22.
Il
Vigrond pullulava di persone in preda al panico, alla rabbia e al
nervosismo,
ma Donovan non badò a nessuno di loro. Corse incontro a
Diana e, sorprendendola
non poco, la abbracciò con vigore e, contro la sua spalla,
mormorò affranto:
«Scusami… scusami…»
Stupita
non poco dalla sua presenza, Diana si irrigidì per un
istante tra le sue
braccia prima di sciogliersi in esse ed esalare: «Oddio! Cosa
ci fai tu qui?!»
Volgendosi
a mezzo per incrociare lo sguardo di Charlotte che, nel frattempo,
aveva
raggiunto a sua volta il Vigrond per parlare con il suo Fenrir,
l’uomo asserì:
«C’è chi mi ha scosso a sufficienza per
farmi capire dove sbagliavo… ma non ho
fatto in tempo a parlare con Mark, a scusarmi con lui, e
ora…»
Diana
però scosse il capo e replicò: «Lui non
ce l’ha affatto con te. Capisce perché
tu ti sia voluto allontanare. Ero io a non accettarlo.»
«Devo
comunque a entrambi delle scuse» chiarì per ogni
evenienza Donovan, guardandosi
poi intorno fino a inquadrare la figura dei coniugi Wallace.
«Loro come
stanno?»
«Sono
turbati» mormorò Diana, rimanendo
nell’arco protettivo delle braccia del
marito. Per quanto ce l’avesse ancora con lui, apprezzava che
avesse ceduto ai
propri convincimenti per venire lì. «Iris era
ferita, quando è scomparsa
assieme a Litha.»
«La
donna corvina che ha ferito i ragazzi?» si informò
Donovan, vedendola annuire.
«Ammetto
di essere quasi morta di paura, in quel momento, ma Chelsey mi ha
rassicurato,
dicendomi che non c’erano pericoli. Era solo un metodo un
po’ brutale, ma molto
efficace, per accelerare la mutazione» gli spiegò
Diana.
Donovan
assentì, riferendole che Charlotte gli aveva detto le stesse
cose. Il punto
focale, però, rimaneva uno. Dov’erano andati i
ragazzi?
Avvicinandosi
perciò al capannello di licantropi e umani che si era via
via allargato attorno
alla figura di Lucas Johnson, Donovan intercettò lo sguardo
ancora turbato di
Devereux e domandò: «Cosa sta
succedendo?»
«Da
quello che ci hanno riferito le sentinelle più a nord, hanno
visto i ragazzi
dirigersi a gran velocità in direzione delle Moul Falls, ma
non c’è stato verso
di intercettarli. Sono troppo veloci, persino per noi»
spiegò roco Devereux,
mentre Chelsey restava ancorata a lui, il volto pallido e gli occhi
chiusi per
la paura.
«Si
sa nulla di Iris?» domandò a quel punto Diana,
carezzando gentilmente il capo
di Chelsey, che le sorrise in risposta, tornando a riaprire gli occhi
per
guardarla con espressione turbata.
Lui
scosse il capo, teso, e mormorò: «E’
troppo lontana perché uno qualsiasi di noi
riesca a percepirne la presenza, e senza…»
Interrompendosi
a metà della frase quando vide Muninn piombare dal cielo
come un caccia
bombardiere, Dev si spostò al pari di alcuni altri
licantropi per permettergli
di atterrare. Il corvo rimbalzò sulle zampe un paio di
volte, tanto
l’atterraggio fu brusco dopodiché, balzellando
fino a Dev, gracchiò con forza
per attirarne l’attenzione e infine becchettò a
terra per formare una parola
sul terreno smosso.
L’uomo
prestò l’attenzione massima ai suoi movimenti, e
osservò con occhio spalancato
il tentativo del corvo di comunicare con loro. Quando infine vide la
parola
formata da Muninn, emise un sospiro tremulo e crollò in
ginocchio, rasserenato.
Con
una mano, poi, carezzò il corvo e domandò:
«Iris ok. Te lo ha detto Liza?»
Il
corvo assentì con la testolina per un paio di volte e Lucas,
a quel punto,
domandò a Muninn: «Puoi ancora comunicare con lei,
quindi?»
Ancora,
il corvo assentì e Lucas tornò a chiedere:
«Huginn è con lei? Stanno per caso
dirigendosi vero le Moul Falls? Stanno combattendo
laggiù?»
Il
corvo rispose in maniera affermativa a tutte le domande di Lucas e Dev,
a quel
punto, si levò da terra, torvo in viso, e
ringhiò: «Io vado. Non me ne frega
niente se mi dirai di no, Lucas.»
«Sai
benissimo che, se volessi, potrei bloccare le tue chiappe qui fino alla
fine
dei tuoi giorni…» sospirò Lucas nello
scuotere divertito il capo. «… ma non lo
farò, questo è poco ma sicuro.
