L'Eredità del Lupo 2.0 di Mary P_Stark (/viewuser.php?uid=86981)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cap.1 ***
Capitolo 2: *** cap. 2 ***
Capitolo 3: *** cap. 3 ***
Capitolo 4: *** cap. 4 ***
Capitolo 5: *** cap. 5 ***
Capitolo 6: *** cap. 6 ***
Capitolo 7: *** cap. 7 ***
Capitolo 8: *** cap. 8 ***
Capitolo 9: *** Epilogo ***
Capitolo 1 *** Cap.1 ***
1
«AANN!»
Quell’urlo,
improvviso quanto stridulo, percosse le orecchie del giovane addormentato nel
suo letto.
Sentendosi
chiamare in modo così violento, Antalion si svegliò di soprassalto, sbatté il
capo contro la testiera del letto e, per finire in bellezza, rotolò a terra
nella fretta di alzarsi.
Le
lunghe gambe finirono con l’impigliarsi nella pelliccia d’orso che teneva sopra
le lenzuola e, nel crollare sul pavimento, picchiò con violenza un ginocchio,
sbucciandoselo.
Alla fine di quella rovinosa caduta,
sdraiato a terra a gambe e braccia divaricate, il fiato corto e l’aria più
addormentata che sveglia, Antalion volse lentamente il capo in direzione della
causa prima di quel disastro.
Accigliato, perciò, ringhiò: «Voi,
piccole pesti… cosa devo…»
«An è
tutto nudo, An è tutto nudo!» cominciarono a canticchiare in coro i due
gemelli, saltellando allegramente per la stanza del fratello maggiore.
Spalancando
gli occhi di colpo a quelle parole, Antalion si guardò per un momento prima di
avvampare in viso e coprirsi alla bell’e meglio.
Il
tutto, un attimo prima che la madre, in vestaglia da camera e l’aria
scarmigliata di chi si è appena svegliato, comparisse sulla soglia della sua
stanza.
Vagamente
sorpresa dal trovare il figlio maggiore steso a terra, e i due gemelli già ben
svegli e vestiti, Eikhe esalò confusa: «Ma che succede?»
«Chiedilo
a loro.»
Con un
brontolio, il giovane si rialzò da terra tenendo la pelle d’orso davanti
all’inguine mentre la madre, con sguardo curioso, lo osservava alla luce
dell’alba che penetrava dalla finestra.
Accortosi
di quell’occhiata prolungata, Antalion si ritrovò ad arrossire nuovamente e,
sedutosi sul letto, si coprì ancora di più, prima di bofonchiare: «Beh, che
c’è?»
Con
aria maliziosa, Eikhe sfiorò le spalle dei gemelli che, al suo solo tocco, si
calmarono immediatamente.
Sorridendo
poi al figlio maggiore, sentenziò: «Sai che somigli sempre di più a tuo padre?»
Da
quando il padre era tornato, sei anni prima, Antalion aveva passato un sacco di
tempo con l’uomo che gli aveva dato la vita ma che, per cause di forza
maggiore, non era potuto stare con lui e vederlo crescere.
Durante
la gravidanza di sua madre, in special modo, il giovane aveva legato in modo
speciale con Aken, e il desiderio di renderlo fiero di lui e di vederlo felice,
era stato il suo imperativo primario.
Inoltre,
sapeva bene che le parole della madre erano più che veritiere. Fin dal
principio, era parso evidente quanto si somigliassero, e a lui aveva sempre
fatto piacere.
Si era
comunque impegnato anima e corpo per diventare un eccellente guerriero e, con
l’aiuto di Aken stesso e di Istrea, sapeva di essere riuscito nell’intento.
L’imbarazzo
che, però, lo colse nel sentire quelle parole, non fu generato dal commento in
sé, quanto dai sottintesi che in esso erano contenuti.
Non
era diventato solo un buon combattente, ma anche la sua struttura fisica
era cambiata, divenendo più imponente e muscolare.
Ed era
quello che lo metteva a disagio.
Certo,
non era mai stato smilzo o di bassa statura, ma l’allenamento intensivo cui si
era sottoposto, lo aveva davvero mutato nell’aspetto.
I
risultati, non solo si vedevano ampiamente, ma avevano causato anche diversi
diverbi tra le ragazze del villaggio.
Liana,
pur confortata dal sapere dell’amore incondizionato che Antalion provava per lei,
si era accapigliata diverse volte con alcune sue amiche.
Era
infatti capitato, e più di una volta, che alcune ragazze si fossero rivolte a
lui per offrirsi come potenziali compagne di una notte.
Se la
cosa aveva imbarazzato a morte Antalion, aveva mandato in bestia Liana che,
dopo l’ennesimo litigio, aveva ingiuriato Aken per l’eccessivo impegno con cui
aveva addestrato suo figlio.
La
cosa era parsa così ridicola, agli occhi dell’uomo che, non solo non se l’era
presa per il rimbrotto, ma aveva fatto notare alla giovane quanto potesse
ritenersi fortunata di avere un compagno così prestante e valoroso.
Certo,
Antalion aveva fulminato con lo sguardo il padre per quell’uscita maliziosa, ma
Liana era sembrata soddisfatta e, con calma e pazienza, il suo umore si era
pacificato.
Non
che il metro e novanta di statura, e i quasi cento chili di muscoli fossero
scomparsi, ma la cosa sembrava non essere più un problema.
O
almeno, così sperava Antalion.
Il
fatto che, però, anche sua madre gli facesse notare quel particolare, lo mandò
nel pallone, portandolo a sdraiarsi sul letto, coprirsi con la pelle d’orso e
ringhiare: «Uffa, mamma, non ti ci mettere anche tu!»
Ridendo
di fronte all’imbarazzo manifesto del figlio maggiore, Eikhe trascinò fuori
dalla stanza i due gemelli di sei anni, Enyl e Rannyl, e ordinò bonaria:
«Vestiti, dai. Naell sarà qui nel primo pomeriggio, e ci sono ancora un sacco
di cose da fare.»
«Sì,
va bene, va bene.»
Con
uno sbuffo infastidito, attese con pazienza che il trio fosse uscito dalla
stanza dopodiché, non appena la porta fu chiusa, balzò fuori dal letto e si
diresse alla cassapanca per estrarre i suoi abiti.
La
cugina Naell, il giorno del suo dodicesimo compleanno, aveva espresso il
desiderio di passare un po’ di tempo assieme agli zii, tra le donne-lupo del
villaggio di Hyo-den.
Era
suo desiderio imparare un nuovo stile di vita, così come un approccio diverso
alla quotidianità.
Poiché
la regina aveva promesso alla figlia minore che avrebbe esaudito questo suo
desiderio, la richiesta era stata accettata.
Il
giorno stesso, un messaggio era stato inviato tramite falco al Borgomastro di
Marhna, in modo tale che la famiglia di Aken ed Eikhe fosse avvisata del
prossimo arrivo della principessa.
Non
appena Kannor, Borgomastro e amico di vecchia data di Aken, aveva fatto
consegnare la missiva ai diretti interessati, nel villaggio erano iniziati i
preparativi per accogliere Naell e il suo seguito.
Quel
giorno, sarebbe giunta a Hyo-den e, nella via principale del villaggio, festoni
fiorati e libagioni erano già stati sistemati su lunghe tavolate di legno
piazzate ai lati della strada.
Restava
solo da preparare la stanza che la principessa avrebbe occupato per il suo
periodo di vacanza presso gli zii e, per quello, c’era bisogno di Antalion.
Non
perché lui sapesse fare le cose meglio dei genitori ma perché, a conti fatti,
Naell sarebbe stata la prima inquilina della casa che, nel giro di pochi mesi,
Antalion e Liana avrebbero diviso insieme.
Molti
lavori dovevano essere terminati, motivo per cui Antalion e la sua compagna
ancora vivevano presso le rispettive famiglie, ma il grosso dell’edificio era
stato ultimato.
Le
camere e il bagno, inoltre, erano già usufruibili, perciò potevano ospitare
degnamente la principessa in visita.
Eretta
dietro l’abitazione di Eikhe e Aken, la baita era composta da un piano
rialzato, abitativo, e un seminterrato dove erano state costruite una dispensa,
una piccola cantina e una ghiacciaia.
Entro
la fine dell’autunno, sarebbero riusciti a utilizzarla nel vero senso della
parola ma, per il momento, Naell sarebbe stata la prima persona a dormirvi,
assieme alla sua dama di compagnia.
Dopo
essersi infilati gli stivaletti di pelle e aver raddrizzato la lunga tunica di
pelle di daino, Antalion sgusciò fuori dalla sua stanza giusto in tempo per
veder comparire suo padre dalla camera padronale.
Qualche
filo grigio tingeva le sue tempie, e una lieve rete di rughe sottilissime ne
increspava la pelle ai lati della bocca, ma questo conferiva al suo volto solo
un tocco di gentilezza in più.
Alto
non meno del figlio e per corporatura identico, Aken di Rajana pareva non
essere cambiato, dal giorno in cui aveva messo piede per la prima volta nel
villaggio di Hyo-den.
L’aria
di montagna e la vita spartana sembravano essere un balsamo di lunga vita per
lui e, di sicuro, prendersi cura di due canaglie con i figli minori, lo teneva
in allenamento.
Sorridendogli
nell’accostarsi a lui mentre si dirigevano assieme in cucina per la colazione,
Antalion esordì dicendo: «Hai dormito bene? Ti vedo un po’ sciupato.»
«Ah-ah.
Davvero spiritoso. Verrò a chiedertelo anch’io, una di queste mattine, quando
ti sveglierai al fianco di Liana» replicò con un ghigno furbo Aken, dando una
pacca amichevole sulla spalla del figlio, che sghignazzò.
«Dovresti
stare attento… sai, alla tua età…» lo rimproverò bonariamente Antalion, prima
di prendersi uno scappellotto amichevole sulla testa. «Ahia!»
«Ben
ti sta, ragazzo. La mia è una famiglia estremamente longeva e potrei mettere
incinta ancora tua madre, se volessi, giusto per dimostrartelo» ironizzò il
padre, prima di puntare lo sguardo sulla figura esile e longilinea della
compagna.
In
quel momento, era impegnata a servire del latte fresco a Enyl, tutta felice nel
suo vestitino nuovo, e con due graziose trecce bionde a incorniciarne il viso
d’angelo.
Rannyl,
al contrario, era scuro di capelli e dalla carnagione bronzea come il padre e
il fratello maggiore ma, come tutti i figli della coppia, aveva occhi ambrati e
luminosi come il sole.
Abbigliato
con una tunica nuova e lunga fino al ginocchio, Rannyl si tirò nervosamente una
manica prima di sorridere all’arrivo di padre e fratello.
Sollevando
il suo bicchierone di latte, esclamò: «Buongiorno!»
Accomodandosi
dopo aver dato un bacio sulla testa a entrambi i figli, Aken rispose dicendo:
«Buongiorno. Si può sapere cos’è stato, il baccano di prima?»
Ridacchiando
complici, Rannyl ed Enyl si guardarono per un momento prima di esclamare in
coro: «Scherzetto!»
Vagamente
accigliato, Antalion afferrò un biscotto dal piatto posizionato nel mezzo del
tavolo della cugina e, sgranocchiandolo ombroso, mugugnò: «Non avevo bisogno di
una sveglia così violenta.»
Enyl
balzò dalla sedia per raggiungere il fratello maggiore e, poggiato il capo
sulla coscia della gamba che Antalion aveva sbattuto a terra, massaggiò
gentilmente l’arto contuso e sussurrò: «Fa tanto male?»
Aken
cercò di nascondere un sogghigno dietro l’orlo della tazza da caffè mentre il figlio maggiore, ammorbidendosi immediatamente
di fronte alla gentilezza della sorellina, le carezzava il capo con affetto.
«Non
più di tanto, tesoro. Finisci la colazione, così possiamo dare una mano a mamma
a sistemare la stanza di Naell.»
«Sì»
annuì Enyl, baciando il ginocchio di Antalion prima di tornare trotterellando
alla sua sedia.
Era
sempre stato così.
Per
quanti scherzi facessero, per quanti danni combinassero, la gentilezza innata
di Enyl appianava tutto, e Antalion diventava come burro fuso nelle sue mani.
Aken
trovava quel comportamento tra fratelli il chiaro segno di chi, veramente, comandasse in casa, ma tendenzialmente preferiva non
dirlo di fronte ad Antalion.
Anche
Eikhe pensava che Enyl stesse diventando un’adorabile quanto subdola
manipolatrice, e la cosa la divertiva un mondo.
Una
volta diventata adulta, nessuno avrebbe
potuto metterle i piedi in testa.
Per
Antalion, invece, era solo un piccolo angioletto da proteggere, anche quando ne
combinava una peggio dei demoni di montagna.
Rannyl,
invece, era tendenzialmente la spalla della sorella in ogni genere di guaio, o
piano cospiratorio, ingegnato da Enyl.
Il più
delle volte, ne copriva anche le tracce.
Difficilmente
ne smascherava le marachelle, se non quando il disastro era così tremendo che
la paura prendeva il sopravvento sulla complicità tra gemelli.
A ogni
buon conto, Rannyl difendeva sempre la sorellina da qualsiasi pericolo, fosse anche
solo un ragnetto o una lucertola, mentre Antalion si prendeva cura di entrambi
con identica solerzia.
Forse,
perché la loro nascita era stata decisamente travagliata.
O
perché Antalion ne era stato tra i protagonisti.
Fatto
stava che il giovane curava i suoi fratellini come se fossero stati i suoi
stessi figli e, per Eikhe e Aken, era una gioia vederli crescere assieme sani e
forti.
Naturalmente,
ai gemelli non era mai stato detto cosa fosse successo la notte della
loro nascita.
Era
più che probabile che la solerzia quasi eccessiva di Antalion fosse nata da
quell’evento che, solo per grazia di Hevon, non era finito in tragedia.
Nata
per ultima, Enyl si era ritrovata ad avere il cordone ombelicale stretto
attorno al collo e, solo grazie alle abili manipolazioni di Vesthe, la bimba
era riuscita a uscirne viva.
Lo
sforzo di nascere, però, l’aveva indebolita al punto da non permetterle di
emettere il suo primo vagito.
