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Autore: LadyMorgan    19/11/2011    1 recensioni
Ogni storia, grande o piccola che sia, ha un inizio. Un inizio a volte dimenticato, confuso, perduto. Ma non per questo meno importante. Questa è la storia di Lily Evans e del suo Inizio.
Dal Capitolo I:
"Non so quali pianeti si fossero messi d’accordo per rendere la mia nascita così difficile, ma fu così: trentasei ore di travaglio piene, in cui mia madre fece del suo meglio e del suo peggio per dare vita ad un essere di tre chili e mezzo che come primo ringraziamento la fissò con due occhi grandi come metà faccia."

Questa storia parla della vita di Lily Evans, raccontata da lei stessa in prima persona.
In particolare del suo primo anno ad Hogwarts e di come mano a mano si forma la sua brillante personalità.
Dal 3° Capitolo
"La cosa più irritante in assoluto, invece, erano Black e Potter, non necessariamente in quest’ordine: Remus aveva ragione, dovevano conoscersi già da prima, perché non passava momento senza che stessero insieme, normalmente al centro dell’attenzione. Erano diversi, però: Black più facilmente sogghignava invece di ridere, ed uno strano sguardo che ogni tanto gli spuntava negli occhi mi dava da riflettere, sembrava stesse cercando di trattenersi dall’urlare; Potter invece aveva sempre un sorriso che gli inghiottiva metà faccia, non uno di quei sorrisi che ti rendono spontaneo ricambiarlo, ma un sorriso che sembrava avvisarti che da un momento all’altro il soffitto ti sarebbe caduto addosso e lui avrebbe potuto sghignazzare in santa pace mentre tu ti liberavi delle macerie."
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: I Malandrini, Lily Evans, Lucius Malfoy, Petunia Dursley, Severus Piton
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Altro contesto
Capitoli:
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Prima Parte, I Anno

Capitolo 18 – Stress Pre-Vacanze

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Più Marzo si avvicinava alla fine, più mi sentivo grata del fatto che presto ci sarebbero state le vacanze di Pasqua. Sentivo di averne veramente bisogno: amavo Hogwarts ed era veramente stata come una seconda casa per me, ma in quel momento tutto quello che volevo era correre alla mia prima casa e sentirmi dire che mi volevano bene e che tutto andava per il meglio.

Pasqua era sempre stato un periodo che adoravo nella nostra famiglia. Primo, perché ero golosissima di cioccolato e i miei nonni mi portavano sempre almeno un uovo. Secondo, semplicemente, perché a Pasqua sembrava che niente potesse andare storto. Perciò era con discreta esaltazione che aspettavo quel momento, anche e soprattutto perché il mio compleanno sarebbe caduto proprio il lunedì della settimana di Pasqua, praticamente il primo giorno di vacanza, ed ero felicissima di poterlo festeggiare in famiglia. In realtà, ero molto ansiosa di entrare a pieno termine nella mia adolescenza – tanto ansiosa quando determinata a non diventare una classica “oca” come mia nonna diceva che tutti gli adolescenti fossero. Per una questione di principio, io non volevo esserlo. Mi ripromisi che sarei rimasta semplicemente uguale a me stessa.

La settimana che precedette le vacanze parve la vendetta dei professori per il fatto che stessimo per andare in vacanza: ci caricarono di tanti compiti che passai quasi tutti i pomeriggi in sala comune o in biblioteca a studiare con Severus e Remus fino, e a volte anche oltre, l’ora di cena.

Certo, studiare con Remus poteva essere distraente: il più delle volte mi fissavo a guardare il movimento ritmico con cui si passava un dito nel nodo della cravatta per annodarlo mano a mano che la serata andava avanti, o la scrittura minuta e precisa con cui scriveva. A essere onesta gliela invidiavo appassionatamente: non avevo una calligrafia orribile, ma ero mille miglia lontana dalla precisione stampata del suo corsivo. In compenso stavo diventando sempre più brava a fare la gnorri quando lui si girava verso di me, e il fissare la pergamena con aria concentratissima non aveva più misteri per me. Da quel che mi dicevano le mie guance, non avevo ancora imparato ad impedirmi di arrossire, ma speravo di arrivarci prima di dover dare spiegazioni imbarazzanti.