C’è metà del tuo cuore, là,
perciò non ti
fermerò. Verremo anche noi, però.»
«Papà!
Voglio venire anch’io!» protestò
Chelsey, aggrappandosi al padre.
Lui
però scosse il capo e replicò: «Sei
ancora troppo piccola. Conosci le regole.»
Lucas
assentì a Dev ma, nel rivolgersi alla ragazzina, disse:
«Predisporremo delle
staffette perché ti possano comunicare in tempo reale cosa
sta accadendo, ma tu
rimarrai qui insieme ai Wallace, ai signori Sullivan e a Rohnyn. Dovrai
prenderti cura di loro.»
Chelsey
borbottò una replica ben poco carina ma Helen, poggiando le
mani sulle sue
spalle, le sorrise e mormorò con voce solo leggermente
tremula: «E’ giusto
così. Rientriamo in casa e aspettiamo notizie.»
«E’
una gran rottura essere piccoli» brontolò Chelsey,
pur accettando la
situazione.
Lucas,
a quel punto, suddivise le sentinelle perché procedessero
con quanto detto.
Fatto ciò, Curtis, Lucas, Rock e Dev si diressero il
più velocemente possibile
in direzione delle Moul Falls, sperando di poter arrivare prima che
tutto
avesse un termine.
Chi
l’avrebbe sentita, altrimenti, Chelsey?
***
Quando
Liza, Mark e Chanel raggiunsero infine la Moul Falls, tutto
ciò che videro fu
l’enorme scudo di Iris eretto come una cattedrale
nell’anfiteatro naturale
creato dalla cascata nel corso dei millenni.
Il
suo colore opaco e dalle tinte maculate si confondeva quasi interamente
con il
paesaggio ma, per loro che potevano percepirne il potere devastante,
era
paragonabile allo sfolgorio di una stella.
Timorosi,
cercarono quindi di varcarlo ma, quando vi riuscirono senza problemi,
ne
compresero la sottile funzione. In quanto alleati, loro non erano
soggetti alle
restrizioni imposte da quello scudo, perciò non ne erano
stati minimamente
sfiorati.
Ciò
permise loro, quindi, di essere testimoni della terribile battaglia che
stava
svolgendosi al suo interno. Litha e l’akhlut
sembravano muoversi a velocità folle, poiché era
quasi impossibile
distinguerle.
Era
però il loro potere a essere ben più che
percepibile, e a causare la maggior
parte dei problemi. Iris stava lottando con tutta se stessa per
contenere
quell’immane energia distruttiva. Se non fosse stata
presente, quasi
sicuramente delle Moul Falls non sarebbe rimasta traccia alcuna...
così come
per gran parte della foresta nel raggio di decine di miglia.
All’interno
di quella barriera psichica si muovevano forze così
devastanti da ricordare il
brodo primordiale in cui tutto era nato e, a ben vedere, le due
estremità
opposte di quell’energia devastante apparivano quasi come
stelle in corso di
formazione.
La
luminescenza emanata da entrambe raggiungeva i limiti della
sopportazione
fisica e Liza, nel raggiungere Iris, si posizionò di fronte
a lei per
proteggerla, mentre Mark e Chanel si disposero sui suoi lati con la
medesima
determinazione.
Iris
tributò loro solo un breve cenno di saluto prima di tentare
un approccio
mentale.
“Liza,
mi
senti?”
“Forte
e chiaro.
Non so se dipenda dalla presenza di Litha, o se riusciremo a parlarci
anche
dopo, ma ora riesco a percepirti senza sforzo.”
“Come
va? Vi
sentite bene?”
“Va
tutto
benissimo, grazie. E’ ancora tutto strano, ma sembra che i
corpi rispondano
appieno alle nostre richieste… e siamo più veloci
di voi” sottolineò Liza.
“Ne
avevo avuto
il sospetto con l’altro amarok”
borbottò
Iris, accigliandosi quando Litha e l’akhlut
urtarono con violenza le pareti dello scudo.
Il
riverbero si espanse su tutta la superficie al pari di
un’onda di tsunami, ma
il tessuto connettivo della barriera resse egregiamente.
“Perché
siete
qui?”
chiese a quel punto la licantropa.
“Litha
aveva
bisogno di noi” dissero
praticamente in coro i tre amarok e
Iris, nonostante tutto, sorrise divertita.
Era
più che evidente che il legame tra gli amarok
e la loro dea era abbastanza forte da richiamarli anche da grandi
distanze.
Nessun licantropo sarebbe riuscito a sentire il richiamo di un altro
simile, a
parità di distanza.
