Questa
storia è stata scritta in inglese da 2carm2carm2
e tradotta in italiano da beate.
Questo è il link all’originale:
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15
– Weekends
«Mr.
Montgomery, Mrs. Montgomery è qui per vederla, la faccio
entrare?»
L'assistente
di Jake, che aveva solo pochi anni più di lei, le scoccò
un sorriso educato mentre chiudeva il telefono. «Può
andare, Mrs. Montgomery.»
«Isabella
va bene», le disse.
«Oppure Miss Swan.»
L'assistente
sorrise di nuovo educatamente. «Mr.
Montgomery insiste di chiamarla Mrs. Montgomery.»
Isabella
alzò un sopracciglio, ma mormorò un grazie prima di
dirigersi nel pretenzioso ufficio di Jake. Era al 34° piano, ed
era regolarmente un viaggio di dieci minuti di ascensore, con gli
stop. Era al telefono, i talloni incrociati sulla scrivania e la
giacca del completo che pendeva dalla poltrona dietro di lui,
bretelle e cravatta allentata in bella vista, molto simile al ragazzo
copertina di Wall Street che in effetti era.
Sorrise
quando la vide e alzò un dito per dire che avrebbe finito in
un attimo. Isabella sedette sulla poltrona di fronte a lui, sentendo
la stanchezza che le saliva mentre si sedeva. Era giovedì e
lei aveva già lavorato 60 ore quella settimana. La maggior
parte dei giorni, il tempo volava quando stava in ufficio. Ma non
appena usciva dall'ufficio, perdeva tutta la sua energia.
«Hey,
piccola», disse lui
dopo aver chiuso la telefonata. «Come
va?»
«Bene»,
rispose lei. «E tu?»
«Fantasticamente»,
disse sorridendo. «Così
affamato che potrei anche darti un morso, però. Mi piacciono i
tuoi capelli così.»
Isabella
alzò gli occhi al cielo ma sorrise.
«Hey,
prima che mi dimentico, era mio fratello al telefono.»
«Come
sta Tom?» chiese
Isabella. Thomas era il più giovane dei due, stava finendo
l'ultimo anno a Harvard.
Jake
sorrise, i denti bianchi e scintillanti e le sue fossette
lampeggiarono. «Sta
bene. Ha prenotato per Vegas questo weekend prima di andare troppo in
là con il trimestre.»
«Vegas?»
chiese lei accigliandosi. «Tipo
partire domani?»
Jake
rise. «Sì, un
po' improvvisato, ma sai com'è lui. E non lo vedo da mesi.»
«Pensavo
saremmo andati a Broadway questo weekend. Abbiamo i biglietti da
mesi.»
Jake
sbatté gli occhi.
«Oh,
merda, è vero. Perché non chiami Sandy? Fate una cosa
tra ragazze?»
«Come
ho fatto a quel galà il mese scorso? O nel weekend agli
Hamptons in giugno?»
chiese lei con le sopracciglia alzate. «Quando
a Bollig serviva qualcuno con cui uscire?»
«Hey
– lo sai che sta passando un brutto periodo da quando sua
moglie lo ha mollato»,
disse difendendo uno dei suoi migliori amici.
«Già,
perché le metteva le corna in continuazione»,
replicò secca Isabella.
«Guarda,
piccola,” disse lui imperterrito. «Rimedierò,
con te, okay? Potremo fare tutto quello che vuoi il prossimo
weekend.»
«Io
sono a Los Angeles per lavoro il prossimo weekend»,
gli ricordò. Per la terza volta.
Jake
le scoccò il suo sorriso con le fossette. «Quello
dopo, allora.»
«Se
lo dici tu», borbottò
Isabella, irritata, ma chiaramente intenzionata a lasciar perdere.
«Ti
ho mai mentito, piccola?»
*
Come
si scoprì, se gestisci un piccolo business che dipende dai
turisti, non sempre ci si può prendere un weekend libero.
Isabella e Edward lavorarono alla distilleria il sabato, col posto
tutto per loro fino al tour di assaggi del pomeriggio. Dato che era
bassa stagione, avevano un solo tour prenotato.
Per
Isabella non era una cosa strana lavorare nei weekend e non ne
pensava niente di particolare, ma Edward sembrava scusarsi.
«Puoi
stare qui, se vuoi, solo perché devo stare là io non
vuol dire che devi starci anche tu»,
aveva detto allacciandosi gli stivali sul portone di ingresso.
«Mi
divertirò là»,
disse lei.
Edward
si accigliò.
«Se
vai tu, vado anch'io»,
aggiunse lei.
Edward
le diede un'occhiata poi si spostò di lato per farla passare.
