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Autore: _Malila_Pevensie    16/07/2020    1 recensioni
Prima storia della serie "Le Saghe di Finian"
Il mondo di Finian non conosce giustizia da quasi cento anni, fin dall'istante in cui la tirannia della Regina Mirea ha avuto inizio.
Freya non l'ha mai vissuta in modo diretto, protetta dalla quiete delle Foreste di Confine in cui sua madre l'ha cresciuta. Le è stato fatto l'immenso dono della libertà e lei non ha mai pensato di lasciare il luogo che l'ha vista diventare ciò che è.
Aran, Principe alla corte di Errania, non ha mai visto in Mirea null'altro che la propria salvatrice. La sorte gli ha concesso ogni ricchezza e privilegio, ma gli ha lasciato anche un fardello d'immense bugie in cui non sa di star affondando sempre più.
La verità, celata dietro quelle esistenze che sembrano destinate a ripetersi sempre uguali a loro stesse, si rivelerà presto in tutta la sua schiacciante realtà.
Il loro destino, racchiuso in una Profezia antica di un secolo e ultimo lascito dei draghi, si presenterà proprio nell'instante in cui le loro vite entreranno inaspettatamente in collisione.
Il Tempo del Silenzio è giunto alla fine e il momento di scegliere si fa sempre più vicino.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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CAPITOLO 16
- CONFESSIONI, PARTE SECONDA: VOCI E MISTERI -


Il bosco, quel giorno, era immerso in una piacevole e confortante tranquillità. Nella radura, all'ombra dei sempreverdi, faceva freddo.
Aran si guardava intorno, gli occhi pieni di stupore e il fiato che si condensava in spesse nuvolette. Non avrebbe mai potuto immaginare che un luogo tanto bello si nascondesse ad appena un palmo dal suo naso. Freya, un sorriso spontaneo sulle labbra, osservava la sua espressione rapita. Era la prima volta che si recavano al suo piccolo rifugio nel verde insieme. In quel meraviglioso silenzio, si presero entrambi un attimo per assaporare quel poco di libertà che finalmente era stata loro concessa.
«Vieni sempre qui, quando scappi dal castello?» domandò a un certo momento lui, rivolgendole la propria attenzione.
La giovane sorrise. «Dire che scappo forse è esagerato. Vengo qui soprattutto per alleviare un pò la nostalgia di casa e allenarmi al tiro» rispose, lasciandosi cadere sul morbido tappeto di muschio che si allargava sul terreno. Era un enorme sollievo poterlo fare di nuovo; la mancanza di un orrizzonte che non fosse spezzato dalle spesse mura del castello era stata quasi insostenibile per lei.
Fu il turno di Aran di restare a guardarla. Non era abituato a tutto quel verde tanto quanto lei, né a potersi lasciare andare in quella maniera. Freya se ne stava lì a occhi chiusi, come se in qualche modo dovesse recuperare una connessione con la terra stessa che in quei lunghi giorni aveva perso. Per lei sembrava tutto estremamente naturale. Forse, si disse, doveva solo provare e lo sarebbe diventato anche per lui.
Dapprima, semplicemente si sedette. Si guardò ancora attorno, osservando come il cielo non accennasse ad aprirsi; giocherellò con un rametto sottile che i suoi stivali avevano malamente calpestato; respirò l'odore poco familiare del sottobosco.
Poi, Freya parlò: «Aran, puoi farlo. Nessuno ti giudicherà, qui» disse.
Quelle semplici parole sciolsero del tutto la sua rigidità autoimposta. Il ragazzo si lasciò andare all'indietro e in breve fu accanto a lei. Ci fu ancora un lungo momento di silenzio. Aran lasciò vagare la mente, cercando di non pensare a nulla in particolare. I suoi occhi virarono però inesorabilmente verso Freya e presto si ritrovò a focalizzarsi su di lei: teneva ancora le palpebre abbassate e respirava lentamente, come se per molto tempo non l'avesse fatto veramente. Non poteva vederlo, ma sembrò avvertire il suo sguardo su di sé; dopo pochi istanti, si voltò verso di lui e gli rivolse un sorriso.
«Ti senti meglio?» le domandò, ben sapendo quanto quella reclusione fosse stata difficile da scontare per lei.
«Sì. Adesso sì» rispose Freya. Allargò le braccia sul terreno e prese un altro profondo respiro. Era bello vederla sorridere di nuovo.