Quanto
ancora avrebbero scoperto, di quella nuova razza di lupi? Ma
soprattutto, ne
avrebbero avuto la possibilità?
Lo
sguardo di Iris corse preoccupato in direzione di Litha, crollata a
terra a
causa di un colpo piuttosto duro inferto dall’akhlut
ma, quando la dea scorse i suoi protetti e ne percepì la
buona salute, le cose cambiarono radicalmente.
Se
Litha, fino a quel momento, era apparsa luminosa come una stella, a
quel punto divenne
sfolgorante e fu per tutti impossibile mantenere lo sguardo puntato sul
luogo
dello scontro.
Sia
Iris che gli amarok reclinarono
volto
e musi per non dover sopportare oltre quel fulgore impressionante e
Litha, nel
risollevarsi come rinvigorita da energie che non le erano proprie,
fissò
costernata l’akhlut prima
di
comprendere.
Per
quanto lei avesse sperato – e desiderato – il
contrario, il legame tra un amarok
e la propria dea era ben più di
un contatto psichico. Il legame energetico era innegabile, e Litha si
sentiva
più forte e sicura di sé
proprio
perché li aveva accanto.
Muath
non aveva affatto accennato a
questo,
nelle sue memorie, e ora lei si ritrovava nella scomoda posizione di desiderare la loro energia. Era mai
possibile, quindi, che nulla sarebbe cambiato, per quei ragazzi?
Alla
fine, avrebbero dovuto predare per lei in ogni caso?
Akhlut rise, di fronte
al suo sconcerto e, sardonica, esclamò: «Pensavi
davvero di essere così
superiore e diversa da me? Non
avevi
la minima idea di quello che stavi facendo, quando hai legato quei
ragazzi a
te! Se non sarò io a godere dei loro massacri, lo farai tu,
e ti perderai!»
«Basta,
maledetta!» urlò Litha in preda alla furia,
scagliandosi contro la nemica con
quel nuovo concentrato di energie che le derivavano dalla presenza
degli amarok.
Akhlut rise ancor più
forte, si lasciò colpire senza opporre resistenza e,
dilaniata senza pietà dal
colpo scagliatole contro da Litha, crollò a terra morente.
Non
contenta, però, rise sguaiata nonostante il sangue le
sgorgasse copioso dalla
bocca e, in fin di vita, esalò: «Godrò
nel saperti vittima del legame che tu
hai imposto loro, pensando di salvarli. Sarà divertente
pensarti dal luogo in
cui io troverò riposo. La mia vendetta non avrebbe potuto
essere più dolce di così.»
Litha
la fissò piena di rabbia mentre ella esala
l’ultimo respiro. Il suo corpo di
donna, infine, si sgretolò e, di lei, non rimase che
polvere. Le sue parole,
però, rimasero nel cuore di Litha come pietre, pietre che
lei non riuscì a
scostare da dove si erano sedimentate.
Iris
e i ragazzi si mossero quindi verso il campo di battaglia e Liza,
nell’osservare turbata l’espressione cupa di Litha,
domandò: “Non sei
contenta di averla battuta?”
Lei
la scrutò ai limiti del pianto e, mentre crollava a terra in
ginocchio, li
abbracciò tutti strettamente senza avere il coraggio di
parlare.
Che
aveva mai fatto?!
***
Dev
strinse Iris nel suo abbraccio soffocante per cinque minuti buoni,
minuti in
cui Lucas chiese a Litha un resoconto dettagliato della battaglia,
così che a
casa tutti potessero essere messi al corrente del risultato.
Ciò
che, però, egli omise di dire, fu l’ultima parte
del racconto, la sensazione di
potenza provata da Litha all’arrivo dei suoi amarok
e le parole sibilline dell’akhlut nel
momento della sua dipartita.
Il
turbamento di Litha si trasferì immediatamente anche a Lucas
e, nel notare con
quanta devozione i tre amarok
rimanessero accucciati accanto alla loro dea, non fu propenso a credere
in una
esagerazione da parte della donna. Il problema sembrava essere reale.
Era
mai possibile che, nel tentativo di salvare i ragazzi da una madre
spietata e
senza cuore, avessero reso Litha altrettanto assetata di potere e di
sangue
umano?
Era
dunque questo, il vero potere del legame tra amarok
e divinità? Era mai possibile che Qiugyat,
l’aurora insanguinata, avesse lasciato questo, in
eredità
ai suoi figli? Il bisogno del sangue?
Scuotendo
il capo con espressione turbata, Litha mormorò preoccupata:
«Non riesco a
capire cosa sia andato storto. Nei resoconti formoriani che abbiamo
letto io e
Rohnyn, non si faceva affatto menzione
a un’onda simile di potere primigenio, né al fatto
che io potessi desiderarla fino a
questo punto!»
