Now
everything’s ruined
“E così sei omofobo.”
Jim, che si era attardato sul tour bus per recuperare una
giacca da mettersi addosso, quasi sobbalzò
nell’udire quelle parole
inaspettate; smise di rovistare nella sua disordinata valigia e si
voltò,
ritrovandosi faccia a faccia con Bill.
Il bassista stava fermo all’ingresso, con le braccia
incrociate sul petto e lo sguardo fisso su di lui, serio e
imperscrutabile.
Erano soli, gli altri avevano approfittato della pausa per
prendere aria e andare a ristorarsi al bar della stazione di servizio.
“Veramente non l’ho mai detto, cosa te lo fa
pensare?”
replicò il chitarrista senza fare una piega, gettandosi la
giacca sulle spalle.
Era già sul punto di uscire, quella conversazione non gli
interessava
minimamente, ma Bill non accennava a muoversi e gli bloccava il
passaggio.
“Roddy mi ha raccontato tutto. Non sei stato molto carino
con lui.” Bill affilò lo sguardo per un istante,
anche se tentava in tutti i
modi di restare distaccato.
Jim inarcò un sopracciglio. “E cosa ti avrebbe
detto?”
“Di quel giorno che avete condiviso la camera e tu non eri
per niente contento perché lui è gay e avevi
paura che ci provasse con te.
Cazzo, ma ti rendi conto di quanto sei stato stronzo?”
spiegò Bill gesticolando.
A quelle parole, Jim dovette prendere un paio di respiri
profondi per mantenere la calma. Okay, qualche giorno prima aveva
dovuto
dormire insieme a Roddy e la cosa l’aveva messo piuttosto a
disagio, anche a
causa dell’omosessualità del tastierista, ma loro
due avevano parlato e pensava
che le cose si fossero risolte. Invece ecco che saltava fuori questa
storia
dell’omofobia, completamente inventata e per giunta portata
avanti da Bill, che
con l’intera faccenda non aveva nulla a che vedere.
Il chitarrista dovette pensarci qualche istante prima di
rispondere, voleva provare a essere razionale e uscire da quella
situazione
senza incazzarsi e dar vita a inutili liti. “Mmh…
Roddy ci è rimasto male?”
“Penso di no, però…”
“E a te la cosa interessa?”
Bill aggrottò le sopracciglia. “Non in prima
persona.”
“Bene,” lo interruppe nuovamente Jim, facendo
qualche passo
avanti, “fine della conversazione. Adesso posso
uscire?”
L’altro sospirò e si passò una mano tra
i lunghi capelli. “Se
vuoi. Comunque sappi che mi disgusta abbastanza avere un omofobo del
cazzo
nella band.”
Il chitarrista sbuffò; stava cominciando a perdere le
staffe. “Non ho mai detto che sono omofobo, e poi tu che
cazzo c’entri?”
Fuori dal tour bus cominciavano a farsi più vicine le voci
degli altri ragazzi, segno che presto sarebbero risaliti a bordo e la
pausa
stava scivolando via in fretta.
“Cosa c’entro? Beh, Roddy è un mio amico
e anche tu lo sei,
quindi sono rimasto davvero scioccato quando mi ha raccontato cosa gli
hai
detto” ammise il bassista.
“Ma vi siete bevuti il cervello tutti e due! Questa deve
avervela suggerita Patton, altrimenti non me lo spiego…
posso uscire, porca
puttana? Sto perdendo tempo prezioso che potrei usare in altri
modi.”
“Scusa se te lo dico, ma Patton sarebbe stato meno stronzo
in quell’occasione.” Bill fece un passo indietro,
finalmente disposto a farlo
passare, ma la reazione di Jim lo lasciò senza fiato: il
chitarrista infatti,
gli occhi fiammeggianti di rabbia, gli si era piazzato di fronte e gli
aveva
afferrato un braccio.
Bill non l’aveva mai visto così irato, era
abituato al fatto
che Jim incassasse le provocazioni senza battere ciglio, ma forse
quella volta
aveva tirato un po’ troppo la corda.
“Chiariamo le cose” sibilò il
più grande con fare
minaccioso. “Innanzitutto stai fuori dalle questioni che non
ti riguardano,
Roddy non ha bisogno di un avvocato. Seconda cosa: non mettermi in
bocca parole
che non ho detto, come sei abituato a fare tu, perché non ho
voglia di dover
porre rimedio alle stronzate che combini alle mie spalle.”
Dopo un momento di sorpresa, Bill si divincolò dalla presa
di Jim e si strinse nelle spalle. “Va bene, non mi interessa,
era giusto per
dire. Fai come preferisci” chiosò con indifferenza.
“Ah, era giusto per dire… bene, la prossima volta
allora
stai zitto!”
“Non vuoi che ti si dica in faccia la verità,
eh?” lo sfidò
nuovamente Bill. Dopotutto si stava divertendo, lo doveva ammettere.
Ma Jim non era dello stesso avviso e in un istante gli fu
nuovamente addosso, sovrastandolo di diversi centimetri; ormai era
fuori
controllo, il bassista gli stava dando sui nervi e non reggeva
più le sue
insinuazioni.
Stava per spingere Bill all’indietro e scaraventarlo fuori
dal tour bus, quando un trafelato Puffy si intromise nel tentativo di
separarli. “Basta, ma che cazzo vi salta in
mente?!” esclamò, trascinando Jim
qualche passo più indietro.
Bill tirò un sospiro: tempismo perfetto. Per un attimo aveva
temuto che Jim l’avrebbe ucciso.
