CAPITOLO
16
- CONFESSIONI, PARTE
SECONDA: VOCI E MISTERI -
Il
bosco, quel giorno, era immerso in una piacevole e confortante
tranquillità. Nella radura, all'ombra dei sempreverdi,
faceva freddo.
Aran si guardava intorno, gli occhi pieni di stupore e il fiato che si
condensava in spesse nuvolette. Non avrebbe mai potuto immaginare che
un luogo tanto bello si nascondesse ad appena un palmo dal suo naso.
Freya, un sorriso spontaneo sulle labbra, osservava la sua espressione
rapita. Era la prima volta che si recavano al suo piccolo rifugio nel
verde insieme. In quel meraviglioso silenzio, si presero entrambi un
attimo per assaporare quel poco di libertà che finalmente
era stata loro concessa.
«Vieni sempre qui, quando scappi dal castello?»
domandò a un certo momento lui, rivolgendole la propria
attenzione.
La giovane sorrise. «Dire che scappo forse è
esagerato. Vengo qui soprattutto per alleviare un pò la
nostalgia di casa e allenarmi al tiro» rispose, lasciandosi
cadere sul morbido tappeto di muschio che si allargava sul terreno. Era
un enorme sollievo poterlo fare di nuovo; la mancanza di un orrizzonte
che non fosse spezzato dalle spesse mura del castello era stata quasi
insostenibile per lei.
Fu il turno di Aran di restare a guardarla. Non era abituato a tutto
quel verde tanto quanto lei, né a potersi lasciare andare in
quella maniera. Freya se ne stava lì a occhi chiusi, come se
in qualche modo dovesse recuperare una connessione con la terra stessa
che in quei lunghi giorni aveva perso. Per lei sembrava tutto
estremamente naturale. Forse, si disse, doveva solo provare e lo
sarebbe diventato anche per lui.
Dapprima, semplicemente si sedette. Si guardò ancora
attorno, osservando come il cielo non accennasse ad aprirsi;
giocherellò con un rametto sottile che i suoi stivali
avevano malamente calpestato; respirò l'odore poco familiare
del sottobosco.
Poi, Freya parlò: «Aran, puoi farlo. Nessuno ti
giudicherà, qui» disse.
Quelle semplici parole sciolsero del tutto la sua rigidità
autoimposta. Il ragazzo si lasciò andare all'indietro e in
breve fu accanto a lei. Ci fu ancora un lungo momento di silenzio. Aran
lasciò vagare la mente, cercando di non pensare a nulla in
particolare. I suoi occhi virarono però inesorabilmente
verso Freya e presto si ritrovò a focalizzarsi su di lei:
teneva ancora le palpebre abbassate e respirava lentamente, come se per
molto tempo non l'avesse fatto veramente. Non poteva vederlo, ma
sembrò avvertire il suo sguardo su di sé; dopo
pochi istanti, si voltò verso di lui e gli rivolse un
sorriso.
«Ti senti meglio?» le domandò, ben
sapendo quanto quella reclusione fosse stata difficile da scontare per
lei.
«Sì. Adesso sì» rispose
Freya. Allargò le braccia sul terreno e prese un altro
profondo respiro. Era bello vederla sorridere di nuovo.
Avevano entrambi accettato la punizione che Mirea aveva loro imposto
senza nessuna lamentela, ma la giovane ne aveva certamente sofferto di
più. Era stata la Regina in persona a convocarli, la mattina
seguente la loro passeggiata notturna, e a esporre loro quali sarebbero
state le nuove regole che avrebbero dovuto seguire: ogni mattina
avrebbero frequentato la lezione del maestro Athal, in Biblioteca, a
cui non avrebbero avuto accesso per nessun'altra ragione; poi,
avrebbero consumato il pasto in solitudine, ognuno nelle proprie
stanze; infine, si sarebbero recati al consueto addestramento, che
sarebbe stato prolungato, per poi tornare alle loro camere. Inoltre,
ogni permesso di lasciare il perimetro del castello era stato loro
revocato.
Mirea non aveva mancato poi di osservare come un simile comportamento
non si addicesse a due giovani adulti e che, nonostante la violazione
non fosse stata grave, dovevano pagare le conseguenze delle loro
azioni. Dovevano capire che non si sarebbero mai più dovuti
permettere una tale mancanza di rispetto delle regole. Ad Aran era
sembrato di essere tornato un bimbo di dieci anni sorpreso con le mani
nel sacco, ma si era morso la lingua ed era rimasto zitto
finché sua madre non li aveva congedati.
