L'Eredità del Lupo 2.0

di Mary P_Stark
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cap.1 ***
Capitolo 2: *** cap. 2 ***
Capitolo 3: *** cap. 3 ***
Capitolo 4: *** cap. 4 ***
Capitolo 5: *** cap. 5 ***
Capitolo 6: *** cap. 6 ***
Capitolo 7: *** cap. 7 ***
Capitolo 8: *** cap. 8 ***
Capitolo 9: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Cap.1 ***


 

1

 

 

 

 

«AANN!»

Quell’urlo, improvviso quanto stridulo, percosse le orecchie del giovane addormentato nel suo letto.

Sentendosi chiamare in modo così violento, Antalion si svegliò di soprassalto, sbatté il capo contro la testiera del letto e, per finire in bellezza, rotolò a terra nella fretta di alzarsi.

Le lunghe gambe finirono con l’impigliarsi nella pelliccia d’orso che teneva sopra le lenzuola e, nel crollare sul pavimento, picchiò con violenza un ginocchio, sbucciandoselo.

Alla fine di quella rovinosa caduta, sdraiato a terra a gambe e braccia divaricate, il fiato corto e l’aria più addormentata che sveglia, Antalion volse lentamente il capo in direzione della causa prima di quel disastro.

Accigliato, perciò, ringhiò: «Voi, piccole pesti… cosa devo…»

«An è tutto nudo, An è tutto nudo!» cominciarono a canticchiare in coro i due gemelli, saltellando allegramente per la stanza del fratello maggiore.

Spalancando gli occhi di colpo a quelle parole, Antalion si guardò per un momento prima di avvampare in viso e coprirsi alla bell’e meglio.

Il tutto, un attimo prima che la madre, in vestaglia da camera e l’aria scarmigliata di chi si è appena svegliato, comparisse sulla soglia della sua stanza.

Vagamente sorpresa dal trovare il figlio maggiore steso a terra, e i due gemelli già ben svegli e vestiti, Eikhe esalò confusa: «Ma che succede?»

«Chiedilo a loro.»

Con un brontolio, il giovane si rialzò da terra tenendo la pelle d’orso davanti all’inguine mentre la madre, con sguardo curioso, lo osservava alla luce dell’alba che penetrava dalla finestra.

Accortosi di quell’occhiata prolungata, Antalion si ritrovò ad arrossire nuovamente e, sedutosi sul letto, si coprì ancora di più, prima di bofonchiare: «Beh, che c’è?»

Con aria maliziosa, Eikhe sfiorò le spalle dei gemelli che, al suo solo tocco, si calmarono immediatamente.

Sorridendo poi al figlio maggiore, sentenziò: «Sai che somigli sempre di più a tuo padre?»

Da quando il padre era tornato, sei anni prima, Antalion aveva passato un sacco di tempo con l’uomo che gli aveva dato la vita ma che, per cause di forza maggiore, non era potuto stare con lui e vederlo crescere.

Durante la gravidanza di sua madre, in special modo, il giovane aveva legato in modo speciale con Aken, e il desiderio di renderlo fiero di lui e di vederlo felice, era stato il suo imperativo primario.

Inoltre, sapeva bene che le parole della madre erano più che veritiere. Fin dal principio, era parso evidente quanto si somigliassero, e a lui aveva sempre fatto piacere.

Si era comunque impegnato anima e corpo per diventare un eccellente guerriero e, con l’aiuto di Aken stesso e di Istrea, sapeva di essere riuscito nell’intento.

L’imbarazzo che, però, lo colse nel sentire quelle parole, non fu generato dal commento in sé, quanto dai sottintesi che in esso erano contenuti.

Non era diventato solo un buon combattente, ma anche la sua struttura fisica era cambiata, divenendo più imponente e muscolare.

Ed era quello che lo metteva a disagio.

Certo, non era mai stato smilzo o di bassa statura, ma l’allenamento intensivo cui si era sottoposto, lo aveva davvero mutato nell’aspetto.

I risultati, non solo si vedevano ampiamente, ma avevano causato anche diversi diverbi tra le ragazze del villaggio.

Liana, pur confortata dal sapere dell’amore incondizionato che Antalion provava per lei, si era accapigliata diverse volte con alcune sue amiche.

Era infatti capitato, e più di una volta, che alcune ragazze si fossero rivolte a lui per offrirsi come potenziali compagne di una notte.

Se la cosa aveva imbarazzato a morte Antalion, aveva mandato in bestia Liana che, dopo l’ennesimo litigio, aveva ingiuriato Aken per l’eccessivo impegno con cui aveva addestrato suo figlio.

La cosa era parsa così ridicola, agli occhi dell’uomo che, non solo non se l’era presa per il rimbrotto, ma aveva fatto notare alla giovane quanto potesse ritenersi fortunata di avere un compagno così prestante e valoroso.

Certo, Antalion aveva fulminato con lo sguardo il padre per quell’uscita maliziosa, ma Liana era sembrata soddisfatta e, con calma e pazienza, il suo umore si era pacificato.

Non che il metro e novanta di statura, e i quasi cento chili di muscoli fossero scomparsi, ma la cosa sembrava non essere più un problema.

O almeno, così sperava Antalion.

Il fatto che, però, anche sua madre gli facesse notare quel particolare, lo mandò nel pallone, portandolo a sdraiarsi sul letto, coprirsi con la pelle d’orso e ringhiare: «Uffa, mamma, non ti ci mettere anche tu!»

Ridendo di fronte all’imbarazzo manifesto del figlio maggiore, Eikhe trascinò fuori dalla stanza i due gemelli di sei anni, Enyl e Rannyl, e ordinò bonaria: «Vestiti, dai. Naell sarà qui nel primo pomeriggio, e ci sono ancora un sacco di cose da fare.»

«Sì, va bene, va bene.»

Con uno sbuffo infastidito, attese con pazienza che il trio fosse uscito dalla stanza dopodiché, non appena la porta fu chiusa, balzò fuori dal letto e si diresse alla cassapanca per estrarre i suoi abiti.

La cugina Naell, il giorno del suo dodicesimo compleanno, aveva espresso il desiderio di passare un po’ di tempo assieme agli zii, tra le donne-lupo del villaggio di Hyo-den.

Era suo desiderio imparare un nuovo stile di vita, così come un approccio diverso alla quotidianità.

Poiché la regina aveva promesso alla figlia minore che avrebbe esaudito questo suo desiderio, la richiesta era stata accettata.

Il giorno stesso, un messaggio era stato inviato tramite falco al Borgomastro di Marhna, in modo tale che la famiglia di Aken ed Eikhe fosse avvisata del prossimo arrivo della principessa.

Non appena Kannor, Borgomastro e amico di vecchia data di Aken, aveva fatto consegnare la missiva ai diretti interessati, nel villaggio erano iniziati i preparativi per accogliere Naell e il suo seguito.

Quel giorno, sarebbe giunta a Hyo-den e, nella via principale del villaggio, festoni fiorati e libagioni erano già stati sistemati su lunghe tavolate di legno piazzate ai lati della strada.

Restava solo da preparare la stanza che la principessa avrebbe occupato per il suo periodo di vacanza presso gli zii e, per quello, c’era bisogno di Antalion.

Non perché lui sapesse fare le cose meglio dei genitori ma perché, a conti fatti, Naell sarebbe stata la prima inquilina della casa che, nel giro di pochi mesi, Antalion e Liana avrebbero diviso insieme.

Molti lavori dovevano essere terminati, motivo per cui Antalion e la sua compagna ancora vivevano presso le rispettive famiglie, ma il grosso dell’edificio era stato ultimato.

Le camere e il bagno, inoltre, erano già usufruibili, perciò potevano ospitare degnamente la principessa in visita.

Eretta dietro l’abitazione di Eikhe e Aken, la baita era composta da un piano rialzato, abitativo, e un seminterrato dove erano state costruite una dispensa, una piccola cantina e una ghiacciaia.

Entro la fine dell’autunno, sarebbero riusciti a utilizzarla nel vero senso della parola ma, per il momento, Naell sarebbe stata la prima persona a dormirvi, assieme alla sua dama di compagnia.

Dopo essersi infilati gli stivaletti di pelle e aver raddrizzato la lunga tunica di pelle di daino, Antalion sgusciò fuori dalla sua stanza giusto in tempo per veder comparire suo padre dalla camera padronale.

Qualche filo grigio tingeva le sue tempie, e una lieve rete di rughe sottilissime ne increspava la pelle ai lati della bocca, ma questo conferiva al suo volto solo un tocco di gentilezza in più.

Alto non meno del figlio e per corporatura identico, Aken di Rajana pareva non essere cambiato, dal giorno in cui aveva messo piede per la prima volta nel villaggio di Hyo-den.

L’aria di montagna e la vita spartana sembravano essere un balsamo di lunga vita per lui e, di sicuro, prendersi cura di due canaglie con i figli minori, lo teneva in allenamento.

Sorridendogli nell’accostarsi a lui mentre si dirigevano assieme in cucina per la colazione, Antalion esordì dicendo: «Hai dormito bene? Ti vedo un po’ sciupato.»

«Ah-ah. Davvero spiritoso. Verrò a chiedertelo anch’io, una di queste mattine, quando ti sveglierai al fianco di Liana» replicò con un ghigno furbo Aken, dando una pacca amichevole sulla spalla del figlio, che sghignazzò.

«Dovresti stare attento… sai, alla tua età…» lo rimproverò bonariamente Antalion, prima di prendersi uno scappellotto amichevole sulla testa. «Ahia!»

«Ben ti sta, ragazzo. La mia è una famiglia estremamente longeva e potrei mettere incinta ancora tua madre, se volessi, giusto per dimostrartelo» ironizzò il padre, prima di puntare lo sguardo sulla figura esile e longilinea della compagna.

In quel momento, era impegnata a servire del latte fresco a Enyl, tutta felice nel suo vestitino nuovo, e con due graziose trecce bionde a incorniciarne il viso d’angelo.

Rannyl, al contrario, era scuro di capelli e dalla carnagione bronzea come il padre e il fratello maggiore ma, come tutti i figli della coppia, aveva occhi ambrati e luminosi come il sole.

Abbigliato con una tunica nuova e lunga fino al ginocchio, Rannyl si tirò nervosamente una manica prima di sorridere all’arrivo di padre e fratello.

Sollevando il suo bicchierone di latte, esclamò: «Buongiorno!»

Accomodandosi dopo aver dato un bacio sulla testa a entrambi i figli, Aken rispose dicendo: «Buongiorno. Si può sapere cos’è stato, il baccano di prima?»

Ridacchiando complici, Rannyl ed Enyl si guardarono per un momento prima di esclamare in coro: «Scherzetto!»

Vagamente accigliato, Antalion afferrò un biscotto dal piatto posizionato nel mezzo del tavolo della cugina e, sgranocchiandolo ombroso, mugugnò: «Non avevo bisogno di una sveglia così violenta.»

Enyl balzò dalla sedia per raggiungere il fratello maggiore e, poggiato il capo sulla coscia della gamba che Antalion aveva sbattuto a terra, massaggiò gentilmente l’arto contuso e sussurrò: «Fa tanto male?»

Aken cercò di nascondere un sogghigno dietro l’orlo della tazza da caffè mentre il  figlio maggiore, ammorbidendosi immediatamente di fronte alla gentilezza della sorellina, le carezzava il capo con affetto.

«Non più di tanto, tesoro. Finisci la colazione, così possiamo dare una mano a mamma a sistemare la stanza di Naell.»

«Sì» annuì Enyl, baciando il ginocchio di Antalion prima di tornare trotterellando alla sua sedia.

Era sempre stato così.

Per quanti scherzi facessero, per quanti danni combinassero, la gentilezza innata di Enyl appianava tutto, e Antalion diventava come burro fuso nelle sue mani.

Aken trovava quel comportamento tra fratelli il chiaro segno di chi, veramente, comandasse in casa, ma tendenzialmente preferiva non dirlo di fronte ad Antalion.

Anche Eikhe pensava che Enyl stesse diventando un’adorabile quanto subdola manipolatrice, e la cosa la divertiva un mondo.

Una volta diventata adulta,  nessuno avrebbe potuto metterle i piedi in testa.

Per Antalion, invece, era solo un piccolo angioletto da proteggere, anche quando ne combinava una peggio dei demoni di montagna.

Rannyl, invece, era tendenzialmente la spalla della sorella in ogni genere di guaio, o piano cospiratorio, ingegnato da Enyl.

Il più delle volte, ne copriva anche le tracce.

Difficilmente ne smascherava le marachelle, se non quando il disastro era così tremendo che la paura prendeva il sopravvento sulla complicità tra gemelli.

A ogni buon conto, Rannyl difendeva sempre la sorellina da qualsiasi pericolo, fosse anche solo un ragnetto o una lucertola, mentre Antalion si prendeva cura di entrambi con identica solerzia.

Forse, perché la loro nascita era stata decisamente travagliata.

O perché Antalion ne era stato tra i protagonisti.

Fatto stava che il giovane curava i suoi fratellini come se fossero stati i suoi stessi figli e, per Eikhe e Aken, era una gioia vederli crescere assieme sani e forti.

Naturalmente, ai gemelli non era mai stato detto cosa fosse successo la notte della loro nascita.

Era più che probabile che la solerzia quasi eccessiva di Antalion fosse nata da quell’evento che, solo per grazia di Hevon, non era finito in tragedia.

Nata per ultima, Enyl si era ritrovata ad avere il cordone ombelicale stretto attorno al collo e, solo grazie alle abili manipolazioni di Vesthe, la bimba era riuscita a uscirne viva.

Lo sforzo di nascere, però, l’aveva indebolita al punto da non permetterle di emettere il suo primo vagito.

Nel vederla mortalmente pallida e debole, Antalion l’aveva stretta tra le braccia ancora sporca di liquido amniotico e le aveva massaggiato il corpicino per riscaldarla, aiutandola a espellere l’aria come avrebbe dovuto.

Aken, nel frattempo, si era preso cura di Rannyl, più in forze rispetto alla sorellina, ma davvero piccolo tra le sue braccia robuste.

Vesthe, occupata con Eikhe, aveva così lasciato ai due uomini il compito di preoccuparsi dei bambini.

Per giorni interi Eikhe era rimasta a letto, pallida e smunta e con dolori addominali lancinanti.

Alla fine, però, si era ripresa ed era riuscita ad attaccare al seno entrambi i figli che, fino a quel momento, erano stati allattati da un’altra donna del villaggio, offertasi spontaneamente per dare una mano alla coppia.

Quegli eventi, avevano fatto sì che l’unione tra Antalion e i suoi fratelli divenisse ancor più stretta e forte.

Per quanto Eikhe detestasse ricordare quei tragici momenti, non poteva che sorridere nel vedere quale legame vi fosse, ora, tra i suoi figli.

A colazione ultimata, l’intera famiglia si diresse verso la casa di Antalion e, dopo aver aperto la porta d’ingresso, il giovane lasciò entrare per primi i gemelli.

Carichi di lenzuola fresche di bucato, i piccoli si diressero di corsa verso le stanze che avrebbe occupato Naell.

Scrutando soddisfatto le travature di legno che sorreggevano il soffitto e la cucina già debitamente montata, Antalion saggiò pensieroso la superficie liscia del tavolo in sala da pranzo.

«Credi che sia abbastanza grande? Non so, ho pensato che per sei persone potesse bastare, come inizio, ma…»

«Va più che bene, figliolo» lo tranquillizzò Aken, sorridendogli. «E, se vi fosse bisogno di un’aggiunta, non dovresti far altro che spostare il tavolino della cucina qui in sala da pranzo.»

Con un sogghigno, Antalion si lasciò andare a una breve risata derisoria.

«Lo so, sono nervoso, non dirmelo.»

«L’hai detto tu, non io.»

Aken gli diede una pacca sulla spalla, seguendo poi Eikhe lungo il disimpegno che conduceva alle stanze da letto.

Lì, Enyl e Rannyl avevano già poggiato le lenzuola sulla cassapanca di legno di ciliegio che Antalion stesso aveva intagliato l’estate precedente.

Impazienti, i bambini guardarono la madre in attesa che desse loro qualcos’altro da fare.

Nel vederli così eccitati, Eikhe ordinò loro: «Visto che siete così ben disposti a dare una mano, mettetevi a sistemare dei fiori nei vasi che ho portato ieri. Ma non strappateli dalle aiuole dei vicini.»

Enyl arrossì a quel commento e annuì, mentre Rannyl ridacchiava divertito.

Per via di un regalo improvvisato alla mamma – con relativo rimprovero corredato – Enyl era stata costretta a chiedere scusa alla padrona dei fiori che la bimba aveva strappato.

La donna, con una buona dose di ironia, l’aveva perdonata per i motivi davvero amorevoli che l’avevano spinta a prenderli senza permesso, ed Eikhe aveva sorriso alla figlioletta.

Colpevole, Enyl si era messa a piangere nel chiedere perdono più e più volte.

Intervenendo per dare una mano alla sorella, Rannyl la prese per mano e disse: « Li prenderemo qui dietro, nel boschetto.»

«Senza allontanarvi, mi raccomando» precisò Eikhe, prima di scrutare Antalion e aggiungere: «Mi aiuti?»

«Sì, mamma» annuì lesto, mentre i gemellini uscivano dalla camera e Aken li seguiva con lo sguardo.

«Vai pure con loro.»

Aken ringraziò con un sorriso la compagna, e si dileguò in silenzio dietro ai figli minori mentre Antalion sorrideva divertito.

Ammiccando al figlio maggiore, Eikhe disse sommessamente: «Non si sente ancora tranquillo a saperli in giro da soli, anche se sono a portata di voce.»

«Forse, avremmo dovuto mandare i lupi con loro. Allora, papà non si sarebbe preoccupato.»

Con un abile gesto di mano, stese il copri-materasso prima di lisciarlo con gesti morbidi del palmo dopodiché, presi due lembi della coperta di lana, la stese a sua volta, sistemandone gli orli negli angoli.

«Liar dovrebbe essere ancora con la compagna, …almeno, è lì che l’ho lasciato ieri notte, dopo che sono nati i cuccioli» mormorò pensierosa Eikhe, ripensando ai tre cuccioletti bianchi e neri nati solo una quindicina di ore prima.

Un sorriso soddisfatto si dipinse sul viso di Antalion quando ripensò alla notte appena trascorsa, passata interamente ad accudire Symil, la compagna di Liar.

Il suo risveglio così traumatico lo doveva anche a quella notte travagliata.

Diversamente, non sarebbe crollato dal letto a quel modo, neppure per uno scherzo dei fratellini.

In quel mentre, il ticchettio delle unghie di Mykos fece volgere lo sguardo a madre e figlio che, sorridenti, salutarono il lupo di Antalion.

Questi, fece capolino con il muso all’interno della stanza, prima di abbaiare il suo saluto.

«Ehi, canaglia! Dove te ne sei andato, ieri? Ti ho cercato dappertutto!» esclamò Antalion, finendo di sistemare il copriletto di pelliccia.

Mykos scodinzolò spiacente prima di mugugnare una risposta, al che il giovane fissò confuso la madre prima di esalare: «Ho capito bene? Affari del branco?»

Il lupo annuì col muso prima di volgere lo sguardo dietro di sé non appena Nak, il lupo di Liana e Fyn, il lupo di Aken, fecero il loro ingresso nella casa.

«Ed ecco rispuntare gli altri due. Eravate con lui, quindi?» chiese a quel punto Antalion, fissando i tre lupi con aria inquisitoria.

Tutti e tre annuirono e, dalla porta d’ingresso, la voce squillante e allegra di Liana fece capolino, borbottando: «Hanno le bocche cucite, questi tre. Li ho tartassati per bene, non appena li ho visti riemergere dal bosco, ma non mi hanno voluto dire niente.»

Antalion si illuminò in viso al solo sentire la voce dell’amata e, accoltala con un bacio leggero sulla bocca, le chiese: «Nak non ti ha detto proprio nulla?»

Salutando Eikhe con un sorriso e un bacio sulla guancia, Liana scosse subito dopo il capo, replicando: «Affari del branco.»

Eikhe allora fissò i tre lupi con aria vagamente confusa, mugugnando: «Beh, questa davvero non mi è mai capitata prima.»

I tre lupi si limitarono a scodinzolare prima di sgattaiolare nuovamente via e Liana, con un sospiro, esalò: «Valli a capire! Quando ci si mettono, sono peggio dei bambini piccoli.»

«Non posso che essere d’accordo.»

Con un risolino, Antalion fissò la madre - che stava ghignando divertita - prima di chiederle: «Perché sghignazzi così?»

«Perché stavo pensando a te da piccolo, e a come ti comportavi.»

Nel dirlo, gli sorrise dolcemente.

«Ma se ero bravissimo!» le ritorse contro Antalion, ammiccando malizioso.

«Anche troppo…» ammise lei. «… e infatti, per anni, mi sono preoccupata che ci fosse qualcosa che non quadrava. Quando andammo a palazzo, due anni fa, per pura curiosità chiesi lumi a un’anziana balia di Aken, e lei mi confermò che tuo padre si era comportato esattamente come te. Un bimbo calmo e quieto…almeno fino ai cinque anni. Lì, è esploso. Esattamente come te.»

«Tale padre, tale figlio» ammiccò Liana, dando un pizzicotto sul fianco ad Antalion. «Non poteva andarmi meglio. Invecchia come lui, e io sarò la donna più felice del mondo.»

Vagamente accigliato, Atalion replicò con tono leggermente aspro: «Sicura di volere me, e non lui?»

Scoppiando a ridere assieme a Eikhe, Liana lo abbracciò calorosamente e stampò un sonoro bacio sulle labbra per poi sussurrare solo per lui: «Sei tu l’unico uomo che voglio.»

«Bene» si limitò a dire Antalion, prima di sentire lo scalpiccio veloce dei piedi di Enyl e Rannyl, di ritorno dalla loro missione nel boschetto.

Le braccia cariche di fiori a stelo lungo, e l’aria di chi si è divertito un mondo, i due gemelli strillarono un saluto eccitato a Liana, che ricambiò con dei baci sulle loro testoline.

Nel veder rientrare il compagno in quel momento, disse: «Fatevi aiutare da papà a sistemare i fiori per casa, adesso.»

«Papà!» esclamarono in coro i bimbi, prima di vederselo comparire alle spalle in punta di piedi.

Lo strillo che lanciarono subito dopo venne presto sostituito da una risata collettiva e, mentre Aken accompagnava in giro per casa i due figlioletti, Liana li osservò con occhi languidi, sussurrando: «Sono adorabili.»

«Solo perché non ti hanno svegliato di soprassalto come hanno fatto con me, altrimenti non lo diresti» replicò bonario Antalion, avvolgendole la vita prima di poggiarle il mento su una spalla.

Liana si volse a mezzo per smentirlo e, con un risolino, esclamò: «Non fare l’antipatico! Sai benissimo di essere innamorato pazzo di loro!»

«Non confermo né smentisco» sghignazzò Antalion, osservando divertito i due fratellini che correvano in giro per quella che, entro pochi mesi, sarebbe stata la loro casa.

Quando avevano proposto l’idea di costruire una nuova casa, così da crearsi un po’ di indipendenza, i suoi genitori si erano dichiarati entusiasti della cosa.

In particolare, Aken si era mostrato prodigo di consigli, e pronto a mettersi in pista per aiutarlo in qualsiasi genere di lavoro si sarebbe reso necessario.

Non si era mai tirato indietro, finendo con lo stancarsi spesso e volentieri più del necessario, ma né Antalion né tanto meno Eikhe se l’erano sentita di fermarlo.

Entrambi comprendevano benissimo i sentimenti che avevano spinto l’uomo a darsi tanto da fare, per il figlio maggiore.

Il dolore provato in quei lunghi sedici anni di lontananza, non si era mai sopito del tutto, nel suo cuore.

Quando l’opportunità di fare qualcosa di speciale per Antalion gli era stata presentata praticamente su un piatto d’argento, lui l’aveva colta al volo.

Non appena aveva ricevuto il via libera, si era messo d’impegno per creare qualcosa di unico per il figlio che non aveva potuto veder crescere.

Ora la casa era quasi ultimata, e Antalion ne amava ogni singola trave, ogni più piccolo chiodo perché sapeva che, entro quelle pareti, c’erano l’amore incondizionato del padre e la sua eterna protezione.

Non avrebbero più vissuto sotto lo stesso tetto, ma Aken ci sarebbe sempre stato, avrebbe sempre vigilato su di lui e sulla sua nuova famiglia e, per qualsiasi cosa, si sarebbe mosso in loro difesa.

 

 

 
 
________________________
Bentornati e bentornate a coloro che vorranno seguirmi in questa breve storia che narra le vicende di “Occhi di Lupo”  a sei anni dalla fuga di Aken tra le montagne.
Naturalmente, spero vorrete commentare e dirmi cosa ne pensate… vi aspetto. Anche per le critiche, s’intende! ^_^

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Capitolo 2
*** cap. 2 ***



2

 

 

 

Il sole brillava alto, nel cielo di un azzurro intenso, illuminando la mulattiera terrosa che stavano percorrendo a dorso di cavallo.

L’aria frizzante proveniente dai Monti Urlanti era solo un pallido esempio di ciò per cui, quelle vette impervie e inquietanti, erano diventate famose.

Il Bacio dei Monti Urlanti.

Sapeva per bocca dello zio di venti gelidi che spiravano tra quei monti impervi e dalle vette seghettate, tali da terrorizzare anche il più intrepido dei viaggiatori.

Per cause di forza maggiore, lo zio ne aveva provato sulla pelle tutta la loro micidiale forza distruttrice.

Naell aveva sempre amato le sue storie, di quando aveva viaggiato per settimane tra le montagne assieme a una donna e al suo lupo così da salvare l’intero regno dalla minaccia dell’odiato Vartas.

All’epoca, era stata troppo piccola per comprendere il sottofondo agrodolce delle sue parole.

Da quando, però, era diventata abbastanza grande per capire certe sfumature, il ricordo delle parole di zio Aken le aveva fatto capire quanto avesse amato quella donna-lupo in particolare.

Vedere Eikhe a palazzo, riunita a zio Aken e finalmente felici insieme alla famiglia riunita, era stato una sorpresa più che lieta, per lei, che aveva sempre amato moltissimo il fratello di suo padre.

L’idea di rivederlo assieme alla sua famiglia e ai gemelli, che ancora non aveva conosciuto, la riempiva di una gioia immensa, di certo non quantificabile.

A capo di quella spedizione di cinquanta soldati c’erano suo fratello Staryn, un sedicenne alto e dinoccolato dall’aria da studioso e la timidezza quasi cronica.

Al suo fianco procedeva Meyor, vecchio allievo prediletto dello zio e suo grande amico.

Sedevano ritti sulle selle dei loro stalloni, ricoperti da leggere tuniche di pelle dalle lunghe maniche, che ricoprivano quasi interamente la cotta di maglie di ferro che portavano al di sotto.

Non che temessero attacchi tra quei territori a loro ameni, ma la prudenza non era mai troppa.

Anche lei, pur essendo donna, indossava una cotta di maglie, sotto la tunica colorata, così come pesanti stivali di cuoio alti al ginocchio al posto dei più eleganti e raffinati stivaletti di pelle.

In quanto principessa, Naell avrebbe potuto scegliere di percorrere il lungo tragitto che separava Rajana da Hyo-den, piccolo villaggio disperso tra i monti, sui comodi cuscini di una portantina, ma si era rifiutata categoricamente.

La sola idea di presentarsi al cospetto della famiglia di Aken su quel lussuoso quanto inutile attrezzo, l’aveva disgustata.

Aveva dodici anni, non novanta, e poteva benissimo cavalcare come gli altri!

Certo, i primi giorni erano stati tremendi.

Ricordava più che bene il dolore agli arti e al fondo schiena, ma non aveva voluto cedere di un passo dai suoi intenti.

Soprattutto, però, non aveva voluto la sella all’amazzone che, per quanto bella, era scomoda e prevedeva che lei indossasse un vestito lungo.

Una gonna.

Rabbrividendo alla sola idea, Naell si guardò in giro per scacciare l’orrenda sensazione provata al solo pensare a quell’ammasso di stoffe, sottogonne, guardinfanti e nastri di cui era composto un abito da principessa.

No, meglio indossare quelle comode brache da cavallerizza in morbida pelle, e stare a cavalcioni sulla sella, piuttosto che portare quell’ingombrante vestito dall’aria pomposa.

Non era mai stata una bambina amante dell’etichetta di corte, pur se apprezzava gli agi di palazzo, come l’acqua calda o i morbidi letti a baldacchino.

Quando, però, la possibilità di decidere il regalo per il suo dodicesimo compleanno le si era presentata su un piatto d’argento, aveva subito rammentato alla madre la promessa fatta anni prima.

La regina Renke, sua madre, non aveva potuto che accettare la sua decisione e, dopo aver inviato un falco a Kannor, aveva predisposto ogni cosa per il viaggio di sua figlia tra le montagne.

La partenza era avvenuta un mese dopo il suo compleanno, con l’affacciarsi dell’estate – il periodo migliore per avventurarsi tra quelle lande.

Dopo quindici giorni di estenuante quanto eccitante risalita lungo la Carovaniera del Nord, erano quasi in dirittura d’arrivo.

Il bosco intorno a lei, composto in gran parte da abeti secolari, larici dagli aghi di un verde pallido e pini seghettati, dalle caratteristiche chiome disordinate e disomogenee, sembrò salutarla con il suo quieto borbottio.

Il vento, che scivolava tra i possenti tronchi dalle cortecce rugose e rossastre, produceva dolci melodie accompagnate dal canto allegro di qualche allodola di bosco.

Diversi fringuelli dalla coda verde, invece, danzando nell’aria, volando a bassa quota fin quasi a sfiorarli.

Naell ne aveva ammirato più volte il veloce andirivieni tra il bosco e la mulattiera, sorridendo divertita quando le loro evoluzioni li avevano spesso portati in rotta di collisione con i carri delle vettovaglie, o con i musi di alcuni cavalli.

Imperturbabili, i mansueti destrieri avevano proseguito lungo la strada mentre lei, in più di un’occasione, aveva riso di fronte a tanto stoicismo.

La voce allegra e solare di Strayn la strappò a quei pensieri gai, riportandola alla realtà.

«Ehi, sorellina! Che ne dici di venire in testa al gruppo? Si comincia a vedere il contorno delle case di Hyo-den!»

Sobbalzando sulla sella prima di lanciare un’occhiata alla sua personale guardia del corpo, Naell diede un colpo di tacco ai fianchi del suo baio prima di avviarsi in tutta fretta in capo al gruppo di soldati.

Dopo aver affiancato la cavalcatura del fratello, allungò il collo per capire dove si trovasse il villaggio.

Vagamente delusa, scorse solo altri abeti e altre chiome verdeggianti ma, non appena avvistò la traccia indistinta di quello che aveva tutta l’aria di essere fumo proveniente da un camino acceso, sorrise raggiante ed esclamò: «E’ dietro quelle coltri di alberi?»

«Stando a quel ricordo, sì» annuì Meyor, sorridendole generosamente.

Tutta contenta, Naell scalpitò sulla sella prima di afferrare una mano del fratello ed esclamare: «Ci pensi? Siamo arrivati!»

Staryn rise di fronte a tanto entusiasmo e, annuito che ebbe, convenne con lei dicendo: «E’ l’unico villaggio che si trova da queste parti quindi, o stiamo andando a finire in mezzo a un incendio boschivo, oppure la meta è vicina.»

«Staryn! Non pensarlo nemmeno!» esalò sconvolta Naell  prima di guardarsi attentamente intorno e replicare saggiamente: «Nessun animale sta scappando dal bosco, e non si sente odore di resina bruciata. E’ sicuramente Hyo-den.»

«Lo so, mia ansiosissima Naell» assentì Staryn, strizzandole un occhio.

«Non sono ansiosa!» sbottò lei, prima di osservare con aria colpevole le sue mani serrate sulle briglie.

No, la era eccome, invece. E come negarlo?

Erano anni che sognava di coronare quel desiderio, anni in cui si era imposta di imparare – per quanto possibile – a non dare per scontate le comodità di palazzo, a cercare di capire come potere cavarsela da sola.

Aveva anche tentato di capire come fare a orientarsi, pur se con scarsi risultati.

Ovviamente, sapeva che una bambina di dodici anni come lei era, cresciuta negli agi di corte e mai uscita da palazzo se non nelle occasioni ufficiali, non avrebbe mai potuto cavarsela in un mondo così diverso dal suo.

Sperava per lo meno di non apparire una completa idiota, al cospetto dei suoi famigliari e delle altre ragazze-lupo della sua età.

Diventare lo zimbello del villaggio, non era tra i suoi progetti più immediati.

Dopo aver percorso l’ultimo tratto di strada, il folto gruppo di soldati, al cui capo Naell ancora si trovava, sbucò infine in un’immensa radura erbosa.

A poco meno di un miglio di distanza, scorsero finalmente l’imponente contorno di Hyo-den.

Composto da diverse centinaia di abitazioni, più o meno grandi per altezza o dimensioni, il villaggio era disposto a mezzaluna nella radura circondata da un interminabile abetaia.

Magnifico nella sua imponenza, un gigantesco monte dalla vetta aguzza incombeva su di loro come un’oscura quando affascinante presenza.

Poco oltre la fine della vegetazione rupestre, a estrema difesa del villaggio, una miriade di frangi-valanga percorreva il fronte della montagna, un immenso braccio disteso a protezione delle persone che si trovavano ai suoi piedi.

Osservando senza parole tutto ciò che la circondava, dalle belle case in tronchi di legno, alla bellissima collocazione del villaggio, Naell esalò ammaliata: «E’ un sogno…non può essere vero.»

Meyor e Staryn la osservarono comprensivi, preferendo non aprire bocca, poiché ben poco avrebbero potuto dire, di fronte a un simile spettacolo.

Sì, era difficile credere che un simile luogo esistesse in terra, eppure vi erano di fronte, e le parole fecero difetto anche a loro.

Il profumo dei fiori riempiva l’aria come la più esotica delle spezie, inebriandoli.

Per alcuni momenti, dimenticarono quanto, quella natura così generosa e splendente potesse tramutarsi, in pochi attimi, in una forza distruttrice e vendicativa.

Nel percorrere la distanza ultima che li separava dalla loro tanto agognata meta, Naell intravide oltre il limitare delle case ciò che era rimasto – a suo dire – di un’antica valanga.

Pur trovando quei tronchi divelti e spezzati come fossero stuzzicadenti, ciò non fece scemare minimamente il piacere di quell’arrivo.

Non era sciocca, e sapeva che la montagna era pericolosa, oltre che bella, ma questo non poteva far passare in secondo piano il gaudio che stava provando.

Quando poi lesse il suo nome su uno striscione appeso nel mezzo della via principale del villaggio, e sorretto da corde appese alle due case che aprivano Hyo-den, i suoi occhi si riempirono di lacrime.

Disposte sui due lati della strada lastricata di pietre levigate, tavole su tavole imbandite non attendevano che loro per essere svuotate con gusto.

Le donne e gli uomini del villaggio li accolsero con cori di benvenuto dalle verande delle abitazioni.

