Epilogo.
Xena
e Buffy, come la madre le aveva simpaticamente soprannominate,
dormivano nelle
loro culle mentre Artemide, appollaiata sulla sua nuovissima sedia a
dondolo,
le osservava con aria persa.
Felipe,
accanto alle culle, era in loro estatica contemplazione e, sorridendo
nel
sistemare un ricciolo dei neri capelli di Xena, mormorò:
«Sei sicura, per i
nomi? Io non mi offendo se vuoi scegliere uno dei tuoi titoli,
sai?»
«Ne
avevamo già parlato. Xena sarà Edith, come la tua
prozia che tanto amavi. Buffy
sarà Tessa che, tra le altre cose, significa ‘colei
che è cacciatrice’, quindi si adatta
perfettamente a me»
mormorò sonnacchiosa la dea, dondolandosi con calma.
«Anche
Edith ha un significato?» si incuriosì Felipe,
scrutandola sorridente.
Lei
assentì, dicendo: «E’ ‘colei
che lotta
per la felicità’. E’ un nome
che denota forza e, per come mi tirava calci
nella pancia, non può che starle a pennello.»
Divertito,
Felipe chiosò: «Anche la prozia Edith era una
combattente. Mi piace… anche se
pure Xena mi pare adatto. Ma non voglio che, un domani, le mie figlie
mi odino
per aver dato loro il nome di un personaggio della TV.»
Artemide
rise di quel commento ma, quando sentì delle voci lungo il
corridoio e
riconobbe quelle delle figlie, si levò dalla sedia e
spalancò le braccia per
accoglierle degnamente.
Quando
la porta si aprì, perciò, Delia e Daphne vennero
avvolte dall’abbraccio della
madre, mentre Theodoros, Hector, Endimione e Akelia – la
compagna di Daphne –
sorridevano di fronte a quel saluto caloroso.
Felipe
si raddrizzò, sorrise loro e disse: «Ben arrivati.
Il viaggio è andato bene?»
«Movimentato»
celiò Akelia, stringendo in un abbraccio Artemide prima di
avvicinarsi alle
culle assieme agli altri. «Non so se c’entri Eolo o
meno, ma abbiamo trovato un
sacco di turbolenze e, alla fine, abbiamo tutti dovuto fare una
deviazione al
bar per ritemprarci, una volta scesi.»
Artemide
sorrise divertita, ma replicò: «Non credo sia
stata colpa sua. Qualche ora fa
era qui assieme a Poseidone e alle Pleiadi.»
Akelia
ammiccò all’indirizzo di Daphne, che rise
sommessamente e chiosò: «Ci mancava
solo il sommo Zeus e poi eravamo a posto!»
«Dubito
che mio padre si presenterà alla porta. Ha ancora il divieto
di venire qui»
sottolineò Artemide, prima di sentir bussare alla porta
d’ingresso.
Endimione
e Felipe la fissarono divertiti ma lei, sbuffando, scosse il capo e
replicò:
«Smettetela di guardarmi con facce tanto furbe. Se fosse
stato mio padre, i
miei segugi avrebbero già cominciato ad abbaiare.»
Sorpreso,
Endimione squadrò Felipe in cerca di spiegazioni e lui,
scrollando le spalle,
ammise: «Sono tutti in giardino, e fanno la guardia contro i
visitatori… indesiderati.»
«L’ha
davvero presa giù male» gracchiò
Endimione, mentre Artemide usciva dalla stanza
per dirigersi alla porta.
Dal
salotto, la padrona di casa urlò: «E’
lui che è un bastardo!»
«Linguaggio!»
urlarono per contro gli altri e le due gemelle, udendo quel gran
baccano, si
svegliarono, scrutando curiose il volto esasperato del padre.
«Ehila,
Xena… Buffy… guardate un po’ chi
abbiamo qui?» mormorò Felipe, facendo loro il
solletico sotto il mento.
Delia
e Daphne risero di quei nomi e, nel prendere in braccio le sorelle,
chiosarono
assieme: «Non darete veramente loro questi nomi,
giusto?»
«Saranno
solo i soprannomi» promise Felipe, mentre il rumore di
parecchie voci si faceva
largo nella casa. «Dal caos che sento, direi che sono
arrivati i nonni
paterni.»