“Attento a quello che dici, Gould”
intimò il chitarrista,
lanciando un’ultima occhiata di fuoco all’altro
mentre anche Mike e Roddy
facevano il loro ingresso sul tour bus.
Bill si limitò a fare spallucce e poi si voltò
verso
cantante e tastierista, riprendendo a chiacchierare come se niente
fosse.
Puffy mollò la presa su Jim e gli lanciò
un’occhiata
perplessa. “Che cazzo fai?”
Ma l’altro non rispose, si limitò a correre verso
l’uscita
del tour bus e accendersi una sigaretta con movimenti nervosi; a nulla
valsero
i tentativi degli altri di fermarlo e avvertirlo che era ora di
ripartire.
Aveva bisogno di qualche minuto da solo per sbollire la
rabbia.
A irritarlo non era stato il fatto che Bill avesse messo in
fila una serie di cazzate sul suo conto – ormai era abituato
a certe cose,
conosceva il bassista da anni –, quanto il fatto che Roddy
fosse andato a
raccontare ciò che era successo in quella camera. Sapeva che
il tastierista non
l’avrebbe mai fatto per male e che lui, insieme a Bill e
Puffy, formavano un
trio molto compatto e affiatato, ma non voleva che certe cose si
diffondessero.
Era già morto dall’imbarazzo quella volta, ma
pensava che la cosa fosse andata
a finire così.
E sì, forse un po’ si era offeso.
D’accordo, se l’era presa
parecchio; le parole di Bill gli avevano fatto male ed era per quello
che era
scattato in quel modo, al posto di lasciarsi scivolare addosso le
provocazioni.
Non poteva negarlo, gli importava di Roddy e non
voleva che si mettesse in testa strane idee: lui non era omofobo, non
odiava il
tastierista perché era gay, solo che…
L’idea che Roddy potesse provarci con lui gli
metteva i
brividi.
Ma non riusciva a capire se di disgusto o di piacere.
Jim scosse la testa, come a scacciare quei pensieri scomodi,
mentre entrava nella hall dell’ennesimo albergo insieme al
resto della band.
Quel tour si stava trasformando in un estenuante caleidoscopio di hotel
tutti
uguali, concerti tutti uguali e giornate tutte uguali passate a perdere
tempo,
interrotte solo dalle discussioni e gli scherzi di poco gusto.
“Ehi Jim, a che pensi?”
Il chitarrista cadde dalle nuvole quando si ritrovò Roddy
accanto che gli sorrideva appena.
“Eh? No, niente, stavo solo pensando a quando gli alieni
riusciranno ad arrivare sulla Terra e ci uccideranno tutti, oppure
faranno su
di noi esperimenti genetici. Tu quale opzione preferiresti?”
Roddy storse il naso. “E se invece ci stuprassero?”
“Ragazzi!” attirò la loro attenzione il
tour manager;
stringeva tra le mani diverse chiavi e consultava un foglio con alcune
annotazioni. “Anche stavolta vi ho sistemato in una camera
doppia e una tripla,
vi va bene?”
Roddy fu il primo ad annuire. “Allora, come ci
dividiamo?”
“Veramente io vorrei una singola.”
Nella hall calò il silenzio e tutti gli sguardi si
concentrarono su Jim.
“Vabbè, anche io vorrei tornare a casa mia e
mandare a
fanculo il tour, ma non si può avere tutto nella
vita” commentò Mike dopo
qualche secondo.
“Non ho intenzione di dormire con nessun altro, voglio una
singola” ribadì il chitarrista in tono
irremovibile.
“Senti,” prese nuovamente la parola il tour
manager, “siete
un gruppo emergente e non siete certo nella posizione di decidere la
sistemazione, magari se ne riparlerà quando avrete venduto
un numero di
dischi…”
Ma Jim aveva smesso di ascoltare nel momento in cui si era
accorto dell’insistente occhiata di Bill, che
ricambiò senza esitazioni.
Forse in quel modo stava solo dando adito alle parole del
bassista, ma non gli importava. Non voleva condividere la stanza con
nessuno,
tanto meno con Roddy, dato che questo avrebbe implicato doverlo
affrontare.
“Cazzo, riusciamo a risolvere la questione in tempi decenti?
O rimaniamo direttamente a dormire sui divanetti della hall?”
sbottò Mike,
rompendo nuovamente il silenzio che si era andato a creare, pesante e
carico di
tensione.
“Va bene, facciamo così: dormo io con
Jim” intervenne Puffy
con un sospiro stanco. Mosse qualche passo verso il tour manager e
afferrò le
chiavi della stanza doppia che gli porgeva, poi si voltò
verso Jim e lo invitò
a seguirlo con un cenno.
L’altro decise di non protestare oltre e gli fu subito
dietro, mentre si dirigeva verso il vano dell’ascensore.
“Che coglione” sibilò Bill tra i denti,
stando ben attento
che il chitarrista non lo sentisse.
“Vabbè, io nel dubbio prendo le scale.”
Mike recuperò le
chiavi della stanza che avrebbe condiviso con Bill e Roddy e lesse il
numero
inciso sulla targhetta. “306. Terzo piano, okay”
rifletté tra sé, mentre
camminava verso l’imboccatura delle scale.
Roddy e Bill si scambiarono un’occhiata e lo seguirono,
pronti ad affrontare insieme a lui tre piani di gradini a piedi.
“Ma si può sapere cos’è
successo a Jim?” domandò il
tastierista, la sua voce rimbombò tra le pareti spoglie
insieme ai loro passi.