Nel
vederla mortalmente pallida e debole, Antalion l’aveva stretta tra le braccia
ancora sporca di liquido amniotico e le aveva massaggiato il corpicino per
riscaldarla, aiutandola a espellere l’aria come avrebbe dovuto.
Aken,
nel frattempo, si era preso cura di Rannyl, più in forze rispetto alla
sorellina, ma davvero piccolo tra le sue braccia robuste.
Vesthe,
occupata con Eikhe, aveva così lasciato ai due uomini il compito di
preoccuparsi dei bambini.
Per
giorni interi Eikhe era rimasta a letto, pallida e smunta e con dolori
addominali lancinanti.
Alla
fine, però, si era ripresa ed era riuscita ad attaccare al seno entrambi i
figli che, fino a quel momento, erano stati allattati da un’altra donna del
villaggio, offertasi spontaneamente per dare una mano alla coppia.
Quegli
eventi, avevano fatto sì che l’unione tra Antalion e i suoi fratelli divenisse
ancor più stretta e forte.
Per
quanto Eikhe detestasse ricordare quei tragici momenti, non poteva che
sorridere nel vedere quale legame vi fosse, ora, tra i suoi figli.
A
colazione ultimata, l’intera famiglia si diresse verso la casa di Antalion e,
dopo aver aperto la porta d’ingresso, il giovane lasciò entrare per primi i
gemelli.
Carichi
di lenzuola fresche di bucato, i piccoli si diressero di corsa verso le stanze
che avrebbe occupato Naell.
Scrutando
soddisfatto le travature di legno che sorreggevano il soffitto e la cucina già
debitamente montata, Antalion saggiò pensieroso la superficie liscia del tavolo
in sala da pranzo.
«Credi
che sia abbastanza grande? Non so, ho pensato che per sei persone potesse
bastare, come inizio, ma…»
«Va
più che bene, figliolo» lo tranquillizzò Aken, sorridendogli. «E, se vi fosse
bisogno di un’aggiunta, non dovresti far altro che spostare il tavolino della
cucina qui in sala da pranzo.»
Con un
sogghigno, Antalion si lasciò andare a una breve risata derisoria.
«Lo
so, sono nervoso, non dirmelo.»
«L’hai
detto tu, non io.»
Aken
gli diede una pacca sulla spalla, seguendo poi Eikhe lungo il disimpegno che
conduceva alle stanze da letto.
Lì,
Enyl e Rannyl avevano già poggiato le lenzuola sulla cassapanca di legno di
ciliegio che Antalion stesso aveva intagliato l’estate precedente.
Impazienti,
i bambini guardarono la madre in attesa che desse loro qualcos’altro da fare.
Nel
vederli così eccitati, Eikhe ordinò loro: «Visto che siete così ben disposti a
dare una mano, mettetevi a sistemare dei fiori nei vasi che ho portato ieri. Ma
non strappateli dalle aiuole dei vicini.»
Enyl
arrossì a quel commento e annuì, mentre Rannyl ridacchiava divertito.
Per
via di un regalo improvvisato alla mamma – con relativo rimprovero corredato –
Enyl era stata costretta a chiedere scusa alla padrona dei fiori che la bimba
aveva strappato.
La
donna, con una buona dose di ironia, l’aveva perdonata per i motivi davvero
amorevoli che l’avevano spinta a prenderli senza permesso, ed Eikhe aveva
sorriso alla figlioletta.
Colpevole,
Enyl si era messa a piangere nel chiedere perdono più e più volte.
Intervenendo
per dare una mano alla sorella, Rannyl la prese per mano e disse: « Li
prenderemo qui dietro, nel boschetto.»
«Senza
allontanarvi, mi raccomando» precisò Eikhe, prima di scrutare Antalion e
aggiungere: «Mi aiuti?»
«Sì,
mamma» annuì lesto, mentre i gemellini uscivano dalla camera e Aken li seguiva
con lo sguardo.
«Vai
pure con loro.»
Aken
ringraziò con un sorriso la compagna, e si dileguò in silenzio dietro ai figli
minori mentre Antalion sorrideva divertito.
Ammiccando
al figlio maggiore, Eikhe disse sommessamente: «Non si sente ancora tranquillo
a saperli in giro da soli, anche se sono a portata di voce.»
«Forse,
avremmo dovuto mandare i lupi con loro. Allora, papà non si sarebbe
preoccupato.»
Con un
abile gesto di mano, stese il copri-materasso prima di lisciarlo con gesti
morbidi del palmo dopodiché, presi due lembi della coperta di lana, la stese a
sua volta, sistemandone gli orli negli angoli.
«Liar
dovrebbe essere ancora con la compagna, …almeno, è lì che l’ho lasciato ieri
notte, dopo che sono nati i cuccioli» mormorò pensierosa Eikhe, ripensando ai
tre cuccioletti bianchi e neri nati solo una quindicina di ore prima.
Un
sorriso soddisfatto si dipinse sul viso di Antalion quando ripensò alla notte
appena trascorsa, passata interamente ad accudire Symil, la compagna di Liar.
Il suo
risveglio così traumatico lo doveva anche a quella notte travagliata.
Diversamente,
non sarebbe crollato dal letto a quel modo, neppure per uno scherzo dei
fratellini.
In
quel mentre, il ticchettio delle unghie di Mykos fece volgere lo sguardo a
madre e figlio che, sorridenti, salutarono il lupo di Antalion.
Questi,
fece capolino con il muso all’interno della stanza, prima di abbaiare il suo
saluto.
«Ehi,
canaglia! Dove te ne sei andato, ieri? Ti ho cercato dappertutto!» esclamò
Antalion, finendo di sistemare il copriletto di pelliccia.
Mykos
scodinzolò spiacente prima di mugugnare una risposta, al che il giovane fissò
confuso la madre prima di esalare: «Ho capito bene? Affari del branco?»
Il
lupo annuì col muso prima di volgere lo sguardo dietro di sé non appena Nak, il
lupo di Liana e Fyn, il lupo di Aken, fecero il loro ingresso nella casa.
«Ed
ecco rispuntare gli altri due. Eravate con lui, quindi?» chiese a quel punto
Antalion, fissando i tre lupi con aria inquisitoria.
Tutti
e tre annuirono e, dalla porta d’ingresso, la voce squillante e allegra di
Liana fece capolino, borbottando: «Hanno le bocche cucite, questi tre. Li ho
tartassati per bene, non appena li ho visti riemergere dal bosco, ma non mi
hanno voluto dire niente.»
Antalion
si illuminò in viso al solo sentire la voce dell’amata e, accoltala con un
bacio leggero sulla bocca, le chiese: «Nak non ti ha detto proprio nulla?»
Salutando
Eikhe con un sorriso e un bacio sulla guancia, Liana scosse subito dopo il
capo, replicando: «Affari del branco.»
Eikhe
allora fissò i tre lupi con aria vagamente confusa, mugugnando: «Beh, questa
davvero non mi è mai capitata prima.»
I tre
lupi si limitarono a scodinzolare prima di sgattaiolare nuovamente via e Liana,
con un sospiro, esalò: «Valli a capire! Quando ci si mettono, sono peggio dei
bambini piccoli.»
«Non
posso che essere d’accordo.»
Con un
risolino, Antalion fissò la madre - che stava ghignando divertita - prima di
chiederle: «Perché sghignazzi così?»
«Perché
stavo pensando a te da piccolo, e a come ti comportavi.»
Nel
dirlo, gli sorrise dolcemente.
«Ma se
ero bravissimo!» le ritorse contro Antalion, ammiccando malizioso.
«Anche
troppo…» ammise lei. «… e infatti, per anni, mi sono preoccupata che ci fosse
qualcosa che non quadrava. Quando andammo a palazzo, due anni fa, per pura
curiosità chiesi lumi a un’anziana balia di Aken, e lei mi confermò che tuo
padre si era comportato esattamente come te. Un bimbo calmo e quieto…almeno
fino ai cinque anni. Lì, è esploso. Esattamente come te.»
«Tale
padre, tale figlio» ammiccò Liana, dando un pizzicotto sul fianco ad Antalion.
«Non poteva andarmi meglio. Invecchia come lui, e io sarò la donna più felice
del mondo.»
Vagamente
accigliato, Atalion replicò con tono leggermente aspro: «Sicura di volere me, e
non lui?»
Scoppiando
a ridere assieme a Eikhe, Liana lo abbracciò calorosamente e stampò un sonoro
bacio sulle labbra per poi sussurrare solo per lui: «Sei tu l’unico uomo che voglio.»
«Bene»
si limitò a dire Antalion, prima di sentire lo scalpiccio veloce dei piedi di
Enyl e Rannyl, di ritorno dalla loro missione nel boschetto.
Le
braccia cariche di fiori a stelo lungo, e l’aria di chi si è divertito un
mondo, i due gemelli strillarono un saluto eccitato a Liana, che ricambiò con
dei baci sulle loro testoline.
Nel
veder rientrare il compagno in quel momento, disse: «Fatevi aiutare da papà a
sistemare i fiori per casa, adesso.»
«Papà!»
esclamarono in coro i bimbi, prima di vederselo comparire alle spalle in punta
di piedi.
Lo
strillo che lanciarono subito dopo venne presto sostituito da una risata
collettiva e, mentre Aken accompagnava in giro per casa i due figlioletti,
Liana li osservò con occhi languidi, sussurrando: «Sono adorabili.»
«Solo
perché non ti hanno svegliato di soprassalto come hanno fatto con me,
altrimenti non lo diresti» replicò bonario Antalion, avvolgendole la vita prima
di poggiarle il mento su una spalla.
Liana
si volse a mezzo per smentirlo e, con un risolino, esclamò: «Non fare
l’antipatico! Sai benissimo di essere innamorato pazzo di loro!»
«Non
confermo né smentisco» sghignazzò Antalion, osservando divertito i due
fratellini che correvano in giro per quella che, entro pochi mesi, sarebbe
stata la loro casa.
Quando
avevano proposto l’idea di costruire una nuova casa, così da crearsi un po’ di
indipendenza, i suoi genitori si erano dichiarati entusiasti della cosa.
In
particolare, Aken si era mostrato prodigo di consigli, e pronto a mettersi in
pista per aiutarlo in qualsiasi genere di lavoro si sarebbe reso necessario.
Non si
era mai tirato indietro, finendo con lo stancarsi spesso e volentieri più del
necessario, ma né Antalion né tanto meno Eikhe se l’erano sentita di fermarlo.
Entrambi
comprendevano benissimo i sentimenti che avevano spinto l’uomo a darsi tanto da
fare, per il figlio maggiore.
Il
dolore provato in quei lunghi sedici anni di lontananza, non si era mai sopito
del tutto, nel suo cuore.
Quando
l’opportunità di fare qualcosa di speciale per Antalion gli era stata
presentata praticamente su un piatto d’argento, lui l’aveva colta al volo.
Non
appena aveva ricevuto il via libera, si era messo d’impegno per creare qualcosa
di unico per il figlio che non aveva potuto veder crescere.
Ora la
casa era quasi ultimata, e Antalion ne amava ogni singola trave, ogni più
piccolo chiodo perché sapeva che, entro quelle pareti, c’erano l’amore
incondizionato del padre e la sua eterna protezione.
Non
avrebbero più vissuto sotto lo stesso tetto, ma Aken ci sarebbe sempre stato,
avrebbe sempre vigilato su di lui e sulla sua nuova famiglia e, per qualsiasi
cosa, si sarebbe mosso in loro difesa.
________________________
Bentornati e bentornate a coloro che vorranno seguirmi in questa breve storia che narra le vicende di “Occhi di Lupo” a sei anni dalla fuga di Aken tra le montagne.
Naturalmente, spero vorrete commentare e dirmi cosa ne pensate… vi aspetto. Anche per le critiche, s’intende! ^_^
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Capitolo 2 *** cap. 2 ***
2
Il sole brillava alto, nel cielo di un
azzurro intenso, illuminando la mulattiera terrosa che stavano percorrendo a
dorso di cavallo.
L’aria frizzante proveniente dai Monti
Urlanti era solo un pallido esempio di ciò per cui, quelle vette impervie e
inquietanti, erano diventate famose.
Il Bacio dei Monti Urlanti.
Sapeva per bocca dello zio di venti gelidi
che spiravano tra quei monti impervi e dalle vette seghettate, tali da
terrorizzare anche il più intrepido dei viaggiatori.
Per cause di forza maggiore, lo zio ne
aveva provato sulla pelle tutta la loro micidiale forza distruttrice.
Naell aveva sempre amato le sue storie, di
quando aveva viaggiato per settimane tra le montagne assieme a una donna e al
suo lupo così da salvare l’intero regno dalla minaccia dell’odiato Vartas.
All’epoca, era stata troppo piccola per
comprendere il sottofondo agrodolce delle sue parole.
Da quando, però, era diventata abbastanza
grande per capire certe sfumature, il ricordo delle parole di zio Aken le aveva
fatto capire quanto avesse amato quella donna-lupo in particolare.
Vedere Eikhe a palazzo, riunita a zio Aken
e finalmente felici insieme alla famiglia riunita, era stato una sorpresa più
che lieta, per lei, che aveva sempre amato moltissimo il fratello di suo padre.
L’idea di rivederlo assieme alla sua
famiglia e ai gemelli, che ancora non aveva conosciuto, la riempiva di una
gioia immensa, di certo non quantificabile.
A capo di quella spedizione di cinquanta soldati
c’erano suo fratello Staryn, un sedicenne alto e dinoccolato dall’aria da
studioso e la timidezza quasi cronica.
Al suo fianco procedeva Meyor, vecchio
allievo prediletto dello zio e suo grande amico.
Sedevano ritti sulle selle dei loro
stalloni, ricoperti da leggere tuniche di pelle dalle lunghe maniche, che
ricoprivano quasi interamente la cotta di maglie di ferro che portavano al di
sotto.
Non che temessero attacchi tra quei
territori a loro ameni, ma la prudenza non era mai troppa.
Anche lei, pur essendo donna, indossava
una cotta di maglie, sotto la tunica colorata, così come pesanti stivali di
cuoio alti al ginocchio al posto dei più eleganti e raffinati stivaletti di
pelle.
