CAPITOLO
14
-SI APRONO LE DANZE-
Nei
giorni successivi nessuno dei due riuscì più a
sfuggire alle ore quotidiane di lezione. Ogni minuto passato in
compagnia delle dame di corte, che le insegnavano come si sarebbe
dovuta porre al banchetto, faceva sentire Freya sempre più
inadeguata.
Il mattino di quello che per la corte sembrava un gran giorno
trovò il castello in una frenesia di preparativi che la
ragazza faticava a capire. Insomma, era davvero necessario mettere in
piedi una baraonda del genere solo per celebrare il suo arrivo? Non
aveva mai chiesto nulla di simile, né tanto meno lo voleva.
Ogni volta che le sovvenivano pensieri simili, in ogni caso, si
ripeteva la stessa identica cosa: aveva scelto quella vita, ora ne
doveva seguire le regole.
Per tutto il giorno, fu tenuta nella propria stanza da Malia, che
insistette per farla preparare a ogni evenienza. Essendo stata nominata
responsabile della sua istruzione sul galateo, la donna sembrava del
tutto intenzionata a non farla sfigurare e a non sfigurare lei stessa.
Per quella ragione, continuò a farle ripetere tutte le frasi
di circostanza che avrebbe dovuto sapere, la riverenza giusta da
praticare in presenza dei nobili, il portamento che doveva tenere. Nel
mentre, la Sala del Trono veniva preparata con tutta la dedizione dei
mastri di palazzo e le cucine sfornavano tutte le leccornie possibili e
immaginabili; tra un ripasso e l'altro, l'ancella le descrisse nel
minimo dettaglio lo sfarzo a cui si sarebbe trovata dinnanzi.
Quando, nel tardo pomeriggio, Madama Cloelia in persona venne a
portarle l'abito, i nervi di Freya erano già stati messi a
dura prova. La sarta restò per dare una mano a Malia e le
due donne la vestirono parlottando energicamente fra di loro. La
giovane le sentiva dire quale meravigliosa serata sarebbe stata per lei
e quanto incantevole sarebbe stata dopo che avrebbero finito di
prepararla, ma l'unica cosa che lei riusciva a provare era un vago
senso di nausea.
Cloelia controllò che ogni dettaglio dell'abito fosse come
doveva essere, poi si congedò per lasciare che Malia
ultimasse i preparativi. Nel lasciare la stanza, disse a Freya:
«Porta la mia creazione con orgoglio. Io ne vado molto fiera,
come ben sai, perciò non mi aspetto nulla di meno.»
Naturalmente, più che incoraggiarla, quelle parole servirono
ad aumentare ancor di più la sua ansia. Si lasciò
pettinare agitandosi a disagio sulla sedia, non sentendosi per nulla
partecipe di quello che le stava accadendo attorno, soprattutto di
quell'esagerato entusiasmo generale. Era come se gli eventi si stessero
evolvendo senza che lei ne avesse minimamente il controllo.
Fortunatamente, Malia le concesse almeno di lasciare i capelli
piuttosto liberi: si ritrovò la parte superiore intrecciata
in una trama complicata, ornata da piccoli fermagli in ferro lavorato,
e la parte inferiore in morbide onde sulla schiena. L'ultima cosa che
indossò fu il medaglione di sua madre, prendendosi un attimo
per osservarne lo sconosciuto disegno.
Nonostante il suo desiderio che la sera giungesse il più
tardi possibile, presto le ombre presero ad allungarsi lungo le pareti;
il cielo iniziò a imbrunire, tingendosi di sfumature
violacee e aranciate. Quando venne mandata a chiamare, Freya non ebbe
altra scelta che lasciare la sua stanza. Procedette lungo i corridoi
sempre più nervosa, pregando silenziosamente di non
inciampare nel vestito e fare una figura tremenda di fronte a tutti.
Presto, raggiunsero la Sala del Trono. La prima cosa che Freya
notò, giunta al cospetto della grande porta, fu l'allegro
vociare che proveniva dall'interno. Rimase lì davanti,
immobile, per quella che le parve un'eternità. Poi, il
portone si spalancò, rivelando la luccicante sala, e
più lo spiraglio fra i due battenti si allargava
più gente lei scorgeva. Le lanterne cangiavano lungo le
pareti, proiettando le loro ombre affusolate contro la pietra grigia e
solida.