Avevano entrambi accettato la punizione che Mirea aveva loro imposto senza nessuna lamentela, ma la giovane ne aveva certamente sofferto di più. Era stata la Regina in persona a convocarli, la mattina seguente la loro passeggiata notturna, e a esporre loro quali sarebbero state le nuove regole che avrebbero dovuto seguire: ogni mattina avrebbero frequentato la lezione del maestro Athal, in Biblioteca, a cui non avrebbero avuto accesso per nessun'altra ragione; poi, avrebbero consumato il pasto in solitudine, ognuno nelle proprie stanze; infine, si sarebbero recati al consueto addestramento, che sarebbe stato prolungato, per poi tornare alle loro camere. Inoltre, ogni permesso di lasciare il perimetro del castello era stato loro revocato.
Mirea non aveva mancato poi di osservare come un simile comportamento non si addicesse a due giovani adulti e che, nonostante la violazione non fosse stata grave, dovevano pagare le conseguenze delle loro azioni. Dovevano capire che non si sarebbero mai più dovuti permettere una tale mancanza di rispetto delle regole. Ad Aran era sembrato di essere tornato un bimbo di dieci anni sorpreso con le mani nel sacco, ma si era morso la lingua ed era rimasto zitto finché sua madre non li aveva congedati.
Da quel momento in poi, non c'era stato più tempo per nient'altro che non fossero i loro studi e gli addestramenti. Per i primi giorni i due ragazzi avevano resistito piuttosto bene; in fondo, erano abituati a faticare per ottenere dei risultati. Arrivati al decimo giorno, però, la stanchezza aveva iniziato a farsi sentire ed era stato sempre più difficile mantenere quel ritmo serrato. Tirarsi su dal letto la mattina era diventata un'impresa enorme e per quante ore potessero dormire, non riuscivano mai a recuperare del tutto. Perfino Freya, più che avvezza alle levatacce e a lavorare sodo, la sera doveva lottare per non addormentarsi sul piatto.
Poi, quel giorno, che segnava la fine della seconda settimana, Gorman si era presentato a loro mentre lasciavano la Biblioteca. Aveva la stessa espressione di qualcuno a cui è stata tolta la sua fonte di divertimento preferita; era bastato quel dettaglio per far capire ai due ragazzi che la Regina aveva deciso che fosse sufficiente. Con immenso sollievo, finalmente avevano potuto mangiare insieme nelle cucine, prima di recarsi alle scuderie. Avevano anche incrociato Darragh, il quale era parso piuttosto contrariato dalla loro rinnovata libertà; sembrava che ogni cosa che li riguardasse gli desse in qualche modo ai nervi. Con il suo sguardo sulle spalle avevano lasciato il castello e Freya aveva fatto strada fino alla piccola radura, dove finalmente stavano recuperando un pò di fiato.
«Qual'è il tuo rifugio sicuro, Aran?» gli chiese Freya a un certo punto, tornando a guardarlo.
Questa volta fu lui a sorridere. «A dire il vero non ho un luogo preciso in cui rifugiarmi» spiegò, portando le braccia dietro il capo per stare più comodo. «Quando voglio un attimo di respiro dalla corte solitamente mi reco in città. È così bello girare per le vie, soprattutto nei giorni di mercato. Nessuno fa caso a me in mezzo a quella calca.»
«Non riesco nemmeno a immaginare come possa essere un mercato» mormorò Freya, assorta. «Nonostante l'idea della folla, mi piacerebbe vederne uno. C'è così tanto di questa vita che devo ancora conoscere.»
Aran le sorrise nuovamente. «Ora che abbiamo di nuovo un pò di libertà di movimento ti ci porterò. Il più presto possibile» promise.
Per un lunghissimo attimo nessuno dei due parlò più. Entrambi sentivano crescere il desiderio di affidare all'altro i pezzi mancanti delle rispettive vite, ma ora che erano lì volevano prima godersi un pò di quella tanto agognata pace. Non c'era alcuna fretta: sapevano che l'altro avrebbe saputo ascoltare in qualunque momento avessero deciso di confidarsi; sapevano che potevano permettersi di essere spontanei l'uno con l'altra, senza pressioni, senza timori.
«Non credevo che sarebbe mai stato possibile.» Fu Aran a rompere improvvisamente il silenzio creatosi, in un sussurro che solo Freya avrebbe potuto sentire.
