Questa epica storia di
inettitudine mista a ritrovamenti di coscienze inizia con la perdita
di religione di una delle ragazze più carine
dell’intera provincia
di Modena. Che non è poi tanto grande quanto pretenziosa.
Irene
Lanzotti, minuta, delicata, i lineamenti di un’adolescente
veramente bella sul corpo di una donna, come una sorta di sciaquetta
preannunciata delle fanfiction più scadenti in circolazione,
ha
gettato via il proprio grillo parlante verso Luglio – o forse
Giugno – del 2016, pronta a vivere la propria vita, a fare le
proprie esperienze, sentimentali o sessuali che fossero.
Ha
agito, sta agendo. Ma…?
Be’,
non si può certo dire che Maurizio Lugli sia brutto;
effettivamente
si avvicina molto agli stereotipi di bellezza – o meglio,
carineria – per cui le ragazzotte dei bassifondi di Instagram
amano
impazzire. Alto, stiloso, i capelli acconciati a meraviglia, sempre e
comunque un outfit impeccabile nella collezione degli outfit dei
nonni d’Italia – o forse del mondo intero:
maglioncino sui toni
del marrone, camicie bianco-azzurrine… –
nonché un viso dai
lineamenti simili a quelli di un personaggio di uno di quei dannati
cartoni giapponesi dalla musica troppo alta e i colori troppo vivaci.
Capelli ed occhi scuri, questi ultimi sproporzionatamente grandi
rispetto al resto del volto, ma che creano un insieme davvero
piacevole. Zigomi a posto. Mascella a posto. Addominali a posto.
Intelligenza a posto.
Tutto
a posto. Effettivamente si potrebbe stilare una lista
dell’impeccabile, impeccabilissima perfezione del Lugli in
quanto
tale; marmoreo, naturalmente dotato in modo quasi crudele rispetto
agli altri coetanei che, dall’invidia, lo prendono in giro;
dal
cuore di calcestruzzo precompresso armato in zirconio, misterioso il
giusto, con un pizzico di follia sottile quasi quanto la voglia
dell’autore di profondersi in conclamate ammirazioni
solamente
perché si sente una pessima, pessima persona in confronto al
soggetto qui descritto.
Eppure
qualcosa che non va deve esserci, altrimenti la storia non avrebbe
un inizio.
I
due si sono conosciuti per motivi lontani, come il recupero di una
verifica di Chimica Analitica qualche mese prima. Maurizio ha la
media più alta della classe, forse quella più
alta della scuola, ed
ovviamente chi non si farebbe avanti per la splendida, malcapitata
Lanzotti, indifesa come una principessa chiusa dal malvagio Re nel
suo castello?
Invero,
si sono conosciuti. Ed anche piuttosto bene. Si sono conosciuti
talmente bene da superare brillantemente i compiti di recupero e
dedicare molto, troppo del tempo rimanente ad altro, e che altro.
Che all’autore si creda sulla parola, descrizioni di tal tipo
lo
getterebbero nella più nera delle disperazioni.
Ad
Irene, nonostante sia un’inguaribile romantica, nulla della
loro
storia esplicitamente sessuale ha precedentemente infastidito, se non
la non esistente correlazione logica tra il proprio disgusto verso la
personalità di Maurizio e il desiderio per il corpo di lui
– che
Dio perdoni l’autore.
E
così, la loro storia è andata avanti per mesi di
scappatelle
notturne e sperimentazioni nella loro sfera più segreta;
attraenti e
quasi diciassettenni entrambi, cosa di meglio poteva esserci per
iniziare nel modo migliore il penultimo anno di superiori?
Maurizio
però si è accorto di volere di più, e
gliel’ha detto piuttosto
chiaramente. Voleva chiamarla la sua ragazza, avere la certezza che
lei fosse sua e solo sua e stronzate simili; era ed è una
persona
piuttosto gelosa. Irene ha uno sporco segreto, non ai livelli
dell’identità di Gossip Girl ma quasi, che si
vergogna a rivelare
persino a se stessa:
Lei
non vuole saperne niente di Maurizio, più niente. Ritiene
che sia
stato tutto un errore e vorrebbe prendersi a schiaffi per tutte
quelle… come chiamarle? Sveltine. Perché la
verità è che Lugli
la mette in imbarazzo, a morte.
