la piuma
La piuma e la chiave
Osservo con attenzione la mia compagna di banco mentre
traccia con precisione maniacale le linee sul foglio, soffiandoci sopra di
tanto in tanto come a volerle fissare meglio sulla carta; gli occhiali dalla
montatura nera le sono scivolati sulla punta del naso e qualche ciocca corvina
le ricade sul viso.
“Hai finito?” bisbiglio, sempre più impaziente.
“È da un’ora che me lo chiedi. Quando avrò finito, ti dirò: ho
finito” ribatte con un sospiro. È comprensibile, non faccio che starle
addosso, non dev’essere facile lavorare a fianco a me.
Sposto lo sguardo sullo schermo del mio cellulare, dove
campeggia la conversazione di Messenger con Lorenzo. Non ha ancora visualizzato
il mio ultimo messaggio.
Ogni volta che mi cade l’occhio sulla sua immagine del
profilo, il mio cuore perde un battito; non riesco a credere di essere riuscita
ad attaccare bottone con un ragazzo così bello, anche se per ora è soltanto sui
social. Ma la prossima volta che lo incrocio per i corridoi della scuola gli
devo assolutamente parlare di persona.
“Comunque, il tizio cosa dice?” mi domanda Giulia in un
bisbiglio, qualche istante più tardi.
Aggrotto le sopracciglia. “Il tizio ha un nome, si
chiama Lorenzo. In ogni caso non mi ha ancora risposto, sto aspettando che mi
dica il nome del suo amico tatuatore.” Una nuova notifica attira la mia
attenzione; afferro il cellulare e constato che si tratta proprio della
risposta di Lorenzo. “Carlo Castelli, ha lo studio in via Liguria. Oddio!” mi
lascio sfuggire a voce un po’ troppo alta. Subito mi guardo attorno per
controllare che la prof non mi abbia notato, ma lei continua a spiegare con
aria serafica, indicando di tanto in tanto qualcosa sulla LIM.
“Che c’è?” si informa la mia amica.
“È proprio a due passi da dove Lorenzo si allena. Molto
probabilmente lo incontreremo” spiego con un sorrisetto soddisfatto.
“Rallenta un secondo, Vitto,” mi ammonisce subito lei col
suo solito tono calmo, “abbiamo diversi dilemmi da risolvere: innanzitutto
voglio vedere i suoi lavori, voglio essere sicura che colui che mi disegnerà
sulla pelle sia un arista affidabile.”
“Okay, lo cerco su Instagram” affermo subito, premendo
sull’icona del social.
“Poi gli dobbiamo chiedere se è disposto a tatuare un
disegno già pronto. Non tutti i tatuatori se la sentono di prendere in mano un
lavoro non del tutto creato da loro. E poi senza soldi e senza il permesso dei
nostri genitori non possiamo fare niente.” Un sospiro rassegnato segue le
parole di Giulia. Non posso vedere il suo sguardo, dal momento che tiene ancora
il capo chinato sul foglio, ma mi viene semplice immaginare cosa le stia
passando per la testa.
“Mio padre mi finanzierà senza battere ciglio” osservo.
“E i miei chi li convince?”
“Troveremo un modo. Ora scrivo al tatuatore e vediamo che mi
dice.”
Trascorrono alcuni minuti in cui non ci rivolgiamo la
parola; a rimbombare tra le spoglie pareti dell’aula è solo la voce della
professoressa e leggeri sussurri dei nostri compagni.
Osservo Giulia di sottecchi, poi sposto lo sguardo dietro di
lei, lo perdo fuori dalla finestra spalancata: il brillante sole di maggio
inonda il cortile della scuola, mentre una leggera brezza agita con delicatezza
le fronde degli alberi e nell’aria si sprigiona un forte profumo di erba umida,
polline e imminenti vacanze estive. È una di quelle giornate in cui è
impossibile pensare che qualcosa possa andare storto; mi viene voglia di
scappare fuori, sdraiarmi sul prato e svuotare la mente, come ogni
diciassettenne che si rispetti.
“Ho finito.”
Faccio un balzo verso la mia amica e le strappo con
entusiasmo il foglio di mano, facendola sbilanciare pericolosamente
all’indietro sulla sedia; prendiamo entrambe a ridacchiare mentre lei mi spinge
via e poggia un gomito sul banco per sostenersi.
“Piano, lo stropicci!” mi avverte.
“Giulia, Vittoria! Vi sembra questo il luogo e il momento
per saltarvi addosso? Aspettate almeno che finisca la lezione, mancano dieci
minuti!” tuona la professoressa di inglese, facendoci sobbalzare entrambe.