Sfiorandole
una spalla con la mano, Lucas le domandò: «Sei
sicura che non fosse, più
semplicemente, il tuo desiderio di sconfiggere l’avversario e
vedere liberi i
tuoi protetti?»
«Conosco
la sete di sangue in battaglia, Lucas, e riconosco la
differenza» scosse il
capo la dea prima di sollevarsi in piedi e, mesta, ammettere:
«Mi ripugna
dirlo, ma dovrò rivolgermi all’unica persona che mai, nella vita, avrei voluto rivedere
così a breve termine.»
I
tre amarok uggiolarono nel sentirla
così tesa e lei, istintivamente, si chinò su un
ginocchio per stringerli
nuovamente a sé, sentendosi legata a loro in modi che mai,
prima di allora,
aveva percepito.
Neppure
il legame con i suoi fratelli era mai stato così stretto,
eppure lei conosceva quei
ragazzi solo da pochi giorni! Cos’era dunque successo, tra di
loro?
«Possiamo
esserti d’aiuto in qualche modo?»
domandò a quel punto Lucas, spiacente.
Lei
scosse nuovamente il capo, carezzò a turno i musetti dei
suoi amarok e infine disse:
«Io e loro
dobbiamo partire per raggiungere l’Atlantico. Debbo parlare
con mia madre
adottiva, l’unica in grado di potermi spiegare cosa non
è stato fatto
correttamente.»
«Immagino,
però, che l’incontro non ti riempia di
gioia» sospirò Lucas.
«Per
niente, ma devo farlo, se non voglio finire con l’essere
controllata dalla sete
di potere, né costringere loro a diventare belve sanguinarie
e senza cuore»
ammise la donna prima di sorridere a Iris, nuovamente libera
dall’abbraccio del
marito, e aggiungere: «Ringrazia Gunnar da parte mia. Non ho
potuto osservarlo
all’opera come avrei voluto, ma è stato un ottimo
combattente. Avrei voluto
snudare la spada al suo fianco, a suo tempo.»
«Ti
è grato per i tuoi complimenti» replicò
Iris, il capo poggiato contro la spalla
di Dev che, protettivo, ancora le teneva un braccio attorno alle
spalle.
«Dovrete partire, quindi?»
«Spero
sia per poco, ma sì» assentì Litha.
Dopo
aver lanciato un’occhiata al marito, Iris disse:
«Sarà comunque il caso di
rimandare la partenza di qualche ora. Le loro famiglie vorranno
sicuramente
vederli, e non credo che cambierà molto, se anche partirete
in tarda mattinata.»
«Torneremo
al Vigrond» acconsentì Litha, lanciando quindi
un’occhiata ai suoi amarok perché
la seguissero.
In
un lampo, i tre lupi la seguirono a velocità imbarazzante e
Lucas, nel vederli
svanire nel bosco, mormorò: «Mi sento una
tartaruga, al loro confronto… il che
è tutto dire.»
«Pensate
andrà bene?» domandò a quel punto Dev,
rivolto a nessuno i particolare.
Lucas,
Curtis e Iris scossero impotenti le spalle e Rock,
nell’osservare l’amico,
ammise: «Una cosa è certa. Qualsiasi sia il
problema tra Litha e sua madre,
vorrei essere una mosca per poter vedere il loro incontro. Ho idea che
si
vedranno fulmini e saette.»
Quel
commento venne condiviso da tutti i presenti e, poco alla volta, ai
licantropi
non restò altro che rientrare, lasciandosi alle spalle la
Moul Falls ormai
tranquilla e non più testimone dell’atroce
battaglia ivi disputata.
Una
nuova battaglia, del tutto diversa, era infatti iniziata altrove, e
nessuno
sapeva come sarebbe terminata.
***
Veder
ricomparire Litha assieme ai tre amarok
fu un sollievo di breve durata, per le famiglie interessate.
Dopo
aver consegnato gli abiti di ricambio ai tre giovani, i Wallace e i
Sullivan si
concessero un po’ di intimità per parlare coi
rispettivi figli, mentre Chanel
rimase accanto a Litha, ancora turbata e piena di dubbi.
Rohnyn,
a quel punto, si avvicinò loro e Litha, con occhi pieni di
lacrime non versate,
mormorò: «Qualcosa non quadra, Rohn…
abbiamo sbagliato da qualche parte!»
«Che
intendi dire? I ragazzi mi sembra stiano benissimo, tu hai sconfitto akhlut, perciò cosa
c’è che non va,
scusa?» replicò l’uomo, confuso.
Chanel
poggiò istintivamente una mano sulla spalla di Litha a
mo’ di consolazione e,
con tono protettivo, disse: «Intende dire che si sente
strana, più potente di
quanto non si fosse aspettata e molto,
molto attratta dall’energia che abbiamo in noi e
che noi sappiamo
trasmetterle.»
