Prima
Parte, I
Anno
Capitolo
18 –
Stress Pre-Vacanze
Più
Marzo si
avvicinava alla fine, più mi sentivo grata del fatto che
presto ci sarebbero
state le vacanze di Pasqua. Sentivo di averne veramente bisogno: amavo
Hogwarts
ed era veramente stata come una seconda casa per me, ma in quel momento
tutto
quello che volevo era correre alla mia prima
casa e sentirmi dire che mi volevano bene e che tutto andava
per il meglio.
Pasqua
era
sempre stato un periodo che adoravo nella nostra famiglia. Primo,
perché ero
golosissima di cioccolato e i miei nonni mi portavano sempre almeno un
uovo.
Secondo, semplicemente, perché a Pasqua sembrava che niente
potesse andare
storto. Perciò era con discreta esaltazione che aspettavo
quel momento, anche e
soprattutto perché il mio compleanno sarebbe caduto proprio
il lunedì della
settimana di Pasqua, praticamente il primo giorno di vacanza, ed ero
felicissima di poterlo festeggiare in famiglia. In realtà,
ero molto ansiosa di
entrare a pieno termine nella mia adolescenza – tanto ansiosa
quando determinata
a non diventare una classica “oca” come mia nonna
diceva che tutti gli
adolescenti fossero. Per una questione di principio, io non volevo
esserlo. Mi
ripromisi che sarei rimasta semplicemente uguale a me stessa.
La
settimana
che precedette le vacanze parve la vendetta dei professori per il fatto
che
stessimo per andare in vacanza: ci caricarono di tanti compiti che
passai quasi
tutti i pomeriggi in sala comune o in biblioteca a studiare con Severus
e Remus
fino, e a volte anche oltre, l’ora di cena.
Certo,
studiare
con Remus poteva essere distraente: il più delle volte mi
fissavo a guardare il
movimento ritmico con cui si passava un dito nel nodo della cravatta
per
annodarlo mano a mano che la serata andava avanti, o la scrittura
minuta e
precisa con cui scriveva. A essere onesta gliela invidiavo
appassionatamente:
non avevo una calligrafia orribile, ma ero mille miglia lontana dalla
precisione stampata del suo corsivo. In compenso stavo diventando
sempre più
brava a fare la gnorri quando lui si girava verso di me, e il fissare
la
pergamena con aria concentratissima non aveva più misteri
per me. Da quel che
mi dicevano le mie guance, non avevo ancora imparato ad impedirmi di
arrossire,
ma speravo di arrivarci prima di dover dare spiegazioni imbarazzanti.
«Uff,
non ho la
più pallida idea di cosa significhi tutto
ciò» commentò la penultima sera prima
delle vacanze poggiando con forza la piuma sul tavolo e facendomi
sobbalzare.
Lo
guardai da
sopra il tema che stavo scrivendo: aveva le braccia incrociate e una
ruga
profonda fra le sopracciglia, e le sue labbra erano atteggiate in un
adorabile
broncio. Non l’avevo mai visto perdere il controllo a quel
modo.
«Cosa?»
chiesi
interrompendo il mio lavoro.
Si
girò verso
di me, quasi irritato, e sbottò:
«Perché c’è bisogno di un
incantesimo di
torsione per il ginkgo?»
Dovetti
controllare la mia mascella per impedirle di cadere a terra. Remus
sosteneva
ancora di avere problemi in Pozioni, il che io non ritenevo vero, e si
divertiva a scherzare con me e Alice sul fatto che non ne capisse
niente. Non
era mai scattato così solo per una difficoltà
sull’uso di una pianta.
Alice,
di
fronte a me, sembrava pensarlo allo stesso modo.
«Be’, le foglie del ginkgo
biloba sono famose per aiutare la circolazione cerebrale ossigenandone
maggiormente le cellule.»
Guardai
Alice
con un mezzo sorriso: erbologia, sia magica che babbana, era qualcosa
in cui
non aveva minimamente rivali. A parte forse Frank Paciock, difficile a
dirsi –
dopotutto quando parlavano insieme sembrava di ascoltare due
giardinieri in
fase di dibattito.
«E
quindi cosa
c’entra con una pozione per dimenticare? E perché
l’incantesimo di torsione?»