Neppure
dieci secondi dopo, Carlos e Anita Rodriguez si affacciarono sulla
stanza già
affollata e, nel vedere le nipotine, si illuminarono in viso, aprendosi
in
larghi sorrisi.
Artemide
fece gli onori di casa, presentando le loro figlie, le rispettive
famiglie e
lasciando per ultimo Endimione, cui Anita regalò un sorriso
di autentico
benvenuto, condito da una pacca sulla spalla di Carlos.
Di
comune accordo, il folto gruppo si trasferì nel salone e,
nel farlo, Endimione
si affiancò a Felipe per sussurrare: «Sei sicuro
che non ci siano problemi? Sì,
per il fatto che io e Artemide abbiamo avuto due figlie
assieme.»
Felipe
gli sorrise tranquillo, replicando: «La mia famiglia
è di larghe vedute, e
adotteranno in automatico anche te e le tue figlie, non dubitare.
Chiedi a
Érebos come lo hanno accolto, se hai qualche dubbio in
merito.»
Endimione
assentì, un poco rasserenato ma, quando vide Artemide
coccolata da Anita e
Carlos, e le sue due figlie trattate alla stregua di nipoti non viste
da tempo,
qualsiasi dubbio venne fugato.
Fu
però il latrato dei cani della dea silvana a sorprendere i
presenti e,
accigliandosi immediatamente, Artemide si catapultò alla
porta – pronta a dar
battaglia – solo per trovarvi innanzi un enorme cesto colmo
di regali.
Sorpresa
e vagamente sospettosa, afferrò la busta col fiocco rosa che
capeggiava sul
cesto di proporzioni imbarazzanti e, nel notare la scrittura del padre,
fu sul
punto di gettarla.
La
mano di Felipe però la bloccò e, nel sorriderle
dolcemente, mormorò:
«Concedigli una possibilità.»
Il
broncio di Artemide si fece più evidente ma
accettò suo malgrado e, nel
dispiegare la lettera, lesse a mezza voce per entrambi:
«Spero che le bimbe
stiano bene e mi congratulo con voi per la vostra nuova famiglia. Se lo
vorrete, nettare e ambrosia sono nella cesta, perché anche
le vostre figlie
abbiano la benedizione del pantheon tutto… assieme a una
collezione di
pannolini che, mi dicono, servano in gran quantità, nei
primi mesi.»
Felipe
sorrise divertito, celiando: «Ho idea che non sia molto
esperto in materia,
vero?»
«No.
Lui si divertita a mettere incinte le donne, non tanto a prendersi cura
dei
pargoli avuti da loro» sottolineò imbronciata
Artemide.
«Vai
avanti… non conosco il greco antico, ma credo che la lettera
non sia finita» la
rimbeccò dolcemente Felipe.
Sbuffando,
la dea assentì e proseguì nella lettura.
«Quando
e se lo vorrete, verrò personalmente per benedirle,
così come feci a suo tempo
per Delia, Daphne e Hector, e come feci anche per Alekos. Inoltre,
vorrei che…»
A
quel punto, Artemide si interruppe, sgranò gli occhi per un
istante prima di
assottigliarli, accartocciare la lettera e gettarla infastidita a
terra. Questo
gesto sorprese Felipe, che subito la raccolse per ogni evenienza.
La
dea non si degnò di dare alcuna spiegazione del suo gesto e,
senza dire nulla,
uscì di casa per raggiungere le altalene che, pochi mesi
prima, avevano fatto
montare nel giardino.
Lì,
si sedette in solitudine mentre Felipe, dispiegando di nuovo il foglio,
scrutò
dubbioso Delia e Daphne prima di fare loro un cenno del capo.
Le
due donne assentirono, avviandosi all’esterno per raggiungere
la madre e
Felipe, nel consegnare la lettera a Endimione, domandò:
«Puoi finire di
leggerla, per favore?»
Lui
assentì e, nello scorrere il testo fino al punto in cui
Artemide si era
bloccata, sorrise appena e mormorò: «Oh,
…ora capisco perché si è infuriata. Il
sommo Zeus dice questo: “Spero che
vorrai
esprimere i miei ringraziamenti al tuo compagno e ai suoi genitori. In
quanto a
tua madre, che Hermes ha tanto cercato per te, si trova a Kos, suo
luogo
d’origine, sotto le mentite spoglie di una vecchia di nome
Talia, Non ama
essere disturbata, ma credo che per te e tuo fratello farebbe
un’eccezione.”