Il mosaico sul soffitto fu la prima cosa che le saltò
all'occhio, brillando fulgido in ogni punto in cui le pietre
catturavano la luce. Solo in un secondo momento rivolse la propria
attenzione a tutto il resto: tre lunghi tavoli erano stati disposti
paralleli l'uno all'altro al centro del salone; lungo le pareti
cadevano drappeggi di morbida stoffa, in un tripudio di viola e
porpora, il colore ufficiale del Regno; uno stendardo con l'effige di
Errania era stato appeso dietro al trono e la filigrana d'oro di cui
era intessuto brillava fioca nella luce.
La Regina era seduta a capo del tavolo centrale, affiancata da Darragh
e Aran, uno alla sua destra e l'altro alla sua sinistra.
Capì solo allora, con tutti quegli occhi puntati su di
sé, che ogni cosa era stata calcolata per far sì
che lei fosse l'ultima a fare il proprio ingresso e che l'attenzione
dell'intera sala fosse puntata su di lei. Solo un posto era rimasto
libero, accanto ad Aran. La ragazza tirò un sospiro di
sollievo all'idea di averlo accanto e fu l'ultima cosa che
poté fare.
Mirea si alzò, maestosa nel suo abito viola scuro, e ottenne
il silenzio con una sola occhiata. «Membri della corte di
Errania, sono lieta di avervi tutti qui riuniti. Finalmente
è giunto il momento di trovare qualcosa per cui gioire e
l'arrivo di questa giovane promessa lo è. Con immensa e
malcelata gioia, oggi voglio celebrare il ritorno tanto atteso di
Freya, figlia adorata di Eleana e Harden, i cui nomi voi tutti
ricordate. Vogliate unirvi a noi in questo giorno di festa»
parlò, la sua voce era chiara, forte e ferma. Sembrava che
nulla potesse far vacillare quella donna.
La Regina fece cenno a Freya di avanzare. I musici, discretamente posti
in un angolo, intonarono una melodia per accompagnare la sua marcia. I
nobili presenti applaudirono composti, alzandosi dalle loro sedie
imbottite e rivolgendole sorrisi che avevano ben poco di genuino,
traditi dal gelo dei loro sguardi. Le sembrò che ci fosse
qualcosa di tremendamente sbagliato in quello che stava facendo, ma
giunse comunque al proprio posto.
Non appena la vide arrivare Aran si alzò e, con sorpresa di
Freya, le scostò la sedia per farla accomodare. Lo
guardò cercando di capire se gli fosse stato detto di fare
così oppure fosse stato un gesto istintivo; fu l'espressione
del servitore alle sue spalle e, soprattutto, le sue mani tese verso lo
schienale dello scranno, a farle capire che la più corretta
era la seconda opzione. Gli rivolse un sorriso, quasi sopraffatta dalla
felicità di averlo accanto. Sentì vagamente la
musica continuare e la Regina che ordinava di far portare in tavola il
cibo, mentre il chiacchiericcio avvolgeva nuovamente l'ambiente.
«Sei un incanto» le disse solamente Aran e quel
complimento fece arrossire lui quanto lei.
Le era stato rivolto in maniera così sincera che aveva
sentito immediatamente il calore salirle alle orecchie. Per alleggerire
quell'attimo di imbarazzo, Freya ribatté: «Anche
tu non te la cavi affatto male.»
In effetti, la sua fu solo in minima parte una battuta: anche lui era
splendido nella sua tunica blu notte di pregiato tessuto, ornata solo
dai fermagli del mantello, e nei suoi calzoni d'alta fattura di una
tonalità più chiara. Una semplice cintura
borchiata in vita e stivali di lucido cuoio completavano il tutto.
La tavola fu presto imbandita di ogni tipo di cibo: arrosti e brasati
di manzo contornati da verdure abbrustolite e lesse, lucidi di sughi e
salse, maialini da latte con rosse mele in bocca, pesci accompagnati
dalle zuppe più disparate, pani di tutte le fatture. Portato
ogni vassoio, i servitori sparpagliarono lungo i tavoli brocche colme
di vino aromatico e sidro. Poi, si disposero quieti alle loro spalle,
in attesa che qualcuno avesse necessità di loro. A Freya non
piacque che fossero costretti a restare lì a quel modo, ma
sembrava che nessun altro provasse il suo stesso disagio a riguardo.