In quanto principessa, Naell avrebbe
potuto scegliere di percorrere il lungo tragitto che separava Rajana da
Hyo-den, piccolo villaggio disperso tra i monti, sui comodi cuscini di una
portantina, ma si era rifiutata categoricamente.
La sola idea di presentarsi al cospetto
della famiglia di Aken su quel lussuoso quanto inutile attrezzo, l’aveva
disgustata.
Aveva dodici anni, non novanta, e poteva
benissimo cavalcare come gli altri!
Certo, i primi giorni erano stati
tremendi.
Ricordava più che bene il dolore agli arti
e al fondo schiena, ma non aveva voluto cedere di un passo dai suoi intenti.
Soprattutto, però, non aveva voluto la
sella all’amazzone che, per quanto bella, era scomoda e prevedeva che lei
indossasse un vestito lungo.
Una gonna.
Rabbrividendo alla sola idea, Naell si
guardò in giro per scacciare l’orrenda sensazione provata al solo pensare a
quell’ammasso di stoffe, sottogonne, guardinfanti e nastri di cui era composto
un abito da principessa.
No, meglio indossare quelle comode brache
da cavallerizza in morbida pelle, e stare a cavalcioni sulla sella, piuttosto che
portare quell’ingombrante vestito dall’aria pomposa.
Non era mai stata una bambina amante dell’etichetta
di corte, pur se apprezzava gli agi di palazzo, come l’acqua calda o i morbidi
letti a baldacchino.
Quando, però, la possibilità di decidere
il regalo per il suo dodicesimo compleanno le si era presentata su un piatto d’argento,
aveva subito rammentato alla madre la promessa fatta anni prima.
La regina Renke, sua madre, non aveva
potuto che accettare la sua decisione e, dopo aver inviato un falco a Kannor, aveva
predisposto ogni cosa per il viaggio di sua figlia tra le montagne.
La partenza era avvenuta un mese dopo il
suo compleanno, con l’affacciarsi dell’estate – il periodo migliore per
avventurarsi tra quelle lande.
Dopo quindici giorni di estenuante quanto
eccitante risalita lungo la Carovaniera del Nord, erano quasi in dirittura
d’arrivo.
Il bosco intorno a lei, composto in gran
parte da abeti secolari, larici dagli aghi di un verde pallido e pini
seghettati, dalle caratteristiche chiome disordinate e disomogenee, sembrò salutarla
con il suo quieto borbottio.
Il vento, che scivolava tra i possenti
tronchi dalle cortecce rugose e rossastre, produceva dolci melodie accompagnate
dal canto allegro di qualche allodola di bosco.
Diversi fringuelli dalla coda verde,
invece, danzando nell’aria, volando a bassa quota fin quasi a sfiorarli.
Naell ne aveva ammirato più volte il
veloce andirivieni tra il bosco e la mulattiera, sorridendo divertita quando le
loro evoluzioni li avevano spesso portati in rotta di collisione con i carri
delle vettovaglie, o con i musi di alcuni cavalli.
Imperturbabili, i mansueti destrieri
avevano proseguito lungo la strada mentre lei, in più di un’occasione, aveva riso
di fronte a tanto stoicismo.
La voce allegra e solare di Strayn la
strappò a quei pensieri gai, riportandola alla realtà.
«Ehi, sorellina! Che ne dici di venire in
testa al gruppo? Si comincia a vedere il contorno delle case di Hyo-den!»
Sobbalzando sulla sella prima di lanciare
un’occhiata alla sua personale guardia del corpo, Naell diede un colpo di tacco
ai fianchi del suo baio prima di avviarsi in tutta fretta in capo al gruppo di
soldati.
Dopo aver affiancato la cavalcatura del
fratello, allungò il collo per capire dove si trovasse il villaggio.
Vagamente delusa, scorse solo altri abeti
e altre chiome verdeggianti ma, non appena avvistò la traccia indistinta di
quello che aveva tutta l’aria di essere fumo proveniente da un camino acceso,
sorrise raggiante ed esclamò: «E’ dietro quelle coltri di alberi?»
«Stando a quel ricordo, sì» annuì Meyor,
sorridendole generosamente.
Tutta contenta, Naell scalpitò sulla sella
prima di afferrare una mano del fratello ed esclamare: «Ci pensi? Siamo
arrivati!»
Staryn rise di fronte a tanto entusiasmo
e, annuito che ebbe, convenne con lei dicendo: «E’ l’unico villaggio che si
trova da queste parti quindi, o stiamo andando a finire in mezzo a un incendio
boschivo, oppure la meta è vicina.»
«Staryn! Non pensarlo nemmeno!» esalò
sconvolta Naell prima di guardarsi attentamente intorno e replicare
saggiamente: «Nessun animale sta scappando dal bosco, e non si sente odore di
resina bruciata. E’ sicuramente Hyo-den.»
«Lo so, mia ansiosissima Naell» assentì
Staryn, strizzandole un occhio.
«Non sono ansiosa!» sbottò lei, prima di
osservare con aria colpevole le sue mani serrate sulle briglie.
No, la era eccome, invece. E come negarlo?
Erano anni che sognava di coronare quel
desiderio, anni in cui si era imposta di imparare – per quanto possibile – a
non dare per scontate le comodità di palazzo, a cercare di capire come potere
cavarsela da sola.
Aveva anche tentato di capire come fare a
orientarsi, pur se con scarsi risultati.
Ovviamente, sapeva che una bambina di
dodici anni come lei era, cresciuta negli agi di corte e mai uscita da palazzo
se non nelle occasioni ufficiali, non avrebbe mai potuto cavarsela in un mondo
così diverso dal suo.
Sperava per lo meno di non apparire una
completa idiota, al cospetto dei suoi famigliari e delle altre ragazze-lupo
della sua età.
Diventare lo zimbello del villaggio, non
era tra i suoi progetti più immediati.
Dopo aver percorso l’ultimo tratto di
strada, il folto gruppo di soldati, al cui capo Naell ancora si trovava, sbucò
infine in un’immensa radura erbosa.
A poco meno di un miglio di distanza,
scorsero finalmente l’imponente contorno di Hyo-den.
Composto da diverse centinaia di
abitazioni, più o meno grandi per altezza o dimensioni, il villaggio era
disposto a mezzaluna nella radura circondata da un interminabile abetaia.
Magnifico nella sua imponenza, un
gigantesco monte dalla vetta aguzza incombeva su di loro come un’oscura quando
affascinante presenza.
Poco oltre la fine della vegetazione
rupestre, a estrema difesa del villaggio, una miriade di frangi-valanga
percorreva il fronte della montagna, un immenso braccio disteso a protezione
delle persone che si trovavano ai suoi piedi.
Osservando senza parole tutto ciò che la
circondava, dalle belle case in tronchi di legno, alla bellissima collocazione
del villaggio, Naell esalò ammaliata: «E’ un sogno…non può essere vero.»
Meyor e Staryn la osservarono comprensivi,
preferendo non aprire bocca, poiché ben poco avrebbero potuto dire, di fronte a
un simile spettacolo.
Sì, era difficile credere che un simile
luogo esistesse in terra, eppure vi erano di fronte, e le parole fecero difetto
anche a loro.
Il profumo dei fiori riempiva l’aria come
la più esotica delle spezie, inebriandoli.
Per alcuni momenti, dimenticarono quanto,
quella natura così generosa e splendente potesse tramutarsi, in pochi attimi,
in una forza distruttrice e vendicativa.
Nel percorrere la distanza ultima che li
separava dalla loro tanto agognata meta, Naell intravide oltre il limitare
delle case ciò che era rimasto – a suo dire – di un’antica valanga.
Pur trovando quei tronchi divelti e
spezzati come fossero stuzzicadenti, ciò non fece scemare minimamente il
piacere di quell’arrivo.
Non era sciocca, e sapeva che la montagna
era pericolosa, oltre che bella, ma questo non poteva far passare in secondo
piano il gaudio che stava provando.
Quando poi lesse il suo nome su uno
striscione appeso nel mezzo della via principale del villaggio, e sorretto da
corde appese alle due case che aprivano Hyo-den, i suoi occhi si riempirono di
lacrime.
Disposte sui due lati della strada
lastricata di pietre levigate, tavole su tavole imbandite non attendevano che
loro per essere svuotate con gusto.
Le donne e gli uomini del villaggio li
accolsero con cori di benvenuto dalle verande delle abitazioni.
Non appena l’ultimo uomo fu entrato nel
villaggio, Naell e suo fratello scesero da cavallo assieme a Meyor, mentre una
donna alta e robusta, dai capelli striati di grigio, si avvicinò a loro al
fianco di Eikhe e Aken.
«Il nostro più caloroso benvenuto,
principessa Naell e principe Staryn. La vostra venuta ci riempie di letizia»
esordì la donna, allargando le braccia come ad abbracciare l’intero villaggio.
Dopo aver lanciato un breve sorriso agli
zii, Naell si esibì in una specie di riverenza, prima di replicare
educatamente: «Siamo onorati di ricevere una così meravigliosa accoglienza. Non
avreste dovuto disturbarvi a questo modo.»
«La venuta di ben due principi del regno
merita questo e altro» ribatté bonariamente Istrea, sorridendole generosamente.
«Ben ritrovati, nipoti.»
Intervenendo, Aken si fece avanti di
un passo e Naell, che aveva resistito all’impulso fin a quel momento, lasciò da
parte le consuetudini e si gettò tra le sue braccia.
«Sono così felice di vederti, zio!»
Strettala in un abbraccio soffocante, Aken
le baciò il capo bruno prima di sussurrare: «Sei mancata anche a me, gattina.»
Scoppiando in una risatina nervosa
nell’udire ancora una volta il suo vecchio nomignolo, Naell fu sul punto di
mettersi a piangere.
Solo l’intervento di Eikhe le impedì di crollare.
Con un sorriso carico di comprensione e
affetto, la donna la avvolse in un abbraccio e disse allegra: «Ormai è una
tigre, la nostra Naell! Guarda come si è fatta grande!»
«Puoi ben dirlo!» ammiccò il compagno,
sorridendole generosamente prima di volgere lo sguardo in direzione del nipote
e aggiungere: «E tu! Lasciati abbracciare, ragazzo!»
Staryn fu un pochino meno irruente di
Naell, ma trasmise agli zii la stessa aspettativa, lo stesso affetto
incondizionato, lo stesso sollievo per essere infine giunti da loro.
Allegra e soddisfatta, Istrea batté le
mani ed esclamò: «Si dia dunque inizio alla festa!»
***
Seduti su un gradino della scala che conduceva
alla casa di Eikhe e Aken, Naell osservava lo svolgersi della festa di
benvenuto con un sorriso stordito sul volto.
Canti e balli si erano susseguiti
incessanti, assieme all’idromele e ai buonissimi e ghiotti piatti di carne e
frutta, che le donne-lupo avevano preparato per loro.
I soldati, svestiti più che volentieri i
panni dei baldi guerrieri, si erano mescolati ai presenti per festeggiare a
loro volta.
Pur se avevano in parte temuto
quell’evento, i principi si erano dovuti ricredere alla svelta.
Non c’era stato nessun imbarazzante
incidente, nessuna battuta lasciva, nessun tipo di mancanza di rispetto degli
uomini nei confronti delle loro ospiti.
Questo a conferma che, il processo di
cambiamento portato avanti da Aken, aveva dato i suoi frutti.
Aken stesso appariva particolarmente
compiaciuto della cosa e, sogghignando all’indirizzo di Meyor – che se ne stava
in piedi con le spalle poggiate contro il muro di casa – , commentò divertito:
«Non sono stato poi un completo fallimento, come insegnante.»
Con una calda risata di gola, Meyor scosse
il capo e replicò: «Affatto, Aken. Noi tutti ti ricordiamo con affetto e, alle
nuove reclute, viene impartito lo stesso addestramento cui ci hai sottoposto
tu.»
Ingollò un po’ di idromele, prima di
accennare un ghigno e aggiungere: «Certo, alcuni vecchi ufficiali storcono un
po’ il naso, a sentir dire che le donne-lupo non sono inferiori a nessuno dei
nostri soldati e che, nel caso delle figlie sacre, il divario va invece a
nostro discapito, ma i ragazzi sono propensi a credere a noi. Specialmente da
quando la Signora del Villaggio di Emeranta ha accettato di inviare alcune sue
ragazze a palazzo, per delle esercitazioni pratiche con i nostri allievi.»
Vagamente sorpreso, Aken fissò Eikhe in
cerca di spiegazioni prima di notare il suo completo sconcerto.
Con un sorrisino, il giovane soldato venne
loro incontro, spiegando ogni cosa.
«L’idea mi è venuta una volta che sono
uscito in perlustrazione assieme a un po’ di compagni. C’era bisogno di noi per
sedare una disputa tra il villaggio delle donne-lupo e quello di Korianos.»
Intervenendo, Aken spiegò alla sua
famiglia.
«Quando ero ancora a Rajana, volli che i
ragazzi uscissero dalla città per incontrare il popolo, perché non fossero
visti solo come guerrieri inavvicinabili, ma anche come persone a cui chiedere
aiuto o servizi. Visto che, dopotutto, sono obbligati a studiare
Diritto Civile e Penale, perché non far loro mettere in pratica le loro
nozioni?»
«Mi sembra giusto» annuì fiera Eikhe,
dandogli di gomito.
Con un risolino, Aken proseguì.
«Morale della favola, dopo essermi
accordato con alcuni ufficiali, li ho mandati fuori a gruppi di tre, seguiti da
un membro anziano dell’Accademia che facesse loro da guida e, dopo un po’ di
false partenze, siamo infine riusciti a far attecchire questo genere di moda.»
Meyor assentì, soggiungendo: «Di fatto,
abbiamo alleggerito l’annoso problema dei Giudici di Pace della città che,
troppo oberati di lavoro, non erano in grado di dirimere i casi di minore
importanza e, nel contempo, abbiamo permesso al popolo di avere più rapporti
con la corona, di cui l’esercito è il lungo braccio.»
Sollevando un sopracciglio con evidente
curiosità, Eikhe domandò: «E tuo padre fu d’accordo?»
«Glielo facemmo notare solo quando
l’ingranaggio era più che rodato, e i risultati ben evidenti» ammise con un
sogghigno Aken.
