Altra
one-shot sui miei personaggi preferiti del “Diario del
Vampiro”, Bonnie e Damon.
Non
saprei dove collocare questa fanfiction all’interno
della storia, anche perché ci sono riferimenti sia ai libri
che alla serie,
quindi se ne sta lì nella sua dimensione atemporale.
Vorrei
precisare che Elena non è diventata vampiro, quindi
non è mai morta, ergo può girare tranquillamente
tra le vie di Fell’s Church
con il suo amato Stefan.
Non
credo di avere altro da dirvi se non buona lettura e se
vi va lasciatemi un parere =)
Il titolo è un
verso della canzone “Alone” degli Heart.
It chills me to the bone
“You're so naive yet so
how could this been done
by such a smiling sweetheart.
Oh and your sweet and pretty face
in such an ugly world”
(Naive-
The Kooks)
Era
una mattina fredda.
Anche
se probabilmente la maggior parte dei cittadini di
Fell’s Church non l’avrebbe definita
così: vedere il sole dopo tanti giorni di
pioggia e vento era sembrato quasi un miracolo a chi, quel mattino, non
era
stato costretto a portarsi dietro l’ingombrante ombrello.
Quando
Bonnie aveva intravisto il cielo limpido attraverso
la fessura tra le tende, aveva sorriso ingenua dando mentalmente addio
al suo
cappotto chiuso nell’armadio, che avrebbe aspettato invano di
essere indossato.
Il
buon umore per il bel tempo era durato, aimè, non
più di
qualche secondo; giusto il tempo di scostare le coperte e accorgersi di
essere
tanto indolenzita da non riuscire nemmeno a stiracchiarsi.
E
poi ecco salirle dai piedi quella sensazione di gelo
polare che la scosse facendola rannicchiare in cerca del calore appena
perduto.
Valutò,
quindi, che non doveva essere una giornata così
calda come aveva pensato pochi minuti prima. Dopo tutto quello era
stato un
marzo tutt’altro che primaverile, segnato da bufere di neve
improvvise e da
un’aria sferzante.
Eppure,
tirate le tende, quel pallido sole delle otto le
pareva proprio riscaldare con intensità tutto ciò
che i suoi raggi
raggiungevano e, a giudicare dalle persone che camminavano sulla strada
coperte
solo da uno spolverino senza sciarpa né guanti, quella
mattina non doveva
essere poi così fredda come avvertiva lei; di certo
più calda delle ultime che
si erano susseguite in quel mese.
Ma
a Bonnie sembrava ugualmente fredda; fredda
da far venire i brividi.
“Bonnie,
va tutto bene?”.
La
ragazza tirò la testa fuori dall’armadietto per
trovarsi
di fronte la sua migliore amica, che la fissava accigliata con i libri
in mano.
“Perché
questa domanda?”.
“Fa
caldo oggi e tu sei vestita come a gennaio”.
Bonnie
si diede un’occhiata veloce al suo riflesso nel vetro
della porta: aveva infine messo il famoso cappotto, gli stivali di
pelle, un
maglione a collo alto grigio e una sciarpa di lana.
“Non
fa caldo Elena: non senti che aria gelida?”.
Elena
si accigliò e si avvicinò all’amica
posandole una mano
sulla fronte. La tolse immediatamente “Bonnie, tu hai la
febbre” sentenziò.
“Cosa?
No! Sto bene … sono solo … sai che sono
freddolosa”.
“Questa
è febbre”.
“Sto
bene, davvero. Non ho dormito molto … dev’essere
quello” chiuse l’anta e precedette
l’amica in classe.
Elena
le fissò la schiena storcendo il naso. Quella era
sicuramente febbre: Bonnie era più bianca del solito, i suoi
occhi erano lucidi
e stanchi ed era vestita come un eschimese per via di un freddo che
sentiva
solo lei, ma come al solito doveva fare le stoica, per non far
preoccupare gli
altri.
Bonnie
prese posto al solito banco, vicino alla finestra. Le
piaceva l’idea di poter guardare fuori ed estraniarsi dalla
lezione ogni volta
che voleva. Soprattutto quando l’insegnante era Miss
Dalloway, o anche detta
“la strega cattiva dell’ovest”.
Non
era vecchia, doveva avere cinquant’anni o giù di
lì, ma
ne dimostrava almeno dieci in più. Capelli biondi, striati
di grigio, solitamente
legati in una coda bassa, occhi di ghiaccio, secca come un chiodo e
appuntita
come il suo naso. Indossava gonne a campana che le arrivavano fin sotto
il
ginocchio e improbabili scarpe a punto con un orrendo mezzo tacco,
largo.
Una
vera strega delle favole, tipo quella di Biancaneve o
come la Befana. No, la Befana era senza dubbio più gentile e
amabile.
Miss
Dalloway odiava Bonnie e non perdeva occasione per
metterla in imbarazzo di fronte a tutti i suoi compagni.
Entrò
in classe puntuale come sempre, tenendo una cartella
in stoffa bordeaux. La posò pesantemente sulla cattedra e
sondò la classe.
“Oggi
interrogo” annunciò iniziando a tirare fuori dalla
cartella il registro e le sue adorate penne.
Tutti,
compresa Bonnie, non poterono che sbottare scocciati
in una serie di lamentele. Era l’unica insegnante che se ne
usciva con le
interrogazione a sorpresa.
Bonnie
evitò di incrociare gli occhi della professoressa e
pregò con tutta se stessa che non la scegliesse. Il
pomeriggio prima non aveva
potuto studiare perché era impegnata a tenere i bambini
dell’asilo per conto di
sua sorella Mary che, quando non era di turno come infermiera, si
occupava del
doposcuola.
“Bonnie
McCullough” disse Miss Dalloway “Perché
non ci
mostri cosa la tua grande mente è riuscita ad incamerare in
queste due
settimane?”.
Ti
pareva!
La
ragazza si voltò di scatto fino a incrociare gli occhi
dell’insegnante, freddi da far venire i brividi e quella che
era stata
pronunciata come una battuta, appariva più come una condanna
a morte. Perché
sapeva già che Miss Dalloway non le avrebbe mai dato la
sufficienza e i suoi
genitori, ‘sta volta, l’avrebbero ammazzata per
davvero.
Si
alzò dal suo banco e raggiunse la lavagna; attese che
Miss Dalloway finisse di sfogliare i suoi appunti di matematica, in
cerca di
una domanda.
“Partiamo
da qualcosa di semplice: definiscimi un integrale
indefinito * ”.