Litha
indicò quindi la mano di Chanel come se fosse stata un
pugnale puntato alla sua
gola e, rabbiosa, sbottò dicendo: «Vedi?! Ti pare normale che una ragazza di diciassette
anni si senta in dovere di proteggermi?!
E che io ne sia felice?!»
Aggrottando
la fronte Rohnyn soppesò attentamente le parole della
sorella e il
comportamento di Chanel, trovandolo effettivamente piuttosto
protettivo. Il
modo in cui la giovane lo stava guardando profumava di sfida e Rohnyn
era quasi
certo che, se si fosse arrischiato a discutere con la sorella, lei lo
avrebbe
attaccato.
Nell’annuire
debolmente, il fratello ammise: «Sì, capisco da
dove nascano i tuoi dubbi, ma
non ho letto niente di preoccupante, nei resoconti di Muath. Lei mi
è parsa
molto tranquilla e per nulla esaltata. Di sicuro, poi, non ha mai
provato brama
di sangue. Tu senti questo?»
«Non
so cosa sento! Per questo devo
parlare con lei» sottolineò torva la dea,
sorprendendo non poco Rohnyn.
Era
dai tempi della trasformazione di Rey in Tuatha e della estromissione
di Litha
dal mondo fomoriano, che le due donne non si vedevano e, in tutta
onestà, non
gli era mai sembrato che la sorella fosse ansiosa di cambiare lo stato
delle
cose.
Per
essere giunta a una simile, spiazzante decisione, Litha doveva aver
scorto un
pericolo così incombente e divorante da farla passare sopra
a qualsiasi suo
sentimento personale, pur di dirimere la questione.
«Ne
sei certa? Forse, potremmo chiedere a Stheta di intercedere per te
e…»
Litha
lo interruppe scuotendo il capo e, nello scrutare Chanel con
espressione
protettiva, disse: «Devo a questi ragazzi il meglio che ho da
offrire, visto
che loro si sono affidati a me ciecamente pur senza conoscermi. Posso
anche
passare sopra ai miei screzi con Muath, se servirà a
proteggerli da un futuro
orribile.»
Ciò
detto, strinse a sé Chanel come se fosse stata
un’infante e la ragazza, grata,
si addossò completamente a lei, al pari di una bambina con
la propria madre.
Rohnyn
non ebbe più dubbi. C’era un problema, e anche
piuttosto grosso.
***
Mark
scrutò dubbioso il padre mentre quest’ultimo, con
mani tremanti, lo stava
esaminando al pari di un neo-papà con il proprio neonato.
Sembrava sconcertato,
quasi incredulo, e i suoi occhi scuri brillavano di sorpresa quanto di
commozione.
Diana
non era da meno, anche se il giovane non seppe dire se la sua fosse una
reazione alla presenza del marito, o al fatto che lui fosse ancora vivo.
Di
sicuro, sapeva una cosa; doveva tornare da Litha, perché sentiva che lei aveva bisogno della sua
presenza. Anche se Chanel
stava prendendosi egregiamente cura della loro dea, lui le doveva cieca
obbedienza e…
Bloccandosi
a metà di quel pensiero, Mark si passò una mano
sul volto, lanciò un’occhiata
stralunata a Liza e, nel vederla annuire, comprese che anche lei stava
provando
le stesse emozioni.
«Mi
dispiace di essermi comportato in maniera così
infantile… e soprattutto con te,
che hai dovuto patire per anni le mie ricerche!» disse nel
frattempo Donovan,
abbracciandolo con calore.
Mark
ricambiò, pur sentendosi quasi infastidito al pensiero di
dover perdere del
tempo a rasserenare i propri genitori.
“Stai
sbarellando, vero?”
intervenne Liza, mentre ancora il turbamento seppe coglierlo di
sorpresa.
“Coscientemente,
so di essere felice che mio padre abbia capito, ma i miei istinti mi
dicono di
scansarlo per andare da Litha” esalò confuso Mark,
forzandosi a
rispondere all’abbraccio del padre per non apparire freddo, o
dargli comunque
una cattiva impressione.
“Ti
capisco
benissimo. Stavo per dare un pestone su un piede a mia sorella, pur di
allontanarla da me, perciò ho chiara la situazione” si lagnò Liza. “Direi che siamo nei guai e, di questo
passo, rischieremo di commettere un errore madornale che
farà soffrire
qualcuno.”
“Ho
quasi paura
di aprire bocca per non apparire scocciato, ma lo sono, e
so che non dovrei!” sospirò triste
Mark, accettando nel suo abbraccio anche Diana.
