Pure love
Pure love as a painkiller
Il regolare e acuto segnale acustico proveniente dall’apparecchio
per il monitoraggio cardiaco è l’unico rumore che rompe il gelido silenzio
della stanza; la tenda socchiusa lascia trapassare la brillante luce del
giorno, così bianca, così sbagliata. Sembra quasi volersi fare beffa di
noi.
Inspiro a fondo, ma i polmoni mi si riempiono soltanto di
quell’opprimente odore di malattia e disinfettante.
Non dovrei essere qui. Anzi, non dovrei essere qui per
lui.
Finalmente trovo il coraggio di posare lo sguardo sull’unico
letto presente nella stanza e una fitta mi attraversa il petto.
Sento il tuo dolore, lo percepisco come se fosse mio.
E lo faccio mio, forse in questo modo ti allevierò il
peso che porti dentro.
Anche se forse non vorresti che fossi qui, ma non importa:
sapevo che ne avevi bisogno e sono arrivato.
Le anime gemelle non hanno bisogno di dirsi niente, se lo
sentono e basta.
Mi accosto al letto a piccoli passi e lo osservo.
Trattenendo il fiato, cercando di non soffermarmi sulla gran quantità di fili e
macchinari attaccati al suo corpo.
È bello, proprio come lo ricordavo. Le lunghe ciocche ricce
fanno a pugni col bianco candido e malsano del cuscino, incorniciano il volto
dai lineamenti marcati e quasi rudi, che ora hanno assunto una dolcezza nuova,
tremendamente innaturale.
Sono dolci le palpebre serrate, adornate da ciglia scure e
morbide che ogni tanto sembrano guizzare sotto il mio sguardo, forse nel
tentativo di schiudersi.
Sono dolci le labbra piene, anch’esse serrate e distese in
una posa serena. Quelle labbra che da troppi anni non sfiorano le mie.
Sono dolci le guance brunite e appena arrotondate, seppur
ora appaiano così smagrite e sbiadite.
“Non è in questa situazione che speravo di rivederti, Slash”
soffio, la voce mi si spezza sulle ultime parole e sento le lacrime pungermi
gli occhi.
E cos’hai fatto in questo tempo, mentre io non ero con
te?
Ti sei rovinato, ti sei fatto del male. Dicevi che era il
tuo modo di goderti la vita, che invece ti ha pericolosamente avvicinato alla
morte.
E io non ero a fianco a te, perché tu non mi hai voluto.
Mi hai tradito, usato, maltrattato, buttato via come uno
straccio vecchio e allontanato per sempre da te, ma io non ho mai smesso di
amarti.
E in fondo so che non hai mai smesso nemmeno, perché due
anime che si intrecciano e si fondono non si potranno mai separare del tutto.
E ora che hai bisogno di me, eccomi.
Anche se mi hai tradito, usato, maltrattato, buttato via
come uno straccio vecchio e allontanato per sempre da te, eccomi.
Perché l’unico per sempre siamo io e te.
Vorrei tanto afferrarlo per un braccio, scrollarlo finché
non si sveglia, piangere tutta la mia disperazione, gridargli in faccia che è
tutta colpa sua, che si è rovinato con le sue stesse mani e io non riesco a
sopportare di vederlo in questa situazione.
Ma non lo faccio. Semplicemente mi siedo sul bordo del letto
e continuo a scrutarlo con una voragine all’altezza del cuore.
Più mi avvicino a lui e il suo calore mi accarezza la pelle,
più il suo dolore si fa strada in me.
O forse questo dolore è mio e solo ora mi rendo conto di
quanto sia violento.
Sento il polso bruciare appena e d’istinto mi porto due
polpastrelli a tastare quel punto sensibile, in cui risiede un tatuaggio che è
nato con me.
Quel tredici che è sempre stato nero e che, quando ho
incontrato Slash, si è tinto di rosso e ha cominciato a bruciare. Quel tredici
che scotta anche sul suo polso quando siamo insieme.