“È quello che mi chiedo da quando l’ho
conosciuto” ribatté
prontamente Mike in tono ironico.
Bill ridacchiò appena, ma si astenne dal commentare.
La cosa non sfuggì a Roddy, che gli lanciò
un’occhiata
interrogativa.
“Va bene, è colpa mia” ammise infine il
bassista, mettendo
su un sorriso divertito.
“Mmh, sentiamo” si incuriosì Roddy,
assumendo un fare
complice e avvicinandosi di più al suo amico. Ormai giocare
scherzi idioti a
Jim era la prassi e anche lui non si tirava indietro, per quanto
tenesse al
chitarrista.
“Niente, ho solo ingigantito la cosa che mi hai raccontato
l’altro giorno e l’ho accusato di essere
omofobo.”
Roddy si fermò di botto, mentre un nodo gli si stringeva in
gola; si portò le mani sui fianchi e rivolse
un’occhiata incredula al suo
amico.
Anche Bill allora si arrestò, in bilico tra un gradino e un
altro. Erano a metà della rampa di scale tra il primo e il
secondo piano.
Una volta assicuratosi che Mike si era allontanato – il
cantante probabilmente non li stava ascoltando e non si era accorto di
nulla –,
Roddy prese un profondo respiro. “Perché
gliel’hai detto?”
“Andiamo, Roddy, è così
importante?”
“Sì. Cioè, io te l’ho
raccontato nella speranza che
rimanesse una cosa tra noi.”
Bill sospirò. “Ma che cazzo ti prende? Non mi
sembrava un
grosso problema, tra noi le cose funzionano così, abbiamo
sempre preso Jim per
il culo e non capisco perché ora ti stai
incazzando!”
Roddy si morse il labbro; non sapeva neanche lui da cosa
dipendesse questo desiderio di proteggere Jim, forse perché
quel giorno in camera
l’aveva visto così insicuro e imbarazzato e gli
aveva fatto tanta tenerezza.
“Jim non è omofobo” riuscì
solamente a soffiare.
“Se uno si sente a disagio nel condividere la stanza con un
ragazzo gay, è omofobo. È capitato che anche io e
te dormissimo insieme e non
ho messo su tutta questa scenata, o sbaglio? D’accordo, forse
ho un po’
ingigantito la cosa, ma l’ho fatto per divertirmi come al
solito!” si difese
ancora Bill.
“A me il suo atteggiamento non ha dato fastidio. A te
sì?
Fino a prova contraria, l’omosessuale tra i due sono
io.”
“A me ha dato sui nervi, sì.”
Roddy sbuffò e salì qualche gradino, superandolo.
“Ti
accanisci contro di lui solo perché è
Jim” concluse, riprendendo ad
arrampicarsi stancamente su per le scale.
Bill rimase perplesso per qualche istante, le sopracciglia
aggrottate e un milione di domande in testa, poi finalmente si riscosse
e si
decise a seguire il suo amico. “Dai, Roddy, che palle! Non ho
fatto niente di
diverso dal solito, come potevo sapere che avresti reagito
così? E perché, poi?
Gli passerà, sai com’è fatto
Jim!”
Ma Roddy non si fermò, arrivò al pianerottolo e
svoltò senza
guardarsi alle spalle.
Bill gli correva dietro, continuando a scusarsi e
giustificarsi, finché non riuscì ad afferrarlo
per la giacca e allora il tastierista
fu costretto a fermarsi.
“Se non la smetti di ignorarmi e scappare, ti butto
giù
dalle scale” lo minacciò Bill.
Roddy si voltò lentamente, guardandolo dritto negli occhi.
“Se mi spezzo l’osso del collo, dove lo trovate un
altro tastierista così?”
“Uno come te? Anche nei bidoni della spazzatura”
scherzò
l’altro, cercando di stemperare l’atmosfera.
Ma Roddy non rise, non abbandonò la sua espressione
accigliata e incrociò le braccia al petto.
“Divertente, sì…”
“Okay, parliamone.” Bill si era fatto di colpo
serio ed era
salito di un paio di gradini per essere allo stesso livello di Roddy.
Quest’ultimo, capendo la portata della conversazione che
stavano per avere, si appiattì istintivamente contro la
parete alle sue spalle,
mettendosi sulla difensiva. “Ne abbiamo già
parlato.”
“Dai, seriamente. Può essere che io abbia detto
una
stronzata, però il tuo comportamento mi è
sembrato davvero eccessivo. Insomma,
come mai ti importa tanto della reazione di Jim?” chiese
Bill, addolcendo il
tono della voce.
Roddy si strinse nelle spalle. “Niente, non mi va che si
litighi per colpa mia e soprattutto per questi motivi. Il fatto che io
abbia
accettato e imparato a convivere col mio orientamento sessuale non
significa
che lo si possa usare come arma contro qualcun altro.
D’accordo, lui è fatto a
modo suo, ma credo che si sia sentito ferito quando è stato
accusato di
qualcosa che non è.”
Bill lasciò trascorrere qualche istante di silenzio,
posò il
gomito sul corrimano e perse lo sguardo giù per la tromba
delle scale, mentre
cercava le parole adatte. “Ma… ci sei rimasto male
quando ha detto che voleva
una singola.”
Il biondo tacque, mentre il suo cuore perdeva un battito.
Non sapeva cosa rispondere perché neanche lui aveva ancora
capito cosa provasse
a riguardo.
Sì, era vero, ci era rimasto male. Sperava che le cose
restassero come sempre, che lui e Jim dividessero la camera…
“Senza troppi giri di parole, come stanno le cose tra te e
Jim?” domandò allora Bill.
