CAPITOLO
15
-CONFESSIONI,
PARTE PRIMA: INCUBO-
Senza
che quasi se ne accorgessero, l'estate virò rapidamente
verso l'autunno, portando con sé nuovi profumi e colori e
una certa dose di freddo precoce. Le foglie di alberi e piante erano
variegate di ogni tonalità di rosso, giallo e arancione;
pian piano, iniziarono a cadere copiose sull'erba dei giardini e sulle
campagne circostanti, tappezzando tutto e attutendo il rumore degli
stivali sulle viottole sterrate.
Freya non era più riuscita a tranquillizzarsi del tutto,
dopo quella sera. In cuor suo continuava a credere che prima o poi
qualcosa sarebbe successo, ma non mostrava i suoi timori e si
concentrava su altro. Aveva continuato a indagare sui suoi genitori,
cercando di capire se le fosse sfuggito qualcosa come le suggeriva
l'istinto, ma in quello non era per nulla progredita. La sua
conoscenza, però, continuava a crescere: aveva cominciato a
frequentare le lezioni che il maestro Athal teneva per Aran,
perché pian piano aveva capito quanto fosse importante
comprendere a un livello più profondo il mondo che la
circondava; trovava il suo modo di illustrare i vari argomenti
estremamente affascinante. Per quella ragione, quando Aran le aveva
spiegato che Darragh non seguiva le stesse lezioni poiché
aveva voluto avere un precettore un pò meno stravagante, non
era riuscita a comprenderne il motivo. Athal aveva il grande dono di
far apparire interessante anche il più soporifero dei
concetti. In ogni caso, Aran non sembrava dispiacersi dell'assenza di
Darragh.
Non c'era voluto molto a Freya per intuire che i due fratelli non si
parlavano praticamente più. La conferma le era stata data
dalla tensione che vibrava fra loro quando erano nella stessa stanza,
oltre che dalle frecciatine che si lanciavano le sole volte che si
rivolgevano l'uno all'altro. Alle domande della giovane, Aran aveva
risposto che, poco prima del ballo, avevano avuto una discussione
piuttosto pesante; anche se non aveva voluto dirle quale ne fosse stato
l'oggetto, sospettava riguardasse anche lei.
Oltre agli studi, poi, i due giovani trascorrevano ore ed ore in
Biblioteca; era il luogo più tranquillo del palazzo, dove
potevano parlare di ogni cosa passasse loro per la testa senza timore.
Curiosi di scoprire dove fossero andate a finire le mappe degli altri
Regni, avevano iniziato a esplorare sezioni della grande torre oscure
perfino ad Aran. Era uno strano passatempo, ma rispolverare scritti che
nessuno leggeva da tempo li portava ad avere sempre nuovi argomenti di
discussione.
Eppure, nonostante la relativa calma, le sue visioni avevano ripreso a
presentarsi durante la notte. Striscianti e avvolte in quella solita
aura di terrore, la costringevano a svegliarsi con le lacrime agli
occhi e la fronte imperlata di sudore, circondata dal buio totale.
Quando accadeva richiudeva gli occhi solo per sentire la voce dello
Spirito Guida ripeterle la stessa identica cosa che le aveva detto dopo
la visita alla tomba di suo padre: Presto arriverrà il
momento in cui dovrai scegliere. Era semplicemente un altro enigma fra
tutti quelli che avevano costellato la sua esistenza.
Anche Aran pareva stranamente stanco, ma Freya decise di non fare
domande quando intuì che il ragazzo non se la sentiva ancora
di parlarne. La fiducia fra di loro, sempre più profonda,
era indiscutibile; per quella ragione la giovane capiva che ci
sarebbero sempre state cose che avrebbero richiesto più di
tempo per essere rivelate, o che forse Aran non le avrebbe detto mai.
Non l'avrebbe mai giudicato per questo, tanto più che la
questione valeva per ambo le parti.
