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Autore: Sissi Bennett    21/01/2011    10 recensioni
Una piccola avventura condivisa solo da Bonnie e Damon. Lei è malata e lui la coinvolge in uno dei suoi tanti guai.
Dalla storia:
Aveva ancora quei maledetti brividi che la stavano tormentando da tutta la mattina. Non vedeva l’ora di guarire, così se ne sarebbe liberata definitivamente.
Bonnie non avrebbe mai immaginato che quei brividi, una volta passata la febbre, l’avrebbero torturata ancora per molto tempo.
Genere: Avventura, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bonnie McCullough, Damon Salvatore, Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Altra one-shot sui miei personaggi preferiti del “Diario del Vampiro”, Bonnie e Damon.

Non saprei dove collocare questa fanfiction all’interno della storia, anche perché ci sono riferimenti sia ai libri che alla serie, quindi se ne sta lì nella sua dimensione atemporale.

Vorrei precisare che Elena non è diventata vampiro, quindi non è mai morta, ergo può girare tranquillamente tra le vie di Fell’s Church con il suo amato Stefan.

Non credo di avere altro da dirvi se non buona lettura e se vi va lasciatemi un parere =)

Il titolo è un verso della canzone “Alone” degli Heart.  

 

 

 

It chills me to the bone

 

 

“You're so naive yet so
how could this been done
by such a smiling sweetheart.
Oh and your sweet and pretty face
in such an ugly world”

(Naive- The Kooks)


 

Era una mattina fredda.

Anche se probabilmente la maggior parte dei cittadini di Fell’s Church non l’avrebbe definita così: vedere il sole dopo tanti giorni di pioggia e vento era sembrato quasi un miracolo a chi, quel mattino, non era stato costretto a portarsi dietro l’ingombrante ombrello.

Quando Bonnie aveva intravisto il cielo limpido attraverso la fessura tra le tende, aveva sorriso ingenua dando mentalmente addio al suo cappotto chiuso nell’armadio, che avrebbe aspettato invano di essere indossato.

Il buon umore per il bel tempo era durato, aimè, non più di qualche secondo; giusto il tempo di scostare le coperte e accorgersi di essere tanto indolenzita da non riuscire nemmeno a stiracchiarsi.

E poi ecco salirle dai piedi quella sensazione di gelo polare che la scosse facendola rannicchiare in cerca del calore appena perduto.

Valutò, quindi, che non doveva essere una giornata così calda come aveva pensato pochi minuti prima. Dopo tutto quello era stato un marzo tutt’altro che primaverile, segnato da bufere di neve improvvise e da un’aria sferzante.

Eppure, tirate le tende, quel pallido sole delle otto le pareva proprio riscaldare con intensità tutto ciò che i suoi raggi raggiungevano e, a giudicare dalle persone che camminavano sulla strada coperte solo da uno spolverino senza sciarpa né guanti, quella mattina non doveva essere poi così fredda come avvertiva lei; di certo più calda delle ultime che si erano susseguite in quel mese.

Ma a Bonnie sembrava ugualmente fredda; fredda da far venire i brividi.

 

“Bonnie, va tutto bene?”.

La ragazza tirò la testa fuori dall’armadietto per trovarsi di fronte la sua migliore amica, che la fissava accigliata con i libri in mano.

“Perché questa domanda?”.

“Fa caldo oggi e tu sei vestita come a gennaio”.

Bonnie si diede un’occhiata veloce al suo riflesso nel vetro della porta: aveva infine messo il famoso cappotto, gli stivali di pelle, un maglione a collo alto grigio e una sciarpa di lana.

“Non fa caldo Elena: non senti che aria gelida?”.

Elena si accigliò e si avvicinò all’amica posandole una mano sulla fronte. La tolse immediatamente “Bonnie, tu hai la febbre” sentenziò.

“Cosa? No! Sto bene … sono solo … sai che sono freddolosa”.

“Questa è febbre”.

“Sto bene, davvero. Non ho dormito molto … dev’essere quello” chiuse l’anta e precedette l’amica in classe.

Elena le fissò la schiena storcendo il naso. Quella era sicuramente febbre: Bonnie era più bianca del solito, i suoi occhi erano lucidi e stanchi ed era vestita come un eschimese per via di un freddo che sentiva solo lei, ma come al solito doveva fare le stoica, per non far preoccupare gli altri.

Bonnie prese posto al solito banco, vicino alla finestra. Le piaceva l’idea di poter guardare fuori ed estraniarsi dalla lezione ogni volta che voleva. Soprattutto quando l’insegnante era Miss Dalloway, o anche detta “la strega cattiva dell’ovest”.

Non era vecchia, doveva avere cinquant’anni o giù di lì, ma ne dimostrava almeno dieci in più. Capelli biondi, striati di grigio, solitamente legati in una coda bassa, occhi di ghiaccio, secca come un chiodo e appuntita come il suo naso. Indossava gonne a campana che le arrivavano fin sotto il ginocchio e improbabili scarpe a punto con un orrendo mezzo tacco, largo.

Una vera strega delle favole, tipo quella di Biancaneve o come la Befana. No, la Befana era senza dubbio più gentile e amabile.

Miss Dalloway odiava Bonnie e non perdeva occasione per metterla in imbarazzo di fronte a tutti i suoi compagni.

Entrò in classe puntuale come sempre, tenendo una cartella in stoffa bordeaux. La posò pesantemente sulla cattedra e sondò la classe.

“Oggi interrogo” annunciò iniziando a tirare fuori dalla cartella il registro e le sue adorate penne.

Tutti, compresa Bonnie, non poterono che sbottare scocciati in una serie di lamentele. Era l’unica insegnante che se ne usciva con le interrogazione a sorpresa.

Bonnie evitò di incrociare gli occhi della professoressa e pregò con tutta se stessa che non la scegliesse. Il pomeriggio prima non aveva potuto studiare perché era impegnata a tenere i bambini dell’asilo per conto di sua sorella Mary che, quando non era di turno come infermiera, si occupava del doposcuola.

“Bonnie McCullough” disse Miss Dalloway “Perché non ci mostri cosa la tua grande mente è riuscita ad incamerare in queste due settimane?”.

Ti pareva!