Bonnie
la guardò come se, di botto, i capelli
dell’insegnate
fossero diventati verdi e avessero preso a danzare come serpenti.
Si
girò verso la lavagna, con il gessetto in mano e rimase
così, semplicemente in fissa. Che
diamine
è un integrale indefinito?
L’unica
cosa di intergale che le veniva in mente era la
fetta biscottata con burro e miele che aveva preso per colazione.
Quella stessa
che ora sentiva lì, ferma nello stomaco. Si riscosse un poco
quando la sua
mente cominciò ad associare dei ‘segni’
alle parole “integrale indefinito”.
Sì,
era una funzione o qualcosa di simile, preceduta da una
specie di “s” maiuscola e allungata; il tutto
terminava con una “x”, o forse
era una “c”?
Sì,
grazie tante e ora come glielo spiego con parole sensate?
“Vedo,
signorina McCullough, che a quanto pare il suo
cervello non è in grado di formulare una semplice
definizione che abbiamo
enunciato solo due settimane fa” concluse per lei Miss
Dalloway, con aria
estremamente soddisfatta, mentre appuntava qualcosa sulla sua agenda
“Passiamo
a un altro argomento, anzi proviamo con un esercizio: se ti dico
applica il
Teorema di Lagrange, sai di che parlo *?”.
Teorema
di che??? Garage???
Posò
il gesso, ormai abbattuta. Non era mai stata un genio
in matematica ed, inoltre, non apriva
libro da un bel pezzo. Il pomeriggio prima era stato uno dei tanti, in
cui non
aveva studiato. Ma con tutti quei casini soprannaturali
che le erano capitati tra capo e collo, proprio non era riuscita a
concentrarsi
sulla scuola.
“Sai,
McCullough, ho sempre saputo che la tua non è una
grande mente; da quando sei entrata nella mia classe, non hai fatto
altro che
collezionare insuccessi su insuccessi, ma speravo che ci mettessi un
po’ più
d’impegno” la gelò scrivendo una grossa
e rossa “F” sul registro “Evidentemente
non t’interessa molto imparare qualcosa e mi chiedo
perché tu sia ancora qui.
Dovresti metterti a lavorare, toglieresti ai tuoi genitori un bel
po’ di
preoccupazione per il tuo futuro e almeno saresti utile a qualcosa. Ho
sentito
che la drogheria, in fondo alla strada, ha bisogno di un aiuto per
sistemare
gli scatoloni degli alimentari, potresti provare
lì”.
Bonnie,
che era rimasta zitta per tutto il discorso, strinse
i pugni lungo i fianchi e divenne paonazza, mentre la rabbia e
l’umiliazione ribollivano
dentro di lei.
Come
si permetteva quella … quella stronza
di trattarla come una pezza da piedi? Chi era lei, se non
una fallita professoressa di matematica che viveva sola con i suoi
gatti?
Avrebbe tanto voluto che cadesse e si frantumasse quel naso,
già orrendo di
suo. Avrebbe voluto che Matt le tirasse il pallone da football nello
stomaco,o
forse era meglio Stefan, così avrebbe fatto più
male. O ancora meglio Damon!
Sarebbe
stato divertente vederla gonfiarsi, come zia Marge
in Harry Potter, e fluttuare per tutta la città, mentre le
autorità cercavano
di tirarla giù.
Era
talmente immersa nei suoi pensieri che non si accorse
che qualcuno, nell’aula, urlò. Dopo pochi secondi,
si era scatenato il panico.
“Qualcuno
chiami il preside!”.
“Qualcuno
chiami l’infermiera!”.
“Qualcuno
chiami un’ambulanza!”.
Finché
Elena non si fece strada tra i suoi compagni,
scavalcando alcune sedie cadute a terra e la prese per le spalle
scuotendola.
Bonnie
sbatté un paio di volte le palpebre come se si fosse
appena svegliata da un sogno e avvertì che il Potere si
accendeva sempre più in
lei, ma fino a quel momento non si era affatto accorta di averlo
richiamato a
sé. Continuava a crescere, più forte di quanto
l’avesse mai sentito in vita
sua.
“Bonnie,
smettila subito!” l’ordine perentorio di Elena la
disorientò.
“Smettere
di fare cosa?”.
“Miss
Dalloway … guardala!”.
Le
iridi castane della strega saettarono sull’insegnate e
ciò che vide la lasciò a bocca aperta: si era
gonfiata davvero! Non quanto la
zia di Harry Potter, ma abbastanza da far saltare via le scarpe e
rompere la
gonna sul punto vita. Non
smetteva
d’ingrossarsi, era come se qualcuno la stesse riempiendo di
aria, come un
materassino da spiaggia.
“Lo
stai facendo tu, vero?” chiese Elena allarmata.
Bonnie
scosse la testa incredula “Giuro … non lo sto
facendo
apposta”.
“Usciamo
da qui” Elena la tirò per un braccio allungando la
testa in cerca di Meredith.
La
bruna le stava già aspettando fuori, poggiata contro il
muro “E’ passato di qui Alaric, ha detto che sta
arrivando l’ambulanza”. Bonnie
annuì.
Passarono
circa mezz’ora lì ferme. I paramedici portarono
via Miss Dalloway in barella; sembrava avesse smesso di gonfiarsi ma
era
ugualmente gigantesca.
Gli
altri studenti, dopo i primi attimi di apprensione, si
dispersero per la scuola, contenti di avere un’ora libera.
“Oddio,
l’ho uccisa, l’ho uccisa” continuava a
ripetere
Bonnie.
“Beh,
anche se fosse, avresti fatto un favore al mondo”
constatò Meredith.
Elena
la folgorò, poi si rivolse a Bonnie tentando di
calmarla “Starà bene, Bonnie. Vedrai che la
faranno ritorna la scopa secca che
era prima”.
Questo
strappò un sorrisino a Bonnie, ma poco dopo
riprecipitò nello sconforto “I- io non so neanche
come ho fatto! E … e i suoi gatti
come faranno senza di lei? Se muore, io … io … o
mio Dio l’ho uccisa!”.
“Non
l’hai uccisa, Bonnie” intervenne una voce alle sue
spalle “Ho parlato ora con il preside e mi ha detto che le
hanno fatto
un’iniezione di cortisone, credevano fosse una reazione
allergica. In ogni caso
ora è a posto”.
“Ne
sei sicuro, Alaric?” chiese
di nuovo in conferma Bonnie.
Lui
annuì convinto.
“Premettendo
che è stato davvero uno spasso” disse Meredith
“Che ti è saltato in mente di esporti
così davanti a tutti?”.