La seguì fuori chiudendosi la giacca contro il freddo sempre
crescente. Rimase accigliato per tutto il tragitto fino alla
distilleria. Non sapeva quasi niente di lei, ma avrebbe scommesso che
era abituata a lavori lunedì-venerdì con orari
prevedibili.
Lui
era cresciuto in una famiglia dove i weekend erano sacri. I suoi
genitori non avevano mai lavorato il sabato e la domenica e loro
cinque passavano un sacco di tempo insieme in quei giorni. Quando sua
madre era morta e si erano trasferiti a Skye, suo padre aveva preso
un turno a rotazione e lavorava un sabato al mese.
Isabella
lo guardò interrogativa quando scesero dall'auto.
Edward
sospirò.
«Mi
sento male a farti lavorare nel weekend»,
ammise.
«Non
mi dispiace», replicò
lei onestamente. «Tu
perché lavori se ti dà fastidio?»
Era
raro che si impegnasse in una conversazione con lui e come minimo,
pensò che le doveva onestà.
«Non
lo facevo, di solito»,
disse tirando fuori la chiave e dirigendosi all'entrata dello staff.
Isabella
oltrepassò l'ingresso e aspettò che continuasse.
«Ma
da quando l'economia è crollata, c'è molta meno gente
che viene per i tour e a comprare whisky. Non posso permettermi di
pagare a Jasper o Carlisle o Robert… o a Ian o James, le ore
che lavoravano prima… è meglio se lavorano sulle barche
con i pescatori, al porto, quando possono.»
Isabella
annuì accigliata.
«Se
il business è il tuo, tu vieni pagato per ultimo, capisci?»
Isabella
fece un mezzo sorriso malinconico e annuì di nuovo.
Attraversarono
il corridoio e arrivarono all'ufficio. Edward aprì la porta
per lei. «Alzo il
riscaldamento», disse
notando il freddo nella stanza.
Si
ritrasse internamente considerando quanto sarebbe costato scaldare
l'edificio ora che stava diventando più freddo.
Isabella
lo ricompensò con un sorriso di gratitudine mentre si dirigeva
alla scrivania dove aveva lasciato tutte le sue cose.
«E
dovremo trovarti degli indumenti più caldi ora che arriva
l'inverno.»
Isabella
aprì bocca per protestare, ma vedendo le sopracciglia alzate
di Edward, la richiuse.
«Avrai
bisogno di qualcosa di più di quel tuo maglione grigio.»
La vecchia felpa con la scritta sbiadita “University
of Pennsylvania” era l'elemento basilare del suo guardaroba, da
quello che lui aveva visto.
«È
una felpa che va ancora benissimo»,
disse lei sulla difensiva.
«A
meno che tu non voglia indossarla tutto l'inverno, potrebbe essere
una buona idea prenderti qualcosa con cui… cambiarti a
rotazione, almeno.»
«Forse
hai ragione», concesse
lei, riconoscendo che col bucato sarebbe stata una sfida.
«Fammi
un fischio se ti serve qualcosa»,
disse lui ridacchiando.
«Grazie»,
disse lei sedendosi con la giacca ancora su. Lo guardò con un
breve sorriso prima di dedicarsi al blocco dove c'erano tutti i suoi
appunti.
Edward
lasciò la stanza e andò con la sua routine quotidiana,
preparando la distilleria per i tour. Accese tutte le luci, alzò
il riscaldamento e selezionò i soliti whisky che usavano per i
tour di assaggio, lasciandoli nella stanza dove si concludeva il
giro. Mentre faceva tutte quelle cose, la sua mente era fissa su sua
moglie, come sembrava essere ormai in ogni momento libero che aveva
avuto nell'ultima settimana.
Erano
sposati da una settimana ormai, e non sapeva ancora come coesistere
con lei.
Il
loro matrimonio e la loro notte di nozze non erano che bei ricordi.
Ballare e bere con lei, ondeggiare con lei mentre famiglia e amici li
circondavano a Loch Lomond era esattamente come lui aveva immaginato
le sue nozze.
Era
stato tutto così reale.
La
felicità di lei era sembrata sincera, quella sera, incluso
quando avevano lasciato Isles ed erano andati a casa, condividendo
qualche bevuta.
Anche
quando avevano fatto l'amore, era sembrata sincera nella sua
passione.
Quando
si era svegliata il giorno dopo, e aveva parlato solo se interpellata
ed era rimasta silenziosa e appartata, lui ne era rimasto deluso.
Non
aveva mai approfittato di una donna in tutta la sua vita.
Ma
quella mattina, quando sua moglie aveva parlato a malapena dopo
essere stata a letto con lui da ubriaca, si era sentito
maledettamente sicuro di averlo fatto.