La cena proseguì tra discorsi e argomenti che la ragazza si
sforzò di seguire ogni qual volta venisse interpellata, cosa
che accadeva spesso dato che tutta l'attenzione era su di lei. Le
sembrava di essere costantemente messa alla prova, sotto quella pioggia
di domande. Quella sensazione l'abbandonava solo quando finalmente
riusciva a parlare con Aran, il quale spesso arrivò in suo
soccorso quando la situazione si faceva troppo pesante. In un modo o
nell'altro, si ritrovò a notare la giovane, era come se non
potessero fare a meno di cercarsi l'un l'altra.
Darragh si rivolgeva a lei di quando in quando, con la consueta falsa
cortesia cui lei rispondeva con freddo garbo. Nonostante a nessuno dei
due facesse piacere la compagnia dell'altro, evidentemente anche il
Principe si era reso conto di non poterla fronteggiare a viso aperto in
un'occasione simile.
Quegli istanti, con grande sollievo di Freya, passarono in un attimo.
D'aiuto furono certamente la cena, deliziosa e sapientemente
orchestrata, e Aran, che la supportò in molte occasioni.
Quando anche le pietanze dolci, che avevano riempito le narici degli
ospiti di un profumino delizioso, furono portate via, Mirea fece alzare
Freya.
La tranquillità che era riuscita ad acquisire
sfumò nel giro di pochi passi. La Regina le chiese di
posizionarsi in piedi accanto a lei, sulla pedana marmorea occupata dal
trono. Nella sala calò il silenzio, mentre gli ospiti pian
piano si alzavano per esserle presentati ufficialmente. In un battito
di ciglia, la ragazza si ritrovò sommersa da una marea di
volti e voci sconosciuti; erano tutti pronti a dirle quanto fossero
felici della sua presenza a Errania e quanto li onorasse fare la sua
conoscenza, un nome altisonante alla volta. Molti le dissero di aver
conosciuto sua madre, ma lei dubitava che la maggior parte di loro
potesse mai aver avuto una buona opinione di lei.
Quando la cortina di persone iniziò a diradarsi, Freya
notò che, con una rapidità sorprendente, i
servitori avevano sgomberato l'immensa Sala del Trono di tutto. Solo un
tavolo era rimasto, fornito di calici e di un'infinita
quantità di bevande aromatiche. Era stato creato un grande
spazio al centro del salone e, a un segnale della Regina, i musici
ripresero a intonare le loro bellissime melodie. Ben presto, danze
tradizionali del Regno di Riagàn presero l'atmosfera di
tutta la sala.
La giovane, che non aspettava altro che una distrazione da parte di
tutti, riuscì finalmente a defilarsi. Un piccolo bovindo
appena fuori la sala fece al caso suo; mentre intorno a lei si
spandevano le note delle più belle ballate dei compositori
umani, la sua attenzione si focalizzò sull'esterno. Si
sedette sul davanzale imbottito di velluto violetto e cercò
di seguire la trama delle lucciole che si inseguivano fra gli steli
d'erba. Pian piano, la musica divenne solamente un sottofondo ai suoi
pensieri.
Si chiese se quella sera fosse la fine della sua ricerca, se davvero
avesse completato il suo percorso verso la verità. La logica
le suggeriva di sì, ma qualcos'altro le diceva, invece, che
la strada era ancora lunga. Non riusciva a pensare che, da quel momento
in poi, la sua vita sarebbe stata fatta solo di balli e cerimonie,
limitata alle sole mura di quel castello. Nonostante le lunghe
settimane trascorse a Errania, ancora non riusciva a contemplare l'idea
che sarebbe stata a servizio di Mirea, se fosse rimasta.
Alla musica degli strumenti si unì ben presto una voce di
donna, probabilmente una musicista; doveva aver messo a disposizione le
sue corde vocali per permettere agli invitati di udire anche le parole
delle canzoni che arpeggiavano nell'aria. Le note, adesso, si erano
fatte più dolci. La notte diventava nel frattempo sempre
più scura. Nonostante facesse ancora caldo, le giornate si
stavano palesemente accorciando. La luna aveva oramai fatto la propria
comparsa, pallida nella sua falce, circondata da una corte di stelle.