Da quel momento in poi, non c'era stato più tempo per
nient'altro che non fossero i loro studi e gli addestramenti. Per i
primi giorni i due ragazzi avevano resistito piuttosto bene; in fondo,
erano abituati a faticare per ottenere dei risultati. Arrivati al
decimo giorno, però, la stanchezza aveva iniziato a farsi
sentire ed era stato sempre più difficile mantenere quel
ritmo serrato. Tirarsi su dal letto la mattina era diventata un'impresa
enorme e per quante ore potessero dormire, non riuscivano mai a
recuperare del tutto. Perfino Freya, più che avvezza alle
levatacce e a lavorare sodo, la sera doveva lottare per non
addormentarsi sul piatto.
Poi, quel giorno, che segnava la fine della seconda settimana, Gorman
si era presentato a loro mentre lasciavano la Biblioteca. Aveva la
stessa espressione di qualcuno a cui è stata tolta la sua
fonte di divertimento preferita; era bastato quel dettaglio per far
capire ai due ragazzi che la Regina aveva deciso che fosse sufficiente.
Con immenso sollievo, finalmente avevano potuto mangiare insieme nelle
cucine, prima di recarsi alle scuderie. Avevano anche incrociato
Darragh, il quale era parso piuttosto contrariato dalla loro rinnovata
libertà; sembrava che ogni cosa che li riguardasse gli desse
in qualche modo ai nervi. Con il suo sguardo sulle spalle avevano
lasciato il castello e Freya aveva fatto strada fino alla piccola
radura, dove finalmente stavano recuperando un pò di fiato.
«Qual'è il tuo rifugio sicuro, Aran?»
gli chiese Freya a un certo punto, tornando a guardarlo.
Questa volta fu lui a sorridere. «A dire il vero non ho un
luogo preciso in cui rifugiarmi» spiegò, portando
le braccia dietro il capo per stare più comodo.
«Quando voglio un attimo di respiro dalla corte solitamente
mi reco in città. È così bello girare
per le vie, soprattutto nei giorni di mercato. Nessuno fa caso a me in
mezzo a quella calca.»
«Non riesco nemmeno a immaginare come possa essere un
mercato» mormorò Freya, assorta.
«Nonostante l'idea della folla, mi piacerebbe vederne uno.
C'è così tanto di questa vita che devo ancora
conoscere.»
Aran le sorrise nuovamente. «Ora che abbiamo di nuovo un
pò di libertà di movimento ti ci
porterò. Il più presto possibile»
promise.
Per un lunghissimo attimo nessuno dei due parlò
più. Entrambi sentivano crescere il desiderio di affidare
all'altro i pezzi mancanti delle rispettive vite, ma ora che erano
lì volevano prima godersi un pò di quella tanto
agognata pace. Non c'era alcuna fretta: sapevano che l'altro avrebbe
saputo ascoltare in qualunque momento avessero deciso di confidarsi;
sapevano che potevano permettersi di essere spontanei l'uno con
l'altra, senza pressioni, senza timori.
«Non credevo che sarebbe mai stato possibile.» Fu
Aran a rompere improvvisamente il silenzio creatosi, in un sussurro che
solo Freya avrebbe potuto sentire.
Senza alzare la schiena dal tappeto di muschio, la giovane
voltò il capo e lo guardò. Il Principe teneva
ancora lo sguardo fisso sulle fronde che ombreggiavano la radura,
assorto nella contemplazione di quella vista a lui così
nuova, ma allo stesso tempo immerso nelle parole che stava pronunciando.
«Trovare qualcuno che avrebbe capito quello che io ho provato
per tutta la mia esistenza» spiegò poi, posando
infine gli occhi in quelli di lei.
«Nemmeno io» rispose semplicemente Freya in un
sorriso. «Eppure, sei qui.»
Ci fu dell'altro silenzio, ma durò molto meno del
precedente. Gli sguardi dei due ragazzi non avevano ancora deviato
l'uno dall'altro quando Aran proseguì: «Prima di
quella sera in Biblioteca avevo paura» ammise.