«Bingo!»
esalò sorpreso Felipe. «Dice altro?»
«Dice
soltanto che anche Era si felicita con voi, ma credo che questa sia una
forzatura bella e buona» terminò di dire
Endimione, riconsegnandogli la
lettera.
Anita
non disse nulla. Si limitò a sorridere al figlio prima di
uscire a sua volta da
casa mentre Carlos, serio in volto, mormorava pensieroso: «Ne
capisco poco di
dèi e quant’altro ma, quando il grande capo si
abbassa ad avvicinarsi di
soppiatto come un mendicante, qualcosa vorrà pur
dire.»
Akelia
annuì e, nel coccolare Xena – mentre Buffy era tra
le braccia di Theodoros –,
dichiarò: «Quando seppi la verità da
Daphne, per poco non mi venne un infarto.
Ma quando la tua futura suocera si presenta in una nuvola di fumo
argentato,
puoi prendere la cosa per buona o diventare matta.»
«Athena
fu un po’ più dolce di così, ma fu
comunque abbastanza diretta… anche se va
detto che mio figlio Miguel ci mise in guardia ben più di
una volta» assentì
Carlos, sorridendole comprensivo.
«Loro
vedono il mondo in termini di millenni, e temo che anche i loro
battibecchi
possano durare altrettanto, perciò credo che ciò
che ha fatto oggi il sommo
Zeus possa essere visto come un evento epico» ammise
Endimione. «Se pensiamo
che Eos ha impiegato più di due millenni per vendicarsi di
Artemide, pochi anni
per tentare di dirimere un bisticcio possono essere visti come uno
starnuto,
per noi mortali.»
Tutti
assentirono pensierosi, lasciando che le parole di Endimione
galleggiassero
come un monito nell’aria ma Hector, di fronte alle loro
espressioni per lui
troppo serie, borbottò: «Posso uscire
anch’io? Mi annoio un po’.»
Theodoros
assentì con un risolino, asserendo: «Vai a
rallegrare la nonna.»
«D’accordo!»
esclamò il bambino prima di fermarsi di fronte a Felipe,
sorridere e
aggiungere: «Le mie zie sono molto belle.»
Ciò detto, corse fuori e
Felipe, in cuor
suo, sperò che Artemide non se la prendesse troppo per il
tentativo di suo
padre di cancellare, una volta per tutte, quella divisione tra loro.
Dondolando
silenziosa sull’altalena mentre Hector la imitava e Delia e
Daphne erano sedute
sull’erba, le gambe intrecciate e le mani sulle ginocchia,
Artemide tornò con
la mente al testo della lettera.
Lui
aveva sempre saputo dove Latona si
era nascosta, ma non aveva mai tradito il suo bisogno di solitudine.
L’aveva
protetta dalla curiosità dei suoi stessi figli, per un suo
perverso senso di
rispetto nei confronti della donna che aveva generato la sua progenie.
«Ánghelos…»
mormorò Artemide,
sorprendendo tutti i presenti.
Alcuni
istanti dopo, in uno scintillio dorato, Hermes fece la sua apparizione
e,
contrito, il fratello le si inginocchiò accanto, mormorando:
«Al tuo servizio,
sorella.»
Lei
si limitò ad allungare le mani, chinarsi verso di lui e
baciargli i riccioli
biondo cenere, prima di dire: «So dov’è
la mamma.»
Hermes
levò il capo per la sorpresa, fissandola pieno di speranza e
Artemide,
scrollando le spalle, chiosò: «Non avresti potuto
trovarla neppure volendo. Ha
le sembianze di una vecchia, ed è sotto la protezione di
Zeus, a Kos.»
Sbattendo
le palpebre, Hermes gracchiò: «Ne…
protegge l’anonimato?»
«A
quanto pare, sì. Non chiedermi perché,
poiché a questo punto non mi reputo più
in grado di capire le persone, tanto meno gli dèi, ma
tant’è. Si fa chiamare
Talia, e vorrei che le recapitassi un messaggio da parte mia. Dille che
ha
delle nipoti e un pronipote, e sarei felice se volesse
conoscerli.»
