Se avessi avuto
il vizio del fumo, probabilmente quello sarebbe stato il momento
perfetto per
sfogare la mia rabbia su di una sigaretta.
Purtroppo
non
fumavo e perciò dovevo sfogarmi in qualche altro modo;
c’era stato un periodo
in cui, assieme alle parole che buttavo fuori quando mi arrabbiavo, mi
era
necessario esternare la rabbia anche a livello fisico, accompagnando i
gesti
alle parole.
Appurato
che
quel comportamento poco si addiceva ad una ragazza, mi ero sforzata di
reprimere la voglia di assalire a pugni il mio interlocutore.
Infine,
avevo concluso
che mangiare del gelato a novembre mi aiutava a raffreddare gli animi,
e
rendeva la mia mente più calma e lucida.
Per
quello ero
seduta ad un tavolino esterno di un bar con una brioche ripiena di
gelato in
mano, e la stavo aggredendo a morsi.
Non
avevo alcun
motivo di prendermela con questa, ma se ripensavo alla litigata di
prima e a
quanto mi irritassero i comportamenti della mia ragazza, non potevo
fare a meno
di mordere con più foga la brioche, ritraendomi bruscamente
l’attimo dopo per
via del contatto dei miei denti col gelato.
Stavo
proprio
massaggiandomi la gengiva dopo un morso particolarmente violento, che
mi sentii
chiamare.
Alzai
lo sguardo
e vidi una ragazza più grande sedersi davanti a me e
sorridermi.
-Ciao! Si può sapere che caspita ci
fai qui?
-Mhm, volevo buttare all’aria un
pomeriggio nella maniera più stupida possibile, ed eccomi
qua- risposi,
corrugando la fronte.
-Dov’è lei?
-Lei chi?
-Lei, la tua ragazza!
-Boh.
-Che vuol dire boh?
-Vuol dire che non me ne fo**e un
ca**o.
Questa
fu
l’educata e gentile risposta che diedi alla mia amica, la
quale mi guardò con
cipiglio divertito, consapevole che il mio linguaggio volgare era
dovuto
unicamente al fatto che ero arrabbiata.
-Vediamo, abbiamo te seduta ad un
bar da sola, lei che non c’è e tu che ne parli
come se non desiderassi altro
che la sua morte, e una brioche piena di gelato azzannata. Mhm...- la
mia amica
mise una mano sotto il mento con finta aria pensosa, poi concluse
– direi che
avete litigato-
Alzai
un
sopracciglio, riprendendo a mangiare il gelato, e chiesi:
-Da cosa l’hai capito?
-Dalla brioche, ovviamente.
-Ovviamente, il premio per detective
è tuo- commentai, ingoiando l’ennesimo cucchiaio
di gelato.
-E perché avete litigato?- mi
domandò, curiosa.
-Perché mi irrita. È
l’essere più
superficiale e costruito che conosca, inoltre è ipocrita,
falsa e ambigua. La
odio con tutto il mio cuore, con tutta la mia mente e con tutta la mia
anima-
risposi, battendo il pugno sul tavolino, di riflesso.
-E così avete litigato per questo?
-Sì.
Lei
mi guardò un
attimo, poi esalò un respiro seccato e commentò:
-Ancora? Possibile che ogni santa
volta che andate a fare compere assieme finite sempre per scatenare la
seconda
guerra mondiale?
Restai
per un
momento senza risposta, poi dissi:
-Be’ sì, non la posso soffrire.
-Molto coerente, un giorno amarla e
un giorno odiarla a morte.
-Non ci posso fare niente, non
riesco proprio a sopportarla quando fa così. E stavolta ha
esagerato.
-Ah sì?
-Oh sì. Mi ha ripetuto in
continuazione di essere più bella di me, ha ucciso la mia
già scarsa autostima
e tutto perché non le ho dato il permesso di comprarsi uno
stupido paio di
scarpe!