«Temevo che se ti avessi parlato dell'incubo e di tutto
quello che c'era stato prima, avresti scoperto una parte di me che ti
avrebbe spaventata. Che avresti provato per me lo stesso terrore che
provo io.»
Freya si voltò su un fianco, prima di rispondere:
«Anche io avrei voluto avere più coraggio, Aran.
Sono rimasta in silenzio a sopportare incubi e visioni per le tue
stesse ragioni; perché temevo che, fra le cose che ti ho
detto e quelle che ti devo ancora dire, ci sarebbe stato qualcosa che
ti avrebbe allontanato da me.»
Aran si girò a propria volta per poterla guardare meglio in
viso. S'immobilizzò, poi prese coraggio e allungò
una mano verso il viso della ragazza. Le lasciò una delicata
carezza, che dipinse sul volto di lei un velo di stupore; era il suo
modo per farle capire che non sarebbe andato da nessuna parte.
«L'altra sera, scoprire di quel sogno terribile è
stato un caso» aggiunse la giovane quando il nodo che le si
era formato in gola si sciolse. «D'ora in poi per me
sarà una scelta. Io voglio essere sincera con te.»
«E io lo sarò con te, Freya»
ribatté il giovane, determinato come non lo era mai stato.
Non era necessario che tutti i misteri del loro passato emergessero in
quel pomeriggio senza sole, ma quello sarebbe stato il vero punto di
partenza. Da quel momento in poi accettavano di farsi custodi di tutto
ciò che l'altro era. Sapevano entrambi quale
responsabilità fosse, ma sapevano anche che nessun altro al
mondo avrebbe potuto farsene carico.
Aran si alzò, mettendosi a sedere. Le sue successive parole
furono sommesse, ma non più per il timore; finalmente la sua
anima era abitata da una pace mai provata prima e non sentiva il
bisogno di alzare la voce per farsi ascoltare. «Prima che
venissimo interrotti, ti ho parlato di come le mie notti siano sempre
state costellate di incubi» disse.
Freya si mise all'ascolto. Non le dispiaceva che avesse iniziato lui;
poter tornare a parlare liberamente e ad ascoltarlo era più
bello di quanto Aran potesse immaginare.
«Le immagini del pilastro sono arrivate con il tempo;
gl'incubi, invece, ci sono sempre stati» continuò.
«Dovrei averci fatto l'abitudine, ma ancora adesso, quando mi
svegliano, impiego diverso tempo a riaddormentarmi. E nell'istante in
cui ci riesco...» Aran prese un profondo respiro, fermandosi
brevemente. «Sento molto chiaramente una voce che mi parla
nel sonno.»
La giovane sgranò gli occhi, per poi assumere un'espressione
agli occhi di lui indecifrabile e tirarsi su bruscamente.
Solo a quel punto la voce di Aran tremò leggermente.
«È una voce femminile, calda e melodiosa.
Rassicurante. La sento da che ho memoria e, soprattutto, quando ho dei
momenti di sconforto.» Si zittì ancora un attimo
per capire come avesse potuto prenderla Freya, ma dal viso di lei non
trapelava nulla. Di nuovo si ritrovò a parlare, come se
facendo altrimenti rischiasse di soffocare. «Non sempre
riesco a capire cosa cerca di dirmi. Ci sono volte in cui le sue frasi
sembrano veri e propri indovinelli e non riesco proprio a coglierne il
significato. Eppure, in qualche modo, è sempre stata in
grado di calmarmi. È come se mi guidasse verso la
pace» disse, ben consapevole di quanto una cosa simile
potesse suonare folle.
Esattamente come quella notte in Biblioteca, per un istante il tempo
parve fermarsi. Poi, inaspettatamente, Freya sorrise: era un
sorriso incredulo, pieno di un tale stupore che Aran capì
ancora prima che lei si spiegasse.
«La senti anche tu?» le domandò.
La ragazza annuì. Era come riprendere la loro confessione
dal punto esatto in cui si era interrotta; come se tutti quei giorni
non fossero mai trascorsi. «Emerge dal buio della mia mente
quando chiudo gli occhi. Mia madre la chiamava Spirito Guida e diceva
che mi avrebbe indicato sempre la strada giusta»
confermò infine. «Quando le cose nella mia vita si
sono fatte complicate, alle volte insostenibili, quella voce mi ha
spinta ad andare avanti.»