Poso il foglio sul banco e sfodero uno dei miei soliti
sorrisi innocenti. “Ci scusi, prof. Solo che Giulia stava per cadere dalla
sedia e l’ho afferrata appena in tempo” invento, scatenando qualche risatina
per la classe.
“Bene, ricomponetevi.” Per fortuna la donna perde subito
interesse nei nostri confronti e riprende a cantilenare in un inglese cadenzato
e soporifero.
Finalmente posso posare lo sguardo sul disegno che attendevo
di vedere da giorni e che tra qualche giorno sfoggerò con orgoglio sulla mia
pelle: non posso che rimanere a bocca aperta davanti alla stupenda immagine che
mi ritrovo a osservare.
Un’elegante e candida piuma, che sfuma verso il verde in
prossimità dei margini, s’intreccia con una graziosa chiave brunita dai decori
gotici.
Una piuma e una chiave: proprio ciò che avevamo in mente,
l’esatta rappresentazione della nostra amicizia.
“Io ho sfumato la piuma di verde, ma tu puoi scegliere un
altro colore” commenta Giulia, contemplando insieme a me la sua stessa opera.
Sapevo che avrebbe scelto il verde.
E lei sa che io sceglierò l’arancione.
Sorrido. “La piuma sta a significare la nostra leggerezza…”
“E la chiave simboleggia che solo noi abbiamo l’accesso
l’una all’anima dell’altra” conclude lei orgogliosa.
Le getto le braccia al collo, raggiante. “Ti voglio un mondo
di bene, Giuli! Sei una disegnatrice fantastica, ti adoro! E non vedo l’ora di
avere il tuo disegno addosso per sempre!”
No, oggi è decisamente una giornata fantastica, nulla può
andare storto.
Accendo una sigaretta e volto pagina con un sospiro. Giulia
aveva ragione: non era il caso di rimanere indietro con storia, domani c’è il
compito in classe e io sono solo a metà capitolo. Non posso permettermi di
prendere un brutto voto nell’ultima verifica dell’anno, la mia media è già
abbastanza precaria e non ho nessuna intenzione di trascorrere l’estate a
studiare per recuperare un debito.
Prendo una boccata di fumo e lancio uno sguardo alla
finestra, dove la luna splende alta nel cielo. Avessimo almeno un giardino o un
terrazzo, potrei quantomeno andare a studiare fuori, invece mi ritrovo in
questa topaia troppo piccola e afosa.
Lo dico sempre a mio padre: potremmo prenderci una casa più
grande, almeno quando uno dei suoi innumerevoli progetti va a buon fine.
Devo tornare a concentrarmi sulla storia, sì. Sospiro:
l’Unità d’Italia non mi piace affatto come argomento. Che palle.
Sento la porta d’ingresso aprirsi con uno scricchiolio e poi
richiudersi; qualche istante dopo mio padre fa il suo ingresso in cucina, si
stravacca su una sedia, si toglie le scarpe con un movimento brusco e poggia i
piedi sul piano del tavolo.
“Occhio al posacenere” lo avverto, lanciandogli un breve
sguardo prima di tornare a concentrarmi sul libro. “E poi su questo tavolo ci
mangiamo, lo sai?”
“Me ne offri una?” mi chiede con noncuranza, picchiettando
con un dito sul mio pacchetto di sigarette.
“Ma non avevi smesso di fumare?”
“Da che pulpito.”
“Io non ho mai detto di voler smettere.” Mi stringo nelle
spalle. “Comunque prendila pure.”
Sento papà armeggiare col mio accendino e a quel punto
capisco che oggi non ha intenzione di preparare la cena o, più in generale, di
sradicarsi da quella sedia.
Sospiro, getto il libro sul divano – studierò più tardi – e
mi metto in piedi, per poi stiracchiarmi. “Metto su l’acqua della pasta o
ordiniamo qualcosa con Just Eat?”
“Pasta. Non possiamo più permetterci di fare i ricchi.”
“Perché?” gli domando, avviandomi verso il piano cottura.
“Maurizio me l’ha messa in culo.”
“Ah, e dunque è fallito il distributore di benzina?”
“Esatto.”
“Io te l’ho detto, che Maurizio era un mezzo mafioso.”
“È un pezzo di merda, ha ideato un qualche stratagemma per
escludermi dalla società.”
“Ennesimo prestito che non verrà mai ripagato alle banche”
osservo con uno sbadiglio. “Prima o poi verrò a trovarti in carcere, pa’.”
“Macché, io e Ivan stiamo già cercando una soluzione.”