“Non
è stata colpa mia” si difese Bonnie
“E’ successo e
basta, io non volevo, io non l’ho fatto di proposito. Ho solo
sentito un’ondata
di Potere e un secondo dopo lei era diventata una palla”.
“Sei
malata, Bonnie?” chiese Alaric inaspettatamente.
“Sì,
ha la febbre” rispose per lei Elena.
“Non
ho la febbre”.
Alaric
posò una mano sulla sua fronte “Sì, ce
l’hai”
confermò “Beh, ora si spiega tutto”
“Che
intendi dire?” domandò Meredith.
“Bonnie
è una strega piuttosto inesperta e non sa ancora
come controllare i suoi Poteri. Ora è malata, il che
significa che ha una
percezione più amplificata delle cose, del reale: i rumori
le danno più
fastidio, i sapori sono distorti, gli odori fanno schifo”
spiegò gesticolando
“Così anche le emozioni. Le senti molto
più accentuate; rabbia, umiliazione,
felicità, paura sono fuori controllo e scatenano i tuoi
Poteri”.
Bonnie
si portò una mano sulla bocca, sconvolta “Quindi
sono
una mina vagante?!”.
“Ehi,
ehi! Niente panico” la fermò Elena scongiurando
una
scenata isterica “Ora andiamo in infermeria, ti facciamo dare
un permesso, tu
te ne vai a casa e non ne esci finché non sei
guarita”.
“Non
posso” replicò Bonnie “Oggi devo aiutare
ancora Mary
con i bambini dell’asilo”.
“Potresti
farti del male e farne agli altri”.
“Passa
da Damon” saltò su all’improvviso
Meredith.
La
facce degli altri tre si fecero un unico punto
interrogativo.
“Così
magari la farà arrabbiare e la nostra streghetta ci
libererà del vampiro assassino e megalomane”
chiarì con un grosso sorriso.
“Io
non farò del male a nessuno” disse Bonnie convinta
“Credo di poter tenere a bada questa cosa. Devo solo andare
all’asilo e poi mi
chiuderò in casa. Cercherò di restare calma e
tutto … tutto andrà bene”.
Dopo
che ebbe persuaso anche gli altri che quello era il
modo migliore di agire, si allontanò per il corridoio,
sfregandosi le braccia
con le mani.
Aveva
ancora quei maledetti brividi che la stavano
tormentando da tutta la mattina. Non vedeva l’ora di guarire,
così se ne
sarebbe liberata definitivamente.
Bonnie
non avrebbe mai immaginato che quei brividi, una
volta passata la febbre, l’avrebbero torturata ancora per
molto tempo.
Quando
uscì dall’asilo erano quasi le sette e faceva
ancora
più freddo. Certo essendo sera, era più che
normale che l’aria si fosse
raffreddata, ma Bonnie era ormai certa che la febbre le fosse salita di
parecchio.
Si
strinse, perciò, nel cappotto e si tirò la
sciarpa fin
sopra il naso, sfregandosi le mani in tasca in cerca di calore.
Camminava
in fretta, un po’ perché non vedeva
l’ora di
attaccarsi al termosifone di casa sua, un po’
perché non le piaceva stare per
strada, da sola, quando fuori si faceva buio. Non le era mai piaciuto
il buio e
negli ultimi tempi ancora meno.
Vedere
la porta di casa sua fu un sollievo. Cominciò a
frugare nella borsa in cerca delle chiavi. Portafoglio, cellulare,
fazzoletti …
e quello cos’era? Ah sì, l’iPod, ma
delle chiavi neanche l’ombra. Aprì di
più
la borsa e ci guardò dentro, la scosse, la
rifrugò ma non vi trovò nulla che
assomigliasse alle sue chiavi.
Ed
ecco che un dubbio atroce le attanagliò la mente: aveva
preso le chiavi di casa quella mattina?
Poi
un flash: il cellulare che squillava, Meredith che
dall’altra parte del telefono le urlava di muoversi, lei che
si fiondava fuori
per il ritardo salutando frettolosamente i suoi e … e le
chiavi sul tavolino
all’ingresso.
Che
razza di stupida!
Le
luci erano spente, il che significava che non c’era
nessuno che le potesse aprire.
Era
lì fuori, da sola, al buio e al freddo.
Gran
bel
lavoro, McCullough!
Tanto
era presa ad insultarsi che non aveva fatto caso a una
leggera nebbiolina che stava strisciando verso i suoi piedi.
Picchiò
un pugno contro la porta e ottenne solo di far
cadere il “6” di ferro, appeso per miracolo, del
“68” che stava a
contrassegnare il numero civico.
Si
piegò a raccoglierlo e lì si accorse della nebbia
che si
era fatta densa e impenetrabile.
Si
alzò di scatto e la sua schiena sbatté contro
qualcosa di
duro e compatto. Lanciò un urletto, voltandosi e brandendo
il sei di metallo
come arma.
Solo
quando incontrò quegli occhi, a metà tra il
divertito e
il sorpreso,si calmò un attimo; ma il suo cuore
ricominciò presto a battere a
mille non appena si rese conto che chi le stava di fronte non era
propriamente
un amico.
“Un
numero di latta?” disse lui alzando contemporaneamente
un sopracciglio e un angolo della bocca “Andiamo,Bonnie, puoi
fare di meglio”.
“D-damon” la sua voce
non avrebbe dovuto suonare così tremolante, si ricompose in
fretta “Ti sembra
il modo di comparire alle spalle della gente! Temevo fosse qualcuno con
cattive
intenzioni”.
L’altro
sopracciglio raggiunse il gemello, formando
un’arcata davvero eloquente. Quella semplice espressione le
fece notare quanto
ingenua fosse stata la sua affermazione: lui
di solito non aveva buone intenzioni.
“Problemi
con la porta?”.
“Non
ho le chiavi” spiegò lei brevemente.
“Hai
provato con l’ Alohomora**?”
scherzò lui.
Bonnie
lo incenerì con lo sguardo “Sono malata Damon, non
ho il controllo dei miei
Poteri e potrei ridurti in un mucchietto di cenere senza neanche
accorgermene,
quindi non mi farei irritare se fossi in te”.
“Che
cattiva!” commentò Damon “Non so
perché non sei sempre così aggressiva,
renderesti tutto più eccitante”
sussurrò guardandola maliziosamente. Avvertì
che il cuore della ragazza batteva sempre più veloce.
Sorrise soddisfatto.
“Comunque
lo so, oggi ti ho vista in azione: carina l’idea di gonfiare
l’insegnante, ma
poco originale. Mi pare che qualcuno l’abbia già
fatto prima di te … ma forse
quella era la zia***” si finse pensieroso attendendo una
reazione da parte
della Streghetta.