Aran non sapeva davvero cosa dire. Ritrovare in lei tutto
ciò che aveva sempre considerato quasi innaturale in
sé stesso era quanto di più bello e assurdo gli
fosse mai successo.
Freya, nel frattempo, si era fatta pensosa. «La sola
differenza, è che quella che sento io è maschile,
profonda. Sembra venire da un mondo lontano» aggiunse.
Nonostante il disorientamento, insieme cercarono di capirci qualcosa.
Trascorsero gli istanti successivi a riportare alla memoria i momenti
della loro vita durante i quali le voci si erano fatte sentire
più assiduamente; a ricordare almeno in parte cosa avessero
sussurrato. L'unico dettaglio evidente fu senza dubbio il fatto che
sembrasse sapessero sempre cosa dire per impedir loro di cadere nel
baratro. Molte altre volte, semplicemente, li lasciavano con una marea
di interrogativi, esattamente come in quel momento. Rimasero ancora
più sconvolti nel constatare che, ultimamente, avevano
ripetuto a entrambi la stessa frase incomprensibile: Sta per giungere il momento in
cui dovrai scegliere. Era l'ennesimo mistero
insormontabile che si sommava a tutti quelli già presenti,
insieme alla provenienza di tali voci.
«Qualche volta, mi sono persino ritrovato a pensare che
potesse essere la voce di mia madre, della mia vera madre»
confessò Aran, divenendo malinconico. «Poi mi sono
detto che era impossibile che ne ricordassi così chiaramente
il suono.»
«Non c'è nulla di strano, anch'io ho pensato che
potesse essere quella di mio padre. Abbiamo semplicemente cercato di
dare una spiegazione razionale a quello che ci stava
accadendo» lo rassicurò Freya.
«Sì, forse è vero» rispose
lui.
Avvertendo un diffuso formicolio salirgli lungo le gambe il ragazzo
cambiò posizione. Sembrava agitato e Freya intuì
che qualcosa ancora ribolliva in lui.
«Non so veramente nulla di lei. Di loro»
mormorò poi. «Ho solo la costante sensazione che
in quei primi anni che non ricordo sia accaduto qualcosa di
terribile.»
Solo in quell'istante la giovane si rese conto che Aran stava lottando
contro le lacrime; era la prima volta che lo vedeva tanto vulnerabile.
Senza nemmeno pensarci, si fece più vicina e
coprì le sue mani con le proprie. Non avrebbe mai pensato
che il contatto con qualcuno potesse divenire tanto naturale, eppure,
allo stesso tempo, non la sorprendeva che fosse proprio con Aran a
riuscirle così semplice.
Il ragazzo fissò lo sguardo in un punto indefinito sulle
dita di lei. Non aveva il coraggio di guardarla. «L'unica
cosa che abbia mai potuto associare al luogo e alle persone che mi
hanno visto nascere è l'ennesimo incubo. Vedo una bellissima
casa bianca che viene divorata dalle fiamme e sento le urla disperate
di una donna. Nient'altro» concluse. «Non so
nemmeno se possa essere davvero un ricordo.»
Freya rammentava molto bene cosa avesse provato quando aveva pensato di
star dimenticando sua madre. Cercò di figurarsi cosa potesse
significare non avere davvero alcuna memoria di Eleana e Harden; voleva
comprendere a fondo le emozioni di Aran. Bastò la sola idea
perché una tremenda tristezza la cogliesse; le lacrime
fecero capolino anche negli occhi di lei.
Con tutta la forza che aveva, si protese verso il ragazzo e lo prese
tra le braccia, stringendolo a sé. Non le
importava che il gesto venisse ricambiato o meno: quello che voleva era
alleviare anche solo un briciolo della sofferenza che Aran si portava
dentro. Lui stette immobile solo per un istante, come se il dolore
l'avesse paralizzato. Quando tornò a muoversi, semplicemente
la strinse in egual misura, fino a sentire lo strazio scemare pian
piano.
«Penso che possa essere veramente un tuo ricordo»
mormorò infine Freya, scostandosi solo leggermente da lui.
«Io non ho mai visto nulla del genere.»
La paura attraversò il volto del giovane Principe. Gli
sovvenne la conversazione avuta con lei nei primi giorni della loro
conoscenza: Freya gli aveva garantito che, quando fosse stato il
momento, avrebbe trovato la forza di affrontare la verità.