«Oh» esalò Eikhe, ridacchiando.
Naell ammiccò alla zia, celiando: «Zio
Aken non ti ha detto che le urla della loro lite furibonda si sentirono per
tutto il palazzo. Durò più o meno due ore, e papà era già pronto a intervenire
con i soldati. Ero piccola, ma me lo ricordo bene.»
«Mi immagino la scena» ammise Eikhe.
Tornando a osservare il suo vecchio
allievo, Aken lo invitò a proseguire.
«Per farla breve, non solo scoprimmo che
le pelli erano di ottima qualità, ma che il mercante aveva usato dei pesi
contraffatti per la bilancia, finendo con il pagare molto meno del dovuto alle
donne-lupo. Abbiamo perciò messo in prigione per un paio di mesi il
commerciante avaro, e dato il giusto compenso al villaggio di Emeranta. Nel
consegnare i soldi alla Signora del Villaggio, mi è venuta in mente quest’idea
di una sorta di gemellaggio tra loro e noi e così, parlandone con lei e con il
mio superiore…»
«Davvero un’ottima idea» si complimentò
Aken, allargando il proprio sorriso.
«Grazie» sorrise grato Meyor. «Sulle
prime, i ragazzi non mi sono parsi molto convinti ma, dopo essere stati battuti
nelle gare di equitazione, hanno preteso la loro presenza. Così, è
diventata una consuetudine e, da allora, alcune donne-lupo vengono inviate per
alcuni mesi a partecipare ad alcuni corsi in Accademia, mentre le veterane
vengono a palazzo per insegnare alcuni trucchi a noi. Mi sembra equo, no?»
Fu Eikhe a rispondere per tutti.
Sorridendo all’alto soldato, asserì
orgogliosa: «Quando seppi del progetto di Aken, non potei che essere lieta di
come avesse impiegato il tempo che ci aveva visti separati. Ora posso dire che
ha raccolto degli ottimi frutti.»
«E detto dall’Eroina del Regno, non può
che essere un più che gradito complimento» replicò elegantemente Meyor con un
leggero cenno del capo.
Eikhe rise imbarazza di fronte a quel
commento – a distanza di anni, quel titolo ancora la faceva arrossire – prima
di sorridere divertita quando vide tornare i gemelli con alcuni piatti carichi
di fette di torta.
Naell aveva amato al primo sguardo i suoi
cuginetti e Staryn, letteralmente, pendeva dalle labbra di Enyl che, proprio in
quel momento, porse un piatto al cugino con fare suadente.
«E’ per te, cugino Staryn.»
«Sei stata gentilissima, Enyl, ma dovrai
aiutarmi a finire tutta questa roba» ridacchiò il giovane, prendendola in
braccio e offrendole una fetta di torta ai lamponi.
La bambina la accettò di buon grado mentre
Rannyl, sedendosi al fianco di Naell, le sussurrò complice: «Fossi in te, direi
a tuo fratello di stare attento. Credo che Enyl voglia fargli uno scherzo.»
Sghignazzando, Naell esalò di rimando:
«Credo che mi divertirò a vedere quel che succederà.»
«Contenta tu…» sentenziò Rannyl prima di
offrirle galantemente il piatto di fette di torta che aveva portato con sé.
«Sono per te, Naell.»
«Grazie, Rannyl» mormorò la ragazza.
L’iniziale timore dei due gemelli nel
vedere così tante persone sconosciute, e due cugini di cui avevano solo sentito
parlare, era scemata con il passare dei minuti.
Non appena Enyl e Rannyl avevano preso la
necessaria confidenza con loro, era stato impossibile dividerli.
Antalion e Liana erano rimasti in disparte
per tutto il tempo, preferendo che i gemellini conoscessero meglio i cugini
senza sentirsi addosso le occhiate del fratello maggiore e dell'amica.
Proprio in quel momento, però, si fecero
vivi con diversi piatti di carne fumante e una brocca di limonata.
Accettando i piatti offerti loro, Aken ed
Eikhe ringraziarono sentitamente prima di dare sfogo alla loro fame addentando
le morbide costine di cervo inzuppate in calda salsa di verdure.
Imitatili, Antalion si andò a sistemare
accanto a Meyor, mentre Liana si sedeva vicino a Eikhe.
Osservando il vecchio amico del padre con
solerte interesse, gli chiese: «E’ andato tutto bene, fino a qui?»
«Sì, nessun problema, Antalion.»
Meyor ingollò un pezzo di trota salmonata
ed esalò: «Uhm, buona! La salsa, poi, è deliziosa!»
Ridacchiando, Antalion gli disse: «Si
ottiene con delle erbe di bosco che crescono nei dintorni. Se vuoi, prima di
tornare, mi faccio dare la ricetta da mamma, e te ne raccolgo un po’.»
«Faresti la felicità di mia madre. Lei
adora questo genere di cose» asserì Meyor aggiungendo subito dopo: «Hai dei
fratelli davvero bellissimi. Com’è stato crescerli con tuo padre presente?»
«Dire bello sarebbe riduttivo, ma non mi
viene in mente nient’altro, al momento» ridacchiò lui, osservando per un
momento con aria divertita ciò che stava succedendo sulle scale di casa.
Come predetto da Rannyl, Enyl aveva
propinato a Staryn una fetta di torta “contaminata”
da un pizzico di radice di jicana, particolarmente piccante e dal sapore
piuttosto acre.
Non appena il cugino l’aveva messa in
bocca, era diventato subito paonazzo e ora, aiutato da Eikhe – che stentava a reprimere
una risatina – Staryn stava cercando di recuperare la capacità di respirare.
Tutta contenta, Enyl era seduta di fianco
a Naell che, in preda a un attacco di risa irrefrenabile, era rossa in viso e
con le lacrime agli occhi per il troppo ridere.
Liana, invece, stava dando delle pacche
confortanti sulla schiena di Staryn mentre Aken, a metà tra il serio e il
faceto, tentava di spiegare a Enyl perché non si dovesse usare la jicana
nelle torte.
Meyor rise al pari di Antalion, prima di
dire: «Penso che presterò attenzione a quel che Enyl mi offrirà, non si sa
mai.»
«Oh, non usa mai lo stesso trucchetto due
volte di seguito. Sa stupire per il suo ingegno nel concepire disastri» ghignò
Antalion, lanciando un sorriso alla sorellina, che si alzò con un balzo per
raggiungerlo e abbracciarlo forte.
«Ho esagerato, fratellone?» gli chiese
candidamente lei, sbarrando due occhioni dorati per fissarlo supplichevole e
contrita.
Scoppiando nuovamente a ridere, Antalion
le scompigliò la massa ondulata di capelli dorati, replicando: «Vai a fare le
tue scuse a Staryn, e non fargli
più neanche uno scherzo.»
«Neppure una rana?» mugugnò lei, mettendo
un broncio adorabile.
Meyor sorrise ammirato, di fronte alla sua
magistrale interpretazione, ed esalò: «E’ un’ammaliatrice nata!»
Poi, piegatosi su un ginocchio, guardò la
bambina negli occhi e disse: «Hai qui con te la tua ranocchietta?»
Annuendo, la bimba infilò una mano nella
tasca della sua tunica di pelle e ne estrasse un piccolo ranocchio verde a
macchie nere che, subito, saltò via dal suo palmo, finendo sulla spalla di
Meyor.
Il giovane soldato sghignazzò nel
recuperarlo e, facendo l’occhiolino alla bimba, le sussurrò complice: «Facciamo
uno scherzo a papà.»
Illuminandosi in viso, Enyl si tappò la
bocca per non strillare felice e Antalion, osservando divertito il soldato, lo
vide sgattaiolare accanto alla scala d’entrata per poi infilare la mano munita
di rana tra le barre di legno del corrimano.
L’attimo seguente, la rana balzò sul
colletto della tunica di Aken.
Ciò che avvenne dopo, scatenò l’ilarità
generale.
Non appena la rana si ritrovò al buio,
schiacciata dal tessuto contro la carne dell’uomo, cominciò a scalpitare per
trovare una via di fuga e Aken, colto di sorpresa, balzò in piedi di colpo.
L’attimo seguente, finì gambe all’aria, inciampando in uno dei gradini
e crollando di schiena sul pavimento della veranda.
Lo scoppio di risa generalizzato fu
automatico e, mentre Aken si liberava dello scomodo inquilino, i suoi occhi
volarono rapidi a Enyl che, angelica, sollevò le mani come per dire: “chi, io?”.
Fu a quel punto che Aken si accorse della
risatina a stento trattenuta di Meyor e, mentre Eikhe lo aiutava a rialzarsi da
terra, l’uomo esalò sconvolto: «Meyor! Ti prego! Non anche tu!»
Non potendo più resistere, anche Meyor
scoppiò a ridere di gusto e Rannyl, con la sua logica ferrea, dichiarò
imperturbabile: «Almeno, stavolta io non c’entro nulla.» |
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Capitolo 3 *** cap. 3 ***
3.
Una pioggerella sottile picchiettava
sul tetto ricoperto di lastre di pietra grigia, mentre la notte avanzava
placida sulle sue ali spiegate.
Le emozioni dirompenti di quel primo
giorno, in compagnia degli zii e dei cugini, avevano così scombussolato Naell
che, ancora troppo agitata per dormire, navigava con lo sguardo nella semi
oscurità della stanza in cui si trovava.
Ormai da ore si chiedeva quando,
finalmente, il sonno avrebbe preso anche lei.
Alla notizia che Naell sarebbe rimasta al
villaggio priva della sua abituale dama di compagnia, Eikhe si era immediatamente
preoccupata che la ragazza potesse sentirsi troppo sola, nella casa di
Antalion, ancora vuota e disabitata.
La principessa, però, aveva presto risolto
l’annosa questione, chiedendo agli zii che un lupo dormisse con lei nella sua
stanza.
La richiesta era subito stata accolta con
un sospiro di sollievo.
Mentre Staryn si era impegnato a terminare
il ritratto di Enyl e Rannyl che era stato invitato a fare – dimostrando
un’abilità davvero sopraffina dipingere – Eikhe aveva mostrato la casa a Naell.
Armata delle sue sacche da viaggio e di un
incrollabile ottimismo, Naell l’aveva seguita con fiducia.
Non appena aveva messo piede
nell’abitazione di Antalion, aveva sospirato di ammirazione nel vedere i tanti
vasi colmi di fiori, e il fresco profumo di cera d’api passata da poco sui
mobili.
L’ambiente, rallegrato da diverse lanterne
appese alle pareti, era accogliente pur se privo degli orpelli che, di solito,
si potevano trovare nelle case abitate.
Nell’oltrepassare la porta che divideva il
soggiorno dalla zona notte, aveva detto alla zia: «Antalion e Liana hanno
costruito una casa davvero molto bella.»
Eikhe le aveva sorriso compiaciuta e,
nell’aprire un battente di pesante legno d’abete rosso, le aveva mostrato la
sua stanza, mormorando: «Qui dormirai tu.»
Sbattendo le palpebre con aria ammirata,
Naell aveva annuito gaia, lieta di poter finalmente iniziare quella
strabiliante avventura.
Stringendosi alla zia, aveva sussurrato
emozionata: «Grazie per l’opportunità che mi state offrendo.»
«E’ importante per tutti noi, che tu
capisca come vive il tuo popolo. Quel che facciamo qui non è così dissimile da
quello che succede negli altri villaggi. Potranno esserci leggi diverse, per
quel che riguarda il rapporto tra uomini e donne ma, per mandare avanti una
casa, servono sempre le stesse cose; olio di gomito e tanta forza di volontà.»
Nel dirlo, le aveva sorriso bonaria, prima
di sospingerla dolcemente all’interno della stanza per proseguire nel suo dire.
«Domani, vedrai come vive una normale
donna-lupo, quali sono i suoi compiti all’interno del villaggio e cosa ci si
aspetta da lei. Naturalmente, inizierai i tuoi lavori solo dopo aver
attentamente visionato quel che c’è da fare e, visto che sei una principessa,
vedremo di non metterti a spaccare legna fin dal primo giorno.»
Naell aveva subito levato lo sguardo a
scrutarla allarmata ed Eikhe, sogghignando divertita, aveva ammesso: «Scherzo.
Alle bambine non diamo il compito di spaccare legna. Non prima dei diciotto
anni, comunque. Prima, farebbero davvero troppa fatica, e sarebbe deleterio per
la loro crescita.»
Un lungo sospiro di sollievo era scaturito
dalle labbra a cuore di Naell mentre Eikhe, nel darle una pacca sulla spalla, l’aveva
rassicurata con dolcezza.
«Nessuno di noi pretenderà niente di
speciale da te, Naell. Sappiamo tutti che la vita di palazzo è diversa da
questa. I bambini che nascono qui sono abituati fin da piccoli a questo genere
di vita, mentre tu no. Impara ciò vedi; è questa la lezione più importante. Non
ti sarà richiesto di eguagliare nessuno, solo di capire.»
«Penso di poterlo fare» aveva assentito
Naell, sedendosi sul letto prima di guardare i propri piedi, infilati in un
paio di morbide pianelle di coniglio, e chiosare: «Sai che è la prima volta che
sono in una camera completamente da sola? Sì, insomma, senza
servitù e bambinaie al seguito.»
«Questo ti preoccupa?» le aveva domandato
Eikhe, sedendosi al suo fianco e passandole un braccio attorno alle spalle.
Scuotendo il capo e lasciando che i lunghi
capelli – ora sciolti – scivolassero sulle sue spalle, Naell aveva
giocherellato per un po’ con alcune ciocche morbide e ondulate, sussurrando
flebilmente: «Ho paura di fare la figura dell’imbranata. Ammetto di essere un
po’ permalosa, per quanto riguarda le critiche.»
Un risolino spontaneo era galleggiato
attorno a loro prima che Eikhe le spiegasse la sua personale esperienza.
«Uno di questi giorni, prova a chiedere ad
Aken cosa successe, durante il nostro viaggio tra i Monti Urlanti. Vedrai
che è una cosa comune a molti.»
Naell si era allora appoggiata alla sua
spalla, mormorando: «Mi manca un po’ la mamma.»