Senza alzare la schiena dal tappeto di muschio, la giovane voltò il capo e lo guardò. Il Principe teneva ancora lo sguardo fisso sulle fronde che ombreggiavano la radura, assorto nella contemplazione di quella vista a lui così nuova, ma allo stesso tempo immerso nelle parole che stava pronunciando.
«Trovare qualcuno che avrebbe capito quello che io ho provato per tutta la mia esistenza» spiegò poi, posando infine gli occhi in quelli di lei.
«Nemmeno io» rispose semplicemente Freya in un sorriso. «Eppure, sei qui.»
Ci fu dell'altro silenzio, ma durò molto meno del precedente. Gli sguardi dei due ragazzi non avevano ancora deviato l'uno dall'altro quando Aran proseguì: «Prima di quella sera in Biblioteca avevo paura» ammise. «Temevo che se ti avessi parlato dell'incubo e di tutto quello che c'era stato prima, avresti scoperto una parte di me che ti avrebbe spaventata. Che avresti provato per me lo stesso terrore che provo io.»
Freya si voltò su un fianco, prima di rispondere: «Anche io avrei voluto avere più coraggio, Aran. Sono rimasta in silenzio a sopportare incubi e visioni per le tue stesse ragioni; perché temevo che, fra le cose che ti ho detto e quelle che ti devo ancora dire, ci sarebbe stato qualcosa che ti avrebbe allontanato da me.»
Aran si girò a propria volta per poterla guardare meglio in viso. S'immobilizzò, poi prese coraggio e allungò una mano verso il viso della ragazza. Le lasciò una delicata carezza, che dipinse sul volto di lei un velo di stupore; era il suo modo per farle capire che non sarebbe andato da nessuna parte.
«L'altra sera, scoprire di quel sogno terribile è stato un caso» aggiunse la giovane quando il nodo che le si era formato in gola si sciolse. «D'ora in poi per me sarà una scelta. Io voglio essere sincera con te.»
«E io lo sarò con te, Freya» ribatté il giovane, determinato come non lo era mai stato.
Non era necessario che tutti i misteri del loro passato emergessero in quel pomeriggio senza sole, ma quello sarebbe stato il vero punto di partenza. Da quel momento in poi accettavano di farsi custodi di tutto ciò che l'altro era. Sapevano entrambi quale responsabilità fosse, ma sapevano anche che nessun altro al mondo avrebbe potuto farsene carico.
Aran si alzò, mettendosi a sedere. Le sue successive parole furono sommesse, ma non più per il timore; finalmente la sua anima era abitata da una pace mai provata prima e non sentiva il bisogno di alzare la voce per farsi ascoltare. «Prima che venissimo interrotti, ti ho parlato di come le mie notti siano sempre state costellate di incubi» disse.
Freya si mise all'ascolto. Non le dispiaceva che avesse iniziato lui; poter tornare a parlare liberamente e ad ascoltarlo era più bello di quanto Aran potesse immaginare.
«Le immagini del pilastro sono arrivate con il tempo; gl'incubi, invece, ci sono sempre stati» continuò. «Dovrei averci fatto l'abitudine, ma ancora adesso, quando mi svegliano, impiego diverso tempo a riaddormentarmi. E nell'istante in cui ci riesco...» Aran prese un profondo respiro, fermandosi brevemente. «Sento molto chiaramente una voce che mi parla nel sonno.»
La giovane sgranò gli occhi, per poi assumere un'espressione agli occhi di lui indecifrabile e tirarsi su bruscamente.
Solo a quel punto la voce di Aran tremò leggermente. «È una voce femminile, calda e melodiosa. Rassicurante. La sento da che ho memoria e, soprattutto, quando ho dei momenti di sconforto.» Si zittì ancora un attimo per capire come avesse potuto prenderla Freya, ma dal viso di lei non trapelava nulla. Di nuovo si ritrovò a parlare, come se facendo altrimenti rischiasse di soffocare. «Non sempre riesco a capire cosa cerca di dirmi. Ci sono volte in cui le sue frasi sembrano veri e propri indovinelli e non riesco proprio a coglierne il significato. Eppure, in qualche modo, è sempre stata in grado di calmarmi. È come se mi guidasse verso la pace» disse, ben consapevole di quanto una cosa simile potesse suonare folle.
Esattamente come quella notte in Biblioteca, per un istante il tempo parve fermarsi. Poi, inaspettatamente,  Freya sorrise: era un sorriso incredulo, pieno di un tale stupore che Aran capì ancora prima che lei si spiegasse.