Non appena l’ultimo uomo fu entrato nel villaggio, Naell e suo fratello scesero da cavallo assieme a Meyor, mentre una donna alta e robusta, dai capelli striati di grigio, si avvicinò a loro al fianco di Eikhe e Aken.

«Il nostro più caloroso benvenuto, principessa Naell e principe Staryn. La vostra venuta ci riempie di letizia» esordì la donna, allargando le braccia come ad abbracciare l’intero villaggio.

Dopo aver lanciato un breve sorriso agli zii, Naell si esibì in una specie di riverenza, prima di replicare educatamente: «Siamo onorati di ricevere una così meravigliosa accoglienza. Non avreste dovuto disturbarvi a questo modo.»

«La venuta di ben due principi del regno merita questo e altro» ribatté bonariamente Istrea, sorridendole generosamente.

«Ben ritrovati, nipoti.»

Intervenendo, Aken si fece avanti  di un passo e Naell, che aveva resistito all’impulso fin a quel momento, lasciò da parte le consuetudini e si gettò tra le sue braccia.

«Sono così felice di vederti, zio!»

Strettala in un abbraccio soffocante, Aken le baciò il capo bruno prima di sussurrare: «Sei mancata anche a me, gattina.»

Scoppiando in una risatina nervosa nell’udire ancora una volta il suo vecchio nomignolo, Naell fu sul punto di mettersi a piangere.

Solo l’intervento di Eikhe le impedì di crollare.

Con un sorriso carico di comprensione e affetto, la donna la avvolse in un abbraccio e disse allegra: «Ormai è una tigre, la nostra Naell! Guarda come si è fatta grande!»

«Puoi ben dirlo!» ammiccò il compagno, sorridendole generosamente prima di volgere lo sguardo in direzione del nipote e aggiungere: «E tu! Lasciati abbracciare, ragazzo!»

Staryn fu un pochino meno irruente di Naell, ma trasmise agli zii la stessa aspettativa, lo stesso affetto incondizionato, lo stesso sollievo per essere infine giunti da loro.

Allegra e soddisfatta, Istrea batté le mani ed esclamò: «Si dia dunque inizio alla festa!»

***

Seduti su un gradino della scala che conduceva alla casa di Eikhe e Aken, Naell osservava lo svolgersi della festa di benvenuto con un sorriso stordito sul volto.

Canti e balli si erano susseguiti incessanti, assieme all’idromele e ai buonissimi e ghiotti piatti di carne e frutta, che le donne-lupo avevano preparato per loro.

I soldati, svestiti più che volentieri i panni dei baldi guerrieri, si erano mescolati ai presenti per festeggiare a loro volta.

Pur se avevano in parte temuto quell’evento, i principi si erano dovuti ricredere alla svelta.

Non c’era stato nessun imbarazzante incidente, nessuna battuta lasciva, nessun tipo di mancanza di rispetto degli uomini nei confronti delle loro ospiti.

Questo a conferma che, il processo di cambiamento portato avanti da Aken, aveva dato i suoi frutti.

Aken stesso appariva particolarmente compiaciuto della cosa e, sogghignando all’indirizzo di Meyor – che se ne stava in piedi con le spalle poggiate contro il muro di casa – , commentò divertito: «Non sono stato poi un completo fallimento, come insegnante.»

Con una calda risata di gola, Meyor scosse il capo e replicò: «Affatto, Aken. Noi tutti ti ricordiamo con affetto e, alle nuove reclute, viene impartito lo stesso addestramento cui ci hai sottoposto tu.»

Ingollò un po’ di idromele, prima di accennare un ghigno e aggiungere: «Certo, alcuni vecchi ufficiali storcono un po’ il naso, a sentir dire che le donne-lupo non sono inferiori a nessuno dei nostri soldati e che, nel caso delle figlie sacre, il divario va invece a nostro discapito, ma i ragazzi sono propensi a credere a noi. Specialmente da quando la Signora del Villaggio di Emeranta ha accettato di inviare alcune sue ragazze a palazzo, per delle esercitazioni pratiche con i nostri allievi.»

Vagamente sorpreso, Aken fissò Eikhe in cerca di spiegazioni prima di notare il suo completo sconcerto.

Con un sorrisino, il giovane soldato venne loro incontro, spiegando ogni cosa.

«L’idea mi è venuta una volta che sono uscito in perlustrazione assieme a un po’ di compagni. C’era bisogno di noi per sedare una disputa tra il villaggio delle donne-lupo e quello di Korianos.»

Intervenendo, Aken spiegò alla sua famiglia.

«Quando ero ancora a Rajana, volli che i ragazzi uscissero dalla città per incontrare il popolo, perché non fossero visti solo come guerrieri inavvicinabili, ma anche come persone a cui chiedere aiuto o servizi. Visto che, dopotutto, sono obbligati  a studiare Diritto Civile e Penale, perché non far loro mettere in pratica le loro nozioni?»

«Mi sembra giusto» annuì fiera Eikhe, dandogli di gomito.

Con un risolino, Aken proseguì.

«Morale della favola, dopo essermi accordato con alcuni ufficiali, li ho mandati fuori a gruppi di tre, seguiti da un membro anziano dell’Accademia che facesse loro da guida e, dopo un po’ di false partenze, siamo infine riusciti a far attecchire questo genere di moda.»

Meyor assentì, soggiungendo: «Di fatto, abbiamo alleggerito l’annoso problema dei Giudici di Pace della città che, troppo oberati di lavoro,  non erano in grado di dirimere i casi di minore importanza e, nel contempo, abbiamo permesso al popolo di avere più rapporti con la corona, di cui l’esercito è il lungo braccio.»

Sollevando un sopracciglio con evidente curiosità, Eikhe domandò: «E tuo padre fu d’accordo?»

«Glielo facemmo notare solo quando l’ingranaggio era più che rodato, e i risultati ben evidenti» ammise con un sogghigno Aken.

«Oh» esalò Eikhe, ridacchiando.

Naell ammiccò alla zia, celiando: «Zio Aken non ti ha detto che le urla della loro lite furibonda si sentirono per tutto il palazzo. Durò più o meno due ore, e papà era già pronto a intervenire con i soldati. Ero piccola, ma me lo ricordo bene.»

«Mi immagino la scena» ammise Eikhe.

Tornando a osservare il suo vecchio allievo, Aken lo invitò a proseguire.

«Per farla breve, non solo scoprimmo che le pelli erano di ottima qualità, ma che il mercante aveva usato dei pesi contraffatti per la bilancia, finendo con il pagare molto meno del dovuto alle donne-lupo. Abbiamo perciò messo in prigione per un paio di mesi il commerciante avaro, e dato il giusto compenso al villaggio di Emeranta. Nel consegnare i soldi alla Signora del Villaggio, mi è venuta in mente quest’idea di una sorta di gemellaggio tra loro e noi e così, parlandone con lei e con il mio superiore…»

«Davvero un’ottima idea» si complimentò Aken, allargando il proprio sorriso.

«Grazie» sorrise grato Meyor. «Sulle prime, i ragazzi non mi sono parsi molto convinti ma, dopo essere stati battuti nelle gare di equitazione, hanno preteso la loro presenza. Così, è diventata una consuetudine e, da allora, alcune donne-lupo vengono inviate per alcuni mesi a partecipare ad alcuni corsi in Accademia, mentre le veterane vengono a palazzo per insegnare alcuni trucchi a noi. Mi sembra equo, no?»

Fu Eikhe a rispondere per tutti.

Sorridendo all’alto soldato, asserì orgogliosa: «Quando seppi del progetto di Aken, non potei che essere lieta di come avesse impiegato il tempo che ci aveva visti separati. Ora posso dire che ha raccolto degli ottimi frutti.»

«E detto dall’Eroina del Regno, non può che essere un più che gradito complimento» replicò elegantemente Meyor con un leggero cenno del capo.

Eikhe rise imbarazza di fronte a quel commento – a distanza di anni, quel titolo ancora la faceva arrossire – prima di sorridere divertita quando vide tornare i gemelli con alcuni piatti carichi di fette di torta.

Naell aveva amato al primo sguardo i suoi cuginetti e Staryn, letteralmente, pendeva dalle labbra di Enyl che, proprio in quel momento, porse un piatto al cugino con fare suadente.

«E’ per te, cugino Staryn.»

«Sei stata gentilissima, Enyl, ma dovrai aiutarmi a finire tutta questa roba» ridacchiò il giovane, prendendola in braccio e offrendole una fetta di torta ai lamponi.

La bambina la accettò di buon grado mentre Rannyl, sedendosi al fianco di Naell, le sussurrò complice: «Fossi in te, direi a tuo fratello di stare attento. Credo che Enyl voglia fargli uno scherzo.»

Sghignazzando, Naell esalò di rimando: «Credo che mi divertirò a vedere quel che succederà.»

«Contenta tu…» sentenziò Rannyl prima di offrirle galantemente il piatto di fette di torta che aveva portato con sé. «Sono per te, Naell.»

«Grazie, Rannyl» mormorò la ragazza.

L’iniziale timore dei due gemelli nel vedere così tante persone sconosciute, e due cugini di cui avevano solo sentito parlare, era scemata con il passare dei minuti.

Non appena Enyl e Rannyl avevano preso la necessaria confidenza con loro, era stato impossibile dividerli.

Antalion e Liana erano rimasti in disparte per tutto il tempo, preferendo che i gemellini conoscessero meglio i cugini senza sentirsi addosso le occhiate del fratello maggiore e dell'amica.

Proprio in quel momento, però, si fecero vivi con diversi piatti di carne fumante e una brocca di limonata.

Accettando i piatti offerti loro, Aken ed Eikhe ringraziarono sentitamente prima di dare sfogo alla loro fame addentando le morbide costine di cervo inzuppate in calda salsa di verdure.

Imitatili, Antalion si andò a sistemare accanto a Meyor, mentre Liana si sedeva vicino a Eikhe.

Osservando il vecchio amico del padre con solerte interesse, gli chiese: «E’ andato tutto bene, fino a qui?»

«Sì, nessun problema, Antalion.»

Meyor ingollò un pezzo di trota salmonata ed esalò: «Uhm, buona! La salsa, poi, è deliziosa!»

Ridacchiando, Antalion gli disse: «Si ottiene con delle erbe di bosco che crescono nei dintorni. Se vuoi, prima di tornare, mi faccio dare la ricetta da mamma, e te ne raccolgo un po’.»

«Faresti la felicità di mia madre. Lei adora questo genere di cose» asserì Meyor aggiungendo subito dopo: «Hai dei fratelli davvero bellissimi. Com’è stato crescerli con tuo padre presente?»

«Dire bello sarebbe riduttivo, ma non mi viene in mente nient’altro, al momento» ridacchiò lui, osservando per un momento con aria divertita ciò che stava succedendo sulle scale di casa.

Come predetto da Rannyl, Enyl aveva propinato a Staryn una fetta di torta “contaminata” da un pizzico di radice di jicana, particolarmente piccante e dal sapore piuttosto acre.

Non appena il cugino l’aveva messa in bocca, era diventato subito paonazzo e ora, aiutato da Eikhe – che stentava a reprimere una risatina – Staryn stava cercando di recuperare la capacità di respirare.

Tutta contenta, Enyl era seduta di fianco a Naell che, in preda a un attacco di risa irrefrenabile, era rossa in viso e con le lacrime agli occhi per il troppo ridere.

Liana, invece, stava dando delle pacche confortanti sulla schiena di Staryn mentre Aken, a metà tra il serio e il faceto, tentava di spiegare a Enyl perché non si dovesse usare la jicana nelle torte.

Meyor rise al pari di Antalion, prima di dire: «Penso che presterò attenzione a quel che Enyl mi offrirà, non si sa mai.»

«Oh, non usa mai lo stesso trucchetto due volte di seguito. Sa stupire per il suo ingegno nel concepire disastri» ghignò Antalion, lanciando un sorriso alla sorellina, che si alzò con un balzo per raggiungerlo e abbracciarlo forte.

«Ho esagerato, fratellone?» gli chiese candidamente lei, sbarrando due occhioni dorati per fissarlo supplichevole e contrita.

Scoppiando nuovamente a ridere, Antalion le scompigliò la massa ondulata di capelli dorati, replicando: «Vai a fare le tue scuse a Staryn, e non fargli più neanche uno scherzo.»

«Neppure una rana?» mugugnò lei, mettendo un broncio adorabile.

Meyor sorrise ammirato, di fronte alla sua magistrale interpretazione, ed esalò: «E’ un’ammaliatrice nata!»

Poi, piegatosi su un ginocchio, guardò la bambina negli occhi e disse: «Hai qui con te la tua ranocchietta?»

Annuendo, la bimba infilò una mano nella tasca della sua tunica di pelle e ne estrasse un piccolo ranocchio verde a macchie nere che, subito, saltò via dal suo palmo, finendo sulla spalla di Meyor.

Il giovane soldato sghignazzò nel recuperarlo e, facendo l’occhiolino alla bimba, le sussurrò complice: «Facciamo uno scherzo a papà.»

Illuminandosi in viso, Enyl si tappò la bocca per non strillare felice e Antalion, osservando divertito il soldato, lo vide sgattaiolare accanto alla scala d’entrata per poi infilare la mano munita di rana tra le barre di legno del corrimano.

L’attimo seguente, la rana balzò sul colletto della tunica di Aken.

Ciò che avvenne dopo, scatenò l’ilarità generale.

Non appena la rana si ritrovò al buio, schiacciata dal tessuto contro la carne dell’uomo, cominciò a scalpitare per trovare una via di fuga e Aken, colto di sorpresa, balzò in piedi di colpo.

L’attimo seguente, finì  gambe all’aria, inciampando in uno dei gradini e crollando di schiena sul pavimento della veranda.

Lo scoppio di risa generalizzato fu automatico e, mentre Aken si liberava dello scomodo inquilino, i suoi occhi volarono rapidi a Enyl che, angelica, sollevò le mani come per dire: “chi, io?”.

Fu a quel punto che Aken si accorse della risatina a stento trattenuta di Meyor e, mentre Eikhe lo aiutava a rialzarsi da terra, l’uomo esalò sconvolto: «Meyor! Ti prego! Non anche tu

Non potendo più resistere, anche Meyor scoppiò a ridere di gusto e Rannyl, con la sua logica ferrea, dichiarò imperturbabile: «Almeno, stavolta io non c’entro nulla.»

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Capitolo 3
*** cap. 3 ***


3.

 
 


  Una pioggerella sottile picchiettava sul tetto ricoperto di lastre di pietra grigia, mentre la notte avanzava placida sulle sue ali spiegate.

Le emozioni dirompenti di quel primo giorno, in compagnia degli zii e dei cugini, avevano così scombussolato Naell che, ancora troppo agitata per dormire, navigava con lo sguardo nella semi oscurità della stanza in cui si trovava.

Ormai da ore si chiedeva quando, finalmente, il sonno avrebbe preso anche lei.

Alla notizia che Naell sarebbe rimasta al villaggio priva della sua abituale dama di compagnia, Eikhe si era immediatamente preoccupata che la ragazza potesse sentirsi troppo sola, nella casa di Antalion, ancora vuota e disabitata.

La principessa, però, aveva presto risolto l’annosa questione, chiedendo agli zii che un lupo dormisse con lei nella sua stanza.

La richiesta era subito stata accolta con un sospiro di sollievo.

Mentre Staryn si era impegnato a terminare il ritratto di Enyl e Rannyl che era stato invitato a fare – dimostrando un’abilità davvero sopraffina dipingere – Eikhe aveva mostrato la casa a Naell.

Armata delle sue sacche da viaggio e di un incrollabile ottimismo, Naell l’aveva seguita con fiducia.

Non appena aveva messo piede nell’abitazione di Antalion, aveva sospirato di ammirazione nel vedere i tanti vasi colmi di fiori, e il fresco profumo di cera d’api passata da poco sui mobili.

L’ambiente, rallegrato da diverse lanterne appese alle pareti, era accogliente pur se privo degli orpelli che, di solito, si potevano trovare nelle case abitate.

Nell’oltrepassare la porta che divideva il soggiorno dalla zona notte, aveva detto alla zia: «Antalion e Liana hanno costruito una casa davvero molto bella.»

Eikhe le aveva sorriso compiaciuta e, nell’aprire un battente di pesante legno d’abete rosso, le aveva mostrato la sua stanza, mormorando: «Qui dormirai tu.»

Sbattendo le palpebre con aria ammirata, Naell aveva annuito gaia, lieta di poter finalmente iniziare quella strabiliante avventura.

Stringendosi alla zia, aveva sussurrato emozionata: «Grazie per l’opportunità che mi state offrendo.»

«E’ importante per tutti noi, che tu capisca come vive il tuo popolo. Quel che facciamo qui non è così dissimile da quello che succede negli altri villaggi. Potranno esserci leggi diverse, per quel che riguarda il rapporto tra uomini e donne ma, per mandare avanti una casa, servono sempre le stesse cose; olio di gomito e tanta forza di volontà.»

Nel dirlo, le aveva sorriso bonaria, prima di sospingerla dolcemente all’interno della stanza per proseguire nel suo dire.

«Domani, vedrai come vive una normale donna-lupo, quali sono i suoi compiti all’interno del villaggio e cosa ci si aspetta da lei. Naturalmente, inizierai i tuoi lavori solo dopo aver attentamente visionato quel che c’è da fare e, visto che sei una principessa, vedremo di non metterti a spaccare legna fin dal primo giorno.»

Naell aveva subito levato lo sguardo a scrutarla allarmata ed Eikhe, sogghignando divertita, aveva ammesso: «Scherzo. Alle bambine non diamo il compito di spaccare legna. Non prima dei diciotto anni, comunque. Prima, farebbero davvero troppa fatica, e sarebbe deleterio per la loro crescita.»

Un lungo sospiro di sollievo era scaturito dalle labbra a cuore di Naell mentre Eikhe, nel darle una pacca sulla spalla, l’aveva rassicurata con dolcezza.

«Nessuno di noi pretenderà niente di speciale da te, Naell. Sappiamo tutti che la vita di palazzo è diversa da questa. I bambini che nascono qui sono abituati fin da piccoli a questo genere di vita, mentre tu no. Impara ciò vedi; è questa la lezione più importante. Non ti sarà richiesto di eguagliare nessuno, solo di capire.»

«Penso di poterlo fare» aveva assentito Naell, sedendosi sul letto prima di guardare i propri piedi, infilati in un paio di morbide pianelle di coniglio, e chiosare: «Sai che è la prima volta che sono in una camera completamente  da sola? Sì, insomma, senza servitù e bambinaie al seguito.»

«Questo ti preoccupa?» le aveva domandato Eikhe, sedendosi al suo fianco e passandole un braccio attorno alle spalle.

Scuotendo il capo e lasciando che i lunghi capelli – ora sciolti – scivolassero sulle sue spalle, Naell aveva giocherellato per un po’ con alcune ciocche morbide e ondulate, sussurrando flebilmente: «Ho paura di fare la figura dell’imbranata. Ammetto di essere un po’ permalosa, per quanto riguarda le critiche.»

Un risolino spontaneo era galleggiato attorno a loro prima che Eikhe le spiegasse la sua personale esperienza.

«Uno di questi giorni, prova a chiedere ad Aken cosa successe, durante il  nostro viaggio tra i Monti Urlanti. Vedrai che è una cosa comune a molti.»

Naell si era allora appoggiata alla sua spalla, mormorando: «Mi manca un po’ la mamma.»

«Non sai che quando una fanciulla-lupo è lontana da casa per una missione, la donna-lupo più anziana del gruppo di cui fa parte, le fa da madre?» le aveva spiegato gentilmente Eikhe, dandole un bacio sulla chioma bruna. «E’ normale che tu ne senta la manca. Tu e Renke siete sempre state assieme. Ma non temere, andrà tutto bene e, presto, questo dolore scemerà in qualcosa di più dolce.»

Aveva pianto in silenzio sulla sua spalla per qualche minuto fin quando, con un ticchettio di unghie, aveva fatto la sua comparsa Fyn, argenteo alla luce fioca delle lanterne e pronto a fare la guardia alla loro ospite.

Ora Fyn riposava tranquillo sul tappeto ai piedi del letto, e il suo respirare sommesso le dava la sicurezza di non essere sola, di avere assieme a lei qualcuno che si sarebbe battuto con tutto se stesso per proteggerla.

Allungando una mano, lo carezzò un paio di volte, assaporandone la morbidezza del manto e la forza dei muscoli sotto quello strato di candida peluria. 

Sapeva che lo zio era il suo compagno da poco più di un anno ma, da come li aveva visti interagire durante tutto il giorno, le era parso che fossero affiatati come se si conoscessero da sempre.

Anche lei avrebbe tanto voluto averne uno ma, nel suo viaggio a Hyo-den, non era contemplato che lei imparasse la lingua dei lupi.

Avrebbe richiesto troppo tempo, anni e anni, e lei non poteva permetterselo.

Per quanto moderni e aperti di idee fossero i suoi genitori, lei rimaneva pur sempre una principessa, e non avrebbe mai potuto abbandonare tutto per vivere in mezzo ai boschi.

Non era per lei imbracciare un arco per cacciare o, peggio ancora, avere un lupo da addestrare.

Zio Aken lo aveva fatto per motivi più che seri, ma il suo sarebbe apparso né più né meno come un capriccio.

Inoltre, lei aveva un’idea piuttosto romantica della vita tra i boschi e, forse, tutto quello che aveva immaginato le si sarebbe rivoltato contro già da domani, dinanzi alla cruda realtà dei fatti.

Forse, sarebbe tornata a Rajana con la coda tra le gambe, distrutta nello spirito e umiliata a vita.

Drizzandosi a sedere nel bel mezzo del letto, Naell si diede un paio di schiaffetti sul viso per darsi una scrollata e, accigliandosi, sbottò: «E’ vero, sono una principessa, ma non sono una mammoletta! E lo dimostrerò a tutti!»

***
  «Naell… Naell…»

  Un mugugno si levò dal cuscino di piume, sul quale Naell teneva poggiato il viso ed Eikhe, con un mezzo sorriso, la scosse leggermente prima di ripetere il suo nome con un po’ più vigore.

  Ancora palesemente rintronata dalla stanchezza, la ragazzina si volse, mostrandole le spalle e, nuovamente, un mugugno raggiunse le orecchie di Eikhe.

  Ora ridacchiando, la donna sogghignò divertita prima di levare di colpo le coperte e lasciare che l’aria fresca della stanza le solleticasse il corpo, ricoperto da una pregiata camicia da notte.

  Subito, Naell strillò di sorpresa e, rizzandosi a sedere sul letto con il chiaro intento di mandare al diavolo chi l’aveva svegliata, si ritrovò a fissare il viso abbronzato e sorridente della zia che, serafica, le chiese: «Sì, tesoro? Dimmi.»

Avvampando in viso con la velocità del fulmine, Naell rammentò immediatamente dove  e perché  si trovava lì assieme a Eikhe e, con un risolino imbarazzato, scese da letto e infilò i piedi nelle pianelle.

«E’ molto tardi, zia?»

«Sono le sette del mattino. Aken sta preparando la colazione, e Antalion sta mungendo la mucca. Tutto nella norma. I gemellini si stanno vestendo, e i lupi stanno divorando la loro razione di carne.»

Detto ciò, schioccò la lingua in direzione di Fyn che, con un uggiolio allegro e una scodinzolata, se ne andò lesto dopo averle strusciato il corpo contro una gamba a mo’ di saluto.

A quella vista, Naell sorrise deliziata prima di chiedere alla zia: «Cosa posso fare?»

«Vestirti?» ipotizzò sorridente Eikhe, prima di chiederle: «Hai bisogno di una mano?»

«No. Ho portato con me solo abiti che potessi indossare da sola» le spiegò Naell, avvicinandosi alla cassapanca per prendere i vestiti che avrebbe messo quel giorno.

Annuendo compiaciuta, Eikhe la scrutò pensierosa mentre Naell prendeva dal mobile un paio di brache di cuoio, una camiciola di cotone e una tunica corta in lana secca color fuliggine.

Erano tutti indumenti semplici, senza ricami particolari o alamari di fattura raffinata, tutte cose che la figlia sacra approvò in pieno.

Non che temesse l’invidia delle ragazza, ma era pur sempre giusto non fomentare inutili rivalità.

Per quanto l’educazione, nel villaggio, prevedesse di non giudicare nessuno dall’aspetto fisico, o dal luogo di provenienza, tutti sapevano chi  fosse Naell.

Non dubitava, perciò, che vi sarebbe stato qualche incidente diplomatico, per così dire.

Quando infine Naell fu pronta, la accompagnò fuori e, tornati che furono sulla via principale, risalirono le scale che portavano alla veranda dell’abitazione di Eikhe.

Sull’entrata, quindi, esclamò: «Eccoci qui!»

Un coro di ‘buongiorno’ le investì piacevolmente e Naell, con un gran sorriso, si accomodò al tavolo della cucina prima di osservare curiosa ciò che si trovava sul ripiano di legno.

Uova fresche si accompagnavano a toast ricoperti di burro e marmellata, oltre a latte in quantità e frutta di stagione.

Servendosi del latte, ne assaporò la bontà morbida e dolce e, subito dopo, addentò il toast alla marmellata di lamponi, mormorando: «Mmmhh, delizioso. Ha un sapore così pieno!»

«E’ la fame a parlare» ridacchiò Eikhe, pur apprezzando il complimento.

«E’ la verità, zia. E’ buonissima!» esclamò Naell, prima di chiedere loro: «Staryn e gli altri sono già svegli?»

«Che io sappia, no. Non ho ancora visto nessuno, in giro per il villaggio» le spiegò Eikhe con un risolino.

Accolti nelle case di Hyo-den come ospiti onorati, i soldati e il principe non si erano ancora fatti vivi in paese, dopo i bagordi della sera precedente.

Da quel poco che Aken e gli altri potevano immaginare, sarebbero passate ancora diverse ore, prima che qualcuno di loro si presentasse al loro cospetto.

Con tutto l’idromele  che era corso la notte precedente, e tutti i balli che erano stati fatti, sia Aken che Eikhe dubitavano che si sarebbe visto qualcuno prima del pomeriggio.

Naell sogghignò divertita e chiosò: «Se mamma venisse a sapere che Staryn si è ubriacato con l’idromele, darebbe in escandescenze.»

«Renke è troppo lontana, per affondare le unghie nella schiena di quel poveretto. E penso che, almeno per qualche anno, non ne vorrà più sapere di bere degli alcolici fatti in casa» sghignazzò Aken, strizzando l’occhio alla nipote, che annuì complice.

Terminato per primo la colazione, Antalion si alzò in fretta, portando il suo piatto nel lavabo.

Dopo averlo sciacquato, diede un bacio ai fratellini prima di dire alla madre: «Mi trovi sul retro di casa mia, se hai bisogno. Lavorerò allo steccato tutto il giorno.» Poi, rivoltosi al padre, gli chiese: «Hai tempo di raggiungermi, oggi?»

Aken scosse il capo, spiacente, replicando: «Sono impegnato dai frangi-valanghe. L’altro ieri non abbiamo finito e, da quel poco che ho visto, ne avremo per tutta la giornata.»

«Fa niente. Ci metterò un po’ più tempo» scrollò le spalle Antalion, sorridendo a Naell e dicendole allegro: «Buon primo giorno a Hyo-den, piccola.»

«Grazie, cugino Antalion, e buon lavoro» disse Naell, con cortesia.

Antalion si fermò a metà di un passo, la fissò vagamente divertito e asserì: «Naell, non c’è bisogno di usare la formula di cortesia, qui. Il ‘cugino’ puoi pure cancellarlo. Sono Antalion. Punto.»

«Va bene» annuì allora Naell, tutta sorridente.

«Ottimo. A stasera!»

«Ti porterò il pranzo!» gli gridò dietro Eikhe prima di sentire sbattere la porta.

Naell rise di fronte all’espressione divertita della zia e, nel terminare il suo uovo sodo, asserì: «Ho finito anch’io. Cosa devo fare a questo punto?»

Eikhe la seguì al lavabo, le mostrò come funzionava la pompa che attingeva al pozzo e le spiegò il modo corretto di ripulire il piatto dai residui di cibo.

Concentrata al massimo, Naell eseguì tutto ciò che la zia le indicò di fare prima di poggiare il piatto come aveva fatto Antalion.

Scrutandolo dubbiosa per alcuni secondi, infine le chiese: «Dubito tu li lasci lì ad asciugarsi. Posso passarli con lo strofinaccio, se vuoi.»

«Oggi, i piatti spettano ai gemelli. Da domani, entrerai anche tu nella turnazione, va bene?» le spiegò Eikhe, avvolgendole le spalle con un braccio.

«D’accordo.»

Rivoltasi poi al compagno, Eikhe disse: «Porterò anche a te il pranzo, più tardi. Pensi tu a portare Enyl e Rannyl dall’insegnante?»

«Non ti preoccupare. Li accompagno mentre raggiungo gli altri. Buona giornata, ragazze» sorrise Aken, alzandosi per dare un bacio a entrambe.

Eikhe lasciò che il compagno indugiasse un attimo sulle sue labbra calde prima di scostarsi, sorridergli carica di promesse e infine andarsene assieme alla nipote per il loro giro esplorativo nel villaggio.

Quando furono in strada, Naell sorrise alla zia e domandò con sincera curiosità: «Aken non sente minimamente la mancanza di Rajana, vero?»

«Se intendi la città, no. Ma voi gli mancate, come a me, del resto» le spiegò Eikhe, sorridendo divertita quando vide uscire un paio di soldati da una casa vicina.

Apparivano vagamente storditi, e le facce erano pallide e vagamente verdognole.

«Troppo idromele.»

Naell non poté fare a meno di ridere di gusto e, quando passò accanto ai due soldati della guardia, li salutò con calore pur volendo piegarsi in due per le risate di fronte alle loro espressioni sconvolte.

Eikhe mostrò lo stesso stoico contegno ma, non appena raggiunsero le stalle dei puledri, si appoggiò a un box ed esplose in una calda risata di gola, cui si accodò subito dopo anche Naell.

L’addestratrice di cavalli, nel vederle così ilari, si avvicinò a loro con la tipica andatura flessuosa delle donne-lupo e disse: «Fate ridere anche me, belle ragazze.»

Eikhe la salutò con un cenno della mano prima di scostare la porta della stalla e mormorare: «Guarda tu stessa, Mesera.»

La donna dai folti capelli scuri scrutò la strada con i suoi profondi occhi di colomba prima di sgranarli, richiudere la porta e sogghignare divertita.

Un attimo dopo, esplose a ridere di gusto, trascinando con sé anche Eikhe e Naell che, con le lacrime agli occhi e un sorriso ilare, esalò quasi senza voce: «Sono messi malissimo!»

Mesera ammiccò complice, chiosando: «Mai fidarsi dell’idromele di montagna.»

«Credo che ora lo sappiano anche loro» assentì Naell, prima di ricomporsi non appena vide alcune giovani ragazze-lupo sul fondo della stalla.

Gli occhi puntati su di lei con aperta curiosità, le ragazze si avvicinarono quasi saltellando e, dopo una breve occhiata alle due adulte ridacchianti, la più coraggiosa del gruppo si rivolse a Naell.

«Possiamo partecipare anche noi a tanta ilarità, principessa?»

Scuotendo una mano, Naell si affrettò a dire: «Solo Naell, per favore e sì, potete partecipare. Guardate fuori, e ditemi se non sono comici.»

Come un solo corpo, le ragazze si mossero all’unisono per portarsi nei pressi dell’entrata della stalla e, non appena scorsero il motivo di tanta ilarità, scoppiarono in risatine divertite e cinguettanti.

Ghignando allegramente, Naell chiosò: «Credo che questo particolare non lo racconterò a mio padre. Se scoprisse che i suoi valenti soldati si sono dati alla pazza gioia, e ora brancolano come dei fantasmi in cerca di ristoro, non credo ne sarebbe molto fiero.»

Eikhe si asciugò le lacrime dal volto prima di annuire e asserire: «Sì, è meglio se non glielo accenni.»

Lanciando un’occhiata interessata all’esterno della stalla, da cui si intravedeva in lontananza la casa di Istrea – dove aveva dormito Staryn – Naell sogghignò furba e si chiese: «Chissà se mio fratello è messo come gli altri?»

Le ragazzine compresero immediatamente il suo pensiero e scoppiarono nuovamente a ridere mentre Mesera, tornando più o meno seria, le redarguiva bonariamente.

«Per Hevos, bambine! Un po’ di contegno!»

Niente da fare.

Le ragazze risero ancora di più ed Eikhe, avvolgendo con un braccio le spalle della nipote, le confidò: «Dal numero di boccali che gli ho visto trangugiare, credo che stamattina non lo vedremo tanto presto. Ma io terrei questa informazione per te, caso mai ti servisse in futuro.»

«Grazie, zia.»

Il sorriso di Naell fu così ghignante e malizioso, che Eikhe rischiò di scoppiare nuovamente a ridere.

Battendo le mani per far tornare un po’ d’ordine tra le truppe, Mesera esclamò: «Molto bene! Ora che ci siamo fatte quattro risate, riprendiamo il lavoro.»

Poi, rivoltasi a Naell, aggiunse: «Ti affiderò a Kalia e Nyssa. Loro ti spiegheranno i lavori che svolgono le ragazzine della tua età. Ora, ho bisogno di tua zia per una giumenta in travaglio. Se avrete necessità di parlarci, ci troverete in fondo al capannone, va bene?»

«Mi rimetto ai vostri consigli, Mesera» annuì compita Naell, prima di notare il sorrisone divertito della donna.

«Meno formalità, bimba. Non siamo a palazzo, e qui non c’è bisogno di tanti fronzoli, nel parlare» le spiegò Mesera, dandole una pacca sulla spalla.

«Messaggio ricevuto» annuì allora Naell prima di voltarsi in direzione delle ragazze-lupo e deglutire vagamente imbarazzata.

Kalia e Nyssa, due ragazze di circa quindici anni, alte e sottili come giunchi e abbigliate con le classiche tuniche di pelle di daino delle donne-lupo, si fecero avanti tutte sorridenti.

Allungata la mano nella loro direzione, mormorò: «Naell, tanto piacere.»

In un attimo, la principessa fu letteralmente circondata dalle ragazzine che, tra risatine imbarazzate e sorrisi sinceri, si presentarono a loro volta prima di essere scansate dalle due insegnanti di turno di Naell.

«Via, via, abbiamo del lavoro da sbrigare. Parlerete con la principessa più tardi!»

«Kalia, non fare la presuntuosa solo perché sei la più grande!» brontolò Frisa, fissandola malamente.

Naell si affrettò a intervenire, dicendo diplomaticamente: «Kalia ha ragione. Non vorrei mai essere la causa di un ritardo nei lavori. Mi concederò alle vostre domande non appena avrò capito come si fa a tenere in mano una pala.»

Le ragazzine a quel punto risero e Nyssa, ammiccandole complice, le sussurrò all’orecchio: «Ottima mossa, principessa.»

«Naell» le rammentò la bambina, sorridendole. «Ci tengo davvero.»