Molte volte Freya aveva pensato di cercare sollievo raccontando ad Aran
delle visioni che la tormentavano, di quella voce che le parlava da
sempre nel sonno. Le parole che si erano scambiati quella sera dopo il
ballo la incoraggiavano a farlo, così come quel legame che
andava rafforzandosi giorno dopo giorno. Sapeva però che
parlare di quello che la perseguitava l'avrebbe costretta a confessare
che nelle sue vene scorreva quel potere misterioso con cui lei lottava
da tutta la vita; temeva che Aran ne sarebbe rimasto terrorizzato. Per
quella ragione, alla fine, non aveva fatto altro che rimuginarci nei
momenti di solitudine, nascosta nella propria camera o in qualche
anfratto del giardino.
Fu in una notte di pioggia scrosciante che il cambiamento che Freya
percepiva in arrivo si abbatté su di loro.
Fino a quel momento, per la prima volta dopo molto tempo, il sonno
della giovane era stato stranamente tranquillo e privo di sogni; forse,
era stato l'allenamento di quel pomeriggio, protrattosi
più a lungo del solito fino a quando aveva cominciato a
piovere a catinelle e un vento gelido e tagliente aveva iniziato a
graffiar loro la pelle. Quella sera era crollata sfinita nel suo letto,
senza nemmeno cenare.
All'improvviso, qualcosa che non aveva mai visto prima di allora le
esplose dietro le palpebre. Non avrebbe saputo dire se si trattasse di
una nuova visione o semplicemente di un incubo, ma vi rimase
intrappolata, senza alcuna possibilità di scampo.
Era sola, nel mezzo di
una piana avvolta di foschia, e intorno a lei c'era solo morte.
Un'onda nera stava
lentamente travolgendo ogni cosa, uccidendo ogni essere vivente al suo
passaggio. Membri delle razze più disparate stavano perdendo
la vita in quella mattanza: elfi, protetti da armature lucide e incise
di runíar; centauri, imponenti e ritti sulle zampe
posteriori; adamantini, armati delle loro lance dalle lunghe lame;
perfino eteree, la cui pelle diafana riluceva nell'oscurità.
Sembrava di essere in un altro mondo, un mondo in cui il cielo non
esisteva più e ogni speranza era scomparsa.
Le urla le riempirono le
orecchie, atroci, angoscianti, e anche lei gridò, alzando le
mani di fronte a sé come se quel semplice gesto potesse
fermare quella marea mortale. Si ritrovò a pregare
perché il potere che fino a quel momento aveva soffocato si
manifestasse, come se sapesse che grazie ad esso ci sarebbe riuscita.
Ma nulla scaturì dalle sue mani, che rimasero inerti,
lasciandola impotente di fronte al massacro. Un dolore sordo le
ghermì l'anima, mentre le lacrime le inondavano le guance,
salate e amare, come la consapevolezza di aver fallito.
Il mare nero avanzava
inesorabile verso di lei e quando arrivò a lambirle i piedi
un bruciore lancinante le mozzò il fiato. Gridò
ancora, mentre la marea saliva e inghiottiva pian piano ogni pollice di
lei. Profonde ferite iniziarono ad aprirsi sulla sua pelle indifesa,
tagli slabbrati e sanguinanti che ben presto vennero invasi dal liquido
misterioso, e il dolore fu tale che credette sarebbe morta
così, prima che la sostanza arrivasse a soffocarla.
Eppure, non accadde.
Sentì ogni piccola parte di sé che veniva
bruciata e lacerata, fino all'ultimo istante, quando infine venne
sommersa. Il buio l'avvolse, terrificante e ineluttabile, ma nemmeno
allora il dolore cessò. Continuò a consumarla,
straziante, mentre una voce incorporea sussurrava: "Salvali... Tu puoi.
Salvali".
La ragazza balzò a sedere, tenendosi il corpo fra le
braccia. "Era un sogno, solo un sogno" cercò di ripetersi
più e più volte, ma non servì a nulla.