Freya si rilassò finalmente un poco; nessuno sembrava badare
più a lei, grazie a quel momento di svago.
Proprio mentre si diceva quanto sarebbe stato piacevole lasciare
semplicemente che quella serata pian piano scivolasse via,
sentì dei passi dirigersi verso di lei. Quando
alzò lo sguardo si ritrovò davanti Aran, che le
porgeva una mano. Non appena la ragazza capì che cosa
intendesse, dapprima scosse vigorosamente la testa.
«Oh no, il ballo non è cosa per me»
spiegò, arrossendo imbarazzata. In effetti, era la
verità: le lezioni prese nelle settimane precedenti non
l'avevano per nulla aiutata a essere più sicura, l'avevano
fatta sentire solo tremendamente goffa.
«Non saresti la ragazza che ho conosciuto fino a ora se
preferissi il ballo a una cavalcata. Questa però
è la tua festa, no?» le rispose lui con un sorriso
che la tranquillizzò, anche se non del tutto.
Quella sera, Aran aveva assunto il proprio ruolo di Principe,
constatò Freya, osservando in lui un lato cavalleresco
stranamente affascinante. Avrebbe potuto scegliere la compagnia di
qualunque altra ragazza presente nella sala, si rese conto.
Probabilmente, tutte quelle giovani nobili sarebbero state candidate
ben più adatte a danzare con lui; eppure, Aran era
lì e aspettava lei. Esitando un po', afferrò la
sua mano. Lui rispose alla stretta e la tirò letteralmente
in piedi. Freya non poteva credere di aver accettato, eppure i suoi
passi la stavano davvero portando tra la folla di persone che danzavano
in perfetta armonia nei loro abiti elaborati.
La voce della musicista era incantevole e melodiosa, calda e
avvolgente. Quando la danza riprese, alle note di una piacevolissima
canzone, la giovane si disse che non poteva davvero essere più
complicato che affrontare un duello. E quando i loro primi passi si
unirono a quelli degli altri, capì che probabilmente il
meccanismo era lo stesso: ogni passo avrebbe avuto le proprie
conseguenze e lei doveva essere in grado di prevederle, per vincere. La
sola differenza era che non aveva l'impugnatura di una spada stretta in
mano. Riuscì a rilassarsi, come faceva quando stava per
affrontare un combattimento durante gli addestramenti. Si
ritrovò a pensare che fosse davvero un paradosso che la
tensione si facesse sentire di più in quel momento che non
con di fronte un avversario armato. Le bastò ancora un
attimo perché quell'insieme di passi e giravolte armoniose
diventasse per lei abbastanza naturale da non farle pensare di essere
ridicola agli occhi degli altri. Oltre tutto, si fidava di Aran; ora
non le costava più così tanto ammetterlo. Avrebbe
lasciato che fosse lui a guidarla.
Il ragazzo continuava a tenerle stretta la mano, mentre danzavano. La
musica non accennava a finire e i due giovani mantenevano il contatto
visivo l'uno con l'altra, non curandosi di nessuno. Probabilmente non
si rendevano più nemmeno conto del disegno che i loro piedi
tracciavano sul pavimento: Freya teneva gli occhi puntati in quelli di
Aran e viceversa, solo questo sembrava contare.
I nobili avevano lasciato loro un ampio spazio e ora di tanto in tanto
li osservavano, stupiti. Nel giro di qualche istante gli occhi
dell'intera sala furono puntati su di loro e, anche mentre continuavano
a danzare, gli altri ospiti lanciavano occhiate incuriosite nella loro
direzione. Alla fine, come tutto era iniziato, finì. Le
ultime note degli strumenti rintoccarono vibrando di mille sfumature e
loro si fermarono, senza smettere di guardarsi tanto attentamente da
non accorgesti di quello che stava accadendo attorno.
«Menomale che ballare vi costava immensa fatica, Principe
Aran» sussurrò lei, sorridendo divertita.
Aran ricambiò il sorriso e altrettanto piano rispose:
«Ho detto che faticavo a seguire le lezioni, non che non ne
fossi capace, Lady Freya.»
Ricordarono di non essere gli unici presenti nella sala solo quando
alcuni dei presenti esplosero in applausi e ovazioni. I due giovani
interruppero quasi bruscamente l'intreccio dei loro occhi e si
guardarono attorno, arrossendo entrambi fino alla punta delle orecchie.