«Niente titoli, allora» sentenziò Nyssa, afferrando una pala da una rastrelliera vicina per porgergliela. «Cominciamo dalle cose basilari. La pulizia.»

«Va bene» annuì Naell, afferrando a due mani il manico di legno prima di seguire fiduciosa le sue due insegnanti.

Entrate che furono in un box, mentre alle loro spalle il capannello di ragazze-lupo andava scemando, Kalia esordì con tono pacato.

«Saprai sicuramente che i cavalli non sono solo belli, ma lasciano anche un discreto olezzo, quando fanno i loro bisognini.»

Naell ridacchiò, annuendo.

«Ho visto spesse volte gli stallieri mentre pulivano i box, quindi so cosa intendi. Purtroppo, mi era vietato dar loro una mano. Se la balia mi avesse sorpresa a fare un lavoro del genere, probabilmente mi avrebbe rinchiusa nello sgabuzzino.»

Kalia e Nyssa ghignarono assieme a lei mentre Naell, osservando con il naso arricciato ciò che avrebbe dovuto spostare con la pala, mugugnò: «Perché ho l’impressione che questo lavoro mi lascerà dei dolori ovunque?»

Nyssa sentenziò bonariamente: «Perché, evidentemente, sei una ragazza accorta e intuitiva.»

«Non so perché, ma questo complimento non mi esalta, ora come ora.»

Schiaritasi poi la gola, aggiunse: «Bene. Come la aggredisco, quella montagna di roba maleodorante?»

Kalia le sorrise comprensiva e, dopo averle spiegato come tenere la vanga, le ricordò di non caricarsi di pesi eccessivi, così da non stancarsi subito e farsi venire dei dolori lancinanti alla schiena.

Di buona lena, Naell iniziò il suo primo lavoro veramente  impegnativo e, dopo meno di dieci minuti di quel carica-e-scarica, si volse col viso accaldato e l’aria stremata in direzione delle sue insegnanti, esalando: «E voi lo fate tutti i giorni?»

Nyssa le batté una mano sulla spalla, annuendo e, presa una seconda pala, iniziò a darle una mano.

«Solitamente, siamo in due. Una spala, e l’altra porta la carretta alla buca del compostaggio. I residui vengono usati per creare concimi che, in seguito, vengono portati a Marhna e venduti ai grossisti. Non si butta via praticamente niente, al villaggio.»

«Capisco» esalò Naell, guardandosi le mani arrossate prima di chiedere a Kalia: «Sarebbe increscioso se indossassi dei guanti?»

Sgranando leggermente gli occhi, Kalia arrossì profusamente prima correre fuori dal box per poi tornarne, pochi attimo dopo, con un paio di guanti di pelle.

«Scusa. Non ci avevo proprio pensato. Errore mio.»

Infilati i guanti con un moto di gratitudine, Naell riprese il lavoro di buona lena, pur sentendosi bruciare le spalle e le braccia per il dolore.

Non voleva sconti di alcun genere, pur sentendosi prossima al cedimento.

Nyssa, però, la bloccò dopo poco più di un’ora di quel duro lavoro, prendendo il suo posto.

Prevenendone qualsiasi replica, le spiegò: «Non ha senso che ti sfianchi subito. Devi provare, non ucciderti. Già Eikhe mi sgriderà perché ti ho permesso di metterti subito al lavoro, invece di farti solo vedere cosa facciamo qui.»

«Non glielo dirò» le promise immediatamente Naell.

Nyssa allora ridacchiò.

«Se ne accorgerà stasera, quando ti lamenterai per il male ai muscoli. E credimi, ti lamenterai» le predisse bonariamente la ragazza, lavorando con agilità di movimenti mentre Kalia annuiva alle parole dell’amica.

Mordendosi un labbro, un’espressione imbronciata dipinta sul viso acqua e sapone, Naell brontolò: «Dirò che ho insistito io.»

«Nobile da parte tua, Naell, ma non occorre che mi copri» replicò Nyssa, facendo poi un cenno a Kalia perché uscisse con la carriola. «Segui Kalia, così vedrai dove finisce questa roba. Dopo, andremo a strigliare i cavalli.»

«Quello lo so fare!» esclamò più tranquilla Naell, ritrovando il sorriso.

«Ottimo.»

Poi, dandole una pacca sulla spalla, Nyssa le confidò: «Non è mai facile per nessuno, il primo giorno. Solo, noi iniziamo da piccole, a lavorare nella stalla. Ti abituerai come hanno fatto tutte. Inoltre, non lavoriamo soltanto.»

«E cioè?» volle sapere Naell, curiosa.

Kalia le strizzò un occhio e la invitò a seguirla fuori dalla stalla.

All’esterno, l’aria frizzante e il profumo dei fiori proveniente dal bosco vicino la rallegrarono non poco, dopo il puzzo non proprio eccellente del box dove aveva lavorato.

Seguendo come un cucciolo fiducioso la sua insegnante, le sentì dire: «Seguiamo lezioni di cucito, di canto e di ballo, oltre a studiare matematica, lingue e storia. Tuo zio Aken è uno degli insegnanti.»

«Davvero?» esalò Naell, più che sorpresa.

Annuendo, Kalia aggiunse: «Lui si occupa di tutto ciò che riguarda la matematica e il commercio, oltre a impartirci lezioni di scherma. Sai, dobbiamo stare attente a non farci mettere nel sacco dai commercianti, quando vendiamo le nostre mercanzie e, all’occorrenza, dobbiamo saper snudare le daghe con efficienza.»

Naell rise, annuendo, prima di spiegarle: «Si occupava di commercio anche quando viveva a palazzo. Nessuno meglio di lui potrebbe insegnarvi come evitare i tiri mancini dei mercanti. Per quel che riguarda la spada, poi, non potreste avere insegnante migliore.»

Inerpicandosi su per uno stretto viottolo che conduceva poco fuori il villaggio, Kalia aprì un cancelletto di tronchi d’albero prima di entrare in un recinto.

Nello scrutare curiosa Naell, le chiese: «Quanto è diversa, la vita di palazzo, da questa nel villaggio?»

«Credo come il giorno dalla notte» iniziò col dire Naell, aiutandola a sollevare un grosso tappo di legno, sotto cui si trovava il compost in fermentazione.

Con un ghigno, poi, la principessa aggiunse: «A palazzo, sono perennemente controllata a vista dalla balia, dall’istitutrice, dai maestri di canto e dizione, dall’insegnante di ballo… insomma, è uno strazio. Devo sempre moderare i toni, mostrarmi carina e affabile, sorridere in ogni situazione, ricordarmi che sono la principessa almeno ottanta volte al giorno, camminare ritta ed elegante, portare con proprietà le pietanze alla bocca…»

Interrompendola con un risolino, Kalia scosse il capo ed esalò: «E’ uno strazio!»

«Eccome! E considera che i miei genitori sono dei progressisti, e alcune cose le hanno cambiate, rispetto al passato» mormorò Naell, reclinando il capo e guardandosi le mani ancora coperte dai guanti. «Ho solo dodici anni, ma comincio a capire perché lo zio stesse lentamente spegnendosi, a Rajana. Non c’era aria sufficiente, per lui. Era soffocato da tutta l’opulenza del palazzo, dalle sue leggi assurde e vetuste, dal suo protocollo inflessibile.»

«Esistono regole anche qui» ci tenne a dire Kalia, riprendendo la via del ritorno.

«Oh, lo so» asserì Naell. «E imparate a seguirle fin da piccoli, come noi. Ma… non so, è come se qui fosse più semplice, seguirle. Come se fossero meno soffocanti.»

Kalia rifletté un attimo sulle parole della principessa, prima di assentire.

«Credo che il duro lavoro non ci pesi, perché sappiamo che tutti lo devono portare avanti, senza distinzione di sesso o altro. Persino Istrea, che è la Signora del Villaggio, fa i suoi turni in stalla esattamente come gli altri. Ma non credo dipenda solo da questo. Penso che anche da te ci siano persone che amano il proprio lavoro, esattamente come qui.»

«Sì. Mio padre è bravo nel suo mestiere, e non gli spiace farlo, anche se a volte vorrebbe strangolare qualche ministro, o prendere a pugni alcuni delegati troppo esuberanti» ammise Naell.

Kalia sorrise a quel commentò e annuì, replicando: «Il problema credo stia nel fatto che, per quanti lussi o agi uno possa avere, se quello non è il tuo posto, non ti troverai mai bene. E viceversa. Qui al villaggio ci sono state ragazze che hanno lasciato perdere questa vita, si sono sposate con uomini di Marhna e hanno abbandonato la vita nei boschi. Obbligare qualcuno a seguire un’inclinazione che non è la propria, porta solo dolore.»

Naell reclinò il capo per un momento, scrutando nuovamente le sue mani inguantate prima di risollevare lo sguardo e osservare meditabonda il contorno dei tetti del villaggio.

Le sarebbe piaciuto vivere lì per sempre? O la sua era una fase di ribellione?

Era sempre stata la più irrequieta, tra i figli del re, ma questo poteva voler dire di avere la stessa avversione che lo zio aveva avuto per la vita a palazzo?

Non sapeva dirlo, e la cosa la spaventò un poco.

Mordendosi un labbro, si volse a guardare Kalia, che la attendeva paziente sul sentiero, e le domandò incerta: «E se la vita di palazzo non facesse per me?»

«Allora, hai un grande problema, Naell, figlia di Ruak e Renke» sospirò Kalia. «Scendiamo. Nyssa si starà chiedendo dove siamo sparite.»

«Sì, andiamo» annuì la principessa, riprendendo il cammino.

Sarebbe stata ancora la principessa Naell, alla fine di quel periodo di vacanza?

O avrebbe rimesso piede a palazzo come una persona nuova, a cui il mondo opulento della regalità sarebbe stato inviso come una tempesta di neve tra i monti?

Davvero non ne aveva idea, ma il solo pensiero la portò a rabbrividire.

Amava la sua famiglia, ma anche lo zio li amava, eppure si era trasferito lì in pianta stabile.

Certo, lui aveva voluto raggiungere l’amore della sua vita, il figlio mai conosciuto, perciò la faccenda era completamente diversa. Eppure…

Sarebbe riuscita a separarsi dalla madre, dal padre, dai fratelli, pur di vivere lontana dalle regole restrittive imposte a una principessa?

E, soprattutto, era quello che desiderava veramente?

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Capitolo 4
*** cap. 4 ***


4.

 

 


 
 
  Staryn era rientrato sano e salvo da circa una settimana, stando alla missiva che era giunta tramite falco alla casa di Istrea.

La famiglia reale ringraziava tutto il villaggio, per l’accoglienza festosa riservata ai due figli del re e al loro seguito.

Nel messaggio, Ruak e Renke si complimentavano coi cognati per la bellezza dei gemelli, e si auguravano di poterli vedere di persona, prima o poi.

Nel replicare alla missiva con un messaggio di ringraziamento, Aken promise loro che, quando i gemelli fossero stati un po’ più grandi, avrebbero sicuramente accettato il loro invito.

Naell, pur lieta di aver saputo del buon esito del viaggio del fratello, aveva sospirato infelice nel buio della sua stanza, sentendosi spaesata più di quanto non si sarebbe mai aspettata di essere.

Pur avendo desiderato quella vacanza, la vita nel villaggio le pesava più di quanto fosse disposta ad ammettere e, pur con tutte le attenzioni di Eikhe e di Aken, le mancavano i suoi genitori.

Il lavoro che aveva svolto fin dal primo giorno lì a Hyo-den ne aveva minato, più di tutto, le sicurezze perché mai, in vita sua, aveva dovuto faticare tanto.

Ricoprirsi di sudore e polvere come, invece, le capitava ogni giorno, non la aiutava a ritemprare il suo ego.

Se in passato aveva creduto che la vita a corte fosse pesante e difficilmente sopportabile, al villaggio si era dovuta ricredere alla svelta.

Nessuno le faceva pesare la sua lentezza nel lavorare, o i suoi modi impacciati, ma bastava già il suo subconscio a metterla a disagio, specialmente quando le metteva sotto il naso la sua inettitudine nel lavorare.

Non voleva apparire goffa ma, di fatto, la era, e questo non contribuiva certo a migliorarne l’umore.

I pianti silenziosi nella sua stanza, quando nessuno poteva vederla, erano quasi all’ordine del giorno.

Naturalmente, di fronte agli zii e ai cugini, come al resto del villaggio, non aveva espresso i suoi lamenti, che lei stessa giudicava infantili.

Non essendo però abituata a convivere la notte con un lupo, non aveva pensato a quanto, il suo compagno di stanza, potesse invece comprendere i suoi problemi.

E riferirli di conseguenza al suo amico e padrone.

Turbato per il malumore della ragazza, Fyn era sgattaiolato una mattina nei pressi dei frangi-valanghe, dove sapeva trovarsi Aken.

Dopo aver attirato la sua attenzione, gli aveva spiegato per sommi capi – e per quanto fosse possibile a un lupo – ciò che stava passando Naell.

Aken lo aveva ringraziato con una grattata dietro le orecchie, e la promessa di una bella bistecca per cena.

Ritenutosi soddisfatto, il lupo se n’era andato nel bosco come in quelle settimane – a turno – ogni membro del branco stava facendo con insolita puntualità.

Più di un abitante di Hyo-Den aveva notato con quanta assiduità, i lupi, si recassero nella foresta ma, a nessuno, era stata data una risposta esauriente.

Affari del branco.

Come se questo potesse dire loro qualcosa.

A turno, una decina di lupi si assentavano dal villaggio per ripresentarsi solo a sera inoltrata, solitamente col pelo inumidito o, addirittura, fradicio.

Cosa facessero rimaneva un mistero e, i pochi che avevano cercato di pedinarli, erano stati ben presto seminati.

Anche quella mattina, mancavano all’appello diversi lupi e, quando le rispettive padrone ne parlarono durante la consueta lezione di cucito, Naell si interessò personalmente dell’argomento.

«Anche il lupo di mio zio, ogni tanto, sparisce. E così pure quelli di Eikhe e di Antalion.»

Liana, che era accomodata a poche sedie di distanza da lei, asserì a sua volta: «Nak è un vero mistero. Non mi dice mai nulla e torna a casa quasi sempre col pelo bagnato, neanche si fosse ruzzolato nella neve.»

Bonariamente, Istrea sorrise tutte loro e chiosò: «Quando vorranno dirci cosa stanno combinando, lo faranno.»

«Mah…» mugugnò Kalia, prima di sorridere a Naell, seduta alla sua sinistra, e mormorare ammirata: «Davvero un bellissimo ricamo, Naell. Sei veloce, nell’esecuzione.»

Con uno sbuffo infastidito, Naell le spiegò: «Se sapessi quante ore passo a ricamare, ti spaventeresti.»

«Ti prepari da sola la dote per quando sarai maritata a un principe?» la irrise bonariamente una delle ragazze, strizzandole l’occhio per smorzare la battuta.

«Qualcosa del genere» sospirò Naell, ridacchiando senza troppa allegria. «All’attivo, ho già una decina di cuscini ricamati, una quindicina di copri-letti, non ricordo neppure più quanti scialle, e fazzoletti per un intero reggimento.»

Tutte le donne presenti sogghignarono di fronte al suo tono scocciato mentre Istrea, sorridendole indulgente, le replicava bonaria: «Se non altro, potrai dire di avere le dita allenate.»

«Le dita più allenate del regno, questo è poco ma sicuro!» esclamò Naell, cercando di mascherare il dolore che percepiva ai polpastrelli, irritati dal lavoro nella stalla.

Seguendo le istruzioni di Kalia – unica a sapere del suo problema – aveva ammorbidito la pelle con unguenti alle erbe, e fatto dei lavaggi con acqua tiepida tutte le sere, prima di mettersi a dormire.

Il dolore, pur se diminuito, non era ancora scemato del tutto, e anche tenere un ago in mano era fastidioso.

Avvedendosi della sua smorfia, Kalia intervenne e chiese a Istrea: «Visto che Naell è così brava, credo sia inutile tartassarla per tre ore di fila con le lezioni di cucito. Mi permetti di portarla alla nursery dei lupi?»

Con un cenno di assenso, Istrea diede il suo benestare e Naell, dopo aver fissato grata l’amica, si incamminò con lei all’esterno della casa della Signora del Villaggio.

Ritrovarsi sotto il sole allegro di quella giornata agli albori dell’estate, non fu che un sollievo.

L’aria frizzante sapeva di resina di pino, di erba fresca e di fiori di bosco e Naell, inspirando soddisfatta quella miscellanea di profumi, sorrise a Kalia prima di dirle: «Non so come ringraziarti. Ormai davo per scontato che le dita avrebbero cominciato a sanguinare.»

Afferrata una sua mano per scrutarla alla luce del sole, Kalia annuì spiacente e sentenziò: «Di questo passo, queste abrasioni non guariranno mai. Sei sicura di non voler concederti un giorno o due di pausa, così da permettere alle tue mani di riprendersi?»

«Voi non lo fate» mugugnò Naell, accigliandosi leggermente.

Kalia rise di quel commento e, avvolte le spalle della ragazzina con un braccio, continuò a camminare con lei lungo la via principale del villaggio.

Tutt’intorno a loro, Hyo-den proseguiva le sue attività senza prestare loro alcuna attenzione.

Uomini armati di ascia erano di ritorno dai boschi, mentre diverse donne-lupo e figlie sacre, caricati i loro muli da soma, erano in procinto di partire per raggiungere Marhna.

Diversi bambine e bambini, di età compresa tra i quattro e i sei anni, erano impegnati a rincorrersi tra di loro nel vicino giardino dei giochi, controllati a vista da un paio di donne-lupo.

Tutto si svolgeva con regolarità quasi maniacale, nessuno era in panciolle, ogni componente del branco, fosse esso umano o animale, aveva un suo ruolo.

Naell non voleva essere da meno, pur sapendo quante e quali differenze vi fossero tra lei e una ragazza-lupo della sua stessa età.

Se i primi giorni tutto era stato un susseguirsi di novità, sorrisi e benvenuti, dopo quasi un mese di permanenza al villaggio, tutto era sostanzialmente cambiato.

Non necessariamente in peggio, ma era tutto diverso.

Diverse ragazze, dopo aver visto con quanta assiduità Kalia si stesse prendendo cura di lei, avevano iniziato a ridacchiare alle spalle della loro compagna.

Per nulla preoccupata, le aveva caldamente ignorate, pregando Naell di fare lo stesso.

Certo, a lei non veniva indirizzato alcun commento, anzi, erano tutte piuttosto sorprese che avesse resistito tanto, ma le frecciatine a Kalia non erano diminuite con il tempo.

Quel comportamento infantile aveva iniziato a dare sui nervi a Naell che, irritata, ne aveva parlato apertamente con l’amica.

Kalia ne aveva riso, replicandole che, donne-lupo o meno, rimanevano pur sempre donne e le femmine, notoriamente, avevano l’abitudine di parlare, e sparlare.

Ben presto, tutto si sarebbe ridotto a un fuoco di paglia, e lei aveva le spalle robuste.

Quattro parole lanciate al vento, non le avrebbero certo fatto male.

Naell, in ogni caso, non si era ritenuta soddisfatta di quella visione della situazione.

E, come ogni giorno, sottopose il suo annoso problema a colei che, ormai, considerava un’amica degna di fiducia.

«Continuo a pensare che il modo migliore per risolvere il problema, sia affrontarle.»

Nel dirlo, lanciò uno sguardo carico di fiducia in direzione del viso di Kalia.

«E perdere del tempo prezioso? No, hillan. Lascia perdere» ridacchiò Kalia, ricorrendo al nomignolo che, quasi subito, aveva affibbiato a Naell. Fiorellino.

Naell aveva riso, venendo a sapere il suo reale significato, ma Kalia aveva replicato che il suo viso era talmente carino da poter essere tranquillamente equiparato alla bellezza di un fiore di montagna.

Al che, la ragazza era arrossita e l’amica, ammiccando maliziosamente, le aveva prospettato schiere di principi pronti a sposarla, solo perché ammaliati dal suo fascino.

Nel sentirle usare quel nomignolo, Naell sorrise spontaneamente ma ribatté: «Non cercare di blandirmi, Kalia. Ritengo di essere nel giusto. Se c’è un problema, va risolto. E io non voglio essere il tuo problema.»

Kalia si limitò a sorriderle dolcemente, indirizzandola poi in direzione di un basso capanno di legno dalle piccole vetrate.

Una volta raggiuntolo, la ragazza si fermò e le sfiorò le spalle con le mani, chiedendole: «Non voglio turbarti ma… sai che due donne posso volersi bene come… beh, come un uomo e una donna?»

Pur arrossendo lievemente, Naell annuì e mormorò: «Mamma me lo ha spiegato quando le chiesi come mai molte donne rifiutassero di sposarsi, giunte in età da marito, e preferissero rimanere sole, o convivere con altre donne. A Rajana non sono ben viste, ma ne conosco l’esistenza. Perché?»

Sorridendo indulgente, Kalia le spiegò: «Qui tra le montagne e, soprattutto, tra le donne-lupo, c’è molta più flessibilità sull’argomento, e non è raro che si scelga di non avere mai un compagno, preferendo passare la vita con un’altra femmina.»

«A-ha» annuì Naell, sbattendo confusa le palpebre nell’osservare l’amica.

Un risolino le sfuggì dalle labbra e, con un vago rossore sulle gote, Kalia aggiunse: «So esattamente chi ha iniziato a spargere queste chiacchiere su di me, Naell, ma non posso fare niente per far cambiare idea a quella data persona. La pensiamo diversamente sull’argomento che ti ho esposto, quindi, il tempo che passo con te, per lei, equivale a un’offesa personale.»

«Oh» esalò Naell, avvampando in viso prima di esalare: «Lei vorrebbe che tu… »

«Esatto. Io ho tenuto a precisarle che, quando lo riterrò giusto, inizierò a guardarmi intorno, ma per cercarmi un compagno.»

Con un sospiro, Kalia scosse il capo, come se quella frase fosse stata costretta a ripeterla infinite volte.

«Ora che, però, passi un sacco di tempo con me, potrebbe aver pensato che, invece, le hai solo mentito, giusto?» ipotizzò Naell, inclinando un poco il capo.

«Hai centrato il problema. E niente di quello che le ho detto è servito a farle cambiare idea, quindi, semplicemente, la ignoro.»

Una spallucciata seguì il suo dire e, senza più tornare sull’argomento, entrarono nel capanno dove, controllati da quattro figlie sacre, si trovavano circa una ventina di piccoli lupi, in compagnia delle madri.

Tra essi, Naell vide anche Symil, la compagna di Luak.

Impegnata a leccare il musetto di uno dei suoi cuccioli, sollevò la testa bionda a scrutarla e le lanciò un guaito di saluto, prima di tornare al suo dovere di madre.

Da quando aveva saputo dei cuccioli appena nati, Naell non aveva passato giorno senza fare visita alla famigliola che, fino al giorno prima, era rimasta stabilmente nella stalla a fianco della casa di Eikhe e Aken.

Dopo avere ritenuto fuori pericolo madre e cuccioli, la famiglia era stata spostata nella nursery del villaggio, perché i cuccioli si abituassero alla presenza degli altri lupi e, soprattutto, al contatto con umani estranei alla famiglia.

Era la prima volta che Naell li vedeva assieme agli altri e, nel notare quanti cuccioli vi fossero, sorrise spontaneamente e si appoggiò al basso steccato che racchiudeva le varie famigliole.

«Pagherei oro, per averne uno tutto mio.»

Ridacchiando, Kalia le si mise al fianco, chiosando: «E’ il sogno di tutti noi, maschi o femmine non importa. Non appena li vediamo, sentiamo subito il legame con il lupo.»

«Io, però, non sono nata e cresciuta qui. Perché sento di volerne uno, allora?» chiese in tutta onestà Naell, piegandosi su un ginocchio per carezzare il musetto canuto di un cucciolo che, più temerario degli altri, si era avvicinato trotterellando allo steccato.

Muovendo la mano su quel pelo morbido e folto, la ragazza socchiuse debolmente gli occhi, provando un piacere così forte da farle quasi tremare le dita.

Avrebbe tanto voluto afferrarlo e prenderlo tra le braccia e, come se il cucciolo lo avesse compreso, raspò sul terreno emettendo un guaito infelice finché la madre non si avvicinò a sua volta per afferrarlo coi denti alla collottola.

Sorpresa, Naell si scostò un poco per permettere a Symill di sollevarlo agevolmente e, al colmo dello stupore, se lo vide consegnare tra le braccia con un muto monito nello sguardo d’ambra.

Afferratolo con gentilezza, Naell se lo strinse al petto con un braccio, esprimendo una gioia infinita nello sguardo e, con la mano libera, carezzò il muso allungato della lupa.

«Ne avrò cura.»

La lupa annuì e guaì lievemente prima di tornarsene dagli altri cuccioli.

Osservando Naell alle prese con il cucciolo che, letteralmente, la stava ricoprendo di leccatine sulle dita e sul viso, Kalia ridacchiò e le disse: «Non è importante essere nati qui. Hevos è padre di tutte le creature viventi, te compresa, e lui legge nei cuori delle persone senza pregiudizi di sorta. Non importa che tu sia o meno una donna-lupo. Se ti riterrà degna di fiducia, ti darà la Sua fiducia.»

«E questo è il segno della sua fiducia in me?» domandò con tono sommesso Naell, lasciando che il lupacchiotto le mordicchiasse un dito.

Una delle figlie sacre presenti nel capanno si avvicinò a loro, dopo aver ascoltato in silenzio le loro dissertazioni.

Sorridendo a Naell con fare confidenziale, accarezzò il lupo che teneva tra le braccia prima di confermare le ipotesi di Kalia.

«Non tutti possono avvicinarsi ai lupi così piccoli. Essi non hanno l’addestramento degli adulti, o l’abitudine a stare tra gli esseri umani. Sono guidati solo dall’istinto e, poiché questo lupo ti ha scelta nonostante non ti avesse vista che poche volte, significa che l’occhio benevolo di Hevos è su di te.»

Con un sorriso estasiato, Naell baciò il naso freddo e umido del lupetto prima di rimetterlo nel serraglio e sussurrare: «Verrò a trovarti anche domani, se vorrai.»

Rivolgendosi all’anziana figlia sacra, Kalia le chiese gentilmente: «Naell non potrebbe venire qui, invece che nelle stalle?»

Arrossendo di fronte all’interessamento dell’amica, Naell si volse a fissare il volto segnato da rughe della donna che, coi suoi penetranti occhi d’ambra, la studiò per diversi secondi, prima di assentire.

«Sarò lieta di addestrarla all’allevamento dei lupi, se a lei interessa. Mi mancava giusto un’allieva.»

Compiaciuta, Kalia diede una pacca sulla spalla a Naell, dicendole: «Così non ci saranno problemi.»

«Ma non sarebbe giusto!» brontolò Naell, pur scrutando avida i cuccioli che saltellavano avanti e indietro per il serraglio.

«Parlerò io con Istrea del tuo cambio di mansioni, Naell» le replicò Syanaill, ammiccando al suo indirizzo. «Come figlia sacra anziana, ho il diritto di scegliermi le allieve e, visto come ti ha accolto il piccolo Ylar, mi sento in dovere di rubarti alle tue mansioni per averti qui in pianta stabile. Almeno per il tempo in cui rimarrai a Hyo-den.»

Già, il tempo che sarebbe rimasta a Hyo-den.

Tornando a gettare il suo sguardo voglioso sui lupi che si trovavano all’interno del recinto, Naell dovette rammentare a se stessa che tutta quella libertà, quella mancanza di complessi rituali di comportamento, ben presto le sarebbero stati strappati come le erano stati dati.

E lei non avrebbe potuto far nulla per cambiare quel dato di fatto.

Lei era e restava una principessa, e neppure Hevos avrebbe cambiato quella realtà, neppure per lei che non bramava affatto le ristrettezze di palazzo.

Certo, la famiglia le mancava, ma stare lì le aveva permesso di imparare a respirare in modo nuovo, a scorgere il mondo con occhi diversi, a sentire le persone con altro cuore.

Nonostante tutte le sofferenze silenziose, tutti i suoi complessi, amava quel luogo. E amava quelle persone.

Ma forse, tutto ciò appariva così ai suoi occhi perché non si era mai sentita a suo agio a palazzo o, per meglio dire, le era sempre parso di essere diversa dalle persone che la circondavano ogni giorno.

Solo con i suoi famigliari, si era sentita accettata per quella che era, ma sapeva bene che, presto o tardi, quella realtà sarebbe cambiata.

Con un gran sospiro, Naell prese fiato e assentì: «Per il tempo che rimarrò qui, farò del mio meglio per imparare da voi, Syanaill.»

«Dammi del tu, bambina, e ritieniti ufficialmente arruolata tra i miei sottoposti» ridacchiò la donna, aprendole il serraglio per farla entrare. «Kalia, vai a dire a Istrea che, più tardi, le parlerò di questo cambio di ruoli, va bene?»

«Glielo riferirò.»

Lanciato poi uno sguardo soddisfatto in direzione di Naell, le promise: «Noi ci vedremo domani alla lezione di matematica.»

«D’accordo. E grazie» le sorrise Naell, sinceramente grata alla ragazza per il suo interessamento.

«Di nulla!» ammiccò Kalia, correndo fuori dal capanno per poi bloccarsi non appena raggiunse la strada.

Lì, appoggiato a uno steccato, trovò Aken che, sollevato un sopracciglio con aria interrogativa, le chiese: «Com’è andata?»

«Tutto bene. Il cambio le è piaciuto, e uno dei cuccioli di Symill si è innamorato subito di lei» gli spiegò Kalia, mettendosi al suo fianco mentre si incamminavano in direzione della casa di Istrea.

Annuendo soddisfatto, Aken le diede un’affettuosa pacca sulla spalla, grato per il suo intervento.

«Ti sono debitore per le attenzioni che le hai rivolto fin da subito, Kalia. E grazie per la soffiata. Anche Fyn mi aveva avvertito del problema ma, con il tuo suggerimento, le abbiamo impedito di sentirsi a disagio.»

«Ho solo cercato di mettermi nei suoi panni, e ho pensato che stare coi cuccioli fosse un lavoro più adatto, che quello nelle stalle. Non possiamo pretendere che le sue mani, o la sua muscolatura, si abituino così velocemente, né dobbiamo procurarle delle piaghe tali da rimandarla a Rajana con un brutto ricordo di Hyo-den» asserì Kalia, con un sorriso comprensivo.

Aken assentì compiaciuto e Kalia, con sguardo dolce, aggiunse: «Naell è una brava ragazza, e sono sicura che diventerà una donna dal carattere forte e indipendente, una volta adulta. Questo, però, non so se la aiuterà, a palazzo.»

«I suoi genitori sapranno capirla e, spero, indirizzarla verso la persona più adatta a lei.»

Nel dirlo, sperò con tutto se stesso di avere ragione.

Nulla l’avrebbe fatto soffrire di più del sapere che anche la nipote potesse patire i suoi stessi tormenti a palazzo, lontana da ciò che realmente desiderava.

Kalia si limitò ad annuire, turbata dai medesimi pensieri.

                                                            ***                                                          

Seduto su uno spuntone di roccia e intento a osservare con scrupolosa attenzione i suoi figlioli prediletti, Hevos reclinò il muso per scrutare gli occhi chiari del più vicino tra essi.

Rivoltosi al lupo che aveva di fronte, chiese: «Come procedono le cose, al villaggio?»

La principessa sembra aver preso a cuore la causa.

«E le figlie sacre?»

C’è un conflitto, tra loro, ma non dipende direttamente dalla principessa.

«Quindi, è stata accettata, e lei ha accettato loro.»

Con un cenno del muso, Hevos parve molto soddisfatto di ciò che la sua mente aveva percepito dei pensieri dei suoi lupi.

Guardando tutti loro, ammantati della lieve brina cristallina emanata dal suo corpo animale, il dio dichiarò: «Ben presto, metterò alla prova entrambe le fazioni, e scopriremo ciò che è di grande interesse per me.»

Siamo ai tuoi ordini, Hevos.

Quel coro mentale gli carezzò il corpo come un tocco di piuma e Hevos, rivolgendosi a Luak, gli chiese: «Sei pronto, mio lupo?»

Mi fido della principessa. E mi fido di te.

«Molto bene» asserì Hevos, osservando poi Fyn con aria incuriosita. «Voglio i gemelli. Portali da me assieme alla principessa, come stabilito.»

Quando la luna sarà scomparsa in cielo, ti porterò ciò che chiedi.

«Il Fato sta per compiere un altro balzo. Dovremo solo attendere di scoprire in che direzione. Ora, miei lupi, tornate alle vostre case e tenetevi pronti per ciò che presto avverrà.»

Detto ciò, Hevos se ne andò trotterellando nel buio della notte, svanendo in una nuvola di brina cristallizzata.

Luak e Fyn si fissarono dubbiosi, prima di riprendere il cammino verso il villaggio assieme agli altri lupi presenti nel bosco.

I loro manti erano ancora ricoperti di cristalli che, ben presto, si sarebbero sciolti, lasciando al loro posto solo lacrime d’acqua purissima.

Sin da quando Hevos era ricomparso, a sorpresa, nelle loro vite, i lupi si erano ritrovati a venir meno al patto di alleanza che intercorreva con le donne-lupo per mettersi al totale servizio del loro dio.

Questo aveva significato non proferire parola di ciò che la divinità aveva in serbo per tutti loro.

Il fatto che avesse voluto mantenere all’oscuro di tutto gli esseri umani, li aveva lasciati interdetti ma, trattandosi di Hevos in persona,  non se l’erano sentiti di replicare.

Se una divinità agiva in quel modo, doveva avere le sue brave ragioni.

A Eikhe e Aken verrà un colpo, quando faremo sparire i gemelli.

Nei pensieri di Fyn c’era una gran paura di sbagliare, e il timore fisso di deludere il suo amico e padrone.

Quando sapranno che Hevos voleva questo, da noi, capiranno. Loro più di altri sanno cosa significa sottostare alle Sue parole.

Luak cercò di spronarlo ad avere fiducia, ma neppure lui si sentiva così a suo agio, specialmente in vista di quanto sarebbe presto avvenuto.

Naell gli piaceva, e sapeva che loro piacevano a lei, ma questo sarebbe bastato?

E Symill sarebbe stata d’accordo? Non ne era del tutto sicuro.

Temo che dovrai discutere di brutto con lei.

Nel creare quel pensiero, indirizzato all’amico, Fyn lo guardò con occhi colmi di comprensione.

Luak preferì non dare voce ai suoi pensieri, limitandosi a trotterellare leggero nel bosco al fianco del suo amico, schiacciando rametti ed erba fresca al suo passaggio.

Era una prova difficile, quella che si apprestavano a compiere tutti loro, ma ne poteva scorgere il più ampio disegno.

Il punto era un altro; lui e Symill avrebbero accettato ciò che, dai piani di Hevos, sarebbe venuto?

In ogni caso?

Non ne era del tutto sicuro.

 
 
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Temo di avervi confuso ancor di più le idee ma, per lo meno, ora si sa a chi sia dovuto il silenzio dei lupi. Il bandolo della matassa verrà sciolto presto, non temete!