Ne era trascorso di tempo da allora, eppure lui quel coraggio non lo
sentiva ancora.
«Sarò con te quando ti ritroverai a fronteggiare
il tuo passato» disse imrpovvisamente la giovane, sorridendo.
«Tu c'eri quando io ho affrontato il mio.»
Aran non poté far altro che stringerla nuovamente, in segno
di gratitudine. Sapeva che, in qualche modo, Freya avrebbe mantenuto la
sua promessa. Per il momento, in ogni caso, non aveva senso stare a
pensarci; davanti a loro si dipanavano centinaia di
possibilità, la cui meta si perdeva ancora nella caligine
delle tante domande senza risposta.
«Sai, per quanto sembri tutto così assurdo, non
posso fare a meno di pensare che qualcosa debba voler dire»
commentò lui, lasciando da parte i propri problemi personali.
La ragazza annuì. Aran aveva ragione. Quanto a risposte
concrete e sensate brancolavano nel buio, ma una cosa oramai era certa:
non si trattava più di una semplice metafora, erano davvero
legati da qualcosa, anche se per il momento questo qualcosa era loro
sconosciuto. Nel silenzio che seguì, interrotto solo
dall'ululare del vento che si era alzato, entrambi giunsero alla stessa
conclusione.
«Ora che sappiamo, ora che non siamo più soli...
Dobbiamo cercare di scoprire cosa significhi tutto questo» le
diede voce Freya.
Aran annuì, risoluto. Era vero: adesso non erano
più soli.
֍ ֍ ֍
Restarono per diverso tempo seduti lì, a parlare in assoluta
tranquillità, mentre il sollievo più completo
l'invadeva. Fino a quel momento Freya non si era mai resa davvero conto
di quale peso avessero avuto tutti quei segreti nella sua anima.
Fu quando calò nuovamente il silenzio, in quella nuova
consapevolezza, che la giovane realizzò: era giunto il
momento di fare il passo più difficile. Sospirò e
avvertì il proprio fiato tremare. Negli ultimi giorni aveva
pensato spesso a come parlare ad Aran dei propri poteri. Le sembrava
impossibile fargli capire a parole cosa potessero essere: nemmeno lei
lo sapeva.
Aveva provato e riprovato a mettere insieme un discorso sensato, ma
alla fine si era dovuta rassegnare: l'unico modo che aveva era
mostrarglieli. Non era certa che avrebbe funzionato: sarebbe stata la
prima volta che tentava di evocarli intenzionalmente e non sapeva dove
sarebbero potuti arrivare. In qualche modo, però,
sentì di aver sempre saputo che non avrebbe potuto ignorarli
per sempre: per quanta paura ne avesse doveva provare a capirne un
pò di più.
Quando ebbe raccolto sufficiente fiducia in sé stessa, si
fece avanti. «Prima di andare, c'è un'ultima cosa
che devo farti vedere» gli disse, scostandosi di qualche
piede da lui e mettendosi sulle ginocchia. Aran le rivolse
un'espressione interrogativa. Non l'avrebbe bisasimato se prima o poi
si fosse stancato di tutte le sue anormalità.
«Prometto che dopo questo non avrai più strane
sorprese da me», tentò di scherzare nonostante le
sue mani tremassero.
Aran sorrise, cercando di infonderle tranquillità.
«Le tue strane sorprese non mi disturbano affatto. Da quando
ci sei tu la mia vita è molto più
interessante» asserì, divertito e sincero.
Rassicurata, Freya inalò un bel respiro e chiuse gli occhi.
Affondò le mani nel muschio, di cui avvertì
l'umidità bagnarle la pelle, e si concentrò. Fu
solo allora che i dubbi tornarono a fare capolino. Se non avesse
funzionato e fosse stata costretta a spiegarsi a parole? Se Aran, non
trovando un senso in tali parole, non le avesse creduto e avesse
pensato che fosse pazza? Tutto fu spazzato via quando,
inaspettatamente, l'aria intorno a lei prese a turbinare lievemente; la
sentiva infrangersi con leggerezza sulle proprie spalle, sui capelli.
Avrebbe potuto benissimo non significare nulla, ma Freya volle comunque
interpretarlo come un segno.