«Tutto
ciò che desideri, sorella.»
Agile,
Hermes si rialzò per andarsene, ma Artemide lo
afferrò a un braccio,
aggiungendo: «Ancora una cosa…»
«Dimmi.»
«Vorrei
venissi qui a fare da baby-sitter a Xena e Buffy»
dichiarò lei, sorridendo di
fronte alla sua espressione basita. «Penso che mi piacerebbe
molto vederti
impegnato con pannolini e creme.»
Hermes
arrossì di piacere e assentì, dichiarando:
«Lo farò con piacere, sorella.»
«E…
Hermes…» mormorò poi Artemide,
rimettendosi in piedi.
Il
dio deglutì dubbioso, annuendo di fronte al suo sguardo
imperscrutabile ma,
quando la sentì parlare, desiderò nuovamente
mettersi a piangere, esattamente
come era accaduto di fronte a Érebos.
«Non
te lo dirò una seconda volta, perciò
accontentati. Ti voglio bene, fratellino,
e la prossima volta che sentirai di essere solo, vieni da me, o giuro
che ti
caverò i peli dal corpo uno alla volta, tanto che
desidererai il trattamento di
total body di Afrodite, piuttosto
che
sopportare la mia tortura. Ti è chiaro il
concetto?»
Lui
assentì, la abbracciò rapidamente e, con un bacio
sulla guancia, defilò in una
nuvoletta di fumo dorato prima che Hector potesse chiedere:
«Nonna, ma cos’è
una total body?»
«E’
un’arma di distruzione di massa che le donne usano contro gli
uomini» ghignò
Artemide prima di sollevarlo dall’altalena, farlo volare alto
ed esclamare: «Ma
io ti difenderò da tutte le total
body
del mondo, amore mio!»
Il bambino rise trillante e Delia,
rivolgendosi a Daphne, chiosò: «E’
passata.»
Kos
sembrava caotica anche nei mesi di bassa stagione e, quando Hermes si
materializzò nel luogo dove, presumibilmente, si trovava
Latona, storse il
naso.
Non
amava il traffico automobilistico, soprattutto perché non ne
capiva la logica,
o le traiettorie, e rischiava spesso e volentieri di finire sotto
un’auto.
Quel
giorno, però, non badò a nulla, né al
suono dei clacson, né tanto meno
all’andirivieni degli scooter lanciati a folle
velocità.
Quel
giorno, aveva un solo compito, e cioè trovare la madre di
Artemide e Apollo.
Seguendo
perciò le poche indicazioni fornitegli dalla dea silvana,
Hermes si avventurò
nel centro della cittadina marittima fino a portarsi nei pressi delle
rovine
del tempio dedicato a Dioniso.
Lì,
come gli era stato detto dalle sue fonti, trovò una donna
anziana intenta a
sistemare una bella aiuola fiorita. Sembrava serena e in pace col
mondo, niente
affatto turbata dai rumori caotici che la circondavano.
Era
lì, ma era come se fosse del tutto distaccata dal mondo che
le scorreva
attorno.
Neppure
in mille anni avrebbe riconosciuto, in quella magrolina signora in
chemisier
fiorato, la giunonica e statuaria Latona delle leggende. Anche gli
avvoltoi di
Ares erano stati ingannati da quella magia, così come i
segugi di Artemide a
suo tempo.
Ciò
che gli rimaneva del tutto estraneo era il motivo per cui Zeus ne
avesse
mantenuto l’anonimato in tutti questi millenni, e
perché la donna non si fosse
più avvicinata ai suoi figli.
Schiarendosi
perciò la voce per annunciare la sua presenza, Hermes
sorrise a una sorpresa
donna e, con un leggero cenno del capo, mormorò:
«Giungo a voi in pace,
titanide Latona. Reco notizie dei vostri figli, se avrete la
compiacenza di
prestarmi orecchio.»
Gli
occhi cerulei della donna si sgranarono lentamente, di fronte a
quell’inconsueto messaggio e, rialzatasi che fu, si
rassettò la veste e
replicò: «Se Zeus ti ha permesso di raggiungermi,
avrà avuto i suoi buoni
motivi… cos’hai dunque da dirmi, ánghelos?»