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Capitolo 5
*** cap. 5 ***



 

5.

 

 

 

Il pelo morbido del lupo che teneva tra le braccia era fresco, quasi umido, e intorno a lui aleggiava una nebbia leggera, fatta di cristalli di diamante e di perle d’acqua purissima.

Tutt’intorno a lei, la foresta appariva fitta e spettrale, impenetrabile ai suoi occhi, eppure non ne aveva paura, pur sapendo di avere, come unica compagnia, quella del bianco lupo che stringeva a sé con affetto.

I rumori le giungevano attutiti, quasi il bosco li fagocitasse in sé, non permettendole di fatto di comprendere cosa succedesse tutt’intorno.

Anche di questo, però, lei non si curò.

Era al sicuro, protetta dall’aura benefica del lupo che le sedeva accanto.

Niente le sarebbe potuto capitare, finché fosse rimasta accanto a lui.

«Naell…»

Sbattendo fiaccamente le palpebre, la giovane si ritrovò a fissare, oltre il velo di sonnolenza che ancora la ricopriva, il viso sorridente di Eikhe.

China verso di lei, la stava svegliando per la colazione. O almeno così credeva.

Era stato dunque tutto un sogno?

Guardandosi intorno con aria vagamente accigliata e sì, delusa, Naell si stirò le braccia nello sbadigliare sonoramente e, sorridendo alla zia, le disse: «Sai, ho fatto un sogno davvero strano.»

«Cosa, piccola?» le sorrise a sua volta Eikhe, estraendo dalla cassapanca una delle camiciole della ragazza per poi porgergliela.

«Ho sognato di essere in una foresta fittissima, impenetrabile, assieme a un lupo bianco come il latte e tutto ricoperto di diamanti.»

Afferrata la camiciola, Naell si tolse la veste da notte per poi infilarsi l’indumento di cotone grigio scuro.

«Quello che mi ha colpita di più, però, era che non avevo paura. Anche se c’eravamo solo io e il lupo.»

Sollevato un sopracciglio con evidente sorpresa, Eikhe trattenne per un istante le brache della nipote tra le mani, quasi timorosa di parlare, prima di riprendere a stento a muoversi.

«E’ raro che una persona che non sia un figlio di Hevos per discendenza diretta, sia in grado di sognare il dio-lupo.»

Sgranando gli occhi per la sorpresa, Naell balzò in piedi dal letto ed esclamò: «Era Hevos

Eikhe annuì, chiedendole: «Ti ha parlato? Cos’avete fatto?»

«No, non ha detto nulla. Né abbiamo fatto alcunché» scosse il capo Naell. «Mi limitavo a stringerlo a me e carezzarlo.»

Sempre più sorpresa, Eikhe esalò: «Questa sì che sarebbe una novità.»

«In che senso?» volle sapere Naell, incuriosita dal suo dire.

Con un mezzo sorriso, Eikhe la aiutò con i capelli mentre Naell pensava ad allacciare le brache di cuoio sui fianchi.

Nel passare la spazzola di crine di cavallo nella lunga chioma bruna della nipote, le spiegò: «Che io sappia, nessuno ha mai sfiorato con un dito Hevos. E, da quel poco che so, siamo solo in due, in questo tempo, ad averlo visto. E cioè, io e tuo zio. E credimi, nessuno dei due si è arrischiato a toccarlo.»

«Chissà cosa vorrà dire, questo sogno?»si domandò curiosa Naell, sorridendo tra sé all’idea di aver sognato il dio-lupo.

Questa sì, che era una cosa da raccontare!

«Vedremo. Magari lo incontrerai davvero» le sorrise Eikhe, terminando di stringere la treccia. «Ecco fatto. Pronta per una nuova giornata di lavoro.»

«Evviva!» esclamò Naell, lanciando in aria un pugno.

Era soddisfatta di se stessa, e di ciò che era riuscita a fare in quei due mesi passati a Hyo-den.

Si era irrobustita, la sua pelle aveva preso una bella tonalità dorata e, man mano che i giorni erano passati, il lavoro con i cuccioli le era parso sempre più facile, più leggero.

La soddisfazione provata nel sentire decantare le sue doti di pazienza e gentilezza da Syanaill, si combinava con l’affetto sempre crescente che provava per il piccolo Ylar, uno dei cuccioli di Symill e Luak.

Passare del tempo assieme a lui e agli altri cuccioli, le aveva restituito la fiducia in se stessa.

Durante le prime settimane, aveva perso un po’ della sua autostima, trovandosi dinanzi a un mondo, per lei, così estraneo ma di cui, a tutti i costi, aveva voluto far parte.

Gli zii e i cugini, però, le erano stati vicini, in questo suo processo di crescita.

Nel recarsi al capanno dei lupi assieme a Eikhe e i gemelli – che, da quel giorno, ne avrebbero imparato i rudimenti dell’allevamento – il suo sorriso era radioso.

Zio Aken e Antalion, impegnati nel terminare la casa di quest’ultimo, le avevano augurato buona giornata, prima di scappare fuori dalla cucina con gli attrezzi da falegname e la sporta per il pranzo.

Era difficile credere che lo zio, fino a pochi anni prima, fosse stato impegnato a decifrare scartoffie su scartoffie, piegato dietro la sua scrivania di legno di pino.

Ora, vestito di pelli e con le mani ricoperte di calli per il duro lavoro manuale che soleva fare ogni giorno, sembrava un qualunque abitante delle montagne, non certo un principe di un’antica casata nobiliare.

Eppure, a lui stava bene così e, anzi, era ringiovanito, stando all’aria aperta e assieme alle persone con cui aveva scelto di vivere.

Lei, invece, cosa voleva?

Forse, era davvero troppo giovane per pensarci, ma non le sembrava di avere le idee molto chiare.

La vita al villaggio le piaceva da impazzire.

Non dover indossare le crinoline, o i lunghi abiti di seta e velluto, le scarpine con il tacco – tanto strette in punta! – o acconciarsi i capelli in maniera impossibile, era un sollievo.

Eppure, certe cose le mancavano.

Forse, non era né carne né pesce.

Enyl le sorrise nello stringerle fiduciosa la mano e, con la sua vocina trillante, le disse: «Di solito, sono i grandi che hanno le rughe in fronte.»

«Grazie, tesoro mio» la rimbrottò bonariamente Eikhe, volgendosi a mezzo per guardare nipote e figlia mentre Rannyl, quieto, le camminava al fianco con passo spedito.

Enyl fece un sorrisone furbo alla madre, replicando: «Tu sei bellissima e giovanissima, mamma.»

La madre rise del suo dire, prima di chiedere a Naell: «Tutto bene, tesoro? O hai dei pensieri profondi che ti turbano?»

Con una scrollata di spalle, la nipote mormorò pensosa: «Non proprio. Pensavo che sono incontentabile.»

Un risolino scaturì dalle labbra piegate in un sorriso di Eikhe che, bonariamente, chiosò: «E chi non lo è? A nostro modo, tutti vorremmo il meglio di ogni cosa ma, ben difficilmente, si può ottenere. Credo che neppure gli dèi possano ottenere tutto ciò che vogliono perché, inevitabilmente, devono passare attraverso il filtro del libero arbitrio che ci hanno concesso. Possono consigliarci, instradarci ma non possono obbligarci. E’ un cavillo che, secondo me, si sono pentiti millenni fa di averci donato ma, ormai, non posso guastare ciò che hanno fatto.»

«E’ ironico pensare che gli dèi, pur con tutto il loro potere, devono attenersi a ciò che facciamo noi» constatò Naell, ammiccando divertita. «Ma anche il dio Haaron deve sottostare al libero arbitrio?»

«Sì, se ci pensi bene. Non può obbligare una persona a morire… può solo attendere. E pazientare.»

Il gracchiare di un corvo in lontananza portò Naell a bloccarsi a metà di un passo per cercarne il volo nel cielo ma, nulla vedendo, storse il naso e chiese: «Dove diavolo è?»

Eikhe le sfiorò la spalla con una mano e, indicandogli la casa di Istrea, in fondo alla via principale del villaggio, le spiegò: «Vedi lassù, accanto alla finestra del solaio?»

«Sì» annuì la principessa, intravedendo un trespolo attaccato alla parete della casa.

«Lassù vive Wolan, il corvo di Hyo-den. Quello che hai sentito prima, era lui» la informò la zia, notando la sorpresa dipingersi sul suo volto di bambina.

Sbattendo freneticamente le palpebre chiare, Naell esalò: «E che ci fa un corvo nel villaggio? Non sapevo si potessero addomesticare.»

«Infatti non è addomesticato. Nessuna creatura di Haaron può essere addomesticata. Non sono animali da compagnia come possono essere i lupi. I lupi furono i compagni di Hyo quando ella abbandonò il regno dell’immortalità per tornare tra gli umani. Hevos volle così, per lei. Ma Haaron non ha mai desiderato che i suoi animali facessero amicizia con l’uomo. Dovevano solo essere i suoi occhi e le sue orecchie sul mondo, null’altro.»

Proseguendo verso lo stallaggio dei lupi, la figlia sacra aggiunse: «Lui non ama mettere piede nel mondo dei mortali, perciò si affida ad avvoltoi e corvi, per avere sempre sotto controllo la situazione.»

In quel mentre, un bellissimo corvo dalle ali lucide e nere sbucò dalla finestra lasciata aperta per lui.

Con le zampe arancioni artigliate e il becco leggermente adunco, nero come il resto del corpo, l’uccello caracollò sul trespolo di legno prima di aprire le grandi ali e spiccare il volo in direzione del bosco.

In quel mentre, l’ululato di un lupo si levò fiero, come in risposta alla sua presenza nel villaggio.

Naell ne seguì il volo fino a perderlo oltre la linea dell’abetaia mentre Eikhe, lievemente turbata, mormorò: «Sarà anche una coincidenza, ma…»

«Ti è parso strano che si sia involato proprio mentre il lupo ululava, vero?» terminò per lei Naell, fissando la zia con occhi vagamente impensieriti.

Scuotendo il capo, Eikhe tornò a sorridere, come a voler tranquillizzare la nipote e se stessa.

«Lasciamo stare. Ti stavo spiegando del corvo. Devi sapere che sono loro, a scegliere dove stare, o con chi stare. Istrea, semplicemente, una mattina se l’è ritrovato davanti a casa, intento a beccare contro la porta d’entrata come se stesse bussando per entrare e, da quel giorno, non se n’è più andato.»

«Curioso. Io pensavo che i corvi portassero sfortuna» esalò Naell, sempre più curiosa.

«Non proprio. Sono i messaggeri di Haaron, certo, ma non sono entità negative. Servono al ciclo della vita esattamente come ogni altra creatura. Inoltre, Wolan ha una personalità piuttosto marcata. Ed è simpatico.»

«Come fa, un corvo, a essere simpatico?» ironizzò la nipote, decisamente scettica.

«Lo scoprirai se vorrà onorarti della sua presenza.»

Eikhe ridacchiò, nel dirlo.

«Ricordo che, il giorno dopo la nascita dei gemelli, lui si è messo sul davanzale della finestra della camera, e li ha guardati per tutta la giornata mentre dormivano nella culla. E guai a svegliarli! Si infuriava come un matto! Sembrava proteggerli.»

Naell la fissò come se avesse avuto le corna e la coda ed Eikhe, scoppiando a ridere, esalò: «Ti giuro, è vero!»

«Non ho parole» scosse esasperata il capo Naell. «Solo a voi, succedono queste cose.»

«Forse, era semplicemente curioso perché, di solito, non nascono mai dei gemelli, tra le figlie sacre» le confidò Eikhe, sorprendendola ulteriormente.

«E perché?»

«Sono solo ipotesi, ma pensiamo abbia a che fare con il Marchio di Hevos. Vedi, se il bambino è da solo, riceve il dono per intero dalla madre, ma in caso di un parto gemellare… pensiamo possa dividersi tra i due nascituri, il che li renderebbe più deboli.»

Con uno sguardo a metà tra il preoccupato e l’ansioso, Eikhe fissò i suoi due figli che, imperturbabili, stavano camminando l’uno affianco all’altra senza badare ai loro discorsi.

Almeno in apparenza.

«Visto che il Marchio di Hevos serve soprattutto a scopo difensivo, abbiamo ipotizzato che non siano mai nati gemelli per non togliere difese ai nuovi nati, ma non ne avremo la certezza finché Enyl e Rannyl non saranno abbastanza grandi per sviluppare la freoha

«Quindi, i loro occhi ambrati non vi danno la sicurezza che, un giorno, potranno sviluppare i poteri dei discendenti di Hevos» mormorò Naell.

«No. Stiamo navigando a vista, per così dire» ammise Eikhe, prima di afferrare Enyl, prenderla in braccio e stamparle un bacione sulla guancia e rimetterla a terra. «Ma io sono sicurissima che tutti e due saranno dei potentissimi figli sacri.»

Rannyl ridacchiò nel vedere Enyl sorridere tutta contenta ma, quando vide la madre avvicinarsi per fare altrettanto, svicolò abilmente e disse: «Eh, no, mamma! Non in mezzo al villaggio!»

Eikhe si mise a ridere, scusandosi e replicando: «Chiedo scusa, Rannyl. Hai ragione. Sei troppo grande perché io ti baci in pubblico.»

«Esatto» annuì il bambino, prendendo per mano la sorella prima di dire alla madre: «Corriamo fino al capanno, va bene?»

«Fate pure» concesse loro Eikhe, guardandoli mentre, con movimenti sincroni, iniziavano a correre in direzione del capanno dei lupi.

«Sembrano così perfetti…» sussurrò poi la donna, lasciando scivolare fuori dalla bocca un sospiro tremulo.

«Li sono» ci tenne a precisare Naell, stringendole una mano con affetto.

La donna le sorrise calorosamente, accostandola a sé per un rapido abbraccio, prima di proporle a sua volta una corsa.

Naell accettò di buon grado e, assieme alla zia, divorò la distanza che le separava dal capanno in pochi secondi.

***

Impegnata a ripulire il pelo di uno dei cuccioli con una spazzola di crine di cavallo, Naell sollevò il viso quando percepì accanto a sé la presenza di qualcuno.

Sorridendo spontaneamente nel vedere Luak, gli disse: «Ciao. Cerchi Symill?»

Lui scosse il muso, dandole un colpetto alla spalla con il naso prima di indicarle di seguirlo.

Piuttosto confusa, Naell poggiò il cucciolo a terra perché tornasse dai suoi compagni e, dopo aver riposto la spazzola nel secchio che soleva usare nella stalla, lo seguì.

Vagamente incuriosita, poi, gli domandò: «Dove stiamo andando?»

Ovviamente il lupo non le rispose, ben sapendo che qualsiasi cosa lui avesse detto, Naell non avrebbe potuto comprenderla.

Inoltre, non c’era molto da dire, in quel momento.

Era già complicato fare quanto gli era stato ordinato, senza sentirsi tremendamente in colpa nei confronti di Eikhe e Aken.

Usciti che furono dal capanno, Luak e Naell si ritrovarono nel cortile sul retro, dove si trovavano anche Enyl e Rannyl, impegnati a giocare con il fieno fresco.

Vedendoli comparire, si bloccarono immediatamente e dissero quasi in coro: «Ha chiamato anche te?»

Sempre più confusa, Naell calò lo sguardo a fissare il bel lupo di Eikhe, chiedendosi cosa gli stesse passando per la testa.

Nel prendere per mano i cuginetti, chiese loro: «Vi ha condotti qui lui?»

«Sì. Siamo sgattaiolati fuori senza farci vedere da Syanaill che, sicuramente, ci avrebbe rispediti indietro senza tante chiacchiere.»

Rannyl si guardò intorno circospetto subito dopo aver spiegato alla cugina cos’era successo, come se si aspettasse di veder comparire qualcuno da un momento all’altro.

«Allora, Luak, che succede?» domandò a quel punto Naell, puntando le mani sui fianchi e guardando inquisitoria il lupo.

Lui si limitò ad afferrare coi denti la tunica della ragazza, prima di trascinarla con sé e guardarla con aria di preghiera, quasi la stesse supplicando di seguirlo.

Naell, a quel punto, lo accarezzò sul capo e gli chiese: «Dobbiamo venire con te? Tutti e tre?»

Il lupo annuì, mollando la presa ed Enyl, tutta eccitata, ballonzolò attorno a loro canticchiando: «Andiamo in missione segreta! Andiamo in missione segreta!»

«Temo di sì, altrimenti Luak non ci avrebbe trascinati fuori a questo modo» brontolò Naell. «Non possiamo neppure lasciare un messaggio per Eikhe e Aken? Andranno fuori di testa, non trovandoci.»

Luak scosse mestamente il muso e Naell, con un gran sospiro, si passò le mani in testa con aria esasperata, sbuffando: «Mi ammazzeranno, già lo so.»

Poi, guardati i cugini, chiosò: «E sia…si va in missione.»

Enyl e Rannyl afferrarono subito le mani protese della cugina e, seguendo Luak fuori dal recinto, si immersero nella vicina abetaia senza che nessuno, al villaggio, si accorgesse della loro sparizione.

Naell, però, era più che certa che, nel giro di mezz’ora, Hyo-den sarebbe esploso. E che Eikhe e Aken avrebbero dato di matto.

***

«Come sarebbe a dire che sono spariti?» esclamò Eikhe, gli occhi fuori dalle orbite mentre Syanaill, chiaramente dispiaciuta, la tratteneva per un braccio.

Come da accordi, Eikhe era tornata per l’ora di pranzo per recuperare i figli al capanno dei lupi, prima di condurli alla casa di Istrea per la loro prima lezione di matematica e astronomia.

Quando, però, era entrata nella stalla, aveva trovato le sue sorelle sparpagliate ogni dove e con l’aria di chi si trovasse nel peggiore guaio della propria vita.

Bloccata Syanaill, le aveva chiesto cosa stesse succedendo.

Non appena era venuta a conoscenza della verità, Eikhe era sbiancata, minacciando di svenire, prima di esplodere in un’accorata quando sorprendente imprecazione.

L’attimo dopo, aveva espresso tutta una serie di domande a raffica, cui la compagna non aveva saputo rispondere.

Ora, mentre le altre figlie sacre erano impegnate nella ricerca di qualche indizio in giro per il recinto, Syanaill scrollò leggermente Eikhe, ancora preda di un forte stato di shock.

«Non possono essere andati lontani, Eikhe. Inoltre, manca anche Naell, quindi possiamo dare quasi per scontato che siano insieme.»

Sarcastica, Eikhe replicò: «Non è che questo mi dia coraggio. Naell è una brava ragazza, ma non è cresciuta al limitare di un bosco.»

Syanaill annuì torva, mormorando: «Non capisco davvero cosa sia preso a tutti loro. Avrebbero anche potuto lasciarmi un messaggio, o qualcosa del genere.»

Accigliandosi leggermente, Eikhe le domandò: «Hai notato se c’è stato uno strano movimento di lupi, intorno al capanno?»

«Perché?»

«Sono già parecchie settimane che i lupi si comportano in maniera insensata. Non vorrei che ci fossero di mezzo loro, dietro a questa strana scomparsa» borbottò Eikhe, poggiando le mani sui fianchi e guardandosi intorno con aria inquisitoria.

Le era parso strano fin dall’inizio che i lupi fossero così misteriosi con loro quando, mai prima di allora, v’erano stati segreti tra le figlie sacre e i loro compagni animali.

Ora, invece, tutto si svolgeva alle loro spalle, senza che nessuno di loro sapesse cosa stessero combinando.

Non era normale. Per niente.

«Pensi che qualcuno abbia detto loro di portare via i ragazzi?» ipotizzò Syanaill, aggrottando la fronte.

«Non sarebbe la prima volta che la mia vita viene sconvolta da quel qualcuno in particolare. Quello che mi chiedo è il perché di così tanta segretezza. Inoltre, cosa c’entrano i miei figli e Naell?»

Sospirando esasperata, Eikhe fissò l’amica e aggiunse: «Vado a dirlo ad Aken e Antalion. Tu vedi di trovare Liana e avvertila. Ci serviranno un po’ di sorelle, per dare il via alle ricerche nel bosco.»

Annuendo, Syanaill sbraitò all’indirizzo di  una delle ragazze più giovani presenti nel capanno e la inviò di volata a cercare Liana dopodiché, fissando dubbiosa una delle lupe, commentò: «Pensi che il suo umore sia collegato alla sparizione dei ragazzi?»

Seguendo lo sguardo della donna, Eikhe sollevò lesta un sopracciglio con evidente sorpresa e, confusa, esalò: «Che diamine prende a Symill?»

«Che diamine prende a tutti, oserei dire» le replicò Syanaill, ringhiando un’imprecazione tra i denti.

«Vado. Se resto ferma ancora un po’, rischio di esplodere.»

Detto ciò, diede una pacca sulla spalla a Syanaill e corse fuori dal capanno per dirigersi a grandi passi verso la casa del figlio maggiore.

La mente le ribolliva in cerca di idee, così come delle parole giuste da dire ai suoi due uomini che, di sicuro, si sarebbero accesi come falò, non appena avesse detto loro di Naell e dei gemelli.

***

Le mani allacciate a quelle dei gemelli, Naell si stava guardando intorno circospetta, su di sé gli sguardi dei corvi che, appollaiati sui rami degli abeti, li fissavano con attenzione fin da quando avevano messo piede nel bosco.

Ormai, si erano allontanati da Hyo-Den da più di un’ora.

Man mano che si erano inoltrati nell’abetaia, la foresta si era fatta più fitta, i cespugli più alti e il terreno più accidentato.

Più di una volta era stata costretta ad aiutare Enyl o Rannyl ad attraversare un ruscello, piuttosto che a scavalcare qualche roccia sporgente.

Il tutto, sotto lo sguardo attento di Luak che, neppure una volta, li aveva persi di vista.

A momenti alterni, si era voltato per controllare che tenessero il suo passo, dopodiché aveva ripreso la marcia tenendo il muso verso terra, quasi stesse cercando una pista olfattiva in particolare.

I corvi, nel frattempo, si erano spostati con loro, involandosi da un albero all’altro con un gran sbattere di ali e un gracchiare inquietante a far loro da accompagnamento musicale.

Naell, che aveva studiato con curiosità Wolan, il corvo del villaggio di Hyo-den, cominciò a chiedersi se avesse ricevuto ordini da parte del suo onorato, quanto poco conosciuto signore, Haaron.

Di lui si parlava poco, al villaggio, e si conosceva ancora meno.

Per quel che ne sapeva lei, non esisteva neppure un culto del dio-corvo, pur se la cosa le sembrava per lo meno strana.

Dopotutto, loro seguivano e onoravano i culti della dea della Vita quanto del dio

della Morte, quindi perché questo non avrebbe dovuto replicarsi anche per Haaron? Eppure, non le era sembrato che vi fossero cappelle a lui dedicate, nel paese.

Forse, Haaron voleva in qualche modo vendicarsi sulle figlie sacre, spingendoli nel bosco in quel modo?

Ma allora, non avrebbe utilizzato un lupo, per trarli in una trappola, no?

Vagamente preoccupata, Naell fissò la schiena curva di Luak con una muta speranza nel cuore e, stringendo impercettibilmente le mani dei cugini, disse loro con un tono che, sperò, potesse suonare allegro: «Scommetto che Eikhe si arrabbierà da morire, quando scoprirà che siamo usciti per questa gita senza dirle nulla.»

Enyl ridacchiò e annuì.

«Daremo al colpa a Luak. Dopotutto, è lui che ci ha attirati nel bosco, no?»

«Vero» asserì con convinzione Rannyl, guardandosi curiosamente intorno con i suoi attenti occhi d’ambra.

«Vedremo di rappezzarla in qualche modo» sospirò rassegnata Naell.

L’attimo seguente, lanciò un gridolino spaventato quando, dinanzi a lei, a poco meno di dieci passi di distanza atterrò, con un gran sfarfallio di penne, il possente Wolan.

Anche i gemelli si spaventarono, mollando immediatamente la presa dalle mani di Naell per nascondersi dietro di lei, i piccoli corpi tremanti e i grandi occhi sgranati.

Tutti e tre fissarono sgomenti l’enorme corvo nero che, ritto sulle zampe possenti, li stava osservando con estrema serietà.

Un attimo dopo, dal fitto dei cespugli, una nuvola di brina cristallina si elevò come bruma, precedendo l’arrivo di un possente lupo dal candido pelo.

Dopo uno sguardo d’intesa con il corvo, si andò a mettere al suo fianco prima di accomodarsi a terra ed esordire con voce stentorea: «Il mio più sincero benvenuto, figli diletti e principessa di Rajana.»

Un colpo in testa l’avrebbe stordita meno.

Le ginocchia di Naell gemettero, cedendo di schianto e portandola a crollare a terra insieme ai gemellini che, timorosi, si accoccolarono accanto a lei stringendo convulsamente le manine attorno alla sua tunica di pelle.

«Grazie per essere giunti qui.»

La voce del corvo suonò bizzarra non meno di quella del lupo.

Era metallica, con un accento esotico e scaturì da quel becco scuro strascicata, quasi controvoglia, come se colui che stava parlando lo facesse a fatica.

Enyl affondò subito il viso nel petto di Naell che, protettiva, strinse un braccio attorno alle spalle tremanti della piccola prima di attirarsi vicino anche Rannyl.

Per una volta, quest’ultimo non si lamentò affatto di essere abbracciato stretto.

Luak, che aveva reclinato ossequioso il muso fin da quando il dio-lupo Hevos era apparso dinanzi a loro, disse mentalmente al suo signore: Ho fatto quanto richiestomi. Ora posso avvertire la mia compagna e padrona?Non voglio che Eikhe soffra più del necessario.

Hevos fissò benevolo il suo lupo prima di annuire e dire: «Avverti la figlia sacra Liana, e conducila qui. Desidero parlare anche con lei, prima che Eikhe giunga a prendere i suoi gioielli inestimabili.»

Come desideri. La instraderò da questa parte, e poi parlerò con Eikhe.

Detto ciò, Luak trotterellò via in silenzio, disperdendosi oltre una coltre di cespugli nodosi.

Ancora basita di fronte a quelle due presenze che nulla avevano di normale, Naell non smetteva di sbattere le ciglia, come nella vaga speranza di risvegliarsi da un sogno.

O da un incubo.

«Non avere paura, figlia di Rajana. Nessuno di noi intende farvi del male. Farvi giungere qui era importante per noi, per diversi motivi. Primo tra tutti, volevo sapere se ti saresti fidata a sufficienza di un lupo, pur non comprendendone la lingua, tanto da spingerti a inoltrarti nel bosco, anche senza conoscerne le leggi. Inoltre, ho apprezzato come tu abbia pensato a tenere al riparo i due gemelli, che io e mio fratello amiamo in modo particolare.»

Lo sguardo di Naell, più che mai confuso, si spostò su Wolan e, lappandosi le labbra secche come a trovare il coraggio di parlare, la ragazza mormorò: «Siete il dio-corvo?»

«Sono una sua emanazione. Contrariamente a Hevos, io non posso camminare su questo mondo con le mie vere gambe, o porterei morte e distruzione ovunque. Sono, per così dire, una compagnia pestilenziale

Nel dirlo, il corvo rise con un gracchiare graffiante, che Naell trovò assurdamente ridicolo, tanto da portarla a sorridere divertita.

Hevos tossì a sua volta una risata prima di intervenire dicendo: «Volevamo inoltre parlarti in privato, e difficilmente avremmo potuto farlo, visto quanto le figlie sacre ti tengono d’occhio.»

Arrossendo, Naell asserì: «Non vogliono che io mi faccia male.»

«Encomiabile, da parte loro, ma credo del tutto superfluo. Sei molto più forte di quanto tu non pensi, principessa. E presto lo scoprirai anche tu.»

Hevos la fissò qualche altro secondo, prima di puntare lo sguardo sui due gemelli e aggiungere: «E voi, creature meravigliose… abbiamo trepidato fin da quando abbiamo scoperto che vostra madre portava in grembo un miracolo. Abbiamo pregato perché non vi succedesse nulla, e Haaron ha vegliato su di voi perché la morte non varcasse le soglie di casa vostra, opponendosi strenuamente alle leggi stesse dell’Universo, perché entrambi poteste sopravvivere.»

Enyl e Rannyl si scostarono timorosi da Naell, per lanciare occhiate dubbiose all’indirizzo dei due animali mistici.

Con la sua voce nasale, il corvo soggiunse: «Eravate troppo importanti per i vostri genitori, per l’Universo tutto. Non potevo farvi entrare nel mio regno, anche se qualcuno ha tentato di opporsi a me.»

«Perché sono importanti per l’Universo?» chiese allora Naell. «E chi può tentare di contrastare un dio?»

Hevos si accucciò a terra, e così fece Wolan, sistemandosi le ali sui fianchi prima di infilare il becco tra le piume a cercare un fastidioso parassita.

«La Nuova Via, creata dai genitori di Enyl e Rannyl, aveva bisogno di un nuovo fulcro, ma non potevano essere Eikhe e Aken. Loro sono stati i promotori, ma appartengono alla Vecchia Via, perciò non possono essere loro, il Faro della Luce. Serviva qualcuno legato a loro ma, al tempo stesso, che non lo fosse.»

Naell fissò Hevos con aria aggrottata, cercando di venire a capo di quel discorso fin troppo complesso, per i suoi gusti.

Con una risatina gracchiante, Wolan intervenne dicendo: «Come al solito, parli per enigmi, Hevos. La ragazza non ha capito nulla di quel che hai detto.»

Hevos brontolò a bassa voce con l’emanazione del fratello mentre la ragazza, sempre più confusa, li fissò dibattere come due ragazzini.

«Siete peggio di me e Staryn quando discutiamo!»

Hevos e Wolan smisero immediatamente di borbottare e, a sorpresa, la brina che galleggiava attorno al corpo candido del dio-lupo divenne dorata.

Wolan sghignazzò con tono metallico e commentò: «E’ imbarazzato!»

Schiarendosi la voce mentre la brina tornava bianca e traslucida, Hevos riprese la parola dicendo: «Enyl e Rannyl rappresentano le due colonne portanti di un ponte. Così ti è più chiaro, principessa?»

«Dovevano per forza essere due, perché altrimenti non avrebbe potuto reggere, giusto?» ipotizzò Naell, cercando di immaginarsi i gemelli nel ruolo di colonne. «Il punto è; dove porta, questo ponte?»

«Questo deve ancora essere scritto» asserì Hevos, con tono sibillino. «Posso però dirti che tu rientri nei miei interessi.»

«Devo preoccuparmi?» ironizzò Naell, rammentando più che bene ciò che era successo agli zii,  “a causa” dell’interesse di Hevos per loro.

Hevos ridacchiò, limitandosi a dire: «Ho un dono per te, che sicuramente potrai apprezzare più di tante altre tue coetanee.»

«E cioè?» esalò Naell.

«Ylar diverrà il tuo lupo. Potrai portarlo a Rajana con te assieme agli altri due cuccioli di Symill, che diverranno i compagni dei tuoi fratelli. Questo è il mio dono a voi, che vi siete dimostrati rispettosi nei confronti delle mie figli, e avete permesso loro di ritrovare credibilità e rinomanza nel mondo degli uomini.»

Naell sobbalzò a quelle parole, eccitata all’idea di poter portare con sé Ylar a Rajana, una volta conclusosi quel viaggio avventuroso in un mondo a lei sconosciuto.

Amava già alla follia quel lupacchiotto tenero e dolce, e sarebbe stato bellissimo averlo sempre con sé, amarlo e vezzeggiarlo e non doverlo mai abbandonare.

Un lento, piacevole sorriso si dipinse sul volto della ragazza mentre i due gemelli, fissando Hevos con aria apertamente sconvolta, esalarono: «E Symill? E Luak? Piangeranno!»

«Loro sono d’accordo con me» replicò loro Hevos. «Amano la principessa, e sanno che lei si prenderà cura dei loro cuccioli, a Rajana.»

A Rannyl parve strano e, pur sapendo di dovere il massimo rispetto nei confronti del dio-lupo, ribatté dubbioso: «Ma non sarebbe un po’ strano, per loro, vivere fuori dalla foresta?»

Hevos lo fissò con autentico rispetto, ma si limitò a dirgli: «Sarai davvero una colonna portante di immenso valore.»

Enyl sorrise al fratello, che arrossì copiosamente di fronte a quel complimento, e disse allegra: «Ho un fratello davvero bravo, sì!»

Wolan a quel punto rise e, rivoltosi alla bambina, celiò: «Tu diventerai un’ammaliatrice cui nessuno saprà resistere, Enyl di Hyo-den. Le genti penderanno dalle tue labbra, e la tua saggezza sarà preceduta solo dalla tua avvenenza.»

Fu il turno di Enyl di arrossire e, mentre Rannyl la prendeva bonariamente in giro per tutti quei complimenti, Naell si concentrò su Hevos.

«Succederà davvero? Quello che state dicendo.»

«Il tempo ce lo dirà» gli rispose misterioso il dio-lupo, prima di udire dei passi frettolosi giungere dal bosco. «La nostra ospite è infine giunta.»

Volgendosi a mezzo, Naell sorrise nel vedere giungere di corsa Liana che, lancia alla mano e sguardo omicida negli occhi, si bloccò a metà di un passo non appena si rese conto di chi vi fosse nelle vicinanze dei ragazzi.

Basita, la figlia sacra esalò: «Mio signore Hevos!»

Crollando in ginocchi subito dopo, Liana reclinò compita il capo, mormorando: «Perdonate se sono giunta con le armi levate, ma temevo che i gemelli e la principessa fossero in pericolo.»

«Perdona tu la nostra segretezza, figlia sacra, ma dovevamo conferire con loro in separata sede.»

Levandosi sulle zampe, Hevos le si avvicinò e, sfiorandone il viso con il muso freddo, aggiunse: «Sei stata benedetta, figlia mia, e io sono lieto di vedere dentro di te un frutto di immenso splendore. La Nuova Via avrà combattenti di valente mano e potente anima. Me ne compiaccio.»

Liana sobbalzò a quelle parole e, portandosi una mano sul ventre piatto, biascicò confusa: «Aspetto… un figlio?»

«Di nobile stirpe e di forza inusitata. Sì, figlia diletta. Dentro le tue carni cresce una nuova vita, ed essa sarà preziosa per tutti voi, come lo sono le vite dei gemelli che tanto noi abbiamo atteso e amato fin dal loro primo vagito su questo mondo» mormorò Hevos, lanciando uno sguardo adorante ai due bambini.

Sentendosi prossima alle lacrime, Liana sorrise al suo dio ed esalò: «Potrò… potrò dirlo al mio compagno? Ad Antalion? Potrò?»

«Ne siete i genitori, mia cara. Certo che potrai» asserì Hevos, guardando poi Naell e i gemelli. «Ciò che voi avete udito, invece, a voi soli apparterrà. Non è tempo per simili esternazioni. Ma dovevate sapere, perché siate pronti quando il Fato vi chiamerà a raccolta.»

Inaspettatamente, i due gemelli si inginocchiarono di fronte al dio-lupo, asserendo con tono inaspettatamente maturo: «Ciò che ci hai rivelato rimarrà dentro di noi, te lo promettiamo.»

