Capitolo
9 – Sasso in testa
Conan corse.
Corse
sino a quando le gambe non iniziarono a dolergli, fino a quando i
muscoli non iniziarono a protestare, fino a quando il cuore prese a
battere tanto forte da sembrare sul punto di scoppiare.
Si
sentiva tremendamente confuso. Avrebbe voluto non aver provato a
raggiungere le labbra di Ai, eppure, quando le aveva viste
così morbide, appena schiuse nel respiro sorpreso... Non
aveva saputo trattenersi.
Forse
l’aver finalmente scoperto la propria
identità gli aveva dato alla testa, considerò,
senza smettere di correre. Pensò alla reazione di Ai e
rifletté che era stata più che giusta. Lui si era
a dir poco comportato da cretino.
Si disse
che doveva scusarsi con la ragazza, ma allo stesso tempo non
sapeva se sarebbe mai tornato indietro.
Perché
tutto ciò che in quell’istante
gli sembrava importante era continuare a correre, a fuggire, in modo da
mettere tra sé e la realtà il maggior spazio
possibile, in maniera di allontanarsi dagli occhi pietrificati di Ai.
Le
proteste delle gambe, originate dallo sforzo a cui le stava
sottoponendo, si acuirono, ma lui le ignorò e non
rallentò minimamente l’andatura.
Dopo
qualche tempo, però, il respiro affannato e i muscoli
indolenziti si allearono e lo fecero rallentare considerevolmente.
Ansimò e cercò di riprendere un ritmo
respiratorio decente, quindi si sforzò, allo stesso tempo,
di non pensare ad Ai. Se solo la ragazzina gli saltava in mente,
infatti, ogni suo sforzo di tranquillizzare il proprio cuore risultava
vano.
A fatica,
tentò di riflettere su qualcosa che non fosse
l’espressione di Shiho dopo che lui aveva cercato di
baciarla. Iniziò a camminare per evitare che i muscoli gli
si irrigidissero troppo e si riempissero di acido lattico.
Per un
poco seguì il marciapiede, poi entrò in un
piccolo parco.
La ghiaia
del vialetto scricchiolava sotto le sue scarpe, ma lui ne
sentiva a malapena il rumore, così come a stento vedeva gli
alberi, le altalene e i cespugli, così come avvertiva
scarsamente il vento che gli arruffava un poco i capelli.
Giunse ad
una panchina e, con un sospiro, vi si sedette. Era tra due
abeti, e per un momento li osservò, assente. Non riusciva a
rilassarsi, nonostante la sua posizione fosse ora più comoda.
Osservò
con aria distratta un uccellino che si era posato
sul vialetto e becchettava in terra, intento in
quell’occupazione.
Si
appoggiò pesantemente allo schienale della panca, tenendo
gli occhi socchiusi rivolti verso il cielo. Gli parve di ricordare
qualcosa, ma era poco più dell’ultimo anelito di
profumo che rimane nell’aria prima che il vento lo trascini
via interamente, spazzandolo lontano.
Forse il
brusio leggero di qualche persona. No, molte persone che
schiamazzavano, allegre e impazienti.
Nell’angolo,
la figura – sbiadita nella sua mente
– della donna che aveva visto nel suo ricordo precedente.
«Ehi,
bambino! Bambino!»
Takeshi
aprì gli occhi di colpo, riemergendo dal ricordo con
un sussulto. Concentrato com’era sulle immagini che tentava
di ripescare confusamente dalla propria memoria, non si era reso conto
dell’avvicinarsi di un uomo. Lo fissò, scordando
per un momento il proprio aspetto da bambino delle elementari.
Se ne
rammendò quando lo sconosciuto sorrise come a volerlo
rassicurare. Aveva il mento ruvido di una corta barba scura, i capelli
del medesimo colore erano corti e arruffati, mentre gli occhi scuri lo
guardavano amichevolmente. «Ti sei perso?» chiese
con gentilezza.
Conan
scosse la testa lentamente, poi riguadagnò abbastanza
animo da esclamare: «No, signore! Abito nella casa
là davanti, vede?» proseguì entusiasta,
indicando con decisione una delle abitazioni vicine al parco.
L’uomo
sorrise davanti alla sua euforia. «Bene, mi
sembri un giovanotto che sa il fatto suo» affermò.
Conan
sorrise, cercando di apparire sia convincente che fiero del
complimento.
L’uomo
alzò lo sguardo al cielo che iniziava a
scurirsi, forse preannunciando un temporale. «Ora,
però, sarà meglio che torni a casa, prima di
bagnarti. Sembra che ci sia una tempesta in arrivo».
Takeshi
annuì frenetico. «Sì, signore!
Grazie, signore!» aggiunse allegramente, per consolidare la
propria apparenza di bambino. Conan era così,
pensò, mentre balzava dalla panchina. Bisognava chiedersi
cosa avrebbe fatto un bimbo allegro e spensierato come lui, ed
adattarsi alla parte. Era un po’ come inventare il
personaggio di un film.
