cose a cui doveva
ancora abituarsi, ma non credeva che sarebbe mai riuscita a scendere a
patti con la loro misoginia. Come poteva essere che in un regno
totalmente governato da una donna trovassero ancora strano o
addirittura sbagliato che una ragazza volesse imparare a combattere?
Freya non riusciva proprio a capacitarsene.
Aran, in ogni caso, non sembrava sorpreso dalla reazione di Brant. Con
tutta calma si limitò a dire: «Non credo che la
Regina avrà qualcosa in contrario. Se così
dovesse essere, me ne prenderò ogni
responsabilità.»
A quelle parole l'uomo sembrò tranquillizzarsi e, nonostante
le occhiate palesemente scettiche che continuava a scoccarle,
acconsentì ad affidarle una spada.
La giovane, invece, rimase estremamente sorpresa da come il Principe si
fosse schierato dalla sua parte senza esitazione. In fondo, la
conosceva a malapena da due giorni e non era certo tenuto ad esporsi a
quel punto per lei. Fu così che nella mezz'ora successiva le
passarono per le mani tutte le spade che, a detta dell'armaiolo, lei
sarebbe stata in grado di portare; naturalmente secondo la sua
corporatura, non possibile abilità, che per l'uomo sembrava
essere certamente inesistente.
Alla fine, dopo innumerevoli tentativi, Brant decretò che
uno stocco poteva fare al caso suo. Freya non ne aveva mai visto uno,
perciò quando le venne porta l'elsa della spada si prese un
attimo per osservarla attentamente. Impugnatura a una mano, dotata di
una guardia piuttosto importante; lama sottile, seppur robusta e
rigida, priva di qualsiasi filo e terminante in una punta estremamente
acuminata.
«È un'arma di precisione. È fatta
apposta per insinuarsi nelle giunture dell'armatura e ferire il nemico
nei punti deboli» spiegò Aran.
La ragazza la fece roteare velocemente fra le mani. Era effettivamente
molto maneggevole, dato che probabilmente in lunghezza non superava i
cinquanta pollici, e forse avrebbe avuto qualche speranza di apprendere
come usarla.
«Lo stocco è pensato per portare affondi,
perciò non è tagliente, ma ci si può
comunque fare del male se lo si utilizza nel modo sbagliato»
la incenerì l'armaiolo, dando forse per scontato di
ritrovarla di lì a poco ad agonizzare in una pozza di
sangue. Poi si allontanò, scuotendo il capo come se avesse
appena assistito a qualcosa di assurdo.
«Ti prego di scusarlo, nel suo ambiente non si ha spesso a
che fare con le donne» asserì Aran, visibilmente
dispiaciuto.
Solo a quel punto Freya si permise di sorridere, commentando ironica:
«Deve essere stata dura per lui, immagino che di solito abbia
a che fare con persone alla sua altezza.»
«Non vedo alcun motivo per cui tu debba essergli
inferiore» ribatté il giovane.
«Lui evidentemente sì»
mormorò lei, impedendosi di contrarre i pugni per la stizza.
Quando uscirono il campo era oramai quasi completamente deserto, fatta
eccezione per uno sparuto gruppetto di uomini che si allenavano nel
corpo a corpo e Darragh, impegnato a parlare nuovamente con il maestro
d'arme.
Ignorandoli completamente, Aran si posizionò in una striscia
di terra lontana da loro e disse: «Bene. Vediamo cosa puoi
essere capace di fare.»
A Freya sfuggì l'ennesimo sorriso. «Non avevi
detto che volevi solo trovare l'arma ideale?»
ridacchiò.
Il Principe fece spallucce, sorridendo a propria volta. «Ci
abbiamo messo meno del previsto. E poi, non sono ancora
stanco» rispose, invitandola con gentilezza a porsi di fronte
a lui.
La ragazza fece come le era stato detto e procedette a mettersi in
guardia per il combattimento.
«Ho l'impressione che tu sappia molto più di
quanto non credi» affermò Aran nel notare il gesto
di lei.
«Io invece credo che tu mi sopravvaluti» disse
Freya. «Non conosco nulla più che le
basi.»
Aran assottigliò gli occhi. «Vedremo.»
E così trascorsero un'altra ora buona a cercare di capire
quali fossero le potenzialità di Freya e a ripassare tutte
le fondamentali della scherma. A ogni tipo di colpo, di punta o di
taglio che fosse, corrispondeva una dimostrazione pratica e la ragazza
iniziò pian piano a immagazzinare in un cassetto della
propria mente ogni informazione che riceveva.