“Damon,
c’è una ragione precisa perché tu sei
qui?” chiese rassegnata.
“A
dire il vero sì e non vedevo l’ora che me lo
chiedessi”.
Da
un Damon Salvatore troppo contento e troppo cortese non c’era
d’aspettarsi
nulla di buono.
“Non
ho tempo per i tuoi giochetti, Damon. Non sto bene, sto morendo dal
freddo e
l’unica cosa che voglio è buttarmi sul letto e
dormire”.
“Mi
piace l’idea di te buttata su un letto” le
confidò lui “Ma non a
dormire” aggiunse piegandosi su di lei e
spostandole una
ciocca di capelli. Dopodiché
l’abbracciò.
Il
freddo che poco prima la tormentava, venne sostituito da un caldo
soffocante
che la scosse fino alle ossa “C- che stai facendo?”.
“Hai
detto di avere freddo. Ti sto scaldando” lo disse come se
fosse la cosa più
ovvia e normale del mondo. Bonnie pensò che si sarebbe
volentieri sciolta tra
le sue braccia.
Brividi,
tantissimi brividi le assalirono la schiena quando lui posò
le labbra sulla sua
fronte. Brividi di caldo. Ma esistevano i brividi di caldo?
“Scotti
come brace, Streghetta” constatò allontanandosi,
permettendo così alla ragazza
di riprendere a respirare regolarmente.
“T-
te l’ho detto: sono malata” ribadì
Bonnie maledicendosi perché le sue guance
stavano diventando del colore dei suoi capelli.
“Credo
che i tuoi genitori staranno fuori ancora per molto; li ho sentiti
parlare di
una cena importante”.
La
cena dai Lockwood! Se n’era completamente scordata. E ora
come avrebbe fatto?
Non sarebbero tornati prima di mezzanotte e lei aveva di nuovo freddo.
Si
sarebbe presa una polmonite. Sì, si sarebbe ammalata
gravemente e sarebbe
morta!
“Non
morirai, Bonnie” la tranquillizzò Damon che
trovava piuttosto assillante quel
suo modo di agitarsi sempre per niente “Sono abbastanza bravo
a scassinare le
porte o a buttarle giù.
Ci penso io a
farti entrare”.
Bonnie
parve esitare “E … questo favore ha un prezzo,
scommetto”.
Damon
schioccò le dita “Questo ci riporta giusto al
discorso di prima! Posso
spiegarti senza che ti venga un attacco di panico?”.
Bonnie
abbassò gli occhi in imbarazzo. Detestava fare la figura
della bambina da
proteggere, specialmente davanti a Damon.
Il
vampiro avvertì
il suo disagio e si pentì subito di essere stato
così poco delicato. Bonnie era
l’unica che riuscisse a farlo sentire in colpa ed intenerirlo
senza neanche
parlare. Si sentiva terribilmente vulnerabile di fronte a lei ed era
una cosa
che odiava.
“Credo
di
aver fatto arrabbiare alcuni vampiri della Georgia”
confessò.
“Credi?”.
“No,
ne
sono certo” si corresse “Almeno questa è
l’impressione che mi hanno dato un’ora
fa, quando mi hanno detto che avrebbero creato un po’ di
scompiglio per farmela
pagare”.
Bonnie
sgranò gli occhi e si appoggiò al muro di casa.
Ricapitolando: era chiusa fuori
da casa, era malata, aveva freddo e Damon le aveva appena chiesto, tra
le
righe, di aiutarlo con quella banda di vampiri in cerca di vendetta.
‘Sta
volta sei nella cacca.
“Lo
sanno
tutti che sei un vampiro potente, perché non li affronti da
solo?”.
“Certo
potrei anche farlo, ma ammetto che mi farebbe comodo avere dalla mia
parte una
strega con i Poteri fuori controllo, che odia i vampiri”.
“E
come li
troviamo?”.
“Ecco
…”
cominciò indugiando un po’ “Tu saresti
un’esca perfetta”.
Rettifico:
sei proprio nella merda.
“Stai
ferma così … dovrebbe andare bene”.
Vorrei
tanto sapere come diamine ha fatto a convincermi.
“Perché
sono così fico e così sexy****” rispose
Damon ripescando
quella frase dalla sua memoria. Ma chissà chi
gliel’aveva detta.
Strinse
di più la corda attorno alla caviglia della ragazza
e poi la tirò per assicurarsi l’altra
estremità fosse ben legata al tronco
accanto.
“Sai
Damon, non credo sia un piano geniale” azzardò
Bonnie
“Una ragazza sola e inerme legata ad un albero, senza vie di
fuga … se fossi in
quei vampiri penserei subito ad una trappola”.
“Ma
per fortuna quei vampiri non sono scaltri come te,
Streghetta” disse Damon piegando un angolo della bocca
all’insù “Comunque ho
intenzione di richiamarli con il mio Potere,
l’istigherò un po’, saranno qui
tra cinque minuti al massimo” affermò guardando
l’orologio.
“Se
potevi attirali tu perché mi hai trascinato qui?”
chiese
Bonnie con una nota di agitazione. La situazione iniziava a farsi
strana e
inquietante.
“Te
l’ho detto sei l’esca” spiegò
Damon continuando a
scrutare tra gli alberi mentre mandava ondate di Potere “Solo
che io non voglio
ucciderli, mi servi per ottenere un’altra cosa”.
Bonnie
sentì nuovamente i brividi. Ora era certa che fossero
di paura. Le gambe tremolarono e fece ricorso alle sue ultime forze per
non
svenire.
“Cominci
a spaventarmi, che stai dicendo …?”.
Non
finì la frase. Non ne ebbe il tempo e in ogni caso non
avrebbe saputo bene come continuare. Damon era abilissimo ad eludere le
domande: lui non mentiva, lui ometteva particolari, lui distorceva gli
eventi,
lui giocava con le parole. Bonnie sapeva che non avrebbe ottenuto
nessuna
risposta; ad ogni modo le era bastato lo sguardo del vampiro per capire
che le
intenzioni di Damon erano ben diverse da quello che le aveva detto
prima di
portarla lì.
Come
dicevo, comunque non ebbe il tempo di terminare la
domanda, perché dietro una fitta fila di alberi
incominciarono ad intravedersi
delle figure.
Damon
sorrise beffardo e piegò la testa in segno di saluto e
Bonnie ebbe la certezza che le cose sarebbero degenerate da
lì a breve.