«La senti anche tu?» le domandò.
La ragazza annuì. Era come riprendere la loro confessione dal punto esatto in cui si era interrotta; come se tutti quei giorni non fossero mai trascorsi. «Emerge dal buio della mia mente quando chiudo gli occhi. Mia madre la chiamava Spirito Guida e diceva che mi avrebbe indicato sempre la strada giusta» confermò infine. «Quando le cose nella mia vita si sono fatte complicate, alle volte insostenibili, quella voce mi ha spinta ad andare avanti.»
Aran non sapeva davvero cosa dire. Ritrovare in lei tutto ciò che aveva sempre considerato quasi innaturale in sé stesso era quanto di più bello e assurdo gli fosse mai successo.
Freya, nel frattempo, si era fatta pensosa. «La sola differenza, è che quella che sento io è maschile, profonda. Sembra venire da un mondo lontano» aggiunse.
Nonostante il disorientamento, insieme cercarono di capirci qualcosa. Trascorsero gli istanti successivi a riportare alla memoria i momenti della loro vita durante i quali le voci si erano fatte sentire più assiduamente; a ricordare almeno in parte cosa avessero sussurrato. L'unico dettaglio evidente fu senza dubbio il fatto che sembrasse sapessero sempre cosa dire per impedir loro di cadere nel baratro. Molte altre volte, semplicemente, li lasciavano con una marea di interrogativi, esattamente come in quel momento. Rimasero ancora più sconvolti nel constatare che, ultimamente, avevano ripetuto a entrambi la stessa frase incomprensibile: Sta per giungere il momento in cui dovrai scegliere. Era l'ennesimo mistero insormontabile che si sommava a tutti quelli già presenti, insieme alla provenienza di tali voci.
«Qualche volta, mi sono persino ritrovato a pensare che potesse essere la voce di mia madre, della mia vera madre» confessò Aran, divenendo malinconico. «Poi mi sono detto che era impossibile che ne ricordassi così chiaramente il suono.»
«Non c'è nulla di strano, anch'io ho pensato che potesse essere quella di mio padre. Abbiamo semplicemente cercato di dare una spiegazione razionale a quello che ci stava accadendo» lo rassicurò Freya.
«Sì, forse è vero» rispose lui.  
Avvertendo un diffuso formicolio salirgli lungo le gambe il ragazzo cambiò posizione. Sembrava agitato e Freya intuì che qualcosa ancora ribolliva in lui.
«Non so veramente nulla di lei. Di loro» mormorò poi. «Ho solo la costante sensazione che in quei primi anni che non ricordo sia accaduto qualcosa di terribile.»
Solo in quell'istante la giovane si rese conto che Aran stava lottando contro le lacrime; era la prima volta che lo vedeva tanto vulnerabile. Senza nemmeno pensarci, si fece più vicina e coprì le sue mani con le proprie. Non avrebbe mai pensato che il contatto con qualcuno potesse divenire tanto naturale, eppure, allo stesso tempo, non la sorprendeva che fosse proprio con Aran a riuscirle così semplice.
Il ragazzo fissò lo sguardo in un punto indefinito sulle dita di lei. Non aveva il coraggio di guardarla. «L'unica cosa che abbia mai potuto associare al luogo e alle persone che mi hanno visto nascere è l'ennesimo incubo. Vedo una bellissima casa bianca che viene divorata dalle fiamme e sento le urla disperate di una donna. Nient'altro» concluse. «Non so nemmeno se possa essere davvero un ricordo.»
Freya rammentava molto bene cosa avesse provato quando aveva pensato di star dimenticando sua madre. Cercò di figurarsi cosa potesse significare non avere davvero alcuna memoria di Eleana e Harden; voleva comprendere a fondo le emozioni di Aran. Bastò la sola idea perché una tremenda tristezza la cogliesse; le lacrime fecero capolino anche negli occhi di lei.
Con tutta la forza che aveva, si protese verso il ragazzo e lo prese tra le braccia, stringendolo a sé.  Non le importava che il gesto venisse ricambiato o meno: quello che voleva era alleviare anche solo un briciolo della sofferenza che Aran si portava dentro. Lui stette immobile solo per un istante, come se il dolore l'avesse paralizzato. Quando tornò a muoversi, semplicemente la strinse in egual misura, fino a sentire lo strazio scemare pian piano.