Quel dolore, per qualche assurda e inspiegabile ragione, non se n'era
andato con il risveglio, anzi: perdurava, mozzandole il fiato in
rantoli affaticati. Era come se quella disgustosa poltiglia nera la
stesse ancora facendo a brandelli; come se la sua stessa anima stesse
per lacerarsi irreparabilmente da un momento all'altro.
Si guardò attorno, spaventata, il cuore che picchiava contro
la cassa toracica. La sua mente era troppo annebbiata per permetterle
di capire cosa stesse accadendo. Molte volte il dolore dei suoi incubi
ricorrenti le era sembrato tanto reale da farle male, ma mai quanto
quella notte. Si alzò e la testà le
girò con tanta violenza che barcollò e dovette
appoggiarsi al letto per un lungo momento; solo quando credette di
potercela fare si mosse. Si diresse alla finestra, al cui vetro si
appoggiò con entrambe le mani e la fronte, ansante, alla
disperata ricerca di un pò di sollievo. Guardò
fuori, quasi credesse di ritrovare nella realtà lo stesso
scenario macabro dell'incubo, ma l'unica cosa ad avere vita
oltre il vetro era la tempesta che danzava nel vento.
Proprio in quell'istante, una nuova scarica di dolore la trafisse e le
ginocchia le cedettero di schianto. Nemmeno si accorse dell'impatto con
il suolo: restò lì, a terra, dondolandosi come
una bambina e mordendosi la lingua per impedirsi di urlare, riuscendo
solo a pregare con tutte le proprie forze che finisse presto. Per un
tempo indefinito non potè far altro che quello. Poi,
lentamente, il dolore scemò e Freya riacquistò
lucidità. Non poteva restare chiusa lì dentro, si
disse. Sarebbe impazzita. Doveva camminare, allontanarsi da quella
stanza, impedirsi di ricadere fra le braccia del sonno. Se l'avesse
fatto, forse lo Spirito Guida sarebbe arrivato ad alleviare la sua
sofferenza, ma la paura che l'incubo si ripresentasse non appena lei
avesse chiuso gli occhi fu più forte.
Si recò al baule e vi frugò dentro
finché non trovò uno dei mantelli più
comodi che possedesse. Lo indossò in fretta, sopra la veste
bianca che utilizzava per dormire, e senza sapere bene dove sarebbe
andata prese la porta e uscì. Voleva solo mettere quanta
più distanza possibile fra sé e quei sogni
tremendi che continuavano a perseguitarla.
֍ ֍ ֍
Tremava. Tremava tanto violentemente che gli sembrava di non avere
più alcun controllo sui propri muscoli. Aran
imprecò con tanta veemenza che, in altre condizioni, si
sarebbe spaventato di sé stesso. Non gli capitava mai di
utilizzare certi termini, ma non gli era mai nemmeno successo quello
che stava vivendo in quel momento.
Fece qualche altro passo lungo il corridoio, poi fu costretto ad
appoggiarsi con tutto il proprio peso contro il muro di pietra gelida,
stremato dal dolore che l'aveva aggredito al suo risveglio. Le gambe
stavano per cedergli, di nuovo. Chiuse gli occhi e in un attimo, le
immagini e la paura di quello che aveva visto durante il sonno
tornarono ad attanagliarlo.
Era abituato agl'incubi, erano stati una costante della sua infanzia e
non lo avevano mai abbandonato nemmeno quand'era cresciuto. Eppure,
questo era qualcosa di diverso, qualcosa di terrificante e
inspiegabile, che l'aveva lasciato paralizzato e inerme. Strinse i
pugni, come se quel semplice gesto potesse bastare a ridargli forza,
poi si scostò dal muro e procedette in direzione della sua
meta. La Biblioteca gli era sembrato il luogo ideale in cui rifugiarsi
e aspettare che la notte passasse; non aveva la minima intenzione di
riaddormentarsi e avere un libro fra le mani l'avrebbe certamente
aiutato.