La
mia amica
dapprima seguì le mie ragioni con aria interessata, poi
quando terminai alzò un
sopracciglio e domandò:
-E perché non le hai fatto comprare
quelle scarpe?
-Perché costavano troppo.
-La solita tirchia- commentò lei,
sorridendomi.
Scossi
la testa,
capendo che non mi avrebbe mai dato ragione, e terminai la brioche con
gran
sollievo dei miei denti.
-Oh va bene, fa’ pure l’offesa,
tanto sei più testarda di un mulo- così dicendo
si sporse per darmi un bacio
sulla guancia.
-Ci vediamo domani!
-Ciao...- risposi, senza tanto
entusiasmo.
Terminata
la
brioche, non mi restava nient’altro su cui sfogare la mia
insoddisfazione, così
sedendomi più scomposta sulla sedia cominciai a battere le
dita sul tavolino,
sempre più velocemente finché non arrivai a
tirarci sopra un altro pugno.
Infilai
le mani
nella tasca del cappotto per cercare degli spiccioli, lasciarli sul
tavolo e
alzarmi, desiderando solo essere a casa.
Così
ora ero da
sola, al freddo, senza un soldo e per giunta in una città
che iniziavo a
detestare. Non sapevo dove andare, conoscevo a malapena l’ora
e sul cellulare
non compariva nessuna sua chiamata.
Mi
odiai per
questo pensiero, mi odiai per aver desiderato che mi parlasse di nuovo.
Dovevo
ricordarmi che avevamo pur sempre litigato, e dovevo convincermi che
avevo
fatto benissimo ad arrabbiarmi con lei, perché ne avevo
tutto il diritto.
Sbuffai
fuori
una nuvoletta di vapore e, unica soluzione possibile,
m’incamminai verso la
macchina.
Questa,
per
fortuna, era lì ad aspettarmi così come
l’avevo lasciata, immobile nello spazio
buio sotto il palazzo.
-Alla buon’ora.
La
voce
sarcastica che arrivò alle mie orecchie non poteva che
corrispondere ad una
persona.
La
mia ragazza
era lì ferma, appoggiata al muro e con delle buste ai piedi,
che mi guardava a
braccia conserte, piuttosto impaziente.
-Te la potevi dare una mossa.
-Oh abbassa la cresta, nessuno ha
detto che ti accompagno a casa io.
In
realtà non
pensavo veramente di lasciarla lì a piedi solo
perché avevamo litigato, forse
ero cinica e strafottente, ma non cattiva.
-Nessun problema, posso farmi venire
a prendere da una mia amica- mi rispose prontamente, cacciando il
telefonino
fuori dalla tasca.
-Bugiarda del cavolo, lo sai meglio
di me che nessuna delle tue amichette ti verrebbe a prendere qui in
questo
stupido paese, altrimenti non mi avresti aspettato.
La
mia risposta
evidentemente aveva colto nel segno, perché lei non
replicò nulla ma
si limitò a guardarmi corrucciata.
Mi
avvicinai
all’auto, in procinto di schiacciare il pulsante e far aprire
le portiere,
quando notai un’altra busta accanto a quella delle sue scarpe.
Aggrottai
le sopracciglia
e feci un cenno col capo in quella direzione.
-Che roba è?
-Che te ne frega? Roba mia- mi
rispose, prendendola in mano.
Lessi
di
sfuggita sulla busta il nome di un noto negozio, immaginando che lei,
testarda,
avesse comprato lo stesso il suo giubbino.
Non
le sfuggì la
brutta occhiata che avevo fatto alla seconda busta, e per qualche
motivo
imbarazzata la tirò indietro fuori dal mio campo visivo.
-Ca**o guardi, ti ho detto che è
roba mia, pagata con i miei soldi, tranquilla!
Infastidita
delle sue insinuazioni, salii in macchina e aspettando che lei facesse
altrettanto ribattei:
-Non avevo alcuna intenzione di fare
commenti sul modo in cui spendi i tuoi soldi, tanto per chiarire.