“Andrai a sputtanare anche questo ai quattro
venti?” sibilò
subito Roddy, indeciso se fidarsi o meno.
“Non sono un pezzo di merda. A volte sì, ma quando
le cose
si fanno serie sai quanto posso essere affidabile.”
Il tastierista prese un profondo respiro, l’ansia gli
scorreva nelle vene. Non aveva nessuna voglia di parlarne, ma sapeva
che Bill
non l’avrebbe lasciato andare finché non avesse
sputato il rospo.
“Non lo so” si ritrovò ad ammettere,
passandosi una mano tra
i capelli.
Bill restò in silenzio, ma lo invitò a proseguire
con
un’occhiata.
Roddy si morse il labbro, era così dannatamente difficile!
Era vero, tra lui e Jim stava andando a formarsi qualcosa, ma era
più semplice
viverlo che spiegarlo. Rifletté per diversi secondi,
chiedendosi come
descriverlo e soprattutto cercando il coraggio per farlo.
“Io e Jim… le cose tra noi non sono definite, tu
sai che andiamo
d’accordo, ma… a volte io e lui siamo molto vicini
e, ecco, lui è molto
affettuoso a volte… cioè, io lo sono e lui non mi
respinge, diciamo… non c’è
niente di più, te lo assicuro, ma stiamo bene insieme, a
volte” bofonchiò,
arrossendo sempre più a ogni parola e torcendosi le dita
delle mani.
Bill piegò leggermente la testa di lato, continuando a
scrutarlo. “È un bel casino.”
“Invece ti posso dire che non è così
disastroso, è solo che
Jim con me riesce ad aprirsi in un certo senso, e io non voglio che tra
di noi
le cose precipitino per questa cosa.”
“Mi stai dicendo che ti piace Jim Martin?”
sussurrò Bill
sgranando gli occhi.
Roddy abbassò il capo, in imbarazzo. “A
me… le cose vanno
bene così come sono, anche perché non so se lui
sia in qualche modo… attratto
da me. Però non lo so, non me lo chiedo e basta.”
“Roddy, ehi.” Il bassista si avvicinò,
gli sfiorò un braccio
e, quando ebbe nuovamente la sua attenzione, lo strinse in un abbraccio
fraterno, costringendolo finalmente a staccarsi dalla parete.
“Ora ti dico una cosa che non dico mai a nessuno:
scusa.”
A quelle parole, il tastierista ridacchiò e poi sciolse
l’abbraccio per guardare il suo amico negli occhi.
“Davvero, se avessi saputo che le cose stanno così
avrei
evitato di scatenare questo casino. Non ho ancora capito cosa ci trovi
in Jim
Martin, ma se voi siete felici…”
Roddy scoppiò a ridere e gli mollò un piccolo
pugno sul
braccio. “Mi stavi ascoltando quando ti ho detto che tra noi
non c’è niente? E
poi Jim è assolutamente strano e a me piace cercare di
capirlo.”
“È la stessa cosa, più o meno state
insieme” trasse le sue
conclusioni Bill con una risatina, mentre riprendeva a salire gli
scalini.
Roddy lo affiancò. “Perché cazzo hai
questa mania di
distorcere la realtà?”
“Perché così è
più divertente!”
“Questo è un commento alla Patton.”
“Certo, quel marmocchio prende ispirazione da me!”
Sghignazzando e battibeccando, finalmente i due giunsero
alla loro stanza e si ritrovarono a dover bussare, dato che Mike ci si
era
chiuso dentro ed era l’unico a possedere la chiave.
“Non vi apro, voglio una stanza singola!”
gridò il
cantante dall’interno in tono di scherno. “Andate a
dormire nella doccia di Jim
e Puffy!”
“Dai, brutto stronzo, apri questa fottuta porta!”
ribatté Bill,
bussando con insistenza e ridacchiando sotto i baffi per
l’esplicito
riferimento alla pretesa del chitarrista.
“Mi devo davvero alzare?” protestò
ancora Mike.
“Porta il tuo culo giù da quel letto e aprici,
pezzo di
merda” proseguì Bill, assestando una spallata alla
porta per evidenziare il
concetto.
In tutto questo, Roddy dovette passarsi una mano sugli occhi
per asciugare le lacrime causate dal troppo ridere.
Quando finalmente il cantante fece scattare la serratura, i
due si fiondarono all’interno e si guardarono brevemente
intorno: ennesima
stanza d’albergo uguale a un’altra.
“Ci avete messo un anno a salire. Stavate scopando sulle
scale?” commentò Mike con nonchalance, che intanto
si era rituffato sul letto e
li osservava steso su un fianco.
“Sì, certamente! Peccato che non c’eri,
sarebbe stata
un’orgia coi fiocchi” replicò
prontamente Bill, prima di rinchiudersi in bagno.
Roddy si sedette sul bordo del materasso di uno dei due
letti liberi e si sfilò le scarpe con un sospiro stanco. Era
frastornato da
tutto ciò che era accaduto, ma sapeva che ancora
c’era una questione in
sospeso, avrebbe dovuto affrontare Jim e cercare di chiarire le cose;
quella
era senz’altro la parte più difficile.
E la cosa peggiore era che, nonostante ne avesse parlato con
Bill, ancora non era riuscito a capire cosa provava quando stava con
Jim. Il
chitarrista gli piaceva, lo intrigava, lo conosceva da anni e gli
voleva molto
bene, ma oltre ciò c’era quella sensazione di
benessere e calore che provava
quando gli stava accanto.