E i miei occhi iniziano a pizzicare insieme a lui, perché da
troppo tempo non avvertivo questa sensazione.
“Non dovevi ridurti così, Slash. Sai benissimo che non
potrei mai vivere senza di te.”
Hai sempre detto di voler fare le cose a modo tuo. Così
testardo, così ostinato, così libero.
Ti sei ubriacato troppe volte, a modo tuo.
Ti sei ferito la pelle con troppi aghi, a modo tuo.
E quando tutti ti dicevano che stavi esagerando e che ne
andava della tua salute, tu non li hai ascoltati.
Oh, ti conosco così bene! Non avresti mai fatto niente
che gli altri ti suggerissero, perché tu sei fatto a modo tuo e non accetti
ordini da nessuno. Mai.
Quasi mai.
Però ti sei piegato al volere altrui quando si trattava
della mia sorte. Nel momento in cui tutti erano contro di me, tu ti sei
accodato al resto del mondo e mi hai spinto via.
Mai avresti preso le mie parti, mai avresti lottato per
me. Mentre tutto il mondo mi seppelliva e mi calpestava, tu sei rimasto in un
angolo a guardare, senza muovere un dito.
Ma io non sono come te, non ce la faccio. Io sono quello
debole, quello stupido.
Non ti abbandonerò, non ti lascerò combattere questa
battaglia da solo.
Se dobbiamo rovinarci, lo faremo in due.
All’improvviso so esattamente ciò che devo fare, me lo
suggerisce qualcosa di più profondo. È qualcosa che proviene dall’anima.
Poso la mia mano sulla sua, inerte e abbandonata sul
materasso, e una scossa elettrica mi invade il corpo.
Come se fosse la prima volta.
Gli carezzo piano la pelle, la trovo tiepida sotto i
polpastrelli. Ancora così morbida, così piena di vita nonostante tutto, percorsa
da un pigro tepore.
E se Slash non avesse più calore dentro sé, gli donerei il
mio. E se non avesse più vita, gli donerei la mia.
La percepisco, quella sottile magia che si instaura ogni
volta: lo sento star meglio, soffrire di meno, e all’improvviso tutto il suo
dolore scompare sotto le mie dita, si dissolve.
Come durante il nostro primo incontro, quando mi soccorse
dopo una brutta caduta e i nostri corpi a contatto furono necessari a scacciare
il dolore e curare le mie ferite.
Lascio andare la sua mano e, malgrado il suo stato di
incoscienza, i lineamenti del suo volto si contraggono in una smorfia di dolore
e disappunto.
Sento le lacrime pungere agli angoli degli occhi e
contemporaneamente un sorriso mi compare sulle labbra. Lo so, ha bisogno di me,
solo ed esclusivamente di me.
Per tanti anni ha finto che non fosse così, ha finto che la
mia assenza gli stesse indifferente, ma adesso non c’è più nulla da nascondere,
non c’è orgoglio che tenga.
“Non devi più vergognarti, non devi più nascondermi che stai
male lontano da me. Per me è lo stesso” sussurro, e gli poso due dita sulle
labbra. Le faccio scorrere piano: sulle guance, sulla fronte, sulle tempie, sul
naso, sulle palpebre serrate, tra i capelli.
E quei gesti morbidi diventano carezze disperate e urgenti.
Sento il suo viso distendersi, scaldarsi e modellarsi sotto
il mio tocco, sento il dolore abbandonarlo ancora una volta e il sollievo mi
riempie il cuore.
Ah, quanto mi era mancato percorrere quei lineamenti rudi, scivolare
con le dita sul viso dell’unica persona in grado di completarmi e farmi sentire
a casa. Quanto mi era mancato ubriacarmi di quella bizzarra magia che io e lui
riusciamo a combinare insieme.
Continuerò così per sempre se sarà necessario, finché non
starà meglio e finché lui ne sentirà il bisogno.