Si
allontanò in fretta. Finse di dirigersi verso una delle
case indicate in precedenza ma, quando fu sicuro che l’uomo
non lo potesse più vedere, svoltò in
un’altra via.
Non
andò a casa del professor Agasa. Nonostante si
disprezzasse per quello, non aveva abbastanza fegato per tornare da Ai
e tentare di capire cosa avesse provato la ragazza quando si era resa
conto che lui aveva cercato di baciarla.
Andò
invece da Mori.
Ran gli
si precipitò addosso non appena lo sentì
entrare. «Conan!» esclamò.
«Avresti potuto dire che dopo aver giocato con Ayumi saresti
andato dal professore e per di più avresti pranzato
là! Ti rendi conto quanto mi hai fatto
preoccupare?!»
«Pranzato
dal professore?» ripeté
Takeshi. Un momento dopo si morse la lingua.
Per sua
fortuna, la ragazza non notò la sua sorpresa.
«Ho chiamato a casa di Ayumi e mi hanno detto che te
n’eri andato, poi ho telefonato al professore, che mi ha
detto che eri là e che ti saresti fermato a
mangiare» spiegò severamente, le mani sui fianchi.
Conan
annuì. Ai doveva aver raccontato tutto al professore,
e questi era giunto alla conclusione che lui aveva bisogno di un
po’ di tempo per sfogarsi e ragionare. Quindi aveva detto a
Ran che si sarebbe fermato a mangiare da lui, in modo da dargli un
po’ di tempo.
Nonostante
avesse saltato il pranzo, non aveva fame.
Il
pomeriggio piovve. Le gocce batterono con insistenza sulle finestre
serrate, poi, pian piano, si fecero meno insistenti e frequenti,
finché il temporale non si fece meno convinto.
All’ora di cena non pioveva più, ma
l’asfalto bagnato e ingombro di pozzanghere ricordava ai
passanti la pioggia appena caduta.
Conan
mangiò malvolentieri, sforzandosi in modo tremendo per
poter fingere di essere il bambino entusiasta che aveva recitato per
tutto il tempo.
Andò
a letto presto, troppo presto, ma non riusciva a
chiudere occhio. Fissava assorto il soffitto, ascoltando le voci
provenienti dalla televisione che Kogoro guardava. Poi, un altro suono
si unì a quel vociare. Si alzò, in ascolto. Era
secco, insistente.
Che
avesse riniziato a piovere? No. Era diverso.
Quando
capì di cosa si trattava, saltò
giù dal letto e corse a spalancare la finestra. Sporse
subito fuori il viso, e l’ennesimo sassolino destinato ai
vetri gli colpì la nuca.
«Haibara?!»
esclamò, incredulo, quando
riconobbe la ragazzina. Si massaggiò distrattamente la
testa, basito. Ai che tirava sassi alla sua finestra?! Era assurdo.
«Sei... sei proprio tu?!» domandò,
sbigottito.
Lei
sospirò, chiaramente seccata dalla domanda.
«Immagino sia un quesito più che legittimo, dal
momento che hai appena scoperto di essere il fratello gemello di colui
che credevi di essere, ma penso anche che sia una perdita di tempo.
Trova una scusa per farmi entrare, così possiamo discutere
in pace». Meditò un istante. «Sempre che
tu non voglia sentirti urlare ciò che ho da
dirti...»
Bene, ora
la riconosceva un po’ meglio. Stessa ironia, se non
altro. Stesso senso pratico.
Ritirò
la testa ed indossò in tutta fretta una
felpa e dei pantaloni, quindi uscì dalla propria stanza, con
foga. «Ran!» esclamò. «Ai
è venuta a portarmi un gioco che avevo scordato dal
professore. Può salire, vero?»
La
ragazza annuì, dopo aver scoccato
un’occhiataccia nella direzione in cui suo padre faceva gli
occhi languidi ad un’attrice sullo schermo. «Se
vuoi può restare un po’» aggiunse, prima
di dirigersi verso Kogoro con un’espressione che prometteva
guai.
Conan
schizzò via, pensando distrattamente “Povero
vecchio”.
Andò
ad aprire ad Ai, quindi loro due entrarono nella stanza
dove dormiva Conan. Il ragazzino si sentiva a disagio, ma quando lei
alzò gli occhi capì con sollievo che non
intendeva parlare del bacio.
«Sei
sconvolto?»
Takeshi
trattenne a malapena un sorriso, nonostante la situazione.
Schietta la ragazza.
Abbassò
lo sguardo e lo rialzò, pensando alla
domanda. «Non so» rispose infine, scrollando le
spalle. Gli tornarono in mente le parole su quel documento, quelle
parole che decretavano la sua morte, nere e definitive sul foglio
bianco. Deglutì. «Forse un
po’...» ammise. «Non riesco a capire come
io possa essere qua. Se sono Takeshi Kudo... E io sento di esserlo,
dovrei essere morto...»