Come quella mattina su quel letto matrimoniale, quando Jim
per la prima volta si era lasciato abbracciare e coccolare, gli aveva
concesso
di accoccolarsi sulla sua spalla e giocare con i suoi capelli.
Proprio Jim, la persona meno aperta e affettuosa che
conoscesse.
Chissà come mai Jim si lasciava andare così
proprio in sua
compagnia…
“Sai, poco prima di scendere dal tour bus ho notato, in una
via qui nei dintorni, un negozio che pareva una pasticceria e
c’erano un sacco
di dolci buonissimi in vetrina, ma proprio qualcosa di esagerato!
Vendevano di
tutto, dalle torte ai pancakes, sembrava un posto creato apposta da
Lucifero
per tentarci… magari domani potremmo andare a fare colazione
lì, che ne pensi?”
Puffy conosceva Jim da tantissimo tempo, loro due erano
amici da prima che esistessero i Faith No More, quindi sapeva benissimo
che
quando il chitarrista si chiudeva in sé, l’unica
soluzione era parlargli e
provare a farlo uscire dal guscio pian piano, partendo da lontano, e
solo dopo
provare ad affrontare l’argomento che l’aveva
ridotto al silenzio.
Così, mentre sistemava alcune cose in valigia e gli dava le
spalle, aveva preso a blaterare e portare fuori qualsiasi cosa gli
saltasse in
mente, sperando di ricevere una sua reazione.
Ma a quelle parole dal letto di Jim si levò soltanto un
brontolio sommesso.
Puffy non si arrese e, mentre afferrava la maglia che
avrebbe utilizzato quella notte come pigiama, proseguì:
“A proposito di dolci,
mi è rimasta sempre impressa la cheesecake che ho mangiato a
casa tua quella
volta che mi hai invitato a pranzo, ti sto parlando di anni e anni
fa… l’aveva
fatta tua mamma, credo, o forse era tua nonna. Aveva il cioccolato e le
more,
era la cheesecake più buona che io abbia mai assaggiato! Se
non sbaglio c’era
anche Cliff ed entrambi ne abbiamo preso due fette enormi…
poi siamo usciti,
lui si è ubriacato e ha vomitato tutto”.
Si voltò per recuperare una pila di indumenti che aveva
poggiato
sul suo materasso e vide Jim sollevarsi su un gomito e osservarlo con
fare
divertito. “Sì, cazzo, mi ricordo! La tua faccia
mentre lo guardavi vomitare era
esilarante.”
“Ero disgustato.”
“Appunto, è per quello che faceva
ridere.”
“Io non stavo affatto ridendo, cazzo.” Il
batterista si
lasciò sfuggire un sorriso nostalgico a quel ricordo.
Nella stanza calò il silenzio e Puffy si impegnò
a frugare
nella sua mente per cercare qualcosa da dire, ma non trovò
niente. In genere
Jim non stava zitto un attimo in sua compagnia, ma quella sera sembrava
davvero
di malumore.
Puffy sospettava che c’entrasse la lite con Bill di quella
mattina, anche se non ne aveva ben capito i motivi. Ormai non indagava
più,
scene del genere erano all’ordine del giorno in casa Faith No
More.
“Speriamo che Roddy se la cavi in stanza con
Patton”
commentò infine, sedendosi sul letto.
Jim si rigirò nel letto, dandogli le spalle.
“Sono solo le nove, non vorrai mica dormire adesso!”
“No, infatti stavo pensando di uscire.”
Puffy si illuminò. “Usciamo allora!”
“No, io esco. Da solo.”
“Che pezzo di merda, mi vuoi escludere…”
Jim sbadigliò. “Vai dagli altri.”
“No, sono troppo stanco, non ho voglia di andare a farmi
distruggere il cervello da quei tre.”
“Ah, sei stanco. E allora dormi, buonanotte.”
Puffy sospirò: il suo amico era un caso perso. “E
dove hai
intenzione di andare?”
“Non lo so. Al cinema, in un bar, in un bosco, in un luna
park abbandonato…”
Il batterista si ravviò i dreadlocks e rifletté
un attimo su
come continuare il discorso. “Ma domani andiamo a fare
colazione insieme?”
“Può essere, se non sono morto.” Jim si
mise supino.
“Perché mai dovresti esserlo?”
“Così, magari passa una macchina e mi
investe.”
Un grido disumano proveniente dalla stanza accanto interruppe
la loro conversazione, attutito dalla parete; ne seguì una
forte risata e altri
strilli indistinti.
I due si scambiarono un’occhiata perplessa.
“Che cazzo stanno combinando quei tre?” si chiese
Puffy,
dando voce ai pensieri di entrambi.
“Si staranno scuoiando a vicenda” fu il laconico
commento di
Jim.
Ma ormai quel baccano aveva scatenato la curiosità
– e anche
un pizzico di preoccupazione – del batterista,
così si alzò e decise di andare
a controllare.
“L’ho detto io, che in questa band
c’è bisogno di un baby
sitter” borbottò, mentre lasciava la stanza e si
richiudeva la porta alle
spalle.
Quando si avvicinò a quella della camera adiacente,
scoprì
che era socchiusa e gli bastò spingerla appena per entrare.
La scena che gli si parò di fronte aveva del raccapricciante.
Roddy e Bill sembravano nel pieno di un esperimento: il
tastierista aveva i polsi legati dal lenzuolo e si dimenava come un
pazzo,
mentre Bill contava i secondi che passavano tenendo d’occhio
un orologio, e nel
mentre si scambiavano una serie di insulti coloriti, grida e colpi.
