Whip your hair, know you’ll be fine
Titolo: Whip your hair, know
you’ll be fine
Autore: My
Pride
Fandom: Super Sons
Tipologia: One-shot [ 3745 parole fiumidiparole
]
Personaggi: Damian Wayne,
Jonathan Samuel Kent, Colin Wilkes, Jason Todd, Dick Grayson
Rating: Verde
Genere: Generale, Fluff,
Sentimentale
Avvertimenti: What if?, Slash
The time of our life: Adolescenza,
Album Luoghi,103. Città sotto la pioggia
200 summer prompts: Mi ricordi
qualcuno || Personaggio X non si fida || "Puoi fidarti di me"
Blossom by blossom: Festa a
sorpresa
BATMAN
© 1939Bob Kane/DC. All Rights Reserved.
Damian
si deterse il sudore dalla fronte con un asciugamano, abbandonandolo
sulle spalle prima di legarsi nuovamente le ciocche di capelli in
un'alta coda con un piccolo sbuffo.
Era passato un mese da quando aveva avuto quel
piccolo incidente con quella robaccia di Ivy e, per quanto la sua
chioma avesse finalmente cominciato ad indebolirsi, era ancora ben
lontana dal permettergli di tagliare tutto quell'ammasso di capelli che
aveva ormai in testa. Aveva cominciato a farci l'abitudine e a non
badare molto alle battutine dei fratelli riguardo le sue acconciature
più disparate – faceva caldo, non aveva più idea di come alzarsi i
capelli e di come allenarsi senza che gli cadessero in continuazione
davanti al viso, anche le code più alte sfuggivano al suo controllo e
avrebbe voluto legarseli direttamente al collo –, e aveva dovuto
sorbirsi anche qualche consiglio da parte di Grayson su quale balsamo
usare e su cose che usava lui stesso quando aveva i capelli lunghi e
bla bla bla. Drake aveva riso al ricordo di quel codino che gli toccava
il sedere, ma Richard aveva voluto ricordargli che ancora ci soffriva
per averlo perduto in missione... anche se aveva voluto aggiungere che
in effetti aveva cominciato a stancarlo. I suoi fratelli erano delle
drama queen.
Damian si lasciò cadere seduto di peso su una delle
panchine della palestra, asciugandosi ancora un po’ il viso con lo
sguardo fisso sulle proprie scarpe da ginnastica. Era da un pezzo che
non si allenava in caverna e anche essere Robin aveva i suoi problemi a
causa di quei capelli, poiché sembravano avere vita propria e
impedirgli di fare le cose come avrebbe voluto davvero. Non era il
fatto che fossero lunghi ad essere un problema in sé, quanto più il
modo in cui si intromettevano nelle cose più basilari della sua vita.
Persino una doccia diventava una lotta per levarseli da dosso quando
gli si appiccicavano alla pelle, anche se la sua chioma fluente
sembrava essere oggetto di sguardi e sussurri invidiosi. Beh, lui
avrebbe fatto cambio molto volentieri. Forse la stava facendo più lunga
di quanto avrebbe dovuto, forse no, ma sul suo volto si riusciva
benissimo a leggere il nervosismo e gli saltava la mosca al naso per un
nonnulla.
Tra uno sbuffo e l’altro, gettò l’asciugamano sulla
panca e si diresse in bagno per farsi una doccia e levarsi la puzza di
sudore da dosso, grattandosi poco elegantemente il sedere quando i
capelli glielo sfiorarono; mugugnando, spalancò la porta con un calcio
e fu contento che suo padre non fosse lì, perché lo avrebbe sicuramente
richiamato per i suoi modi e gli avrebbe ricordato di trattare bene le
cose. Come se avesse bisogno di un promemoria da un uomo che si sfogava
pestando criminali, poi. Ma fu proprio nell’entrare che lo sguardo gli
cadde su un oggetto in particolare, e Damian si morse il labbro
inferiore prima di toccarsi le lunghe ciocche cadute sulla sua spalla
destra.
Forse… forse avrebbe dovuto provare con quello?
Forse adesso ci sarebbe riuscito? A quel pensiero, Damian non esitò un
momento: afferrò il rasoio e lo accese mentre se lo portava alla testa,
fissando la sua immagine riflessa che esultava a poco a poco nel vedere
l’avvicinarsi di quell’aggeggio alla testa con la ferma intenzione di
radersi a zero; chiuse persino gli occhi ma, nel sentire il rumore
assordante delle lame che si piegavano su loro stesse, per poco non
urlò di frustrazione e lanciò il rasoio contro il muro, imprecando
quando si ruppe. Okay, d’accordo, suo padre si sarebbe arrabbiato, ma
poco male. Glielo avrebbe ricomprato.