Vi giunse con non poca fatica. Era frustrante sentirsi tanto debole, ma
avrebbe certamente avuto tutto il tempo per autocomiserarsi l'indomani
mattina; adesso doveva solo pensare a calmarsi. Sarebbe potuto restare
al piano terra, data la poca fiducia che aveva nelle proprie gambe in
quel momento. Ma lì, in quello spazio aperto disseminato di
tavoli, panche e scaffali, in qualche modo non si sentiva al sicuro.
Stava diventando paranoico, si disse. Senza curarsi della propria
stanchezza, iniziò a salire.
Non sapeva bene dove si sarebbe fermato, almeno fino a che non
arrivò nel posto che era diventato suo e di Freya. Era
lì che ogni giorno si fermavano a leggere e commentare i
libri che trovavano mentre cercavano le mappe scomparse. Si
avvicinò alla panca che erano soliti occupare durante quelle
ore e rimase estremamente sorpreso nell'intravedere una figura
familiare, accovacciata appena dietro di essa: Freya era lì,
seduta a terra a gambe incrociate, con un grande libro di botanica
appoggiato su di esse come fossero un leggìo.
Non appena colse il rumore dei suoi passi alzò lo sguardo,
spaventata, ma sembrò rilassarsi non appena comprese che era
lui. In un istante tutta la paura che Aran aveva avuto di quell'incubo
si tramutò in preoccupazione: la giovane non sembrava stare
meglio di lui. Era ancor più pallida del solito, cosa che
non faceva altro che accentuare le profonde occhiaie violacee che aveva
sotto agli occhi e i suoi capelli erano sciolti e scarmigliati; tremava
leggermente, proprio come lui. Non l'aveva mai vista in quello stato.
Com'era prevedibile che facesse, Freya si alzò e
cercò di ricomporsi. Posò il volume sulla panca e
gli si avvicinò, ostentando più sicurezza di
quanta dovesse averne. «Aran» mormorò,
l'aria di essere preoccupata quanto lui lo era per lei. «Cosa
ci fai qui?»
Il ragazzo raggiunse lo scaffale più vicino e prese un libro
a caso, che risultò essere Fauna terrestre e marina del
Regno di Riagàn. Non sapeva se avrebbe avuto il coraggio di
dirle la verità. Se l'avesse fatto, avrebbe inevitabilmente
dovuto rivelarle il suo più grande segreto. Si fidava di
lei, immensamente, ma era qualcosa di cui aveva timore perfino lui; non
sapeva come Freya avrebbe potuto reagire.
«Non riuscivo a dormire» rispose infine, cercando
di risultare convincente. «Tu?»
Freya non sembrò persuasa, però rispose a propria
volta: «Stessa cosa.»
Entrambi sapevano che l'altro stava mentendo, ma si limitarono a
sedersi vicini nel cantuccio che un attimo prima era stato solo di
Freya e a cominciare a leggere in perfetto silenzio.
֍ ֎ ֍
Per lungo tempo, nessuno dei due trovò il coraggio di
parlare. La quiete della Biblioteca li avvolgeva come una coperta e ora
che erano lì, insieme, la paura sembrava solo un ricordo
lontano.
Completamente immersi nei loro pensieri, più che nella
lettura, quasi non si accorsero di essersi avvicinati al punto di
essersi infine appoggiati l'uno all'altra, come se fosse la cosa
più naturale del mondo. A poco a poco, avevano anche smesso
di tremare. Si accorsero di quanto fossero vicini solo quando
entrambi alzarono lo sguardo e trovarono gli occhi dell'altro ad appena
una spanna di distanza dai propri. Per un attimo rimasero
così, immobili, senza riuscire a dire o fare nulla;
quell'unica occhiata bastò a cancellare ogni dubbio.
«Freya, io...»
«Aran...»
Non poterono trattenersi dal ridere quando, dopo quel lungo silenzio,
le parole uscirono loro di bocca nello stesso preciso istante.
Freya alzò il capo verso la sommità della torre e
si lasciò sfuggire un sospiro, prima di riportare la propria
attenzione su di lui. Non poteva più nascondere la
verità, almeno non ad Aran; non dopo ciò che era
accaduto quella notte.