«Uff, non ho la più pallida idea di cosa significhi tutto ciò» commentò la penultima sera prima delle vacanze poggiando con forza la piuma sul tavolo e facendomi sobbalzare.

Lo guardai da sopra il tema che stavo scrivendo: aveva le braccia incrociate e una ruga profonda fra le sopracciglia, e le sue labbra erano atteggiate in un adorabile broncio. Non l’avevo mai visto perdere il controllo a quel modo.

«Cosa?» chiesi interrompendo il mio lavoro.

Si girò verso di me, quasi irritato, e sbottò: «Perché c’è bisogno di un incantesimo di torsione per il ginkgo?»

Dovetti controllare la mia mascella per impedirle di cadere a terra. Remus sosteneva ancora di avere problemi in Pozioni, il che io non ritenevo vero, e si divertiva a scherzare con me e Alice sul fatto che non ne capisse niente. Non era mai scattato così solo per una difficoltà sull’uso di una pianta.

Alice, di fronte a me, sembrava pensarlo allo stesso modo. «Be’, le foglie del ginkgo biloba sono famose per aiutare la circolazione cerebrale ossigenandone maggiormente le cellule.»

Guardai Alice con un mezzo sorriso: erbologia, sia magica che babbana, era qualcosa in cui non aveva minimamente rivali. A parte forse Frank Paciock, difficile a dirsi – dopotutto quando parlavano insieme sembrava di ascoltare due giardinieri in fase di dibattito.

«E quindi cosa c’entra con una pozione per dimenticare? E perché l’incantesimo di torsione?» La voce di Remus risuonò come uno schiocco di frusta.

Lo guardai ancora più stupita. «Be’, il ginkgo da solo aiuta la memoria, l’incantesimo di torsione serve a invertirne gli effetti e quindi permette alla pozione di cominciare una reazione chimica che…»

«Sì, sì, grazie tante» sbuffò lui incrociando nuovamente le braccia.

Sia io che Alice ci scambiammo uno sguardo incredulo. «Remus, ti senti bene?» chiese cautamente lei.

«Benissimo, perché?» ribatté lui piantandole due occhi dilatati addosso.

«Sembri… diverso» dissi io studiando con attenzione i suoi movimenti.

Sbuffò e si passò una mano fra i capelli. Sobbalzai: era un gesto così alla Potter che per un attimo mi sembrò quasi di trovarmelo di fronte. Poi però chiuse gli occhi e trasse tre respiri profondi, tornando ad essere il mio Remus. Quando tornò a guardarci, l’ombra dietro il suo sguardo era sparita. «Scusate, ragazze» ci disse piano, rilassando i muscoli della schiena. «È solo che… dev’essere lo stress da fine trimestre.» Ci rivolse un sorriso un po’ debole e tornò a guardare il tema. «Tanto non riuscirò a finirlo per domani» disse all’improvviso raccogliendo le sue cose. «Meglio che dorma un po’, così magari domani non sarò un tale piccolo insopportabile idiota. Buonanotte.»

Io stavo per protestare, ma la mano di Alice trovò la mia e me la strinse, bloccandomi. Nel tempo che le rivolsi un’occhiataccia, Remus si trovava già sulle scale del suo dormitorio e stava superando un Frank Paciock alquanto sorpreso.

Ci venne incontro e si sedette sulla sedia lasciata libera da Remus. «Lo avete accoltellato con una piuma, quel povero ragazzo?» ci chiese passando lo sguardo dall’una all’altra.

«No» rispose Alice, indignata per tutte e due. «Non so, stavamo finendo i nostri temi di pozioni e d’un tratto gli si è storta la luna.»

Io stavo ancora guardando nella direzione in cui Remus era sparito e quindi mi persi la battuta successiva, ma quando Alice sbottò: «Non è colpa mia se voi maschi siete soltanto un gruppo di disturbati lunatici!», mi trovai costretta a girarmi.

«Eppure non sono io quello che sta strillando» osservò Frank guardandola con un misto di affetto e divertimento.

«È interamente colpa tua, Frank Paciock» fu la molto dignitosa risposta di Alice, che però stava sorridendo in risposta.

Per un attimo rimasero a guardarsi e io, trovando un’occasione per vendicarmi dei loro commenti di quasi due mesi prima – e no, non ero assolutamente una persona che portava rancore – ne approfittai per commentare: «Sapete, sareste una bellissima coppia.»