«Lo prometto anch’io» assentì Naell, prima di chiedere: «Dovrò parlare di Ylar, però.»

«Ciò ti è consentito, principessa. E ora andate. Eikhe e Aken sono in ansia per voi, così come il villaggio tutto. Procedete e sappiate che avete la benedizione mia e di Haaron» terminò di dire il dio-lupo, prima di trotterellare via in una nuvola di brina scintillante.

Liana fissò l’enorme corvo, che era rimasto in silenzio fin dal suo arrivo, ed esalò: «Wolan?»

Il corvo si limitò a gracchiare prima di involarsi in direzione del cielo turchino ed Enyl, osservandolo nel suo volteggiare in cerchi concentrici, commentò: «Haaron è tornato a casa.»

Riscuotendosi, Liana aiutò Naell a rialzarsi e, aspra, disse a tutti e tre: «Noi dobbiamo tornare a casa. Il villaggio è impazzito, da quando abbiamo scoperto che eravate spariti.»

Poi, volgendo lo sguardo in direzione di Luak che, silenzioso, li aveva raggiunti, aggiunse: «E tu… prima o poi, dovrai spiegarci perché siete ammattiti di colpo tutti quanti! Fare sparire così i gemellini e Naell! Volevi vederci morti di paura?»

Luak incassò con un uggiolio pentito e Naell, in dovere di difenderlo, si avvicinò al lupo per avvolgergli protettiva le spalle.

«Hevos aveva ordinato a Luak di accompagnarci qui. E lui, di certo, non poteva rifiutarsi, no?»

Accigliandosi, Liana domandò a Luak: «I vostri ‘affari del branco’, riguardavano Hevos?»

Luak annuì, senza però spiegare null’altro e Liana, scocciata, sbuffò: «Dèi, quanti misteri! Coraggio, in marcia. Si torna a casa!»

Mettendosi al suo fianco, le mani strette in quelle dei gemelli, Naell sorrise a Liana e mormorò: «Congratulazioni. Scommetto che Antalion sarà felicissimo.»

Liana a quel punto arrossì copiosamente e, con un risolino, diede un buffetto sulla guancia a Naell, replicando: «Sempre che non svenga prima per la notizia!»

Naell sorrise, lieta per la novella e felice per entrambi ma, in cuor suo, si chiese turbata perché, in futuro, avrebbero dovuto aver bisogno di colonne portanti e di combattenti dalla forza immane.

Cosa li attendeva? E perché il Fato li avrebbe chiamati a raccolta? E lei cosa aveva a che fare con quel futuro incerto?



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Capitolo 6
*** cap. 6 ***


6.

 

 

 

 

 

Il brusio nella sala delle riunioni della casa di Istrea, era solo paragonabile a quello che, una volta, Naell aveva udito durante una seduta del Concilio della Corona.

E quella volta, aveva origliato attraverso un panneggio dietro cui si era nascosta, non era stava veramente presente alla riunione.

Questa volta, però, non c’era nessun pesante telo damascato a proteggerla dalle occhiate di chi, nella sala, la stava guardando a metà tra lo sconvolto e l’invidioso.

Solo le mani forti e protettive di Aken ed Eikhe, in piedi dietro di lei, la consolavano e la trattenevano dal fuggire a gambe levate da quel posto.

Non che volessero farle del male, ma aveva idea di avere fatto quasi uno sgarbo a tutte loro, incontrando il dio-lupo a cui loro erano devote quando, a quasi nessuna del villaggio, era stato concesso un simile onore.

Seduta accanto a lei assieme ai gemelli, che apparivano stranamente tranquilli e quasi indifferenti al caos generato dal loro ritorno a Hyo-den, Liana le strizzò l’occhio.

«Vedrai che non appena arriverà Istrea, si daranno una calmata.»

«Ho quasi paura del suo arrivo» brontolò Naell, prima di sorridere benevola ad Antalion, giunto nella stanza praticamente di corsa.

Scivolando abilmente tra i corpi di donne assiepate nella sala, raggiunse in fretta la sua famiglia e, dopo aver dato un bacio ai fratelli e alla cugina, si inginocchiò dinanzi a Liana.

«Sono arrivato appena ho potuto. Allora, che succede? Dove li hai pescati?»

Liana si limitò a sorridergli dolcemente, prima di chinarsi a dargli un modesto bacio sulle labbra per poi sussurrare: «Erano a passeggiare con Hevos e Haaron.»

Antalion sobbalzò di sorpresa, fissando i tre ragazzi con aria apertamente sconvolta.

«Miseriaccia! Entrambi? Siete stati davvero baciati dalla fortuna!»

«Non ne sono sicura» borbottò Naell, ripensando alle parole di Hevos.

Perché ci sarebbe stato bisogno di due colonne portanti?

E perché, i gemelli sarebbero stati i due pilastri di un ponte?

Un ponte per dove? O per unificare chi?

Cosa sarebbe successo, nel loro futuro? E perché lei era finita nel bel mezzo di quella visione-non visione?

Fatto accomodare Antalion al fianco dei gemelli, Liana gli strinse una mano per un istante e sussurrò a bassa voce al suo orecchio: «Ora c’è troppa confusione, per cui te ne parlerò dopo, ma Hevos ha detto una cosa anche a me.»

«Forte!» sorrise divertito Antalion, dandole un bacio con lo schiocco sul naso, e tornando serio subito dopo non appena Istrea entrò nella sala, che azzittì tutti con lo sguardo.

Il brusio scemò di colpo, facendo piombare la stanza nel silenzio più teso che Naell avesse mai provato.

Nessuna osava aprire bocca e, mentre Istrea raggiunse il palchetto su cui avrebbe parlato a tutte loro, la ragazza percepì distintamente la stretta di Eikhe e di Aken farsi più forte, sulle sue spalle.

Erano con lei, in tutto e per tutto.

Naell levò su di loro uno sguardo grato, prima di udire Istrea parlare per la prima volta.

«Visto che i nostri fuggiaschi stanno ovviamente bene…» e, nel dirlo, sorrise ai gemelli e alla principessa. «… vediamo di capire cosa ci ha riferito Liana e cosa, Hevos, abbia detto a questi tre fanciulli benedetti.»

Liana si levò in piedi pur tenendo una mano allacciata a quella del compagno, che le sorrise fiero.

Con tono tranquillo, esordì dicendo: «Quando ho raggiunto i ragazzi grazie all’aiuto di Luak, che mi ha indirizzata verso di loro, li ho trovati in compagnia del dio-lupo Hevos e dell’emanazione del dio-corvo Haaron che, a quanto pare, si serve di Wolan per osservarci.»

Questa prima notizia portò i presenti a un nuovo giro di battute sussurrate e commenti increduli, che Istrea riportò immediatamente al silenzio con un cenno imperioso della mano.

«Continua pure, Liana» la pregò poi Istrea.

Annuendo, Liana aggiunse con voce stentorea: «Il dio-lupo ha offerto in dono ai figli della famiglia reale i cuccioli di Luak e Symill, quale segno dell’unione profonda che esiste a tutt’oggi tra la casa regnante e le figlie e i figli del branco.»

«Dei lupi dovrebbero vivere in un palazzo?!» esplose una delle donne, non potendo trattenersi oltre.

Istrea levò una mano per calmare sul nascere quella che avrebbe potuto, ben presto, diventare una discussione più che violenta.

Presa la parola, la Signora del Villaggio si rivolse direttamente a Naell chiedendole gentilmente: «Non devi pensare che qualcuno di noi possa avercela con te, bambina. Dicci quello che Hevos ti ha detto.»

Naell arrossì lievemente e, schiarendosi la voce, si levò a sua volta in piedi ed espose i fatti avvenuti nel bosco.

Naturalmente, omise ciò che Hevos aveva desiderato tenere segreto e, quando ebbe terminato di parlare, Istrea annuì gravemente prima di permetterle di accomodarsi.

Osservate subito dopo le sue sorelle e i pochi uomini presenti nella sala, Istrea disse cupamente: «Se Hevos ha scelto una via diversa da tutti gli altri loro fratelli, per i figli di Luak e Symill, noi non possiamo che accettare la sua decisione. E’ più che ovvio che Lui sa cose che noi ignoriamo. I lupi partiranno con te, quando la tua permanenza qui avrà termine, principessa, e io mi auguro con tutta me stessa che tu vorrai prenderti cura di loro come hai fatto qui al villaggio.»

«Più che sì, Signora» mormorò Naell, reclinando ossequiosa il capo.

Sapeva benissimo che quella decisione non piaceva a nessuno, pur avendo ascoltato la voce di Istrea e avendone percepito il tono imperioso, di comando.

Non una sola sorella, o fratello del branco avrebbe potuto opporsi a quell’ordine, ma Naell era certa che, per nessun motivo, ciò sarebbe stato accettato con leggerezza.

Tutti, al villaggio, amavano i lupi e li onoravano, e l’idea di sapere tre di loro confinati entro le possenti e fredde pareti di un palazzo, era quasi più detestabile della loro morte.

Rajana era vista alla stregua di una gabbia e, con l’esempio di Aken a fungere da memento vivente, non sarebbe stato facile far comprendere loro che, in quel luogo, si poteva anche vivere serenamente.

Quando la seduta fu sciolta, e Naell poté uscire dalla casa di Istrea, la ragazza si scusò con gli zii e i cugini e, già con le lacrime agli occhi, corse a perdifiato fino al capanno dei lupi.

Non voleva che nessuno la vedesse e, soprattutto, non voleva sentire su di sé il biasimo per una cosa che non aveva scelto, né voluto.

Non lei era stata a decidere per la vita dei tre lupi, ma Hevos e, indipendentemente dalle parole cordiali di Istrea, Naell sapeva benissimo che tutte ce l’avevano con lei.

Dopo aver aperto di botto la porta del caseggiato e aver scavalcato il recinto con un balzo, si gettò in ginocchio accanto a Symill, che uggiolò spaventata per la sua strana reazione.

Abbracciandola con forza, singhiozzò spiacente e mormorò: «Non l’ho deciso io, Symill. Non è colpa mia, non è colpa mia…»

Dondolò avanti e indietro, tenendo stretta a sé la lupa che, a momenti alterni, uggiolava spiacente e le leccava consolatoria il viso.

I suoi cuccioli trotterellarono innocenti attorno a loro, e Ylar  le morse le brache per attirarne l’attenzione.

Si sentiva morire dentro, al pensiero di separare quella famiglia e non capiva perché Hevos avesse voluto mettere sulle sue spalle un simile peso.

Lei era solo una bambina!

Non poteva affrontare una simile prova! Non voleva!

Per ore e ore rimase lì ad abbracciare la lupa, a piangere tutte le sue lacrime sul suo pelo morbido.

Quando, però, la voce di Kaila riuscì a penetrare nella sua mente, Naell si volse con un sobbalzo e osservò sorpresa il viso dell’amica stagliarsi sull’entrata del capanno.

La luce del tramonto tingeva le vette dei monti alle sue spalle.

Era dunque passato così tanto tempo?

Un sorriso gentile si dipinse sul volto di Kaila che, entrando con passo tranquillo, si appoggiò allo steccato e le chiese: «Stai meglio?»

«Insomma» borbottò Naell, osservandola mentre, agilmente, superava lo steccato per raggiungerla.

Sedutasi a terra sulla paglia smossa e profumata di fresco, Kaila le diede un colpetto contro la spalla, mormorando: «Per la cronaca, nessuno ce l’ha con te. E’ che non capiamo il volere di Hevos.»

«Alcune sono gelose del fatto che io, una straniera, abbia potuto vederlo» ci tenne a dire Naell, storcendo il naso.

«Beh, allora sono più sciocche di quanto io abbia mai potuto pensare fino a ora. Come se noi potessimo decidere di incontrarlo, o meno! E’ Hevos ha decidere, non noi» ridacchiò Kalia, facendo spallucce.

«Sarà anche così, ma… in fondo, non è il mio dio. Perché ha scelto me, per questo regalo?»

«Quante altre principesse reali conosci, qui intorno?» ammiccò Kalia, facendola sorridere. «Non so cosa spinga Hevos, ma so che tu ti prenderai cura di Ylar, e so che insegnerai lo stesso ai tuoi fratelli. Ci deve essere sicuramente un disegno più ampio, in tutto questo, ma noi non sappiamo leggerlo.»

Perché non posso dirglielo!?, si lagnò tra sé Naell, rimpiangendo di aver promesso a Hevos il totale silenzio sull’intera faccenda.

Kalia poggiò una mano sulla sua spalla, scrollandola gentilmente e, con un mezzo sorriso, asserì: «Porti un grande peso sulle spalle, principessina, ma ricorda una cosa; non sarai mai sola. L’hai detto tu stessa un sacco di volte. La tua famiglia ti ama, e qui hai amici e parenti che si farebbero in quattro, per te. Per quanto il peso del tuo titolo sia abnorme, non dovrai mai portarlo interamente con le tue sole forze.»

Abbozzando un sorrisino, Naell le chiese: «Se ti volessi come mia consigliera, un giorno, verresti da me a Rajana?»

«Chissà, tutto è possibile…» ammiccò Kaila, alzandosi in piedi e aiutando Naell a fare altrettanto. «Sono tua amica e sempre lo sarò, hillan. Ricordati questo, quando ti sentirai sola e sconsolata. E rammenta anche che, una volta che sei stata toccata da Hevos, non potrai mai, veramente, sentirti abbandonata da tutti, perché una figlia o un figlio del branco ci saranno sempre, per te.»

Naell non poté impedirsi di stringere Kaila in un abbraccio caloroso e, poggiato il capo contro i suoi seni, sorrise grata e sussurrò con decisione: «Avrai sempre un posto speciale nel mio cuore, amica mia!»

«E tu nel mio, hillan. Ma ora andiamo. Credo ti aspettino per cena, quindi…»

Naell rise con lei nell’uscire dal recinto ma, quando si volse indietro per osservare un momento Symill, il dolore tornò nel suo cuore, pesante come un macigno.

Avrebbe davvero osato portare via Ylar da quel mondo? Strapparlo ai suoi genitori?

***

Quando la cena fu consumata e anche l’ultima fetta di torta fu fatta sparire dal piatto, Liana si levò in piedi e, tossicchiando per attirare l’attenzione di tutti i presenti, sorrise al compagno e disse: «Come Naell e i gemelli già sanno, ho qualcosa di molto importante da dirvi.»

Enyl e Rannyl sorrisero complici a Naell che, deliziata all’idea di sapere già tutto, aveva le stelle negli occhi al pensiero di ciò che avrebbe detto, o fatto, Antalion alla notizia.

Era così bello pensare che, ben presto, suo cugino e sua cugina avrebbero avuto un bebè da stringere tra le braccia!

Guardando la compagna con aria divertita, Antalion commentò: «E’ tutto il giorno che tieni per te questa notizia. Finalmente possiamo essere informati anche noi!»

«Farai meno il gradasso, tra un po’» scherzò Liana, prima di strizzare l’occhio a Naell ed esclamare allegra: «Aspetto un bambino!»

Antalion, che era appoggiato sui piedi posteriori della sedia, sgranò sconvolto gli occhi prima di perdere l’equilibrio e finire lungo riverso sul pavimento.

Eikhe, invece, raggiante di felicità, balzò in piedi per abbracciare l’amica ed esclamare: «Oh, per Hevos! Sono felicissima per voi!»

Cercando di non badare alle risate divertite dei figli minori e al risolino di Naell, Aken si levò in piedi per recuperare Antalion da terra, ancora tremendamente confuso da quella notizia data a bruciapelo.

Presolo per mano, lo tirò in piedi e lo abbracciò, dicendogli commosso: «Congratulazioni, figliolo.»

«Grazie… papà» ansò Antalion, stringendosi a lui per un istante prima di intrecciare lo sguardo della sua compagna e mormorare: «Volevi farmi morire?»

«Tutt’altro» ridacchiò lei, abbracciandolo con foga non appena gli fu possibile. «Allora, sei contento?»

«Contento? Farai fatica a trovare una persona più felice di me, tra queste montagne» sogghignò Antalion, prendendola in braccio prima di darle un soffocante bacio sulla bocca.

«An e Liana si baciano! An e Liana si baciano!» strillarono in coro i due gemelli, danzando allegramente attorno alla tavola da pranzo.

Naell li osservò con un misto di gioia e tristezza assieme e, quando fu sicura di non offendere nessuno, si scusò con loro e uscì per andare a dormire.

Addusse come scusa il fatto di sentirsi molto stanca, dopo quella giornata ricca di imprevisti, e infine uscì sola e triste.

In realtà, non riusciva a provare la stessa gioia che sentivano loro, e non voleva guastare la festa a nessuno.

Per quanto fosse lieta della notizia, l’idea di festeggiare le sembrava assurda.

Non se la sentiva di essere felice quando sapeva bene che, nel giro di poche settimane, avrebbe spezzato il cuore di due lupi che lei amava tantissimo.

Luak e Symill erano adorabili e così pure i loro cuccioli, ma lei non li voleva separare, non voleva allontanarli dal loro villaggio, da tutte le loro certezze.

Erano troppo piccoli! Troppo indifesi!

Non avevano alcuna voce in capitolo in quella faccenda, e non era giusto!

Detestava l’idea di essere usata per fini politici, ma sapeva che questo avrebbe potuto succedere, un giorno, perché lei era nata principessa.

Per quanto i suoi genitori le volessero bene, il regno era ugualmente importante.

Lei per prima non si sarebbe tirata indietro, per la sua difesa, in qualsiasi modo essa avesse dovuto essere fatta.

Perciò detestava l’idea che creature così dolci e indifese, dovessero subire una sorte su cui loro non avevano avuto alcun potere, né decisione.

Non era giusto!

«La giustizia, spesso e volentieri, non ha a che fare con questo mondo.»

Sobbalzando per la sorpresa e lo spavento assieme, Naell crollò a sedere su uno dei gradini della veranda quando, volgendosi a mezzo, trovò a fissarla con molta comprensione niente meno che Hevos

Due volte in un giorno? No, era troppo!

Balbettando uno stentato saluto, Naell lo vide trottare su per le scale fino a raggiungerla e, a grande sorpresa, sedersi accanto a lei e sfiorarle il viso con il naso freddo e umido.

«Il tuo cuore è appesantito dalla scelta, e questo me ne dispiace, ma doveva essere fatto» le disse ancora Hevos, con tono spiacente.

«Amo quei cuccioli, ma non meritano di crescere lontano da tutto ciò che conoscono e, soprattutto, senza che sia loro la scelta» mormorò Naell, stringendosi le braccia attorno al corpo tremante. «Non voglio che qualcuno soffra a causa mia e, di sicuro, Luak e Symill soffriranno, checché ne dicano loro… o voi, con tutto il rispetto.»

Hevos si librò in una risatina prima di ammettere: «Non posso che essere d’accordo con te, ma dovevo…era necessario metterti alla prova, principessa.»

«Perché? Sempre per via di quel futuro oscuro che ci avete prospettato?» domandò Naell, più che sicura che Hevos non avrebbe risposto.

«Sì» disse soltanto lui, sorprendendola un po’.

Beh, insomma, non era una gran risposta, ma non si era aspettata neppure un cenno con il muso, quindi…

«Posso dunque rifiutare il vostro dono? Non vi sentirete offeso?» tentennò lei.

«Il libero arbitrio è molto più di un incontro di parole, principessa. Puoi seguire il tuo cuore, per ora, ma sappi che un domani questa possibilità non ti verrà data, e che sarà la necessità a guidarti, non necessariamente i tuoi desideri. Sei pronta ad accettarlo?»

«Sono nata principessa. Lo so da quando sono nata» asserì Naell, rizzando le spalle e guardandolo con fierezza.

«Quindi accetti il tuo ruolo, senza rimpianto alcuno?»

Vagamente sorpresa che lui fosse a conoscenza dei suoi tentennamenti, Naell sorrise e commentò: «C’è qualcosa che non sapete, dio-lupo?»

«Ben poche cose, in effetti. Non so cosa mangerai domattina per colazione, per esempio» sentenziò divertito Hevos, facendola ridere sommessamente. «Il Fato mi è in parte visibile, in parte no. Posso intervenire per consigliare, non per ordinare, perché i miei figli a me tanto cari, non finiscano nel baratro. A volte, le decisioni da prendere sono più difficili di altre, perché il futuro che attende al varco è più funesto di altri,ma tutto è fatto solo per un motivo.»

«Permetterci di vivere al meglio?» ipotizzò Naell.

«E’ nei miei intenti. Anche se a volte non posso evitare che certe disgrazie avvengano» sospirò Hevos, reclinando il muso per poggiarlo sulle gambe della ragazza, che sospirò di sorpresa per quel gesto davvero inaspettato.

Arrischiandosi a toccarlo, Naell gli carezzò il capo morbido, avvertendo il freddo della brina e il calore del suo corpo vivo. Era una strana sensazione.

Hevos chiuse gli occhi, mormorando malinconico: «Hyo fu l’ultima ad accarezzarmi il capo come stai facendo tu. Mi manca così tanto!»

Naell proseguì nella sua carezza prendendo anche le spalle e la schiena e, mentre la sua mano si bagnava di brina al pari dei calzoni, lei domandò spiacente al dio-lupo: «Vi è spiaciuto vedere quanta sofferenza le vostre figlie si siano causate nel corso dei secoli?»

«Molto. Ma occorreva tempo per tutto, anche perché aprissero gli occhi e tornassero alla verità che io avevo voluto per loro. A volte è difficile osservare i propri figli commettere degli errori, e non poter intervenire come si vorrebbe. Ma occorre dar loro fiducia, perché comprendano da soli» le spiegò sommessamente Hevos, sempre tenendo gli occhi chiusi e scodinzolando debolmente.

«Farò del mio meglio per prepararmi a questo futuro non proprio roseo, ve lo prometto. Non so ancora esattamente come, ma lo farò» gli promise Naell, con veemenza.

«Rimani te stessa e dai voce alla tua anima, in tutte le sue declinazioni. Luak aveva fiducia in te, e ho visto che è stata ben riposta. Se manterrai questo tuo cuore saldo e puro, non avrai difficoltà ad affrontare ciò che avverrà nel tuo futuro» asserì con decisione Hevos, rialzando il muso per guardarla negli occhi.

«Nessuna anticipazione?» ironizzò Naell, sorridendo bieca.

«Credi nel diverso e nello sconosciuto» le disse lui, rialzandosi sulle zampe.

«Diverso e sconosciuto» annuì Naell, imitandolo.

«Grazie per le carezze e per la bella chiacchierata» mormorò a quel punto Hevos, trotterellando giù dalle scale.

«Vi rivedrò più?» volle sapere Naell.

«Forse. Per ora, buona fortuna, principessa Naell Yollande di Rajana.»

Ciò detto, svanì in una nuvola di brina sotto i suoi occhi e Naell, con un sorriso, sussurrò all’oscurità: «Grazie, Hevos.»

***

Tenendo in braccio Ylar, che le stava leccando il mento come se fosse stato il più dolce tra i bocconi, Naell fissò seria in viso Istrea e disse perentoria: «Rifiuto il dono di Hevos. Il posto dei lupi è qui. Non deciderò mai la loro sorte. Saranno liberi di fare ciò che vogliono e se, un domani, vorranno accompagnare il nostro cammino, sarò ben felice di accoglierli a Rajana, ma non un giorno prima.»

Istrea la fissò con altrettanta serietà e le replicò gentilmente: «Sai che rifiutare il dono di un dio, a volte, ci si può ripercuotere contro, vero?»

«Ne ho parlato con il diretto interessato, e Lui è d’accordo» scrollò le spalle Naell, facendo sobbalzare tutte le presenti, ivi compresa Eikhe.

Imprecando senza tanti complimenti, Istrea fissò la principessa con cupo cipiglio prima di rivolgersi a Eikhe ed esclamare: «Cos’ha, la tua famiglia, da attirare Hevos come le mosche sul miele?»

«Credo dovrai chiederlo direttamente a Lui, Istrea» ridacchiò Eikhe, avvolgendo con un braccio le spalle della nipote. «E’ successo ieri sera, quando sei uscita per andare a letto?»

Naell annuì, spiegando loro come si sentisse all’idea di strappare i lupi alla loro casa e che, pur amandoli tanto, non li avrebbe mai condannati a seguire una scelta che loro non avevano potuto fare.

Alla fine, stringendo maggiormente a sé Ylar, Naell lo baciò sul musetto e terminò: «Non potrei mai vederlo infelice. I genitori sanno della scelta di Hevos e della mia. Se un domani vorranno dirlo anche ai loro cuccioli, saranno loro a scegliere se venire da noi, o meno. Ma non sarò io a obbligarli.»

«Questo ti fa onore, Naell» le sorrise benevola Istrea.

«E’ quello che farebbe qualsiasi figlia del branco» le replicò Naell, arrossendo leggermente.

«E tu lo sei, mia cara. Lo sei» annuì orgogliosa Istrea, annuendo in direzione di Eikhe, che strinse maggiormente a sé la nipote.

I passi frettolosi di uno dei più giovani figli del branco le interruppe e, quando videro entrare di corsa e trafelato il piccolo Alistan, Istrea lo accolse con un sorriso chiedendogli: «Dove corri così di corsa, ragazzo?»

Riprendendo fiato a pieni polmoni tenendo le mani sulle cosce, Alistan esalò a mezza voce: «Una missiva… per…la principessa. Da palazzo.»

Naell impallidì leggermente e, dopo aver messo a terra Ylar, che zampettò accanto a lei uggiolando per tornare in braccio, prese la lettera dalla mano tremolante di Alistan.

Era chiusa dal sigillo in ceralacca con le insegne di suo padre e, perciò, aveva un carattere dannatamente ufficiale.

Ringraziato il bambino, spezzò il fermo di cera rossa e infine aprì il messaggio.

«Vedrai che non è successo nulla di grave» la tranquillizzò Eikhe, sorridendole benevola.

Naell annuì, pur leggendo febbrilmente la missiva per comprendere quanto prima il suo contenuto.

Dopo aver dato una scorsa alle prime righe, però, si bloccò di colpo, levò uno sguardo dubbioso all’indirizzo della zia ed esalò: «Sono tutti impazziti, a Rajana?»

Eikhe, al pari delle altre donne presenti e del giovane Alistan, che strabuzzò gli occhi alle sue parole, esalò un sospiro di sorpresa.

Data una scorsa veloce al contenuto della missiva, sgranò a sua volta le iridi dorate, dicendo subito dopo: «O sono molto ottimisti, o tuo padre soffre di demenza senile precoce.»

Scoppiando a ridere nervosamente, Naell replicò alla zia: «Non dovresti parlare così del re, neppure tu che sei Eroina del Regno.»

Eikhe si limitò a scrollare negligente una mano prima di guardare una curiosa Istrea e spiegare a tutte loro: «I principi Staryn e Meriton stanno venendo qui assieme a una delegazione del Regno di Akantar …e al suo principe ereditario.»

«Dèi del Cielo!» esclamò Istrea, impallidendo. «Vogliono vedermi morta! Non possiamo garantire la sicurezza per così tanti nobili titolati! Per Hevos, tuo padre vuole davvero farmi venire un infarto prima del tempo!»

Naell cercò di tranquillizzarla, replicando: «Avranno un intero battaglione a difenderli, Istrea. Non penso proprio che vengano tra le montagne senza una buona scorta di acciaio a rinforzo.»

Storcendo il naso indispettita, Istrea ribatté: «Basta un fosso nascosto dall’erba alta per far morire un principe. Una zampa di un cavallo messa male e, puff, il principe si spezza il collo nella caduta e siamo tutti bell’e che fritti.»

«Vero» ammise torva la principessa, chiedendosi cosa fosse venuto in mente a suo padre.

Da quando in qua lasciava che entrambi i fratelli si muovessero all’unisono fuori dal palazzo?

E chi era questo principe di Akantar?

Sapeva che quel reame era al di là del mare, e governato da un sovrano illuminato che suo padre stimava da tempo, ma non aveva mai saputo che vi sarebbe stata una visita da parte loro.

Quando erano giunti?

Camminando nervosamente avanti e indietro, le mani strette dietro la schiena e l’aria di chi volesse strangolare qualcuno, Istrea mugugnò irritata: «Questa me la pagherà, tuo padre, te lo giuro, piccola Naell.»

«Ne terrò debito conto» ridacchiò la ragazza, sorridendo complice alla zia, che ammiccò divertita.

Bloccandosi a metà di un passo, la Signora del Villaggio abbaiò alla figlia con tono da generale: «Manda un messaggio via falco al comandante delle Guardiane. Le voglio qui non più tardi di domani. Devono controllare i confini di Hyo-den, quindi di’ loro di portare i loro culi qui al più presto. Vai!»

Selden si guardò bene dal far notare alla madre che non si potevano dare ordini alle Guardiane quanto, piuttosto, chiedere cortesemente che facessero la loro apparizione dove necessitava.

Uscì di volata dal capanno tirandosi dietro Alistan, prima che la madre lo mandasse in giro a dispensare ordini e, strizzando l’occhio al bambino, gli consigliò: «Stai alla larga da mia madre per un po’, se non vuoi che ti usi da ambasciatore per tutta la giornata.»

«Farò come dici, Selden. Grazie» ammiccò il bambino, correndo via di gran fretta.

Selden lo imitò, avviandosi lesta verso la sua casa per scrivere di volata il messaggio di sua madre in cui, naturalmente, avrebbe aggiunto una buona dose di ‘per favore’ e di ‘potreste’.

Istrea, nel frattempo, guardò accigliata Eikhe e ordinò: «Fai preparare tutte le figlie sacre tra i venti e i trent’anni in assetto da battaglia… Liana esclusa, s’intende, visto che è incinta. Dopodiché, tu e la tua squadra di arciere vi apposterete sui tetti delle case per controllare la situazione dall’alto, non appena avremo saputo dalle sentinelle del loro avvicinamento. Non voglio un solo buco libero. Non uno!»

Eikhe annuì tranquilla e uscì con calma dalla casa matronale, dopo aver lanciato un sorriso a Naell.

Rimasta assieme a Istrea e poche altre, la principessa le chiese educatamente: «Non credi che sia un tantino eccessivo?»

«Anche se siamo in tempo di pace, mia cara, i briganti sono comunque presenti tra le montagne, e non voglio di certo che uno dei tuoi fratelli o questo fantomatico principe ospite siano colpiti per errore durante una scorribanda. Credimi, niente sarà eccessivo, quando giungeranno qui» brontolò Istrea, prima di lanciarsi in una nuova serie di ordini sbraitati a destra e a manca alle sue sorelle.

Vedendosi del tutto inutile, Naell si affrettò ad uscire dal capanno per tornarsene a casa quando, sulla porta, trovò ad attenderla i due gemelli che, sorridenti, la presero per mano chiedendole: «Istrea è impazzita?»

«No, piccoli. E’ solo molto, molto agitata» replicò loro Naell, sorridendo benevola. «Voi come vi sentite, dopo tutti questi strani eventi?»

Enyl e Rannyl si guardarono all’unisono prima di sorridere e ammettere:«Un po’ di paura l’abbiamo avuta, ma non lo dirai al papà, vero?»

«Il segreto morirà con me» promise loro Naell.

C’erano un po’ troppe cose che doveva tenere nascoste ma, in fondo, una in più che differenza faceva?

 
 
 
 
 
N.d.A.: Domandina: cosa faranno i lupacchiotti?

 
 

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Capitolo 7
*** cap. 7 ***



7.

 

 

 

Naell aveva sempre e solo sentito parlare delle Guardiane, misterioso corpo di guardia formato da donne-lupo.

Il loro unico compito era quello di tenere d’occhio i luoghi di culto del dio-lupo e, eventualmente, intervenire in caso di bisogno, qualora qualche figlia del branco avesse avuto bisogno di loro.

Non sapeva dove vivessero, se avessero loro villaggi – separati dalle altre – o se, semplicemente, abitassero nel bosco come nomadi, sempre in viaggio da un santuario all’altro.

L’unica cosa che sapeva era che le incutevano un timore reverenziale non indifferente.

Quando erano giunte al villaggio, non meno di tre giorni addietro, si erano presentate in formazione dinanzi alla casa di Istrea.

Qella che, a parere suo, doveva essere la comandante in capo di quell’élite militare, si era presentata con il nome di Yrana e aveva offerto i loro servigi a Hyo-den in vista dell’arrivo dei principi.

Da quel momento, si erano posizionate lungo i confini del villaggio, le armi in pugno, i pesanti mantelli d’orso sulle spalle e le inquietanti maschere di terracotta calate sui loro volti a deformarne i lineamenti.

Eikhe le aveva spiegato che le Guardiane venivano scelte tra le migliori combattenti di ogni villaggio di donne-lupo, perché venissero addestrate nel compito di proteggere i luoghi di culto di Hevos.

Anche lei, però, non aveva idea di che fine facessero, una volta selezionate per quel ruolo.

Da quel poco che si sapeva tramite il mito e i racconti delle Anziane, i templi altro non erano che le porte interdimensionali da cui il dio-lupo entrava e usciva dal nostro mondo al suo.

Per questo, le Guardiane si occupavano di tenerli protetti.

Naturalmente, Naell non si era arrischiata a chiedere conferma, perché quelle donne le facevano davvero troppa paura.

Non che le avessero detto qualcosa in malo modo, o che l’avessero guardata storta. Semplicemente, stare loro vicino le faceva venire i brividi.

Di certo, uno dei motivi che la spingevano a scrutarle con ansia, era il rapporto tra Guardiane e figlie sacre; era teso come corde di liuto, e lo si poteva avvertire nell’aria come una sorta di aroma pungente che solleticava le narici.

L’odio era scemato, lasciando il posto a una quieta sopportazione, ma la pace era ben lungi dall’essere stata raggiunta.

A ogni buon conto, le Guardiane sapevano bene quando sotterrare l’ascia di guerra e mettersi a disposizione di una sorella, quando essa era nei guai.

Fosse anche una figlia sacra.

Seduta sulla paglia fresca all’interno del recinto dove erano allevati i lupi, Naell era ben contenta di stare loro lontano, anche se impegnata sul lavoro.

Spazzolando gentilmente uno dei cuccioli come era suo compito, la ragazza sollevò sorpresa il capo quando, anticipata da una serie di imprecazioni, vide entrare Syanaill in compagnia di un paio di sorelle.

La donna appariva veramente furente e Naell, bloccando a metà il movimento della spazzola, sgranò gli occhi e sbatté le palpebre confusa prima di chiederle: «Ma che succede?»

«Succede che Istrea morirà prima della fine della settimana, se continua così, perché sarò io ad ammazzarla!» sbottò Syanaill, scavalcando il recinto con un abile gesto di gambe, mentre le due figlie sacre più giovani sorridevano sotto i baffi.

Evidentemente, erano state testimoni dell’alterco che aveva causato l’ira della loro maestra, oppure ne ipotizzavano le ragioni.

Non contenta, l’anziana figlia sacra prese uno dei forconi appesi alle rastrelliere e, con una rabbia che le incendiava lo sguardo, iniziò a buttare fieno nuovo nei box delle puerpere.