So che non mi stancherò mai di prendermi cura di lui, perché
equivale a prendermi cura di una parte di me.
Miopatia cardiaca. I medici ti danno da una a sei
settimane di vita.
Come hai potuto ridurti così? Non ti accorgevi di star
tirando troppo la corda?
Forse ti ho implorato troppo poco di smettere, avrei
dovuto insistere.
Quando ho saputo che ti trovavi in ospedale, non ero per
niente sorpreso, perché io sapevo già tutto e in ospedale ci stavo già andando.
L’ho avvertito dentro al petto, in quell’angolino
interamente dedicato a te e alle tue sensazioni. Anche standoti lontano, ho
percepito ogni singolo momento in cui stavi male.
Ma stavolta l’allarme è stato più forte, la fitta al
cuore mi ha sconquassato così tanto che sono quasi crollato a terra.
E così sono corso da te, anche se nessuno me l’ha
chiesto. Anche se non mi vuoi vedere.
Nessun’anima lascerebbe mai da sola la sua gemella, nel
bene e nel male.
E al diavolo la miopatia, le scadenze date dai medici, al
diavolo anche tutte le volte che mi hai rifiutato e hai preso a pugni il mio
cuore.
Al diavolo, perché sarò la tua medicina.
Quando due anime si intrecciano e si mescolano, nulla può
andare storto.
“Oh, Slash” mormoro, giocando con i suoi capelli. Gli sfioro
le orecchie, il mento, gli prendo il viso tra le mani.
“Non mi lascerai, non lo farai e basta. Ora ci sono qui io,
andrà tutto bene, ti guarirò. Te lo prometto, Slash, te lo prometto.”
Lo scruto con terrore e speranza, il respiro mi si mozza in
gola e gli occhi percorrono tutto il suo volto in cerca di una reazione, un
segnale. Gli accarezzo le spalle, le braccia, il collo.
E lo amo, lo amo così tanto. Di un amore così profondo, che
va oltre tutto ciò che è stato detto e fatto.
“Ti sveglierai, lo so, e io sarò qui e non sentirai mai più
dolore. Non mi importa se mi manderai via di nuovo, se mi odierai per essere
qui… Slash, io ti salverò, te lo giuro.”
La mia voce trema, il mio corpo trema, le dita mi tremano
sulla sua pelle e tra le sue ciocche scure, il tatuaggio sul mio polso brucia.
“Ti perdono tutto, tutte le stronzate che hai fatto, tutta
la testardaggine e l’irresponsabilità. Oh, Slash, perché non mi hai ascoltato
quando ti supplicavo di smetterla con quella merda che ti ha ridotto così?”
Non ce la faccio più a vederlo su questo letto, attaccato a
questi macchinari che lo monitorano. Non voglio credere che la vita stia
scivolando via da lui, non può succedere e basta.
E se ci fosse un dio lo pregherei, se esistesse un
incantesimo lo userei, se esistesse un antidoto volerei fino alla luna per
prenderlo.
E se non esistesse niente, lo inventerei.
Farei qualsiasi cosa per trattenere qui accanto a me
quell’unico frammento d’anima in grado di combaciare con la mia.
“Ti prego, Slash, ho bisogno di vedere i tuoi occhi. Aprili,
per favore, aprili. Ho bisogno di vedere la luce dentro di loro, me ne hai
privato per troppo tempo.”
E mi manca il respiro alla sola idea di non poter più
rivedere quelle gemme scure e intense, voragini profonde pronte a inghiottirmi.
Ed è mentre gli carezzo la fronte che succede.
Le sue ciglia hanno un guizzo lieve, quasi impercettibile.
Per un attimo il mio respiro si ferma. Il mio cuore si
ferma. Il mondo si ferma.
Slash apre gli occhi, piano, con fatica; la luce ferisce le
sue pupille intorpidite e appannate.
Ma così piene di vita. E le sue iridi sono così calde, scure
e intense; sempre loro, esattamente come le ho viste per l’ultima volta, dieci
anni fa.