Tornò sui suoi passi solo dopo una doccia veloce,
imbronciato, senza sapere bene cos’altro inventarsi mentre cercava di
tenersi su i capelli che non aveva lavato, non quella volta. Avrebbe
dovuto rassegnarsi a quella chioma? Probabile. Ma a quel punto avrebbe
dovuto trovare soluzioni migliori e più fantasiose per non sentirsi
infastidito. Il suono di una notifica su Messenger lo distrasse e lui
gettò un’occhiata al cellulare abbandonato nella sacca poco distante da
lui, sbuffando un po’. «Siri, leggi il messaggio», affermò nel
togliersi l’asciugamano che si era legato in vita per afferrare un paio
di mutande, ridacchiando tra sé e sé quando Siri annunciò “Ehi D finito
di studiare tieniti pronto per la festa che stasera si vola!”. Aveva
quasi dimenticato il compleanno di Wilkes, eppure gli aveva comprato un
regalo due settimane prima e… fulminato da un pensiero, Damian scavò in
fretta nella sacca alla ricerca del cellulare per rispondere al
messaggio, sperando che quello scemo del suo ragazzo non avesse già
lasciato il cellulare da qualche parte e rispondesse in fretta.
“Puoi passare prima?”
Per sua fortuna, la risposta non tardò ad arrivare.
Una volta tanto la velocità kryptoniana era utile. “Wassup?” scrisse,
salvo poi correggersi in fretta sapendo quanto odiasse le
abbreviazioni. “Che succede? Posso essere lì in dieci minuti, il tempo
di aiutare ma’ coi piatti”.
“Ho bisogno che tu faccia una cosa per me prima di
andare”.
“Se la metti così volo subito 😏”
“Idiota. Vieni o no?” chiese e, nel vedere che Jon
stava scrivendo un messaggio, aggiunse subito: “E se fai una battuta a
riguardo aspettati polvere di kryptonite nel tuo drink”.
“Gotcha. Ci
vediamo tra dieci minuti”.
“Saprai dove trovarmi” aggiunse Damian e, dopo un
saluto veloce, gettò nuovamente il cellulare nella sacca e si vestì,
pensando e ripensando al motivo per cui quell’idea non gli era venuta
in mente prima. Era stata così ovvia! Aveva avuto per un intero mese la
soluzione a portata di mano e non ci aveva minimamente riflettuto,
forse perché era così scontata che il suo cervello non aveva nemmeno
pensato di formularla.
Furono comunque i dieci minuti più lunghi della sua
vita. Era salito in camera in fretta e furia, accennando giusto un
saluto col capo a suo padre appena rientrato, e si era chiuso dentro,
aprendo la finestra per Jon; aveva persino pensato a disattivare
momentaneamente gli allarmi perimetrali della zona est in cui
affacciava la sua stanza, in modo che Jon non li facesse scattare
sorvolando il giardino, e si era seduto sul letto in attesa, con le
braccia incrociate al petto e lo sguardo fisso alla finestra mentre si
scansava di tanto in tanto qualche lunga ciocca di capelli dal viso. E
quando Jon arrivò davanti alla finestra, puntuale come un orologio
svizzero, starnazzò nel vederlo e si portò una mano al petto, sgranando
gli occhi.
«Accidenti, D, ti manca solo il fucile e hai la
stessa espressione di Clint Eastwood in “Gran Torino”!» esclamò
sconcertato nell’oltrepassare il davanzale, ma Damian sollevò entrambe
le sopracciglia prima di alzarsi in piedi.
«Non credo di aver colto la citazione, J».
«Devo farti vedere quel film», mugugnò tra sé e sé
nel poggiare la suola delle converse sul pavimento, smettendo di
librarsi. «Allora, che succede?» chiese curioso mentre si avvicinava,
senza perdere di vista il modo in cui Damian aveva cominciato a
giocherellare con la punta dei capelli legati in una coda,
attorcigliandoli fra le dita.