Per fortuna, le lupe non si trovavano lì, in quel momento, ma nel recinto esterno, impegnate a godersi il sole pomeridiano.

«Sembra quasi che io mi diverta, a negarle ulteriori sorelle. Ma dovrebbe saperlo che abbiamo sei lupe in attesa di partorire! Dovrebbe saperlo che io non posso fare tutto da sola! Dovrebbe saperlo che c’è bisogno di mani esperte per far nascere i cuccioli!» continuò a mugugnare Syanaill, sempre più furiosa.

Man mano che le ottave della sua voce si innalzavano verso vette sempre più alte, le due figlie sacre si avvicinarono quatte quatte a Naell e, sottovoce, Malyni le sussurrò: «Fossi in te, uscirei per un po’ con le lupe incinte. Syanaill comincerà a sbraitare sempre più forte finché non se la prenderà con la prima che troverà a tiro, affibbiandole i compiti più infami. Noi andiamo fuori a raccogliere un po’ di letame da portare alla fossa. E’ decisamente preferibile che stare qui a sorbirsi la sua manfrina.»

Annuendo alle due ragazze, Naell mormorò grata: «Seguirò il tuo consiglio, Malyni. Non si sa mai.»

«Saggia decisione» chiosò con un sorrisino complice Nualin, prima di dare un colpo di gomito all’amica e sgattaiolare fuori dal capanno senza farsi vedere da Syanaill.

Syanaill che, ancora lanciata nella sua filippica senza fine, non si rese conto della fuga in grande stile delle due allieve, né di quella di Naell.

La ragazza si acquattò contro il recinto tenendosi bassa sulle gambe, in modo tale che la figlia sacra non potesse vederla oltre la coltre di fieno che stava inforcando con violenza.

Non appena fu a portata di tiro, scivolò fuori attraverso la botola usata dai lupi, così da non essere costretta ad aprire il portone, smascherandosi.

Quando fu all’esterno, si ritrovò a fissare il muso di una delle lupe, Lynne, forse desiderosa di rientrare nel capanno e, con un sorrisino, le diede una carezza gentile prima di dirle: «Fossi in te resterei fuori ancora un po’. Syanaill ha un demone per capello.»

Lynne strabuzzò gli occhi prima di uggiolare e, trotterellando via, se ne tornò accanto alle compagne, ancora accoccolate sull’erba a godersi la bella giornata estiva.

«Mi sa che le imiterò, almeno finché la tempesta dentro il capanno non si sarà calmata» commentò tra sé Naell, poggiando le mani sui fianchi sottili.

Da quando era giunta a Hyo-den, i cambiamenti nel suo corpo si era fatti più che evidenti.

Si era asciugata, lasciando che la mollezza della vita di palazzo sparisse per lasciare il posto a un fisico asciutto, abbronzato e forte.

Lavorare tutti i giorni, mettendosi in gioco ogni volta e dimostrando di potercela fare, l’aveva fatta anche crescere a livello umano.

Ora si sentiva più capace, meno insicura e, di tutto, doveva ringraziare la sua famiglia e il villaggio di Hyo-den.

Naturalmente, non avrebbe mai detto al padre che gli uomini del villaggio si erano offerti di insegnarle a usare un’ascia – cosa che aveva trovato piuttosto difficile, ma gratificante.

O che, più di una volta, si era ritrovata sul ciglio di un tetto a fissare delle assi di legno con martello e chiodi ma, a conti fatti, non erano cose che doveva obbligatoriamente menzionare.

Ridacchiando tra sé nel sedersi accanto alle lupe stese al sole, Naell si disse che, in fondo, segreto più, segreto meno, non c’erano problemi.

Non si era fatta male, aveva imparato una cosa in più e lei era contenta. Non c’era null’altro da sapere.

Con un movimento fluido di braccia, intrecciò le mani dietro la testa e si sdraiò a sua volta sull’erba chiudendo gli occhi e, con uno sbadiglio, si addormentò dopo poco, baciata dai raggi caldi e sornioni del sole.

***

Sentiva un certo umidore sul volto. Che una nuvola birichina avesse oscurato il sole, pensando di scaricare sul villaggio un po’ di pioggia?

Aprendo un occhio per controllare, Naell si rese subito conto di avere gli abiti asciutti.

Il sole splendeva alto nel cielo e neppure una nuvola macchiava l’azzurro intenso che la sovrastava come un enorme mantello.

Quindi?

Voltando il capo dai capelli intrecciati su un fianco, Naell sorrise spontaneamente quando vide Ylar accovacciato a pochi centimetri da lei, la lingua ciondoloni e gli occhioni grigi che la fissavano… spaventati?

Accigliandosi immediatamente quando si rese conto che il cucciolo appariva turbato da qualcosa, Naell si affrettò a rimettersi seduta.

Preso Ylar in braccio, si guardò intorno con circospezione prima di rendersi conto che anche le lupe avevano rizzato le orecchie e che, a denti snudati, osservavano il vicino contorno del bosco.

Tornando immediatamente ai suoi doveri, Naell si alzò in piedi e disse perentoria: «Tornate dentro, non si sa mai.»

Le lupe si limitarono ad alzarsi sulle zampe, ma si rifiutarono di allontanarsi da lei, circondandola con i loro corpi massicci e snudando ancor più i denti.

Un basso brontolio di gola fuoriuscì dalle loro bocche serrate, mentre Naell continuava a guardarsi intorno, circospetta.

Stringendosi maggiormente Ylar al petto, Naell cercò una potenziale arma da usare per difendersi e difendere le lupe incinte e, quando scorse un bastone accanto al capanno, corse ad afferrarlo.

Poggiato subito dopo il cucciolo a terra, gli intimò: «Stai in mezzo alle lupe, va bene?»

Ylar annuì all’indirizzo dell’amica ma, quando un’ombra uscì veloce dal bosco, uggiolò spaventato e si acquattò a terra, coprendosi le orecchie con le zampe paffute.

Naell, seppur a fatica, seguì i movimenti sinuosi dell’ombra che, con rapidi balzi, atterrò sinuosa su un vicino capanno prima di balzare via sotto lo sguardo preoccupato della principessa.

Era impossibile coglierne le fattezze, tanto era veloce, ma aveva compreso bene quanto fosse grande e possente.

Cosa diavolo era? Un leone di montagna?

Non ne aveva mai visti, sapeva solo cos’erano e com’erano, ma non aveva mai avuto la sfortuna di incontrarne uno.

L’ombra si mosse veloce tutt’intorno, avvicinandosi sempre di più al folto gruppo di lupe che Naell voleva difendere.

Con un sibilo sommesso e un fruscio, infine, atterrò sul prato dinanzi a loro mettendo finalmente in mostra la sua identità, che però non servì affatto a tranquillizzare la ragazza, né tanto meno le gestanti.

Era assurdo, eppure sembrava un felino.

Solo che non assomigliava per niente a un leone di montagna, notoriamente grosso più o meno come un lupo e dal manto color ocra.

Questo era ben più grande di un lupo, il suo pelo era maculato e passava dal nocciola al nero, in macchie tondeggianti che ne ricoprivano la schiena, il muso e le zampe affusolate.

La sua struttura imponente disse a Naell quanto potesse essere forte e pericolosa, qualora avesse deciso di attaccarli.

La creatura misteriosa, però, non fece altro che fissare i suoi occhi verdi e penetranti sul loro gruppo, prima di sedersi sulle zampe posteriori, emettere un mugolio e infine… scodinzolare.

Naell spalancò la bocca, basita di fronte a quel comportamento tutt’altro che minaccioso, prima di rendersi conto di un particolare a cui, in precedenza, non aveva badato.

Aveva un collare!

Era ricoperto di pietre preziose, incastonate su una catena di anelli dorati che, a conti fatti, sembrava più un girocollo da donna che altro.

Alla caviglia, portava un cerchio d’oro a cui erano stati applicati due splendidi opali neri.

Naell fissò il gioiello con attenzione, notando un’incisione sul bordo molto simile a un blasone gentilizio.

Sembrava la rappresentazione stilizzata di una testa di felino, ma non poteva esserne sicura perché il disegno era molto piccolo.

L’unico modo per meglio controllare sarebbe stato avvicinarsi, cosa che lei non avrebbe fatto per nessun motivo al mondo!

Ugualmente, Naell rimase in attesa di una qualsiasi manovra da parte dello strano felino, interiormente spaventata quanto attratta dalla sua bellezza quasi ipnotica e dal suo ron-ron, che aveva cominciato a far vibrare nell’aria fin da quando si era seduto.

Ops, seduta.

Con un mezzo sorriso, Naell si rese conto trattarsi di una femmina e, come se la cosa fosse di una qualche importanza, poggiò il bastone su una spalla e disse a mezza voce: «Visto che siamo tutte della stessa categoria, che ne diresti di non mangiarci? Sai, giusto per solidarietà femminile.»

Il felino femmina allora annuì e, sotto gli occhi sconvolti di Naell, si illuminò come una stella prima di mutare forma e prendere le sembianze di una donna, interamente ricoperta dalla sottile peluria maculata.

La stessa che, in precedenza, l’aveva ricoperta come felino.

Coprendosi la bocca per non lanciare uno strillo, mentre le lupe uggiolavano confuse nell’osservare la strana creatura, Naell spalancò gli occhi nel fissarli sul fisico slanciato della donna.

Non era del tutto umana, e recava su di sé i chiari segni del felino che era stata fino a un attimo prima.

Una lunga coda le pencolava dal fondoschiena mentre gli occhi, ripiegati verso l’alto come quelli di un gatto, erano un poco più grandi del normale, in tutto identici a quelli dell’animale che ora non era più.

O non del tutto, a ben vedere.

Il suo corpo era muscoloso, slanciato, chiaramente femminile, e recava su collo e caviglia gli stessi orpelli che Naell aveva visto sul felino che era giunto al capanno.

Sì, non poteva sbagliarsi, erano la stessa cosa… persona… animale. Sì, insomma. Quello.

Preso un gran respiro per evitare di svenire, Naell si tolse la mano dalla bocca e, gracchiando, esalò: «Cosa sei?»

La donna-felino inclinò il capo di capelli cortissimi e sorrise con la sua bocca carnosa, prima di mormorare con voce bassa e roca:«My-chan. Sono io.»

Era evidente il suo sforzo nell’esprimersi nella sua lingua perciò Naell, con tono educato e un po’ meno spaventato, le chiese: «Qual è la tua patria d’origine?»

«Akantar.»

Lo pronunciò Ak-ant-har, facendo sibilare un’acca che Naell non aveva idea vi fosse.

Evidentemente, i suoi studi in lingue straniere avevano bisogno di un ritocchino.

«Sei con il seguito del principe, allora» asserì Naell, usando il dialetto costiero usato dai pescatori.

Sapeva che, bene o male, veniva usato da tutti i paesi che avessero sbocco sul mare, per cui sperava che anche lei lo conoscesse.

Non aveva idea di quale idioma si usasse nel resto del paese di Akantar, perché non era ancora arrivata a un simile livello di preparazione e, in quel momento, se ne risentì.

La donna parve però gradire l’uso di quella lingua perché sorrise maggiormente e annuì, dicendole: «Lui è più lontano di me. Qualche…tempo. Mezz’ora, forse. Ero curiosa.»

Mentre le lupe si calmavano progressivamente, non percependo un pericolo imminente nell’aria, e Ylar restava prudentemente accanto a loro, Naell poggiò a terra il bastone e uscì dal cerchio protettivo offerto dalle sue amiche a quattro zampe.

Avvinatasi all’esotica donna-felino, le chiese: «Sono tutte così, da dove vieni tu?»

Lei rise, un suono ferino, morbido e caldo che accarezzò Naell da capo a piedi, dandole una strana sensazione, come di velluto avvolto attorno al suo corpo.

My-chan, dopo un momento, le spiegò: «Vecchia razza. Poche ancora di noi. Siamo… in estinzione?»

Naell annuì, confermandole che la parola era esatta e My-chan, tutta contenta, le si avvicinò per abbracciarla, mormorando con la sua voce carezzevole: «Mi piaci! Sei buona!»

La ragazza rimase bloccata nel suo abbraccio, paralizzata dalla sorpresa e da un briciolo di paura prima di rendersi conto che, a tutti gli effetti, la donna-felino stava… stava facendo le fusa! Per lei!

Con la muscolatura asciutta e potente che si ritrovava, avrebbe potuto ucciderla con facilità estrema, invece si limitò al suo ron-ron ritmico, che continuò anche quando My-chan si scostò per aggiungere: «Gentile come il mio padrone. Lui non … non ha paura di me. E non mi picchia.»

La sola idea fece tremare di rabbia Naell che, accigliandosi, la fissò sdegnata esclamando: «Chi ti avrebbe picchiata?!»

My-chan rise nuovamente, carezzandole un braccio con il tocco leggero di una mano, quasi come un riflesso incondizionato, o per calmare l’ira della principessa, e mormorò: «Cacciatori. Taaanti cacciatori! Loro facevano di noi dei…»

Si guardò intorno, come per cercare la parola giusta da usare prima di battere il piede a terra e aggiungere, fiera: «Tappeti. Ecco cosa! Tappeti!»

Disgustata, Naell rabbrividì suo malgrado ed esalò: «Non puoi dire sul serio! E… i re del tuo paese lo permettevano?!»

«Papà del mio padrone, no. Lui ha detto basta. E anche suo figlio, ma ormai eravamo davvero pochissime» nel dirlo, sospirò infelice e Naell, d’istinto, le prese una mano e la carezzò comprensivamente.

My-chan sembrò gradire il gesto e, scostandosi da lei, si accucciò a terra riprendendo le forme feline sotto gli occhi vagamente sgranati di Naell, che osservò quel magico cambiamento senza riuscire a emettere fiato.

Quando il corpo della donna fu nuovamente in forma animale, ella iniziò a strusciarsi accanto alle gambe di Naell, emettendo una fitta gamma di miagolii e fusa che portarono la ragazza a ridere di gusto.

Era davvero la situazione più assurda a cui si fosse mai trovata innanzi, ma quella strana donna-animale le piaceva.

Aveva un che di infantile e dolce e, al tempo stesso, sapeva essere estremamente seria e adulta.

Un vero caleidoscopio di emozioni. Inoltre, l’aveva incuriosita.

Da quel poco che aveva capito, My-chan era l’animale – la poteva chiamare così? – da compagnia del principe di Akantar e, a quanto pareva, lui era gentile e cortese, con lei.

Di certo, un punto a suo favore.

«Direi che…» iniziò col dire Naell, prima di sobbalzare quando uno dei corni delle vedette, appostate sulle torri di controllo poste poco oltre i confini di Hyo-den, suonò con forza.

Quel rombo espanse il suo richiamo su tutta l’ampia valle in cui si trovava il villaggio.

Poggiata una mano sulla schiena di My-chan, Naell guardò le lupe – incuriosite dalla loro strana ospite – e il piccolo Ylar e, infine, disse loro: «Voi tornate dentro. Syanaill dovrebbe essersi calmata, ormai. Io vado a vedere che succede.»

Le lupe annuirono con il muso mentre Ylar, uggiolando, fissò Naell con ansia prima di accordarsi al gruppo di partorienti e rientrare nel capanno.

Pur spiacendole, Naell non poteva stare con Ylar, in quel momento.

C’erano cose più pressanti a cui fare caso.

Lanciato uno sguardo in direzione di My-chan, che continuava a starle accanto fiduciosa, le sorrise e asserì: «Direi che io e te potremmo andare a controllare come procedono le cose, che ne dici?»

My-chan annuì e trotterellò al suo fianco, raggiungendo lo steccato che separava il prato dal resto delle abitazioni del villaggio.

Scavalcatolo con agilità, la guardò con una certa aspettativa mentre Naell, con movimenti più goffi, oltrepassava l’ostacolo prima di atterrare sul terreno battuto della via.

«Non sono atletica come te» tenne a precisare la principessa, ammiccando al suo indirizzo prima di incamminarsi verso il centro di Hyo-den con My-chan al fianco.

Sui tetti, come nella strada principale, il via vai di donne-lupo era controllato, seguiva uno schema che Istrea aveva inculcato a dure parole nelle menti delle sue sorelle.

Sui volti di tutte, però, si leggeva la leggera ansia che aleggiava tutt’intorno ormai da giorni.

Non era cosa da poco ricevere la visita di così tante alte cariche dello stato e, di sicuro, l’idea di un potenziale incidente terrorizzava tutti e tutte.

Inoltre, quando le prime donne che Naell incrociò lungo la via la videro affiancata a un felino mai visto prima, parecchie di loro si scostarono sconvolte e spaventate, urlandole dietro: «Ma quella cosa da dove è saltata fuori?!»

«E’ del principe di Akantar» si limitò a dire la principessa, sorridendo a My-chan e passandole una mano sulla schiena possente e robusta.

Diverse donne imprecarono disgustate, chiedendosi irritate se dovessero saltare fuori altre novità, in un momento come quello.

Altre, invece, più che mai divertite da tutto quel caos a stento controllato, fecero commenti e ipotesi sulla loro strana, nuova ospite.

La notizia dell’arrivo di quello strano felino addomesticato si sparse per il villaggio con la velocità del fuoco nella steppa e, mentre Naell proseguiva la sua avanzata verso Istrea, Eikhe le urlò da uno dei tetti: «Ehi, piccola! E quello?»

Sorridendo alla volta della zia, Naell la salutò con un cenno della mano prima di urlare di rimando: «E’ una mia nuova amica!»

«Molto bella!» le rispose Eikhe prima di tornare al suo posto di guardia, l’arco in una mano e una freccia già incoccata e a riposo, nell’altra.

My-chan miagolò tutta contenta per il complimento di Eikhe e Naell, ridacchiando, le chiese: «Il tuo principe ti fa tante moine, vero?»

Il felino annuì, scodinzolando felice e Naell, con un sorrisone divertito, celiò ironica: «Perché mi immagino il tuo principe come un ragazzino pelle e ossa, e che dipende interamente dalla tua difesa?»

My-chan scosse con veemenza il capo, smentendo di netto la descrizione di Naell e la principessa, sempre più curiosa, mormorò: «Ti chiederei di tornare donna per farmi una sua descrizione accurata ma, se tu lo facessi proprio ora, e in mezzo a tutte queste donne già nervose, probabilmente ne ammazzeremmo metà per infarto.»

La donna-felino assentì con aria comprensiva, confermando la sua ipotesi e trovandola più che mai azzeccata.

Dandole una grattata in mezzo alle orecchie ritte, Naell sentenziò: «Casomai, lo farai più tardi, quando Istrea avrà messo un quintale di ovatta intorno ai miei fratelli e al tuo principe.»

My-chan lanciò un lungo, profondo brontolio di gola che a Naell parve tanto una risata di complicità e, sorridendo alla sua nuova amica, dichiarò: «Penso proprio che io e te andremo d’accordo, sai?»

Il felino annuì e, strusciandosi contro una gamba di Naell, miagolò felice.

Quando infine la principessa giunse nei pressi di Istrea e del suo comitato di benvenuto, si mise prudentemente di fronte a My-chan.

Sfiorando poi una spalla della donna, la avvertì sentitamente: «Prima di voltarti verso di me, voglio che tu sappia che non sono sola e che, qui con me, c’è l’animale da compagnia del principe di Akantar.»

Istrea, naturalmente, non badò a una sola parola della ragazza e, voltandosi di scatto, le brontolò contro: «Ma cosa diamine stai… dicendo… ragazza…»

Man mano che i suoi occhi registravano ciò che aveva innanzi, le parole di Istrea divennero più strozzate, fin quasi a scomparire in un rantolo senza forze.

Mentre il suo sguardo si faceva man mano più sconvolto, il suo viso divenne una maschera di terrore puro.

Sua figlia Selden, lanciando uno strillo ben poco edificante, balzò dietro la schiena della madre e fissò spaventata a morte l’enorme felino alle spalle di Naell.

Le due figlie sacre che si trovavano con loro, invece, più sconcertate che mai, portarono istintivamente le mani alle daghe prima di esclamare quasi all’unisono: «Per tutti i demoni delle montagne, ma cos’è?!»

Naell fissò Everyn e Krisena – due figlie sacre nate da stesso padre ma da madri diverse – con aria vagamente ironica e chiosò: «Non avrete mica paura, spero? Non avete notato che ha il collare e, soprattutto, che mi sta facendo le fusa?»

Istrea riuscì in qualche modo a riprendere il controllo su se stessa e, dopo aver lanciato un’occhiataccia alla figlia, che arrossì copiosamente nello scostarsi da lei, si piegò leggermente in avanti per dare uno sguardo più attento al grande felino.

Solo a quel punto notò ciò che Naell aveva detto loro.

Non solo se ne stava docile al fianco della principessa, che appariva tutto tranne che spaventata, ma emetteva un ron-ron così forte da far quasi vibrare l’aria.

«A quanto sembra, le piaci» commentò a quel punto Istrea, tornando i posizione eretta mentre Everyn e Krisena si mettevano nuovamente sull’attenti.

Inclinando il capo nel fissare Naell con curiosità, Selden le chiese dubbiosa: «Come sai che è del principe straniero?»

«Perché me l’ha detto lei» si lasciò sfuggire Naell prima di tapparsi la bocca, sgranando gli occhi di fronte all’errore grossolano che aveva appena fatto.

E meno male che si era ripromessa di non dire una parola!

Selden impallidì visibilmente al suo dire mentre Istrea, fissando allibita Naell, si portava le mani nei capelli prima di esclamare irritata: «Dèi del cielo! Un’altra diavoleria! Cos’altro dovrà succedere, oggi?!»

Mortificata, Naell si morse un labbro con fare spiacente mentre My-chan, lanciandole uno sguardo ironico, emise un basso ringhio di gola, sedendosi a terra accanto a lei.  

Altro che non fare impazzire Istrea… di quel passo, le sarebbe venuto un collasso isterico. A lei, e a mezzo villaggio.

Guardandosi intorno nella speranza che qualcuno la salvasse da ulteriori scivoloni diplomatici, Naell sorrise grata nel vedere giungere suo zio Aken con andatura tranquilla e rilassata.

I gemelli erano accanto a lui, stretti alle sue forti mani, mentre lui aveva l’aria di uno più che abituato a eventi strani e incomprensibili.

Salutando il quartetto di donne in attesa, e ricevendo in risposta dei brontolii scomposti e irritati, Aken fissò poi curiosamente la nipote e la sua strana compagna prima di sorridere divertito.

Trattenendo accanto a sé i gemelli – interessati a conoscere l’amica a quattro zampe della cugina – domandò con ironia a Naell: «Mi spieghi cosa ci fai con un renpardo stellato al fianco? E soprattutto, da dove salta fuori?»

Più che mai sorpresa, Naell fece tanto d’occhi nel sentire il nome dell’animale e, fissando My-chan per un istante, si rivolse subito dopo allo zio, domandando curiosa: «E’ del principe di Akantar. E’ venuta qui per curiosare prima del loro arrivo. Ma tu come fai a sapere di che razza è?»

Ridacchiando, Aken sorrise ai figli nel passare le mani sui loro capi e scompigliare i capelli di entrambi poi, con tono serafico, le spiegò: «Ho avuto un sacco di tempo libero, mentre ero a palazzo a piangermi addosso, quindi ho studiato su una marea di libri, ivi compresi dei testi che trattavano di fauna e flora esotiche. E’ lì che ho visto il disegno di un renpardo e, quando l’ho visto accanto a te, l’ho riconosciuto subito. Però, pensavo fosse una razza estinta. Mi sorprende che ne esistano ancora.»

Accigliandosi leggermente, Naell passò una mano intorno alla testa di My-chan mormorando: «Me l’ha detto anche lei che sono in poche, ormai.»

Aken allora sollevò un sopracciglio con evidente curiosità e, dopo essersi inginocchiato di fronte al renpardo, sorrise e lo accarezzò sotto il mento, chiedendole: «E’ dunque vera la leggenda che vi vuole sia umani che animali?»

My-chan mugolò di piacere e socchiuse gli occhi mentre Naell, ridacchiando, annuì e disse a bassa voce allo zio: «Io l’ho vista, prima. E’ così che mi ha spiegato chi era. Ma non volevo sconvolgere Istrea, spiegandole ogni cosa… anche se un errore l’ho fatto lo stesso.»

Aken lanciò un’occhiata alla vecchia amica, ritta a pochi passi da loro e con lo sguardo cupo puntato verso il bosco vicino.

Sorridendo complice, commentò sommessamente: «Vedrai che le passerà presto.»

«Sì, quando noi ce ne saremo andati…» sospirò Naell, reclinando il capo.

Aken le sorrise gentilmente, stringendosela al fianco prima di scrutare i figli, che ancora stavano osservando curiosi il renpardo.

«Perché non vai a chiamare Antalion? Credo gli farà piacere vedere i cugini.»

Naell annuì e i gemelli, in coro, esclamarono: «Possiamo andare con lei?»

«Ma certo» assentì Aken, dando un bacio veloce alla nipote prima di vederla correre via assieme a Enyl, Rannyl e il renpardo.

Dopo un ultimo sguardo ai ragazzi, Aken si volse in direzione dell’entrata del villaggio, percependo attorno a sé la presenza delle arciere di Eikhe e delle Guardiane.

Quando il corno aveva suonato, avvertendo tutti dell’arrivo dei loro ospiti, i ranghi si erano serrati e, in quel momento, ben difficilmente si sarebbe potuti entrare a Hyo-den.

Tra figlie sacre e donne-lupo armate di daga, arcieri e arciere assiepati sui tetti e Guardiane forti delle loro lance acuminate, forse solo un granello di polvere avrebbe potuto oltrepassare quelle difese.

Intrecciando le braccia sul possente torace, Aken lanciò un mezzo sorriso all’amica Istrea e chiosò: «Un’altra giornata così, e i capelli ti diverranno tutti bianchi, eh?»

Istrea si limitò a un leggero ringhio, prima di mugugnare: «Re o non re, tuo fratello mi ha proprio consegnato tra le mani una patata bollente. Fare venire qui l’erede del regno! E non solo! Anche suo fratello, e un ospite a sorpresa!»

Wolan volteggiò leggiadro sopra le loro teste prima di andarsi a posare sul suo trespolo, il capo oscuro piegato verso il basso a scrutare la strada e gli intelligenti occhi che non sembravano perdersi alcun particolare.

Istrea lo fissò accigliata, mormorando disgustata: «Sono giorni che mi tiene d’occhio. Ormai è diventato la mia ombra.»

«Ci sono un sacco di persone interessate a che oggi si svolga tutto nel migliore dei modi» asserì Aken, lanciando un’occhiata ironica all’enorme corvo nero.

«Persone?» sibilò Istrea. «Divinità, vorrai dire. Forse tu e la tua consorte ci siete abituati, visti i vostri trascorsi, ma a me tutto questo interessamento divino fa venire la tremarella.»

Aken la fissò apertamente divertito, prima di esclamare incredulo: «La grande Istrea che ha paura di un corvo?»

Scrollando una mano con fare infastidito, lei gli replicò caustica: «Non si tratta dell’animale, ma di chi rappresenta.»

Tornando serio, Aken annuì e sentenziò torvo: «Non piace neppure a me questa situazione, ma ormai ho imparato da tempo che, su certe cose, non posso mettere il becco, perché c’è qualcuno che ne sa più di me.»

«Quanto vorrei avere la tua stessa fiducia» sospirò Istrea, scuotendo mestamente il capo.

«Non so se è fiducia o rassegnazione, ma il risultato è lo stesso» ammise Aken, prima di irrigidirsi leggermente quando, dal largo sentiero del bosco che conduceva a Hyo-den, emersero i primi cavalli… e cavallerizze.

Sgranando gli occhi per la sorpresa, Aken esalò: «Ma che diamine…»

 

 


 
 
 
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N.d.A.: Odiatemi pure, ma lascerò al prossimo capitolo la descrizione di ciò che ha sconvolto tanto Aken. Credo che l’arrivo di My-chan sia sufficiente, come sorpresa, per ora. A presto! :)

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Capitolo 8
*** cap. 8 ***



8.

 

 

 

 

«Per tutti i demoni delle montagne!» esclamò Antalion, balzando indietro di quasi mezzo metro quando, a sorpresa, vide sbucare Naell e i gemelli da dietro l’angolo di una casa…assieme a quello che aveva tutta l’aria di essere un felino gigantesco!

Anche Liana, accanto al suo compagno, sobbalzò spaventata prima di notare l’assoluta tranquillità del trio di giovani.

Pur aggrappata al braccio di Antalion, che li stava fissando con aperta perplessità, riuscì a dire con tono quasi tranquillo: «Ehi, ragazzi! Che ci fate qui con… con… beh, con…»

«My-chan» intervenne con un sorrisino Naell, accarezzando la testa del felino che, strusciandosi contro il suo fianco, emise dei ron-ron così forti da essere più che udibili.

Antalion si passò una mano tra i capelli neri, tagliati di poco sopra le spalle e, vagamente perplesso, chiese alla cugina: «Si può sapere da dove salta fuori quel gattone troppo cresciuto?»

«Anche quanto, è una miciona.»

Nel dirlo, Naell sorrise complice a My-chan.

«E’ l’animale da compagnia del principe di Akantar, ed è venuta in avanscoperta per vedere il villaggio.»

«E tu sai questo perché…» si informò dubbioso Antalion, sempre più accigliato.

Naell ridacchiò con fare divertito, limitandosi a dire: «Meglio che la prendi per come te l’ho venduta, credimi.»

Liana sospirò, scuotendo il capo e, passandosi istintivamente una mano sul ventre ancora piatto, esalò: «Meglio che mi vada a sedere, invece di starmene in giro. Se la giornata è iniziata con questa sorpresina, non oso immaginare cosa succederà dopo.»

Protettivo, Antalion le avvolse la vita con un braccio e, dopo averle baciato la tempia, le sorrise mormorandole dolcemente: «Vai sulla veranda della casa dei miei. E’ sulla via principale, perciò vedrai l’arrivo dei principi in tutta comodità. Io rimarrò qui per tenere sott’occhio il retro delle abitazioni.»

Naell, a quel punto, intervenne e replicò al cugino: «Zio Aken ha detto che dovresti venire anche tu. Sarebbe carino se ci fossi, per l’arrivo dei miei fratelli.»

Mordendosi il labbro inferiore con aria titubante – aveva ricevuto degli ordini perentori da Istrea, e non aveva molta voglia di subire le sue ire – Antalion si guardò intorno prima di incrociare lo sguardo di un suo coetaneo poco distante.

Vedendoli raccolti a parlare, sollevò un sopracciglio con aria interrogativa e chiese: «Ci sono dei guai, Antalion?»

«Non proprio. Dovrei andare a ricevere i miei cugini, a quanto pare. Posso lasciare la mia postazione a te, Kogan?» gli domandò Antalion, non ancora del tutto convinto che fosse la cosa migliore da fare.

«Nessun problema…» poi, ammiccando, indirizzò uno sguardo divertito al felino al fianco di Naell e aggiunse: «…poi, mi spiegherai da dove salta fuori quel micione enorme.»

«Promesso» ridacchiò Antalion, strizzandogli l’occhio prima di prendere per mano la compagna e dirigersi verso la via principale di Hyo-den, assieme ai ragazzi e a My-chan, come l’aveva chiamata Naell.

Osservando la principessa e il modo vagamente protettivo con cui teneva poggiata la mano sulle spalle del felino, Liana storse la bocca in una smorfia ironica e commentò: «Me lo sento nelle ossa. Oggi ne vedremo delle belle.»

***

Alti e possenti destrieri dal pelo scuro come la notte avanzarono lenti lungo la via e, su esili selle senza pomello, cavallerizze armate fino ai denti osservarono le case attorno a loro come fossero barriere difensive e, sorprendentemente, si rilassarono.

Era evidente quanto, fino a quel momento, fossero state tese come corde di violino.

Scorgere finalmente il termine di quel viaggio, certamente lungo e sfiancante – almeno a livello psicologico – era, per loro, un autentico sollievo.

Aken, che ancora le stava fissando a occhi spalancati, non meno di tutti i presenti – donne-lupo comprese – ne studiò le lucide armature bulinate con lo stemma reale di Akantar.

Lunghe spade sottili e ricurve pendevano dai loro cinturoni legati in vita, mentre daghe corte e tozze erano legate dietro la schiena, all’altezza delle reni.

Accanto alle selle, erano sistemate delle faretre colme di dardi da balestra, arma che tenevano saldamente legata a tracolla su una spalla, tramite una fascia di cuoio.

I loro volti dai lineamenti ferini, non mascherati da alcun elmo, erano color dell’ebano e lunghi capelli neri, stretti in pesanti trecce, scintillavano sotto il sole con strani riflessi blu.

Dietro la prima schiera di soldatesse, circa una ventina, giunsero gli uomini di Rajana, che si allargarono a ventaglio per formare due file di soldati.

Mentre il corpo di guardia di Akantar raggiungeva il gruppo di Istrea, disponendosi a loro volta sui lati della strada, i trombettieri fecero levare nell’aria la fanfara che precedeva l’arrivo dei reali.

Aken sogghignò sardonico e commentò, all’indirizzo di Istrea: «Scommetto quel che vuoi che Meriton e Staryn, in questo momento, sono rossi come peperoni maturi.»

«Non so Sua Altezza Meriton, ma il principe Staryn di sicuro» ammiccò Istrea, continuando a osservare con interesse le alte e possenti guerriere di Akantar. «Ammetto che la loro presenza mi ha sorpresa.»

«Non sei l’unica» ammise Aken.

Aveva sentito, nel corso degli anni, di voci riguardo a un corpo di guardia interamente femminile, facente parte dell’esercito del tanto rinomato regno di Akantar.

Non aveva però mai avuto conferma diretta della loro reale esistenza.

I rapporti commerciali con Akantar avevano preso piede solo qualche anno prima della sua fuga da Rajana e, fino a quel momento, lui aveva parlato di affari unicamente con qualche loro rappresentante.

Mai, in nessuna loro discussione, avevano toccato argomenti anche lontanamente attinenti all’esercito che proteggeva i loro confini.

Lo scoprire che ad Akantar le donne potessero entrare nell’esercito, sorprese non poco Aken che, pur abituato a vivere in mezzo a donne guerriere ormai da tempo, trovò la cosa davvero sconcertante.

Nell’osservare i loro corpi tonici e tutt’altro che esili, però, si disse che neppure per un istante avrebbe potuto sottovalutare una di quelle soldatesse, durante un combattimento.

Sembravano maledettamente in gamba.

L’arrivo dei figli e della nipote distolse Aken dalla visione delle possenti guerriere akantaryan e, nel salutare Antalion con un mezzo sorriso, gli sussurrò: «Che ne dici?»

Antalion ammirò per un istante le donne a cavallo prima di annuire fiero e sostenere: «Il principe di Akantar mi sta già simpatico.»

«Lo sospettavo» ridacchiò il padre, aprendosi in un sorriso spontaneo quando, finalmente, la colonna di guardie private dei principi fece finalmente il suo ingresso nel villaggio.

Sotto l’occhio attento degli abitanti di Hyo-den, le loro Altezze il principe Meriton e il principe Staryn entrarono per primi all’interno dell’abbraccio sicuro del villaggio.