La ragazza si voltò di scatto fino a incrociare gli occhi dell’insegnante, freddi da far venire i brividi e quella che era stata pronunciata come una battuta, appariva più come una condanna a morte. Perché sapeva già che Miss Dalloway non le avrebbe mai dato la sufficienza e i suoi genitori, ‘sta volta, l’avrebbero ammazzata per davvero.

Si alzò dal suo banco e raggiunse la lavagna; attese che Miss Dalloway finisse di sfogliare i suoi appunti di matematica, in cerca di una domanda.

“Partiamo da qualcosa di semplice: definiscimi un integrale indefinito * ”.

Bonnie la guardò come se, di botto, i capelli dell’insegnate fossero diventati verdi e avessero preso a danzare come serpenti.

Si girò verso la lavagna, con il gessetto in mano e rimase così, semplicemente in fissa. Che diamine è un integrale indefinito?

L’unica cosa di intergale che le veniva in mente era la fetta biscottata con burro e miele che aveva preso per colazione. Quella stessa che ora sentiva lì, ferma nello stomaco. Si riscosse un poco quando la sua mente cominciò ad associare dei ‘segni’ alle parole “integrale indefinito”.

Sì, era una funzione o qualcosa di simile, preceduta da una specie di “s” maiuscola e allungata; il tutto terminava con una “x”, o forse era una “c”?

Sì, grazie tante e ora come glielo spiego con parole sensate?

“Vedo, signorina McCullough, che a quanto pare il suo cervello non è in grado di formulare una semplice definizione che abbiamo enunciato solo due settimane fa” concluse per lei Miss Dalloway, con aria estremamente soddisfatta, mentre appuntava qualcosa sulla sua agenda “Passiamo a un altro argomento, anzi proviamo con un esercizio: se ti dico applica il Teorema di Lagrange, sai di che parlo *?”.

Teorema di che??? Garage???

Posò il gesso, ormai abbattuta. Non era mai stata un genio in matematica ed, inoltre, non  apriva libro da un bel pezzo. Il pomeriggio prima era stato uno dei tanti, in cui non aveva studiato. Ma con tutti quei casini soprannaturali che le erano capitati tra capo e collo, proprio non era riuscita a concentrarsi sulla scuola.

“Sai, McCullough, ho sempre saputo che la tua non è una grande mente; da quando sei entrata nella mia classe, non hai fatto altro che collezionare insuccessi su insuccessi, ma speravo che ci mettessi un po’ più d’impegno” la gelò scrivendo una grossa e rossa “F” sul registro “Evidentemente non t’interessa molto imparare qualcosa e mi chiedo perché tu sia ancora qui. Dovresti metterti a lavorare, toglieresti ai tuoi genitori un bel po’ di preoccupazione per il tuo futuro e almeno saresti utile a qualcosa. Ho sentito che la drogheria, in fondo alla strada, ha bisogno di un aiuto per sistemare gli scatoloni degli alimentari, potresti provare lì”.

Bonnie, che era rimasta zitta per tutto il discorso, strinse i pugni lungo i fianchi e divenne paonazza, mentre la rabbia e l’umiliazione ribollivano dentro di lei.

Come si permetteva quella … quella stronza di trattarla come una pezza da piedi? Chi era lei, se non una fallita professoressa di matematica che viveva sola con i suoi gatti? Avrebbe tanto voluto che cadesse e si frantumasse quel naso, già orrendo di suo. Avrebbe voluto che Matt le tirasse il pallone da football nello stomaco,o forse era meglio Stefan, così avrebbe fatto più male. O ancora meglio Damon!

Sarebbe stato divertente vederla gonfiarsi, come zia Marge in Harry Potter, e fluttuare per tutta la città, mentre le autorità cercavano di tirarla giù.

Era talmente immersa nei suoi pensieri che non si accorse che qualcuno, nell’aula, urlò. Dopo pochi secondi, si era scatenato il panico.

“Qualcuno chiami il preside!”.

“Qualcuno chiami l’infermiera!”.

“Qualcuno chiami un’ambulanza!”.

Finché Elena non si fece strada tra i suoi compagni, scavalcando alcune sedie cadute a terra e la prese per le spalle scuotendola.

Bonnie sbatté un paio di volte le palpebre come se si fosse appena svegliata da un sogno e avvertì che il Potere si accendeva sempre più in lei, ma fino a quel momento non si era affatto accorta di averlo richiamato a sé. Continuava a crescere, più forte di quanto l’avesse mai sentito in vita sua.

“Bonnie, smettila subito!” l’ordine perentorio di Elena la disorientò.

“Smettere di fare cosa?”.

“Miss Dalloway … guardala!”.

Le iridi castane della strega saettarono sull’insegnate e ciò che vide la lasciò a bocca aperta: si era gonfiata davvero! Non quanto la zia di Harry Potter, ma abbastanza da far saltare via le scarpe e rompere la gonna sul punto vita.  Non smetteva d’ingrossarsi, era come se qualcuno la stesse riempiendo di aria, come un materassino da spiaggia.

“Lo stai facendo tu, vero?” chiese Elena allarmata.

Bonnie scosse la testa incredula “Giuro … non lo sto facendo apposta”.

“Usciamo da qui” Elena la tirò per un braccio allungando la testa in cerca di Meredith.

La bruna le stava già aspettando fuori, poggiata contro il muro “E’ passato di qui Alaric, ha detto che sta arrivando l’ambulanza”. Bonnie annuì.

Passarono circa mezz’ora lì ferme. I paramedici portarono via Miss Dalloway in barella; sembrava avesse smesso di gonfiarsi ma era ugualmente gigantesca.

Gli altri studenti, dopo i primi attimi di apprensione, si dispersero per la scuola, contenti di avere un’ora libera.

“Oddio, l’ho uccisa, l’ho uccisa” continuava a ripetere Bonnie.

“Beh, anche se fosse, avresti fatto un favore al mondo” constatò Meredith.

Elena la folgorò, poi si rivolse a Bonnie tentando di calmarla “Starà bene, Bonnie. Vedrai che la faranno ritorna la scopa secca che era prima”.

Questo strappò un sorrisino a Bonnie, ma poco dopo riprecipitò nello sconforto “I- io non so neanche come ho fatto! E … e i suoi gatti come faranno senza di lei? Se muore, io … io … o mio Dio l’ho uccisa!”.