Nel frattempo Mike, in ginocchio sul pavimento nei pressi
del televisore, rovistava nella sua collezione di videocassette di film
porno
ed enunciava a gran voce: “Allora, cosa possiamo guardare, Red
Night o The
Velvet Room? Vabbè, la notte è giovane,
io li metterei entrambi!”.
Senza battere ciglio, il nuovo arrivato mosse qualche passo
verso Bill e Roddy. “Cosa stareste facendo? Vi è
presa la passione per il
sadomaso come a Patton?”
“No, è una cosa che abbiamo visto in un film.
Praticamente vogliamo
scoprire quanto tempo impiega una persona per liberarsi quando ha i
polsi
legati, solo che Roddy non è molto collaborativo”
spiegò il bassista con un
tono da presentatore televisivo. “Se si allena potrebbe anche
battere il Guinness
World Record, sai?”
“William David Gould, sei un figlio di puttana, devo andare
in bagno! Slegami, cazzo!” strillò Roddy con fare
disperato.
Il bassista sbuffò, cedendo alla richiesta e liberando
l’altro dalla stretta del lenzuolo. “Sei una
rottura di palle, non si può fare
niente con te.”
Roddy allora scappò subito in bagno, imprecando tra i denti.
Già stufo di quel delirio, Puffy si stava accingendo a
lasciare la stanza, quando Mike gli rivolse un sorriso innocente.
“Ehi, Puffy!
Rimani per il film?”
“Veramente preferirei astenermi.”
“D’accordo!” Il cantante si rimise in
piedi e si avvicinò
all’interruttore per spegnere la luce.
“Che cazzo fai?” sbottò Bill quando si
ritrovò immerso nel
buio.
“È per guardare il film.”
“Me ne fotto del film, accendi, non si vede un
cazzo!”
“Ah, ma che palle! Avevo ragione quando vi volevo mandare a
dormire nella doccia di Jim e Puffy!”
Il batterista, sentendosi tirato in causa, inarcò un
sopracciglio.
“Ma vuoi accendere la luce?” abbaiò
ancora Bill, irritato.
Mike sbuffò.
“Perché siamo al buio?” chiese Roddy,
uscendo dal bagno.
Puffy si strinse nelle spalle. “Buona fortuna,
ragazzi!”
concluse, spalancando nuovamente l’uscio per tornare in
corridoio.
Solo che, proprio in quel momento, vide Jim sbattere la
porta della loro stanza per poi lanciargli le chiavi e camminare a
passo
spedito verso il vano dell’ascensore.
“Ehi, Jim, dove vai?” gli gridò dietro.
“Te l’ho detto, al cinema!”
Anche Roddy si affacciò, gli occhi sgranati che
perlustravano
il corridoio. “Jim sta… sta andando
via?!”
Puffy annuì. “A quanto pare vuole stare da
solo.”
Il cuore del tastierista perse un colpo a quelle parole.
Sapeva bene che Jim stava male per la discussione con Bill, sapeva che
sarebbe
dovuto andare a parlarci e a confortarlo molto prima, sapeva di essere
l’unico
a poterlo fare e ora si sentiva terribilmente in colpa.
Una cosa era certa: non poteva più rimandare, non avrebbe
permesso che se ne andasse e restasse da solo tutta la sera a
rimuginare.
Si voltò solo per qualche istante e incrociò lo
sguardo di
Bill, che gli sorrise.
Poi, senza perdere altro tempo, corse fuori dalla stanza e
si fiondò giù per le scale, col cuore che gli
batteva a mille e l’ansia di non
arrivare in tempo. Non sapeva nemmeno cosa gli avrebbe detto, ma
l’importante
era riuscire a fermarlo.
E poco gli importava se sarebbe dovuto uscire per strada
senza una giacca.
Una volta al piano terra, superò la hall senza nemmeno
vederla e si ritrovò sul marciapiede, coi polmoni che
bruciavano e il freddo
pungente che s’infiltrava tra i vestiti.
Si fermò a riprendere fiato e si guardò attorno,
individuando subito la figura scura e slanciata di Jim ferma a diversi
metri da
lui, sicuramente in attesa di un taxi.
“Jim!” lo richiamò, andandogli subito
incontro.
Il chitarrista non fece una piega finché Roddy non gli si
parò davanti, ansimante e tremante.
Allora lo squadrò da capo a piedi e si rese conto che era
successo davvero, Roddy l’aveva seguito.
A lui importava ancora.
“Si può sapere dove avevi intenzione di
andare?” gli chiese
il ragazzo biondo, massaggiandosi un fianco.
Jim decise di ricorrere alla sua solita corazza. “Al cinema,
voglio vedere se c’è un film horror. Vieni con
me?” propose con tranquillità,
come un perfetto finto tonto.
“Sono in pigiama, cazzo.”
“Oh… già, peccato.”
Calò il silenzio per qualche istante, in cui Jim
osservò
Roddy che si stringeva le braccia intorno al corpo nel tentativo di
placare i
violenti brividi di freddo: indossava soltanto una leggera maglia
bianca in
cotone, adatta al potente riscaldamento dentro l’hotel ma non
al fresco della
sera.
Vederlo così gli metteva un’inspiegabile e
irrefrenabile
voglia di stringerlo a sé e tenerlo al caldo, ma una parte
di lui gli suggeriva
di non cedere alla tentazione. Roddy non se lo meritava: era stato un
vero
stronzo a raccontare a Bill del loro legame particolare e addirittura a
insinuare quelle cose orribili sull’omofobia.