Perché
Damon avrebbe dovuto salutare qualcuno che stava per
uccidere?
I
vampiri erano cinque: tre uomini e due donne. Si erano
disposti a semicerchio e spostavano lo sguardo da lei a Damon.
Uno
di loro, il più basso a sinistra, a fianco della vampira
tatuata, non le staccava gli occhi di dosso. La fissava con espressione
affamata e impaziente, come se fosse una deliziosa bistecca; poi
considerò che
un corpo pieno di vene pulsanti di sangue e ancora più caldo
per via della
febbre, fosse per un vampiro un piatto ben più succulento di
un qualsiasi pezzo
di carne cotta.
E
i brividi di terrore aumentarono: che il piano di Damon
fosse quello di darla in pasto a quelle bestie fameliche?
Ma
perché poi? Lei non gli aveva fatto niente, si era sempre
ben premurata di stargli lontano e dargli il meno fastidio possibile.
È
Damon!
Cosa ti aspettavi? Che non ti avrebbe usata per i suoi sporchi intenti
se gli
fossi risultata utile?
Vide
gli occhi del ragazzo lampeggiare e posarsi su di lei
confusi. Probabilmente si era stupito di come lei, sciocca ragazzina
credulona,
avesse capito così in fretta il suo piano.
Che
cretina ad andare lì! La prossima volta si sarebbe fatta
furba.
Doppiamente
sciocca: non ci sarebbe stata una prossima
volta.
“Deliziosa la tua
città Salvatore” commentò uno dei
vampiri, quasi certamente il capo, rompendo
il silenzioso con quel disgustoso doppio senso.
“Perché
credi che sia diventata la mia
città?” rispose Damon in un tentativo
riuscitissimo di
marchiare il territorio facendo ben intendere che, se avessero
disturbato il
suo equilibrio, dei corpi sarebbero andati a fuoco.
“Hai
portato la strega?”.
Bonnie
sussultò quando si sentì tirata in causa. Allora
era
vero: Damon voleva consegnarla a quei vampiri che le avrebbero fatto
chissà
quali orrori.
Sapeva
che il maggiore dei due fratelli non assomigliava per
niente a Stefan: per lui la vita umana non contava nulla. Non gli
importava quanti
rimanevano feriti dalle sue azioni, purché lui stesse bene.
Chi se ne fregava
delle conseguenze.
Ma
vedersi sbattuto in faccia il fatto che la sua
di vita, quella della sua adorata
streghetta non valesse più di un
pugno di terra, fece male. Dovette far ricorso a tutta la sua
volontà per non
farsi travolgere dai singhiozzi. Gli occhi le divennero lo stesso
lucidi e
questo non sfuggì a Damon, che rimase impassibile a quella
richiesta silenziosa
di aiuto e si voltò per concludere la trattativa.
“Bryan
prendi la strega” ordinò il capo al vampiro
pazzoide
che ormai aveva la bava alla bocca all’idea che da
lì a poco avrebbe assaggiato
il sangue di Bonnie.
“Rinfodera
i canini, Bryan
” intimò Damon mentre pensava a quanto
fosse idiota e insulso quel nome
“Prima voglio il congegno”.
“E
chi mi dice che poi mi darai la strega?” insinuò
il capo.
“Se
non mi dai quel dannato aggeggio, puoi stare certo che
non avrai mai la mia
strega” quanto
era rilassante minacciare i vampiri troppo tracotanti.
Aveva
sentito dire che la superbia era un peccato capitale e
in quel momento non poteva trovarsi più d’accordo.
Chi si credevano di essere
per arrivare nella sua
città e
cominciare a dettar legge? Lui stabiliva le regole del gioco! Non loro!
L’altro
vampiro, seccato, infilò la mano nella tasca e ne
estrasse un affare d’argento, circolare e grosso quanto una
pallina da tennis.
Lo tirò a Damon.
“E
questo
coso trova davvero i lupi mannari*****?” chiese lui.
“Vuoi
provare tu stesso?” lo invitò l’altro
indicando la donna accanto a lui. Damon
aggrottò le sopracciglia e si avvicinò sospettoso.
Quando
fu a
pochi metri da lei, il congegno iniziò a tremolare sempre
più velocemente nella
sua mano. Il sorriso di Damon si fece più sfrontato
“L’avete
addestrata?”domandò intuendo al volo che quella
non era una vampira ma un lupo
mannaro. Un lupo mannaro piuttosto attraente.
“Solo
per
una dimostrazione pratica” rispose il capo “ Ora
Bryan, assaggia per me la
strega, dimmi se il suo sangue è davvero così
buono come si dice in giro”.
Bonnie,
che
aveva assistito impotente a quello scambio di battute, provò
un certo
disappunto nel percepire il pensiero di Damon. Lei da un momento
all’altro
sarebbe stata prosciugata della sua linfa vitale e lui si metteva a
fantasticare sulla lupa! Tutto quel cipiglio svanì in un
colpo quando udì le
ultime parole del vampiro-capo. Si
sentì
in trappola; non aveva via di scampo, anche senza la corda legata alla
caviglia
non avrebbe potuto fuggire da quattro vampiri affamati e un licantropo;
cinque
se anche Damon l’avesse inseguita e lì non avrebbe
avuto più speranza.
Si
limitò
ad indietreggiare mentre quel Bryan le si faceva sempre più
vicino con i canini
scoperti e passo da cacciatore. Cercò per
un’ultima volta lo sguardo di Damon
pregando che fosse tutta una messinscena. Sì, doveva essere
così; ancora
qualche secondo e lui sarebbe piombato su quel vampiro uccidendolo e
salvandola. Ma Damon teneva gli occhi fissi sull’oggetto che
aveva in mano e
non aveva alcuna intenzione di smettere di studiarlo attentamente. E
qualcosa
colpì Bonnie al petto, facendole dimenticare tutta la paura
per la morte
imminente, un vuoto al cuore, da toglierle il respiro, come se non
avesse più i
polmoni: la consapevolezza di essere stata abbandonata. Nessuno
verrà a salvarti, Bonnie. Sei sola. Tristi
pensieri prima
di essere uccisa così indegnamente; tristi perché
terribilmente veri.
“So I won't stop dying, won't stop
lying (are you there at all?)
If you want I'll keep on crying (do you care at all?)
Did you get what you deserve? (are you there at all?)
Is this what you always want me for?”
( Cemetery Drive- My Chemical Romance)
Riportò
l’attenzione su Bryan, piegato sulle gambe, pronto a saltarle
addosso, e
all’improvviso si scoprì più combattiva
di quanto mai avrebbe creduto di poter
esser: se proprio doveva morire, l’avrebbe fatto lottando.