-Bene, in ogni caso se mai vorrò
scrivere un saggio dal titolo “i 100 modi perfetti per non
spendere il tuo
denaro” chiederò consiglio a te, la massima
esperta.
-Tante grazie per la considerazione.
-Prego, non c’è di che.
Entrambe
imbronciate ci sedemmo sui sedili anteriori, allacciammo le cinture e
tenemmo
lo sguardo dritto davanti a noi.
Lei
per i primi
dieci minuti stette in un silenzio offeso, ma non appena superata la
prima
galleria tornò a parlare.
-Sarebbe colpa mia poi...- borbottò,
e io sbuffai silenziosamente perché ero sicura che stesse
per intraprendere una
nuova polemica -... se a te importa più del tuo reddito
mensile che non di me?-
-Non è questo il punto.
-Ah no?
-No.
-E allora illuminami, genio.
-Senti- nuovamente sentii la rabbia
crescere veloce in me, e preferii avvertirla fin da subito - ti avviso
da
adesso: sto guidando, e se mi fai incavolare quando guido non lo so che
faccio,
okay?- Quando
m’arrabbiavo, come in quel
caso, gesticolavo senza accorgermene.
-Quindi
se devi
dirne una delle tue aspetta che arriviamo a casa, così
possiamo litigare per
bene senza il rischio di fare incidenti- conclusi.
La
mia ragazza
si ammutolì per un secondo, poi le sfuggì:
-A te quando guidi dovrebbero
controllare il tasso di rabbia, non di alcool.
Rinunciai
a
replicare, preferendo concentrarmi su qualche altro pensiero; in questa
maniera
riuscii ad ignorarla per buona parte del viaggio, quasi dimenticando
che
eravamo arrabbiate.
Accesi
la radio,
dirottando la frequenza su una trasmissione sportiva in modo da potermi
informare sul risultato della partita che avrei desiderato vedere.
Quando
alzai
leggermente il volume vidi la mia ragazza voltarsi verso di me, come
incuriosita del mio movimento.
Lo
speaker della
radio annunciò la sconfitta della mia squadra, decantando le
lodi
dell’avversaria e mostrando tutti i difetti
dell’altra. Ascoltai per circa
cinque minuti, poi infastidita di tutti quei commenti negativi spensi
l’aggeggio.
Lei
guardò la
mia mano premere il pulsante con stizza, poi incapace di trattenersi
ghignò in
maniera complice e disse:
-Questa è la terza volta su tre che
perdete.
Dovetti
violentare le mie labbra per impedire che si allargassero in un
sorriso, ma
riuscii ad ignorare il suo commento.
A
dir la verità,
un po’ mi dispiaceva averla messa da parte a quella maniera,
ma non me la
sentivo di fare io il primo passo e chiederle scusa.
Maledizione,
pensai dentro di me. Ecco, come sempre mi ero fatta corrompere e ora
stavo
anche pensando di chiederle scusa.
Ebbene,
mi
imposi di non fare il primo passo, ma di attendere che fosse lei a
scusarsi per
prima del suo comportamento.
Così
arrivammo
fino a casa, e lei si comportò come se nulla fosse accaduto
fra noi: preparò da
mangiare normalmente, non fece obiezioni quando mi misi sdraiata sul
divano per
vedere un film, non si lamentò come faceva sempre del
disordine nella mia parte
di camera. Svolgeva tutte le sue mansioni normalmente, solo non ci
parlavamo.
Evidentemente
anche lei aspettava che fossi io a fare il primo passo.
Qualche
ora più
tardi, mentre me ne stavo sdraiata fra le lenzuola al caldo a leggere
un libro,
si presentò sulla soglia della camera.
Ci
guardammo per
un lungo attimo, poi io tornai a leggere e lei raccolse le buste da
terra. Con
aria noncurante estrasse la scatola di scarpe nuove e
ripiegò la plastica, poi
salì sul letto facendo dondolare il materasso e mi
guardò con aria curiosa.