“Non l’hai uccisa, Bonnie” intervenne una voce alle sue spalle “Ho parlato ora con il preside e mi ha detto che le hanno fatto un’iniezione di cortisone, credevano fosse una reazione allergica. In ogni caso ora è a posto”.

“Ne sei sicuro, Alaric?” chiese  di nuovo in conferma Bonnie.

Lui annuì convinto.

“Premettendo che è stato davvero uno spasso” disse Meredith “Che ti è saltato in mente di esporti così davanti a tutti?”.

“Non è stata colpa mia” si difese Bonnie “E’ successo e basta, io non volevo, io non l’ho fatto di proposito. Ho solo sentito un’ondata di Potere e un secondo dopo lei era diventata una palla”.

“Sei malata, Bonnie?” chiese Alaric inaspettatamente.

“Sì, ha la febbre” rispose per lei Elena.

“Non ho la febbre”.

Alaric posò una mano sulla sua fronte “Sì, ce l’hai” confermò “Beh, ora si spiega tutto”

“Che intendi dire?” domandò Meredith.

“Bonnie è una strega piuttosto inesperta e non sa ancora come controllare i suoi Poteri. Ora è malata, il che significa che ha una percezione più amplificata delle cose, del reale: i rumori le danno più fastidio, i sapori sono distorti, gli odori fanno schifo” spiegò gesticolando “Così anche le emozioni. Le senti molto più accentuate; rabbia, umiliazione, felicità, paura sono fuori controllo e scatenano i tuoi Poteri”.

Bonnie si portò una mano sulla bocca, sconvolta “Quindi sono una mina vagante?!”.

“Ehi, ehi! Niente panico” la fermò Elena scongiurando una scenata isterica “Ora andiamo in infermeria, ti facciamo dare un permesso, tu te ne vai a casa e non ne esci finché non sei guarita”.

“Non posso” replicò Bonnie “Oggi devo aiutare ancora Mary con i bambini dell’asilo”.

“Potresti farti del male e farne agli altri”.

“Passa da Damon” saltò su all’improvviso Meredith.

La facce degli altri tre si fecero un unico punto interrogativo.

“Così magari la farà arrabbiare e la nostra streghetta ci libererà del vampiro assassino e megalomane” chiarì con un grosso sorriso.

“Io non farò del male a nessuno” disse Bonnie convinta “Credo di poter tenere a bada questa cosa. Devo solo andare all’asilo e poi mi chiuderò in casa. Cercherò di restare calma e tutto … tutto andrà bene”.

Dopo che ebbe persuaso anche gli altri che quello era il modo migliore di agire, si allontanò per il corridoio, sfregandosi le braccia con le mani.

Aveva ancora quei maledetti brividi che la stavano tormentando da tutta la mattina. Non vedeva l’ora di guarire, così se ne sarebbe liberata definitivamente.

Bonnie non avrebbe mai immaginato che quei brividi, una volta passata la febbre, l’avrebbero torturata ancora per molto tempo.

 

Quando uscì dall’asilo erano quasi le sette e faceva ancora più freddo. Certo essendo sera, era più che normale che l’aria si fosse raffreddata, ma Bonnie era ormai certa che la febbre le fosse salita di parecchio.

Si strinse, perciò, nel cappotto e si tirò la sciarpa fin sopra il naso, sfregandosi le mani in tasca in cerca di calore.

Camminava in fretta, un po’ perché non vedeva l’ora di attaccarsi al termosifone di casa sua, un po’ perché non le piaceva stare per strada, da sola, quando fuori si faceva buio. Non le era mai piaciuto il buio e negli ultimi tempi ancora meno.

Vedere la porta di casa sua fu un sollievo. Cominciò a frugare nella borsa in cerca delle chiavi. Portafoglio, cellulare, fazzoletti … e quello cos’era? Ah sì, l’iPod, ma delle chiavi neanche l’ombra. Aprì di più la borsa e ci guardò dentro, la scosse, la rifrugò ma non vi trovò nulla che assomigliasse alle sue chiavi.

Ed ecco che un dubbio atroce le attanagliò la mente: aveva preso le chiavi di casa quella mattina?

Poi un flash: il cellulare che squillava, Meredith che dall’altra parte del telefono le urlava di muoversi, lei che si fiondava fuori per il ritardo salutando frettolosamente i suoi e … e le chiavi sul tavolino all’ingresso.

Che razza di stupida!

Le luci erano spente, il che significava che non c’era nessuno che le potesse aprire.

Era lì fuori, da sola, al buio e al freddo.

Gran bel lavoro, McCullough!

Tanto era presa ad insultarsi che non aveva fatto caso a una leggera nebbiolina che stava strisciando verso i suoi piedi.

Picchiò un pugno contro la porta e ottenne solo di far cadere il “6” di ferro, appeso per miracolo, del “68” che stava a contrassegnare il numero civico.

Si piegò a raccoglierlo e lì si accorse della nebbia che si era fatta densa e impenetrabile.

Si alzò di scatto e la sua schiena sbatté contro qualcosa di duro e compatto. Lanciò un urletto, voltandosi e brandendo il sei di metallo come arma.

Solo quando incontrò quegli occhi, a metà tra il divertito e il sorpreso,si calmò un attimo; ma il suo cuore ricominciò presto a battere a mille non appena si rese conto che chi le stava di fronte non era propriamente un amico.

“Un numero di latta?” disse lui alzando contemporaneamente un sopracciglio e un angolo della bocca “Andiamo,Bonnie, puoi fare di meglio”.

“D-damon”  la sua voce non avrebbe dovuto suonare così tremolante, si ricompose in fretta “Ti sembra il modo di comparire alle spalle della gente! Temevo fosse qualcuno con cattive intenzioni”.

L’altro sopracciglio raggiunse il gemello, formando un’arcata davvero eloquente. Quella semplice espressione le fece notare quanto ingenua fosse stata la sua affermazione: lui di solito non aveva buone intenzioni.

“Problemi con la porta?”.

“Non ho le chiavi” spiegò lei brevemente.

“Hai provato con l’ Alohomora**?” scherzò lui.

Bonnie lo incenerì con lo sguardo “Sono malata Damon, non ho il controllo dei miei Poteri e potrei ridurti in un mucchietto di cenere senza neanche accorgermene, quindi non mi farei irritare se fossi in te”.