Irene
si ricorda numerosi episodi durante i quali avrebbe semplicemente
voluto seppellire la testa sotto terra; tutte le volte a ginnastica
in cui Maurizio ha finto di cadere per poi rialzarsi dopo un paio di
capriole, oppure tutte le volte che ha inventato qualche strano nome
per suscitare scandalo e far ridere la classe – lei non ha
mai
riso, se non di imbarazzo – o di tutte quelle volte che ha
battibeccato con un professore amato da tutti solo per apparire, o di
quando piroettava in mezzo al laboratorio o di quando, ancora,
sfilava fiero per i corridoi della scuola vantandosi di aver compiuto
chissà quale prodezza fisica per poi mostrare gli
addominali, per
non parlare di quei momenti in cui, con la sua voce forzatamente
baritonante saltava su con un “ma sì, quel
robo...” e i
professori gli chiedevano di definire gli oggetti in modo
più
preciso e lui sorrideva e continuava “il robo...”
Irene
non sa, ma non vuole più sapere. Non vuole. E le sembra di
prendere
in giro Lugli continuando con questa storia, quindi qualcosa dovrebbe
inventarsi, anche perché ormai ogni volta che lo vede prova
sempre
più disgusto. Non per chi è, ma per chi vuole
essere, ed Irene non
lo sopporta.
Quel
pomeriggio delle prime settimane di Settembre stanno a casa di lui,
perché i suoi sono impegnati a pranzo con qualche collega di
lavoro.
Dire che Irene sia tesa come una corda di violino le pare un
eufemismo, quindi si accontenta del paragone con un’asse di
legno.
Rigida. E piena di schegge. Poco prima di uscire ha avuto un crollo
di nervi ed è scoppiata a piangere nella doccia. Si sente un
po’
in trappola, e la cosa peggiore è che ci si è
chiusa dentro
completamente da sola, forse con un po’ di aiuto divino, ma
comunque senza troppe difficoltà.
Maurizio
apre la porta. Come suo solito veste elegante: una camicia
perfettamente stirata e un paio di pantaloni dalla piega impeccabile.
È solo un po’ spettinato.
Le
sorride e si fa indietro per lasciarla passare. Il salotto è
in
ordine, ma i due si dirigono verso il vero luogo dei misfatti, camera
di lui. Che, tra parentesi, è un vero disastro, un
po’ come la
camera di ogni ragazzo. In fondo, come si può pretendere che
un
ragazzo si occupi proprio di tenere in ordine la propria stanza? Un
paio di poster di cartoni animati giapponesi spiccano, vivaci, appesi
al muro.
-Siediti
pure- fa lui, indicando il posto acanto a sé sul letto.
Irene fa
come suggerito.
E
lui ha sempre qualcosa di così strano . Ha
quell’aurea un po’
impacciata che sembra carina, cosa che subito ha attratto Irene, ma
è
così… così… Andrea lo
definisce come uno con i complessi di
inferiorità, che fa di tutto per poter essere sempre al
centro
dell’attenzione.
E
quindi Irene cerca le parole adatte per dirglielo, ma lui ha
già
iniziato ad accarezzarle la coscia, e lei si paralizza. È
stata lei
ad iniziare tutto, come può pretendere che tutto finisca
senza che
lui ed il resto della classe la prendano per… per, insomma,
Irene
si capisce. E non dovrebbe importargliene troppo, ma sa che a parole
è una cosa, a fatti un’altra, e che purtroppo la
sua mente è fin
troppo fragile per sopportare scherzi del genere.
Perciò
si volta verso di lui e gli sorride. -Ti va di vedere un film?
Un
paio d’ore e mezza più tardi, esce non esattamente
indenne dal
luogo del delitto. Ha detto che suo padre l’aspetta in un
parcheggio poco più avanti per fuggire da
quell’incubo, ma in
realtà se n’è andata da sola, a piedi.
Non riesce a stare ferma,
non può stare ferma o ripenserebbe ossessivamente ai suoi
piani
falliti. Fallati . Proprio come i suoi buoni propositi.
Senza
pensarci minimamente, raggiunge il parco giochi, che a
quell’ora è
quasi vuoto. Si dirige verso le zone più nascoste, fino ad
arrivare
ad una panchina. La panchina.
Irene
ci si siede, per poi scoppiare a ridere ancor prima di aprire il
messaggio che le è appena arrivato, macabro promemoria della
tragicomica, ennesima esperienza appena vissuta. “Ho quasi
diciassette anni, mamma” eppure mai si è sentita
tanto fragile e
vulnerabile nei confronti di quel grande, inaffrontabile cannibale
soprannominato vita sentimentale . E no, non le è mai
interessato
nessuno al punto da tentare di fare tutto ciò che ha fatto,
infatti
non capisce perché diamine abbia dovuto umiliarsi in quel
modo
davanti agli occhi di un fantomatico e, purtroppo, onnisciente Dio.