Già, Jim non ce l’aveva più con Bill
né con nessun altro, ma
soltanto con Roddy. L’aveva tradito e messo terribilmente in
imbarazzo.
“Jim, stai scappando.”
Fu quella frase a rompere il silenzio e distoglierlo dai
suoi pensieri.
Fu quella frase a rompere tutte le barriere che si era
costruito attorno in quelle ultime ore.
“Ascoltami bene, Roddy: non ho capito cosa ti sei messo in
testa o cosa ti hanno messo in testa gli altri, ma io non sono omofobo,
va
bene? Non mi fai schifo, non ti odio, non è un problema se
dormiamo nello
stesso letto e se respiriamo la stessa aria e se ti butti addosso a me
e mi fai
il solletico! Non ci sono abituato, ma non è un problema e
se tu la pensi così,
cambia subito idea perché non mi piace questa
cosa!”
Roddy rimase completamente spiazzato. Era la prima volta che
Jim si apriva in quel modo così spontaneo, con quel fervore
nella voce e quello
sguardo terribilmente serio, come se tutte le tracce della sua consueta
stravaganza avessero lasciato il posto a un’estrema
lucidità e consapevolezza.
“Io volevo… soltanto chiederti scusa per le accuse
di Bill,
non penso affatto che tu sia omofobo e sono stato il primo ad ammettere
che è
difficile accettarmi, lo so…” mormorò
Roddy, sentendosi ancora una volta in
colpa.
“Perché l’hai detto a lui?”
“Perché Billy è il mio migliore amico,
io non l’ho fatto per
male, non potevo immaginare che succedesse tutto ciò e mi
dispiace davvero.”
Distolse lo sguardo, mortificato.
Jim prese un respiro profondo. Okay, questo lo capiva e lo
accettava, non poteva impedire a Roddy di parlare col suo migliore
amico.
“Quindi tu non lo pensi davvero” disse,
più a se stesso che
a Roddy.
“Ma certo che no, io… Jim, se mi odiassi non
sarebbe
successo ciò che è successo quel
giorno.” Il biondo arrossì nel pronunciare
quelle parole e nel ricordare quanto fossero stati vicini quella
mattina, uno
con le dita intrecciate tra i capelli dell’altro.
“E se Bill vedesse questo, come reagirebbe? Cambierebbe
idea?”
Detto ciò, Jim afferrò Roddy poco sopra i fianchi
e lo trascinò più vicino a
sé, per poi stringerlo in un abbraccio avvolgente e
affettuoso. Alla fine non
era più riuscito a resistere e poi non avrebbe avuto senso
farlo, aveva capito
che Roddy non aveva nessuna colpa e il vero coglione della situazione
era stato
solo e unicamente Bill.
Ma ci sarebbe stato tempo in un secondo momento per pensarci,
o forse no, sarebbe caduto anche quello nel dimenticatoio. Comunque in
quel
momento c’erano cose ben più importanti a cui
pensare.
Intanto il cuore di Roddy batteva talmente forte che pareva
sul punto di esplodere. Per la prima volta Jim aveva compiuto il primo
passo e
l’aveva abbracciato, e lui era così tanto felice
che gli veniva voglia di
esultare; mai si sarebbe aspettato che quel ragazzo così
chiuso, rude e lugubre
potesse essere così affettuoso e perfino dolce
con lui.
Eppure ora lo teneva tra le braccia, assicurandosi che non
sentisse freddo e provando in tutti i modi a farlo smettere di tremare.
Ma non erano solo brividi di freddo, quelli che gli
percorrevano il corpo.
“Vuoi ancora andare al cinema?” chiese Roddy con
una
risatina, il volto sepolto tra i capelli del chitarrista.
“Ah, fanculo al cinema!” esclamò
l’altro, senza sciogliere
l’abbraccio.
“Allora che ne dici di rientrare? Non so te, ma io mi sto
congelando il culo” gli fece notare il tastierista
sghignazzando.
Per un istante nella mente di Jim si affacciò
un’idea
malsana, un improvviso desiderio. Per un attimo pensò di
constatare lui stesso
se le parole di Roddy fossero vere, prese in senso letterale.
Ma quel pensiero era talmente bizzarro e surreale che non
poté fare a meno di scoppiare a ridere, talmente forte che
fu costretto a
sciogliere l’abbraccio.
“Sei rincoglionito? Perché stai
ridendo?” gli domandò Roddy
confuso, osservandolo mentre si sbellicava senza un apparente motivo.
“Così, mi andava di ridere”
buttò lì Jim, tra una risata e
l’altra. Poi posò una mano sulla spalla di Roddy e
lo spinse leggermente verso
l’ingresso dell’hotel. “Su, andiamo
dentro, prima che il tuo culo diventi un
siberino!”
Roddy si ritrovò a pensare che Jim fosse estremamente
strano, a volte lo lasciava talmente basito che sospettava non fosse
umano, ma
non poteva che esserne contagiato. Scoppiò a ridere a sua
volta, mentre si
diceva che non si sarebbe mai stancato di scoprire le sue mille
sfaccettature e
affascinanti bizzarrie.
Qualunque fosse la natura del loro rapporto.
Entrarono in ascensore ancora sghignazzando, ma nonostante
l’attacco
improvviso di risa, Jim non si perse il dolce spettacolo delle guance
di Roddy
che, grazie al calore che l’aveva avvolto, si tingevano di
rosso per poi
tornare pian piano a un colorito normale.