«Reco
la notizia delle ultime nate di vostra figlia Artemide, e del suo
desiderio di
mettervi al corrente che avete quattro nipoti femmine e un pronipote
che
sarebbero felicissimi di conoscervi» le spiegò
Hermes, sorridendole cordiale. «Apollo
sarebbe egualmente felice di rivedervi, pur se il suo carattere
indipendente
non lo farebbe mai ammettere un simile pensiero.»
Latona
sospirò, invitò Hermes ad accomodarsi su una
delle vicine panchine e, dopo
averlo imitato, domandò: «Zeus ti ha detto
perché io sono qui, sotto mentite
spoglie?»
«Non
ho osato chiedere» ammise il dio, scuotendo il capo.
«Per
il benessere delle genti… perché la pace regni
sull’Olimpo e la Terra» disse
con semplicità la titanide, sorprendendolo non poco.
«Era si infuriò così
tanto, per la mia gravidanza, che lanciò così
tanti anatemi da rendere
invivibile qualsiasi luogo sulla Terra, per me, a parte la mia patria
natia,
che Zeus protesse al solo scopo di darmi un luogo in cui
vivere.»
Hermes
sospirò demoralizzato, mormorando: «Vi
è dunque impossibile abbandonare questi
luoghi?»
«Esattamente.
A meno di non voler far scoppiare una guerra contro Era, cosa che non
voglio
assolutamente. Ha tutte le ragioni per odiarmi, visto che io ho
generato i
figli di suo marito ma, soprattutto, perché ho desiderato quei figli da lui.»
Hermes,
a quel punto, sgranò gli occhi per la sorpresa e Latona,
sorridendo divertita,
aggiunse: «Pensavi che Zeus mi avesse violentata? O circuita?
Niente di tutto
ciò, ánghelos.
Proprio per questo,
Era mi odia tanto, e odia ancora di più i miei figli.
Perché io e Zeus abbiamo
sempre avuto questo legame speciale. L’unico modo per tenere
me e i miei figli
al sicuro, è stato stare lontani.»
«Ma…
non sarebbe giusto che voi viveste assieme alla vostra famiglia, in
barba alla
furia di Era?»
«Mi
giocai questa possibilità quando chiesi ai miei giovani
figli di commettere uno
sterminio, e solo per la mia lesa vanità. Mi approfittai del
loro amore, loro
che erano ancora giovani virgulti facilmente malleabili, e feci
massacrare la
famiglia di Niobe soltanto perché non ero stata in grado di
essere umile»
replicò mesta Latona, scuotendo il capo. «Merito
sia l’ira di Era che la
segregazione che mi sono imposta a causa di ciò che feci a
Niobe. Non sono
stata una brava guida per i miei figli, perciò non credo di
meritarli, né di
poter dare loro grandi insegnamenti.»
«Tutti
noi abbiamo sbagliato, in passato, ma ognuno di noi merita una seconda
possibilità» sottolineò Hermes, sapendo
di parlare anche a se stesso, oltre che
alla titanide.
Latona
gli batté una mano su un braccio, sorridendo gentilmente, e
asserì: «E’ questa
la mia seconda possibilità. Ho
concesso ai miei figli di crescere e tenersi lontani da una donna che
li ha
spinti a commettere degli omicidi senza alcuno scopo logico, se non la
vanità.
Da quel che mi hai detto, Artemide ha già quattro figlie, e
una di esse ha
avuto a sua volta un figlio. Sono lieta per lei, e pregherò
per tutti loro,
così come pregherò che anche Apollo possa trovare
una compagna – o un compagno
– che lo ami come merita.»
«Potrò
dire loro che, se vogliono, possono venire a visitarvi?»
domandò speranzoso il
dio.
«Non
è loro vietato… ma non ne vedo il motivo. Hanno
vissuto bene anche senza di me,
fino a ora» scrollò le spalle Latona, rassegnata
ma tranquilla.
«Ho
scoperto a mie spese quanto, la vicinanza con le persone a cui vogliamo
bene,
sia vitale… anche se spesso non ce ne rendiamo
conto» ammise Hermes, esibendosi
in un sorriso sghembo e pieno di contrizione.
Latona
assentì lentamente e, alla fine, disse: «Non
impedirò loro di trovarmi, lo
prometto.»