«Non sai che quando una fanciulla-lupo è
lontana da casa per una missione, la donna-lupo più anziana del gruppo di cui
fa parte, le fa da madre?» le aveva spiegato gentilmente Eikhe, dandole un
bacio sulla chioma bruna. «E’ normale che tu ne senta la manca. Tu e Renke
siete sempre state assieme. Ma non temere, andrà tutto bene e, presto, questo
dolore scemerà in qualcosa di più dolce.»
Aveva pianto in silenzio sulla sua spalla
per qualche minuto fin quando, con un ticchettio di unghie, aveva fatto la sua
comparsa Fyn, argenteo alla luce fioca delle lanterne e pronto a fare la
guardia alla loro ospite.
Ora Fyn riposava tranquillo sul tappeto ai
piedi del letto, e il suo respirare sommesso le dava la sicurezza di non essere
sola, di avere assieme a lei qualcuno che si sarebbe battuto con tutto se
stesso per proteggerla.
Allungando una mano, lo carezzò un paio di
volte, assaporandone la morbidezza del manto e la forza dei muscoli sotto
quello strato di candida peluria.
Sapeva che lo zio era il suo compagno da
poco più di un anno ma, da come li aveva visti interagire durante tutto il
giorno, le era parso che fossero affiatati come se si conoscessero da sempre.
Anche lei avrebbe tanto voluto averne uno
ma, nel suo viaggio a Hyo-den, non era contemplato che lei imparasse la lingua
dei lupi.
Avrebbe richiesto troppo tempo, anni e
anni, e lei non poteva permetterselo.
Per quanto moderni e aperti di idee
fossero i suoi genitori, lei rimaneva pur sempre una principessa, e non avrebbe
mai potuto abbandonare tutto per vivere in mezzo ai boschi.
Non era per lei imbracciare un arco per
cacciare o, peggio ancora, avere un lupo da addestrare.
Zio Aken lo aveva fatto per motivi più che
seri, ma il suo sarebbe apparso né più né meno come un capriccio.
Inoltre, lei aveva un’idea piuttosto
romantica della vita tra i boschi e, forse, tutto quello che aveva immaginato
le si sarebbe rivoltato contro già da domani, dinanzi alla cruda realtà dei
fatti.
Forse, sarebbe tornata a Rajana con la
coda tra le gambe, distrutta nello spirito e umiliata a vita.
Drizzandosi a sedere nel bel mezzo del
letto, Naell si diede un paio di schiaffetti sul viso per darsi una scrollata
e, accigliandosi, sbottò: «E’ vero, sono una principessa, ma non sono una
mammoletta! E lo dimostrerò a tutti!»
***
«Naell… Naell…»
Un mugugno si levò
dal cuscino di piume, sul quale Naell teneva poggiato il viso ed Eikhe, con un
mezzo sorriso, la scosse leggermente prima di ripetere il suo nome con un po’
più vigore.
Ancora palesemente rintronata dalla
stanchezza, la ragazzina si volse, mostrandole le spalle e, nuovamente, un
mugugno raggiunse le orecchie di Eikhe.
Ora ridacchiando, la
donna sogghignò divertita prima di levare di colpo le coperte e lasciare che
l’aria fresca della stanza le solleticasse il corpo, ricoperto da una pregiata
camicia da notte.
Subito, Naell strillò di sorpresa e, rizzandosi a sedere sul letto con
il chiaro intento di mandare al diavolo chi l’aveva svegliata, si ritrovò a
fissare il viso abbronzato e sorridente della zia che, serafica, le chiese:
«Sì, tesoro? Dimmi.»
Avvampando in viso con la velocità del
fulmine, Naell rammentò immediatamente dove e perché si trovava lì assieme a Eikhe e, con un
risolino imbarazzato, scese da letto e infilò i piedi nelle pianelle.
«E’ molto tardi, zia?»
«Sono le sette del mattino. Aken sta
preparando la colazione, e Antalion sta mungendo la mucca. Tutto nella norma. I
gemellini si stanno vestendo, e i lupi stanno divorando la loro razione di
carne.»
Detto ciò, schioccò la lingua in direzione
di Fyn che, con un uggiolio allegro e una scodinzolata, se ne andò lesto dopo
averle strusciato il corpo contro una gamba a mo’ di saluto.
A quella vista, Naell sorrise deliziata
prima di chiedere alla zia: «Cosa posso fare?»
«Vestirti?» ipotizzò sorridente Eikhe,
prima di chiederle: «Hai bisogno di una mano?»
«No. Ho portato con me solo abiti che
potessi indossare da sola» le spiegò Naell, avvicinandosi alla cassapanca per
prendere i vestiti che avrebbe messo quel giorno.
Annuendo compiaciuta, Eikhe la scrutò
pensierosa mentre Naell prendeva dal mobile un paio di brache di cuoio, una
camiciola di cotone e una tunica corta in lana secca color fuliggine.
Erano tutti indumenti semplici, senza
ricami particolari o alamari di fattura raffinata, tutte cose che la figlia
sacra approvò in pieno.
Non che temesse l’invidia delle ragazza,
ma era pur sempre giusto non fomentare inutili rivalità.
Per quanto l’educazione, nel villaggio,
prevedesse di non giudicare nessuno dall’aspetto fisico, o dal luogo di
provenienza, tutti sapevano chi fosse Naell.
Non dubitava, perciò, che vi sarebbe stato
qualche incidente diplomatico, per
così dire.
Quando infine Naell fu pronta, la
accompagnò fuori e, tornati che furono sulla via principale, risalirono le
scale che portavano alla veranda dell’abitazione di Eikhe.
Sull’entrata, quindi, esclamò: «Eccoci
qui!»
Un coro di ‘buongiorno’ le investì piacevolmente e Naell, con un gran sorriso,
si accomodò al tavolo della cucina prima di osservare curiosa ciò che si
trovava sul ripiano di legno.
Uova fresche si accompagnavano a toast
ricoperti di burro e marmellata, oltre a latte in quantità e frutta di
stagione.
Servendosi del latte, ne assaporò la bontà
morbida e dolce e, subito dopo, addentò il toast alla marmellata di lamponi,
mormorando: «Mmmhh, delizioso. Ha un sapore così pieno!»
«E’ la fame a parlare» ridacchiò Eikhe,
pur apprezzando il complimento.
«E’ la verità, zia. E’ buonissima!»
esclamò Naell, prima di chiedere loro: «Staryn e gli altri sono già svegli?»
«Che io sappia, no. Non ho ancora visto
nessuno, in giro per il villaggio» le spiegò Eikhe con un risolino.
Accolti nelle case di Hyo-den come ospiti
onorati, i soldati e il principe non si erano ancora fatti vivi in paese, dopo
i bagordi della sera precedente.
Da quel poco che Aken e gli altri potevano
immaginare, sarebbero passate ancora diverse ore, prima che qualcuno di loro si
presentasse al loro cospetto.
Con tutto l’idromele che era corso la notte precedente, e tutti i
balli che erano stati fatti, sia Aken che Eikhe dubitavano che si sarebbe visto
qualcuno prima del pomeriggio.
Naell sogghignò divertita e chiosò: «Se
mamma venisse a sapere che Staryn si è ubriacato con l’idromele, darebbe in
escandescenze.»
«Renke è troppo lontana, per affondare le
unghie nella schiena di quel poveretto. E penso che, almeno per qualche anno,
non ne vorrà più sapere di bere degli alcolici fatti in casa» sghignazzò Aken,
strizzando l’occhio alla nipote, che annuì complice.
Terminato per primo la colazione, Antalion
si alzò in fretta, portando il suo piatto nel lavabo.
Dopo averlo sciacquato, diede un bacio ai
fratellini prima di dire alla madre: «Mi trovi sul retro di casa mia, se hai
bisogno. Lavorerò allo steccato tutto il giorno.» Poi, rivoltosi al padre, gli
chiese: «Hai tempo di raggiungermi, oggi?»
Aken scosse il capo, spiacente,
replicando: «Sono impegnato dai frangi-valanghe. L’altro ieri non abbiamo
finito e, da quel poco che ho visto, ne avremo per tutta la giornata.»
«Fa niente. Ci metterò un po’ più tempo»
scrollò le spalle Antalion, sorridendo a Naell e dicendole allegro: «Buon primo
giorno a Hyo-den, piccola.»
«Grazie, cugino Antalion, e buon lavoro»
disse Naell, con cortesia.
Antalion si fermò a metà di un passo, la
fissò vagamente divertito e asserì: «Naell, non c’è bisogno di usare la formula
di cortesia, qui. Il ‘cugino’ puoi
pure cancellarlo. Sono Antalion. Punto.»
«Va bene» annuì allora Naell, tutta
sorridente.
«Ottimo. A stasera!»
«Ti porterò il pranzo!» gli gridò dietro
Eikhe prima di sentire sbattere la porta.
Naell rise di fronte all’espressione
divertita della zia e, nel terminare il suo uovo sodo, asserì: «Ho finito
anch’io. Cosa devo fare a questo punto?»
Eikhe la seguì al lavabo, le mostrò come
funzionava la pompa che attingeva al pozzo e le spiegò il modo corretto di
ripulire il piatto dai residui di cibo.
Concentrata al massimo, Naell eseguì tutto
ciò che la zia le indicò di fare prima di poggiare il piatto come aveva fatto
Antalion.
Scrutandolo dubbiosa per alcuni secondi,
infine le chiese: «Dubito tu li lasci lì ad asciugarsi. Posso passarli con lo
strofinaccio, se vuoi.»
«Oggi, i piatti spettano ai gemelli. Da
domani, entrerai anche tu nella turnazione, va bene?» le spiegò Eikhe,
avvolgendole le spalle con un braccio.
«D’accordo.»
Rivoltasi poi al compagno, Eikhe disse:
«Porterò anche a te il pranzo, più tardi. Pensi tu a portare Enyl e Rannyl
dall’insegnante?»
«Non ti preoccupare. Li accompagno mentre
raggiungo gli altri. Buona giornata, ragazze» sorrise Aken, alzandosi per dare
un bacio a entrambe.
Eikhe lasciò che il compagno indugiasse un
attimo sulle sue labbra calde prima di scostarsi, sorridergli carica di
promesse e infine andarsene assieme alla nipote per il loro giro esplorativo
nel villaggio.
Quando furono in strada, Naell sorrise
alla zia e domandò con sincera curiosità: «Aken non sente minimamente la
mancanza di Rajana, vero?»
«Se intendi la città, no. Ma voi gli
mancate, come a me, del resto» le spiegò Eikhe, sorridendo divertita quando
vide uscire un paio di soldati da una casa vicina.
Apparivano vagamente storditi, e le facce
erano pallide e vagamente verdognole.
«Troppo idromele.»
Naell non poté fare a meno di ridere di
gusto e, quando passò accanto ai due soldati della guardia, li salutò con calore
pur volendo piegarsi in due per le risate di fronte alle loro espressioni
sconvolte.
Eikhe mostrò lo stesso stoico contegno ma,
non appena raggiunsero le stalle dei puledri, si appoggiò a un box ed esplose
in una calda risata di gola, cui si accodò subito dopo anche Naell.
L’addestratrice di cavalli, nel vederle
così ilari, si avvicinò a loro con la tipica andatura flessuosa delle
donne-lupo e disse: «Fate ridere anche me, belle ragazze.»
Eikhe la salutò con un cenno della mano
prima di scostare la porta della stalla e mormorare: «Guarda tu stessa,
Mesera.»
La donna dai folti capelli scuri scrutò la
strada con i suoi profondi occhi di colomba prima di sgranarli, richiudere la
porta e sogghignare divertita.
Un attimo dopo, esplose a ridere di gusto,
trascinando con sé anche Eikhe e Naell che, con le lacrime agli occhi e un
sorriso ilare, esalò quasi senza voce: «Sono messi malissimo!»
Mesera ammiccò complice, chiosando: «Mai
fidarsi dell’idromele di montagna.»
«Credo che ora lo sappiano anche loro»
assentì Naell, prima di ricomporsi non appena vide alcune giovani ragazze-lupo
sul fondo della stalla.
Gli occhi puntati su di lei con aperta
curiosità, le ragazze si avvicinarono quasi saltellando e, dopo una breve
occhiata alle due adulte ridacchianti, la più coraggiosa del gruppo si rivolse
a Naell.
«Possiamo partecipare anche noi a tanta
ilarità, principessa?»
Scuotendo una mano, Naell si affrettò a
dire: «Solo Naell, per favore e sì, potete partecipare. Guardate fuori, e
ditemi se non sono comici.»
Come un solo corpo, le ragazze si mossero
all’unisono per portarsi nei pressi dell’entrata della stalla e, non appena
scorsero il motivo di tanta ilarità, scoppiarono in risatine divertite e
cinguettanti.
Ghignando allegramente, Naell chiosò:
«Credo che questo particolare non lo racconterò a mio padre. Se scoprisse che i
suoi valenti soldati si sono dati alla pazza gioia, e ora brancolano come dei
fantasmi in cerca di ristoro, non credo ne sarebbe molto fiero.»
Eikhe si asciugò le lacrime dal volto
prima di annuire e asserire: «Sì, è meglio se non glielo accenni.»
Lanciando un’occhiata interessata
all’esterno della stalla, da cui si intravedeva in lontananza la casa di Istrea
– dove aveva dormito Staryn – Naell sogghignò furba e si chiese: «Chissà se mio
fratello è messo come gli altri?»
Le ragazzine compresero immediatamente il
suo pensiero e scoppiarono nuovamente a ridere mentre Mesera, tornando più o
meno seria, le redarguiva bonariamente.
«Per Hevos, bambine! Un po’ di contegno!»
Niente da fare.
Le ragazze risero ancora di più ed Eikhe,
avvolgendo con un braccio le spalle della nipote, le confidò: «Dal numero di
boccali che gli ho visto trangugiare, credo che stamattina non lo vedremo tanto
presto. Ma io terrei questa informazione per te, caso mai ti servisse in
futuro.»
«Grazie, zia.»
Il sorriso di Naell fu così ghignante e
malizioso, che Eikhe rischiò di scoppiare nuovamente a ridere.
Battendo le mani per far tornare un po’
d’ordine tra le truppe, Mesera esclamò: «Molto bene! Ora che ci siamo fatte
quattro risate, riprendiamo il lavoro.»