Era
incapace di
essere coerente anche quando litigava, difatti sospettavo che stesse
solo
cercando una scusa per parlarmi di nuovo.
Lei
si sdraiò a
pancia in giù reggendosi sui gomiti e mi domandò:
-Che leggi?
Più
che
compiaciuta della sua domanda posta con un tono tranquillo, sogghignai
e
risposi:
-“I 100 modi perfetti per lasciare
la tua ragazza”.
La
vidi storcere
il naso e accigliarsi, poi fece un gran sospiro e si voltò a
pancia in su.
Indossava
una leggera
camicia da notte, di cui non coglievo l’utilità in
un periodo dell’anno freddo
come novembre.
Lentamente,
fingendo di ignorarmi, alzò il tessuto sottile di cui era
vestita fino ad
oltrepassare il ventre e scoprire il piccolo piercing che si era fatta
quella
mattina.
Lo
sfiorò con un
dito, esaminandolo con aria critica.
-Forse è stata veramente una spesa
inutile- esordì ad un tratto – tanto
più che la moda delle pance di fuori è
passata e nessuno lo noterà-
-Direi-
Non
riuscii a
trattenere quel commento, ma non le concessi nemmeno uno sguardo,
continuando a
guardare il mio libro.
Sapevo
che lei
in quel momento si stava scervellando su come attirare la mia
attenzione, e per
questo ero ancora più decisa ad ignorare i suoi tentativi.
Per
farsi
perdonare stavolta avrebbe dovuto veramente fare uno sforzo in
più.
La
mia ragazza
fece un sospiro e si infilò sotto le coperte, guardandomi a
lungo; allora io
abbassai il libro per incontrare i suoi occhi e domandai:
-Sì, hai qualcosa da dirmi?
-No, nulla- mi rispose subito, quasi
forzata.
-Bene.
Tornai
a leggere
e potei sentirla sbuffare impercettibilmente, cosa che per poco non mi
provocò
delle risate poco gentili nei suoi confronti.
-Senti...- cominciò poi,
tormentandosi le mani.
-Dimmi tutto.
Adoravo
prenderla
in giro, e così feci.
-...er... i soldi...-
-Che soldi?
-I soldi del piercing. Te li ho
messi nel portafoglio.
-Ah, d’accordo.
Nuovamente
ripresi la mia lettura, e per la seconda volta dovetti trattenere la
risata che
minacciava di uscire dalle mie labbra.
Di
proposito
chiuse la lampada alla cui luce stavo leggendo e si voltò a
pancia in giù,
abbracciando il cuscino con le mani.
-Non dimentichi qualcosa?- le
domandai, posando il libro sul comodino e scivolando a mia volta fra le
lenzuola.
-Ti odio. Va’ al diavolo.
-Almeno lì non dovrò ascoltare i
tuoi capricci- risposi stancamente, facendo un sospiro e poggiando la
nuca
sulle mani.
L’unica
cosa
buona era che per quella sera ero riuscita a non cedere e restare
arrabbiata
con lei, prendendomi qualche piccola soddisfazione, ma non sapevo
quanto avrei
potuto durare.
La
mattina dopo,
quando schiusi leggermente le palpebre, la prima cosa che percepii
attraverso i
sensi fu la spalla destra indolenzita e il pigiama sudato.
Mi
voltai a
destra, per incontrare il calore tiepido di un corpo abbracciato al
mio; sulle
prime, ancora addormentata, non obiettai e anzi ricambiai il suo
abbraccio,
sfregandomi contro il suo collo.
Poi
però
ricordai di essere ancora arrabbiata e come se avessi preso la scossa
mi
staccai, sedendomi sul letto.
Lei,
infastidita
dal mio brusco movimento, sussultò e aprì gli
occhi, guardandomi confusa.