Per la prima volta sono disarmato, non so cosa dire. Mentre
il cuore mi martella a mille nel petto, l’unico gesto che riesco a compiere è
stringergli forte una mano.
Il suo sguardo smarrito si posa su di me, mi mette a fuoco,
mi esamina per qualche istante. Ma lui sapeva che ero qui, ancora prima di
risvegliarsi. Lo sentiva.
“Steven” mormora soltanto con voce rotta, muovendo a fatica
le labbra screpolate, e intreccia lentamente le dita alle mie.
E intreccia i suoi occhi pieni di luce ai miei, e le nostre
anime si intrecciano di nuovo, come se non si fossero mai separate.
Allora scoppio a piangere, all’improvviso mi ricordo come si
fa. Un fiume di lacrime mi inonda il viso, un fiume di singhiozzi mi scuote il
corpo e un fiume di pensieri mi straripa nella mente. È tutto troppo intenso,
l’unica cosa che riesco solamente a percepire è l’immenso amore che provo per
il ragazzo di fronte a me.
“Perché sei qui?” sussurra ancora Slash, strattonandomi
leggermente a sé con le poche forze che ha.
Ma non lo dice in tono di rimprovero, sembra soltanto
sorpreso. Attraverso la cortina di lacrime che mi offusca la vista, leggo nel
suo sguardo tanti, troppi sensi di colpa.
Gli ho fatto tutto il male possibile e ora lui è corso da
me nonostante tutto, sembra gridare.
“Perché sarei sempre dovuto essere qui” butto fuori tutto
d’un fiato, l’ultima parola viene spezzata da un singhiozzo.
Gli prendo il viso tra le mani e lo accarezzo con tutta la
dolcezza di cui sono capace; vorrei chiedergli come sta, ma non ce n’è bisogno.
Finché saremo pelle contro pelle, non sentirà alcun dolore.
“Non merito ciò che stai facendo per me” afferma con voce
roca e occhi lucidi, socchiudendo appena le palpebre.
“Sì, lo meriti” ribatto io in tono sicuro, prima di posare
con delicatezza le labbra sulle sue.
Non mi importa se è malato o se era in coma, perché le
nostre labbra che si incontrano sono la cosa più giusta del mondo. È la scarica
elettrica che ci percorre, ci fa bruciare e ci riporterà in vita, dopo che le
nostre anime sono rimaste intorpidite e doloranti per dieci anni.
E all’improvviso, non so perché e non so come, so che
guarirà.
“Lo meriti” ripeto a un soffio dalle sue labbra, e una delle
mie lacrime piove sul suo viso, rendendolo così luminoso e dannatamente
perfetto.
Lo merita sempre, a prescindere. Per lui ne vale sempre
la pena.
Lo merita perché non saremmo niente l’uno senza l’altro.
Slash accenna un sorriso, solleva lentamente una mano e
intreccia le sue dita a una mia ciocca bionda.
“Ora sono pronto a lottare insieme a te, Steven.”
♥ ♥
♥
Vi prego, per favore, abbiate pietà di me e non lanciatemi i
pomodori, anche se so di meritarlo per questa cosa che ho appena scritto!
Per i miei lettori fedeli/attenti, sarà stato facile
riconoscere in questo AU le stesse caratteristiche di Written in our
souls, la mia prima Soulmates!AU su Slash e Steven… e mi scuso, veramente,
perché mi rendo perfettamente conto che questa cosa non può competere con
quella shot.
Più che una storia, questa ha tutto l’aspetto di un
melodrammatico e sdolcinato flusso di pensieri senza capo né coda… eppure, che
ci crediate o no, c’è pure un certo lavoro sotto!
Innanzitutto ringrazio SherylHolmes per la citazione
fornitami dal suo contest, che ho tradotto e adattato al contesto:
“I do not deserve what you are doing for me.”
“Yes you do.”