Poi, rivoltasi a Naell, aggiunse: «Ti
affiderò a Kalia e Nyssa. Loro ti spiegheranno i lavori che svolgono le
ragazzine della tua età. Ora, ho bisogno di tua zia per una giumenta in
travaglio. Se avrete necessità di parlarci, ci troverete in fondo al capannone,
va bene?»
«Mi rimetto ai vostri consigli, Mesera»
annuì compita Naell, prima di notare il sorrisone divertito della donna.
«Meno formalità, bimba. Non siamo a
palazzo, e qui non c’è bisogno di tanti fronzoli, nel parlare» le spiegò
Mesera, dandole una pacca sulla spalla.
«Messaggio ricevuto» annuì allora Naell
prima di voltarsi in direzione delle ragazze-lupo e deglutire vagamente
imbarazzata.
Kalia e Nyssa, due ragazze di circa
quindici anni, alte e sottili come giunchi e abbigliate con le classiche
tuniche di pelle di daino delle donne-lupo, si fecero avanti tutte sorridenti.
Allungata la mano nella loro direzione,
mormorò: «Naell, tanto piacere.»
In un attimo, la principessa fu
letteralmente circondata dalle ragazzine che, tra risatine imbarazzate e
sorrisi sinceri, si presentarono a loro volta prima di essere scansate dalle
due insegnanti di turno di Naell.
«Via, via, abbiamo del lavoro da sbrigare.
Parlerete con la principessa più tardi!»
«Kalia, non fare la presuntuosa solo
perché sei la più grande!» brontolò Frisa, fissandola malamente.
Naell si affrettò a intervenire, dicendo
diplomaticamente: «Kalia ha ragione. Non vorrei mai essere la causa di un
ritardo nei lavori. Mi concederò alle vostre domande non appena avrò capito
come si fa a tenere in mano una pala.»
Le ragazzine a quel punto risero e Nyssa,
ammiccandole complice, le sussurrò all’orecchio: «Ottima mossa, principessa.»
«Naell» le rammentò la bambina,
sorridendole. «Ci tengo davvero.»
«Niente titoli, allora» sentenziò Nyssa,
afferrando una pala da una rastrelliera vicina per porgergliela. «Cominciamo
dalle cose basilari. La pulizia.»
«Va bene» annuì Naell, afferrando a due
mani il manico di legno prima di seguire fiduciosa le sue due insegnanti.
Entrate che furono in un box, mentre alle
loro spalle il capannello di ragazze-lupo andava scemando, Kalia esordì con
tono pacato.
«Saprai sicuramente che i cavalli non sono
solo belli, ma lasciano anche un discreto olezzo, quando fanno i loro
bisognini.»
Naell ridacchiò, annuendo.
«Ho visto spesse volte gli stallieri
mentre pulivano i box, quindi so cosa intendi. Purtroppo, mi era vietato dar
loro una mano. Se la balia mi avesse sorpresa a fare un lavoro del genere,
probabilmente mi avrebbe rinchiusa nello sgabuzzino.»
Kalia e Nyssa ghignarono assieme a lei
mentre Naell, osservando con il naso arricciato ciò che avrebbe dovuto spostare
con la pala, mugugnò: «Perché ho l’impressione che questo lavoro mi lascerà dei
dolori ovunque?»
Nyssa sentenziò bonariamente: «Perché,
evidentemente, sei una ragazza accorta e intuitiva.»
«Non so perché, ma questo complimento non
mi esalta, ora come ora.»
Schiaritasi poi la gola, aggiunse: «Bene.
Come la aggredisco, quella montagna di roba maleodorante?»
Kalia le sorrise comprensiva e, dopo
averle spiegato come tenere la vanga, le ricordò di non caricarsi di pesi eccessivi,
così da non stancarsi subito e farsi venire dei dolori lancinanti alla schiena.
Di buona lena, Naell iniziò il suo primo
lavoro veramente impegnativo e, dopo meno di dieci minuti di quel
carica-e-scarica, si volse col viso accaldato e l’aria stremata in direzione
delle sue insegnanti, esalando: «E voi lo fate tutti i giorni?»
Nyssa le batté una mano sulla spalla,
annuendo e, presa una seconda pala, iniziò a darle una mano.
«Solitamente, siamo in due. Una spala, e
l’altra porta la carretta alla buca del compostaggio. I residui vengono usati
per creare concimi che, in seguito, vengono portati a Marhna e venduti ai
grossisti. Non si butta via praticamente niente, al villaggio.»
«Capisco» esalò Naell, guardandosi le mani
arrossate prima di chiedere a Kalia: «Sarebbe increscioso se indossassi dei
guanti?»
Sgranando leggermente gli occhi, Kalia
arrossì profusamente prima correre fuori dal box per poi tornarne, pochi attimo
dopo, con un paio di guanti di pelle.
«Scusa. Non ci avevo proprio pensato.
Errore mio.»
Infilati i guanti con un moto di
gratitudine, Naell riprese il lavoro di buona lena, pur sentendosi bruciare le
spalle e le braccia per il dolore.
Non voleva sconti di alcun genere, pur
sentendosi prossima al cedimento.
Nyssa, però, la bloccò dopo poco più di
un’ora di quel duro lavoro, prendendo il suo posto.
Prevenendone qualsiasi replica, le spiegò:
«Non ha senso che ti sfianchi subito. Devi provare, non ucciderti. Già Eikhe mi
sgriderà perché ti ho permesso di metterti subito al lavoro, invece di farti
solo vedere cosa facciamo qui.»
«Non glielo dirò» le promise
immediatamente Naell.
Nyssa allora ridacchiò.
«Se ne accorgerà stasera, quando ti
lamenterai per il male ai muscoli. E credimi, ti lamenterai» le predisse
bonariamente la ragazza, lavorando con agilità di movimenti mentre Kalia
annuiva alle parole dell’amica.
Mordendosi un labbro, un’espressione
imbronciata dipinta sul viso acqua e sapone, Naell brontolò: «Dirò che ho
insistito io.»
«Nobile da parte tua, Naell, ma non
occorre che mi copri» replicò Nyssa, facendo poi un cenno a Kalia perché
uscisse con la carriola. «Segui Kalia, così vedrai dove finisce questa roba.
Dopo, andremo a strigliare i cavalli.»
«Quello lo so fare!» esclamò più
tranquilla Naell, ritrovando il sorriso.
«Ottimo.»
Poi, dandole una pacca sulla spalla, Nyssa
le confidò: «Non è mai facile per nessuno, il primo giorno. Solo, noi iniziamo da
piccole, a lavorare nella stalla. Ti abituerai come hanno fatto tutte. Inoltre,
non lavoriamo soltanto.»
«E cioè?» volle sapere Naell, curiosa.
Kalia le strizzò un occhio e la invitò a
seguirla fuori dalla stalla.
All’esterno, l’aria frizzante e il profumo
dei fiori proveniente dal bosco vicino la rallegrarono non poco, dopo il puzzo
non proprio eccellente del box dove aveva lavorato.
Seguendo come un cucciolo fiducioso la sua
insegnante, le sentì dire: «Seguiamo lezioni di cucito, di canto e di ballo,
oltre a studiare matematica, lingue e storia. Tuo zio Aken è uno degli
insegnanti.»
«Davvero?» esalò Naell, più che sorpresa.
Annuendo, Kalia aggiunse: «Lui si occupa
di tutto ciò che riguarda la matematica e il commercio, oltre a impartirci
lezioni di scherma. Sai, dobbiamo stare attente a non farci mettere nel sacco
dai commercianti, quando vendiamo le nostre mercanzie e, all’occorrenza,
dobbiamo saper snudare le daghe con efficienza.»
Naell rise, annuendo, prima di spiegarle:
«Si occupava di commercio anche quando viveva a palazzo. Nessuno meglio di lui
potrebbe insegnarvi come evitare i tiri mancini dei mercanti. Per quel che
riguarda la spada, poi, non potreste avere insegnante migliore.»
Inerpicandosi su per uno stretto viottolo
che conduceva poco fuori il villaggio, Kalia aprì un cancelletto di tronchi
d’albero prima di entrare in un recinto.
Nello scrutare curiosa Naell, le chiese:
«Quanto è diversa, la vita di palazzo, da questa nel villaggio?»
«Credo come il giorno dalla notte» iniziò
col dire Naell, aiutandola a sollevare un grosso tappo di legno, sotto cui si
trovava il compost in fermentazione.
Con un ghigno, poi, la principessa
aggiunse: «A palazzo, sono perennemente controllata a vista dalla balia,
dall’istitutrice, dai maestri di canto e dizione, dall’insegnante di ballo…
insomma, è uno strazio. Devo sempre moderare i toni, mostrarmi carina e
affabile, sorridere in ogni situazione, ricordarmi che sono la principessa
almeno ottanta volte al giorno, camminare ritta ed elegante, portare con
proprietà le pietanze alla bocca…»
Interrompendola con un risolino, Kalia
scosse il capo ed esalò: «E’ uno strazio!»
«Eccome! E considera che i miei genitori
sono dei progressisti, e alcune cose le hanno cambiate, rispetto al passato»
mormorò Naell, reclinando il capo e guardandosi le mani ancora coperte dai
guanti. «Ho solo dodici anni, ma comincio a capire perché lo zio stesse
lentamente spegnendosi, a Rajana. Non c’era aria sufficiente, per lui. Era
soffocato da tutta l’opulenza del palazzo, dalle sue leggi assurde e vetuste,
dal suo protocollo inflessibile.»
«Esistono regole anche qui» ci tenne a
dire Kalia, riprendendo la via del ritorno.
«Oh, lo so» asserì Naell. «E imparate a
seguirle fin da piccoli, come noi. Ma… non so, è come se qui fosse più
semplice, seguirle. Come se fossero meno soffocanti.»
Kalia rifletté un attimo sulle parole
della principessa, prima di assentire.
«Credo che il duro lavoro non ci pesi,
perché sappiamo che tutti lo devono portare avanti, senza distinzione di sesso
o altro. Persino Istrea, che è la Signora del Villaggio, fa i suoi turni in
stalla esattamente come gli altri. Ma non credo dipenda solo da questo. Penso
che anche da te ci siano persone che amano il proprio lavoro, esattamente come
qui.»
«Sì. Mio padre è bravo nel suo mestiere, e
non gli spiace farlo, anche se a volte vorrebbe strangolare qualche ministro, o
prendere a pugni alcuni delegati troppo esuberanti» ammise Naell.
Kalia sorrise a quel commentò e annuì,
replicando: «Il problema credo stia nel fatto che, per quanti lussi o agi uno
possa avere, se quello non è il tuo posto, non ti troverai mai bene. E
viceversa. Qui al villaggio ci sono state ragazze che hanno lasciato perdere
questa vita, si sono sposate con uomini di Marhna e hanno abbandonato la vita
nei boschi. Obbligare qualcuno a seguire un’inclinazione che non è la propria,
porta solo dolore.»
Naell reclinò il capo per un momento,
scrutando nuovamente le sue mani inguantate prima di risollevare lo sguardo e
osservare meditabonda il contorno dei tetti del villaggio.
Le sarebbe piaciuto vivere lì per sempre?
O la sua era una fase di ribellione?
Era sempre stata la più irrequieta, tra i
figli del re, ma questo poteva voler dire di avere la stessa avversione che lo
zio aveva avuto per la vita a palazzo?
Non sapeva dirlo, e la cosa la spaventò un
poco.
Mordendosi un labbro, si volse a guardare
Kalia, che la attendeva paziente sul sentiero, e le domandò incerta: «E se la
vita di palazzo non facesse per me?»
«Allora, hai un grande problema, Naell,
figlia di Ruak e Renke» sospirò Kalia. «Scendiamo. Nyssa si starà chiedendo
dove siamo sparite.»
«Sì, andiamo» annuì la principessa,
riprendendo il cammino.
Sarebbe stata ancora la principessa Naell,
alla fine di quel periodo di vacanza?
O avrebbe rimesso piede a palazzo come una
persona nuova, a cui il mondo opulento della regalità sarebbe stato inviso come
una tempesta di neve tra i monti?
Davvero non ne aveva idea, ma il solo
pensiero la portò a rabbrividire.
Amava la sua famiglia, ma anche lo zio li
amava, eppure si era trasferito lì in pianta stabile.
Certo, lui aveva voluto raggiungere
l’amore della sua vita, il figlio mai conosciuto, perciò la faccenda era
completamente diversa. Eppure…
Sarebbe riuscita a separarsi dalla madre,
dal padre, dai fratelli, pur di vivere lontana dalle regole restrittive imposte
a una principessa?
E, soprattutto, era quello che desiderava
veramente? |
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Capitolo 4 *** cap. 4 ***
4.
Staryn era rientrato sano e salvo da
circa una settimana, stando alla missiva che era giunta tramite falco alla casa
di Istrea.
La famiglia reale ringraziava tutto il
villaggio, per l’accoglienza festosa riservata ai due figli del re e al loro
seguito.
Nel messaggio, Ruak e Renke si
complimentavano coi cognati per la bellezza dei gemelli, e si auguravano di
poterli vedere di persona, prima o poi.
Nel replicare alla missiva con un messaggio
di ringraziamento, Aken promise loro che, quando i gemelli fossero stati un po’
più grandi, avrebbero sicuramente accettato il loro invito.
Naell, pur lieta di aver saputo del buon
esito del viaggio del fratello, aveva sospirato infelice nel buio della sua
stanza, sentendosi spaesata più di quanto non si sarebbe mai aspettata di
essere.
Pur avendo desiderato quella vacanza, la
vita nel villaggio le pesava più di quanto fosse disposta ad ammettere e, pur
con tutte le attenzioni di Eikhe e di Aken, le mancavano i suoi genitori.
Il lavoro che aveva svolto fin dal primo
giorno lì a Hyo-den ne aveva minato, più di tutto, le sicurezze perché mai, in
vita sua, aveva dovuto faticare tanto.
Ricoprirsi di sudore e polvere come,
invece, le capitava ogni giorno, non la aiutava a ritemprare il suo ego.
Se in passato aveva creduto che la vita a corte
fosse pesante e difficilmente sopportabile, al villaggio si era dovuta
ricredere alla svelta.