Mentre
i giorni passavano e lei rimaneva quieta e cupa con lui, il suo senso
di paura crebbe. Per la prima volta nella sua vita non aveva idea di
come andare avanti. Non sapeva se lei voleva spazio per lavorare a
Sleat e nient'altro o se aveva bisogno della sua amicizia e del suo
sostegno.
A
dire la verità, se voleva spazio, lui non era così
sicuro di poterglielo dare.
Quella
parte di lei, quella parte luminosa e scintillante di lei che aveva
visto al loro matrimonio era lì. Non sapeva perché la
tenesse così rinchiusa dentro di sé.
Ma
lui era testardamente sicuro che fosse ancora lì.
Così,
aveva fatto l'unica cosa a cui era riuscito a pensare… quello
che aveva visto fare a suo padre con sua madre durante il loro
matrimonio e nel periodo in cui lei era malata. Era il minimo e il
massimo che potesse fare.
Assicurarsi
di prendersi cura di lei e che avesse tutto ciò di cui aveva
bisogno.
*
La
domenica fu più indaffarata del sabato.
Sia
Jasper che Carlisle li raggiunsero a Sleat. Carlisle e Edward avevano
del lavoro da fare nella distilleria, dato che l'ultimo lotto che
stavano distillando era a un punto critico che non poteva aspettare
fino a lunedì.
Isabella
raggiunse Jasper nella lobby e lo guardò mentre salutava gli
ospiti che entravano. Era sempre carismatico come era stato quando
lei aveva fatto il tour, stabilendo facilmente un rapporto con i nove
visitatori che lo seguivano. Cinque venivano dall'America, due dal
Giappone e due dal Canada. Da come sembrava, erano tutti molto presi
da quello che stava dicendo Jasper mentre si presentava e parlava un
po' della Sleat.
Lei
rimase alla reception nel caso arrivasse qualcuno, ma tranne
rispondere a una telefonata per dare gli orari dei tour a un futuro
visitatore, tutto tacque.
Fu
una sorpresa quando sentì la voce di Carlisle dal corridoio
dietro di lei.
«Esme,
amore, ho appena ricevuto il tuo messaggio. Che c'è che non
va?»
Isabella
gelò.
«Ma
lei sta bene?» chiese,
poi fece una pausa aspettando la risposta. «E
Chase? Ha avuto degli episodi ultimamente?»
Isabella
si accigliò, chiedendosi se avesse mai incontrato un Chase.
Pensava di no, ma data la quantità di gente che si stipava
all'Isles Inn, era possibile che qualcuno si chiamasse Chase.
«Ti
ha detto questo? La sfrattano? Ha parlato col padrone di casa?»
Carlisle
rimase per un po' in silenzio.
«Se
è stata licenziata, il mantenimento dei figli non sarà
sufficiente per pagare le spese mediche di Chase.»
Chase
era un bambino, quindi.
«Esme,
lo so, lo so», cercò
in fretta di calmarla dopo la sua ultima affermazione. «Andrà
tutto bene. Elizabeth… amore… ssh, va tutto bene. Ssh,
lo so. Lo so che è la tua sorellina.»
Isabella
aspettò. Non aveva mai sentito Carlisle così scosso.
«Non
è che non stai facendo nulla»,
le assicurò con gentilezza. «Le
stiamo mandando già tutto quello che possiamo… anche
col contributo di Jasper»,
sospirò. «Lo so,
lo so… anch'io penso che non basti. Io… lo so…
ci penseremo», le
promise. «Ci
inventeremo qualcosa.»
Ci
fu un'altra pausa e lei sentì i passi mentre lui faceva avanti
e indietro.
«Maledetto
servizio sanitario americano… così maledettamente
costoso», ringhiò.
«Deve esserci un
programma… un'assistenza, qualcosa, qualcosa dal loro governo
magari, qualcosa che possa aiutare i bambini con problemi medici. Ci
guarderemo stasera, tesoro. Deve esserci qualcosa.»
A
Isabella fece male il cuore sapendo che la zia e il nipote di Edward
avessero una tale angoscia per la sorella. Non aveva capito tutta la
storia, naturalmente, ma sentì quella fitta troppo familiare
vedendo gli effetti della crisi finanziaria che colpiva persone con
cui interagiva quotidianamente, persone che non avevano mostrato
altro che gentilezza nei suoi confronti.
Gentilezza
che non era sicura di meritare.
«Non
è giusto, lo so»,
disse prima di ringhiare, «Non
c'è lavoro per nessuno da nessuna parte di questi tempi, dopo
quello che è successo. Quei bastardi avidi di quelle banche
hanno rovinato delle vite. Che il diavolo se li porti...»
Isabella
non sentì il resto.
Si
accucciò di fronte al cestino dell'immondizia dietro la
scrivania e vomitò.
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