Dopo aver messo sul fuoco una pentola piena d’acqua, torno
verso il tavolo e mi piazzo di fronte a mio padre con le mani sui fianchi.
“Molto rassicurante, sì. E tu ci stai ancora appresso dopo che ti ha
inconsapevolmente messo in mezzo a un giro di prostitute. Bravo, complimenti.”
“Ne siamo usciti entrambi. Comunque, praticamente è entrato
in contatto con questo tizio messicano che vorrebbe aprire un ristorante…”
comincia a spiegare col suo solito entusiasmo, ma è costretto a interrompersi
quando mi vede sollevare gli occhi al cielo. “E dai, che palle, abbi fiducia
nel tuo adorato papà.”
Lo scruto con attenzione: ha la barba incolta, i vestiti
sportivi un po’ troppo larghi come un perfetto teenager e le occhiaie marcate,
ma nei suoi occhi azzurri brilla quella luce che ormai ho imparato a conoscere,
quella speranza fin troppo genuina che mio padre nutre dentro sé.
Sorrido: è un disastro, non crescerà mai, ha un matrimonio fallimentare
e migliaia di progetti andati a rotoli alle spalle, ma ancora non si è arreso.
Mi fa quasi tenerezza, dopotutto gli voglio un mondo di bene.
“Va bene, fingerò di avere fiducia” gli concedo,
accostandomi a lui.
Lui mi stringe in uno sbilenco abbraccio, senza però alzarsi
dalla sedia.
“Comunque io volevo chiederti i soldi per un tatuaggio” butto
lì, infilando le dita tra i suoi capelli scompigliati.
“Ah, piccola bastarda, quindi c’era un secondo fine”
borbotta ironico, battendomi un’affettuosa pacca sulla coscia.
Ridacchio e mi libero dal suo abbraccio. “C’è sempre un
secondo fine, certo! Comunque io e Giuli abbiamo deciso di farci insieme il
nostro primo tatuaggio, sarà uguale per entrambe e sancirà la nostra amicizia. Il
disegno l’ha fatto lei, guarda!” Gli porgo il mio cellulare, sul quale display
campeggia la foto dell’opera della mia amica.
“Che figata! Quella ragazza è davvero brava a disegnare”
esclama con orgoglio; ormai anche lui si è affezionato alla mia migliore amica.
“Però io non posso darti i soldi finché la faccenda del ristorante non ingrana,
adesso sono nei casini. Chiedili a tua madre.”
Reprimo uno sbuffo di sconforto: preferirei non dover fare
riferimento a quella donna, non mi va proprio di chiamarla, spiegarle i miei
progetti futuri e renderla partecipe della mia vita. Comincio a pensare che
dovrei trovarmi un lavoretto per guadagnare il mio stipendio e non dover più
dipendere da loro.
Mio padre è un adolescente troppo cresciuto perseguitato dai
debiti con le banche e che non ha nessuna aspirazione nella vita, mia madre è
un’attrice squilibrata che ci ha lasciati per partire in Francia e inseguire il
suo sogno. Sinceramente non vedo l’ora di diventare maggiorenne, andarmene di
casa e non sentirne mai più parlare.
Faccio partire la chiamata al numero di mia madre mentre
controllo che l’acqua per la pasta non stia già bollendo.
“Tesoro, buonasera!” risponde mamma dall’altro capo del telefono,
con la sua voce squillante e fastidiosamente allegra. Senza contare che ha
assunto un insopportabile accento francese, dopo tanti anni trascorsi a Parigi.
“Ciao ma’. Devo chiederti una cosa” vado subito dritta al
punto, con distacco.
“Come vanno le cose, amore della mamma? È da un po’
che non ci si sente, eh? Io sono stata ingaggiata per una nuova tragedia, non
hai idea di quanto siano faticose le prove; sono uscita proprio adesso da una
sessione di sei ore, ho i piedi distrutti a furia di stare sui tacchi!”
Ecco, come al solito sembra volersi interessare a me e poi
inizia a sproloquiare sulla sua carriera.
“Lo immagino, sì. Senti, io dovrei farmi un tatuaggio, mi
faresti una ricarica sulla PostePay?”
“Uh, che bello! È il tuo primo tatuaggio?”
“Sì. Tu nel dubbio versa cinquecento euro, anche se non
credo che costerà così tanto.” Con la mano sinistra tengo il cellulare mentre
con la destra verso la pasta dentro la pentola.
“Domani vado a ricaricare. È una cosa importante, tesoro,
quindi raccomandati di trovare il giusto tatuatore!”