Avrebbe dovuto essere illegale essere così… così…
belli, accidenti. Da quando Damian era stato esposto alla mistura di
Ivy e aveva ottenuto quella chioma fluente, Jon aveva cominciato a
pensare che avrebbe anche potuto farci l’abitudine nel vederlo sempre
con una coda, con i capelli sciolti dietro la schiena o anche solo
drappeggiati su una spalla, ma Damian li odiava. Non aveva mai amato
portare i capelli lunghi – il signor Pennyworth, quando si occupava
della sua pettinatura, lo prendeva sempre bonariamente in giro sul
fatto che volesse arruolarsi nei Marines – e li tagliava cortissimi non
appena ne aveva l’occasione, tanto che Jon spesso e volentieri sentiva
la nuca sottostante e solo qualche rado pelo che gli solleticava i
polpastrelli; lui al contrario non era mai stato così dispiaciuto nel
portare una capigliatura più lunga, ma vedere Damian era tutto un altro
paio di maniche.
«…mi stai ascoltando?»
Jon trasalì e sbatté le palpebre nel guardare
Damian, boccheggiando come uno scemo nel vedere l’amico con entrambe le
sopracciglia sollevate. E si grattò il collo, un po’ a disagio. «Scusa,
D, cosa?» chiese imbarazzato, e Damian roteò gli occhi.
«Non chiedermi che succede se poi non ascolti una
sola parola di quello che dico».
«Mi sono… distratto».
«Mhnr».
Damian roteò gli occhi e sollevò una mano sopra la
testa, afferrando l’elastico per sciogliersi i capelli e lasciarli
cadere morbidamente sulle spalle; Jon deglutì un po’ alla vista – aveva
usato i suoi poteri per guardare la scena a rallentatore, e allora? Che
qualcuno gli facesse causa – e inspirò pesantemente dal naso, cercando
di darsi un contegno. Era assurdo pensare che una semplice chioma di
capelli potesse provocare tutte quelle sensazioni.
«Voglio che mi aiuti a tagliare i capelli».
La domanda fece sollevare entrambe le sopracciglia
di Jon. «Cosa? E come pensi che dovrei…»
«Voi kryptoniani avete una chioma forte, non è così?»
«Beh, sì, ma cosa c’entra con--»
«Tuo padre ti tagliava i capelli con la vista
calorifica, J».
Sulle prime, Jon continuò a fissarlo in quegli occhi
verdi e combattivi, aprendo e chiudendo la bocca senza sapere cosa dire
ma, capendo finalmente il punto a cui stava cercando di arrivare
Damian, Jon sgranò gli occhi. «Aspetta, vuoi che te li tagli con la
vista calorifica?!»
«Indovinato, Sherlock».
«Non posso farlo, D!»
«Perché no? Tu ti radi così tutte le mattine».
«È… è completamente diverso, idiota!»
«Non chiamarmi “idiota”, idiota!»
«Senti». Jon abbassò lo sguardo sul pavimento e si
massaggiò le tempie con pollice e indice, traendo un lungo sospiro
prima di tornare a guardare l'altro. «Non userò la vista calorifica,
non sono certo di potermi controllare abbastanza per non farti male.
Ma... posso comunque darti una mano per quanto riguarda i capelli».
Damian incrociò le braccia al petto, sollevando
entrambe le sopracciglia. «Hai una soluzione migliore del radermi a
zero?»
«Tu lasciami fare e basta. Puoi fidarti di me, D».
«In questo momento non sono poi così sicuro» disse
scettico, ma si mosse, nemmeno quando Jon gli si avvicinò e, allungando
quasi timidamente le mani, passò le dita fra i suoi capelli.
«Ricordi... quando te li ho raccolti così?» sussurrò
nel sollevare delicatamente le ciocche in una crocchia dietro alla
nuca, sentendo il battito del cuore di Damian accelerare un pochino e
la sua temperatura corporea alzarsi. «Ho attorcigliato le ciocche fra
le mani, li ho legati in questo modo...» tirando i capelli molto in
alto, prese l'elastico e fermò i capelli in una cosa di cavallo,
facendo tre giri per lasciare fuori qualche ciocca e creare con essa un
anello di capelli che usò per avvolgerlo alla base e creare un piccolo
chignon prima di sorridergli. «...e non ti hanno dato fastidio per un
po'».