-Mhm...- gemette, spostandosi i
capelli che le cadevano davanti agli occhi – buongiorno
–
Oh
no, pensai
dentro di me, se credeva che fosse così facile ottenere il
mio perdono, che
bastasse un abbraccio affettuoso e un buongiorno, si sbagliava di
grosso.
Non
risposi al
suo saluto e testarda scesi dal letto, ignorandola.
Sentivo
su di me
il suo sguardo, sapevo che si stava tormentando per la mia
indifferenza, e ne
ero estremamente felice. Entrai nel bagno per farmi una doccia con
l’acqua
fredda, lasciando che questa mi svegliasse bruscamente.
Mentre
le
goccioline congelate scorrevano su tutto il mio corpo, mi domandai se
per caso
non fosse un po’ infantile continuare ad ignorare i suoi, pur
se deboli,
tentativi di rappacificamento.
Non
si poteva
dire che si fosse sforzata, però a modo suo
c’aveva provato.
Per
questo una
volta uscita dal box doccia, tutta tremante e bagnata fino al midollo,
avevo
l’intenzione di seppellire l’ascia di guerra.
Tornando
in
camera da letto la trovai ancora stesa, che si tormentava le mani con
aria
crucciata, e non appena avvertì la mia presenza
alzò lo sguardo.
-Hai fatto la doccia- disse solo,
atona.
-Sì.
Indossavo
solamente la biancheria intima e avevo i capelli bagnati,
perciò avevo premura
di trovare al più presto un asciugamano.
Notai,
poco
prima di voltarmi verso lo specchio e pettinarmi le ciocche, che il suo
sguardo
si era fatto stranamente vacuo.
Poi
sentii due
braccia che da dietro mi abbracciavano e un mento posarsi sulla mia
spalla,
indice che lei s’era degnata di fare il primo passo.
Non
disse nulla,
semplicemente mi guardò attraverso il riflesso e mi diede un
bacio sulla
guancia.
-Io non voglio che tu mi ripeta in
continuazione che sono bella- disse in un mormorio molto flebile.
-E allora cosa vuoi?- domandai,
smettendo di pettinarmi.
Lei
sembrò
pensarci su per un po’ di tempo, poi rispose:
-Da te, niente.
Non
potei fare a
meno di allargarmi in un sorriso entusiasta, udendo quelle parole;
pensai che
le avesse pronunciate apposta, poiché il giorno prima
l’avevo più volte
rimproverata di essere superficiale e approfittatrice.
-È solo che, insomma... lo so che
quello che mi dici sempre quando litighiamo lo dici perché
vuoi che corregga
tutti quei comportamenti che non ti piacciono. Però...
è difficile.
-Be’, nessuno ha mai detto che fosse
facile.
-Voglio dire che non posso fare a
meno di arrabbiarmi, quando mi dici quelle cose. Sai, non ci sono
abituata...
-Sì, lo so che infondo sei una
deficiente ingenua e...- lei mi guardò corrucciata,
sfidandomi a continuare la
sfilza di aggettivi.
-Ingenua e vanitosa- mi limitai a dire,
facendole un bel sorriso.
Non
le piaceva
affatto che la mettessi di fronte ai suoi difetti, poiché di
tutte le persone
che conosceva io ero l’unica a rimproverarla e ad arrabbiarmi
per questo.
-Sono stufa di litigare ogni singola
volta che usciamo a fare spese- concluse lei, sbadigliando.
-La soluzione è semplice- feci io,
terminando di sfregarmi i capelli con l’asciugamano.
-Non provare a dire ‘non usciamo
più’ perché t’arriva un pugno
dritto in faccia- minacciò con un sorriso.
Purtroppo
era
proprio quello che avevo in mente di dire, ma per non suscitare la sua
ira mi limitai
a scrollare le spalle.
-Si potrebbe fare un compromesso-
proposi, mettendo su una faccia pensosa.
-Cioè?
-Be’, la prossima volta che usciamo
io prometto di non arrabbiarmi più e di farti comprare tutto
quello che ti
pare.