Solo allora Freya poté vedere le occhiate inquisitorie che
molti altri le stavano dedicando, come se stessero cercando di scoprire
in lei un qualche secondo fine. Anche Mirea li stava guardando, ma il
suo volto era, come sempre, completamente impenetrabile.
Intenta a osservare la Regina con espressione accigliata, la giovane
non aveva notato la folla che li stava nuovamente sommergendo.
Ritornò alla realtà solo quando Gorman si
avvicinò alla sovrana e prese a sussurrarle parole
sconosciute all'orecchio; quel loro confabulare le diede un brivido,
anche se non avrebbe saputo spiegare perché. Si
voltò nuovamente verso la selva di persone, che nel
frattempo avevano ripreso le loro attività, e si
ritrovò davanti un uomo che non aveva mai visto prima di
allora: alto, capelli e barba brizzolati e ben curati, occhi
neri come la pece.
«Lady Freya. Vorrei presentarvi il membro più
illustre dell'esercito di Riagàn, il generale Nolan.
Organizza e guida tutte le spedizioni militari più
importanti del Regno» lo presentò Darragh, che si
era avvicinato a loro in compagnia del generale.
La sua espressione indecifrabile fece intuire a Freya che c'era
qualcosa sotto fin da subito. «È mio grande
piacere fare la vostra conoscenza, generale» rispose
ugualmente, con educazione.
«L'onore è mio, Lady Freya»
ribatté altrettanto cortesemente l'uomo, tanto che Freya per
un attimo pensò di essersi sbagliata.
Il generale salutò tranquillamente anche Aran, con il quale
scambiò qualche battuta sul proseguimento del suo
addestramento militare. Poi, quando tornò a rivolgersi a
lei, arrivò la frecciata: «Sono rimasto
molto sorpreso nel constatare quale padronanza abbiate della situazione,
considerando l'ambiente da cui provenite.»
Fu solo allora che comprese perché Darragh avesse voluto
presentarle proprio quell'uomo: aveva cercato qualcuno che avesse le
sue stesse convinzioni su di lei, evidentemente deciso a metterla in
difficoltà. Strinse i pugni fra le pieghe del vestito,
stanca e disgustata dalla sua meschinità; non si sarebbe
lasciata mettere i piedi in testa tanto facilmente. Se era veramente
ciò che Darragh voleva, sarebbe stata al suo gioco.
«Vi ringrazio, generale» rispose, esibendo un
sorriso che spiazzò i suoi due interlocutori tanto quanto
Aran. Il giovane la guardava esterrefatto, probabilmente aspettandosi
tutto tranne che una reazione tanto controllata. Mantenendo un tono di
voce estremamente pacato, Freya proseguì: «In
effetti, sapevo ben poco delle arti di corte. Chi lo sa, forse
perché mia madre ha ritenuto più saggio
insegnarmi cose ben più rilevanti e utili alla mia vita
futura.»
Con la coda dell'occhio, la ragazza vide le labbra di Aran ridursi a
una linea, come se si stesse trattenendo allo strenuo dallo scoppiare a
ridere. Impagabile fu però l'espressione di Darragh, un
misto fra frustrazione e astio crescente. Nolan, invece, si
sforzò di restare impassibile, nonostante una leggera
contrazione della mascella rivelasse quanto l'avesse irritato una tale
prontezza di risposta.
La seconda stoccata non tardò ad arrivare: «Deve
essere stato estremamente arduo comprenderne i meccanismi, per una
mente così poco avvezza a un mondo tanto
complesso» disse l'uomo, per poi sorbire con tutta calma un
sorso di sidro dal calice che rigirava fra le dita.
Ancora una volta, Freya sorrise e rispose senza battere ciglio:
«Oh, non dovete temere per me. Imparo in fretta.»
Lo sguardo nero del generale la trapassò da parte a parte,
mentre, con un sorrisetto sardonico, mormorava: «Tale e quale
a vostra madre.»
«Non avreste potuto rivolgermi complimento
migliore» ribatté Freya, producendosi in una
perfetta riverenza. Era arrivato il momento di porre fine a quella
conversazione. «Se volete scusarmi, avrei desiderio di bere
qualcosa. Arrivederci, generale Nolan. Principe Darragh»
concluse perciò, in chiaro segno di congedo.