Aran, dal canto suo, sembrava avere qualcosa di altrettanto importante
da dire, ma decise di lasciar la parola a lei.
«Prima tu» disse, fissandola attentamente.
Freya scosse il capo. «In queste settimane hai sopportato
tutte le mie ansie e le mie paranoie, mi hai sempre ascoltata. Adesso
tocca a me fare lo stesso per te» rispose, ruotando
leggermente il busto verso di lui per guardarlo meglio.
Il ragazzo esitò ancora per un istante. Non aveva mai
rivelato ad anima viva quello che stava per dire a Freya.
Più la guardava, però, e meno paura di dar voce a
quel suo strano segreto sentiva. Così, iniziò a
parlare, senza più remore. «Ti capita mai di fare
incubi terribili?» le domandò.
Freya annuì, lasciandosi sfuggire un sorriso triste.
«Sì, mi capita. Molto più spesso di
quanto vorrei» rispose e il suo sguardo si perse in
lontananza, uno sguardo che ad Aran parve pieno di cose mai dette.
«I miei incubi mi accompagnano da tutta la vita. Sono
lì, in qualche angolo della mia mente, pronti ad aggredirmi
non appena chiudo gli occhi, da che ho memoria»
proseguì, appoggiando la testa allo scaffale che aveva alle
spalle.
Non poteva ancora immaginare quanto Freya comprendesse il suo tormento,
ma già il fatto di aver finalmente deciso di confessare lo
stava alleggerendo di un peso enorme. Le parole gli salirono alle
labbra come un fiume in piena impossibile da arginare; le
lasciò uscire senza timore, sapendo che la persona che aveva
di fronte in quel momento era l'unica a cui avrebbe mai potuto
affidarle. Lo sapeva perché Freya lo osservava con quei suoi
occhi chiari e attenti e in essi non v'era alcuna traccia di giudizio;
lo sapeva perché quello che le aveva detto la sera del ballo
su ciò che li legava era quanto di più sincero
avesse mai pensato.
«Conosco molto bene gl'incubi e la paura che ne deriva, ma
quello che è successo questa notte non ha nulla a che vedere
con quello a cui sono oramai abituato» disse.
«È stato... Straziante.»
Il ricordo di quello che aveva provato ritornò ad invaderlo
con prepotenza, mozzandogli il fiato in gola con tanta violenza che
dovette raddrizzare la schiena per poter continuare a respirare. Si
stava comportando in modo del tutto irrazionale, lo sapeva bene, ma
ciò che era accaduto era talmente inspiegabile che non aveva
più alcun controllo sulle proprie reazioni.
«Non avevo mai fatto un incubo tanto vivido, Freya. Non posso
biasimarti se penserai che io sia un folle, perché anch'io
ho il serio dubbio di star impazzendo. Ma non mento quando ti dico che
il dolore che ho provato era terribilmente reale. Ho lottato con tutte
le mie forze per svegliarmi e quando ci sono riuscito non è
cambiato nulla: era ancora lì» mormorò,
assorto.
Freya non poté fare a meno di sgranare gli occhi. Il
racconto di Aran iniziava ad assomigliare fin troppo a quello che
avrebbe potuto uscire di bocca a lei. Aspettò ancora un
attimo prima di parlare, ma oramai credeva di sapere come sarebbe
proseguita la storia. I suoi timori vennero confermati poco dopo.
Aran si voltò interamente verso di lei per poterla guardare
bene in viso e disse: «Quello che ho visto non aveva alcun
senso. Ero nel mezzo di questa... piana, vasta, sconfinata. Intorno a
me c'era una foschia spessa e inquietante e udivo solo grida
raccapriccianti. Centinaia e centinaia di persone stavano morendo
soffocate da questa agghiacciante marea nera e...» la voce
gli morì in gola.