Nel mentre Aran le spiegò anche tutte le componenti della
spada, soprattutto della lama, e la loro utilità nel
combattimento. La punta per gli affondi, il debole per portare i colpi,
il medio per parare quelli più leggeri e il forte quelli di
botta.
«Nel caso dello stocco l'unica cosa che dovrai sapere sui
colpi di taglio è come pararli. Ti sarà molto
più utile la punta che tutto il resto» le disse
alla fine della spiegazione sugli attacchi, mentre riprendevano fiato.
Poi passarono alla parte difensiva, anch'essa molto importante se non
voleva rischiare di soccombere al primo attacco. Non appena Freya ebbe
preso dimestichezza con ogni tipo di movimento i due ragazzi
scambiarono anche qualche colpo. La giovane oramai sapeva quanto Aran
fosse bravo con la sua Meridis,
ma il Principe sembrò molto sorpreso dal tono delle risposte
di lei. Le ci sarebbe voluto un po' per rendere fluide le mosse
più complesse, ma con quelle più semplici le
stava riuscendo piuttosto bene ribattere ai suoi attacchi, anche se
andavano certamente perfezionate.
Alla fine di quel primo mezzo allenamento Freya si accorse che le sue
braccia erano abituate a tendere un arco, ma non a reggere il peso di
una spada: quando si sedettero a terra, incuranti della polvere che si
attaccava ai loro vestiti, divenne consapevole di quanto le dolesse
anche solo contrarre e distendere i muscoli degli arti superiori.
Per molto tempo restarono immobili, in perfetto silenzio, prima che
Aran parlasse. «Per essere una che conosce solo le basi te la
sei cavata molto bene» disse, sorridendo.
«È difficile valutare cosa sai fare quando le
uniche volte che hai usato una spada stavi menando fendenti contro un
albero» rispose lei. «Non ho mai avuto altro modo
per continuare ad allenarmi.»
Di nuovo silenzio, mentre Aran la osservava. Sembrava che si stesse
facendo coraggio per chiederle qualcosa. «È stata
sempre tua madre a insegnarti?» domandò infatti
dopo che lei ebbe ricambiato il suo sguardo, come per invitarlo a
proseguire. «Non sei costretta a parlarne, se non ne hai
voglia.»
Freya sorrise, tranquilla. «Mi fa piacere parlare di
lei» ribatté, prima di rispondere al quesito che
le era stato posto. «Sì, è stata mia
madre. Voleva che sapessi difendermi in tutti i modi possibili,
perciò mi stava insegnando i fondamentali. Credo sapesse che
avrei sempre preferito l'arco, però.»
«Hai tutte le ragioni per farlo; non ho mai visto nessuno
tirare come te» disse il ragazzo. Lasciò vagare lo
sguardo per lo spiazzo, prima di aggiungere: «Doveva essere
una donna molto coraggiosa.»
«Lo era davvero» sussurrò lei e se c'era
qualcosa di cui era sicura era proprio quella.
Fu proprio in quel momento, quando Freya aveva abbassato la guardia e
stava finalmente lasciando andare del tutto la tensione, che una voce
li interruppe.
«Forse l'hai idealizzata un po' troppo. Mi chiedo con quanto
di tutto questo coraggio di cui parli abbia potuto abbandonare sua
figlia nel mezzo di una foresta in così tenera
età.»
Freya scattò in piedi e si voltò, solo per
trovare l'espressione arrogante di Darragh che la guardava dall'alto in
basso. Sentì le spalle che le si irrigidivano, come se da un
momento all'altro qulcuno potesse attaccarla e ferirla gravemente, e
una rabbia che non le era mai appartenuta prima divampava nel suo
sguardo con la stessa furia di un incendio. Non si riconosceva, in quel
sentimento ribollente e oscuro, ma la sua forza fu tale che non ebbe
nemmeno il tempo di stupirsene. Lo stocco che ancora stringeva fra le
mani si conficcò con veemenza nel terreno, ai piedi del
Principe Ereditario, il cui volto tutto a un tratto si fece pallido,
come se solo in quel momento si fosse reso conto di cosa avesse detto.
Senza nulla più da stringere per arginare l'ira, non le
restò altro che serrare i pugni.
«Prima di parlare di ciò che non
conosci» sibilò, facendo un passo in avanti che
costrinse Darragh a indietreggiare, «dovresti soffrire almeno
la metà di quello che ho sofferto io, nel sapere che tua
madre ti avrebbe protetta a costo della vita e forse l'ha
fatto.»