Solo quando i due si furono allontanati, la giovane si rese conto di
aver serrato i pugni con tanta forza da fermare la circolazione del
sangue nelle proprie mani, attraversate ora da un violento formicolio.
Aran parve accorgersi della sua tensione, perché nel giro di
un attimo le sue dita sfiorarono quelle contratte di lei e la spinsero
a sciogliere la stretta.
«Vieni, andiamo a prendere un po' d'aria. I
giardini sono meravigliosi alla luce dei bracieri» disse
soltanto, prendendola per mano e partendo in direzione dell'uscita.
Effettivamente, più che di bere aveva bisogno di respirare.
Non appena l'aria fresca le invase i polmoni, sentì svanire
le ultime tracce della rabbia che aveva represso. I suoi muscoli
automaticamente si rilassarono e, sollevando un poco l'abito per
evitare di rovinarne l'orlo, continuò a camminare al fianco
di Aran.
Finirono per fare a gara su chi avrebbe raggiunto per primo
l'angolo più remoto dei giardini interni, lasciandosi andare
a un attimo di leggerezza. Fu Aran ad averla vinta, sedendo per primo
su una panca di granito piuttosto isolata. Freya non ne fu affatto
sorpresa, dato che era stato lui a lanciare la sfida partendo senza
preavviso e il vestito che le limitava parecchio i movimenti.
Il ragazzo l'aspettò con le gambe comodamente allungate di
fronte a sé e un sorriso trionfante in viso. «Ti
ho battuta! Sono io che sto migliorando o sei tu che stai diventando
pigra?» esultò, scherzoso.
Freya gli si sedette accanto e gli diede una gomitata altrettanto
giocosa. «È solo la tua serata fortunata. Se non
avessi indossato un abito tanto ingombrante, sarei dovuta restare qui
ad aspettarti per un'eternità» lo prese in giro,
fingendo un fare di superiorità.
Aran ridacchiò, poi per un attimo fu silenzio.
«Hai dovuto fare uno sforzo enorme per non spaccargli la
faccia, non è vero?» le domandò infine.
Freya scoppiò a ridere, prima di voltarsi nuovamente verso
di lui. «Lo so, lo so. Nessuna fanciulla a modo avrebbe mai
pensato di mollare un pugno dritto in faccia a un generale
dell'esercito» rispose.
Aran rise ancora; il banchetto oramai era lontano ed entrambi erano
visibilmente più rilassati. «Avrei chiuso un
occhio se l'avessi fatto» commentò, continuando a
sorridere. Poi, si fece serio. «Sei stata meravigliosa,
questa sera. Non solo hai sostenuto brillantemente tutte le discussioni
in cui sei stata coinvolta, hai anche saputo tenere testa a Nolan con
intelligenza e determinazione. Sei stata molto più educata
di quanto quell'uomo meritasse.»
Improvvisamente, l'espressione di Freya mutò e lo
guardò intensamente, con quei suoi occhi che sembravano in
grado di trapassarti l'anima. «Ci sono riuscita
perché tu eri lì con me. Tu mi hai dato il
coraggio necessario» confessò e, contro ogni
aspettativa, non fu per nulla difficile ammetterlo finalmente ad alta voce.
Aran scosse il capo e rispose con sicurezza: «No, Freya. Ci
sei riuscita perché tu sei coraggiosa e basta, in ogni
momento, senza bisogno che qualcuno ti aiuti ad esserlo.»
Eppure, Freya in quel momento si sentiva tutto fuorché
coraggiosa. Forse era vero che, contro ogni aspettativa, quella sera se
l'era cavata piuttosto bene. Però non dimenticava quale
inquietudine l'aveva colta al pensiero che la sua vita potesse ridursi
a questo. Avrebbe voluto dirglielo, sentiva che in qualche modo glielo
doveva, ma non ci riusciva, non ne aveva la forza. La verità
era che Aran sarebbe stata l'unica cosa difficile da lasciare in quel
luogo. Non la ricchezza, non i privilegi: solo Aran. Quella
consapevolezza la colpì con la forza di uno scroscio di
pioggia improvviso, togliendole il respiro.