«Mi
basta. Grazie per la vostra disponibilità, titanide Latona.
Sarò lieto di
portare questa notizia a mia sorella e mio fratello»
mormorò Hermes, levandosi
in piedi con un balzello allegro.
«Grazie
a te, Hermes» replicò la donna, sospirando e
lasciando che il suo aspetto
tornasse quello della Latona delle leggende.
Il
dio sgranò gli occhi di fronte a tanta bellezza e, pur
sapendo che gli umani
non erano in grado di vederli – la protezione di Zeus era
attiva anche in quel
senso – Hermes si guardò intorno con espressione
ansiosa.
Una
simile beltà poteva attirare mille e più sguardi
ma, grazie al potere del padre
degli dèi, nessuno volse lo sguardo verso di loro, e i
presenti si limitarono a
ignorarli, come se non esistessero.
Sorridendo
a Hermes, Latona si levò dalla panchina, gli strinse la mano
e dichiarò:
«Smetterò di nascondere il mio volto al mondo. Se
mai i miei figli verranno
qui, voglio che mi vedano con le sembianze che avevo quando li ho
lasciati a
loro stessi, e non con un volto che non mi appartiene.»
«Lo
trovo più che giusto» assentì Hermes,
chinandosi per un elegante baciamano
prima di svanire in una nuvola dorata.
Ora che aveva risolto con Latona,
gli
mancava solo un’unica cosa da fare.
Il
tempio di Era non era il classico edificio ricco di colonnati e dalle
ampie
scalinate quanto, piuttosto, un piccolo tempietto dotato di una cupola
tondeggiante e dal pronao circolare.
Quando
Hermes ne varcò le soglie, avvertì distintamente
il suono di una cetra
mirabilmente suonata e, non appena ne comprese l’origine,
sorrise.
Una
delle ancelle di Era stava suonando lo strumento con mani abili, mentre
le
altre ragazze al seguito della dea si stavano occupando di acconciare
la chioma
bionda della sposa di Zeus.
Nell’avvertire
la sua presenza, però, Era levò una mano per
interrompere il lavorio delle sue
dilette e, nel congedarle, si volse a mezzo sull’ottomana per
scrutare il
messaggero degli dèi.
«Cosa
ti porta qui, ánghelos?
Mio marito mi
sta convocando in via ufficiale?» domandò Era con
tono austero e freddo.
Se
con lui la dea non si era mai comportata in modo arrogante, non aveva
mai
neppure brillato per simpatia ma, tenendo conto di ciò che
aveva dovuto subire
da Zeus, Hermes non si era mai fatto illusioni sul loro rapporto.
Per
lo meno, Era non aveva mai trattato sua madre Maia con rabbia o sete di
vendetta.
Inchinandosi
perciò con educazione, Hermes mormorò:
«Reco una richiesta e una preghiera, se
mi sarà concesso di parlare, divina Era.»
La
dea scosse una mano come per liquidare il suo dire troppo affettato e,
accavallando le gambe, replicò: «Non
c’è bisogno dei salamelecchi, Hermes.
Dimmi pure ciò che ti arrovella tanto, senza preoccuparti
della semantica.»
«Vorrei
con tutto il cuore che lasciaste incontrare Artemide, Apollo e Latona,
senza
che questo scateni una reazione da parte vostra.»
Al
suono di quei nomi, Era si irrigidì nella postura e, per un
attimo, Hermes
temette che la dea richiamasse le sue ancelle per cacciarlo dal tempio,
ma ciò
non avvenne.
La
divinità si limitò a sospirare, si
passò una mano sul viso e infine domandò:
«E
tutto ciò perché?»
«Reputo
che sia giusto che una madre possa vedere i propri figli,
così come una nonna
possa incontrare e conoscere i propri nipoti» si
limitò a dire Hermes. «Lo
riterrei un nobile gesto da parte vostra, divina Era.»
«Tu
non ne sei personalmente coinvolto, però. Quindi,
perché sei tu a perorare
questa causa?» si interrogò la dea, levandosi
dall’ottomana per avvicinarsi al
dio.