“Dobbiamo
partire quanto prima, o finiremo con il fare dei danni
inenarrabili… o non
renderci più conto di stare facendo del male a qualcuno con
il nostro comportamento”
dichiarò
determinata Liza prima di rizzare il capo – al pari di Mark
– non appena vide
Litha stringere in un abbraccio il fratello.
Più
forte di qualsiasi altro legame, più forte
dell’energia stessa che li legava
alle proprie famiglie, Mark e Liza si mossero come marionette guidate
da fili
invisibili e, mormorando degli ‘scusa’
stentati,
si diressero verso Litha per abbracciarla.
Rohnyn
li lasciò fare, allontanandosi dal quartetto
perché rimanessero da soli e, nel
raggiungere i padroni di casa e le famiglie dei ragazzi, scosse il capo
e
disse: «Non prendetela sul personale ma, ora come ora, il
loro mondo è composto
unicamente da Litha. Non c’è posto per nessun
altro.»
«Come?»
esalò Donovan, più che mai confuso.
«A
quanto pare, è sorto un effetto collaterale che nessuno di
noi conosceva e che,
a detta di mia sorella, li lega come simbionti molto più di
quanto non avessimo
immaginato. Lei è stregata
– non mi
viene in mente una parola migliore – dalla loro energia, e
loro sono spinti dal
legame a donargliela, anche se lei non ne ha bisogno»
spiegò succintamente loro
Rohnyn.
Chelsey
strinse spiacente la mano di Helen e domandò:
«Quindi, noi non conteremo più
nulla, per Liza e gli altri?»
«Lavoreremo
sul problema, te lo prometto» le sorrise l’uomo,
dandole un buffetto sulla
guancia. «Questo, però, comporterà un
viaggio verso est per poter conferire con
mia madre, che è l’autrice del testo che abbiamo
consultato per poter strappare
i ragazzi ad akhlut.»
Lo
stupore si mescolò allo stordimento, sui volti dei presenti
e Lucas, stringendo
una mano sulla spalla di Richard, mormorò: «Sono
sicuro che riusciranno a
venirne a capo.»
Lui
assentì nonostante tutto ma, quando lasciò vagare
lo sguardo sul volto della
moglie, seppe che – per una volta – dovevano avere
la stessa espressione.
Totale, univoco, sconcertato terrore di non riavere più
indietro la loro
figliola.
Helen
strinse a sé una preoccupatissima Chelsey mentre Rachel
restava in un insolito
e disturbante silenzio. Da quando i ragazzi erano tornati, non si era
arrischiata
a parlare, e la cosa stava perdurando anche ora.
Diana,
nel rivolgersi a Rohnyn, domandò turbata: «Mi pare
di capire che noi non
potremo andare con loro, vero?»
«Non
servirebbe a nulla, perché i ragazzi non vi noterebbero
neppure… almeno, non
finché Litha sarà così turbata da
tutta la situazione» ammise spiacente l’uomo.
«Inoltre, mia madre non ha molto in affezione gli esseri
umani e, da ultimo,
non è esattamente come
noi, e la sua
visione potrebbe turbarvi. Non credo, in tutta onestà, che
abbiate bisogno di
ulteriori traumi, visti gli ultimi eventi.»
Diana
si strinse istintivamente a Donovan che, nello scrutare quel giovane
piacente e
apparentemente normalissimo, chiese dubbioso: «Cosa intendi
dire con... non è esattamente come
noi?»
Rohnyn
si grattò imbarazzato la nuca, borbottando: «Non
è il momento migliore per
tenere una lezione di mitologia ma, tanto per essere chiari, mia madre
non è né
di questo pianeta, né una donna qualunque.»
Detto
questo, il giovane si costrinse a ridurre una storia vecchia di decine
di
migliaia di anni in pochi minuti, minuti nei quali, i presenti, non
poterono
che fissarlo allibiti e pieni di un panico sempre crescente.
Non
solo il mondo in cui avrebbero vissuto i figli – loro
malgrado – era più
misterioso di quanto non avessero immaginato in un primo momento, ma la
divinità di Litha non era neppure la cosa più
strana e incredibile di tutta la
situazione.
Crollando
in ginocchio quando l’ondata di input fu eccessiva, Donovan
si passò una mano
tra i capelli, completamente tramortito, ed esalò colpevole:
«Se non mi fossi
intestardito a cercare la verità, ora Mark non si troverebbe
in questo guaio.»
Richard
lo guardò con aria piena di comprensione, sentendosi non
meno confuso e turbato
dell’uomo e, nel dargli una stretta alla spalla,
asserì: «Ho imparato a mie
spese che, spesso e volentieri, le nostre azioni non possono cambiare
ciò che è
stato scritto per noi da qualcuno di molto più lungimirante
e potente. Iris non
chiese di essere ferita e mutata, eppure questo ha messo in luce
ciò che
realmente è, e cioè una potentissima licantropa
in grado di fare cose
impensabili.»