Nessuno le faceva pesare la sua lentezza
nel lavorare, o i suoi modi impacciati, ma bastava già il suo subconscio a
metterla a disagio, specialmente quando le metteva sotto il naso la sua
inettitudine nel lavorare.
Non voleva apparire goffa ma, di fatto, la
era, e questo non contribuiva certo a migliorarne l’umore.
I pianti silenziosi nella sua stanza,
quando nessuno poteva vederla, erano quasi all’ordine del giorno.
Naturalmente, di fronte agli zii e ai
cugini, come al resto del villaggio, non aveva espresso i suoi lamenti, che lei
stessa giudicava infantili.
Non essendo però abituata a convivere la
notte con un lupo, non aveva pensato a quanto, il suo compagno di stanza,
potesse invece comprendere i suoi problemi.
E riferirli di conseguenza al suo amico e
padrone.
Turbato per il malumore della ragazza, Fyn
era sgattaiolato una mattina nei pressi dei frangi-valanghe, dove sapeva
trovarsi Aken.
Dopo aver attirato la sua attenzione, gli
aveva spiegato per sommi capi – e per quanto fosse possibile a un lupo – ciò
che stava passando Naell.
Aken lo aveva ringraziato con una grattata
dietro le orecchie, e la promessa di una bella bistecca per cena.
Ritenutosi soddisfatto, il lupo se n’era
andato nel bosco come in quelle settimane – a turno – ogni membro del branco
stava facendo con insolita puntualità.
Più di un abitante di Hyo-Den aveva notato
con quanta assiduità, i lupi, si recassero nella foresta ma, a nessuno, era
stata data una risposta esauriente.
Affari del branco.
Come se questo potesse dire loro qualcosa.
A turno, una decina di lupi si assentavano
dal villaggio per ripresentarsi solo a sera inoltrata, solitamente col pelo
inumidito o, addirittura, fradicio.
Cosa facessero rimaneva un mistero e, i
pochi che avevano cercato di pedinarli, erano stati ben presto seminati.
Anche quella mattina, mancavano
all’appello diversi lupi e, quando le rispettive padrone ne parlarono durante
la consueta lezione di cucito, Naell si interessò personalmente dell’argomento.
«Anche il lupo di mio zio, ogni tanto,
sparisce. E così pure quelli di Eikhe e di Antalion.»
Liana, che era accomodata a poche sedie di
distanza da lei, asserì a sua volta: «Nak è un vero mistero. Non mi dice mai
nulla e torna a casa quasi sempre col pelo bagnato, neanche si fosse ruzzolato
nella neve.»
Bonariamente, Istrea sorrise tutte loro e
chiosò: «Quando vorranno dirci cosa stanno combinando, lo faranno.»
«Mah…» mugugnò Kalia, prima di sorridere a
Naell, seduta alla sua sinistra, e mormorare ammirata: «Davvero un bellissimo
ricamo, Naell. Sei veloce, nell’esecuzione.»
Con uno sbuffo infastidito, Naell le
spiegò: «Se sapessi quante ore passo a ricamare, ti spaventeresti.»
«Ti prepari da sola la dote per quando
sarai maritata a un principe?» la irrise bonariamente una delle ragazze,
strizzandole l’occhio per smorzare la battuta.
«Qualcosa del genere» sospirò Naell,
ridacchiando senza troppa allegria. «All’attivo, ho già una decina di cuscini
ricamati, una quindicina di copri-letti, non ricordo neppure più quanti scialle,
e fazzoletti per un intero reggimento.»
Tutte le donne presenti sogghignarono di
fronte al suo tono scocciato mentre Istrea, sorridendole indulgente, le
replicava bonaria: «Se non altro, potrai dire di avere le dita allenate.»
«Le dita più allenate del regno, questo è
poco ma sicuro!» esclamò Naell, cercando di mascherare il dolore che percepiva
ai polpastrelli, irritati dal lavoro nella stalla.
Seguendo le istruzioni di Kalia – unica a
sapere del suo problema – aveva ammorbidito la pelle con unguenti alle erbe, e
fatto dei lavaggi con acqua tiepida tutte le sere, prima di mettersi a dormire.
Il dolore, pur se diminuito, non era
ancora scemato del tutto, e anche tenere un ago in mano era fastidioso.
Avvedendosi della sua smorfia, Kalia
intervenne e chiese a Istrea: «Visto che Naell è così brava, credo sia inutile
tartassarla per tre ore di fila con le lezioni di cucito. Mi permetti di
portarla alla nursery dei lupi?»
Con un cenno di assenso, Istrea diede il
suo benestare e Naell, dopo aver fissato grata l’amica, si incamminò con lei
all’esterno della casa della Signora del Villaggio.
Ritrovarsi sotto il sole allegro di quella
giornata agli albori dell’estate, non fu che un sollievo.
L’aria frizzante sapeva di resina di pino,
di erba fresca e di fiori di bosco e Naell, inspirando soddisfatta quella
miscellanea di profumi, sorrise a Kalia prima di dirle: «Non so come
ringraziarti. Ormai davo per scontato che le dita avrebbero cominciato a
sanguinare.»
Afferrata una sua mano per scrutarla alla
luce del sole, Kalia annuì spiacente e sentenziò: «Di questo passo, queste
abrasioni non guariranno mai. Sei sicura di non voler concederti un giorno o
due di pausa, così da permettere alle tue mani di riprendersi?»
«Voi non lo fate» mugugnò Naell,
accigliandosi leggermente.
Kalia rise di quel commento e, avvolte le
spalle della ragazzina con un braccio, continuò a camminare con lei lungo la
via principale del villaggio.
Tutt’intorno a loro, Hyo-den proseguiva le
sue attività senza prestare loro alcuna attenzione.
Uomini armati di ascia erano di ritorno
dai boschi, mentre diverse donne-lupo e figlie sacre, caricati i loro muli da soma,
erano in procinto di partire per raggiungere Marhna.
Diversi bambine e bambini, di età compresa
tra i quattro e i sei anni, erano impegnati a rincorrersi tra di loro nel
vicino giardino dei giochi, controllati a vista da un paio di donne-lupo.
Tutto si svolgeva con regolarità quasi
maniacale, nessuno era in panciolle, ogni componente del branco, fosse esso
umano o animale, aveva un suo ruolo.
Naell non voleva essere da meno, pur
sapendo quante e quali differenze vi fossero tra lei e una ragazza-lupo della
sua stessa età.
Se i primi giorni tutto era stato un
susseguirsi di novità, sorrisi e benvenuti, dopo quasi un mese di permanenza al
villaggio, tutto era sostanzialmente cambiato.
Non necessariamente in peggio, ma era
tutto diverso.
Diverse ragazze, dopo aver visto con quanta
assiduità Kalia si stesse prendendo cura di lei, avevano iniziato a ridacchiare
alle spalle della loro compagna.
Per nulla preoccupata, le aveva caldamente
ignorate, pregando Naell di fare lo stesso.
Certo, a lei non veniva indirizzato alcun
commento, anzi, erano tutte piuttosto sorprese che avesse resistito tanto, ma
le frecciatine a Kalia non erano diminuite con il tempo.
Quel comportamento infantile aveva
iniziato a dare sui nervi a Naell che, irritata, ne aveva parlato apertamente
con l’amica.
Kalia ne aveva riso, replicandole che,
donne-lupo o meno, rimanevano pur sempre donne e le femmine, notoriamente,
avevano l’abitudine di parlare, e sparlare.
Ben presto, tutto si sarebbe ridotto a un
fuoco di paglia, e lei aveva le spalle robuste.
Quattro parole lanciate al vento, non le
avrebbero certo fatto male.
Naell, in ogni caso, non si era ritenuta
soddisfatta di quella visione della situazione.
E, come ogni giorno, sottopose il suo
annoso problema a colei che, ormai, considerava un’amica degna di fiducia.
«Continuo a pensare che il modo migliore
per risolvere il problema, sia affrontarle.»
Nel dirlo, lanciò uno sguardo carico di
fiducia in direzione del viso di Kalia.
«E perdere del tempo prezioso? No, hillan.
Lascia perdere» ridacchiò Kalia, ricorrendo al nomignolo che, quasi subito,
aveva affibbiato a Naell. Fiorellino.
Naell aveva riso, venendo a sapere il suo
reale significato, ma Kalia aveva replicato che il suo viso era talmente carino
da poter essere tranquillamente equiparato alla bellezza di un fiore di
montagna.
Al che, la ragazza era arrossita e
l’amica, ammiccando maliziosamente, le aveva prospettato schiere di principi
pronti a sposarla, solo perché ammaliati dal suo fascino.
Nel sentirle usare quel nomignolo, Naell sorrise
spontaneamente ma ribatté: «Non cercare di blandirmi, Kalia. Ritengo di essere
nel giusto. Se c’è un problema, va risolto. E io non voglio essere il tuo problema.»
Kalia si limitò a sorriderle dolcemente,
indirizzandola poi in direzione di un basso capanno di legno dalle piccole
vetrate.
Una volta raggiuntolo, la ragazza si fermò
e le sfiorò le spalle con le mani, chiedendole: «Non voglio turbarti ma… sai
che due donne posso volersi bene come… beh, come un uomo e una donna?»
Pur arrossendo lievemente, Naell annuì e
mormorò: «Mamma me lo ha spiegato quando le chiesi come mai molte donne
rifiutassero di sposarsi, giunte in età da marito, e preferissero rimanere sole,
o convivere con altre donne. A Rajana non sono ben viste, ma ne conosco
l’esistenza. Perché?»
Sorridendo indulgente, Kalia le spiegò:
«Qui tra le montagne e, soprattutto, tra le donne-lupo, c’è molta più
flessibilità sull’argomento, e non è raro che si scelga di non avere mai un
compagno, preferendo passare la vita con un’altra femmina.»
«A-ha» annuì Naell, sbattendo confusa le
palpebre nell’osservare l’amica.
Un risolino le sfuggì dalle labbra e, con
un vago rossore sulle gote, Kalia aggiunse: «So esattamente chi ha
iniziato a spargere queste chiacchiere su di me, Naell, ma non posso fare niente
per far cambiare idea a quella data persona. La pensiamo diversamente
sull’argomento che ti ho esposto, quindi, il tempo che passo con te, per lei,
equivale a un’offesa personale.»
«Oh» esalò Naell, avvampando in viso prima
di esalare: «Lei vorrebbe che tu… »
«Esatto. Io ho tenuto a precisarle che,
quando lo riterrò giusto, inizierò a guardarmi intorno, ma per cercarmi
un compagno.»
Con un sospiro, Kalia scosse il capo, come
se quella frase fosse stata costretta a ripeterla infinite volte.
«Ora che, però, passi un sacco di tempo
con me, potrebbe aver pensato che, invece, le hai solo mentito, giusto?»
ipotizzò Naell, inclinando un poco il capo.
«Hai centrato il problema. E niente di
quello che le ho detto è servito a farle cambiare idea, quindi, semplicemente,
la ignoro.»
Una spallucciata seguì il suo dire e,
senza più tornare sull’argomento, entrarono nel capanno dove, controllati da
quattro figlie sacre, si trovavano circa una ventina di piccoli lupi, in
compagnia delle madri.
Tra essi, Naell vide anche Symil, la
compagna di Luak.
Impegnata a leccare il musetto di uno dei
suoi cuccioli, sollevò la testa bionda a scrutarla e le lanciò un guaito di
saluto, prima di tornare al suo dovere di madre.
Da quando aveva saputo dei cuccioli appena
nati, Naell non aveva passato giorno senza fare visita alla famigliola che,
fino al giorno prima, era rimasta stabilmente nella stalla a fianco della casa
di Eikhe e Aken.
Dopo avere ritenuto fuori pericolo madre e
cuccioli, la famiglia era stata spostata nella nursery del villaggio, perché i
cuccioli si abituassero alla presenza degli altri lupi e, soprattutto, al
contatto con umani estranei alla famiglia.
Era la prima volta che Naell li vedeva
assieme agli altri e, nel notare quanti cuccioli vi fossero, sorrise spontaneamente
e si appoggiò al basso steccato che racchiudeva le varie famigliole.
«Pagherei oro, per averne uno tutto mio.»
Ridacchiando, Kalia le si mise al fianco,
chiosando: «E’ il sogno di tutti noi, maschi o femmine non importa. Non appena
li vediamo, sentiamo subito il legame con il lupo.»
«Io, però, non sono nata e cresciuta qui.
Perché sento di volerne uno, allora?» chiese in tutta onestà Naell, piegandosi
su un ginocchio per carezzare il musetto canuto di un cucciolo che, più
temerario degli altri, si era avvicinato trotterellando allo steccato.
Muovendo la mano su quel pelo morbido e
folto, la ragazza socchiuse debolmente gli occhi, provando un piacere così
forte da farle quasi tremare le dita.
Avrebbe tanto voluto afferrarlo e
prenderlo tra le braccia e, come se il cucciolo lo avesse compreso, raspò sul
terreno emettendo un guaito infelice finché la madre non si avvicinò a sua
volta per afferrarlo coi denti alla collottola.
Sorpresa, Naell si scostò un poco per
permettere a Symill di sollevarlo agevolmente e, al colmo dello stupore, se lo
vide consegnare tra le braccia con un muto monito nello sguardo d’ambra.
Afferratolo con gentilezza, Naell se lo
strinse al petto con un braccio, esprimendo una gioia infinita nello sguardo e,
con la mano libera, carezzò il muso allungato della lupa.
«Ne avrò cura.»
La lupa annuì e guaì lievemente prima di
tornarsene dagli altri cuccioli.
Osservando Naell alle prese con il
cucciolo che, letteralmente, la stava ricoprendo di leccatine sulle dita e sul
viso, Kalia ridacchiò e le disse: «Non è importante essere nati qui. Hevos è
padre di tutte le creature viventi, te compresa, e lui legge nei cuori delle
persone senza pregiudizi di sorta. Non importa che tu sia o meno una donna-lupo.
Se ti riterrà degna di fiducia, ti darà la Sua fiducia.»
«E questo è il segno della sua fiducia in
me?» domandò con tono sommesso Naell, lasciando che il lupacchiotto le
mordicchiasse un dito.