«Penso che possa essere veramente un tuo ricordo» mormorò infine Freya, scostandosi solo leggermente da lui. «Io non ho mai visto nulla del genere.»
La paura attraversò il volto del giovane Principe. Gli sovvenne la conversazione avuta con lei nei primi giorni della loro conoscenza: Freya gli aveva garantito che, quando fosse stato il momento, avrebbe trovato la forza di affrontare la verità. Ne era trascorso di tempo da allora, eppure lui quel coraggio non lo sentiva ancora.
«Sarò con te quando ti ritroverai a fronteggiare il tuo passato» disse imrpovvisamente la giovane, sorridendo. «Tu c'eri quando io ho affrontato il mio.»
Aran non poté far altro che stringerla nuovamente, in segno di gratitudine. Sapeva che, in qualche modo, Freya avrebbe mantenuto la sua promessa. Per il momento, in ogni caso, non aveva senso stare a pensarci; davanti a loro si dipanavano centinaia di possibilità, la cui meta si perdeva ancora nella caligine delle tante domande senza risposta.
«Sai, per quanto sembri tutto così assurdo, non posso fare a meno di pensare che qualcosa debba voler dire» commentò lui, lasciando da parte i propri problemi personali.
La ragazza annuì. Aran aveva ragione. Quanto a risposte concrete e sensate brancolavano nel buio, ma una cosa oramai era certa: non si trattava più di una semplice metafora, erano davvero legati da qualcosa, anche se per il momento questo qualcosa era loro sconosciuto. Nel silenzio che seguì, interrotto solo dall'ululare del vento che si era alzato, entrambi giunsero alla stessa conclusione.
«Ora che sappiamo, ora che non siamo più soli... Dobbiamo cercare di scoprire cosa significhi tutto questo» le diede voce Freya.
Aran annuì, risoluto. Era vero: adesso non erano più soli.

֍ ֍ ֍

Restarono per diverso tempo seduti lì, a parlare in assoluta tranquillità, mentre il sollievo più completo l'invadeva. Fino a quel momento Freya non si era mai resa davvero conto di quale peso avessero avuto tutti quei segreti nella sua anima.
Fu quando calò nuovamente il silenzio, in quella nuova consapevolezza, che la giovane realizzò: era giunto il momento di fare il passo più difficile. Sospirò e avvertì il proprio fiato tremare. Negli ultimi giorni aveva pensato spesso a come parlare ad Aran dei propri poteri. Le sembrava impossibile fargli capire a parole cosa potessero essere: nemmeno lei lo sapeva.
Aveva provato e riprovato a mettere insieme un discorso sensato, ma alla fine si era dovuta rassegnare: l'unico modo che aveva era mostrarglieli. Non era certa che avrebbe funzionato: sarebbe stata la prima volta che tentava di evocarli intenzionalmente e non sapeva dove sarebbero potuti arrivare. In qualche modo, però, sentì di aver sempre saputo che non avrebbe potuto ignorarli per sempre: per quanta paura ne avesse doveva provare a capirne un pò di più.
Quando ebbe raccolto sufficiente fiducia in sé stessa, si fece avanti. «Prima di andare, c'è un'ultima cosa che devo farti vedere» gli disse, scostandosi di qualche piede da lui e mettendosi sulle ginocchia. Aran le rivolse un'espressione interrogativa. Non l'avrebbe bisasimato se prima o poi si fosse stancato di tutte le sue anormalità. «Prometto che dopo questo non avrai più strane sorprese da me», tentò di scherzare nonostante le sue mani tremassero.
Aran sorrise, cercando di infonderle tranquillità. «Le tue strane sorprese non mi disturbano affatto. Da quando ci sei tu la mia vita è molto più interessante» asserì, divertito e sincero.
Rassicurata, Freya inalò un bel respiro e chiuse gli occhi. Affondò le mani nel muschio, di cui avvertì l'umidità bagnarle la pelle, e si concentrò. Fu solo allora che i dubbi tornarono a fare capolino. Se non avesse funzionato e fosse stata costretta a spiegarsi a parole? Se Aran, non trovando un senso in tali parole, non le avesse creduto e avesse pensato che fosse pazza? Tutto fu spazzato via quando, inaspettatamente, l'aria intorno a lei prese a turbinare lievemente; la sentiva infrangersi con leggerezza sulle proprie spalle, sui capelli. Avrebbe potuto benissimo non significare nulla, ma Freya volle comunque interpretarlo come un segno.