Subito dietro di loro, la nera cavalcatura del principe di Akantar avanzò al passo mentre il giovane, con sguardo incuriosito, ammirava ciò che si erigeva attorno a lui.

Studiò le strutture lignee delle case quanto le slanciate guerriere che, dai tetti delle abitazioni, tenevano sotto controllo la situazione nei dintorni del paese montano.

Erano anni che, per voce dei marinai, così come dei mercanti, gli echi delle avventure dell’Eroina del Regno di Enerios si udivano un po’ ogni dove.

Il principe di Akantar ne era giunto a conoscenza per caso e, sapere della discendenza divina di questa fantomatica donna, lo aveva oltremodo incuriosito.

Giunto a Rajana con la delegazione akantaryan, il giovane ne aveva quindi parlato direttamente con re Ruak, scoprendo a sorpresa della loro parentela.

Era stata una sorpresa, per lui, venire a conoscenza dei legami stretti tra questa donna e la corona di Enerios.

 Sempre più interessato a conoscere di lei ogni cosa, il principe Ellessandar aveva chiesto perciò lumi al sovrano di Enerios.

Con tono ben gentile e disponibilità infinita, lui gli aveva parlato di Eikhe, delle figlie sacre e della loro discendenza legata alla loro divinità, il dio-lupo Hevos.

Ellessandar ne era rimasto semplicemente affascinato e, non appena aveva saputo dai principi del loro imminente viaggio per riportare a casa la minore dei tre figli del re, aveva chiesto loro di poterli seguire tra le montagne.

Naturalmente, la sua richiesta aveva mandato su tutte le furie il suo attendente e il Ministro del Commercio, terrorizzati all’idea che lui potesse essere rapito o, peggio, ucciso.

Nessuno di loro aveva mai visto una montagna dal vivo, né avevano idea di come fosse il paesaggio tra quegli impervi coni rocciosi, che potevano intravedere dalle balconate del palazzo di Rajana.

Dei Monti Urlanti sapevano solo quello che era scritto nei libri e, di loro, Ellessandar conosceva solo l’aspetto prettamente geologico, ma nulla più.

L’idea di poterli vedere, e toccare, gli era parsa così buona che, né le proteste dell’amico e confidente, né tanto meno quelle del ministro, l’avevano fatto desistere dai suoi intenti.

Aveva perciò pregato Ruak di poter seguire i suoi figli e, dopo aver spiegato la sua decisione alle sue guardie del corpo, aveva preparato armi e bagagli e si era unito alla colonna di soldati diretti al nord.

Lo scorgere paesaggi così differenti rispetto ai deserti sterminati che circondavano la capitale del suo regno, Yskandar, era stato per Ellessandar più che sorprendente.

Aveva ammirato i territori di Enerios amandoli al primo sguardo e, quando infine erano giunti alle pendici dei Monti Urlanti, la sua sorpresa era stata tale da lasciarlo senza parole.

Aveva immaginato fin dal primo giorno quanto potessero essere imponenti ma mai, nella sua vita, avrebbe mai pensato di poter ritrovarsi dinanzi a simili meraviglie della natura.

I loro contorni frastagliati, ricoperti di bianca neve soffice e spumosa, apparivano minacciosi al pari dei loro scoscesi declivi, eppure Ellessandar li aveva trovati splendidi.

Abituato a una terra per lo più piatta e senza grandi variazioni di tono – solo le coste erano verdeggianti e floride, ma l’interno era ricoperto di sabbia e dune – il principe non aveva potuto far altro che dichiararsi invidioso di simili bellezze.

Il principe Meriton, con un sorriso, lo aveva ringraziato per il complimento.

Sapere che lui ritenesse belle le sue terre era, per l’erede al trono di Rajana, un omaggio più importante di mille riconoscimenti ufficiali.

Nel proseguire lungo un largo sentiero boschivo, il giovane principe Staryn lo aveva informato dei motivi che avevano portato la loro sorellina minore a spingersi così lontano da casa.

Quando aveva saputo l’intera storia, ne aveva sorriso con gentilezza.

Una simile fanciulla sarebbe diventata una principessa dal carattere ben più che mordace, una donna da tenere davvero in debito conto.

My-chan, a quel punto, aveva desiderato precederli per dare un’occhiata ai dintorni ed Ellessandar, non trovandovi nulla di strano, l’aveva lasciata andare.

Aveva dubitato fortemente che il suo renpardo potesse correre dei rischi.

La sua presenza, in effetti, aveva causato qualche problema ai cavalli dell’esercito di Enerios, disturbati da un felino di simili dimensioni tra le loro fila.

Dopo i primi giorni di iniziale tensione, tutto si era però risolto per il meglio, a dimostrazione del perfetto addestramento dei destrieri di Rajana.

Ora che finalmente si trovava nel luogo di cui tanto aveva sentito parlare, Ellessandar non ne rimase affatto deluso.

Muovendosi lentamente dietro le cavalcature dei due principi, il giovane osservò ammirato le costruzioni di tronchi d’albero, i frangi valanghe sulle alture – di cui Staryn gli aveva accennato – e, infine, lasciò che il suo sguardo vagasse sugli abitanti del villaggio.

Erano in prevalenza donne, pur se poté scorgere alcuni uomini e diversi bambini di svariate età e, per la maggior parte, le loro chiome variavano dal rosso più acceso al biondo platino.

Tutte coloro che possedevano quei capelli meravigliosi e dalle tinte chiare, spiccavano soprattutto per i loro occhi d’ambra.

Figlie sacre, indubbiamente.

Distogliendo lo sguardo non appena scorse i due principi bloccare le loro cavalcature, Ellessandar li imitò prima di discendere dal suo destriero con un agile movimento di gambe.

Gli stretti abiti di cuoio nero mugolarono leggermente a quel movimento e, quando gli stivali toccarono terra, sul selciato grigio e levigato, i suoi occhi scuri si posarono istintivamente su un volto a lui familiare.

Il colore degli occhi era diverso – verdi quelli dell’uomo che stava osservando, azzurri quelli del re – ma i tratti volitivi erano gli stessi, così come la postura regale.

Quell’uomo, dalle ampie spalle e gli abiti di pelle di daino, non poteva che essere il fratello maggiore di Re Ruak, l’uomo che aveva rinunciato alla corona per amore di una figlia sacra.

Affiancandosi ai due principi, che stavano rendendo omaggio a una donna dai biondi capelli striati di grigio, Ellessandar si affrettò a fare lo stesso e, omaggiatala con un elegante inchino, esordì dicendo: «Chiedo scusa per gli enormi disagi che, sicuramente, abbiamo causato per via del nostro arrivo, ma non posso che essere lieto di trovarmi in un luogo così bello, e tra persone così interessanti.»

La donna sorrise bonaria, scuotendo il capo lentamente e replicando: «L’unica nostra preoccupazione era per la vostra incolumità ma, ora che siete qui, il mio cuore è più leggero, principe. Io sono Istrea, Signora del Villaggio di Hyo-den, e vi do il benvenuto a nome di tutti.»

«E’ un vero onore fare la vostra conoscenza. Il mio nome è Ellessandar Trygg Ennyson di Akantar.»

Nel dirlo, piegò la bocca in un leggero sogghigno e ammiccò all’indirizzo di Istrea, che sorrise divertita.

«E’ di certo un nome che incute timore» asserì Istrea, diplomaticamente.

«E riempie la bocca» ironizzò il principe, facendola ridacchiare. «Mio padre è stato fin troppo prolifico nel pensare al mio nome, e io ne sconto il fio. Sarò più che felice se vorrete chiamarmi solo Ellessandar.»

«Non sia mai che noi vi rendiamo infelice» sorrise complice Istrea, prima di indicargli l’uomo al suo fianco per presentarglielo. «Credo abbiate notato una certa somiglianza con il re. Lui è Aken di Rajana, ed è uno dei nostri figli del branco.»

Allungando istintivamente una mano verso di lui, Ellessandar sorrise lieto e asserì con convinzione: «Sono più che felice di fare la vostra conoscenza, Aken. So che avete rinunciato al vostro ruolo come erede designato ma, se preferite che io…»

Interrompendolo con un gesto della mano libera, Aken ammiccò al suo indirizzo replicando: «Nessun titolo, Altezza Reale. Io sono solo Aken, ed è un onore potervi accogliere a Hyo-den.»

Ellessandar allora allargò il proprio sorriso prima di scorgere un giovane in tutto simile ad Aken, al suo fianco.

Salutatolo con un cenno del capo, si azzardò a chiedere: «Posso solo immaginare che voi siate suo figlio, vero?»

«Antalion, Vostra Altezza.»

Con un elegante cenno del capo, Antalion si scostò subito dopo per far passare dinanzi a lui i gemelli e aggiungere: «E questi sono i miei fratelli minori. Enyl e Rannyl.»

«Due bellissimi bambini» chiosò Ellessandar, sorridendo loro.

Enyl, come suo solito, non si lasciò sfuggire l’occasione per ficcare il naso e, con un sorriso smagliante, gli chiese: «Altezza… come mai la tua pelle è così scura rispetto alla mia?»

Aken scoppiò immediatamente a ridere, di fronte alla spudorata curiosità della figlia mentre Istrea, impallidendo leggermente, fulminava con lo sguardo la piccola.

Per nulla preoccupata dalla sua reazione, continuò a sorridere al principe che, imperturbabile, le si inginocchiò accanto prima di dirle: «Io provengo da un luogo molto più a sud di qui, dove le terre sono baciate da un sole molto caldo e molto forte. La pelle, allora, per proteggersi, è diventata più scura tanti e tanti secoli fa e così, ora, tutto il mio popolo ha questa colorazione.»

«E’ per questo che quelle belle signore sono scure come te, allora» si informò Enyl, indicando con un dito le guerriere appostate accanto ai loro destrieri.

Sempre sorridendo, Ellessandar annuì.

«Sì, quelle belle signore sono come me, e mi proteggono dai cattivi.»

«Come la mia mamma» sentenziò Enyl, guardando verso l’alto prima di indicare al principe una donna in particolare. «E’ lei la mia mamma.»

Ellessandar allora tornò a rialzarsi e, ammirato, scrutò la slanciata figlia sacra che si trovava sul tetto di una delle case a loro più vicine.

Al pari di molte altre figlie sacre, anche lei aveva capelli ramati, che portava stretti in una treccia.

Abbigliata con pelli di daino, era armata di un arco lungo e appariva intrinsecamente pericolosa, pur non avendone l’aspetto.

Intervenendo a mezza voce, Aken disse orgoglioso: «Mia moglie Eikhe.»

«L’Eroina del Regno» asserì Ellessandar. «Ho così tanto sentito parlare di lei, da averla immaginata alta due metri e con braccia forti come quelle di un uomo… ma avrei dovuto capire di essere in errore fin da subito.»

Con un risolino, Aken chiamò la moglie perché li raggiungesse ed Eikhe, con un paio di balzi agili e leggeri, toccò terra quasi senza produrre alcun rumore.

Ancora armata del suo arco, li raggiunse prima di esibirsi in un breve inchino e presentarsi al principe.

«Siamo lieti di averti qui tra noi, principe. Io sono Eikhe.»

«Ciò che hai appena fatto… quel balzo… ha a che fare con la tua origine divina, vero?» chiese ammagliato Ellessandar, fissandola con lo stesso sguardo che avrebbe avuto un bambino di fronte a un giocattolo nuovo.

Subito sorpresa, Eikhe scoppiò in una risatina allegra prima di guardare sorniona il marito e celiare: «Tuo fratello ha la lingua lunga, eh?»

«A quanto pare…» sghignazzò Aken, ammiccando alla moglie.

«Spero di non averti arrecato offesa, chiedendo» si affrettò a precisare Ellessandar.

Meriton intervenne con un sorriso e, avvicinandosi agli zii, abbracciò entrambi.

«Devi sapere, zia, che il principe è giunto a palazzo conoscendo già la tua nomea. Papà, diciamo, non ha fatto altro che infiocchettarla un po’.»

A quel punto, Eikhe arrossì imbarazzata e, con un risolino, mormorò: «Dèi, non è possibile che, dopo tanti anni, quella storia sia ancora in giro!»

«Ha varcato i confini del mare, invece…» le replicò bonariamente Ellessandar. «… ed è giunta fino alle porte del nostro palazzo. E, come puoi vedere dal mio esercito, la nomea di una donna che salva un intero regno, non può che averci fatto piacere.»

Eikhe lanciò uno sguardo alle possenti guerriere, che le sorrisero di rimando, prima di annuire al principe Ellessandar.

«Diciamo che quella volta abbiamo avuto fortuna, se così si può dire.»

«Sarei onorato se volessi raccontarmi ogni cosa» le propose il principe, prima di udire un miagolio profondo tra i presenti.

Volgendosi immediatamente in direzione di quel suono a lui così caro e familiare, il principe oltrepassò con grazia il muro umano formato da Aken e Antalion e, inginocchiandosi a terra, abbracciò con calore il suo renpardo, esclamando: «My-chan! Eccoti qui! Ormai pensavo avessi perso la strada.»

«E’ arrivata una mezz’oretta fa» intervenne con tono pacato Naell che, fino a quel momento, aveva studiato l’alta figura del principe dal riparo offertole dai corpi imponenti di zio e cugino.

Nel momento stesso in cui lo aveva visto in sella al suo destriero, la principessa si era sorpresa non poco nello scoprire che il principe di Akantar era, sì, giovane, ma anche prestante non meno dei fratelli e alto come una montagna.

Le sue spalle, larghe quasi quanto quelle dello zio, erano fasciate da un drappeggio di pelle chiara all’apparenza così morbida da sembrare seta, al pari dei calzoni da viaggio e degli stivali neri dalle borchie argentate.

Il viso, dello stesso colore del cioccolato al latte, aveva zigomi alti e una mascella volitiva e gli occhi, di un profondo color pece, erano dotati di un’innata intelligenza, più che evidente a ogni suo sguardo.

I capelli l’avevano incuriosita non poco.

Erano lunghi, stretti in una coda di cavallo dietro la nuca, e bloccati da un fermaglio di corno traslucido.

Non portava orpelli di nessun genere, né anelli con stemmi nobiliari, o altro.

Bastava il suo portamento, oltre alla sua parlata elegante, a far comprendere a tutti chi fosse.

La sua voce, dal timbro musicale, era bassa e roca e storpiava in modo davvero bizzarro le esse e le erre, nel parlare la loro lingua, per lo più gutturale.

Quella stessa voce le accarezzò le orecchie, nel chiederle: «Ti sei presa cura di lei, figlia del branco?»

Naell non lo corresse e lo guardò rialzarsi in tutta la sua straordinaria altezza.

Annuendo nel levare il capo per poterlo guardare in viso, sorrise e asserì: «Ci ha sorpresi tutti, quando è piombata nel cortile del capanno dei lupi.»

«Posso immaginarlo» annuì Ellessandar.

Staryn si avvicinò a loro con un sorrisone e, dopo aver abbracciato la sorella, la presentò al principe. «Lei è nostra sorella Naell. La scavezzacollo di casa.»

La ragazza sogghignò al commento del fratello, dandogli un leggero colpo di gomito nello stomaco, prima di profondersi in una riverenza piuttosto bizzarra.

Con un risolino, mormorò: «Mi scuso se mi presento con abiti da lavoro, Altezza.»

Ellessandar, subito sorpreso da quella scoperta, scosse una mano con fare tranquillo, ribattendo con sagacia: «Mi sarei stupito maggiormente se ti avessi vista con crinoline e abito di seta.»

Naell rise sommessamente, chiosando: «Dubito sarei riuscita a lavorare un solo giorno, con tutti gli orpelli che sono solita portare a corte.»

«Chissà perché, ma ne sono più che convinto anch’io» assentì Ellessandar prima di scoppiare a ridere con i presenti.

***

Uno spicchio di luna illuminava la spianata dove si trovava il villaggio di Hyo-den.

Dopo l’iniziale tensione dovuta all’arrivo del contingente di soldati, guidati dall’immancabile Meyor, tutto si era svolto nel modo migliore.

Libagioni erano state offerte agli ospiti, Istrea aveva finito con il monopolizzare il capitano delle guardie private del principe Ellessandar e My-chan, dopo aver fatto le feste al suo padrone, era tornata al fianco di Naell.

In quel momento, la principessa le stava facendo un grattino dietro le orecchie.

Il ron-ron che emetteva faceva vibrare le gambe della ragazza, su cui era poggiata la  sua testa.

Ylar invece, dopo l’iniziale paura, si era avvicinato trotterellando all’enorme felino e, ora, era praticamente sdraiato sulla sua enorme schiena, intento a mordicchiarlo sul collo, come alla ricerca di qualche parassita da eliminare.

Sembravano andare d’amore e d’accordo.

Dopo i convenevoli di rito, Naell aveva spiegato ai fratelli del dono che Hevos avrebbe voluto fare alla famiglia reale, e i motivi che l’avevano spinta a rifiutare un tale regalo.

Sia Meriton che Staryn si erano dichiarati d’accordo con la sorella, e avevano plaudito la sua scelta e la ponderazione dimostrata in un simile frangente.

Pur avendo desiderato avere un lupo come compagno, dopo aver visto quelli del cugino e della zia, entrambi i fratelli comprendevano benissimo quanto, la vita di palazzo, fosse inadatta a simili animali.

Luak e Symill avevano accolto con favore la decisione dei principi, pur se i loro cuccioli si erano mostrati davvero interessati di fare la loro conoscenza.

Avevano sgambettato felici verso di loro, allontanandosi dai genitori sulle loro zampette robuste e pelose, e si erano fatti prendere in braccio e coccolare per tutto il giorno.

Non che, in quel momento, le cose fossero diverse.

Meriton e Staryn, seduti su un paio di sedie sotto la veranda di casa degli zii, tenevano Rym e Coyn sulle cosce, impegnati a fare loro il solletico sui loro ventri bianchi e morbidi.

I lupetti non sembravano avere nessunissima intenzione di cambiare quello stato di cose, e le cose andavano avanti così da ore.

Symill, dal canto suo, se ne stava ai piedi delle scale - occupate dalla famiglia di Aken e da Ellessandar - osservando i figli con aria esasperata mentre Luak, accanto al padrone, appariva chiaramente disgustato.

Sembravano imbarazzati dal comportamento dei figli.

Dopo averli guardati per un bel po’ e aver ridacchiato sotto i baffi, Liana accarezzò divertita il suo lupo e mormorò, rivolta a nessuno in particolare: «Mi sa tanto che tra un po’ esploderanno. Sono al limite.»

«Comportamento poco dignitoso?» domandò Ellessandar, grattando sotto il mento Ylar.

Il lupetto tirò fuori la lingua, soddisfatto, e piegò un poco indietro la testolina perché il principe potesse lavorare meglio con le dita.

La donna annuì, scoppiando a ridere, ed esclamò: «Oltremodo! I lupi vanno molto fieri della loro indipendenza e un comportamento simile, anche in un cucciolo, è considerato ben poco… edificante

Eikhe sorrise a Liana nell’annuire e, rivolta al principe, spiegò: «Per un lupo, è importante mantenere un certo distacco. Ne va del suo orgoglio. Ovviamente, qualche carezza e qualche abbraccio sono sempre graditi, e anche il gioco, ma farsi fare coccolare tutto il santo giorno…»

Sogghignando all’indirizzo dei due principi, che se la stavano godendo un mondo a giocherellare con i cuccioli, Ellessandar chiosò: «E’ come essere protagonisti di un incidente diplomatico, o qualcosa di simile.»

«Più o meno» assentì Aken, prima di aggiungere sornione: «O forse, loro erano destinati fin dall’inizio a essere così.»

Naell sollevò lesta il capo per fissare il volto serioso dello zio e chiedere, con voce sottile e tesa: «Che intendi dire, zio?»

«Pensaci bene, piccola. Hevos avrebbe potuto scegliere uno qualsiasi dei lupi appena nati, eppure ha scelto loro. E guardali come si comportano» le espose Aken, indirizzando un sorriso ai nipoti. «Ti sembra che gli altri cuccioli abbiano fatto lo stesso? No. Solo loro

«Quindi, la mia decisione è stata inutile?» esalò Naell, sentendosi stranamente presa in giro.

Aken ed Eikhe la fissarono con comprensione, sapendo bene come si stesse sentendo in quel momento e la zia, poggiandole una mano sulla spalla, cercò di confortarla come meglio poté.

«Non devi sentirti offesa. Era importante che tu soppesassi la sua offerta perché, prima di tutto, lui sembrava aver bisogno di sapere come la pensassi. Non voglio conoscere i motivi che lo hanno spinto a una decisione simile, perché avrà avuto le sue ragioni, ma evidentemente era necessario che tu compissi una scelta per dare una risposta ai suoi quesiti.»

«Quindi, Ylar e gli altri verranno comunque con noi?» esalò Naell, volgendosi a fissare il lupetto con aria speranzosa e dubbiosa insieme.

«A quanto pare, sì. Anche perché non credo che quei due si staccheranno volentieri da Meriton e Staryn» ridacchiò Antalion, ammiccando alla cuginetta e carezzando distrattamente una coscia della compagna.

Da quando aveva saputo della sua prossima paternità, era diventato ancor più solerte, nei confronti di Liana.

Ellessandar intervenne per tentare a sua volta di chetare i dubbi della principessa, asserendo: «My-chan è con me da quando avevo otto anni e, pur se ha vissuto per così tanto tempo in un palazzo, non penserei mai che non è in grado di cavarsela fuori dalle quattro mura che l’hanno vista crescere. Sono più che sicuro che, nelle vostre mani, i lupi non perderanno la loro affinità con i boschi. Abituandosi fin da piccoli al palazzo, inoltre, subiranno meno shock, non ti pare, Naell?»

Mordendosi pensierosa il labbro inferiore, la ragazza alla fine annuì al principe.

«Sì, penso tu abbia ragione. Inoltre, mi farò personale carico di portarli nel bosco perché non perdano confidenza con il loro mondo.»

«Non te ne andrai da sola per il bosco, una volta tornata a palazzo» precisò Meriton, accigliandosi leggermente. «Anche quanto, ti accompagneremo noi. O Meyor.»

Sentendosi interpellare, il comandante sorrise alla ragazza, ammiccando con aria divertita e lei, rispondendo al suo sorriso, annuì al suo indirizzo prima di tornare a guardare con sufficienza il fratello.

Sapeva che prima o poi un simile problema si sarebbe presentato, per cui era preparata per rispondergli a tono.

Sollevando serafica un sopracciglio, Naell chiese al fratello: «E di grazia, ti sapresti anche orientare? Perché, se non erro, non è una delle tue specialità.»

Meriton arrossì fino alla radice dei capelli nel sentire la sorella riprenderlo a quel modo, e dinanzi ai suoi parenti e amici.

Gonfiandosi come un pavone, si levò in piedi tenendo in braccio Rym per rimbeccarla a tono.

«Sono tuo fratello maggiore, perciò non ti permetterò di girare indisturbata per la foresta, con il rischio che qualcuno possa farti del male. Sarai degnamente scortata.»

La ragazza allora sgranò gli occhi, falsamente spaventata, e si portò le mani dinanzi alla bocca spalancata, esalando: «Oh, dèi, Meriton! Che paura che mi fai!»

Staryn scoppiò a ridere di gusto, divertito dall’intemperanza della sorellina mentre Meriton, sempre più contrariato, la fissava come se avesse voluto prenderla a scappellotti.

Era più che evidente che si sentiva colpito nel suo onore di uomo, oltre che di erede del regno.

Più che mai decisa ad avere la meglio in quella discussione, Naell si levò in piedi a sua volta, fissò il fratello maggiore con autentico affetto e aggiunse più dolcemente: «Meriton, ti sono grata per le tue attenzioni, davvero, ma non sono più la bambina che conoscevi. Di certo, non mi addentrerò per i boschi da sola ma credimi, sono in grado di percorrere le vie delle foreste e, di certo, anche senza di te.»

«La principessa ha ragione» intervenne a sorpresa Kalia, comparendo sul fondo delle scale e osservando la famiglia riunita con un timido sorriso. «Scusate se mi intrometto, ma avremmo bisogno di Naell per un po’. Noi ragazze vorremmo darle un regalo di arrivederci.»

Perdendo di colpo il suo cipiglio battagliero, Meriton fissò la fulva figlia sacra con un certo interesse e, con una maggiore cortesia rispetto a quella usata con la sorella, le chiese: «Cosa intendevi dire, prima?»

«Che Naell è in grado di orientarsi e di riconoscere ciò che le può essere dannoso, all’interno di un bosco. Certo, non possiede ancora una padronanza ottimale della daga, nel caso debba difendersi da sola ma…è brava, per essere una principiante. E, come arciera, ha dimostrato un’affinità davvero unica con quell’arma.»

Nel dirlo, strizzò l’occhio all’amica, che ridacchiò di fronte alla costernazione dei fratelli.

Ovvio che fossero sorpresi. Nelle sue lettere alla famiglia, non aveva menzionato un po’ di cose.

Ellessandar, invece, non parve né sorpreso né turbato da quelle rivelazioni e, anzi, annuì compiaciuto prima di spiegare loro il perché il della sua reazione.

«Non ci trovo nulla di strano, lo ammetto. Mia madre è la cavallerizza migliore del regno, e io stesso non mi metterei mai contro di lei, in una gara di tiro con l’arco. Ha un occhio portentoso.»

Naell si allargò in un sorrisone tutto denti e, ghignando all’indirizzo dei fratelli – che apparivano ancora confusi – scese le scale per raggiungere Kalia prima di volgere lo sguardo in direzione del principe Ellessandar.

«Pensi che tua madre gradirebbe una mia visita?»

«Naell!» esclamò Meriton, basito di fronte alla faccia tosta della sorella.

«Quando le racconterò come vivono le donne-lupo, vorrà saperne ogni cosa e, di sicuro, tu sei più informata di me sul loro stile di vita» le sorrise Ellessandar, senza minimamente badare alle reazioni del principe di Rajana.

I suoi occhi scuri erano tutti per la giovane e intemperante principessa.

«Bene. Mi sa che, per il mio prossimo compleanno, chiederò che sia questo, il mio regalo» ridacchiò Naell, guardando poi My-chan per chiederle: «Vuoi venire anche tu?»

Il felino annuì e si levò sulle zampe stando ben attenta a non far cadere Ylar e, dopo aver lanciato uno sguardo al padrone, trotterellò lungo la via assieme alle due ragazze, scomparendo oltre un muro di corpi festanti e rilassati.

«Mi scuso per il comportamento di mia sorella. Evidentemente, stare all’aperto per troppo tempo le ha fatto dimenticare l’etichetta da tenersi con un nobile in visita» brontolò Meriton, scuotendo il capo con aria contrita prima di fissare accigliato gli zii.

Aken, per tutta risposta, scrollò le spalle e replicò al cipiglio del nipote: «Naell non è stata scortese, solo sincera, e non vedo come questo possa avere in qualche modo potuto offendere il principe Ellessandar.»

Annuendo all’indirizzo di Aken, il principe di Akantar ci tenne a difendere Naell dalle accuse del fratello, asserendo con gentilezza: «Non devi preoccuparti, Meriton, davvero. Amo la schiettezza, nelle persone, perché già troppi nobili titolati cercano i miei favori con vane parole. Trovare in tua sorella questa totale mancanza di affettazione, è stata una piacevole novità.»

«Sono lieto che la cosa non ti abbia disturbato, Ellessandar, ma non so quanto questo suo modo di comportarsi potrà giovarle, a corte» sospirò Meriton. «Cercate di non fraintendermi. Voglio solo il meglio per lei, ma dubito che essere così schietta con il prossimo possa essere la carta vincente, a palazzo.»

«Naell non è una sciocca e sa bene che, una volta tornata a Rajana, le cose torneranno a essere come prima…» intervenne Aken, benevolo. «…ma ora, sa di avere la forza di poter affrontare praticamente qualsiasi ostacolo, oltre ad aver imparato qualcosa in più sul suo popolo.»

«Non vorrei soffrisse quanto hai sofferto tu, zio Aken» precisò Meriton, sorridendogli con affetto.

«Naell non ha il cuore spezzato in due dal dolore per la perdita di una persona amata, Meriton, anche se capisco le tue paure. Ma credo proprio che tua sorella sia maturata molto, in questi mesi, e abbia raggiunto un buon compromesso con se stessa e i suoi desideri» gli spiegò Aken, con un mezzo sorriso. «Inoltre, potrà portare con sé l’adorato Ylar, per cui non abbandonerà mai del tutto Hyo-den. Ne avrà un pezzetto, con sé.»

«Vero» ammise Meriton, stringendo un po’ più a sé Rym, che gli leccò il mento con fare divertito.

«L’importante è che si limiti a Ylar, e non decida di portare a palazzo anche My-chan, altrimenti a qualcuno potrebbe venire davvero un infarto» sghignazzò Staryn, ammiccando con il principe Ellessandar.

Divertito, Ellessandar lanciò uno sguardo in direzione del gruppetto di figlie sacre dove si trovava anche il suo renpardo. Sembravano divertirsi un mondo.

«Sono un po’ geloso, in effetti. My-chan non aveva mai fatto amicizia con nessuno, se non con me» sogghignò il principe akantaryan , mordicchiando pensieroso un dolcetto tra quelli che teneva sul suo piatto, in bilico su un ginocchio.

«Naell è buona, bella e brava. E’ facile fare amicizia con lei» buttò lì Enyl, sedendosi vicino al principe prima di offrirgli un dolcetto a forma di ciambella. «Ne vuoi uno?»

Staryn, a quella vista,  afferrò lesto la tortina - memore di ciò che era successo a lui la volta precedente - e, con un sorriso di scuse al sorpreso Ellessandar, sogghignò.

«E’ per evitare disastri. Può anche sembrare un angioletto, ma sa essere tremenda, quando vuole fare uno scherzo.»

Enyl guardò imperturbabile il cugino e replicò: «Guarda che è buono.»

Staryn, per contro, la fissò con aria poco convinta mentre Rannyl, seduto accanto alla sorella, se ne stava a testa bassa a scrutare interessato il suo piatto di dolci.

Aken ed Eikhe guardarono divertiti i figli minori e il nipote nella loro silenziosa battaglia di sguardi mentre Antalion, Meyor e Liana, tentando di non ridere, studiarono incuriositi l’apparente disinteresse di Rannyl per tutta la faccenda.

Qualcosa non quadrava.

Ellessandar, da par suo, si mostrò davvero incuriosito e, rivolgendosi alla bambina, le chiese: «Cos’è successo, a tuo cugino, per portarlo a credere che tu voglia farmi uno scherzo?»

«Mi ha dato un tortino speziato… molto speziato» intervenne Staryn, continuando a osservare una granitica Enyl che, con i suoi occhioni d’ambra, lo stava apertamente sfidando a mangiare la ciambella.

Ellessandar rise divertito, di fronte a quella risposta mentre Enyl, ancora con lo sguardo fisso sul cugino, gli domandava: «Vuoi che gli dia un morso io, per convincerti? Lo faccio, sai? Dai, dammela.»

«So che me ne pentirò» brontolò Staryn, assaggiando la ciambella e, al tempo stesso, strizzando gli occhi già presagendo il peggio.

Un attimo dopo, Staryn si portò le mani alla gola e, raggiunto in fretta il bordo della veranda, sputò tutto prima di ingiuriare a male parole Enyl che, scoppiando a ridere assieme agli altri, chiosò: «Ci sei cascato ancora!»

Asciugandosi una lacrima di ilarità mentre Staryn si affrettava a prendere un bicchiere d’acqua dalle mani dello zio, Ellessandar guardò la bambina con ammirazione, domandandole: «Sapevi che sarebbe intervenuto, vero?»

Fu Rannyl a rispondere per lei.

«Staryn era stato sua vittima, la volta scorsa, quindi era quasi certo che, vedendola offrire un dolcetto anche a te, sarebbe intervenuto per salvarti.»

«Mio fratello è tanto bravo a congegnare scherzi! E io a metterli in pratica!» ridacchiò Enyl, sorridendo melliflua.

Ellessandar rise ancora più forte, affascinato dai modi di fare dei due gemelli.

Presa in braccio la figlia, Eikhe le diede un bacio sulla guancia prima di suggerirle: «Coraggio, scusati con Staryn e, per stasera, basta scherzi.»

«D’accordo» promise Enyl, scostandosi dalla madre con un lampo negli occhi.

Rannyl con sagacia, chiosò: «Brutta scelta di parole.»

«Dici, caro?» sghignazzò sua madre, ammiccando al figlio prima di scompigliargli i capelli.

«Sì» annuì lui, tutto sorridente.

Enyl, nel frattempo, raggiunse Staryn sulla veranda e, dopo averlo fissato con occhi liquidi e colmi di dispiacere, lo abbracciò, annullando di fatto la rabbia del cugino.

Ora del tutto pacificato, il principe si piegò in avanti, lasciando che la cuginetta gli desse un bacio sulla guancia.

«E’ un’ammaliatrice» sogghignò Ellessandar.

«Nel bene e nel male» ammise Aken, con un risolino.

«E tu, una mente di prim’ordine» aggiunse Ellessandar, allungando una mano in direzione di Rannyl, che la strinse imbarazzato e ridacchiando non poco.

Rivolgendosi poi a Eikhe, il principe le chiese: «Quando sarà più grande, potrei decidere di rubartelo. Chissà cosa potrebbe inventarsi, con un’intera corte da utilizzare per i suoi scopi?»

«Ran potrà fare quel che vorrà, una volta adulto» ridacchiò Eikhe.  «Per ora, però, vorrei che la smettesse di congegnare scherzi e trucchi.»

«Vedrò» si limitò a dire Rannyl, facendo posto a Enyl quando la vide tornare.

I due gemelli si scambiarono un’occhiata d’intesa e, a Ellessandar, sorse il dubbio che, prima della loro partenza, anche lui avrebbe subito gli effetti dell’intelligenza sottile di quei due monelli.

La sola idea lo divertì un mondo.

 
 
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N.d.A.: che ve ne pare dei nuovi arrivati? ;)
Ormai siamo al capolinea e forse, un domani, penserò a scrivere qualcosa del futuro di Ellessandar e gli altri ma, per il momento, direi che mi fermerò a questa breve storia sui nostri eroi.
A presto, per il gran finale!
 

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Capitolo 9
*** Epilogo ***


 

9.

 

 

 

 

Il passo cadenzato del cavallo le faceva sempre lo stesso effetto. Cadeva ogni volta in un quieto dormiveglia.

Il crepuscolo danzava con i suoi colori rossastri e violacei nel cielo estivo, tingendo le nevi dei Monti Urlanti e mutando i bianchi valloni in enormi laghi di sangue.

I seracchi solitamente minacciosi, invece, rassomigliavano a una distesa di cespugli di rose in boccio.

L’aria frizzante della sera portava con sé l’odore dei muschi del bosco, il profumo resinoso dei pini e l’aroma della legna bruciata nei camini delle casupole che, come macchie d’inchiostro, coloravano il panorama che si estendeva dinanzi a loro.