Freya avvertì le proprie stesse parole trafiggerla dritta al
cuore lentamente, una alla volta: era la prima volta in assoluto che
dava voce a ciò che fino a quel momento si era rifiutata
perfino di pensare.
Aran la guardava, senza sapere cosa dire di fronte a tanto dolore. Solo
in quel momento si rese conto che, nonostante la sua apparente calma,
c'era tanto che Freya teneva ben chiuso dentro di sé e,
probabilmente, lasciava trapelare molto raramente.
Irritata con se stessa per aver mostrato così tanto dei
propri sentimenti a tutti quegli occhi estranei la giovane si
allontanò a testa alta, senza più dedicare
nemmeno uno sguardo a Darragh e alla sua ignoranza; fu solo al limitare
del campo che notò Malia correre come una forsennata verso
di lei, tenendosi l'orlo della veste.
«Mia signora» ansimò, «non vi
trovavo in nessun luogo del castello, non avevo la ben che minima idea
di dove foste...»
Qualunque cosa avesse voluto dire dopo si perse in un mormorio
indistinto, mentre l'ancella osservava sconcertata il bell'abito di
Freya, inzaccherato di terra e polvere. In ogni caso sembrò
intuire che qualcosa l'aveva turbata e si limitò a dire:
«Venite, vi porto immediatamente a darvi una
ripulita.»
Il tumulto che l'aveva investita la stava ora abbandonando,
perciò Freya si lasciò guidare via dall'ancella
senza opporsi. Ogni passo era uno sforzo in più per
trattenere le lacrime che quelle parole di puro veleno stavano
minacciando di far scendere sulla ferita ancora aperta della perdita di
sua madre. Mentre si allontanava sentì arrivare anche la
paura, puro e semplice terrore che non avrebbe mai smesso di sanguinare
fino a che non avesse scoperto la sorte a cui Eleana era andata
incontro.
֎ ֍ ֎
I passi di Aran rimbombavano nei corridoi vuoti.
L'urgenza che lo animava era qualcosa che fino ad allora gli era stata
sconosciuta, ma che sapeva derivare dalla consapevolezza di quanto male
avessero causato le parole che Darragh aveva rivolto a Freya, il
pomeriggio precedente; sentiva di aver aspettato anche troppo, frenato
dalla propria razionalità. A dire il vero, aveva provato a
cercarla, subito dopo che si era voltata ed era corsa via, ma quando
aveva intuito che si era ritirata nei propri appartamenti aveva
desistito; era andato a dormire con un peso sullo stomaco, cercando di
ripetersi che doveva imparare a mantenere un certo distacco dalle
emozioni altrui. Naturalmente, non era servito a nulla: l'angoscia si
era protratta per tutto il giorno e Aran aveva sperato di vederla
comparire al campo d'allenamento, o alle scuderie. Di lei,
però, non c'era stata nessuna traccia.
Aveva riflettuto a lungo su cosa fosse meglio fare, in parte
perché non aveva il coraggio di andare a bussare alla porta
della giovane: forse, aveva paura che non si sarebbe aperta, che Freya
avrebbe respinto qualunque cosa avesse potuto dirle e si sarebbe
rifiutata di avere nuovamente a che fare con lui; quella
possibilità lo turbava molto più del normale. Era
stato solo durante la cena di quella sera, quando aveva visto Darragh
continuare a comportarsi come se nulla fosse, che aveva deciso che se
non l'avesse fatto lui, qualcuno avrebbe pur dovuto chiedere scusa a
Freya. La verità era che Aran aveva bisogno di accertarsi
che lei stesse bene, perché, qualunque cosa significasse,
sentiva di non poter sopportare nemmeno l'idea del suo dolore.
Forse, era vero quello che suo fratello aveva continuato a ripetergli
negli anni: la sua tendenza a lasciarsi coinvolgere non l'avrebbe mai
reso un buon guerriero. Eppure, in qualche modo, le parole di Darragh
non gli pesavano più come avevano fatto in passato; sembrava
che tutto stesse acquistando una prospettiva diversa, se legato a
Freya. Senza più esitare, il Principe era partito alla
ricerca di Malia, la quale gli aveva detto dov'era stata alloggiata la
ragazza.