Sotto gli occhi esterrefatti di Aran, aloni di luce smeraldina si irradiarono dalle mani della ragazza, andando a colpire il terreno. Una pianticella giovane e sottile prese a crescere in quel bagliore mistico, arrivando presto a sfiorarle le dita; una selva di piccoli fiori azzurri sbocciò con naturalezza dall'arbusto appena nato. Era la prima volta in assoluto che Freya avvertiva il proprio potere con tanta forza; forse perché si stava davvero impegnando, lo sentiva dilagare in tutto il proprio essere. Non appena sentì di aver terminato, la giovane riaprì gli occhi.  
Quando mise a fuoco le proprie mani, sobbalzò: nelle vene di cui erano attraversate pulsava un'intensa luce verde. Lo sconcerto le mozzò quasi il fiato in gola. Ancor prima di osservare cosa avesse creato quella volta, si focalizzò su Aran: un misto di emozioni che viravano dall'attonito al meravigliato danzava fra i suoi lineamenti; i suoi occhi correvano dal terreno alle mani di lei, impregnate di magia.
Nonostante tutto, non fu quello a pietrificarla sul posto: fu piuttosto vedere che i vasi sanguigni di Aran, allo stesso modo dei suoi, brillavano nella penombra del sottobosco. La strana luminescenza non riguardava solo quelli delle mani, ma anche le arterie che risalivano lungo il collo: era una luce calda, aranciata, tanto bella che Freya ne rimase ammaliata. Non riuscì a fare nè dire nulla, mentre lui allungava le dita verso la delicata pianticella e se ne rendeva conto da sé. Il gesto venne sospeso a mezz'aria. Aran si portò le mani davanti agli occhi e le ruotò lentamente, il bagliore arancione che gli si rifletteva nelle iridi.
«Cosa...» farfugliò, a corto di aria e parole. Dovette deglutire un paio di volte, prima di essere in grado di parlare nuovamente. «Che cos'è?» domandò, tornando a guardare Freya.
La giovane scosse lentamente il capo. «Io... Io non lo so» rispose, altrettanto confusa. Con delicatezza afferrò la mano di Aran, pur sapendo che studiare il fenomeno più da vicino non le sarebbe servito a nulla.
I due ragazzi fecero appena in tempo a osservare come, nel trovarsi, i due diversi spettri luminosi si fondessero in una sola sfumatura; poi, la luce si intensificò, avvolgendoli. Come in riposta a quel potere sconosciuto, l'intera natura che li circondava parve vibrare: videro i rami degli alberi tremolare e sentirono chiaramente il legno scricchiolare, sollecitato da una pressione invisibile ai loro occhi. Durò pochissimo, ma fu abbastanza da accrescere il loro sbigottimento. I bagliori si spensero tanto in fretta quanto erano arrivati, palpitando lievemente prima di scomparire; loro rimasero lì, con null'altro che due mani intrecciate.
Il silenzio dominava qualunque altra cosa, soverchiante, e lo fece finché Aran, senza quasi accorgersene, parlò: «È la stessa energia...»
Era stato nulla più che un mormorìo, tanto che faticò a raggiungere la mente ottenebrata di Freya. Quando la giovane si accorse che lui aveva parlato, non ebbe il tempo di chiedere cosa intendesse.
Aran, improvvisamente rianimatosi dal torpore, si portò sulle ginocchia, nella stessa posizione in cui era rimasta lei per tutto quel tempo. Aveva gli occhi spalancati, incorniciati dall'espressione di chi ha intuito qualcosa. «Ricordi quel terribile vento che ci ha costretti a rientrare, dopo il ballo?» le domandò.
Freya annuì. Lo rammentava molto bene. Nel ripensarci poteva quasi sentire il formicolìo che le aveva lasciato sulla pelle. In quel ricordo, vivido in ogni sua sfaccettatura, trovò anche lei la risposta: intorno a loro aleggiava la stessa identica energia che si era sprigionata allora. Senza poter stare ferma un istante di più la ragazza balzò in piedi, seguita a ruota dal giovane Principe. «Siamo stati noi» affermò, sicura nonostante tutto.
«Io credo di sì» disse Aran a propria volta.
«Come?» chiese lei, incapace di produrre qualcosa di più articolato.
L'ultima, ennesima domanda, si perse solitaria nel vento d'autunno.

 
   
 
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