-Bene, perfetto!
Lei
batté le
mani e sciolse l’abbraccio che ci teneva legate, per poi
ridere quando le
rivolsi un’occhiata scettica. Credeva mica che i compromessi
si facessero
singolarmente?
-Okay...- si mise un dito sotto il
mento, fingendo di pensarci su – io... mi
impegnerò a...-
-A fare cosa?
Io
adoravo,
assieme alle sue maglie a camiciola, anche le camicie da notte corte
che amava
indossare per puro vezzo. Erano più di otto ore che non ci
scambiavamo una
minima carezza e non ci davamo il più piccolo bacio, e non
avevo intenzione di
restare un altro po’ di tempo senza prendermi ciò
che di diritto mi
apparteneva.
Per
questo,
mentre lei rideva e non opponeva resistenza, la presi per i fianchi e
la stesi
di forza sul materasso.
-A fare cosa?- ripetei, mentre cercavo
freneticamente di imprimerle più baci possibili alla base
del collo, riuscendo
solamente a farla ridere per il solletico.
-Io mi impegnerò ad essere meno me
stessa- disse infine, lasciando che infilassi le mani sotto la camicia
da
notte.
Il
siparietto
stava per concludersi nel modo più ovvio possibile, con una
bella
rappacificazione, quando lei di scatto si mise a sedere, facendomi
sbattere a
terra.
-Oh, ho dimenticato di dirti una
cosa!
Avevo
male al
labbro poiché aveva deciso di alzarsi proprio mentre avevo
cacciato la testa
sotto la sua veste, e in questa maniera avevo sbattuto la bocca contro
il suo
ginocchio.
-Mmm...- trattenni un’imprecazione
ma le rivolsi un’occhiataccia, massaggiandomi la parte
colpita.
Lei
mi tirò a
sedere sul letto, si piazzò sopra di me e disse con un
sorriso:
-Ho fatto una cosa per cui
sicuramente ti arrabbierai.
-E sarebbe?
La
mia ragazza
rise divertita e poi mi indicò col capo la busta che la sera
precedente avevo
adocchiato con sospetto. Aggrottai le sopracciglia senza capire,
così lei la
afferrò e la trascinò sul letto.
-Apri- mi disse.
Sospettosa
e con
molta cautela infilai una mano al suo interno, per poi cavarne fuori
una gonna
nera, corta e dalla cintura brillante.
Rimasi
per un
po’ di tempo senza dire nulla, semplicemente osservandola
indecisa fra il
ridere e il piangere.
Non
potevo
credere che avesse comprato per davvero quella gonna che avevo
misurato, non mi
sembrava una cosa da lei. Lei non era il tipo da regali post-litigata,
non era
suo solito farsi perdonare con un gesto carino nei miei confronti.
Solitamente,
i
suoi massimi picchi di gentilezza erano rappresentati da frasi melense
che mi
rifilava quando era sicura che nessuno di sua conoscenza potesse
ascoltarla.
-Si può sapere cosa hai fatto?- le
domandai, non poco scioccata.
-Ho pensato di aver fatto male, ieri
sera, a dirti che stava meglio a me questa- la prese e la ripose nella
busta.
-Era questa la busta che non volevi
farmi vedere ieri?- chiesi sogghignando compiaciuta.
Lei
non rispose,
ma arrossì e fece finta di non aver sentito.
-Ora che te l’ho comprata mettitela,
per favore! Non frega a nessuno della cicatrice che hai sulla gamba!
-Sì invece.
-A me non importa, tu mi piaci lo
stesso.
Caspita,
quella
mattina dovevano averle somministrato una dose di gentilezza piuttosto
potente,
pensai dentro di me, comunque soddisfatta per quelle parole.
-Cos’è, hai bisogno di soldi?-
domandai, alzando un sopracciglio.
-No! Perché?