A quelle parole, il cuore mi balza nel petto: oh sì, abbiamo
già trovato l’uomo giusto per noi, l’amico di Lorenzo. Così avrò finalmente
modo di incontrare il ragazzo che mi piace, basta solo andare sul posto al
momento giusto, quando lui ha i suoi allenamenti; ancora non sono riuscita a
parlare con lui di persona, sembra sfuggirmi in continuazione e questa cosa mi
mette in agitazione, anche se cerco di negarlo a me stessa.
Giulia mi ripete sempre che lui non sembra particolarmente
interessato, che anche su Messenger è di poche parole e che, se veramente mi
volesse conoscere, mi avrebbe già chiesto di vederci. Ma forse è solo un po’
timido, del resto ha un viso così dolce…
“Tesoro, sei ancora in linea?”
“Ehm… sì, ci sono. Mamma, ora devo andare a cena, ci
sentiamo poi.”
“D’accordo, fammi sapere come va il tuo primo tatuaggio!”
“Senz’altro. Ciao.” Chiudo la conversazione e metto il
cellulare in tasca, trattenendo uno sbuffo.
Non le darò mai notizie, lei non me le chiederà e
probabilmente non vedrà mai il tatuaggio, a meno che non ci dovessimo accidentalmente
incontrare un giorno.
“Cos’ha detto?” salta su mio padre, la voce carica di
aspettative.
Gli lancio una fugace occhiata mentre rimesto la pasta: si è
voltato e sporto nella mia direzione, i suoi muscoli sono tesi e lo sguardo gli
si è riempito di una patetica luce speranzosa.
Mi fa così tanta pena. Anche se è troppo orgoglioso per
ammetterlo, è chiaro come il sole che non si è dimenticato della donna che l’ha
abbandonato ormai quasi dieci anni fa. È ancora innamorato di mia madre, anche
se lei è una troia che l’ha soltanto preso in giro.
Io non sarò mai come lui.
“Niente di che, ha detto che mi manda i soldi.”
La vibrazione del cellulare mi avvisa dell’arrivo di un
messaggio; lo estraggo in fretta col cuore in gola, sperando che sia Lorenzo,
ma sono costretta a ricredermi quando scorgo il nome di Giulia, che mi ha
scritto su WhatsApp:
È un disastro, Vitto… i miei non mi daranno MAI il permesso
T.T
Mi acciglio e digito in fretta la risposta:
Domani pome vengo a casa tua e vedrai che cambieranno idea 😉
A ben pensarci, non posso lamentarmi più di tanto dei miei
genitori, perché quelli della mia amica sono una bella gatta da pelare e io non
potrei mai sopportarli.
O forse sì: a differenza sua, io ho la forza di impormi e
ribellarmi, troverei il modo per fare ciò che mi pare.
Giulia si mangiucchia nervosamente un’unghia, mentre io
faccio scorrere con aria determinata lo sguardo da Enrica a Giuseppe, i
genitori della mia amica.
“Ragazze, avete diciassette anni, non sapete cosa state
facendo. Potreste pentirvi di questo tatuaggio, non è una cosa su cui
scherzare, vi rimarrà addosso per sempre” comincia lui in tono calmo.
“E poi avete idea di quanto costa farsi pasticciare
la pelle?” aggiunge subito lei, quasi scandalizzata.
“Scusami se ti contraddico, Enrica, ma il disegno l’ha fatto
Giulia e non è un pasticcio” puntualizzo, sventolando di fronte agli
occhi della donna il foglio con l’immagine in questione.
“Però non è giusto, non potete fare questo discorso del
costo! Quest’anno ho rinunciato alla mia gita scolastica perché poteste
mandarci Naomi, ora io vi sto chiedendo una cosa che costa molto meno!”
interviene Giulia con voce rotta, ha accumulato talmente tanto nervosismo per
questa faccenda che ora rischia di scoppiare a piangere da un momento
all’altro.
“Ne abbiamo già parlato: parte del costo della gita l’ha
sostenuto lei, con i soldi che ha vinto grazie alle gare di nuoto” fa notare
Enrica piccata. “E poi erano quattro giorni a Praga, non qualcosa di indelebile
come un tatuaggio!”
“Ah, è vero, già. Scusate se non vinco niente tramite i miei
disegni, che delusione” ringhia Giulia con sarcasmo, per poi scattare in
piedi e uscire dalla cucina.
So che non vuole dare ai suoi genitori la soddisfazione di
vederla piangere, so anche che non regge più questa situazione. Questo continuo
paragone con la sua gemella, questa continua competizione con Naomi che i
genitori continuano a evidenziare e farle pesare, la distrugge. Anche se lei
cerca di non farci caso, di mantenere la calma e continua ad affermare che
Naomi non ne ha nessuna colpa.