Ormai erano nei pressi di Marhna, la bella cittadina montana dove risiedeva il padre di Eikhe, e dove Borgomastro si trovava il vecchio amico dello zio, Kannor.

Avevano abbandonato il villaggio di Hyo-Den due giorni addietro, lasciando alle loro spalle doni da parte della corona, nuove amiche e speranze inconfessate.

Con loro, stavano portando a Rajana esperienze nuove e tre nuovi compagni.

Di certo, il re e la regina avrebbero trovato curiosa la presenza di quei tre splendidi esemplari di lupo, ma Ruak e Renke non potevano certo dirsi due persone dalle idee ristrette.

Avrebbero fatto spallucce, con tutta probabilità, e non avrebbero fatto alcun caso a quel piccolo cambiamento nella loro vita familiare.

La corte, invece, avrebbe sicuramente storto il naso ma, da quel poco che Naell aveva potuto capire in quei due primi giorni di viaggio, ai fratelli non sarebbe importato nulla.

Amavano già troppo Rym e Coyn, per preoccuparsi delle chiacchiere di palazzo.

Quanto a lei, avrebbe difeso Ylar con le unghie e con i denti, questo era poco ma sicuro.

Portandosi il lupetto all’altezza del viso, lo baciò sul naso umido prima di volgere lo sguardo alle sue spalle, in direzione dei monti.

Per mesi, avevano vegliato su di lei e, con un leggero sospiro, si chiese quanto tempo sarebbe passato ancora, per lei, prima di poterli rivedere.

Lasciare le sue amiche era stato più difficile di quanto non avesse pensato in un primo momento e, quando aveva abbracciato Kalia, Naell aveva temuto di crollare a piangere come una bambina di sei anni.

Si era stretta a lei, inspirando il suo profumo di fiori di campo e miele e le aveva detto con sincerità: «Sei la migliore amica che potessi sperare di trovare.»

Kalia aveva sorriso di fronte a quella confessione e l’aveva baciata candidamente sulla fronte, replicando: «E io non avrei mai pensato di trovare, in una principessa, un’amica così cara. Mi mancherai.»

Si erano lasciate con la promessa di scriversi e quando, infine,  Naell aveva dovuto salutare gli zii, li aveva pregati di portare anche Kalia con loro, l’anno venturo, quando avrebbero portato i gemelli a Rajana per la prima volta.

Aken ed Eikhe gliel’avevano promesso e lei era partita più serena.

Una stella cadente fendette il cielo sopra le montagne e Naell, con un mezzo sorriso, ne ammirò l’arco lucente prima di vederlo svanire oltre la linea seghettata dei monti innevati.

«Nel nostro paese, le stelle fiammeggianti vogliono dire “cambiamento in corso”. Qui, hanno significato?» le chiese My-chan, interrompendo il suo divagare pensieroso.

Quel pomeriggio, l’enorme felino del principe Ellessandar aveva ripreso forma umana per chiacchierare un poco con la principessa e Naell.

Deliziata dall’interesse della donna nei suoi confronti, la principessa si era ben prestata a rispondere alle sue mille e più domande.

My-Chan aveva un punto di vista davvero singolare, molto diverso da quello di qualsiasi donna Naell avesse mai conosciuto.

Forse, dipendeva semplicemente dal fatto che, a tutti gli effetti, My-chan era solo in parte umana.

Sorridendo alla sua strana compagna di viaggio, Naell strinse al petto un sonnolento Ylar e le disse: «So che, tra le montagne, sono viste come le lacrime di Iralva, la nostra dea della Creazione, ma non so bene il perché di questa interpretazione. Noi, gente di pianura, crediamo che siano granelli di luna che cadono dal cielo. Niente di granché mistico.»

My-chan sorrise e, indicando con un cenno del capo il suo principe, che procedeva ad andatura tranquilla a pochi metri da loro, le confidò: «Lui dice che sono sassi che bruciano. Una volta, me ne ha fatto vedere uno con il suo…come si chiama…grande occhio?»

Vagamente confusa, Naell lanciò un’occhiata curiosa in direzione di Ellessandar che, neanche avesse avuto gli occhi sulla nuca, si volse nella sua direzione con aria interrogativa e le chiese: «E’ successo qualcosa, Naell?»

Il principe, contrariamente a quanto aveva in un primo tempo pensato, aveva preso immediatamente l’abitudine di usare un tono colloquiale con tutti loro, donne-lupo comprese.

Di fatto, aveva cancellato a piè pari il protocollo e i titoli altisonanti.

Si era lasciato andare alla calda accoglienza del villaggio, e aveva gioito dei piaceri di una buona compagnia come una persona qualsiasi, domandando con interesse e rispondendo a domande con altrettanta solerzia.

Si era seduto su uno dei gradini della veranda dei suoi zii, rifiutando una più comoda sedia imbottita, e aveva mangiato da un piatto di peltro con le mani, senza preoccuparsi dell’etichetta o di sporcarsi le dita.

Aveva giocato con i figli di Aken ed Eikhe, e aveva subito con una risata gli scherzi dei gemelli che, prima della loro partenza, erano riusciti a mettere in atto.

A Naell era parso un giovane affamato di calore e, più di una volta, se ne era chiesta il motivo ma, per educazione, aveva preferito non indagare troppo.

«My-chan mi parlava di una specie di grande occhio, con cui le avresti mostrato cosa sono le stelle cadenti» gli spiegò Naell, tornando al presente e sorridendogli cordiale.

Rallentando un poco l’andatura del suo stallone per mettersi al fianco del baio di Naell, Ellessandar sorrise alla sua compagna felina prima di ammettere: «Si chiama cannocchiale. E’ un lungo tubo cilindrico, in cui sono inseriti degli specchi che riflettono le immagini, ingrandendole.»

Sbattendo le palpebre con aria più che mai sorpresa, Naell schiuse le labbra ed esalò: «Le… ingrandisce?»

Ridendo del suo stupore, Ellessandar annuì prima di allungarsi verso una delle sue sacche da viaggio e scartabellare per qualche attimo, prima di estrarre un cilindretto di pelle scura.

Porgendoglielo, le mostrò un mezzo sorriso di incoraggiamento.

Naell lo trasse nella propria mano prima di fissarlo con aria guardinga, quasi si aspettasse che le potesse esplodere in mano da un momento all’altro.

Allargando il proprio sorriso, Ellessandar si allungò dalla sella per sfiorare la sua mano e, sollevata un poco, le spiegò: «Poggia la parte più piccola sull’occhio destro e chiudi il sinistro, poi punta il tubo in una direzione di tua scelta.»

Ancora scettica, Naell fece come le fu spiegato e, quando guardò nel cilindro dopo averlo puntato verso le montagne, lanciò uno strillo di sorpresa prima di rischiare di far scivolare a terra lo strumento.

Subito, una delle guardie loro accanto si informò se tutto procedesse bene e Naell, al colmo dell’imbarazzo, annuì a più riprese prima di fissare basita un sorridente Ellessandar.

«Ma com’è possibile?!»

Scoppiando a ridere sommessamente, Ellessandar riprese il cannocchiale dalla mano protesa di Naell e, dopo aver aperto i lacci di cuoio che tenevano serrato il cilindro di pelle, le mostrò le lenti prismatiche che  si trovavano al suo interno.

«Dovrei annoiarti per giorni e giorni, con i miei studi sulle immagini ma, in sostanza, ciò che vediamo lo dobbiamo alla luce che, passando tra queste lenti, ingrandisce ciò che vedi, permettendoti una visione migliore e più accurata.»

Gli occhi sgranati e l’aria affascinata quanto incuriosita, Naell sorrise al principe e domandò: «L’hai fatto tu

«Grazie all’aiuto di diversi studiosi che si trovano a palazzo, a Yskandar» ammise Ellessandar. «Sono sempre stato affascinato dal cielo e da tutti i suoi misteri. Sul tetto del palazzo della capitale, si trova un cannocchiale molto più grande di questo. Mio padre dice che sono matto, ma pare che sia divertito dalle mie scoperte e i miei studi. Una volta, l’ho trovato ad armeggiare sul tetto, nel tentativo di usare il cannocchiale per scovare una carovana di soldati di ritorno da un viaggio, dove si trovava anche mia madre.»

«Mi sento tremendamente ignorante, in questo momento» brontolò Naell, mordendosi il labbro inferiore.

Ellessandar scosse il capo, replicando: «Hai dodici anni, Naell. Hai tutto il tempo di crearti una tua cultura personale, credimi. Inoltre, ci sono cose che tu sai, e che io non ho la più pallida idea di come tu faccia a fare.»

«E cioè?» esalò Naell, più che mai sorpresa.

Lui le indicò le briglie del cavallo, che riposavano inutilizzate intorno al pomo della sella e, con un mezzo sorriso, il principe celiò: «Giuro, non oserei mai stare in groppa a un cavallo senza  neppure degnare di uno sguardo le briglie. Chi te l’ha insegnato?»

Aprendosi in un sorriso orgoglioso, Naell gli spiegò gli insegnamenti degli zii e della capacità sua, dei fratelli e dei genitori di utilizzare i cavalli a quel modo, senza l’uso delle briglie.

A quel punto il principe annuì e asserì candidamente: «Vedi? Io sono del tutto ignorante in materia.»

«Sì ma… non è la stessa cosa!» protestò Naell, sorridendo.

«Non se vedi la parola ‘ignorante’ nel senso puro del termine. “Colui che ignora una cosa.” Non è né spregiativo né altro, denota semplicemente un dato di fatto. L’ignoranza si può eliminare con studio e buona volontà. E’ la stupidità che è più difficile da abbattere» le spiegò Ellessandar, prima di scusarsi con un sorriso e aggiungere: «Ti sto tediando con discorsi noiosi.»

«Affatto» scosse il capo Naell. «Al villaggio, ho imparato che non si è mai abbastanza giovani per imparare, né abbastanza vecchi per ammettere di non sapere.»

«Un pensiero profondo, per una fanciulla di dodici anni. Darai del filo da torcere ai tuoi insegnanti, ne sono più che certo» la omaggiò il principe, accennando un cenno col capo.

«Naell-ykan è tanto brava!» sentenziò My-chan, che aveva ascoltato le loro dissertazioni con interesse.

Vagamente sorpreso, Ellessandar esalò: «Ykan, mia cara?»

«Che significa?» si incuriosì Naell, fissando con intenzione il principe che, con sua somma sorpresa, distolse lo sguardo.

Non poté esserne del tutto certa, a causa della luce sempre più rada, ma le parve che, sotto quella pelle color del cioccolato, vi fosse un profuso rossore.

Sempre più interessata, Naell volse lo sguardo in direzione della donna-felino e le chiese: «Cosa vuole dire, ykan, My-chan?»

«Mamma!» esclamò tutta contenta la donna, guardandola con occhi traboccanti di affetto.

«Oh, beh…» ridacchiò Naell, presa del tutto alla sprovvista da quella uscita.

Carezzando i capelli morbidi e setosi di My-chan con gesto tenero, Naell le disse sinceramente: «Sbaglierò, ma sei più grande di me, perciò la vedo un po’ dura a farti da mamma ma, se ti sta bene così…»

«My-chan, per certi versi, è più piccola di te. I renpardi stellati sono creature molto singolari. Anche se il loro corpo si sviluppa velocemente, la mente segue il regolare iter di crescita e, a conti fatti, lei ha solo otto anni…» intervenne Ellessandar, avendo apparentemente superato l’iniziale imbarazzo. «… e, visto che ti sei comportata con lei in modo così premuroso, ti vede come una mamma. Lei non l’ha mai avuta.»

La notizia sconvolse a tal punto Naell da farle sorgere spontanei due lacrimoni ai lati degli occhi.

Lacrime che My-chan raccolse con un dito prima di scuotere il capo e replicare: «Se Naell è triste per quel che ho detto, non lo dico più!»

«No!» esclamò lei, scuotendo febbrilmente le mani. «Mi hai commossa, tutto qui. Sono onorata che tu mi veda così.»

My-chan allora sorrise tutta contenta e Ylar, quasi si sentisse in dovere di intervenire, abbaiò allegro e balzò tra le braccia della donna-felino, che lo strinse a sé con un risolino, grattandolo sulla pancia e tra le orecchie.

Ridacchiando, Naell commentò all’indirizzo del principe: «Pare che lui voglia farle da fratello.»

«A quanto pare…» ironizzò Ellessandar prima di scoppiare a ridere con espressione a metà tra il sorpreso e il divertito.

Sollevando un sopracciglio con espressione serafica, lei gli domandò: «Naturalmente, non mi dirai cosa ti ha sconvolto tanto, prima.»

«Affatto. Lo terrò per me» sentenziò Ellessandar, prima di inchinarsi a lei e raggiungere al trotto le figure dei principi, qualche decina di metri più avanti.

Scuotendo la testa con espressione esasperata quanto ironica, Naell chiosò: «Valli a capire, i maschi.»

Ylar protestò con un brontolio di gola e la principessa, con un risolino, precisò: «I maschi su due zampe, chiedo venia.»

«Se nahry ti fa arrabbiare, lo sgrido» la informò My-chan, tutta seria in viso.

«Nahry? Cosa significa?» mormorò Naell, accigliandosi leggermente.

«Papà. Ellessandar è il mio papà» le spiegò tranquillamente la donna-felino.

A quel punto, Naell esplose in una calda risata di gola e, con le lacrime agli occhi per il divertimento, la giovane commentò ghignante: «Ora capisco perché era imbarazzato a morte. Povero principe! Che brutto scherzo gli hai fatto!»

Imperturbabile, My-chan replicò: «Quelle brutte befane che ci sono a casa, non meritano di essere chiamate ykan, e io mi scelgo chi voglio.»

«Saggia decisione, My-chan. Non sia mai che te ne capiti una che non sia simpatica» ridacchiò Naell, indirizzando delle occhiate divertite alla schiena del principe che, contrariamente a quanto successo in precedenza, rimase strenuamente voltato in direzione della valle.

Evidentemente, l’uscita della sua My-chan lo aveva imbarazzato davvero.

«Fossi in te, però, non userei quell’appellativo quando c’è anche lui. Sembra che la cosa gli dia fastidio.»

«Dici?» si informò la donna-felino.

«Magari fastidio,  no, però si imbarazza, e noi non vogliamo che sia in imbarazzo quando è con noi, vero?» le propose Naell, sorridendole complice.

«No, non il mio nahry

«Bene, allora mi chiamerai ykan quando saremo tra noi, d’accordo?»

«Sì, ykan.» Poi, mestamente, aggiunse: «Però, abitiamo tanto lontano, noi. Come facciamo?»

«Sai leggere, My-chan?»

«Sììì. Nahry  mi ha insegnato» esclamò felice My-chan, stringendosi al petto Ylar prima di dargli un bacio.

Il lupo sembrò apprezzare, perché la leccò in viso più e più volte.

«Allora ti scriverò tante, tante lettere e tu le scriverai a me poi, quando mi sarà possibile, verrò a trovarti. Tu, però, non dimenticarti di me» le promise Naell, sorridendole con sincero affetto.

«Non potrei mai dimenticarmi della mia ykan

My-chan le carezzò una gamba con la mano prima di restituirle Ylar e, con un bagliore ormai a lei familiare, riprese sembianze feline e corse in direzione del bosco vicino, probabilmente per una caccia notturna o un semplice giro esplorativo.

Il lupetto le si accoccolò subito in grembo e Naell, lasciato vagare lo sguardo tutt’attorno, sorrise tra sé per quello strano colloquio con My-chan e per la qualifica a sorpresa a cui era assurta da un attimo all’altro.

In qualunque luogo fosse andata, in qualsiasi corte lei si fosse trasferita, con qualunque uomo lei avesse un giorno deciso di unire la sua vita, My-chan sarebbe comunque stata la sua figlioccia.

Il solo pensiero la rese felice come poche altre cose avesse sperimentato, fino a quel momento.

Carezzando Ylar, gli sussurrò: «Tu e lei sarete i miei piccoli, e io sarò la vostra mamma.»

Ylar, a sorpresa, lanciò un ululato prolungato verso il cielo, cui si unirono anche Rym e Coyn e, dal fitto del bosco, un grido in risposta si elevò forte e cristallino, procurando in Naell un brivido familiare.

In un sussurro, perciò, mormorò: «Grazie, Hevos.»

***

Seduto attorno a un alto fuoco scoppiettante mentre la sorella, al suo fianco, dormiva già assieme al suo piccolo lupo, Meriton sorrise affettuosamente nel sistemare un poco la pesante coperta che proteggeva Naell dall’umido della notte.

«Temevo che il rientro a casa l’avrebbe fatta cadere in depressione, invece mi sembra che sia su di tono. Voi che dite?»

«Il fatto di avere i cuccioli con noi, l’ha in qualche modo tirata su di morale…» ipotizzò pensieroso Staryn, carezzando Coyn con fare distratto. «… inoltre, la vedo molto più matura di quando è partita. Forse, questa vacanza tra i monti le ha fatto bene.»

«Non conoscendola bene come voi, non posso sapere come fosse prima, ma credo che vostra sorella sia pienamente consapevole del proprio ruolo e che, nonostante senta la mancanza degli zii e delle amiche, il rientro non le pesi come temevate» intervenne allora Ellessandar, aggiungendo un ciocco al fuoco, che sfrigolò allegramente, lanciando lingue scarlatte verso il cielo tinto di stelle.

«La mia paura più grande era che, dopo un viaggio simile, potesse detestare la vita di corte. Naell è troppo simile allo zio, per non avere in antipatia certi obblighi cui tutti noi siamo sottoposti ma, se per Staryn e me è più facile sopportarli, per lei non è così. Inoltre, temo che il ruolo più infido sia toccato a lei.»

Staryn annuì e, mesto, aggiunse: «Anche se papà e mamma sono dei genitori eccezionali, sono pur sempre il re e la regina, e non possono permetterle di avere tutta la libertà che lei sogna. Sarebbe impensabile. Le fondamenta stesse della corona potrebbero cedere, e questo sarebbe un male per tutti. In primo luogo per il popolo, che di noi si fida e ha fiducia.»

Annuendo a sua volta, Ellessandar mormorò: «I cambiamenti non si possono effettuare in un giorno. Occorre dare tempo al tempo.»

«Esatto. E’ stato già difficile per Aken che, dopotutto, era un uomo, e perciò più libero di fare ciò che desiderava, anche secondo la legge. Naell non avrebbe mai potuto fare una cosa simile, anche se aborrisco la sola idea che vi possano essere simili differenze.»

Nel dirlo, Meriton storse il naso.

«Naell non è inferiore a nessun uomo, e dovrebbe avere gli stessi diritti miei e di Staryn eppure, per legge, lei è diversa da noi, come lo è la mamma. Mamma non potrebbe regnare, se papà venisse a mancare, e questo è assurdo, perché è capace e intelligente tanto quanto lui. Solo che, almeno per adesso, in consiglio non vogliono neppure sentire l’odore della parola “co-reggenza”. Impallidiscono tutti, e diventano muti come tombe.»

«Vecchi retrogradi» ringhiò Staryn, accigliandosi.

Scuro in volto, Ellessandar spiegò loro: «Ad Akantar, la figura della donna non è dissimile da quella dell’uomo, e mia madre regna parimenti con mio padre, ma le genti di oltre confine non sono del nostro stesso avviso. Spesso e volentieri, subiamo scorrerie in cui vengono rapite donne dalle oasi, dove si trovano le tribù che compongono il mio popolo e, quel che succede loro, è meglio non dirlo ad alta voce. E’ difficile tener loro testa, poiché il deserto è grande, e il mio esercito non può arrivare ovunque… non avete idea di quanto possa essere snervante, a volte.»

Meriton annuì, comprendendo appieno la rabbia e il dispiacere del principe e, ancora una volta, gettò uno sguardo in direzione di Naell.

«Forse, la sua idea di venire a trovare tua madre, non è poi così brutta. Potrebbe divertirsi ancora per un po’, ampliare la sua cultura – sapessi quanto le piace leggere! – e conoscere persone nuove. Naell non è fatta per stare rinchiusa a filare la lana, o chiacchierare in maniera vuota del tempo, o di schiocche voci di palazzo.»

«Temi per lei un matrimonio che non la soddisfi? Qualche nobile titolato l’ha già chiesta per sé?» si informò Ellessandar, osservando spiacente il viso tranquillo e immerso nel sonno di Naell.

Staryn storse la bocca, imprecò tra i denti e gettò un altro ciocco di legno nel fuoco, facendolo schioccare con violenza.

Lunghe lingue scarlatte si levarono verso il cielo mentre la sua voce, di solito allegra, uscì cavernosa dalla sua bocca piegata in una smorfia.

«Il Conte Alderan ha parlato con nostro padre, poco meno di sei mesi fa. Voleva informarsi sul potenziale futuro della principessa, visto che lui ha un figliolo della stessa età e che, tra qualche anno, prenderà le redini del suo esteso  e ricco feudo. Quell’ampolloso pezzo di…»

«Staryn!» lo richiamò senza troppa veemenza Meriton, lanciandogli un mezzo sorriso ironico.

Il fratello si limitò a scrollare le spalle, continuando a dire: «… quel pomposo nobile da strapazzo si vanta dei suoi vasti possedimenti e della miniera d’oro che, ahimè, si trova nei terreni di sua proprietà. Ha quasi più capitali della corona stessa, e intrattiene commerci fiorenti sia con Karton che con l’intero Enerios.»

«Un brigante vestito da gentiluomo. Conosco la razza» ghignò Ellessandar, ammiccando all’indirizzo del giovane principe.

Annuendo, Staryn proseguì nel suo racconto.

«Morale della favola, ha proposto neppure troppo delicatamente che Naell e il suo rampollo, un certo Coryn, Colryk, non ricordo bene il nome, si fidanzino allo scoccare del sedicesimo anno di lei, così da cementare l’unione tra le nostre due famiglie. Naturalmente, per mostrarsi magnanimo, lascerebbe tempo alla principessa per abituarsi all’idea. Avrebbe proposto un matrimonio per i vent’anni di entrambi.»

«Papà ha declinato gentilmente l’offerta, dichiarando che Naell è davvero troppo giovane per essere sottoposta a una simile pressione, e il conte si è dichiarato d’accordo, lasciando per altri momenti quel discorso. Ma sappiamo bene che tornerà all’attacco» terminò per il fratello, Meriton, sbuffando con aria contrariata.

Staryn imprecò tra i denti, e concluse: «Naell non ne sa nulla, altrimenti avrebbe sicuramente trovato il modo di scappare, una volta trovatasi in mezzo alle montagne. La sola idea di sposarsi, almeno per il momento, la fa ridere a crepapelle, e non penso che accetterebbe uno smidollato, come marito. E quel ragazzino non ha l’aria di uno che, neppure tra qualche anno, assurgerà a livelli decenti di fascino.»

Ridendo suo malgrado, Ellessandar si appoggiò all’indietro sui gomiti e, guardando l’erede al trono di Enerios, commentò: «Sembrate aver studiato da vicino questo ragazzino.»

«Stavano parlando di nostra sorella! Ovvio che sì! La farei scappare io stesso da palazzo, se sapessi che, per mere ragioni dinastiche, fosse assegnata a un uomo non adatto a lei» brontolò Meriton, adombrandosi in viso.

«Tutto ciò è infinitamente cortese da parte tua, ma non credo che i tuoi genitori, se potranno, la metteranno in mano a un uomo meno che perfetto» replicò gentilmente Ellessandar. «Mi sono sembrati una coppia molto affiatata, e non si vergognavano di far vedere al mondo intero il loro amore. Una cosa rara, in un ambiente affettato come il nostro.»

«Papà ci raccontò di essersi innamorato di mamma al primo sguardo… dopo averla vista ripulire uno zoccolo della sua giumenta!» ridacchiò Meriton, ripensando a quella vecchia storia.

Ellessandar sollevò un sopracciglio con evidente sorpresa, esalando: «Un incontro ben strano!»

Staryn annuì, spiegandogli: «Erano entrambi nervosi, quel giorno. Si sarebbero incontrati per la prima volta e, a quanto pare, stare con i loro cavalli avrebbe potuto aiutarli a calmarsi. E così si incontrarono nelle stalle, lontano dagli orpelli di Corte, non mascherati da mille e più consuetudini. Si videro per come erano realmente, e si piacquero.»

«Sono stati fortunati.»

Nel dirlo, Ellessandar sospirò melanconicamente.

«Mia sorella maggiore si sposò circa sei anni fa con un nobile di un’isola nei pressi di Yskandar. Lo fece in spregio a tutti i consigli datile dalla famiglia, solo per dispetto nei confronti dei nostri genitori e, da quel poco che so di lei, ora è praticamente prigioniera nel palazzo in cui vive, scodellando figli su figli al marito-padrone e, per noi, è impossibile andare a trovarla senza scatenare una battaglia navale tra il nostro esercito e quello del sovrano delle Isole Arcobaleno, cugino dell’uomo sposato da mia sorella.»

«Come mai ha voluto lanciarsi in un’impresa così autolesionista?» esalò Meriton, sinceramente sorpreso.

«Forse, perché ci hanno viziato troppo» ammise con un mesto risolino Ellessandar. «Millysen sapeva di essere bella e tutti, a corte, la vezzeggiavano e la adoravano. Mio padre, più di tutti, la ricopriva di regali e nulla che lei chiedesse, le veniva negato. Questo la portò a volere sempre di più, anche ciò che non era per lei, compreso quell’uomo. I miei genitori sapevano cosa si nascondesse dietro quel volto ammaliante, ma Millysen non volle sentire ragioni. Scappò, rinnegando il suo sangue e ingiuriando a male parole i miei genitori e, alla fine, mio padre la ripudiò come figlia, pur piangendo per lei ogni notte.»

«Probabilmente, lo avrebbe fatto anche se tu e lei non foste stati viziati fin da piccoli, come dici tu. Non mi sembra, comunque, che tu ti sia dato a giochi pericolosi» asserì gentilmente Meriton, sorridendogli benevolo.

Ellessandar scosse il capo, ridacchiando, e convenne con lui.

«Sì, forse sarebbe successo lo stesso, ma i miei genitori se ne sono presi la colpa e, da quel giorno, so che pensano a lei con dolore. Io ho cercato in ogni modo di non dare loro neppure un dispiacere, ma non so se ci sono riuscito.»

«Sono certo che lo hanno apprezzato» lo rincuorò Staryn, dandogli una pacca amichevole sulla spalla.

Ellessandar reclinò all’indietro il capo, scrutando pensoso le stelle alte in cielo e la luna pallida che rischiarava la notte e, con un mezzo sorriso, asserì: «Certe volte mi sembra di avere cent’anni, non venti. E’ così stancante essere l’unico erede di una dinastia millenaria, dover sopportare il peso di ciò che non è più. Vorrei tanto che i miei fratelli non fossero morti da piccoli. Suonerà cinico, ma la penso così.»

Meriton e Staryn sapevano bene quali lutti avessero colpito la famiglia reale di Akantarm e comprendeva quale peso fosse toccato in sorte a Ellessandar.

Di sei figli maschi, lui era l’unico sopravvissuto a una tremenda epidemia che aveva colpito Yskandar meno di dieci anni prima.

Dopo aver perso anche Millysen in modo così assurdo, alla famiglia del giovane principe rimanevano ben poche gioie di cui sorridere.

«Sei onesto, non cinico» mormorò Staryn, sbadigliando un attimo dopo. «E con questa perla filosofica, io vi dico buonanotte.»

Ellessandar ridacchiò, annuendo al suo indirizzo prima di stendersi sul suo mantello e replicare: «Penso dormirò anch’io. Per domani saremo a Rajana, e non vorrei arrivarci con le occhiaie e la faccia insonnolita.»

«Non sia mai!» ghignò Meriton, stendendosi accanto a Naell.

***

Doveva parlargli, o tacere? Tenere per sé ciò che aveva ascoltato per errore, o esporre i suoi pensieri?

Difficile dire quale fosse la scelta migliore ma visto che, grazie ai buoni uffici di Hevos, aveva già abbastanza segreti da tenere per sé, preferì non avere altri scheletri nell’armadio da tenere sott’occhio.

Avvicinata perciò la propria cavalcatura a quella del principe Ellessandar, Naell gli sorrise a mo’ di saluto prima di dirgli, senza tanti giri di parole: «Non dovreste parlare così a lungo, dinanzi al fuoco. Finite col dire troppe cose.»

Sinceramente sorpreso, il principe le sorrise spiacente, mormorando: «Le mie più profonde scuse. Non avremmo dovuto parlare di argomenti che ti riguardavano. Ti sei offesa?»

«Dell’offerta di matrimonio, sì,… per come avete reagito, no» ammise lei, con un mezzo sorriso. «Ma mi è spiaciuto sapere di tua sorella. Non pensavo potesse arrivare a tanto.»

«Non si conoscono mai a sufficienza le persone, a quanto pare» chiosò lui, facendo spallucce. «Pensi di scappare alle prime avvisaglie di tempesta, allora?»

Naell ci pensò su per un po’ prima di ghignare all’indirizzo del principe e commentare: «Di sicuro, scandalizzerei tutto il popolo di Enerios. Oppure, più semplicemente, potrei chiedere a uno dei miei cugini di sacrificarsi per la causa e sposarmi, ma sarebbe disgustoso, anche se più che lecito.»

«Ti sembrerebbe di sposare uno dei tuoi fratelli?» ironizzò Ellessandar, vedendola annuire divertita e disgustata assieme.

Tornando seria, Naell fissò lo sguardo sui contorni indistinti delle case di Rajana, semi nascoste da una leggera nebbiolina biancastra e, con voce piana, mormorò: «Dubito di essere una persona romantica, perciò non credo che, quando verrà per me il giorno di incontrare il mio sposo, soffrirò e piangerò disperata. Potrei farlo se sapessi di non poter più essere me stessa, ma non per l’uomo in se stesso.»

«Tanto cinismo in una ragazza così giovane? Come mai?» si incuriosì Ellessandar, fissandola debitamente sorpreso.

Naell si esibì in un risolino divertito, prima di ammettere: «Ho la testa da un’altra parte. Mi sembra che preoccuparmi per cose così frivole, sapendo quel che so, sia sciocco.»

A quel punto, il principe mostrò ampiamente di non aver capito una sola parola di quanto riferito dalla ragazza e Naell, scrollando le spalle spiacente, disse: «Devo mantenere un segreto per conto di un dio, mi spiace. Ma è questo che mi spinge a non pensare granché a quest’evento in particolare. Visto quello che mi è stato detto, dubito che un mio futuro matrimonio possa essere più tremendo di quello che mi aspetta.»

Aggrottando la fronte, Ellessandar allungò istintivamente una mano per afferrare un braccio di Naell, esalando sconvolto: «Cosa mai dovrebbe capitarti?!»

Sinceramente commossa dalla sua preoccupazione, Naell gli sorrise gentilmente, replicando: «Non lo so, so soltanto che io sarò coinvolta in qualcosa di epocale. Ma non posso dire altro.»

«Un fardello non da poco, per una fanciulla così giovane che dovrebbe pensare, prima di tutto, a bei prati profumati e sontuosi balli in maschera» cercò di ironizzare il principe, pur lasciando trapelare dal suo sguardo d’ossidiana l’ansia che stava provando per la giovane nuova amica.

Scoppiando a ridere di fronte a quello scenario ipotetico, Naell si terse una lacrima di ilarità dall’angolo di un occhio prima di esalare divertita: «Oh, cielo! Non prediresti un ballo in maschera per farmi divertire, se sapessi come danzo. Credo di essere nata con due piedi destri!»

Evidentemente scettico, Ellessandar replicò con altrettanto divertimento: «Non lo credo possibile. Ti ho vista ballare, al villaggio, durante i festeggiamenti, e le tue amiche sono uscite tutte quante indenni dalle danze. Forse, dipende solo dal cavaliere che ti scorta sulla pista.»

«Può essere…» gli concesse lei, prima di notare lo sguardo curioso del fratello Staryn, rivolto verso di loro.

Istintivamente, gli fece la linguaccia e Staryn, per diretta conseguenza, gliela restituì corredata di gestacci prima di sorriderle più tranquillo.

Rivolta poi a Ellessandar, gli spiegò succintamente: «Idiozie tra fratelli.»

«Fanno bene allo spirito» sospirò melanconicamente il giovane, sorridendo poi a My-chan, che stava procedendo tranquilla accanto ai loro cavalli in forma animale. «Lei è come una sorella, per me. E so che il suo amore è sincero e disinteressato.»

«My-chan ti vuole davvero bene. Ed è una compagnia deliziosa» asserì Naell, lanciando uno sguardo alla donna-felino, che ricambiò la sua occhiata con un brontolio sommesso.

«Le piaci. Il che è raro, in lei. Se non fosse che ne sentirei troppo la mancanza, le potrei proporre di rimanere un po’ con te e tornare con la prossima nave per Akantar. Ma no, non ce la farei proprio» scrollò le spalle Ellessandar, fissando con affetto incondizionato il renpardo.

«Non mi sognerei mai di dividervi» replicò Naell, sorridendo. «E poi, con lei lontana, potrò avere la scusa per venire più spesso ad Akantar a trovarla.»

My-chan si dichiarò entusiasta, miagolando profusamente ed Ellessandar, scoppiando a ridere, esalò: «La trovi perfettamente d’accordo!»

«Lo immaginavo» sogghignò Naell, tornando a fissare in viso il principe per poi chiedergli: «Mi farai vedere le stelle con il tuo cannocchiale, quando sarò a Yskandar?»

«Se lo vorrai, sì» annuì lui.

Naell si limitò a un breve cenno del capo, prima di portare la sua attenzione al paesaggio che li circondava.

Per molto tempo non avrebbe più potuto assaporare la libertà di quei mesi trascorsi tra quelle lande selvagge e misteriose ma, nello stringersi la mano al petto – in corrispondenza del dono lasciatole dalle sue amiche – , ebbe la certezza che una parte di lei non avrebbe mai abbandonato quei luoghi.

Sotto la tunica ricamata che indossava, ben nascosto alla vista, si trovava un piccolo stiletto dall’elsa a forma di testa di lupo.

Le ragazze lo avevano forgiato in gran segreto nella fucina del villaggio, aiutate da Antalion nella creazione dell’anima in creta, in cui avevano creato l’elsa dalla forma così inusuale.

La scoperta dell’inaspettata bravura del cugino in quel genere di lavori di precisione, l’aveva resa ancora più fiera di lui, e l’idea di portare con sé qualcosa creato anche da lui, le faceva sentire un po’ meno la loro mancanza.

Certo, nasconderlo sotto gli abiti sarebbe stato un dramma, e portarlo in bella vista avrebbe creato ancor più scandalo di quanto non l’avrebbero dato i lupetti a palazzo, ma il solo fatto di averlo la rendeva felice.

Era una figlia del branco e, anche se lontana dalla sua tribù, anche se immersa in un mondo totalmente diverso da quello di qualsiasi altra figlia di Hevos, lei avrebbe comunque avuto un posto nel loro cuore.

E, presto o tardi, si sarebbero ritrovate.

 

 

 

 

E dopo questa avventura tra i monti, ci trasferiamo nelle lande desertiche di Akantar, con il racconto intitolato 'Artiglio di Lupo'.

 

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