Non si sarebbe
arresa, avrebbe fatto tutto il possibile per rallentare quella morte,
avrebbe
scalciato e tirato pugni, anche se fossero risultati inutili. Avrebbe
urlato,
si sarebbe opposta, anche a costo di provare un male inimmaginabile. Il
suo
istinto di sopravvivenza la indusse a spostarsi verso destra e fare
velocemente
quanto poté il giro del tronco, ma arrivata
dall’altro lato sbatté contro
qualcosa di duro. Il suo momento di gloria era durato davvero poco.
Chiuse
gli
occhi in attesa di un morso che non giunse.
“La
rossa
non si tocca”.
Era
un’allucinazione dovuta alla febbre? O quello davanti a lei
era davvero Damon?
“Non
puoi
tirarti indietro Salvatore!” urlò il capo
“Avevamo un patto: il congegno in
cambio della strega. Consegnacela e ti risparmieremo”.
Damon
scoppiò in una fragorosa risata per poi tornare estremamente
serio “Io ho
rispettato l’accordo. Vi ho dato la strega”
spiegò “ Ma non ho mai detto che
poi non me la sarei ripresa” i suoi occhi
s’indurirono “La rossa non
si tocca” ripeté.
Bonnie
si
decise a riaprire gli occhi e tutto ciò che vide fu la
maglia nera di Damon. E
piano, piano riprese a respirare e quel posto lasciato vuoto, nel suo
petto,
venne riempito nuovamente dal suo legittimo proprietario.
Bryan
non
aspettò nemmeno l’ordine del suo capo,
balzò su Damon, protendendo il volto
verso il suo collo, con i canini completamente in vista.
Damon
non
dovette neanche spostarsi per sbarazzarsene. Allungò le
braccia, lo prese per
le spalle prima che lui arrivasse alla sua gola e lo lanciò
contro un albero.
Il vampiro picchiò la schiena e rovinò con la
faccia a terra.
“Non
penserete davvero di battermi?” domandò Damon
ironico.
Bonnie
non
capì bene la dinamica di quello che accadde dopo; seppe solo
che Damon la
spinse con poca gentilezza indietro, per poi avventarsi sugli altri
vampiri. La
donna-lupo scappò come ne ebbe l’occasione,
dopotutto non c’era la luna piena e
lei rischiava solo di rimanere uccisa.
Bonnie
volò
con il sedere a terra per la spinta e poggiò le mani per
attutire la caduta,
che sfregarono contro la ghiaia sul terreno, sbucciandosi. Gemette
leggermente
e si guardò i palmi: c’erano solo delle piccole
feritine da cui usciva una
quantità quasi inesistente di sangue. L’odore di
quelle poche gocce bastò,
comunque, per risvegliare i sensi di Bryan, ancora steso ai piedi
dell’albero.
Bonnie
era
troppo presa ad osservare la lotta in atto davanti ai suoi occhi per
accorgersene. Damon sembrava avere la meglio, ma gli altri due vampiri
gli
erano costantemente addosso. Non era riuscito a procurarsi nessuno
pezzo di
legno da usare come paletto e quindi erano ancora tutti in vita.
Diede
un
pungo alla vampira tatuata, facendola inciampare in una radice
rialzata, poi si
voltò di scatto trovandosi di fronte l’altro.
Sorrise aggressivo ringraziando
che gli venisse offerta
un’occasione così succulenta. Gli
piantò una mano nel petto, frantumandogli la
gabbia toracica, e gli strappò il cuore. Bonnie si mise le
dita davanti agli occhi,
indecisa se essere più disgustata o spaventata.
La
vampira
vide il cuore del suo compagno buttato su una roccia e
lanciò un ringhio
profondo e terrificante, saltando sulla schiena di Damon e mordendogli
la
spalla.
Bonnie
d’istinto si alzò e si mosse in direzione del
vampiro, decisa a dargli una
mano, sebbene ancora non sapesse bene come; ma era una strega,
accidenti!
Qualcosa le sarebbe venuto in mente!
Riuscì
giusto a spostarsi di qualche passo che si sentì subito
trascinare per un
braccio. Non comprese all’istante chi potesse tirarla
indietro in quel modo
così brutale, fino a che non avvertì un dolore
straziante al collo: denti che
le laceravano la carne senza ritegno e che succhiavano con insistenza
il suo
sangue.
Fu
la
sensazione peggiore che avesse mai provato in vita sua, fu una violenza
devastante che le tolse per la seconda volta il fiato e la fece
piangere
dissennatamente. E poi urlò.
Il
grido fu
acuto e terrorizzato e avrebbe attirato l’attenzione anche di
chi non possedeva
poteri soprannaturali.
Damon
si
levò di dosso la vampira e girò la testa verso la
Streghetta. Non valutò
nemmeno per un secondo che quell’attimo di distrazione
avrebbe potuto essere
fatale per lui. Non ragionò, escluse di colpo tutti gli
altri per far posto
nella sua mente a quella sola immagine. Esisteva solo Bonnie, torturata
e profanata da
quel sudicio vampiro, i cui occhi non
avrebbero neppure dovuto osare posarsi sul suo
uccellino.
Era
pronto
all’attacco quando il capo della banda, che era rimasto in
disparte a guardare
l’operato dei suoi compagni, afferrò un ramo
abbastanza appuntito e glielo
piantò nella gamba, fermando la sua corsa per liberare la
strega.
Rantolò
sommessamente e si piegò indietro per estrarre il legno, ma
la vampira tatuata,
rialzatasi, si affrettò a tirargli un calcio in faccia che
lo fece finire a
terra.
Bonnie
vide
il capo piantargli un altro bastone nel fianco, per poi prenderlo di
peso e
bloccargli le braccia dietro la schiena.
“A
te cara,
l’onore di strappargli il cuore” disse alla vampira.
Bonnie
avrebbe tanto desiderato voltarsi dall’altra parte per non
assistere a
quell’orrore ma non riuscire a staccare gli occhi dai tre,
sebbene il dolore al
collo avesse già dovuto farle perdere quanto meno i sensi.
Diamine,
Bonnie! Sei una strega, fa’ qualcosa! Si
disse.
Ma lei era una strega piuttosto inesperta e in più aveva la
febbre, ergo i suoi
poteri erano completamente fuori controllo e lei non poteva usufruirne.
Si
manifestavano quando volevano, di solito in seguito a una forte
emozione.
La
paura
della morte avrebbe dovuto scatenarli, ma fino al quel momento nulla
era
successo. La disperazione ormai era insita in lei. Non c’era
più nulla da fare.