E
cerca di sbadigliare, ma la mandibola le fa terribilmente male. Di
nuovo. Si tasta il viso; quella mattina si è guardata allo
specchio
sperando di trovare qualcosa di diverso, qualcosa che le indicasse
che quella dei mesi prima non era lei, ma un qualche specie di mostro
che si è impossessato del suo intatto corpo e della sua
ancor più
intatta mente.
E
invece no, ha trovato solo qualche livido sul collo pateticamente
riconducibile a un succhiotto; terribilmente mainstream per una
sedicenne, ancor più terribilmente vero e vivido nella sua
malata,
malata mente. Mente che a quanto pare sa distaccarsi dalla coscienza
anche troppo bene, per i gusti di Irene. Ma no, il mondo è
andato
per quel verso ed Irene è andata per quel verso ed ora
più che
lamentarsi non può fare nulla. Forse soffrire,
sì, forse pentirsi,
ma ormai il dado è tratto e le cose vanno portate avanti
fino alla
fine. Almeno per salvarsi la reputazione.
Si
ferma a riflettere un altro po’, ma non troppo; è
stanca e ha
voglia di parlare con i suoi amici. Inizia a dirigersi verso casa,
quando nota uno scenario piuttosto peculiare.
-...coraggio,
muoviti!- mormora il ragazzo, rivolto al canarino che tiene in mano.
Indossa vestiti scuri, abbinati alla montatura degli occhiali.
Irene
gli si avvicina senza fare troppo caso a lui e tenta di accarezzare
il piccolo uccellino. -Ma è ferito?
-Non
lo so, ma non sembra.- Il ragazzo lo esamina da tutte le angolazioni,
toccandolo per vedere se emette qualche cinguettio di dolore.
-Secondo me è solo caduto.
-Capito.-
Irene tende le mani. -Posso tenerlo?
Il
ragazzo la guarda torvo, per poi scrollare le spalle e passarle il
batuffolo. È incredibilmente leggero. Irene ha decisamente
bisogno
di quel genere di purezza nella propria vita; si sente come se fino a
quel momento avesse sbagliato tutto. Si sente indegna di tanta
delicatezza e gioia.
Un
paio di lacrime scivolano sul suo volto, mentre con fermezza e
leggerezza accarezza il becco del piccolo pennuto. -Ma sei
bellissimo.
Il
ragazzo pare preoccupato per la sanità mentale di lei. La
scruta con
quegli occhi dal colore strano, che alla luce del sole sembrano una
pozzanghera. “Accidenti, molto romantico.”
-È tutto okay? Vuoi
sederti?
-No,
io...- Tira su con il naso, poi scoppia a ridere. Tenendo al sicuro
il cucciolo, porge la mano destra allo sconosciuto. -Scusa,
è stata
una giornataccia. Piacere, Irene.
Le
sorride. -Lorenzo. Fai il Fermi?
Lei
annuisce.
-Ah,
mi pareva di averti già vista. Senti, so che ti
sembrerà un po’
strano, ma ti va di prenderci un gelato? Sto cercando ogni scusa
possibile per evitare mio padre, e mi sembra che anche a te serva un
po’ di compagnia.
Irene
ha l’anima talmente rotta che anche se le si presentasse
Pennywise
nella sua miglior tenuta da clown lo seguirebbe senza fare domande.
-Va bene, ma come facciamo con lui?
Lorenzo
scrolla le spalle. -Se ha avuto l’imprinting con me, non
imparerà
mai a volare. Bisogna risvegliare il suo istinto.
Irene
aggrotta la fronte. -E come?
Lui
le strappa il canarino di mano. Il piccolo emette un ultimo squittio
prima di venire lanciato nel vuoto da Lorenzo.
-Ma
cosa cazzo fai?- grida Irene, precipitandosi a guardare verso il
burrone. Non c’è più traccia
dell’uccellino.
-O
impara così, o non ce la farà mai, e
morirà comunque. E ora
andiamo?
Irene
lo guarda di traverso, ma ha un viso troppo dolce per essere un
qualche sorta di sociopatico violento. Sente di potersi fidare,
sempre che non butti via le persone come butta via i canarini.
Qualche
istante dopo, i due si allontanano, e il passerotto si alza in volo.
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