Le gambe iniziavano a dolergli, quando la notò: era
appoggiata al davanzale in pietra di un piccolo bovindo sospeso sui
giardini interni, immersi nella penombra notturna spezzata di tanto in
tanto dalle lanterne portate dai soldati, di guardia sulle mura; quegli
sprazzi di luce a tratti le illuminavano il viso altrimenti colorato di
ombre. Non sembrò accorgersi della sua presenza, almeno
finché non giunse anche lui nello sporadico cono di luce. La
ragazza lo osservò, poi abbassò lo sguardo. Il
silenzio aleggiò su di loro qualche attimo, senza
però essere spiacevole.
«Non ho la minima idea di come scusarmi per ciò
che mio fratello ti ha detto. Non aveva il diritto di sputar sentenze
su ciò che non conosce, né tanto meno contro tua
madre» mormorò infine Aran, parlando piano per non
turbare quella coltre di tranquillità che sembrava isolarli
da tutto il resto.
Freya sembrò assimilare lentamente le sue parole, prima di
rispondere: «Non devi fare assolutamente nulla per scusarti
con me. Il ricordo che conservo di mia madre non potrà mai
essere rovinato e so che quelle parole non sarebbero mai potute
appartenere a te. Tu non sei tuo fratello; ho avuto la sensazione che
tu tenda a dimenticarlo.»
Questa volta fu Aran ad abbassare lo sguardo. Era vero che si sentiva
sempre in dovere di rimediare alla mancanza di tatto del fratello: era
capitato spesso che usasse toni simili, soprattutto verso coloro i
quali lavoravano per loro. Cercava sempre di ricordargli che tutti
meritavano rispetto, indipendentemente dal loro ruolo a palazzo, ma
Darragh raramente lo ascoltava, perciò era sempre lui a
chiedere scusa al posto suo. Si stupì di come lei fosse
riuscita a cogliere con tanta chiarezza quel particolare del suo
rapporto col fratello.
«Ci ho riflettuto molto oggi, sai? La verità
è che, in una parte di me, l'affetto per lei è
costretto a convivere col dolore per la sua scomparsa e ho finito con
il reagire bruscamente anche di fronte a un commento che non avrebbe
dovuto avere nessuna importanza» spiegò Freya con
voce calma, seppur venata di una profonda e a stento celata amarezza,
ignara delle riflessioni di Aran.
«Ha importanza, se ti ferisce» disse lui,
avvicinandosi di un passo. «Questo è il problema
di Darragh: pensare sempre che le parole non abbiano un peso, quando
invece ne hanno. Non gli permetterò mai più di
parlarti in quel modo; te lo posso promettere.» Si rese conto
con un attimo di ritardo di aver agito d'istinto e di essere fin troppo
prossimo a lei, ma Freya si limitò a fissarlo, spalancando
gli occhi chiari, senza far nulla per allontanarsi.
«Questa ora è anche casa tua ed è
giusto che tu la senta come tale» concluse infine Aran.
A quell'ultima frase l'espressione della giovane si fece seria, mentre
rispondeva con un enigmatico: «Sì, ora
è casa mia. Non so per quanto potrà durare, ma lo
è.»
Il Principe la scrutò, cercando di intuire qualcosa di
più, ma potè notare solo le sue dita stringere la
pietra grezza del bovindo; nient'altro. In breve il silenzio li avvolse
nuovamente; rimasero solo il rumore delle bestie notturne che vagavano
per i campi in lontananza e lo scalpiccìo dei soldati che
procedevano in un'incessante ronda. D'improvviso, in quella quiete, si
ritrovò a chiedersi da dove Freya traesse quella
straordinaria forza, come trovasse il coraggio di porsi tante domande
su se stessa e di accettarne le risposte, belle o terribili che
fossero. Per la prima volta in vita sua, sentì il bisogno di
scavare un pò più a fondo nella propria storia
personale, come stava facendo lei, ma quel desiderio fu accompagnato
dal terrore di non esserne in grado.
Le parole gli uscirono di bocca, incontrollate:
«Sarò mai capace di affrontare la
verità nello stesso modo in cui sei riuscita a farlo
tu?»
Non ci fu bisogno di specificare null'altro. Freya comprese al volo e
non esitò nemmeno un istante nel rispondere:
«Quando verrà il momento, troverai tutta la forza
necessaria. C'è già, da qualche parte, nascosta
in te.» Poi, gli sorrise. «Buonanotte,
Aran» accennò appena, congedandosi, e
puntò dritta verso la sua porta, appena distante dal bovindo.
Aran rimase lì, le fiamme delle fiaccole che scaldavano a
tratti il suo viso, con la sempre crescente sensazione che quel momento
si stesse avvicinando inesorabilmente.
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