“Che cattiva!” commentò Damon “Non so perché non sei sempre così aggressiva, renderesti tutto più eccitante” sussurrò guardandola maliziosamente. Avvertì che il cuore della ragazza batteva sempre più veloce. Sorrise soddisfatto.

“Comunque lo so, oggi ti ho vista in azione: carina l’idea di gonfiare l’insegnante, ma poco originale. Mi pare che qualcuno l’abbia già fatto prima di te … ma forse quella era la zia***” si finse pensieroso attendendo una reazione da parte della Streghetta.

“Damon, c’è una ragione precisa perché tu sei qui?” chiese rassegnata.

“A dire il vero sì e non vedevo l’ora che me lo chiedessi”.

Da un Damon Salvatore troppo contento e troppo cortese non c’era d’aspettarsi nulla di buono.

“Non ho tempo per i tuoi giochetti, Damon. Non sto bene, sto morendo dal freddo e l’unica cosa che voglio è buttarmi sul letto e dormire”.

“Mi piace l’idea di te buttata su un letto” le confidò lui “Ma non a dormire” aggiunse piegandosi su di lei e spostandole una ciocca di capelli. Dopodiché l’abbracciò.

Il freddo che poco prima la tormentava, venne sostituito da un caldo soffocante che la scosse fino alle ossa “C- che stai facendo?”.

“Hai detto di avere freddo. Ti sto scaldando” lo disse come se fosse la cosa più ovvia e normale del mondo. Bonnie pensò che si sarebbe volentieri sciolta tra le sue braccia.

Brividi, tantissimi brividi le assalirono la schiena quando lui posò le labbra sulla sua fronte. Brividi di caldo. Ma esistevano i brividi di caldo?

“Scotti come brace, Streghetta” constatò allontanandosi, permettendo così alla ragazza di riprendere a respirare regolarmente.

“T- te l’ho detto: sono malata” ribadì Bonnie maledicendosi perché le sue guance stavano diventando del colore dei suoi capelli.

“Credo che i tuoi genitori staranno fuori ancora per molto; li ho sentiti parlare di una cena importante”.

La cena dai Lockwood! Se n’era completamente scordata. E ora come avrebbe fatto? Non sarebbero tornati prima di mezzanotte e lei aveva di nuovo freddo. Si sarebbe presa una polmonite. Sì, si sarebbe ammalata gravemente e sarebbe morta!

“Non morirai, Bonnie” la tranquillizzò Damon che trovava piuttosto assillante quel suo modo di agitarsi sempre per niente “Sono abbastanza bravo a scassinare le porte o a buttarle giù. Ci penso io a farti entrare”.

Bonnie parve esitare “E … questo favore ha un prezzo, scommetto”.

Damon schioccò le dita “Questo ci riporta giusto al discorso di prima! Posso spiegarti senza che ti venga un attacco di panico?”.

Bonnie abbassò gli occhi in imbarazzo. Detestava fare la figura della bambina da proteggere, specialmente davanti a Damon.

Il vampiro avvertì il suo disagio e si pentì subito di essere stato così poco delicato. Bonnie era l’unica che riuscisse a farlo sentire in colpa ed intenerirlo senza neanche parlare. Si sentiva terribilmente vulnerabile di fronte a lei ed era una cosa che odiava.

“Credo di aver fatto arrabbiare alcuni vampiri della Georgia” confessò.

“Credi?”.

“No, ne sono certo” si corresse “Almeno questa è l’impressione che mi hanno dato un’ora fa, quando mi hanno detto che avrebbero creato un po’ di scompiglio per farmela pagare”.

Bonnie sgranò gli occhi e si appoggiò al muro di casa. Ricapitolando: era chiusa fuori da casa, era malata, aveva freddo e Damon le aveva appena chiesto, tra le righe, di aiutarlo con quella banda di vampiri in cerca di vendetta.

‘Sta volta sei nella cacca.

“Lo sanno tutti che sei un vampiro potente, perché non li affronti da solo?”.

“Certo potrei anche farlo, ma ammetto che mi farebbe comodo avere dalla mia parte una strega con i Poteri fuori controllo, che odia i vampiri”.

“E come li troviamo?”.

“Ecco …” cominciò indugiando un po’ “Tu saresti un’esca perfetta”.

Rettifico: sei proprio nella merda.

 

 “Stai ferma così … dovrebbe andare bene”.

Vorrei tanto sapere come diamine ha fatto a convincermi.

“Perché sono così fico e così sexy****” rispose Damon ripescando quella frase dalla sua memoria. Ma chissà chi gliel’aveva detta.

Strinse di più la corda attorno alla caviglia della ragazza e poi la tirò per assicurarsi l’altra estremità fosse ben legata al tronco accanto.

“Sai Damon, non credo sia un piano geniale” azzardò Bonnie “Una ragazza sola e inerme legata ad un albero, senza vie di fuga … se fossi in quei vampiri penserei subito ad una trappola”.

“Ma per fortuna quei vampiri non sono scaltri come te, Streghetta” disse Damon piegando un angolo della bocca all’insù “Comunque ho intenzione di richiamarli con il mio Potere, l’istigherò un po’, saranno qui tra cinque minuti al massimo” affermò guardando l’orologio.

“Se potevi attirali tu perché mi hai trascinato qui?” chiese Bonnie con una nota di agitazione. La situazione iniziava a farsi strana e inquietante.

“Te l’ho detto sei l’esca” spiegò Damon continuando a scrutare tra gli alberi mentre mandava ondate di Potere “Solo che io non voglio ucciderli, mi servi per ottenere un’altra cosa”.

Bonnie sentì nuovamente i brividi. Ora era certa che fossero di paura. Le gambe tremolarono e fece ricorso alle sue ultime forze per non svenire.

“Cominci a spaventarmi, che stai dicendo …?”.

Non finì la frase. Non ne ebbe il tempo e in ogni caso non avrebbe saputo bene come continuare. Damon era abilissimo ad eludere le domande: lui non mentiva, lui ometteva particolari, lui distorceva gli eventi, lui giocava con le parole. Bonnie sapeva che non avrebbe ottenuto nessuna risposta; ad ogni modo le era bastato lo sguardo del vampiro per capire che le intenzioni di Damon erano ben diverse da quello che le aveva detto prima di portarla lì.