Nel
dirlo, sorrise a Iris, che annuì grata.
Richard,
allora, proseguì dicendo: «Se ciò non
fosse successo, Liza non avrebbe scoperto
la propria vocazione che, a noi piaccia o meno, è quella di
essere
un’eccellente Geri, che ha al suo fianco due valenti amici a
cui io stesso sono
molto affezionato.»
A
quelle parole, Huginn e Muninn gracchiarono in risposta e
l’uomo,
nell’inginocchiarsi accanto a Donovan, terminò di
dire: «Sono cose che non
riusciamo a comprendere veramente, né pienamente, ma ho
fiducia nelle persone
che ho attorno, perciò la prego di fidarsi a sua volta.
Sapranno risolvere la
cosa anche stavolta.»
Donovan
assentì una volta e Diana, sorridendo al marito,
mormorò: «Ci basterà credere
alla magia ancora un po’.»
«Dopo
lo spettacolo pirotecnico di stanotte, alla magia credo
eccome…» replicò
Donovan, risollevandosi grazie all’aiuto di Iris, che gli
aveva allungato una
mano, per poi scrutarla pieno di ammirazione e timore assieme.
«… ma sono anche
abbastanza onesto per ammettere che, a volte, non si vince.»
Iris
annuì mesta al collega, ammettendo con tono grave:
«Sì, è vero. Non sempre si
vince. Fui costretta a uccidere la madre di Chelsey, per poterla
salvare dalla
sua follia e, ancora adesso, mi domando se le scelte prese
all’epoca siano
state quelle giuste. Non possiamo cambiare il passato, ma possiamo
imparare da
esso e cercare di non commettere gli stessi errori.»
Dev
e Chelsey strinsero le loro mani sulle braccia della donna, come a
darle
appoggio totalitario e amore incondizionato e Iris, rincuorata da quel
gesto,
aggiunse: «Il mondo in cui viviamo è
un’immensa Tana del Bianconiglio, che ha
sempre nuove sorprese e nuovi personaggi da presentarci. Non
è facile convivere
con una tale realtà, ma è l’unica in
cui possiamo vivere rimanendo noi stessi.
Fa paura, a volte, ma non sarete soli ad affrontare un simile
stravolgimento.
Noi tutti saremo con voi.»
Donovan
assentì, lanciò un’occhiata al figlio,
che stava ancora stringendosi in
quell’abbraccio primordiale con le ragazze e la loro guida e,
roco, asserì:
«Non crollerò più. Lo giuro.
E’ giunto il tempo che io mi dedichi a mio figlio,
e lo farò totalmente.»
Il
gruppo annuì all’unisono e Rohnyn, compiaciuto,
disse: «Ci terremo in contatto
con voi, ve lo prometto. Non rimarrete all’oscuro dei nostri
movimenti.»
Lucas
lo ringraziò a nome di tutti e, mentre Rohnyn raggiungeva
lesto la sorella e i
ragazzi, Muninn tentò un approccio con la propria padrona.
“Mamma?”
“Muninn…
perché
sei così preoccupato?” domandò subito Liza.
“Ci
vuoi ancora
bene?”
Liza
attese qualche attimo prima di rispondere, comprendendo appieno la
domanda del
suo corvo. Dopo il trattamento riservato alla sua famiglia, era chiaro
quanto
Muninn potesse essere preoccupato in merito al loro rapporto.
Stranamente,
però, nel suo cuore non era mutato nulla.
Lei
era sempre la loro madre, e loro i suoi cuccioli. Punto. Che dipendesse
dalla
magia che li legava, o da qualcos’altro di cui non era a
conoscenza, lei non lo
sapeva, ma ne era immensamente felice.
Almeno
su quel rapporto, non avrebbe dovuto lavorare per rimetterlo in sesto.
Quanto
al resto, sapeva bene che quelle ultime ore avevano procurato danni a
livello
inconscio che sarebbero durati anni, e lei ne era l’unica
responsabile, anche
se in maniera indiretta.
“Non
è cambiato
nulla, stai tranquillo, anche se la cosa sorprende me per prima. Forse,
dipende
dal fatto che è stata Madre a legarci, che è
superiore a qualsiasi divinità di
nostra conoscenza, e non.”
“Perciò…
cosa
vuoi che facciamo?”
“Rimanete
con i
miei genitori. Loro vi sono affezionati, e sapervi vicini li
rasserenerà un
poco. Dovrete essere voi il mio legante con loro, almeno
finché non avremo
risolto questo guazzabuglio” gli spiegò Liza con tono
speranzoso.
“Sono
in ansia
per la tua mamma… non ha ancora detto nulla.”