Fu Freya a continuare per lui. «E per quanto tu lo volessi
non potevi fare nulla per salvarle. La marea nera saliva e saliva,
inghiottiva ogni cosa... E quando è arrivata fino a te e ti
ha sommerso hai sentito il dolore più lancinante che tu
abbia mai provato in vita tua» sussurrò, mentre un
brivido le correva rapido lungo la schiena. «È
stato come se la tua pelle si stesse squarciando e allo stesso tempo
sciogliendo sulle tue stesse ossa.»
Aran impallidì, sconcertato. «Come... Come fai a
sapere tutto questo?» le chiese.
La giovane, altrettanto sconvolta, rispose semplicemente:
«Perché ho sognato esattamente la stessa
cosa.»
Il silenzio calò su di loro, carico di mille domande
inespresse. Se per i due ragazzi l'incubo era già stato
abbastanza inquietante di per sé, adesso la faccenda si
faceva ancora più torbida. Com'era possibile che due persone
ben distinte sognassero esattamente la stessa cosa nello stesso
identico momento?
Non appena riuscì nuovamente a ragionare con sufficiente
lucidità, Aran le domandò ancora: «Hai
visto e provato esattamente ciò che ho visto e provato
io?»
Freya, riscuotendosi a propria volta, annuì, decisa.
«Tutto ciò che hai descritto avrei potuto
tranquillamente descriverlo anch'io. La piana, la marea nera, le
persone che morivano a centinaia... Il dolore. Mi sono
svegliata di soprassalto e stavo male fisicamente, come
se tutto fosse accaduto nella realtà e non solo nella mia
testa» ribatté. «Per questo sono corsa
fin qui.»
«Avevi paura di riaddormentarti» asserì
Aran.
Di nuovo, Freya annuì. Ancora più del solito si
sentiva perfettamente compresa da lui, cosa che riuscì
almeno in parte a placare la sua inquietudine. Era più che
evidente che, in quel momento, capire cosa fosse successo andasse al di
là delle loro facoltà. Quella prima condivisione
diede però loro la spinta per tirare fuori i segreti che
pian piano li stavano consumando e che, fino a quel momento, era
sembrato impossibile poter confidare a qualcuno.
Freya posò una mano sul ginocchio di Aran e disse, tentando
di sorridere: «Se ti può consolare, io so cosa
significhi essere perseguitati da incubi incomprensibili. Certo, questo
è stato di gran lunga il peggiore, ma non il più
misterioso.»
Questa volta fu Aran a mettersi all'ascolto.
«C'è questo sogno, anche se non so se si possa
definirlo tale, che mi appare fin da quando sono piccola e non sono mai
riuscita a decifrare» esordì la giovane. E poi, lo
fece: raccontò ad Aran del pilastro, di come in certi
periodi della sua vita quella visione si presentasse identica a
sé stessa per molte notti di seguito.
Gli occhi del ragazzo la seguirono per tutto il tempo, attenti ma senza
alcuna traccia dello spavento che Freya si sarebbe immaginata. Insomma,
stava pur sempre parlando di strane figure incappucciate che
l'attaccavano con la magia. La sua reazione, quando Freya ebbe
terminato, fu altrettanto inaspettata.
L'espressione di Aran si fece pensosa, mentre si alzava in piedi
dandole le spalle. Il libro che aveva scelto dallo scaffale, fino a
quel momento rimasto abbandonato sulle sue gambe, cadde a terra con un
tonfo che rimbombò per tutta la grande torre; fece poi
qualche passo in avanti, prima di tornare a voltarsi verso di lei.
«Allora quello di stanotte non è l'unico incubo
che abbiamo in comune» disse infine.
Come poco prima era stato per Aran, Freya non fece nulla per nascondere
lo stupore. In due rapide falcate gli fu davanti e gli
domandò: «Stai dicendo quello che penso?»
Aran le rivolse un sorriso incredulo.
«Sì» rispose. «Tutto
ciò che hai descritto, all'infuori della figura misteriosa,
è quello che vedo nei miei sogni, Freya. Ogni cosa, dal
pilastro, alla landa desolata che appare poi, a quell'energia
misteriosa che ti ferisce. Lo vedo in quasi tutti i miei
sogni.» Quasi fosse un riflesso incondizionato la prese per
le mani, avvicinandosi leggermente a lei.