Come dicevo, comunque non ebbe il tempo di terminare la domanda, perché dietro una fitta fila di alberi incominciarono ad intravedersi delle figure.

Damon sorrise beffardo e piegò la testa in segno di saluto e Bonnie ebbe la certezza che le cose sarebbero degenerate da lì a breve.

Perché Damon avrebbe dovuto salutare qualcuno che stava per uccidere?

I vampiri erano cinque: tre uomini e due donne. Si erano disposti a semicerchio e spostavano lo sguardo da lei a Damon.

Uno di loro, il più basso a sinistra, a fianco della vampira tatuata, non le staccava gli occhi di dosso. La fissava con espressione affamata e impaziente, come se fosse una deliziosa bistecca; poi considerò che un corpo pieno di vene pulsanti di sangue e ancora più caldo per via della febbre, fosse per un vampiro un piatto ben più succulento di un qualsiasi pezzo di carne cotta.

E i brividi di terrore aumentarono: che il piano di Damon fosse quello di darla in pasto a quelle bestie fameliche?

Ma perché poi? Lei non gli aveva fatto niente, si era sempre ben premurata di stargli lontano e dargli il meno fastidio possibile.

È Damon! Cosa ti aspettavi? Che non ti avrebbe usata per i suoi sporchi intenti se gli fossi risultata utile?

Vide gli occhi del ragazzo lampeggiare e posarsi su di lei confusi. Probabilmente si era stupito di come lei, sciocca ragazzina credulona, avesse capito così in fretta il suo piano.

Che cretina ad andare lì! La prossima volta si sarebbe fatta furba.

Doppiamente sciocca: non ci sarebbe stata una prossima volta.

Deliziosa la tua città Salvatore” commentò uno dei vampiri, quasi certamente il capo, rompendo il silenzioso con quel disgustoso doppio senso.

“Perché credi che sia diventata la mia città?” rispose Damon in un tentativo riuscitissimo di marchiare il territorio facendo ben intendere che, se avessero disturbato il suo equilibrio, dei corpi sarebbero andati a fuoco.

“Hai portato la strega?”.

Bonnie sussultò quando si sentì tirata in causa. Allora era vero: Damon voleva consegnarla a quei vampiri che le avrebbero fatto chissà quali orrori.

Sapeva che il maggiore dei due fratelli non assomigliava per niente a Stefan: per lui la vita umana non contava nulla. Non gli importava quanti rimanevano feriti dalle sue azioni, purché lui stesse bene. Chi se ne fregava delle conseguenze.

Ma vedersi sbattuto in faccia il fatto che la sua di vita, quella della sua adorata streghetta non valesse più di un pugno di terra, fece male. Dovette far ricorso a tutta la sua volontà per non farsi travolgere dai singhiozzi. Gli occhi le divennero lo stesso lucidi e questo non sfuggì a Damon, che rimase impassibile a quella richiesta silenziosa di aiuto e si voltò per concludere la trattativa.

“Bryan prendi la strega” ordinò il capo al vampiro pazzoide che ormai aveva la bava alla bocca all’idea che da lì a poco avrebbe assaggiato il sangue di Bonnie.

“Rinfodera i canini, Bryan ” intimò Damon mentre pensava a quanto fosse idiota e insulso quel nome “Prima voglio il congegno”.

“E chi mi dice che poi mi darai la strega?” insinuò il capo.

“Se non mi dai quel dannato aggeggio, puoi stare certo che non avrai mai la mia strega” quanto era rilassante minacciare i vampiri troppo tracotanti.

Aveva sentito dire che la superbia era un peccato capitale e in quel momento non poteva trovarsi più d’accordo. Chi si credevano di essere per arrivare nella sua città e cominciare a dettar legge? Lui stabiliva le regole del gioco! Non loro!

L’altro vampiro, seccato, infilò la mano nella tasca e ne estrasse un affare d’argento, circolare e grosso quanto una pallina da tennis. Lo tirò a Damon.

“E questo coso trova davvero i lupi mannari*****?” chiese lui.

“Vuoi provare tu stesso?” lo invitò l’altro indicando la donna accanto a lui. Damon aggrottò le sopracciglia e si avvicinò sospettoso.

Quando fu a pochi metri da lei, il congegno iniziò a tremolare sempre più velocemente nella sua mano. Il sorriso di Damon si fece più sfrontato “L’avete addestrata?”domandò intuendo al volo che quella non era una vampira ma un lupo mannaro. Un lupo mannaro piuttosto attraente.

“Solo per una dimostrazione pratica” rispose il capo “ Ora Bryan, assaggia per me la strega, dimmi se il suo sangue è davvero così buono come si dice in giro”.

Bonnie, che aveva assistito impotente a quello scambio di battute, provò un certo disappunto nel percepire il pensiero di Damon. Lei da un momento all’altro sarebbe stata prosciugata della sua linfa vitale e lui si metteva a fantasticare sulla lupa! Tutto quel cipiglio svanì in un colpo quando udì le ultime parole del vampiro-capo.  Si sentì in trappola; non aveva via di scampo, anche senza la corda legata alla caviglia non avrebbe potuto fuggire da quattro vampiri affamati e un licantropo; cinque se anche Damon l’avesse inseguita e lì non avrebbe avuto più speranza.

Si limitò ad indietreggiare mentre quel Bryan le si faceva sempre più vicino con i canini scoperti e passo da cacciatore. Cercò per un’ultima volta lo sguardo di Damon pregando che fosse tutta una messinscena. Sì, doveva essere così; ancora qualche secondo e lui sarebbe piombato su quel vampiro uccidendolo e salvandola. Ma Damon teneva gli occhi fissi sull’oggetto che aveva in mano e non aveva alcuna intenzione di smettere di studiarlo attentamente. E qualcosa colpì Bonnie al petto, facendole dimenticare tutta la paura per la morte imminente, un vuoto al cuore, da toglierle il respiro, come se non avesse più i polmoni: la consapevolezza di essere stata abbandonata. Nessuno verrà a salvarti, Bonnie. Sei sola. Tristi pensieri prima di essere uccisa così indegnamente; tristi perché terribilmente veri.

 

“So I won't stop dying, won't stop lying (are you there at all?)
If you want I'll keep on crying (do you care at all?)
Did you get what you deserve? (are you there at all?)
Is this what you always want me for?”