“Sì,
in effetti
è strano. Di solito, mamma è molto emotiva e mi
sarei aspettata un pianto
dirotto, da parte sua, invece è stranamente taciturna.
Coccolatela per me,
ragazzi… io, ora come ora, non riuscirei
davvero…” mormorò
spiacente la giovane.
“Ci
penseremo
noi. Promesso”
dichiarò Muninn, interrompendo il contatto.
Era
davvero strano. Se ne stava a pochi passi dalla sua famiglia, e sapeva di voler loro bene, eppure in
quel momento era come se non esistessero. Il suo universo iniziava e
finiva con
Litha, e il fatto di poterla stringere tra le braccia, di poterla
consolare col
suo calore, la faceva sentire appagata e fiera.
La
situazione era ai limiti del paradossale, se si pensava che conoscevano
la dea
da una decina di giorni e basta.
Litha,
in quel momento di elucubrazioni mentali, le sorrise e disse:
«Mi fa piacere
che almeno il rapporto con i tuo corvi sia rimasto lo stesso.»
Era
chiaro che quello scambio mentale non era passato inosservato alla dea
ma,
anche in quel caso, l’intrusione nella sua sfera privata non
le diede alcun
fastidio. Cosa che, in condizioni normali, l’avrebbe
infastidita molto, invece.
«Fa
piacere anche a me. E’ bello sapere che qualcosa non
è stato scombinato da
tutto questo caos» ammise Liza, poggiando il capo contro la
sua spalla.
«Partiremo presto?»
«Giusto
il tempo di trovare una scusa da propinare ai genitori di
Chanel» dichiarò la
dea, scrutando pensierosa il fratello. «Tu te la senti,
Rohnyn? Non sappiamo
come la prenderà, Muath.»
«Non
temere per me. So tenerle testa da millenni» la
rassicurò Rohnyn, poggiando una
mano sulla spalla della sorella. «Andiamo pure, e che Dio ce
la mandi buona.»
«A
questo punto, mi affiderei anche al Diavolo, se servisse…e se esistesse»
brontolò Litha, aggrottando la fronte per
concentrarsi su ciò che la circondava.
Non
poteva semplicemente trasmutarsi da un punto a un altro del Globo,
senza capire
bene dove fosse quel luogo in
particolare. Avrebbe potuto rischiare di raggiungere una superstrada,
con il
rischio di causare un incidente terribile, o il salotto di
un’abitazione, di
fronte a una decina di persone ignare e terrorizzate.
No,
doveva scegliere bene a quale latitudine e longitudine puntare
l’ago della sua
bussola, o sarebbero stati guai.
Con
la mente, perciò, sondò ogni centimetro di terra
disponibile, captò le presenze
umane e pian piano si spostò sempre più a nord,
in luoghi inospitali e lontani
da qualsiasi complesso artificiale.
Alla
fine, dopo aver vagliato diversi luoghi e averne scartati altrettanti,
assentì
e, nel riaprire gli occhi, mormorò:
«Sarà George Island.»
Ciò
detto, Litha scrutò Chanel, lanciò
un’occhiata ai coniugi Wallace e, infine,
aggiunse: «Ho anche una storiella da raccontare per coprire
la nostra gita a
Est. Siete pronti?»
A
quelle parole, Litha fece seguire un riassunto succinto del suo piano,
a cui
tutti aderirono in fretta, dopodiché i diretti interessati
si diressero verso
casa Howthorne per perorare la loro causa.
Fu
solo un’ora dopo che, finalmente, poterono partire per le
gelide lande del
Terranova, l’aspettativa nello sguardo così come
la paura di fallire
sedimentata nel cuore.
Una
folata di vento gelido si levò nel punto in cui il gruppo di
Litha abbandonò il
Vigrond e Lucas, nell’osservare il vuoto formatosi al loro
posto, sospirò e
disse: «Ora non possiamo far altro che aspettare.»
Non
vi fu bisogno di aggiungere altro e, infatti, nessuno parlò.
In
silenzio, quindi, il gruppo restante si radunò in casa Saint
Clair e, per loro,
non rimase altro che attendere, nella speranza che tutto tornasse alla
normalità o, per lo meno, a qualcosa che le si somigliasse
molto.
N.d.A.:
tolto un problema, se ne configura subito un altro. E' mai possibile
che la sete di sangue degli amarok
sia connaturata in loro, e il fatto di essere sudditi di una dea non
serva a contenerli ma, tutt'altro, a dare loro ancor più
forza? Litha non lo sa e, terrorizzata dalle eventuali ripercussioni
del nuovo legame simbiotico con i ragazzi, decide di affrontare l'unica
persona che potrebbe aiutarla... anche se non ne ha affatto voglia.
Come andrà
l'incontro tra madre e figlia, secondo voi?
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