Ebbi la soddisfazione di farli violentemente arrossire entrambi, ma il piacere di una loro risposta mi fu sottratto da una voce che dietro di me commentò: «È esattamente quello che sostengo anche io, Evans.» Spettinato come sempre, immancabilmente accompagnato da Black e Minus, Potter si era noncurantemente appoggiato allo schienale della mia sedia e ci stava guardando tutti dall’alto in basso.

«Per inciso, non è che Remus ha lasciato qui il suo tema?» s’informò in tono salottiero Black facendo scorrere lo sguardo sul tavolo. «No, perché non sputerei in faccia all’occasione di levarmelo dai piedi…»

Benedissi mentalmente Remus e la sua previdenza nel portarsi via il tema. «Invece di copiare e fare arrabbiare sia Remus che i professori, non potreste sforzare quei quattro neuroni che non sono ancora morti di solitudine del vostro cervello?» ribattei altezzosamente riarrotolando il mio tema.

Black mi guardò con un sopracciglio inarcato. «A volte vorrei che mi fosse possibile comprenderti, Evans» commentò storcendo appena il labbro. «Ma purtroppo non è così, quindi ti prego di voler risparmiare il fiato.»

«Allora lo porto all’altezza della tua comprensione» ribattei io bellicosamente inarcando anch’io un sopracciglio – non potevo certo permettergli di mantenere il primato. «Smettetela – di – copiare – da – Remus. Capito?»

«Concetto interessante, forma difficile» commentò Potter da sopra la mia testa.

«E tu levati dalla mia sedia» gli dissi alzando lo sguardo verso di lui.

«Na, ci sto comodo» ribatté lui appoggiandocisi ancor più pesantemente.

Alice alzò gli occhi al cielo e scambiò un’occhiata con Frank, che per tutta risposta roteò gli occhi e sorrise.

Probabilmente quello mi irritò più del commento di Potter, perché mi alzai in piedi di scatto spedendogli, con grande soddisfazione, la sedia nello stomaco e chiusi con un colpo secco il libro per dar maggior teatralità alla cosa. Poi mi voltai a fronteggiare Potter, che si stava massaggiando lo stomaco. «Tu ti rendi conto che solo per pozioni abbiamo un tema sulla corretta preparazione della pozione per dimenticare, una relazione sui dodici usi del sangue di drago e tre capitoli da studiare, vero?»

«Evans, smettila di essere così bacchettona» ribatté tranquillamente lui. «Ti verranno le rughe.»

Mia nonna diceva sempre che prima di rispondere a qualcuno quando si era arrabbiati era meglio contare fino a dieci. Non arrivai neppure a sette. «E tu smettila di essere così idiota!» gli strillai poco signorilmente contro. Mi voltai di scatto dalla sua faccia sogghignante a quella di Black. «E anche tu, dov’è la pergamena di Remus, devo copiare questo tema, devo copiare quest’elenco! Cosa ci venite a fare qui a scuola, ne avete una qualche idea?»

Udii vagamente Alice dirmi qualcosa da dietro ma non ci feci caso, troppo concentrata a fulminare con gli occhi Potter e Black. «Non me ne importerebbe niente dei vostri casini, se solo riusciste a tenerveli per voi, ma invece dovete sempre coinvolgere altri, ed è la cosa più egoista e disg…»

«Che cosa succede qui? Lily, perché stai urlando?» Debbie era arrivata da dietro di Black e ci stava fissando tutti con sguardo severo.

Io mi morsi le labbra. Non approvavo i metodi di Potter e Black ma non li avrei denunciati per principio, non mi sarei mai abbassata al livello di una spia. «Io…» balbettai sentendomi le guance andare a fuoco. «Io… stavo solo…» Il sogghigno di Potter a pochi centimetri dalla mia faccia incandescente non aiutava.

«È stata semplicemente provocata, signorina, è stato tutto un… un malinteso» mi venne in aiuto Alice, alzandosi dalla sedia.

«Sì, è stato solo un brutto fraintendimento» le diede manforte Frank. «Vero Lily?»