( Cemetery Drive- My Chemical Romance)

 

Riportò l’attenzione su Bryan, piegato sulle gambe, pronto a saltarle addosso, e all’improvviso si scoprì più combattiva di quanto mai avrebbe creduto di poter esser: se proprio doveva morire, l’avrebbe fatto lottando. Non si sarebbe arresa, avrebbe fatto tutto il possibile per rallentare quella morte, avrebbe scalciato e tirato pugni, anche se fossero risultati inutili. Avrebbe urlato, si sarebbe opposta, anche a costo di provare un male inimmaginabile. Il suo istinto di sopravvivenza la indusse a spostarsi verso destra e fare velocemente quanto poté il giro del tronco, ma arrivata dall’altro lato sbatté contro qualcosa di duro. Il suo momento di gloria era durato davvero poco.

Chiuse gli occhi in attesa di un morso che non giunse.

“La rossa non si tocca”.

Era un’allucinazione dovuta alla febbre? O quello davanti a lei era davvero Damon?

“Non puoi tirarti indietro Salvatore!” urlò il capo “Avevamo un patto: il congegno in cambio della strega. Consegnacela e ti risparmieremo”.

Damon scoppiò in una fragorosa risata per poi tornare estremamente serio “Io ho rispettato l’accordo. Vi ho dato la strega” spiegò “ Ma non ho mai detto che poi non me la sarei ripresa” i suoi occhi s’indurirono “La rossa non si tocca” ripeté.

Bonnie si decise a riaprire gli occhi e tutto ciò che vide fu la maglia nera di Damon. E piano, piano riprese a respirare e quel posto lasciato vuoto, nel suo petto, venne riempito nuovamente dal suo legittimo proprietario.

Bryan non aspettò nemmeno l’ordine del suo capo, balzò su Damon, protendendo il volto verso il suo collo, con i canini completamente in vista.

Damon non dovette neanche spostarsi per sbarazzarsene. Allungò le braccia, lo prese per le spalle prima che lui arrivasse alla sua gola e lo lanciò contro un albero. Il vampiro picchiò la schiena e rovinò con la faccia a terra.

“Non penserete davvero di battermi?” domandò Damon ironico.

Bonnie non capì bene la dinamica di quello che accadde dopo; seppe solo che Damon la spinse con poca gentilezza indietro, per poi avventarsi sugli altri vampiri. La donna-lupo scappò come ne ebbe l’occasione, dopotutto non c’era la luna piena e lei rischiava solo di rimanere uccisa.

Bonnie volò con il sedere a terra per la spinta e poggiò le mani per attutire la caduta, che sfregarono contro la ghiaia sul terreno, sbucciandosi. Gemette leggermente e si guardò i palmi: c’erano solo delle piccole feritine da cui usciva una quantità quasi inesistente di sangue. L’odore di quelle poche gocce bastò, comunque, per risvegliare i sensi di Bryan, ancora steso ai piedi dell’albero.

Bonnie era troppo presa ad osservare la lotta in atto davanti ai suoi occhi per accorgersene. Damon sembrava avere la meglio, ma gli altri due vampiri gli erano costantemente addosso. Non era riuscito a procurarsi nessuno pezzo di legno da usare come paletto e quindi erano ancora tutti in vita.

Diede un pungo alla vampira tatuata, facendola inciampare in una radice rialzata, poi si voltò di scatto trovandosi di fronte l’altro. Sorrise aggressivo  ringraziando che gli venisse offerta un’occasione così succulenta. Gli piantò una mano nel petto, frantumandogli la gabbia toracica, e gli strappò il cuore. Bonnie si mise le dita davanti agli occhi, indecisa se essere più disgustata o spaventata.

La vampira vide il cuore del suo compagno buttato su una roccia e lanciò un ringhio profondo e terrificante, saltando sulla schiena di Damon e mordendogli la spalla.

Bonnie d’istinto si alzò e si mosse in direzione del vampiro, decisa a dargli una mano, sebbene ancora non sapesse bene come; ma era una strega, accidenti! Qualcosa le sarebbe venuto in mente!

Riuscì giusto a spostarsi di qualche passo che si sentì subito trascinare per un braccio. Non comprese all’istante chi potesse tirarla indietro in quel modo così brutale, fino a che non avvertì un dolore straziante al collo: denti che le laceravano la carne senza ritegno e che succhiavano con insistenza il suo sangue.

Fu la sensazione peggiore che avesse mai provato in vita sua, fu una violenza devastante che le tolse per la seconda volta il fiato e la fece piangere dissennatamente. E poi urlò.

Il grido fu acuto e terrorizzato e avrebbe attirato l’attenzione anche di chi non possedeva poteri soprannaturali.

Damon si levò di dosso la vampira e girò la testa verso la Streghetta. Non valutò nemmeno per un secondo che quell’attimo di distrazione avrebbe potuto essere fatale per lui. Non ragionò, escluse di colpo tutti gli altri per far posto nella sua mente a quella sola immagine. Esisteva solo Bonnie, torturata e profanata  da quel sudicio vampiro, i cui occhi non avrebbero neppure dovuto osare posarsi sul suo uccellino.

Era pronto all’attacco quando il capo della banda, che era rimasto in disparte a guardare l’operato dei suoi compagni, afferrò un ramo abbastanza appuntito e glielo piantò nella gamba, fermando la sua corsa per liberare la strega.

Rantolò sommessamente e si piegò indietro per estrarre il legno, ma la vampira tatuata, rialzatasi, si affrettò a tirargli un calcio in faccia che lo fece finire a terra.

Bonnie vide il capo piantargli un altro bastone nel fianco, per poi prenderlo di peso e bloccargli le braccia dietro la schiena.

“A te cara, l’onore di strappargli il cuore” disse alla vampira.

Bonnie avrebbe tanto desiderato voltarsi dall’altra parte per non assistere a quell’orrore ma non riuscire a staccare gli occhi dai tre, sebbene il dolore al collo avesse già dovuto farle perdere quanto meno i sensi.

Diamine, Bonnie! Sei una strega, fa’ qualcosa! Si disse. Ma lei era una strega piuttosto inesperta e in più aveva la febbre, ergo i suoi poteri erano completamente fuori controllo e lei non poteva usufruirne. Si manifestavano quando volevano, di solito in seguito a una forte emozione.