Ai scosse
la testa. «Veramente è
elementare» obbiettò, guardandolo. Lui
ricambiò lo sguardo, stupito e, allo stesso tempo,
speranzoso. «Non è detto che Takeshi Kudo sia
morto» continuò la ragazzina, sottolineando il
nome e il cognome. «Quel che sappiamo è che i
dottori pensano che sia morto. Per me è così.
Cosa credevi, di essere una specie di cadavere riesumato?»
concluse, azzardando una battuta per alleggerire l’atmosfera.
Takeshi
rise, sollevato. Non aveva pensato direttamente quel che Ai
aveva espresso come una frase ironica, ma c’era andato
pericolosamente vicino. Si rese conto che una parte di lui,
più che concentrarsi e chiedersi se temeva di essere
qualcosa di innaturale, si era domandato se Ai l’avrebbe
visto in quel modo.
Ma,
finalmente, sapeva che non era così, e non
poté evitare di tirare un sospiro di sollievo.
Spazio Autrice:
Aaaaaaaah! Sono terrorizzata. Da adesso in poi non ho più
capitoli da restaurare. Dovrò mettermi a scrivere con un
impegno mooolto serio. Da ora ci saranno solo capitoli assolutamente
inediti, spero non deludano.
Mi scuso per il ritardo, ma a scuola sono già iniziate le
interrogazioni. Oltretutto ho un orario definitivo a dir poco schifoso.
Latino è sempre alle ultime ore. Come si fa ad avere latino
alla quinta e alla sesta ora senza morirne?! E poi storia e scienze
sono sempre insieme. E, ovviamente, si è interrogati, su
quelle due materie.
Va be’.
Kessi: Sono felice che tu abbia apprezzato questa
mia idea pazza. Come
vedi, la faccenda della morte dopo il parto si spiega –
almeno in parte. Parto... parte... Be’, il gioco di parole
non è stato intenzionale xD Mi hai dato una bella
soddisfazione scrivendo di aver apprezzato la parte finale con quei
due^^ Grazie mille.
Sherry: Ciao, sono felice che ti piaccia questa
storia. Dato che per
scrivere il finale dello scorso capitolo avevo un po’
tentennato – a suo tempo – sono contenta che ti sia
piaciuta la reazione di Ai. Penso non sarebbe stato da lei, nonostante
Conan le piaccia, accettare quel bacio, soprattutto considerato che
aveva scoperto da poco che in realtà il ragazzino era una
persona del tutto diversa. Spero di non essere peggiorata con questo
capitolo – e mi scuso per il ritardo.
TITTIVALECHAN91: Per continuare ho continuato... In
quanto al presto,
purtroppo non ci metterei la mano sul fuoco. Spero nel frattempo di non
averti messo troppa voglia di mangiarti le mani o di venire a prendermi
a calci.
Licia Troisi: Be’, sono felice che
apprezzi il nome
Takeshi... Credo mi sia balenato in mente mentre leggevo un qualcosa su
un certo doppiatore originale di non ricordo quale anime... (sono stata
chiarissima, vero? xD). Però, ovviamente hai ragione, il
nome Conan non può assolutamente essere battuto... Che
questo sia un bene o un male, direi che è difficile da
capire...
Charliotta: Grazie per il complimento^^ In quanto ad
Ai, per come la
vedo io è ancora un po’ confusa, perché
– come sappiamo – le piace Conan, ma la notizia che
lui è tutta un’altra persona la spiazza un
po’, nonostante di certo non lo ammetterebbe mai (...o
sì?). Ma non ti preoccupare, il rapporto tra lei e
Conan/Takeshi avrà modo di essere esplorato a fondo.
Roe: Non preoccuparti. La storia, per continuare,
continuerà, anche se forse a volte a rilento (ma
perché, dico io, devo andare a scuola?! Perché?!
Scusa, sto impazzendo). Ti ringrazio per i complimenti. Non
preoccuparti se non sempre riesci a commentare, io sono la prima che a
problemi nel recensire in modo costante. Ci si sente.
Kuchiki_girl: Hai ragione, scusa. Non ti ho certo
lasciata nel momento
migliore >_> Io, per evitare che accadano di nuovo queste
cose, proporrei di vietare la scuola, ma non so quanti mi darebbero
retta (nessuno). Okay, dopo questa frase probabilmente indice della mia
pazzia, cercherò di rispondere meglio alla tua recensione.
Dunque: wow. Devo ammettere che non avevo mai considerato
“geniale” la mia mente. Di solito la definisco
“malata” “matta”
“pazza”, o con aggettivi simili. Però,
wow, mi ha fatto piacere che tu la consideri tale ^///^ xD Prometto che
cercherò di aggiornare in meno tempo la prossima volta.
Baci^^
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