Vorrei seguirla, consolarla, abbracciarla – come faccio da
quattro anni a questa parte – ma so che per darle davvero una mano devo cercare
di risolvere la questione con i suoi genitori.
Torno a concentrarmi su di loro: Enrica ha un’aria
corrucciata e tiene le braccia incrociate sul petto, mentre Giuseppe sospira
sconsolato.
“Tuo padre ti ha dato il permesso?” mi chiede quest’ultimo.
Annuisco. “Lui mi lascia scegliere, sa che ne sono in grado
e che ormai non sono più una bambina. Sa che sarò sempre la sua solita
Vittoria, anche se avrò un disegno sulla pelle.”
“Noi siamo preoccupati” sbotta Enrica.
Okay, devo mantenere la calma e cercare le parole giuste per
tentare di convincerli. Se fossero stati i miei genitori, avrei già cominciato
a sbraitare e mi sarei incazzata come una bestia, ma non ho con loro la giusta
confidenza per potermi permettere di dare di matto.
“Sentite, Giulia è una brava disegnatrice e va molto
orgogliosa di ciò che fa – giustamente, perché ha davvero tanto talento. Vuole
tatuarsi un suo disegno sulla pelle,” accenno al foglio che ho in mano, “e in
ogni caso, qualsiasi sia il suo significato, non potrà mai pentirsi di sfoggiare
una sua creazione. Lo sapete anche voi, è una ragazza coscienziosa e ci
penserebbe non due, ma dieci volte prima di fare qualche cavolata. L’ho vista
davvero convinta e determinata.”
“Volete farvi lo stesso tatuaggio, giusto? Che simboleggia
la vostra amicizia… e se doveste litigare? Dovreste portare per sempre il
marchio di un rapporto finito” osserva Enrica, per la prima volta in tono
esitante.
Mi metto in piedi fieramente e cerco di assumere un fare
solenne e convincente, fissandola dritta negli occhi senza esitazione. “Non
rimpiangerei mai e poi mai di essermi tatuata l’illustrazione di un’artista
così brava. E nemmeno Giulia” dichiaro.
Le mie parole riecheggiano nella stanza, rimbombano nel
silenzio che le segue, mentre l’uomo e la donna davanti a me le assimilano
lentamente. Come se avessero bisogno di una mia conferma, o come se fino a quel
momento non avessero capito l’importanza di quel gesto simbolico che io e
Giulia vogliamo compiere insieme.
Qualche istante più tardi, la mia amica fa silenziosamente il
suo ingresso nella stanza, tenendo lo sguardo basso – sicuramente per
nascondere gli occhi ancora arrossati dal pianto. Lo solleva soltanto per
lanciarmi un’occhiata mortificata: non era sua intenzione lasciarmi da sola a
combattere questa battaglia, del resto sono i suoi genitori.
Ricambio con un sorriso rassicurante, so che non l’avrebbe
mai fatto se non fosse entrata in crisi.
“Giulia” prende la parola Giuseppe in tono pacato, muovendo
qualche passo verso sua figlia.
Lei non fiata, non reagisce.
“Sei sicura di volerlo fare? Non si torna indietro.”
Il cuore mi batte a mille, prego mentalmente la mia amica
affinché sollevi lo sguardo, fronteggi suo padre e finalmente si faccia valere.
Dopo diciassette anni trascorsi a vivere nell’ombra di Naomi, è giunto il
momento per lei di prendere le sue decisioni.
Fallo per me, Giuli.
“Sicura come è sicuro che mi chiamo Giulia Venturi.” Alza il
capo e mi afferra per il polso, stringendolo forte. “Voglio fare questo
tatuaggio insieme a Vittoria. E se non mi darete il permesso voi, troverò il
modo per farlo ugualmente, che vi piaccia o meno.”
Un sorriso che va da un orecchio all’altro mi increspa le
labbra: sono così orgogliosa di lei!
“Va bene, te lo concedo. Sarà il tuo regalo per la
promozione” conclude suo padre in tono fermo, dopo qualche istante di
meditazione.
Faccio appena in tempo a vedere il volto di Enrica che si
distorce in una smorfia di disappunto, prima che Giulia mi stringa in un
abbraccio.
Ricambio la stretta e mi lascio scappare un grido di gioia.
“Avremo il nostro tatuaggio uguale!” strepita lei.
“Avrò un tuo disegno sulla pelle per sempre!” aggiungo io,
emozionata più che mai.