La paura della morte avrebbe dovuto scatenarli, ma fino al quel momento nulla era successo. La disperazione ormai era insita in lei. Non c’era più nulla da fare.

Lei sarebbe morta, Damon probabilmente anche. Stefan sarebbe morto di dolore per la perdita del fratello ed Elena con lui. Poi c’erano Meredith e Matt. I suoi genitori e le sue sorelle; e Alaric e la signora Flowers. Improvvisamente li vide tutti al cimitero, intorno a una tomba. Piangevano.

Sarai giovane e bella nella tua bara.

Lei, però, non voleva essere giovane e bella, ma  vecchia e decrepita.

E finalmente accadde qualcosa: la presa sul suo collo si fece più lieve fino a liberarla del tutto. Bryan aveva iniziato ad urlare ed era crollato sulle ginocchia, tenendosi la testa tra le mani. La stessa cosa stavano facendo gli altri vampiri, tranne Damon, che la guardava con occhi spalancati, scioccati per la prima volta dopo tanto tempo.

Un’ondata fortissima di Potere investì Bonnie che, disorientata, cercò di captarne la fonte. Poi capì: era lei! Il Potere proveniva da lei, così potente ed inebriante.

I tre vampiri caddero svenuti, sopraffatti dal dolore alla testa. Il Potere si acquietò lentamente fino a sfumare del tutto e Bonnie vacillò sui suoi stessi piedi. Si stupì di essere ancora viva, ma realizzò subito che quelli che le erano sembrati anni, erano solo pochi secondi. Bryan non aveva succhiato abbastanza sangue per stordirla del tutto.

Damon estrasse con un gemito sofferente i due pezzi di legno e li gettò via. Dopodiché fissò Bonnie piuttosto compiaciuto “L’avevo detto che mi saresti stata utile, Streghetta”.

Al che la ragazza sembrò ritornare in sé, ricordandosi della presenza di Damon.

Lui che per aiutarla si era fatto quasi uccidere.

Lui che si era messo in mezzo per salvarla.

Lui che l’aveva usata come merce di scambio.

Lui che l’aveva legata ad un albero.

Lui che l’aveva portata lì con l’inganno.

Lui che l’aveva coinvolta in quel casino.

LUI CHE AVEVA LA COLPA DI TUTTO!

Ecco un’altra ondata di Potere attraversare il corpo della strega. Questa volta era indirizzata a Damon, che imitò gli altri vampiri, avvolgendosi il capo con le mani.

“Tu … grandissimo stronzo!” sbraitò Bonnie puntandogli un dito contro.

“S-sei impazzit-ta?” balbettò lui in preda agli spasmi.

“Che diamine ti è saltato in testa?! Potevo morire!”.

“Era una r-recita”.

“Sei solo un brutto bastardo! Sei un mosto” urlò ancora Bonnie “Dovrei ucc …”.

Il male alla testa di Damon cessò di colpo. Il vampiro alzò gli occhi giusto in tempo per vedere Bonnie perdere le forze e cadere su un morbido letto di foglie.

Dovrei ucciderti io, piccola strega da strapazzo.

 

Si rigirò mugugnando, allungando il braccio fino a tastare la fredda parte non occupata del letto. La mano si posò delicatamente sull’altro cuscino stringendo qualcosa di morbido e peloso. Aprì gli occhi e riconobbe l’orsacchiotto di peluche che sua nonna le aveva regalato per i sei anni.  Arrivò in fretta alla conclusione che quella era camera sua, quello era il suo letto e quelle erano le sue adorate coperte.

Si puntellò leggermente sui gomiti ed esaminò la stanza, tanto per essere sicura di non star sognando, tanto per essere certa di  non essere ancora nella foresta.

“Russi in una maniera davvero fastidiosa, lo sai?”.

Quella voce la fece sobbalzare come una secchiata d’acqua gelata.

Lui  se ne stava di spalle, seduto sulla sua sedia girevole, davanti al suo computer e guardava le foto di un vecchio pigiama party con Elena e Meredith.

Io non russo. Fu la cosa più intelligente che riuscì a pensare.

“Oh sì” riconfermò Damon soffermandosi su un’immagine del defunto cane di Bonnie, vestito come una ballerina. Povera bestia.

“Vorrei tanto sapere come hai solo potuto pensare di sopportare il Potere di quell’incantesimo con quel corpicino che ti ritrovi! Con la febbre per di più!” sbuffò sorridendo e scuotendo la testa.

“Vattene di qui” ordinò Bonnie con tono fermo, anche se dentro di sé tremava come una foglia al vento. Brividi. Brividi. E brividi.

Damon, con le gambe, fece ruotare la sedia e finalmente la fissò dritto negli occhi “No”.

“Bene” disse Bonnie scostando con un gesto secco le coperte “Allora me ne vado io”.

Mise i piedi a terra e si alzò velocemente. Ebbe un piccolo mancamento dovuto alla febbre alta e allo stordimento.

“Dove vuoi andare che non ti reggi nemmeno in piedi!” esclamò Damon visibilmente infastidito dalla sua testardaggine, per altro poco convincente. La sospinse di nuovo sul letto e le si sedette accanto poggiando la testa sul cuscino.

“Quello che vorrei sapere” iniziò “E’ perché hai cercato di friggermi il cervello quando mi sono fatto quasi ammazzate per salvarti la vita”.

Bonnie si mise in ginocchio e lo fulminò con gli occhi “Io ti ho salvato la vita” puntualizzò “E sono io quella che ha rischiato di finire ammazzata”.

“Avevo tutto sotto controllo”.

Oh sì, certo.

“Credi che non me la sarei cavata?”.

“Non avevi la minima idea di quello che stavi facendo”.

Damon scese dal letto e si avvicinò alla finestra “Così mi offendi” confessò sarcasticamente “Io avevo un piano”.

“Damon vorrei stare qui a discutere con te, davvero” disse Bonnie tentando di essere il più ironica possibile “Ma sono stanca, ho mal di testa e ho bisogno che tu te ne vada”.

L’effetto che quelle parole ebbero su Damon, non fu esattamente quello sperato. Il vampiro si girò furente verso Bonnie e marciò verso il letto fermandosi davanti alla testata e iniziando a stringerla con forza. Bonnie tremò notando che quasi certamente Damon stava immaginando di stritolare il suo collo e non una lastra di ferro battuto.