«Perché
amo i miei fratelli, e desidero che siano felici. So che il Sommo Zeus
mio
padre vi ha arrecato offesa, commettendo hybris
nei confronti di molte donne, e avendo da esse altrettanti
figli… ma ci
tengo a dirvi che noi non ne
abbiamo
colpa, e siamo vittime al pari vostro. Non desidero irritarvi, divina
Era, ma
sono pronto a pagare un pegno per la vostra indulgenza, se lo riterrete
giusto»
disse Hermes, piegandosi su un ginocchio di fronte alla dea.
«Non
ne avete colpa…» mormorò la
divinità, sfiorando con delicatezza i riccioli
ribelli di Hermes. «Sì, questo lo so. Ma
è ugualmente difficile vedervi
scorrazzare per il mondo, come un costante memento
dell’infedeltà di mio marito.»
Hermes,
a quel punto, levò il capo con un sorriso truffaldino,
ammiccò alla dea e
replicò: «Se è questo a preoccuparvi,
potreste replicare a infedeltà con
infedeltà, divina Era e, se lo riterrete degno pegno, io
sarò il vostro toy boy
fino a quando sarà necessario.»
La
dea sgranò gli occhi di fronte alla sfrontatezza del dio, ma
questo la portò
anche a ridere sguaiata, liberandosi un poco dal continuo senso di
rabbia che
le covava in seno.
Sempre
ridendo, Era lo prese per mano, sollevandolo da terra e, nel dargli un
bacio
sulle labbra, chiosò: «E’ una proposta
allettante, e la vaglierò con
attenzione. Per ora, vai pure a dire ai tuoi fratelli che non mi
infurierò, se
anche visiteranno Latona. Voi pensate che io sia crudele a prescindere
ma, se
ogni tanto le cose mi venissero semplicemente chieste,
invece di farle sempre alle mie spalle, forse non mi
arrabbierei poi così tanto, no?»
«Credo
di cominciare a capire, sì» assentì
Hermes, inchinandosi con uno svolazzo prima
di strizzarle l’occhio e abbandonare il tempio in uno
scintillio dorato.
Era
sospirò nel vederlo andare via e, nel richiamare le sue
ancelle, domandò loro
con ironia: «Che ne dite, mie dilette? Dovrei provare a
gustare le carni del
giovane Hermes?»
Le
ancelle risero imbarazzate, facendo sorridere per diretta conseguenza
Era che,
tornando a sistemarsi sulla ottomana, pregò le sue dilette
di proseguire con
ciò che stavano facendo in precedenza.
Dopotutto, ci avrebbe pensato su.
In
fondo, che male avrebbe fatto fantasticare un po’?
Artemide
fissò schifata un soddisfattissimo Hermes che, spaparanzato
sullo sdraio nel
giardino di Athena, aveva appena terminato di enumerare i suoi
molteplici
successi e la sua proposta fatta a Era.
Anche
Athena fissò leggermente disgustata il fratello e,
servendosi della limonata
fresca, domandò: «Ma era proprio il caso di
proporle una cosa simile? Non sei
un gigolò, sai? Non devi abbassarti a tanto.»
«Siete
soltanto delle puritane, sorelle, e non vedete il quadro
d’insieme come lo vedo
io» sottolineò per contro Hermes, strizzando
l’occhio ad Alekos.
Il
ragazzo rise divertito e Hermes, con una scrollatina di spalle,
aggiunse: «Io
ci guadagnerei un’amante – cosa che non guasta mai,
per uno scapolo incallito
come me – e Zeus dovrebbe rodersi il fegato,
perché mai farebbe del
male a un proprio figlio, no?»
Le
due sorelle lo fissarono basite per un attimo, prima di scoppiare in
una grassa
risata di gola, cui si unì – più
civilmente – anche Érebos.
«A
questo non avevo affatto pensato! Zeus non ti toccherebbe
perché non si
sognerebbe mai di danneggiare la propria progenie per
una donna, ma dovrebbe rosicare perché, per una
volta, sarebbe
Era a tradire e non il
contrario!»
sghignazzò Artemide, tergendosi lacrime
d’ilarità.
«Visto?
E’ un piano geniale» ghignò a sua volta
Hermes.
«Alekos…
non prendere esempio da tuo zio. Queste non
sono cose da farsi» sottolineò Athena,
pur battendo una mano sul braccio a
Hermes con aria complice.