Ce l’abbiamo fatta, finalmente!
Ma questa – ne sono certa – è solo una delle tante sfide che
affronteremo insieme.
“Cinquecento euro? Ma sei fulminata?” si sorprende Giulia
con una risata.
Mi stringo nelle spalle. “Se avanzeranno dei soldi, li
spenderò in qualche altro modo. È il minimo che quella donna degenere può fare,
dopo avermi tranquillamente raccontato che sperava di abortire quand’era
incinta di me, perché aveva paura che il suo fisico e la sua carriera
potessero risentire della gravidanza… sai quanti soldi deve darmi ancora per
riparare ai danni morali che mi ha procurato?” Scoppio a ridere a mia volta.
Lo so, non fa ridere, ma ormai ho imparato a lasciar
correre. Non me ne frega niente di quello che dice mia madre.
“Quindi…” Giulia si guarda intorno con circospezione, per
poi soffermarsi su un campetto sportivo dall’altra parte della strada. “Lorenzo
si allena qui, giusto?”
Il cuore mi si stringe nel petto. Già, Lorenzo.
Non gli ho detto che sarei passata oggi per il tatuaggio,
vorrei fargli una sorpresa, magari fingere di incontrarlo per caso. Non
avrei mai preteso un appuntamento con lui, non voglio dargli l’impressione di
colei che gli muore dietro e farebbe qualsiasi cosa per attirare la sua
attenzione.
Anche se effettivamente è così.
“Esatto.”
“Ricordami quale sport pratica.”
“Atletica leggera e qualche volta basket. Infatti viene qua
al campetto e si allena con la squadra e poi fa una bella corsa qui nei
dintorni.”
“E tu come fai a saperlo?”
“Me l’ha detto lui. E ho visto le foto su Instagram.”
“Sa che sei qui oggi?”
“Non gliel’ho detto.”
Giulia mi dà un colpetto sul braccio. “Vitto! Lo vuoi
incontrare o no? Oggi era la vostra occasione per incontrarvi!”
“Ma lo incontreremo, stai tranquilla.”
“Io sono tranquilla, è a te che piace!”
“Che spiritosa…”
Mi fermo sul marciapiede e consulto il numero civico della
struttura arancione davanti a noi: ci siamo, questo è lo studio di Carlo.
Io e Giulia ci scambiamo un’occhiata elettrizzata.
“Sei pronta?” le chiedo.
“Più o meno…”
“Dai, Giuli!”
“Mi devo far bucare la pelle in continuazione, ho tutto il
diritto di essere in ansia.”
“Oggi ci facciamo solo il contorno, dai! Entriamo?”
Lei prende un profondo sospiro e annuisce.
Una volta dentro, troviamo ad accoglierci un ragazzo sulla
trentina dal viso simpatico e le braccia ricoperte di tatuaggi, messi in
risalto dalla canottiera nera che indossa; si presenta come Carlo e ci conduce
con entusiasmo nel suo laboratorio, stracolmo di immagini colorate appese alle
pareti e macchinette da tatuatore sparse ovunque; una piacevole musica di
sottofondo riempie l’aria, rendendo l’ambiente ancora più ospitale.
“E così voi siete le due compagne di classe che vogliono
farsi tatuare insieme. Che tenere” commenta con un sorriso.
Giulia annuisce timidamente, mentre io faccio qualche passo
avanti, affascinata dal luogo in cui mi trovo. “Già. Ci teniamo tanto, e poi è
il nostro primo tatuaggio, quindi trattaci bene!”
Lui ridacchia e porta fuori lo stencil che ha
precedentemente preparato, rifacendosi al disegno di Giulia; ce lo mostra con
fare speranzoso. “Che dite, può andare? L’artista lo approva?” domanda,
scrutando curioso la mia amica.
Lei sorride timidamente. “Perfetto.”
“Okay. Chi comincia?”
Sorrido e mi faccio coraggiosamente avanti, sedendomi sul
lettino. “Io!”
Non ho paura degli aghi e neanche del dolore, so che lo
sopporterò. Sono solo impaziente e curiosa.
“Allora,” interloquisce Carlo, mentre mi posiziona lo
stencil sul braccio con movimenti esperti e attenti, “cosa significa questo
splendido disegno? Come mai proprio una chiave e una piuma?”