“Tu hai mal di testa?” rise perfidamente di gusto “Vorrei tanto farti provare quello che hai fatto a me. Bruciava! Bruciava come se tutte le mie vene fossero esplose!”.

“Ero arrabbiata!” si giustificò Bonnie.

“Per cosa? Ti ho salvato il culo e mi aspetto quanto meno un grazie”.

“E per cosa ti dovrei ringraziare?” strillò Bonnie. Abbandonò il letto e ‘sta volta non sentì le forze mancarle; era troppo adirata per svenire “Mi hai venduta a quegli schifosi per ottenere quel maledetto aggeggio!” lo accusò.

“I lupi mannari se ne vanno in giro per Fell’s Church, abbiamo bisogno di questo congegno per trovarli e il sangue di una strega era l’unica cosa che potevo offrire in cambio! Dove sta il problema?” chiese quasi urlando con le mani alzate sopra la testa.

“Il problema sta nel fatto che la strega ero io” replicò Bonnie “ E ho rischiato di morire perché tu sei stato troppo orgoglioso per chiedere aiuto agli altri”.

Damon indietreggiò stupito dal comportamento così aggressivo della Streghetta. Ma Bonnie non aveva ancora finito “Ti prego Bonnie, ho bisogno di te! I tuoi poteri mi faranno comodo contro quei vampiri!” si lanciò in una divertente imitazione del vampiro “Tutte stronzate! Io ero solo la garanzia che ti avrebbero dato ciò che volevi”.

Damon la guardò come se stesse parlando in una lingua diversa; da una parte si sentiva offeso da quelle insinuazioni e dall’altra non riusciva a capire perché lei fosse così infuriata. Erano vivi tutte e due, o no?

“Ti ho già spiegato che era solo una messinscena, una recita, faceva parte del mio piano che non prevedeva la morte di nessuno dei due” ci tenne a precisare come ultimo appunto, dato che quella questione sembrava essere il fulcro di tutta la discussione. Bonnie, però, riprese velocemente la parola.

“Ma è quello che abbiamo rischiato!” si stupiva perfino lei di quell’impeto che le era nato dentro, che la faceva parlare così energicamente e che non le permetteva di arretrare di un passo, nonostante gli occhi di Damon si facessero sempre più scuri.

“Hai gettato tutti e due in pasto al pericolo e forse tu ci sarai abituato, ma io no! Dannazione, come fai a non capire? Mi hai trascinato in questo folle piano mentendomi; non ci hai pensato due volte! Non hai pensato che io potessi morire, non hai pensato che avessimo bisogno di una mano dagli altri, ma no! Certo che no! Stefan ti avrebbe ucciso con i suoi denti se avesse saputo cosa avevi in mente! Che stupida che sono stata a darti retta! I - io … io mi sono fidata di te, i-io mi fido sempre di te …”.

“Bonnie …”.

“No, no! C’era la mia vita in ballo, Damon. La mia vita! Possibile che t’importi così poco di me?” ora stava piangendo. Sì, quelle scie bagnate lungo le sue guance erano decisamente lacrime.

Si rese conto di aver oltrepassato il segno quando vide gli occhi di Damon lampeggiare.

Un secondo dopo era inchiodata al letto, la mano del vampiro artigliata attorno al suo collo e il suo viso a pochi centimetri da sé.

Parlò con voce bassa e graffiante “Se davvero non m’importasse della tua vita, ti avrei mollata là risparmiandomi due paletti conficcati nel mio corpo” la osservò ancora negli occhi castani, che ormai non conservavano più nessuna traccia della spavalderia di poco prima ed erano solo impauriti e avviliti. Lasciò la presa sulla sua gola e avvicinò piano le labbra a quelle piccole vene azzurrine che lo stavano chiamando da quando quel lurido vampiro l’aveva morsa.

Bonnie non singhiozzava più, era immobile sotto il corpo di Damon e aveva smesso di nuovo di respirare. Chiuse gli occhi con lentezza e il desiderio di essere morsa s’impossessò di lei. I brividi avevano ricominciato a salire dalla schiena, per tutta la colonna vertebrale, sempre più intensi, sempre più logoranti.

E quando Damon posò la bocca sul suo collo, questi esplosero come fuochi d’artificio.

“Sei calda, Uccellino, calda come il fuoco” la voce del vampiro ora si era fatta roca e provocante e Bonnie avvertì la sua temperatura salire a mille.

L’aria fredda la colpì in volto e il suo corpo venne liberato (con certo disappunto da parte di entrambi) dal peso di Damon.

“Vedi di curarti, Streghetta” l’ammonì bonariamente“Non vorrei mai che mi addossassi altre colpe che non ho”.

Aprì la finestra, mentre la ragazza si rintanava nelle coperte, un po’ scossa e già dimentica del suo attacco d’ira.

“Comunque non avrei  mai permesso che ti accadesse qualcosa di male”.

Bonnie non si voltò nemmeno; sapeva che se n’era andato. In ogni caso ora c’era un’altra cosa che occupava la sua mente.

Brividi.

Non erano dovuti alla febbre e nemmeno al freddo proveniente dalla finestra aperta, questo era tutto ciò di cui era sicura. Il vero motivo le era ignoto.

Sapeva solo che erano lì, nella sua schiena, nel suo ventre.

Li sentiva ancora.

Li sentiva nella pelle.

Li sentiva nelle vene.

Li sentiva nella ossa.

 

“Your fingertips are like a superhuman touch
Can't get enough of this electric love
Burning the sun with just a wave of your hand
Sparks flying out in every direction
There's more of this to come
I think it must be heaven
Burning the sun with just a wave of your hand”

( Superhuman Touch- Athlete).

 

 

 

 

*Mi sono basata su quello che ho fatto io l’anno scorso di matematica, non sapendo come siano i programmi negli Stati Uniti.

**/*** Ovvi riferimenti a Harry Potter.

**** E’ una battuta di Vicki Donovan nell’episodio “Ragazze perdute”.

*****Ho pensato che se c’è un congegno per individuare i vampiri, ce ne potrebbe essere uno per scovare i licantropi.

 

 

 

 

 

 

  
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