La voce di Remus risuonò come uno schiocco di frusta.
Lo
guardai
ancora più stupita. «Be’, il ginkgo da
solo aiuta la memoria, l’incantesimo di
torsione serve a invertirne gli effetti e quindi permette alla pozione
di
cominciare una reazione chimica che…»
«Sì,
sì, grazie
tante» sbuffò lui incrociando nuovamente le
braccia.
Sia
io che
Alice ci scambiammo uno sguardo incredulo. «Remus, ti senti
bene?» chiese
cautamente lei.
«Benissimo,
perché?» ribatté lui piantandole due
occhi dilatati addosso.
«Sembri…
diverso» dissi io studiando con attenzione i suoi movimenti.
Sbuffò
e si
passò una mano fra i capelli. Sobbalzai: era un gesto
così alla Potter che per
un attimo mi sembrò quasi di trovarmelo di fronte. Poi
però chiuse gli occhi e
trasse tre respiri profondi, tornando ad essere il mio Remus. Quando
tornò a
guardarci, l’ombra dietro il suo sguardo era sparita.
«Scusate, ragazze» ci disse
piano, rilassando i muscoli della schiena. «È solo
che… dev’essere lo stress da
fine trimestre.» Ci rivolse un sorriso un po’
debole e tornò a guardare il
tema. «Tanto non riuscirò a finirlo per
domani» disse all’improvviso
raccogliendo le sue cose. «Meglio che dorma un po’,
così magari domani non sarò
un tale piccolo insopportabile idiota. Buonanotte.»
Io
stavo per
protestare, ma la mano di Alice trovò la mia e me la
strinse, bloccandomi. Nel
tempo che le rivolsi un’occhiataccia, Remus si trovava
già sulle scale del suo
dormitorio e stava superando un Frank Paciock alquanto sorpreso.
Ci
venne
incontro e si sedette sulla sedia lasciata libera da Remus.
«Lo avete
accoltellato con una piuma, quel povero ragazzo?» ci chiese
passando lo sguardo
dall’una all’altra.
«No»
rispose
Alice, indignata per tutte e due. «Non so, stavamo finendo i
nostri temi di
pozioni e d’un tratto gli si è storta la
luna.»
Io
stavo ancora
guardando nella direzione in cui Remus era sparito e quindi mi persi la
battuta
successiva, ma quando Alice sbottò: «Non
è colpa mia se voi maschi siete
soltanto un gruppo di disturbati lunatici!», mi trovai
costretta a girarmi.
«Eppure
non
sono io quello che sta strillando» osservò Frank
guardandola con un misto di
affetto e divertimento.
«È
interamente
colpa tua, Frank Paciock» fu la molto dignitosa risposta di
Alice, che però
stava sorridendo in risposta.
Per
un attimo
rimasero a guardarsi e io, trovando un’occasione per
vendicarmi dei loro
commenti di quasi due mesi prima – e no, non ero
assolutamente una persona che
portava rancore – ne approfittai per commentare:
«Sapete, sareste una
bellissima coppia.»
Ebbi
la
soddisfazione di farli violentemente arrossire entrambi, ma il piacere
di una
loro risposta mi fu sottratto da una voce che dietro di me
commentò: «È
esattamente quello che sostengo anche io, Evans.» Spettinato
come sempre,
immancabilmente accompagnato da Black e Minus, Potter si era
noncurantemente
appoggiato allo schienale della mia sedia e ci stava guardando tutti
dall’alto
in basso.
«Per
inciso,
non è che Remus ha lasciato qui il suo tema?»
s’informò in tono salottiero
Black facendo scorrere lo sguardo sul tavolo. «No,
perché non sputerei in
faccia all’occasione di levarmelo dai
piedi…»
Benedissi
mentalmente Remus e la sua previdenza nel portarsi via il tema.
«Invece di
copiare e fare arrabbiare sia Remus che i professori, non potreste
sforzare
quei quattro neuroni che non sono ancora morti di solitudine del vostro
cervello?» ribattei altezzosamente riarrotolando il mio tema.