Quando le porte scorrevoli si chiusero e i due furono
all’interno
del box, Roddy posò lo sguardo su Jim e lo trovò
estremamente tenero, con quei
capelli ribelli e scompigliati e l’atteggiamento
apparentemente burbero, ma che
nascondeva tanto altro.
“Jim” mormorò a mezza voce, prima di
accostarglisi e
posargli la testa sulla spalla, accoccolandosi al suo fianco.
Trascorsero alcuni istanti in cui rimasero in silenzio in
quella posizione, cullati dall’ascensore che saliva
lentamente piano dopo
piano.
E Roddy pensò, il suo cervello elaborò un
miliardo di cose
nel giro di qualche istante. In un attimo decise che ormai non aveva
più nulla
da perdere, che quella era stata una giornata talmente surreale che era
arrivato il momento di giocarsi il tutto per tutto. Magari avrebbe
rovinato
tutto, ma ormai le cose avevano rischiato di andare a rotoli tante
volte, così
come tante volte si erano sistemate.
Così prese il coraggio a due mani.
Un secondo prima che le porte dell’ascensore si riaprissero
sul terzo piano, si sporse verso Jim e lasciò che le loro
labbra si
sfiorassero. Fu un attimo, durò il tempo di un battito di
ciglia, ma
quell’unico piccolo gesto conteneva una delicatezza e una
potenza
destabilizzanti.
Roddy si allontanò subito con una risata e uscì
in
corridoio; era elettrizzato da capo a piedi, ma una parte di
sé era consapevole
che non si sarebbe mai più ripetuto, Jim non
l’avrebbe mai ricambiato in quel
modo e non aveva senso illudersi.
Invece Jim restò immobile per qualche istante al centro del
box, l’incredulità e la confusione divoravano ogni
suo pensiero. Se l’era
sognato o era successo davvero? E soprattutto, come doveva sentirsi a
riguardo,
cosa doveva pensare?
Chissà perché sentiva le labbra di Roddy ancora
impresse
sulle sue, nonostante si fossero soltanto sfiorati.
E chissà perché dopo quel contatto tutto il mondo
gli
appariva più luminoso.
♥
♥
♥ ♥ ♥
…come non dare un seguito alla mia primissima storia sul
fandom,
in cui le cose tra Roddy e Jim erano rimaste così
indefinite? Insomma, per chi
non l’avesse capito, la Martum è la mia ship del
cuore nei FNM, anche se la immagino
piuttosto innocentina *____*
Come già scritto nella presentazione, questo è il
sequel (per la gioia di Sabriel
XD) della mia It
shouldn’t bother
me, ma spero che, per chi non dovesse
aver letto l’altra storia, il
testo sia comunque risultato chiaro, ho cercato di spiegare tutti i
riferimenti
^^
Ma passo subito a chiarire un paio di cose!
Innanzitutto, quando accenno al fatto che i ragazzi della
band non hanno ancora chissà quale potere decisionale
riguardo alla disposizione
delle stanze, dipende dal fatto che la storia è ambientata
agli esordi della
loro carriera, quando ancora non erano famosi e si non potevano
avanzare chissà
quali pretese. Rimanendo fedele al prequel, ho fatto riferimento al
fatto che Jim
e Roddy cpndividessero sempre la stanza, anche se ovviamente non ne ho
la certezza
^^
Quando Mike si mette a smistare le videocassette dei film
porno /ci credo che poi Puffy non voleva andare nella sua
stanza… XD), ho preso
spunto dalla sua reale passione per la cinematografia a luci rosse,
passione che
non tende a nascondere e anzi, spesso si è lasciato anche
ispirare per quanto
riguarda i testi XD (sì Mike, ti mando Spencer a farti il
profilo… -.-)
Invece quando parlo di Jim che osserva gli altri che guardano
qualcuno vomitare (un altro bell’esaurito…),
faccio riferimento a un’intervista
super esilarante ma allo stesso inquietante che gli è stata
fatta nei primi
anni Novanta, dove appunto dice che lo diverte osservare le reazioni
della
gente quando qualcuno vomita. Quell’intervista mi ha aiutato
un sacco per la
sua caratterizzazione e per inquadrare le sue innumerevoli stranezze,
vi lascio
il link perché è qualcosa di assolutamente fuori
dal mondo XD
http://www.artistwd.com/joyzine/music/fnm/fnm1.php
Che poi, a essere del tutto onesta, quest’intervista
più che
chiarirmi le idee me le ha ancora più confuse AHAHAHAHAHA e
noi diciamo che è
Mike quello strano…
Comuuunque, quando Puffy (povera vittima :P) racconta
l’aneddoto
della cheesecake, nomina anche un certo Cliff; come già
spiegato in altre
storie, mi riferisco a Cliff Burton, primissimo bassista dei Metallica
che è venuto
a mancare nell’86 a causa di un incidente stradale. Puffy,
Jim e Cliff erano
veramente tanto amici in passato, avevano anche formato una band
insieme, quindi
mi piace pensarli alle prese con queste situazioni idiote da ragazzini
XD
Ultimissima piccola notina: il titolo della storia è un
verso del brano Everything’s Riuned,
tratto dall’album dei Faith No More
del 1992, Angel Dust. Ragazzi, quella canzone
è dannatamente bella ed è l’ennesimo
esempio di quanto le tastiere di Roddy e la chitarra di Jim siano ih
netto contrasto
ma allo stesso tempo si fondano perfettamente *-* awww!
Bene, ho delirato anche troppo, come al solito XD quindi non
mi resta che ringraziarvi di cuore per essere giunti fin qui e aver
letto questo
testo!!! :3
Alla prossima! ♥
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