-Perché mi stai facendo la corte come
non hai mai fatto e per di più sei tutta gentile e
adorabile... insomma, cosa
c’è sotto?
Lei
incrociò le
braccia, guardandomi dritta negli occhi.
-Ma perché pensi sempre che debba
avere un secondo fine?
-L’esperienza insegna, lo sai.
Invece
di
arrabbiarsi, come mi sarei aspettata, mi sorrise complice e
mormorò piano:
-Quanti sabati sono che litighiamo?
-Un bel po’, direi. E altrettante
sono le mattine in cui facciamo pace.
-Mi piace fare pace.
-Oh, anche a me.
Restammo
per un
po’ di tempo a guardarci negli occhi con
un’espressione che io avrei definito
decisamente da idioti, finché lei non alzò lo
sguardo su un punto imprecisato
del soffitto e buttò lì con fare noncurante:
-Mhm, mi piacerebbe tanto che tu
adesso mi preparassi un bel caffè, con un cornetto caldo
appena uscito dal
forno, e dentro la marmellata. O
forse sarebbe meglio della
cioccolata, di prima mattina?
-Per me, non
c’è problema...
-Certo
però la crema non mi
dispiacerebbe nemmeno-
-...ma
non abbiamo ancora fatto
pace.
Lei
poggiò
l’indice contro il mento con aria pensosa, poi leggermente
confusa domandò:
-Non abbiamo fatto pace? Mi pareva
di sì.
-Non esattamente.
Mise
su una
faccia stupita e aggrottò le sopracciglia.
-E cos’altro devo fare per farmi
perdonare?
-Eh, non ti viene in mente nulla?
-No...- fece una faccia quasi
dispiaciuta, come delusa della mia mancata indulgenza.
Alzai
un
sopracciglio e feci un sorriso divertito, sospirando e chiedendomi cosa
mai
avesse in quella testolina che la distogliesse da quel pensiero.
Eppure
non era
certo restia a quel tipo di perdono che intendevo, anzi ne era
piuttosto entusiasta,
di solito.
La
guardai negli
occhi con espressione invitante per qualche secondo, poi lei
arrossì e spalancò
gli occhi, capendo ciò che volevo comunicarle.
-Oh...- disse ad un tratto,
arrossendo – ho capito –
Si
lasciò
docilmente baciare e tirare sul letto, lasciando che almeno
conquistassi la mia
rivincita per la disastrosa serata precedente.
In
seguito tuttavia fui costretta a prepararle la colazione con tanto di
cornetto alla
marmellata, al cioccolato e alla crema.
E
così, eravamo
a posto anche per quella settimana.
Almeno,
fino al
prossimo sabato.
Note dell'autrice:
L'ho
postato secoli fa il capitolo precedente, e notandolo mi sono imposta
di trovare il tempo di pubblicare la fine, così da non avere
più il
pensiero dell'aggiornamento. Be', che dire, non avevo intenzione di
scrivere un romanzo, questo è un racconto e sono felice che
l'abbiate trovato
divertente.
Mille grazie a chi ha messo la storia nei preferiti, a
chi l'ha seguita, a chi avrà la bontà di leggerla
anche se è passato mezzo
mese dall'ultimo aggiornamento, e a chi l'ha recensita: Emmaps3 ( forse
hai una diversa concezione dello shopping, ma in ogni caso
c'è sempre
l'altra faccia della medaglia, no? E per me è una gran
seccatura... Oh
sì che hanno fatto pace), Mizar19 ( nonostante
B sia la persona più
superficiale del mondo, non credo che A sia esente da colpe.
Conoscendole bene, direi che B è vanitosa, A
è irascibile, tuttavia si
prendono), hacky87
(giusto! Anche io ho sempre pensato che lo shopping
faccia male. Come puoi leggere hanno fatto pace), the angelus (mi fa
piacere che ti abbia divertito, per quanto riguarda i caratteri. si
può arrivare ad un compromesso.... grazie per la recensione,
mi ha fatto molto piacere).
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