Black
mi guardò
con un sopracciglio inarcato. «A volte vorrei che mi fosse
possibile
comprenderti, Evans» commentò storcendo appena il
labbro. «Ma purtroppo non è
così, quindi ti prego di voler risparmiare il
fiato.»
«Allora
lo
porto all’altezza della tua comprensione» ribattei
io bellicosamente inarcando
anch’io un sopracciglio – non potevo certo
permettergli di mantenere il
primato. «Smettetela – di – copiare
– da – Remus. Capito?»
«Concetto
interessante, forma difficile» commentò Potter da
sopra la mia testa.
«E
tu levati
dalla mia sedia» gli dissi alzando lo sguardo verso di lui.
«Na,
ci sto
comodo» ribatté lui appoggiandocisi ancor
più pesantemente.
Alice
alzò gli
occhi al cielo e scambiò un’occhiata con Frank,
che per tutta risposta roteò
gli occhi e sorrise.
Probabilmente
quello mi irritò più del commento di Potter,
perché mi alzai in piedi di scatto
spedendogli, con grande soddisfazione, la sedia nello stomaco e chiusi
con un
colpo secco il libro per dar maggior teatralità alla cosa.
Poi mi voltai a
fronteggiare Potter, che si stava massaggiando lo stomaco.
«Tu ti rendi conto
che solo per pozioni abbiamo un tema sulla corretta preparazione della
pozione
per dimenticare, una relazione sui dodici usi del sangue di drago e tre
capitoli da studiare, vero?»
«Evans,
smettila
di essere così bacchettona» ribatté
tranquillamente lui. «Ti verranno le
rughe.»
Mia
nonna
diceva sempre che prima di rispondere a qualcuno quando si era
arrabbiati era
meglio contare fino a dieci. Non arrivai neppure a sette. «E
tu smettila di
essere così idiota!» gli strillai poco
signorilmente contro. Mi voltai di
scatto dalla sua faccia sogghignante a quella di Black. «E
anche tu, dov’è la
pergamena di Remus, devo copiare questo tema, devo copiare
quest’elenco! Cosa
ci venite a fare qui a scuola, ne avete una qualche idea?»
Udii
vagamente
Alice dirmi qualcosa da dietro ma non ci feci caso, troppo concentrata
a
fulminare con gli occhi Potter e Black. «Non me ne
importerebbe niente dei
vostri casini, se solo riusciste a tenerveli per voi, ma invece dovete
sempre
coinvolgere altri, ed è la cosa più egoista e
disg…»
«Che
cosa
succede qui? Lily, perché stai urlando?» Debbie
era arrivata da dietro di Black
e ci stava fissando tutti con sguardo severo.
Io
mi morsi le
labbra. Non approvavo i metodi di Potter e Black ma non li avrei
denunciati per
principio, non mi sarei mai abbassata al livello di una spia.
«Io…» balbettai
sentendomi le guance andare a fuoco. «Io… stavo
solo…» Il sogghigno di Potter a
pochi centimetri dalla mia faccia incandescente non aiutava.
«È
stata
semplicemente provocata, signorina, è stato tutto
un… un malinteso» mi venne in
aiuto Alice, alzandosi dalla sedia.
«Sì,
è stato
solo un brutto fraintendimento» le diede manforte Frank.
«Vero Lily?»
Passai
lo
sguardo da loro due a Potter e Black. «Ovviamente»
gli sillabai in faccia, per
poi rilassare di nuovo i muscoli e guardare Debbie. «Mi
dispiace, Debbie, ho
perso le staffe, non avrei dovuto…»
«Che
non
succeda mai più, Lily» mi disse lei guardandomi
negli occhi. «Urlare in Sala
Comune non è soltanto sbagliato, è maleducato nei
confronti degli altri ragazzi
che sono qui e che hanno diritto a un luogo tranquillo per
studiare.»
Avevo
gli occhi
lucidi e le guance rossissime, ma tenni gli occhi bassi e sussurrai
appena: «Mi
dispiace, lo giuro, è solo che…»
«Va
bene così,
Lily» disse soltanto lei prima di tornare alla sua poltrona e
ai suoi amici
accanto al fuoco.
Mi
sentivo
negli occhi le lacrime dell’umiliazione e le unghie che mi
ero affondata nel
palmo dall’inizio del rimbotto stavano cominciando a farmi
veramente male.