“Diciamo che simboleggiano i due principali aspetti della
nostra amicizia” prendo subito a raccontare. “La piuma simboleggia la
leggerezza, la spensieratezza, il colore, quindi la parte più allegra di noi:
rappresenta tutte le risate che ci facciamo insieme, il divertimento, le
avventure e tutte quelle stronzate che si fanno quando si è amiche per la
pelle. La chiave invece rappresenta la parte più profonda, in un certo senso la
sicurezza del nostro rapporto: sta a simboleggiare che sotto quella leggiadria
c’è qualcosa in più, che io ho la chiave per entrare nella sua anima e capirla,
e viceversa.”
Lancio un’occhiata complice a Giulia, che intanto si è
accomodata in una sedia poco distante da me, e lei sorride.
“Wow, è qualcosa di davvero molto profondo. Mi è capitato
diverse volte di tatuare due innamorati e una volta anche due fratelli, ma una
coppia di amiche mai. È la vostra prima volta, ma anche la mia!”
“Liete di avere questo primato!” esclamo, proprio mentre
Carlo accende la macchinetta delle linee e un ronzio mi riempie le orecchie.
Giulia deglutisce a fatica a mi lancia un’occhiata
preoccupata. “Buona fortuna, Vitto.”
“Guarda che dopo tocca a te” le ricordo con una linguaccia.
“Grazie, molto rassicurante” borbotta lei, stringendosi le
braccia al petto come a volersi proteggere.
“Bene, al lavoro!” sento dire a Carlo, prima che l’ago mi
sfiori la pelle per la prima volta.
Prendo un profondo respiro; ci siamo.
“E se mi stesse venendo davvero la febbre?” farfuglia
Giulia, stringendosi di più nella sua giacca.
“Non hai la febbre, semplicemente sono le otto di sera ed è
normale che tu abbia freddo” la rassicuro, legandomi i capelli in una
disordinata crocchia. “Cazzo, mi devo pure rifare la tinta. Ecco come spenderò
i soldi di mia madre.”
“E stavolta di che colore te la fai?”
Ci rifletto su per qualche secondo, mentre riprendiamo a
camminare lungo il marciapiede. “Non lo so. Questo castano chiaro mi ha
stufato, sto pensando di tornare al rosso.”
La mia amica si limita a sospirare e passarsi una mano tra
le ciocche corvine. So che non riesce a concepire questo mio continuo cambiare,
lei che non si è mai colorata i capelli in vita sua.
“E se mi venisse un’infezione?” se ne esce dopo qualche
istante. “Poi dovrei convivere con mia madre e i suoi te l’avevo detto,
che palle!”
“E smettila! Guarda che la probabilità di un’infezione non è
proporzionale al dolore che hai sentito!”
So che questo tatuaggio non è stato semplice per Giulia:
quando è arrivato il suo turno, ha cominciato a tremare per l’ansia e io e
Carlo ci siamo dovuti adoperare per tranquillizzarla prima di cominciare. Le
sono stata accanto tutto il tempo, le ho fatto uno dei miei soliti discorsi
motivazionali e mi ha stretto la mano finché non si è calmata, come una bambina
che non vuole farsi visitare dal dottore.
È stata una soddisfazione però quando Carlo ha spento la
macchinetta dicendo: “Ora hai sulla pelle la chiave dell’unica persona in grado
di tranquillizzarti!”.
Sono questi i momenti in cui capisco che io e Giulia siamo
irrimediabilmente legate. Ennesimo ostacolo superato insieme.
“In realtà il dolore indebolisce parecchio, potrei stare
davvero male nei prossimi giorni. E se passassimo in farmacia prima di tornare
a…”
Mi immobilizzo sul marciapiede e do una gomitata a Giulia
per attirare la sua attenzione, mentre il mio sguardo si posa su una figura che
ci viene incontro di corsa, si fa sempre più vicino.
Il mio cuore perde un battito.
“Te l’ho detto che l’avremmo incontrato” sibilo.
È Lorenzo!
Okay, devo cercare di non sembrare una cretina quando ce
l’avrò di fronte.
“Non faremmo meglio a camminare come se nulla fosse?” mi fa
notare Giulia, capendo al volo le mie intenzioni.
Ma ormai è tardi: Lorenzo è a pochi metri da noi e devo
attirare la sua attenzione, se voglio che si accorga di me.
Così sfodero il mio miglior sorriso sicuro e gli faccio un
cenno con la mano. “Ehi!”
Lui arresta la sua corsa e, col fiato corto, mi scruta per
qualche istante. “Ma… sei Vittoria, giusto?”
“In persona. Finalmente ci si becca, eh? Ti stai allenando?”
attacco bottone, facendo scorrere lo sguardo sui suoi lineamenti marcati e
perfetti, sulla fascetta sportiva poco sopra la fronte, sul suo corpo scolpito
e imperlato di sudore… oddio, c’è da morire, incontrarlo in queste condizioni
è davvero troppo per il mio cuoricino.