Lei
sarebbe
morta, Damon probabilmente anche. Stefan sarebbe morto di dolore per la
perdita
del fratello ed Elena con lui. Poi c’erano Meredith e Matt. I
suoi genitori e
le sue sorelle; e Alaric e la signora Flowers. Improvvisamente li vide
tutti al
cimitero, intorno a una tomba. Piangevano.
Sarai
giovane e bella nella tua bara.
Lei,
però,
non voleva essere giovane e bella, ma
vecchia e decrepita.
E
finalmente accadde qualcosa: la presa sul suo collo si fece
più lieve fino a
liberarla del tutto. Bryan aveva iniziato ad urlare ed era crollato
sulle
ginocchia, tenendosi la testa tra le mani. La stessa cosa stavano
facendo gli
altri vampiri, tranne Damon, che la guardava con occhi spalancati,
scioccati
per la prima volta dopo tanto tempo.
Un’ondata
fortissima di Potere investì Bonnie che, disorientata,
cercò di captarne la
fonte. Poi capì: era lei! Il Potere proveniva da lei,
così potente ed
inebriante.
I
tre
vampiri caddero svenuti, sopraffatti dal dolore alla testa. Il Potere
si
acquietò lentamente fino a sfumare del tutto e Bonnie
vacillò sui suoi stessi
piedi. Si stupì di essere ancora viva, ma
realizzò subito che quelli che le
erano sembrati anni, erano solo pochi secondi. Bryan non aveva
succhiato
abbastanza sangue per stordirla del tutto.
Damon
estrasse con un gemito sofferente i due pezzi di legno e li
gettò via.
Dopodiché fissò Bonnie piuttosto compiaciuto
“L’avevo detto che mi saresti
stata utile, Streghetta”.
Al
che la
ragazza sembrò ritornare in sé, ricordandosi
della presenza di Damon.
Lui
che per
aiutarla si era fatto quasi uccidere.
Lui
che si
era messo in mezzo per salvarla.
Lui
che
l’aveva usata come merce
di scambio.
Lui
che
l’aveva legata ad un albero.
Lui
che
l’aveva portata lì con
l’inganno.
Lui
che l’aveva coinvolta in quel casino.
LUI
CHE AVEVA LA COLPA DI TUTTO!
Ecco
un’altra ondata di Potere attraversare il corpo della strega.
Questa volta era
indirizzata a Damon, che imitò gli altri vampiri,
avvolgendosi il capo con le
mani.
“Tu
…
grandissimo stronzo!”
sbraitò Bonnie
puntandogli un dito contro.
“S-sei
impazzit-ta?”
balbettò lui in preda agli spasmi.
“Che
diamine ti è saltato in testa?! Potevo morire!”.
“Era
una
r-recita”.
“Sei
solo
un brutto bastardo! Sei un mosto” urlò ancora
Bonnie “Dovrei ucc …”.
Il
male
alla testa di Damon cessò di colpo. Il vampiro
alzò gli occhi giusto in tempo
per vedere Bonnie perdere le forze e cadere su un morbido letto di
foglie.
Dovrei
ucciderti io, piccola strega da
strapazzo.
Si
rigirò
mugugnando, allungando il braccio fino a tastare la fredda parte non
occupata
del letto. La mano si posò delicatamente
sull’altro cuscino stringendo qualcosa
di morbido e peloso. Aprì gli occhi e riconobbe
l’orsacchiotto di peluche che
sua nonna le aveva regalato per i sei anni.
Arrivò in fretta alla conclusione che quella
era camera sua, quello era
il suo letto e quelle erano le sue adorate coperte.
Si
puntellò
leggermente sui gomiti ed esaminò la stanza, tanto per
essere sicura di non
star sognando, tanto per essere certa di
non essere ancora nella foresta.
“Russi
in
una maniera davvero fastidiosa, lo sai?”.
Quella
voce
la fece sobbalzare come una secchiata d’acqua gelata.
Lui
se ne stava di spalle,
seduto sulla sua sedia
girevole, davanti al suo computer e guardava le foto di un vecchio
pigiama
party con Elena e Meredith.
Io
non russo.
Fu la cosa più intelligente
che riuscì a pensare.
“Oh
sì”
riconfermò Damon soffermandosi su un’immagine del
defunto cane di Bonnie,
vestito come una ballerina. Povera
bestia.
“Vorrei
tanto sapere come hai solo potuto pensare di sopportare il Potere di
quell’incantesimo
con quel corpicino che ti ritrovi! Con la febbre per di
più!” sbuffò sorridendo
e scuotendo la testa.
“Vattene
di
qui” ordinò Bonnie con tono fermo, anche se dentro
di sé tremava come una
foglia al vento. Brividi. Brividi. E brividi.
Damon,
con le
gambe, fece ruotare la sedia e finalmente la fissò dritto
negli occhi “No”.
“Bene”
disse Bonnie scostando con un gesto secco le coperte “Allora
me ne vado io”.
Mise
i
piedi a terra e si alzò velocemente. Ebbe un piccolo
mancamento dovuto alla
febbre alta e allo stordimento.
“Dove
vuoi
andare che non ti reggi nemmeno in piedi!” esclamò
Damon visibilmente
infastidito dalla sua testardaggine, per altro poco convincente. La
sospinse di
nuovo sul letto e le si sedette accanto poggiando la testa sul cuscino.
“Quello
che
vorrei sapere” iniziò “E’
perché hai cercato di friggermi il cervello quando mi
sono fatto quasi ammazzate per salvarti la vita”.
Bonnie
si
mise in ginocchio e lo fulminò con gli occhi “Io ti ho salvato la vita”
puntualizzò “E sono io quella che ha
rischiato di finire ammazzata”.
“Avevo
tutto sotto controllo”.
Oh
sì, certo.
“Credi
che
non me la sarei cavata?”.
“Non
avevi
la minima idea di quello che stavi facendo”.
Damon
scese
dal letto e si avvicinò alla finestra
“Così mi offendi” confessò
sarcasticamente
“Io avevo un piano”.
“Damon
vorrei stare qui a discutere con te, davvero” disse Bonnie
tentando di essere
il più ironica possibile “Ma sono stanca, ho mal
di testa e ho bisogno che tu
te ne vada”.
L’effetto
che quelle parole ebbero su Damon, non fu esattamente quello sperato.
Il
vampiro si girò furente verso Bonnie e marciò
verso il letto fermandosi davanti
alla testata e iniziando a stringerla con forza. Bonnie
tremò notando che quasi
certamente Damon stava immaginando di stritolare il suo collo e non una
lastra
di ferro battuto.