Mi
morsi le
labbra a sangue e mi girai di scatto a prendere le mie cose, che
scaraventai
senza grazia in borsa, prima di dirigermi in dormitorio.
«Lily…»
mi
chiamò Alice venendomi incontro, ma io la scansai con un
gesto secco e mi
diressi quasi di corsa verso il mio dormitorio, dove Vane e McDonald
stavano
chiacchierando di fronte ad una collezione di smalti magici.
Alzarono
la
testa alla mia brusca entrata. «Evans, vuoi
provare?» mi chiese graziosamente
Vane indicandomi l’ampia gamma di colori a sua disposizione.
«Lasciami
in
pace» fu la mia poco diplomatica risposta mentre buttavo la
borsa sul letto e
mi chiudevo in bagno. Aprii l’acqua del rubinetto per
soffocare il rumore e mi
sedetti sul bordo della finestra, ginocchia al petto, a piangere per il
bruciante senso di mortificazione che le parole di Debbie avevano
lasciato.
Poco
tempo
dopo, sentii bussare alla porta e la voce di Alice mi raggiunse:
«Lily? Lily,
sei qui?»
Mi
immobilizzai
e mi asciugai velocemente le lacrime.
«Lily?
Possiamo
parlarne, dai…»
Mi
strinsi più
forte le ginocchia al petto.
«Lily?
Su, dai,
vieni fuori…»
Mi
morsi le
labbra e sbloccai lentamente le braccia, alzandomi dal davanzale
cercando di
non fare rumore.
«Lily!
Guarda
che vengo dentro io!»
Non
avevo pensato
a quell’eventualità. Mi scervellai in cerca di un
incantesimo che mi
permettesse di bloccare la porta, ma non me ne venne in mente neanche
uno. Ero
più che sicura che ne avessi letto uno almeno una volta, ma
in quel momento
proprio non riuscivo a ricordarmi né la formula
né se avevo mai imparato a
farlo.
«Lily!
Conto
fino a tre!»
Venni
velocemente a patti con il fatto che farmi stanare come una bambina
riottosa
sarebbe stato molto meno dignitoso che aprire la porta di persona, e
lanciai
quindi un’occhiata veloce allo specchio per accertarmi che i
miei occhi non
recassero troppe tracce di pianto.
«Uno…»
Mi
lavai
velocemente la faccia per cercare di far passare il rossore che me li
contornava.
«Due…»
Le
aprii la
porta in faccia sul tre, la tirai dentro prima che potesse reagire e
richiusi
la porta dietro di lei senza neanche preoccuparmi di guardare le
reazioni di
Vane e McDonald. E tanti cari saluti alla dignità salva.
Alice
ci mise
qualche secondo per riprendersi dal brusco cambio di stanza. Mi
guardò incerta
qualche secondo, mentre io contraevo la mia faccia per non mostrare
assolutamente niente. Con scarsi risultati. Una rapida sbirciatina allo
specchio mi mostrò una faccia a metà fra
l’imbronciato e il furioso.
Intanto,
Alice
aveva ripreso fiato. «Senti, lo so che quei tre sono cretini
e che Debbie è
stata ingiusta, ma, davvero, non importa a
nessuno…»
«Ero
solo
stanca» risposi senza convincere nessuno.
Alice
storse le
labbra, probabilmente offesa da quell’insulto alla sua
intelligenza.
Sospirai
pesantemente e mi preparai a rendere la mia recita più
convincente. «Sono
stanca, Alice» ripetei, e siccome non era così
falso non dovetti nemmeno
sforzarmi tanto per far assumere al mio tono una nota strascinata.
«Con tutti
questi compiti, e gli esami che si avvicinano, e…»
«Lily,
agli
esami mancano mesi»
puntualizzò lei.
Risi
debolmente. «Quando hai per amici Sev e Remus è
difficile tenerlo presente…»
Rise
anche lei.
«Sì, quei due insieme devono essere una macchina
da guerra» osservò con un
sorriso. «Insomma, Remus è sempre convinto di non
sapere niente e poi è il
cocco di tutti i professori, e anche Piton… è
sempre così… così concentrato,
come se quello che stesse
facendo fosse la cosa più importante al
mondo…»
Sorrisi
a
quella descrizione molto azzeccata del mio migliore amico.