“Ho finito proprio ora, sì. Tu che hai fatto al braccio?”
domanda lui, notando il bendaggio.
“Ho appena fatto un tatuaggio da quel tatuatore che mi hai
consigliato tu, ricordi? Ti avevo detto che ero intenzionata a farmene uno”
cerco di rinfrescargli la memoria.
Ma rimango delusa quando scorgo un velo di nebbia nei suoi
occhi. “Tatuaggio… ah sì, non mi ricordavo.”
“Per il momento è solo il contorno, ma penso che una volta
finito sarà una bomba” racconto con entusiasmo, cercando di mantenere vivida la
conversazione.
Anche se, a dire il vero, Lorenzo non sembra tanto
interessato a chiacchierare. Pensavo fosse un tipo di poche parole solo dietro
lo schermo…
No, non devo pensare subito male. Magari è solo timido.
“Va bene, io allora vado a cambiarmi, si sta facendo tardi.
Buona serata” si congeda in fretta lui con un sorrisetto, per poi
oltrepassarci.
“Ciao, ci sentiamo!” lo saluto io con entusiasmo,
osservandolo mentre si allontana.
Dal vivo è ancora più bello. Sembra quasi un miraggio.
E come un miraggio si è dileguato in fretta e furia…
“Hai visto quanto era indisposto? Che stronzo” mormora
Giulia, una volta che il ragazzo si è allontanato.
Scuoto il capo. “Magari gli ci vuole tempo. Hai visto come
era bello?”
“Ma chi se ne frega, non si ricorda neanche cosa vi siete
detti tre giorni fa! E poi avrebbe almeno potuto chiederti, che so, se ti
andava di bere qualcosa insieme a lui… è stato molto freddo” mi fa notare lei,
scettica.
Sotto sotto so che ha ragione.
Del resto ha la chiave per accedere alla mia anima, l’ha
capito.
“Quanto sei classica…”
“Glielo avresti chiesto tu, allora.”
“Non voglio dargli l’impressione di essere troppo
interessata, mica posso comportarmi da tredicenne infatuata!”
“Quindi, fammi capire: non vuoi fare il primo passo, ma vuoi
aspettare che sia lui a farlo anche se non sembra per niente intenzionato.”
Le sorrido. “Sai che ti dico? Che vada a fanculo, oggi
dobbiamo festeggiare e non ho voglia di scervellarmi per lui! Allora, pizza?”
chiedo conferma, prendendola sottobraccio.
“Ma domani abbiamo l’ultimo compito di matematica!”
“Fanculo anche quello! Ho chiesto: pizza?”
“E pizza sia!”
“Grazie mamma, ci offri la pizza!” grido al vento, poi
scoppiamo entrambe a ridere.
Insieme.
♣ ♣
♣
Partecipa alla “Infinity Prompt Challenge” con i seguenti
prompt, entrambi dalla lista “Dialoghi & Battute”:
#001. «Che hai fatto al braccio?»
#016. «Sei sicuro di volerlo fare? Non si torna indietro».
Ed eccomi qua, ragazzi! Sono tornata con una nuova storia sulla mia
coppia di amiche preferita, non avete idea di quanto sia contenta *-*
Devo innanzitutto ringraziare Inzaghina: il suo contest mi ha dato l’occasione
per raccontare quest’episodio che avevo in mente da un po’! Ammetto che il limite
di parole mi ha messo un po’ alle strette, avrei voluto aggiungere molti più
dettagli ma non ho avuto lo spazio, e spero davvero che questa cosa non si sia
notata e la storia non ne abbia risentito!
Nel caso, sappiate che avremo modo più avanti di approfondire molte
questioni ;)
Non penso di avere altro da aggiungere, spero di essere riuscita a rendere
la storia accessibile la shot anche a chi non ha letto le altre storie della
serie!
Ci tengo soltanto a fare un piccolo appunto per quanto riguarda Lorenzo:
per ideare il suo personaggio mi sono ispirata alla mia drabble Leggerezza,
facente parte della raccolta “Ventiquattro passi che ci separano dal Natale” –
raccolta da cui, per chi non lo sapesse, hanno avuto origine anche Giulia e Vittoria!
Nel caso ve lo stiate chiedendo, sì, sto cercando di fare intrecciare tra loro
alcuni protagonisti di quella raccolta, quindi aspettatevi il ritorno anche di
altri personaggi ^^
Grazie a chiunque sia giunto fin qui, spero di avervi regalato una
piacevole lettura :3
Alla prossima!!! ♥
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