Lui dovette accorgersi dal suo silenzio che qualcosa non andava,
perché cercò il suo sguardo, nel tentativo di
capire cosa stesse accadendo dentro di lei. Freya cercò di
evitare quel contatto, conscia che poi sarebbe stata costretta a
parlare, ma non ci riuscì.
Gli occhi grigi del giovane si piantarono nei suoi, incatenandoli, e le
domandò: «Cosa ti sta passando per la
mente?»
Freya tentò di svicolare, ma ancora una volta
fallì. Aran si alzò dalla panca e le si
piazzò davanti, piegandosi sulle ginocchia e costringendola
a guardarlo. Rimase in attesa, senza metterle alcuna fretta. Con un
enorme sforzo di volontà, finalmente la giovane
riuscì a parlare.
«Non importa quanto io sia stata brava, Aran. Questa sera, in
quella sala, non ero io. Quello non era il mio posto, me lo sentivo fin
dentro le ossa, e l'unico momento in cui quel senso di
estraneità mi lasciava andare era quando tu eri al mio
fianco. Quindi sì, è stato anche grazie a te se
non mi sono lasciata sopraffare» disse, le mani strette
saldamente l'una all'altra.
«So perfettamente che a volte qui non ti senti libera di
essere te stessa, Freya, ma nessuno ti chiederà mai di
rinnegare la tua vera natura solo perché ora la tua vita
è cambiata. E anche se dovessero farlo, nessuno
riuscirà mai a importelo. Ne sono certo perché io
so chi sei e so anche che non scenderesti mai a compromessi»
ribatté lui, con assoluta sicurezza.
Freya scosse il capo e si alzò. Aran fece lo stesso e si
ritrovarono i piedi, uno di fronte all'altra.
«Vorrei che fosse vero, Aran, ma se resto qualcosa in me
cambierà inevitabilmente, che io lo voglia o meno. Questo
è quello che facciamo per sopravvivere: ci
adattiamo» rispose ancora lei in un sussurro, non muovendosi
di un passo.
Per un attimo il silenzio calò fra di loro, poi Aran
parlò ancora e lei seppe che aveva capito anche lui
ciò che perfino lei aveva concluso solo quella sera.
«Sai, credo di averlo saputo fin da subito che non saresti
rimasta per sempre» disse, ma nella sua voce non c'erano
traccia di rabbia o delusione. Tornò a sedersi,
con l'aria di chi sta cercando le parole giuste per continuare. Freya,
ancora in piedi di fronte a lui, stette in perfetto silenzio.
«Però non importa» proseguì
infine il ragazzo. «Qualunque cosa tu decida e qualunque
sarà il momento in cui vorrai andare, sento che ora che le
nostre strade si sono incrociate non avrà importanza dove
sarai tu o dove sarò io. Ci sarà sempre qualcosa
che mi legherà a te.»
Il cuore di Freya perse un battito e, inaspettatamente,
sentì le lacrime salirle agli occhi. Le trattenne, mentre
una nuova consapevolezza le riempiva l'anima. Si avvicinò a
lui, senza più evitare di guardarlo in viso, e rispose con
una sicurezza assoluta: «No, non conterà nulla. La
mia vita è oramai legata alla tua, Aran, e questo non
potrà mai cambiare.»
L'espressione di Aran si fece strana, come se nell'avere la conferma
che per lei fosse lo stesso avesse acquisito una nuova certezza. Freya
tornò a sedersi al suo fianco e quando lo fece la mano
destra del giovane cercò quella di lei e la strinse
saldamente; le loro dita si intrecciarono. La giovane
incollò ancora una volta lo sguardo in quello di lui,
sentendo che tra di loro era appena stato suggellato un patto
silenzioso e che, in quel momento, sarebbe potuta succedere qualunque
cosa.
Quello che per loro era semplicemente un gesto risvegliò
qualcosa nell'aria, qualcosa che sapeva di magia: il vento si
alzò oltre le fronde dei grandi alberi, lontano, oltre le
mura del castello, e l'aria vibrò. I due ragazzi si
guardarono intorno; i capelli di Freya frustavano l'aria impazzita e il
mantello di Aran ondeggiava furiosamente alle sue spalle. Rivolsero i
volti all'insù, come se il cielo potesse avere la risposta,
ma le stelle continuarono ad ammiccare indifferenti. A loro non
restò che guardarsi a vicenda, confusi e attoniti.
Qualcosa stava davvero per accadere.
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