Alekos
si asciugò una lacrima di ilarità, esalando:
«Credo che farei molta fatica a
pensarmi così assieme a
nonna Era.»
Gli
adulti tremarono al solo pensiero e Felipe, nell’osservarli
con espressione
esasperata, borbottò: «Avete una morale davvero
discutibile, voi divinità…»
«Non
badiamo molto alle parentele, lo ammetto…»
celiò Athena, sorridendo e
ammiccando a Érebos, che scrollò le spalle come
se niente fosse. «… ma per noi
è normale. Anche se Era è la moglie di mio padre,
nulla vieterebbe a Hermes di
prenderla come amante, pur se lui è figlio di Zeus. La cosa
che ci fa
inorridire è che nessuno di noi sopporta Era, non il fatto
che Hermes andrebbe
a letto con la donna di suo padre.»
«Ribadisco…
avete una mentalità contorta e una morale inesistente, ma
tant’è…» sospirò
Felipe, scuotendo il capo.
«Scusa,
tesoro» gorgogliò Artemide, dandogli un buffetto
sulla guancia.
In
uno scintillio dorato, Apollo fece la sua apparizione nel giardino di
Athena e
Artemide, salutatolo con un gesto della mano, disse: «Alla
buon’ora! Ti ho
mandato un sms un milione di anni fa!»
«Erano
solo due ore fa, sorella, e ho anch’io una vita,
sai?» brontolò Apollo,
affacciandosi sulle culle delle gemelle per fare loro le moine.
«Voi non
diventerete permalose e sociopatiche come la mamma, vero?»
«Sociopatica
a chi?!» ringhiò Artemide, placcata in extremis da
Felipe prima che potesse
scagliare un calcio negli stinchi al fulvo dio del sole.
Apollo
si scansò per ogni evenienza e, fissando con aria di
sufficienza la gemella,
replicò: «A te, visto che hai un carattere davvero
pessimo.»
Ciò
detto, si rivolse a Hermes e domandò: «Allora
è vero che hai trovato nostra
madre?»
«Per
gentile concessione di nostro padre Zeus. Vi attende a Kos e, rullo di
tamburi,
Era non dirà alcunché. Avete il suo
beneplacito» dichiarò soddisfatto Hermes.
«Che
diavolo le hai promesso, per non farla sbarellare al solo sentir
nominare
nostra madre?» biascicò Apollo, sconvolto.
«Zio
Hermes andrà a letto con Era, se lei lo
richiederà al suo cospetto» gorgogliò
tutto divertito Alekos.
Apollo
impallidì leggermente, a quella notizia, e
bofonchiò: «Beh, caro fratello, ti
ringrazio per il sacrificio, ma non era necessario. Posso anche vivere
senza
vedere mia madre, sai?»
«Non
fare l’insensibile, Apollo. A tutti fa piacere vedere la
propria madre, ogni
tanto… ammesso che non sia una pazza vendicativa con la
mania dell’omicidio…»
sottolineò Hermes, facendo sorridere tutti per i sottintesi
di quella frase.
«Terrò buona la Virago per tutto il tempo che
sarà necessario… ammesso che mi
chiami al suo cospetto, è ovvio. Io, da parte mia,
otterrò di fare un dispetto
a nostro padre e un favore a una dea taaanto
bisognosa di affetto.»
«Hai
una mente malata, fratello, ma ti voglio bene lo stesso»
dichiarò a quel punto
Apollo, levando un pugno verso Hermes, contro cui l’ánghelos batté il
proprio.
Forse
gli incubi non sarebbero spariti del tutto e sarebbero tornati a
infastidirlo
ancora, negli anni a venire, ma ora sapeva di poterli affrontare.
Sapeva
di non aver tradito la fiducia di Jane, e di avere il perdono di
Claire, e
questo era il miglior balsamo contro il dolore. Oltre a una famiglia
allargata
un po’ sopra le righe ma molto, molto unita come la sua.
N.d.A.:
qui si chiude la disavventura di Hermes, che apre automaticamente nuovi
possibili scenari (che combinerà, Era? Accetterà
l'offerta di Hermes?) e tante altre avventure. Spero di avervi chiarito
un po' le idee sul nostro Messaggero degli Dèi un po'
mattacchione.
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