Damian deglutì. Non si era mosso né aveva scansato
l'altro da sé, ma... era normale che sentisse degli strani brividi
correre dietro la sua schiena? Le dita di Jon erano mobide,
completamente diverse dalle sue piene di calli dovuti ad anni e anni di
addestramento, e aveva cominciato ad avvertire una strana sensazione
all'altezza dello stomaco; si osservarono per un istante, le mani di
Jon che ancora gli tenevan sollevate le ciocche di capelli e il collo
ormai scoperto che veniva solleticato dall'aria fresca che proveniva
dalla finestra, e fu deglutendo che si sporsero l'uno contro l'altro,
letteralmente ad una spanna dalle labbra, prima che il cellulare di
Damian suonasse ed entrambi sussultassero; Jon lasciò persino andare i
capelli, che caddero come un'onda fastidiosa sulle spalle di Damian
che, col cuore in gola, afferrò il cellulare per spegnere il promemoria
che lui stesso aveva messo e imprecare a denti stretti. Che tempismo.
«Dovremmo andare», disse in fretta per distrarsi,
senza dare nemmeno a Jon il tempo di replicare; andò a cambiarsi in
bagno e cercò di tenere a freno il battito impazzito del suo cuore,
tornando in camera appena cinque minuti dopo per salire in spalla a Jon
e partire alla volta di Gotham.
Quando erano arrivati a destinazione, in un bar a
pochi isolati dal St. Aden, vedere Colin così felice aveva fatto felice
anche Damian. Si erano dati appuntamento lì per bere qualcosa e
chiaccherare un po' come ai vecchi tempi prima di raggiungere gli
altri, e Damian aveva dovuto subirsi le battute di Colin riguardo i
suoi capelli, dato che non era ancora riuscito a vederlo di persona se
non sporadicamente durante rapide pattuglie; Damian glielo aveva
lasciato fare solo perché era uno dei pochi veri amici che riusciva a
sopportare e, anche se Colin appena l'aveva visto se n'era uscito con
«Mi ricordi qualcuno», non gli era saltato alla gola come avrebbe fatto
di solito. Avevano tutto sommato riso, scherzato e Damian aveva anche
borbottato tra sé e sé quando gli altri due idioti si erano coalizzati
contro di lui, finché non era arrivato il momento di raggiungere gli
amici e andare al locale; Colin era rimasto entusiasta da quella festa
a sorpresa e una miriade di saluti e convenevoli dopo, tra regali e
schiamazzi e gente che urlava “Buon compleanno!”, avevano quasi pensato
di poter passare un pomeriggio tranquillo prima del rientro
all'orfanotrofio... ma si erano sbagliati. Damian aveva messo in conto
tutto, davvero tutto. Ma che un idiota mascherato si imbucasse alla
festa, sventolasse una pistola per spaventare i civili e ordinasse loro
di consegnare i soldi... no. Il peggio era venuto dopo, quando aveva
preso un ostaggio e, rubando una moto parcheggiata fuori dal locale,
era partito a razzo con la refurtiva e la ragazza che urlava; Jon,
Damian e Colin si erano guardati solo per un istante e si erano
precipitati fuori approfittando della confusione, inseguendolo alla
svelta per non perderlo di vista.
Con Jon in volo che aveva sorvolato la zona per
tenerlo d'occhio e Damin e Colin in moto, alla fine era stato il tempo
ad essere dalla loro parte: era scoppiato un violento temporale che
aveva fatto perdere aderenza alle gomme della moto e il rapinatore era
slittato sull'asfalto a causa della troppa velocità, e Jon era stato
abbastanza svelto da afferrare la ragazza al volo, metterla al sicuro e
sparire di nuovo, essendo in abiti civili; al resto ci avevano pensato
Colin e Damian, atterrando l'uomo che aveva provato a scappare con la
sacca in spalla - era vero che gli idioti erano duri a morire, dato che
se l'era cavata solo con una gamba rotta con cui aveva comunque provato
a scappare - e controllandolo finché non era arrivata a polizia. Ma,
nonostante lo avessero messo in manette e portato via con la volante,
l'espressione di Damian era rimasta ugualmente amareggiata.
«Mi spiace che la festa sia saltata, Wilkes», disse
di fatti di punto in bianco, richiamando l'attenzione dei due amici che
lo osservarono immediatamente.
«Stai scherzando?» Colin spalancò gli occhi,
gettando poi un braccio dietro alle spalle di Damian. «Inseguimento in
moto, un cattivone da catturare, una lotta sotto la pioggia e la
compagnia dei suoi migliori amici… un diciassettenne cosa può chiedere
di più?» sorrise raggiante e, timidamente, l’ombra di un sorriso
comparve anche sulle labbra di Damian. Ammetteva a se stesso di esserci
rimasto un po' male che quella festa a sorpresa fosse stata rovinata
ma, se Colin si era comunque divertito, voleva significare che alla
fine non era stato tutto sprecato. E gli avrebbe organizzato feste
dieci, cento, mille volte ancora, desiderando il meglio per il suo
amico.