Passai lo sguardo da loro due a Potter e Black. «Ovviamente» gli sillabai in faccia, per poi rilassare di nuovo i muscoli e guardare Debbie. «Mi dispiace, Debbie, ho perso le staffe, non avrei dovuto…»

«Che non succeda mai più, Lily» mi disse lei guardandomi negli occhi. «Urlare in Sala Comune non è soltanto sbagliato, è maleducato nei confronti degli altri ragazzi che sono qui e che hanno diritto a un luogo tranquillo per studiare.»

Avevo gli occhi lucidi e le guance rossissime, ma tenni gli occhi bassi e sussurrai appena: «Mi dispiace, lo giuro, è solo che…»

«Va bene così, Lily» disse soltanto lei prima di tornare alla sua poltrona e ai suoi amici accanto al fuoco.

Mi sentivo negli occhi le lacrime dell’umiliazione e le unghie che mi ero affondata nel palmo dall’inizio del rimbotto stavano cominciando a farmi veramente male.

Mi morsi le labbra a sangue e mi girai di scatto a prendere le mie cose, che scaraventai senza grazia in borsa, prima di dirigermi in dormitorio.

«Lily…» mi chiamò Alice venendomi incontro, ma io la scansai con un gesto secco e mi diressi quasi di corsa verso il mio dormitorio, dove Vane e McDonald stavano chiacchierando di fronte ad una collezione di smalti magici.

Alzarono la testa alla mia brusca entrata. «Evans, vuoi provare?» mi chiese graziosamente Vane indicandomi l’ampia gamma di colori a sua disposizione.

«Lasciami in pace» fu la mia poco diplomatica risposta mentre buttavo la borsa sul letto e mi chiudevo in bagno. Aprii l’acqua del rubinetto per soffocare il rumore e mi sedetti sul bordo della finestra, ginocchia al petto, a piangere per il bruciante senso di mortificazione che le parole di Debbie avevano lasciato.

Poco tempo dopo, sentii bussare alla porta e la voce di Alice mi raggiunse: «Lily? Lily, sei qui?»

Mi immobilizzai e mi asciugai velocemente le lacrime.

«Lily? Possiamo parlarne, dai…»

Mi strinsi più forte le ginocchia al petto.

«Lily? Su, dai, vieni fuori…»

Mi morsi le labbra e sbloccai lentamente le braccia, alzandomi dal davanzale cercando di non fare rumore.

«Lily! Guarda che vengo dentro io!»

Non avevo pensato a quell’eventualità. Mi scervellai in cerca di un incantesimo che mi permettesse di bloccare la porta, ma non me ne venne in mente neanche uno. Ero più che sicura che ne avessi letto uno almeno una volta, ma in quel momento proprio non riuscivo a ricordarmi né la formula né se avevo mai imparato a farlo.

«Lily! Conto fino a tre!»

Venni velocemente a patti con il fatto che farmi stanare come una bambina riottosa sarebbe stato molto meno dignitoso che aprire la porta di persona, e lanciai quindi un’occhiata veloce allo specchio per accertarmi che i miei occhi non recassero troppe tracce di pianto.

«Uno…»

Mi lavai velocemente la faccia per cercare di far passare il rossore che me li contornava.

«Due…»

Le aprii la porta in faccia sul tre, la tirai dentro prima che potesse reagire e richiusi la porta dietro di lei senza neanche preoccuparmi di guardare le reazioni di Vane e McDonald. E tanti cari saluti alla dignità salva.

Alice ci mise qualche secondo per riprendersi dal brusco cambio di stanza. Mi guardò incerta qualche secondo, mentre io contraevo la mia faccia per non mostrare assolutamente niente. Con scarsi risultati. Una rapida sbirciatina allo specchio mi mostrò una faccia a metà fra l’imbronciato e il furioso.

Intanto, Alice aveva ripreso fiato. «Senti, lo so che quei tre sono cretini e che Debbie è stata ingiusta, ma, davvero, non importa a nessuno…»

«Ero solo stanca» risposi senza convincere nessuno.

Alice storse le labbra, probabilmente offesa da quell’insulto alla sua intelligenza.

Sospirai pesantemente e mi preparai a rendere la mia recita più convincente. «Sono stanca, Alice» ripetei, e siccome non era così falso non dovetti nemmeno sforzarmi tanto per far assumere al mio tono una nota strascinata. «Con tutti questi compiti, e gli esami che si avvicinano, e…»

«Lily, agli esami mancano mesi» puntualizzò lei.