Sotto gli occhi esterrefatti di Aran, aloni di luce smeraldina si
irradiarono dalle mani della ragazza, andando a colpire il terreno. Una
pianticella giovane e sottile prese a crescere in quel bagliore
mistico, arrivando presto a sfiorarle le dita; una selva di piccoli
fiori azzurri sbocciò con naturalezza dall'arbusto appena
nato. Era la prima volta in assoluto che Freya avvertiva il proprio
potere con tanta forza; forse perché si stava davvero
impegnando, lo sentiva dilagare in tutto il proprio essere. Non appena
sentì di aver terminato, la giovane riaprì gli
occhi.
Quando mise a fuoco le proprie mani, sobbalzò: nelle vene di
cui erano attraversate pulsava un'intensa luce verde. Lo sconcerto le
mozzò quasi il fiato in gola. Ancor prima di osservare cosa
avesse creato quella volta, si focalizzò su Aran: un misto
di emozioni che viravano dall'attonito al meravigliato danzava fra i
suoi lineamenti; i suoi occhi correvano dal terreno alle mani di lei,
impregnate di magia.
Nonostante tutto, non fu quello a pietrificarla sul posto: fu piuttosto
vedere che i vasi sanguigni di Aran, allo stesso modo dei suoi,
brillavano nella penombra del sottobosco. La strana luminescenza non
riguardava solo quelli delle mani, ma anche le arterie che risalivano
lungo il collo: era una luce calda, aranciata, tanto bella che Freya ne
rimase ammaliata. Non riuscì a fare nè dire
nulla, mentre lui allungava le dita verso la delicata pianticella e se
ne rendeva conto da sé. Il gesto venne sospeso a mezz'aria.
Aran si portò le mani davanti agli occhi e le
ruotò lentamente, il bagliore arancione che gli si
rifletteva nelle iridi.
«Cosa...» farfugliò, a corto di aria e
parole. Dovette deglutire un paio di volte, prima di essere in grado di
parlare nuovamente. «Che cos'è?»
domandò, tornando a guardare Freya.
La giovane scosse lentamente il capo. «Io... Io non lo
so» rispose, altrettanto confusa. Con delicatezza
afferrò la mano di Aran, pur sapendo che studiare il
fenomeno più da vicino non le sarebbe servito a nulla.
I due ragazzi fecero appena in tempo a osservare come, nel trovarsi, i
due diversi spettri luminosi si fondessero in una sola sfumatura; poi,
la luce si intensificò, avvolgendoli. Come in riposta a quel
potere sconosciuto, l'intera natura che li circondava parve vibrare:
videro i rami degli alberi tremolare e sentirono chiaramente il legno
scricchiolare, sollecitato da una pressione invisibile ai loro occhi.
Durò pochissimo, ma fu abbastanza da accrescere il loro
sbigottimento. I bagliori si spensero tanto in fretta quanto erano
arrivati, palpitando lievemente prima di scomparire; loro rimasero
lì, con null'altro che due mani intrecciate.
Il silenzio dominava qualunque altra cosa, soverchiante, e lo fece
finché Aran, senza quasi accorgersene, parlò:
«È la stessa energia...»
Era stato nulla più che un mormorìo, tanto che
faticò a raggiungere la mente ottenebrata di Freya. Quando
la giovane si accorse che lui aveva parlato, non ebbe il tempo di
chiedere cosa intendesse.
Aran, improvvisamente rianimatosi dal torpore, si portò
sulle ginocchia, nella stessa posizione in cui era rimasta lei per
tutto quel tempo. Aveva gli occhi spalancati, incorniciati
dall'espressione di chi ha intuito qualcosa. «Ricordi quel
terribile vento che ci ha costretti a rientrare, dopo il
ballo?» le domandò.
Freya annuì. Lo rammentava molto bene. Nel ripensarci poteva
quasi sentire il formicolìo che le aveva lasciato sulla
pelle. In quel ricordo, vivido in ogni sua sfaccettatura,
trovò anche lei la risposta: intorno a loro aleggiava la
stessa identica energia che si era sprigionata allora. Senza poter
stare ferma un istante di più la ragazza balzò in
piedi, seguita a ruota dal giovane Principe. «Siamo stati
noi» affermò, sicura nonostante tutto.
«Io credo di sì» disse Aran a propria
volta.
«Come?» chiese lei, incapace di produrre qualcosa
di più articolato.
L'ultima, ennesima domanda, si perse solitaria nel vento d'autunno.
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