Si abbracciarono e si salutarono e, in disparte, Jon
osservò Colin allontanarsi con un sorriso, conscio che per Damian le
sue parole significassero molto. Sapeva che era stato uno dei suoi
primi veri amici a Gotham e che anni addietro si erano battuti insieme
contro Zsasz per salvare i ragazzi del posto dalle sue grinfie, ed era
stato proprio Colin ad aiutare Damian a sciogliersi un po’ più di
quanto non avesse aiutato Dick. Vedere Damian con quella serenità
dipinta in volto riusciva a rasserenare anche Jon. Nonostante la
pioggia, Damian aveva insistito col restare lì, i capelli ormai di
nuovo sciolti sulle spalle e lo sguardo perso verso le strade, ad
osservare Colin sparire all’orizzonte… e Jon non aveva avuto il cuore
di negargli quella richiesta, limitandosi ad osservare a sua volta
senza preoccuparsi della pioggia battente che stava bagnando entrambi
da capo a piedi.
Era quasi ipnotico vedere la sua espressione
pensosa, le sopracciglia lievemente aggrotta te e le labbra socchiuse
al punto da creare una deliziosa fossetta ad un angolo della bocca, le
lunga ciglia scure imperlate di goccioline di pioggia che celavano in
parte i suoi occhi verdi, il modo in cui le lunghe ciocche di capelli
gli ricadevano zuppe ai lati del viso e come i vestiti si appiccicavano
al suo corpo, mostrando i muscoli del petto che si gonfiavano ad ogni
respiro; la camicia era diventata semi-trasparente a causa dell’acqua,
e persino i pantaloni gli fasciavano le cosce toniche più del solito.
Se Jon lo avesse visto per la prima volta, lì in piedi nel suo completo
elegante e con quell’espressione sul viso, probabilmente se ne sarebbe
innamorato seduta stante. Damian a volte non se ne rendeva conto ma,
col passar degli anni, aveva acquisito una bellezza che catturava lo
sguardo anche di chi lo incontrava solo casualmente… e Jon faticò non
poco a risalire da quel piacevole stordimento, poggiando una mano su
una spalla di Damian.
«Forse sarà meglio cominciare ad andare», sussurrò
come per timore che alzare troppo la voce avrebbe potuto spezzare la
strana atmosfera creata dallo sciabordio della pioggia, ma Damian si
voltò verso di lui e sorrise un po’, sfiorandogli il dorso della mano
con le dita della sinistra.
«Sono pronto. Andiamo».
Semplici parole che per Jon sembrarono ben più di
quanto Damian avesse espresso, parole in cui sembrava aleggiare un
“Grazie” silenzioso che Jon sentiva di non meritarsi, poiché non aveva
fatto niente se fargli rischiare un malanno sotto la pioggia; si
allontanarono dalle strade in cui i pochi temerari ancora giravano con
l’ombrello per le ultime compere o si affrettavano a ritornare a casa,
insinuandosi in un vicolo da cui Jon poté prendere il volo; strinse
Damian a sé, lo riparò dalla pioggia tenendolo al proprio petto e cercò
di non andare troppo veloce per il suo bene, raggiungendo villa Wayne
solo mezz’ora dopo.
Zuppi dalla testa ai piedi, Damian gli aveva detto
di usare la porta di ingresso e Jon era planato proprio dinanzi ad
essa, lasciandolo andare per fargli poggiare i piedi per terra;
strizzandosi un po’ gli abiti, Damian aprì lui stesso la porta quando
scavò in tasca alla ricerca delle chiavi, sfilandosi le scarpe
completamente impregnate d’acqua. La villa era stranamente silenziosa,
quindi molto probabilmente il signor Pennyworth stava già preparando la
cena; lui e Damian si guardarono per un istante, e fu proprio Damian a
distogliere per primo lo sguardo con un lieve velo di imbarazzo,
portandosi qualche ciocca di capelli dietro alle orecchie.
Probabilmente era la situazione in sé, forse quello che era successo
durante il pomeriggio, forse il fatto che nell’ultimo mese lui e Damian
si fossero visti poco a causa degli impegni scolastici, ma Jon si
scoprì ad osservarlo con un’attenzione tale che, se Damian avesse
potuto, avrebbe sentito il suo cuore sussultare un pochino.