«Ma
seriamente,
Lily, non dovresti permettergli di stancarti, sei comunque una delle
studentesse migliori della scuola, perfino Jack stava
dicendo…»
«Chi
è… Jack?»
chiesi cercando freneticamente nella memoria un nome da collegare alla
faccia.
Lei
rise di
nuovo. «Certo, Lily, a volte veramente… Jack Boot,
Corvonero del nostro anno.
Non puoi non sapere chi
è, è seduto
tre banchi più in là a
Incantesimi…»
Ci
misi un
secondo per focalizzare un viso appuntito e lentigginoso, non brutto,
ma con ancora
tutta l’infanzia addosso. Era molto bravo a Incantesimi, in
effetti, uno dei
migliori. «L’ho sempre chiamato Boot, al massimo
John, non mi era mai…»
«Ecco,
altro
problema di frequentare due patiti dello studio»
sottolineò Alice con aria
perfida. «Ti perdi tutti i moti sotterranei della
scuola…»
Sorrisi
in un
tentativo di humor. «Per i sotterranei di solito mi affido a
Sev, in effetti…»
La
sua risata e
le sue successive chiacchiere su John/Jack Boot mi informarono che
almeno per
il momento ero salva da una discussione sulle mie reazioni emotive.
Angolo
Autrice
Sì,
lo so che non è affatto cortese tornare
dopo mesi di assenza con un capitolo di transizione. Non è
neppure giusto. Ma
questo è quello che passa per il convento, e
chissà perché per il convento
passa solo quello che vuole passare.
Non
mi dilungherò ulteriormente sulle abitudine
di vari ritrovi religiosi.
Capitolo
non particolarmente ricco, e che non
arriva neppure dove mi aspettavo di farlo arrivare – anche
perché ho cominciato
a scriverlo prima che iniziasse la scuola e l’ho finito,
aehm, oggi, quindi
l’idea originale per giocoforza si doveva modificare.
Se
a qualcuno interessa guardare il calendario
lunare del 1972, anno in cui ci troviamo, saprà che la luna
piena di Marzo era
il 29, ergo Pasqua cadeva il 2 aprile, cosa di cui ci interessa
relativamente,
ma vuol dire che il malumore di Remus è effettivamente, come
ha così
argutamente osservato Alice, dovuto alla “luna
storta”.
Per
i più attenti, il cognome “Boot”
è una
vecchia conoscenza. Se non sbaglio nella versione italiana veniva reso
come
“Steeval” o qualcosa del genere, per resa di nomi
parlanti, ma siccome non me
lo ricordavo e non mi andava di andare a guardare, sono andata per la
versione
inglese e grazie tante.
Ah,
che durante le vacanze pasquali fosse
possibile tornare a casa l’ho dedotto dal fatto che nel terzo
HP i Dursley
pregano Harry di “restare a scuola per le vacanze di Natale e
di Pasqua” e che
nel settimo, se non sbaglio, Ginny non torna più a scuola
“dopo le vacanze di
Pasqua”. Non ho i libri sottomano, non posso citarvi le
pagine ma da qualche
parte c’è, parola di nerd.
Che
altro dire, sono ancora in preda a questa
specie di blocco scrittorio che mi sta consumando le risorse psichiche
e quindi
non posso promettere niente riguardo al prossimo capitolo. Posso solo
dire che
non ho intenzioni di sospendere questa storia fino a quando non si
mostrerà
chiaro che il contrario è una mera presa in giro, ma ho
paura che gli
aggiornamenti continueranno a essere discontinui. Credetemi, sono la
prima a
rammaricarmene.
Intanto, però, ho tutti
i diritti di
compiacermi del fatto che malgrado la mia carenza di disciplina sono
arrivata
per la prima volta nella mia storia di autrice a ben 94 recensioni
totali J Bene, avete appena
fatto di me una scrittrice
felice. Idem con patate per i 32 che hanno messo questa storia fra i
preferiti,
i 6 fra le ricordate e i 61 (61!) fra le seguite.
Applausi!
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