Freya glielo lasciò fare, senza staccare mai lo sguardo dal
suo viso. «Com'è possibile?» gli
domandò infine. «Fino a qualche mese fa vivevamo a
miglia e miglia di distanza l'uno dall'altra, le nostre vite non si
erano mai incrociate. Com'è possibile che per tutto questo
tempo io e te abbiamo visto esattamente la stessa cosa?»
«Non ne ho la minima idea» ribatté lui.
Rimasero così, occhi negli occhi, uno di fronte all'altra.
In quell'istante in cui il tempo pareva essersi fermato si resero conto
che, arrivati a quel punto, la scelta migliore era senza dubbio la
totale trasparenza. Erano finalmente decisi a lasciare che l'altro
vedesse fino in fondo quel lato di loro stessi che avevano cercato con
tutte le forze di tenere nascosto, ma non ebbero il tempo di
aggiungere nient'altro. La loro conversazione fu improvvisamente
interrotta da una voce gelida e ben conosciuta.
«Ah, quale magnifica sensazione essere giovani e al di sopra
di qualunque regola.»
I due ragazzi si voltarono di scatto in direzione della scala.
Lì, avvolto nei suoi consueti abiti scuri, c'era Gorman.
Aveva le mani intrecciate dietro la schiena e un'espressione tutt'altro
che accondiscendente in viso. Nulla di cui stupirsi dato che avevano
chiaramente infranto il divieto di gironzolare per il castello nelle
ore notturne.
«Sareste così gentili da spiegare il motivo della
vostra presenza qui?» intimò l'uomo, sempre
più irritato.
Per un istante Aran e Freya ammutolirono, senza sapere bene come
tirarsi fuori da quella situazione scomoda. Poi, con sorpresa di
entrambi, fu la giovane a prendere la parola. «Ci dispiace
immensamente per aver infranto il coprifuoco, Signor
Consigliere» esordì con estrema educazione.
«Entrambi faticavamo a prendere sonno e ci siamo ritrovati
casualmente qui. Abbiamo pensato che potesse essere utile portarci
avanti con alcune letture inerenti ai nostri studi.»
Gorman parve preso alla sprovvista dalla calma con cui Freya stava
rispondendo, anche se non sembrò del tutto persuaso della
sua sincerità. Assottigliò gli occhi, come per
leggerle in viso la traccia di una qualche menzogna, ma lei rimase
impassibile nonostante la sgradevole sensazione che le suscitava
quell'uomo. Il suo sguardo si posò infine sui libri sparsi
lì accanto; fu alla vista di questi ultimi che parve
convincersi.
«Bene. Non crediate però che la vostra uscita di
questa notte non verrà riferita alla Regina. Ci saranno
delle conseguenze» asserì, forse credendo a quella
spiegazione, ma non abbandonando la sua inflessibilità.
Freya s'inchinò leggermente, ribattendo:
«Comprendiamo perfettamente.»
Gorman la fissò per un attimo, indagatore. I due ragazzi
ebbero la netta sensazione che, da quel momento in poi, li avrebbe
tenuti d'occhio con ancor più attenzione.
«Ora tornate alle vostre stanze, alla svelta. Se domattina
non sarete più che pronti ad assolvere i vostri compiti
quotidiani la vostra posizione si aggraverà
ulteriormente» ordinò, perentorio. Poi, si
voltò e iniziò a scendere la scalinata, lasciando
loro intendere perfettamente che non avevano nessun'altra scelta se non
fare come lui aveva detto.
Aran e Freya si scambiarono uno sguardo d'intesa, accompagnato da un
sospiro di sollievo. L'importanza di quello che si erano confessati e
dovevano ancora confessarsi aleggiava fra di loro, lo sentivano
chiaramente. Per il momento, però, era fuori discussione
riprendere la loro conversazione. Senza una parola, seguirono Gorman
lungo la scala.
Avrebbero dovuto attendere un luogo e un momento più adatti.
|