«Beh… forse sarà meglio che vada», disse quindi in
fretta, pronto a salutarlo con un bacio a fior di labbra per volare
svelto via, ma Damian gli afferrò il polso prima ancora che potesse
anche solo pensare di muoversi.
«Aspetta, J». Damian si morse il labbro, poi lo
guardò dritto negli occhi. «Ormai sei qui, quello scontro è stato
piuttosto pesante e sei zuppo quanto me... ti piacerebbe restare per
cena?»
«Ti piacerebbe restare per sempre?» esclamò di punto
in bianco una voce nell’interrompere la replica di Jon, ed entrambi i
ragazzi sgranarono gli occhi e arrossirono ferocemente, prima che
Damian si voltasse verso il soggiorno e notasse la sagoma poggiata
contro lo stipite della porta che, a braccia conserte, sorrideva nella
loro direzione.
«Grayson! Piantala di origliare le mie
conversazioni!» abbaiò Damian col volto completamente rosso, ma la cosa
provocò solo un nuovo scoppio di ilarità a Dick.
«Scusa, Little D, ma era una vita che aspettavo di
poter dire questa battuta!»
«Ehi, non sapevo che avremmo avuto anche Spruzzetto
di Sole a cena», proruppe Jason nel comparire dietro le spalle di Dick,
abbassando gli occhiali da lettura sulla punta del naso per emettere un
breve fischio alla vista dei vestiti che, fradici, si erano incollati
alla pelle di Jon e mostravano più di quanto volesse dare a vedere. «Se
voi Super dopo una battaglia siete tutti così, arruolami per la
prossima guerra».
«Vi sgozzo se non ve ne andate!» sbraitò ancora una
volta Damian, ma entrambi i fratelli maggiori, quasi fossero dei
bambini, risero fra loro e si diedero il cinque prima di essere
richiamati da Alfred stesso; Damian roteò gli occhi e, afferrando
l'elastico che ormai aveva preso l'abitudine di portare al polso, si
legò i capelli e adocchiò Jon. «Lasciali perdere, sono degli idioti».
«Li conosco da quando avevo dieci anni, ormai lo
so». Jon si strinse nelle spalle, poi sorrise un po' con vago
divertimento. «Ma la cena va benissimo», sghignazzò, venendo fulminato
seduta stante da Damian.
«Non dar loro corda, J».
Jon sorrise, passandosi una mano fra i riccioli
bagnati. «Scusa, scusa. Ma era divertente».
«Sta' zitto e andiamo a cambiarci, piuttosto.
Pennyworth ci ammazzerà anche solo per essere entrati completamente
zuppi», replicò Damian nel roteare gli occhi ma, prima che potesse
avviarsi di sopra, fu Jon ad afferrarlo delicatamente per il polso e ad
attirarlo a sé.
«Aspetta...» Indugiò sulla sua espressione stranita,
abbozzando un altro timido sorriso. «Questo è il momento in cui ti
bacio... vero?» sussurrò e, seppur sbattendo le palpebre più e più
volte, alla fine Damian sbuffò ilare.
«Non mi sembra che Mulan finisse così...»
«Hercules sì».
Damian rise di gusto, gettandogli le braccia al
collo per attirarlo lui stesso contro di sé e appropriarsi delle sue
labbra mentre Jon, lentamente, faceva scivolare le mani sui suoi
fianchi per poggiarle stabili su di essi. E finsero di non notare
Richard e Jason che, facendo nuovamente capolino oltre lo stipite della
porta del soggiorno, si scambiavano sottobanco qualche banconota sotto
lo sguardo severo di Alfred.
_Note inconcludenti dell'autrice
Allora, questa è
stata scritta per ben tre iniziative indette dal gruppo Non solo Sherlock -
gruppo eventi multifandom, ovvero la #blossombyblossom,
la #200summerprompts
e anche per la #thetimeofourlives
Ovviamente io sono un clown e non potevo evitare citazioni a film
Disney, Jonno non lo chiamo mica Spruzzetto
di sole per niente, eh!
Comunque sia, possiamo considerarlo come un seguito della storia Let your
hair down,
anche se questa è un po' più incentrata su un pizzico di azione e sul
modo in cui sia Jon che Damian vivono la strana situazione di quei
capelli lunghissimi, anche se Damian continua a vederli solo come un
difetto e qualcosa da eliminare (tanto da chiedere a Jon di usare la
sua vista calorifica! Folle!)
Commenti
e critiche, ovviamente, son sempre accetti
A presto! ♥
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