Quando l’ho vista, ho pensato: Steven e Slash. In qualsiasi
mondo, universo, contesto e dimensione, questa citazione È la Stevash *___*
In secondo luogo, ci sono un bel po’ di notine tecniche che
mi sembra doveroso fornire, sia per la giudice del contest sia per coloro che
non hanno letto la prima storia!
In questo Soulmates!AU ho inserito due caratteristiche: la
prima riguarda l’incontro basato sul tatuaggio – infatti Slash e Steven hanno
entrambi un tatuaggio dalla nascita che riporta il numero 13, età in cui si
sono incontrati –, mentre la seconda è un po’ più complicata e non so nemmeno
se esiste davvero nel mondo delle Soulmates ^^ in pratica ogni volta che i due
entrano in contatto non sentono più alcun dolore. E, a proposito di dolore e
sofferenza, mi sembra quasi scontato che una persona riesca a percepire quando
la sua anima gemella sta male, quindi ho inserito anche quest’elemento (che
però secondo me fa parte di tutti i rapporti Soulmates, insomma se due anime
sono collegate è ovvio che una senta il malessere dell’altra).
Uscendo dall’argomento e passando a cose più concrete: Slash
ha davvero avuto questi problemi di salute, mi pare intorno al 2000. A furia di
riempirsi di alcol, eroina e chi più ne ha più ne metta, ha cominciato
logicamente a sentirsi male ed è stato ricoverato d’urgenza in ospedale, dove
appunto hanno scoperto questa miopatia cardiaca (nella sua autobiografia spiega
che il cuore gli si era gonfiato talmente tanto da non riuscire più a far
circolare il sangue), gli hanno impiantato un defibrillatore e gli hanno dato
da una a sei settimane di vita. A quanto pare il nostro chitarrista è nato
sotto una buona stella (più o meno), perché miracolosamente è guarito e oggi è
ancora vivo e vegeto ^^
Al suo risveglio in ospedale, nella reale versione dei
fatti, ovviamente non c’era Steven ma sua moglie Perla, solo che io dovevo
rendere il tutto molto più poetico XD
A proposito del rapporto conflittuale tra Slash e Steven, ho
voluto riprendere alcuni aspetti dalla realtà: i due sono sempre stati molto
uniti fin da quando erano ragazzini, ma con il successo dei Guns N’ Roses le
cose sono andate complicandosi finché nel 1990 (appunto dieci anni prima dei
fatti che ho raccontato qui) Steven non è stato cacciato dalla band per vari
motivi. Slash ha votato a favore della sua uscita, tradendolo e non prendendo
le sue difese, a dispetto del loro profondo legame; questa cosa ha fatto stare
malissimo Steven, anche perché poi si sono persi di vista per molto tempo (qualche
volta in quei dieci anni si sono visti, ma il loro rapporto è rimasto molto
freddo). Nella realtà hanno ricucito i rapporti qualche anno più avanti, ma io
mi sono sempre chiesta come avrebbe reagito Steven se fosse stato in buoni
rapporti con Slash in questa situazione!
La verità è che, nella vita vera, in quel periodo Steven era
messo peggio di Slash in quanto a salute e abuso di droga, quindi al massimo
avrebbe dovuto preoccuparsi per se stesso! Solo che in questo AU ho deciso di
mantenere Steve sobrio per ovvie ragioni di trama ^^
Ultimissima notina: il titolo proviene dal testo della bellissima
“Painkiller” dei Nothing But Thieves ^^ cioè, i loro testi sono oro, io senza
le loro canzoni non saprei come fare con i titoli delle mie storie, ahahahahah!
E niente, credo di aver detto tutto! Come al solito le NdA
sono il doppio della storia XD
Grazie di cuore a chiunque sia giunto vivo alla fine di
questo delirio, so che non è il mio meglio ma mi ronzava in testa da un po’ e
in un modo o nell’altro dovevo metterlo per iscritto! Spero vi abbia comunque
trasmesso qualcosa :3
Alla prossima!!! ♥
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