“Tu
hai mal
di testa?” rise perfidamente di gusto “Vorrei tanto
farti provare quello che
hai fatto a me. Bruciava! Bruciava come se tutte le mie vene fossero
esplose!”.
“Ero
arrabbiata!” si giustificò Bonnie.
“Per
cosa?
Ti ho salvato il culo e mi aspetto quanto meno un grazie”.
“E
per cosa
ti dovrei ringraziare?” strillò Bonnie.
Abbandonò il letto e ‘sta volta non
sentì le forze mancarle; era troppo adirata per svenire
“Mi hai venduta a
quegli schifosi per ottenere quel maledetto aggeggio!” lo
accusò.
“I
lupi
mannari se ne vanno in giro per Fell’s Church, abbiamo
bisogno di questo
congegno per trovarli e il sangue di una strega era l’unica
cosa che potevo
offrire in cambio! Dove sta il problema?” chiese quasi
urlando con le mani
alzate sopra la testa.
“Il
problema sta nel fatto che la strega ero io”
replicò Bonnie “ E ho rischiato di morire
perché tu sei stato troppo orgoglioso
per chiedere aiuto agli altri”.
Damon
indietreggiò stupito dal comportamento così
aggressivo della Streghetta. Ma
Bonnie non aveva ancora finito “Ti
prego
Bonnie, ho bisogno di te! I tuoi poteri mi faranno comodo contro quei
vampiri!”
si lanciò in una divertente imitazione del vampiro
“Tutte stronzate! Io ero
solo la garanzia che ti avrebbero dato ciò che
volevi”.
Damon
la
guardò come se stesse parlando in una lingua diversa; da una
parte si sentiva
offeso da quelle insinuazioni e dall’altra non riusciva a
capire perché lei
fosse così infuriata. Erano vivi tutte e due, o no?
“Ti
ho già
spiegato che era solo una messinscena, una recita, faceva parte del mio
piano
che non prevedeva la morte di nessuno dei
due” ci tenne a precisare come ultimo appunto, dato
che quella questione
sembrava essere il fulcro di tutta la discussione. Bonnie,
però, riprese velocemente
la parola.
“Ma
è
quello che abbiamo rischiato!” si stupiva perfino lei di
quell’impeto che le
era nato dentro, che la faceva parlare così energicamente e
che non le
permetteva di arretrare di un passo, nonostante gli occhi di Damon si
facessero
sempre più scuri.
“Hai
gettato tutti e due in pasto al pericolo e forse tu ci sarai abituato,
ma io
no! Dannazione, come fai a non capire? Mi hai trascinato in questo
folle piano
mentendomi; non ci hai pensato due volte! Non hai pensato che io
potessi morire,
non hai pensato che avessimo bisogno di una mano dagli altri, ma no!
Certo che
no! Stefan ti avrebbe ucciso con i suoi denti se avesse saputo cosa
avevi in
mente! Che stupida che sono stata a darti retta! I - io … io
mi sono fidata di
te, i-io mi fido sempre di te …”.
“Bonnie
…”.
“No,
no!
C’era la mia vita in ballo, Damon. La mia vita! Possibile che
t’importi così
poco di me?” ora stava piangendo. Sì, quelle scie
bagnate lungo le sue guance
erano decisamente lacrime.
Si
rese
conto di aver oltrepassato il segno quando vide gli occhi di Damon
lampeggiare.
Un
secondo
dopo era inchiodata al letto, la mano del vampiro artigliata attorno al
suo
collo e il suo viso a pochi centimetri da sé.
Parlò
con
voce bassa e graffiante “Se davvero non
m’importasse della tua vita, ti avrei
mollata là risparmiandomi due paletti conficcati nel mio
corpo” la osservò
ancora negli occhi castani, che ormai non conservavano più
nessuna traccia
della spavalderia di poco prima ed erano solo impauriti e avviliti.
Lasciò la
presa sulla sua gola e avvicinò piano le labbra a quelle
piccole vene azzurrine
che lo stavano chiamando da quando quel lurido vampiro
l’aveva morsa.
Bonnie
non
singhiozzava più, era immobile sotto il corpo di Damon e
aveva smesso di nuovo
di respirare. Chiuse gli occhi con lentezza e il desiderio di essere
morsa
s’impossessò di lei. I brividi avevano
ricominciato a salire dalla schiena, per
tutta la colonna vertebrale, sempre più intensi, sempre
più logoranti.
E
quando
Damon posò la bocca sul suo collo, questi esplosero come
fuochi d’artificio.
“Sei
calda,
Uccellino, calda come il fuoco” la voce del vampiro ora si
era fatta roca e provocante
e Bonnie avvertì la sua temperatura salire a mille.
L’aria
fredda la colpì in volto e il suo corpo venne liberato (con
certo disappunto da
parte di entrambi) dal peso di Damon.
“Vedi
di
curarti, Streghetta” l’ammonì
bonariamente“Non vorrei mai che mi addossassi
altre colpe che non ho”.
Aprì
la
finestra, mentre la ragazza si rintanava nelle coperte, un
po’ scossa e già
dimentica del suo attacco d’ira.
“Comunque
non avrei mai
permesso che ti accadesse
qualcosa di male”.
Bonnie
non
si voltò nemmeno; sapeva che se n’era andato. In
ogni caso ora c’era un’altra
cosa che occupava la sua mente.
Brividi.
Non
erano
dovuti alla febbre e nemmeno al freddo proveniente dalla finestra
aperta,
questo era tutto ciò di cui era sicura. Il vero motivo le
era ignoto.
Sapeva
solo
che erano lì, nella sua schiena, nel suo ventre.
Li
sentiva
ancora.
Li
sentiva
nella pelle.
Li
sentiva
nelle vene.
Li
sentiva nella ossa.
“Your fingertips are like a
superhuman touch
Can't get enough of this electric love
Burning the sun with just a wave of your hand
Sparks flying out in every direction
There's more of this to come
I think it must be heaven
Burning the sun with just a wave of your hand”
( Superhuman Touch- Athlete).
*Mi
sono basata su quello che ho
fatto io l’anno scorso di matematica, non sapendo come siano
i programmi negli
Stati Uniti.
**/***
Ovvi
riferimenti a Harry Potter.
****
E’ una
battuta di Vicki Donovan nell’episodio “Ragazze
perdute”.
*****Ho
pensato che se c’è un congegno per individuare i
vampiri, ce ne potrebbe essere
uno per scovare i licantropi.
|