Risi debolmente. «Quando hai per amici Sev e Remus è difficile tenerlo presente…»

Rise anche lei. «Sì, quei due insieme devono essere una macchina da guerra» osservò con un sorriso. «Insomma, Remus è sempre convinto di non sapere niente e poi è il cocco di tutti i professori, e anche Piton… è sempre così… così concentrato, come se quello che stesse facendo fosse la cosa più importante al mondo…»

Sorrisi a quella descrizione molto azzeccata del mio migliore amico.

«Ma seriamente, Lily, non dovresti permettergli di stancarti, sei comunque una delle studentesse migliori della scuola, perfino Jack stava dicendo…»

«Chi è… Jack?» chiesi cercando freneticamente nella memoria un nome da collegare alla faccia.

Lei rise di nuovo. «Certo, Lily, a volte veramente… Jack Boot, Corvonero del nostro anno. Non puoi non sapere chi è, è seduto tre banchi più in là a Incantesimi…»

Ci misi un secondo per focalizzare un viso appuntito e lentigginoso, non brutto, ma con ancora tutta l’infanzia addosso. Era molto bravo a Incantesimi, in effetti, uno dei migliori. «L’ho sempre chiamato Boot, al massimo John, non mi era mai…»

«Ecco, altro problema di frequentare due patiti dello studio» sottolineò Alice con aria perfida. «Ti perdi tutti i moti sotterranei della scuola…»

Sorrisi in un tentativo di humor. «Per i sotterranei di solito mi affido a Sev, in effetti…»

La sua risata e le sue successive chiacchiere su John/Jack Boot mi informarono che almeno per il momento ero salva da una discussione sulle mie reazioni emotive.

 

Angolo Autrice

Sì, lo so che non è affatto cortese tornare dopo mesi di assenza con un capitolo di transizione. Non è neppure giusto. Ma questo è quello che passa per il convento, e chissà perché per il convento passa solo quello che vuole passare.

Non mi dilungherò ulteriormente sulle abitudine di vari ritrovi religiosi.

 

Capitolo non particolarmente ricco, e che non arriva neppure dove mi aspettavo di farlo arrivare – anche perché ho cominciato a scriverlo prima che iniziasse la scuola e l’ho finito, aehm, oggi, quindi l’idea originale per giocoforza si doveva modificare.

Se a qualcuno interessa guardare il calendario lunare del 1972, anno in cui ci troviamo, saprà che la luna piena di Marzo era il 29, ergo Pasqua cadeva il 2 aprile, cosa di cui ci interessa relativamente, ma vuol dire che il malumore di Remus è effettivamente, come ha così argutamente osservato Alice, dovuto alla “luna storta”.

Per i più attenti, il cognome “Boot” è una vecchia conoscenza. Se non sbaglio nella versione italiana veniva reso come “Steeval” o qualcosa del genere, per resa di nomi parlanti, ma siccome non me lo ricordavo e non mi andava di andare a guardare, sono andata per la versione inglese e grazie tante.

Ah, che durante le vacanze pasquali fosse possibile tornare a casa l’ho dedotto dal fatto che nel terzo HP i Dursley pregano Harry di “restare a scuola per le vacanze di Natale e di Pasqua” e che nel settimo, se non sbaglio, Ginny non torna più a scuola “dopo le vacanze di Pasqua”. Non ho i libri sottomano, non posso citarvi le pagine ma da qualche parte c’è, parola di nerd.

 

Che altro dire, sono ancora in preda a questa specie di blocco scrittorio che mi sta consumando le risorse psichiche e quindi non posso promettere niente riguardo al prossimo capitolo. Posso solo dire che non ho intenzioni di sospendere questa storia fino a quando non si mostrerà chiaro che il contrario è una mera presa in giro, ma ho paura che gli aggiornamenti continueranno a essere discontinui. Credetemi, sono la prima a rammaricarmene.

 

Intanto, però, ho tutti i diritti di compiacermi del fatto che malgrado la mia carenza di disciplina sono arrivata per la prima volta nella mia storia di autrice a ben 94 recensioni totali J Bene, avete appena fatto di me una scrittrice felice. Idem con patate per i 32 che hanno messo questa storia fra i preferiti, i 6 fra le ricordate e i 61 (61!) fra le seguite.

Applausi!

  
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