Una delle figlie sacre presenti nel
capanno si avvicinò a loro, dopo aver ascoltato in silenzio le loro
dissertazioni.
Sorridendo a Naell con fare confidenziale,
accarezzò il lupo che teneva tra le braccia prima di confermare le ipotesi di
Kalia.
«Non tutti possono avvicinarsi ai lupi
così piccoli. Essi non hanno l’addestramento degli adulti, o l’abitudine a
stare tra gli esseri umani. Sono guidati solo dall’istinto e, poiché questo
lupo ti ha scelta nonostante non ti avesse vista che poche volte, significa che
l’occhio benevolo di Hevos è su di te.»
Con un sorriso estasiato, Naell baciò il
naso freddo e umido del lupetto prima di rimetterlo nel serraglio e
sussurrare: «Verrò a trovarti anche domani, se vorrai.»
Rivolgendosi all’anziana figlia sacra,
Kalia le chiese gentilmente: «Naell non potrebbe venire qui, invece che nelle
stalle?»
Arrossendo di fronte all’interessamento
dell’amica, Naell si volse a fissare il volto segnato da rughe della donna che,
coi suoi penetranti occhi d’ambra, la studiò per diversi secondi, prima di
assentire.
«Sarò lieta di addestrarla all’allevamento
dei lupi, se a lei interessa. Mi mancava giusto un’allieva.»
Compiaciuta, Kalia diede una pacca sulla
spalla a Naell, dicendole: «Così non ci saranno problemi.»
«Ma non sarebbe giusto!» brontolò Naell,
pur scrutando avida i cuccioli che saltellavano avanti e indietro per il
serraglio.
«Parlerò io con Istrea del tuo cambio di
mansioni, Naell» le replicò Syanaill, ammiccando al suo indirizzo. «Come figlia
sacra anziana, ho il diritto di scegliermi le allieve e, visto come ti ha
accolto il piccolo Ylar, mi sento in dovere di rubarti alle tue mansioni per
averti qui in pianta stabile. Almeno per il tempo in cui rimarrai a Hyo-den.»
Già, il tempo che sarebbe rimasta a
Hyo-den.
Tornando a gettare il suo sguardo voglioso
sui lupi che si trovavano all’interno del recinto, Naell dovette rammentare a
se stessa che tutta quella libertà, quella mancanza di complessi rituali di
comportamento, ben presto le sarebbero stati strappati come le erano stati
dati.
E lei non avrebbe potuto far nulla per
cambiare quel dato di fatto.
Lei era e restava una principessa, e
neppure Hevos avrebbe cambiato quella realtà, neppure per lei che non bramava
affatto le ristrettezze di palazzo.
Certo, la famiglia le mancava, ma stare lì
le aveva permesso di imparare a respirare in modo nuovo, a scorgere il mondo
con occhi diversi, a sentire le persone con altro cuore.
Nonostante tutte le sofferenze silenziose,
tutti i suoi complessi, amava quel luogo. E amava quelle persone.
Ma forse, tutto ciò appariva così ai suoi
occhi perché non si era mai sentita a suo agio a palazzo o, per meglio dire, le
era sempre parso di essere diversa dalle persone che la circondavano ogni
giorno.
Solo con i suoi famigliari, si era sentita
accettata per quella che era, ma sapeva bene che, presto o tardi, quella realtà
sarebbe cambiata.
Con un gran sospiro, Naell prese fiato e
assentì: «Per il tempo che rimarrò qui, farò del mio meglio per imparare da
voi, Syanaill.»
«Dammi del tu, bambina, e ritieniti
ufficialmente arruolata tra i miei sottoposti» ridacchiò la donna, aprendole il
serraglio per farla entrare. «Kalia, vai a dire a Istrea che, più tardi, le
parlerò di questo cambio di ruoli, va bene?»
«Glielo riferirò.»
Lanciato poi uno sguardo soddisfatto in
direzione di Naell, le promise: «Noi ci vedremo domani alla lezione di
matematica.»
«D’accordo. E grazie» le sorrise Naell,
sinceramente grata alla ragazza per il suo interessamento.
«Di nulla!» ammiccò Kalia, correndo fuori
dal capanno per poi bloccarsi non appena raggiunse la strada.
Lì, appoggiato a uno steccato, trovò Aken
che, sollevato un sopracciglio con aria interrogativa, le chiese: «Com’è
andata?»
«Tutto bene. Il cambio le è piaciuto, e
uno dei cuccioli di Symill si è innamorato subito di lei» gli spiegò Kalia,
mettendosi al suo fianco mentre si incamminavano in direzione della casa di Istrea.
Annuendo soddisfatto, Aken le diede
un’affettuosa pacca sulla spalla, grato per il suo intervento.
«Ti sono debitore per le attenzioni che le
hai rivolto fin da subito, Kalia. E grazie per la soffiata. Anche Fyn mi aveva
avvertito del problema ma, con il tuo suggerimento, le abbiamo impedito di
sentirsi a disagio.»
«Ho solo cercato di mettermi nei suoi
panni, e ho pensato che stare coi cuccioli fosse un lavoro più adatto, che
quello nelle stalle. Non possiamo pretendere che le sue mani, o la sua muscolatura,
si abituino così velocemente, né dobbiamo procurarle delle piaghe tali da
rimandarla a Rajana con un brutto ricordo di Hyo-den» asserì Kalia, con un
sorriso comprensivo.
Aken assentì compiaciuto e Kalia, con
sguardo dolce, aggiunse: «Naell è una brava ragazza, e sono sicura che
diventerà una donna dal carattere forte e indipendente, una volta adulta.
Questo, però, non so se la aiuterà, a palazzo.»
«I suoi genitori sapranno capirla e,
spero, indirizzarla verso la persona più adatta a lei.»
Nel dirlo, sperò con tutto se stesso di
avere ragione.
Nulla l’avrebbe fatto soffrire di più del
sapere che anche la nipote potesse patire i suoi stessi tormenti a palazzo,
lontana da ciò che realmente desiderava.
Kalia si limitò ad annuire, turbata dai
medesimi pensieri.
***
Seduto su uno spuntone di roccia e intento
a osservare con scrupolosa attenzione i suoi figlioli prediletti, Hevos reclinò
il muso per scrutare gli occhi chiari del più vicino tra essi.
Rivoltosi al lupo che aveva di fronte,
chiese: «Come procedono le cose, al villaggio?»
La principessa sembra
aver preso a cuore la causa.
«E le figlie sacre?»
C’è un conflitto, tra
loro, ma non dipende direttamente dalla principessa.
«Quindi, è stata accettata, e lei ha
accettato loro.»
Con un cenno del muso, Hevos parve molto
soddisfatto di ciò che la sua mente aveva percepito dei pensieri dei suoi lupi.
Guardando tutti loro, ammantati della
lieve brina cristallina emanata dal suo corpo animale, il dio dichiarò: «Ben
presto, metterò alla prova entrambe le fazioni, e scopriremo ciò che è di
grande interesse per me.»
Siamo ai tuoi ordini,
Hevos.
Quel coro mentale gli carezzò il corpo
come un tocco di piuma e Hevos, rivolgendosi a Luak, gli chiese: «Sei pronto,
mio lupo?»
Mi fido della
principessa. E mi fido di te.
«Molto bene» asserì Hevos, osservando poi
Fyn con aria incuriosita. «Voglio i gemelli. Portali da me assieme alla
principessa, come stabilito.»
Quando la luna sarà
scomparsa in cielo, ti porterò ciò che chiedi.
«Il Fato sta per compiere un altro balzo.
Dovremo solo attendere di scoprire in che direzione. Ora, miei lupi, tornate
alle vostre case e tenetevi pronti per ciò che presto avverrà.»
Detto ciò, Hevos se ne andò trotterellando
nel buio della notte, svanendo in una nuvola di brina cristallizzata.
Luak e Fyn si fissarono dubbiosi, prima di
riprendere il cammino verso il villaggio assieme agli altri lupi presenti nel
bosco.
I loro manti erano ancora ricoperti di
cristalli che, ben presto, si sarebbero sciolti, lasciando al loro posto solo
lacrime d’acqua purissima.
Sin da quando Hevos era ricomparso, a
sorpresa, nelle loro vite, i lupi si erano ritrovati a venir meno al patto di
alleanza che intercorreva con le donne-lupo per mettersi al totale servizio del
loro dio.
Questo aveva significato non proferire
parola di ciò che la divinità aveva in serbo per tutti loro.
Il fatto che avesse voluto mantenere
all’oscuro di tutto gli esseri umani, li aveva lasciati interdetti ma,
trattandosi di Hevos in persona, non se l’erano sentiti di replicare.
Se una divinità agiva in quel modo, doveva
avere le sue brave ragioni.
A Eikhe e Aken verrà un
colpo, quando faremo sparire i gemelli.
Nei pensieri di Fyn c’era una gran paura
di sbagliare, e il timore fisso di deludere il suo amico e padrone.
Quando sapranno che Hevos
voleva questo, da noi, capiranno. Loro più di altri sanno cosa significa
sottostare alle Sue parole.
Luak cercò di spronarlo ad avere fiducia,
ma neppure lui si sentiva così a suo agio, specialmente in vista di quanto
sarebbe presto avvenuto.
Naell gli piaceva, e sapeva che loro
piacevano a lei, ma questo sarebbe bastato?
E Symill sarebbe stata d’accordo? Non ne
era del tutto sicuro.
Temo che dovrai discutere
di brutto con lei.
Nel creare quel pensiero, indirizzato
all’amico, Fyn lo guardò con occhi colmi di comprensione.
Luak preferì non dare voce ai suoi
pensieri, limitandosi a trotterellare leggero nel bosco al fianco del suo
amico, schiacciando rametti ed erba fresca al suo passaggio.
Era una prova difficile, quella che si
apprestavano a compiere tutti loro, ma ne poteva scorgere il più ampio disegno.
Il punto era un altro; lui e Symill
avrebbero accettato ciò che, dai piani di Hevos, sarebbe venuto?
In ogni caso?
Non ne era del tutto sicuro.
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Temo di avervi confuso ancor di più le idee ma, per lo meno, ora si sa a chi sia dovuto il silenzio dei lupi. Il bandolo della matassa verrà sciolto presto, non temete!
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Capitolo 5 *** cap. 5 ***
5.
Il pelo morbido del lupo che teneva
tra le braccia era fresco, quasi umido, e intorno a lui aleggiava una nebbia
leggera, fatta di cristalli di diamante e di perle d’acqua purissima.
Tutt’intorno
a lei, la foresta appariva fitta e spettrale, impenetrabile ai suoi occhi,
eppure non ne aveva paura, pur sapendo di avere, come unica compagnia, quella
del bianco lupo che stringeva a sé con affetto.
I
rumori le giungevano attutiti, quasi il bosco li fagocitasse in sé, non
permettendole di fatto di comprendere cosa succedesse tutt’intorno.
Anche
di questo, però, lei non si curò.
Era al
sicuro, protetta dall’aura benefica del lupo che le sedeva accanto.
Niente
le sarebbe potuto capitare, finché fosse rimasta accanto a lui.
«Naell…»
Sbattendo
fiaccamente le palpebre, la giovane si ritrovò a fissare, oltre il velo di
sonnolenza che ancora la ricopriva, il viso sorridente di Eikhe.
China
verso di lei, la stava svegliando per la colazione. O almeno così credeva.
Era
stato dunque tutto un sogno?
Guardandosi
intorno con aria vagamente accigliata e sì, delusa, Naell si stirò le braccia
nello sbadigliare sonoramente e, sorridendo alla zia, le disse: «Sai, ho fatto
un sogno davvero strano.»
«Cosa,
piccola?» le sorrise a sua volta Eikhe, estraendo dalla cassapanca una delle
camiciole della ragazza per poi porgergliela.
«Ho
sognato di essere in una foresta fittissima, impenetrabile, assieme a un lupo
bianco come il latte e tutto ricoperto di diamanti.»
Afferrata
la camiciola, Naell si tolse la veste da notte per poi infilarsi l’indumento di
cotone grigio scuro.
«Quello
che mi ha colpita di più, però, era che non avevo paura. Anche se c’eravamo
solo io e il lupo.»
Sollevato
un sopracciglio con evidente sorpresa, Eikhe trattenne per un istante le brache
della nipote tra le mani, quasi timorosa di parlare, prima di riprendere a
stento a muoversi.
«E’
raro che una persona che non sia un figlio di Hevos per discendenza diretta,
sia in grado di sognare il dio-lupo.»
Sgranando
gli occhi per la sorpresa, Naell balzò in piedi dal letto ed esclamò: «Era Hevos?»
Eikhe
annuì, chiedendole: «Ti ha parlato? Cos’avete fatto?»
«No,
non ha detto nulla. Né abbiamo fatto alcunché» scosse il capo Naell. «Mi
limitavo a stringerlo a me e carezzarlo.»
Sempre
più sorpresa, Eikhe esalò: «Questa sì che sarebbe una novità.»
«In
che senso?» volle sapere Naell, incuriosita dal suo dire.
Con un
mezzo sorriso, Eikhe la aiutò con i capelli mentre Naell pensava ad allacciare
le brache di cuoio sui fianchi.
Nel
passare la spazzola di crine di cavallo nella lunga chioma bruna della nipote,
le spiegò: «Che io sappia, nessuno ha mai sfiorato con un dito Hevos. E, da
quel poco che so, siamo solo in due, in questo tempo, ad averlo visto. E cioè,
io e tuo zio. E credimi, nessuno dei due si è arrischiato a toccarlo.»
«Chissà
cosa vorrà dire, questo sogno?»si domandò curiosa Naell, sorridendo tra sé
all’idea di aver sognato il dio-lupo.
Questa
sì, che era una cosa da raccontare!
«Vedremo.
Magari lo incontrerai davvero» le sorrise Eikhe, terminando di stringere la
treccia. «Ecco fatto. Pronta per una nuova giornata di lavoro.»
«Evviva!»
esclamò Naell, lanciando in aria un pugno.
Era
soddisfatta di se stessa, e di ciò che era riuscita a fare in quei due mesi
passati a Hyo-den.
Si era
irrobustita, la sua pelle aveva preso una bella tonalità dorata e, man mano che
i giorni erano passati, il lavoro con i cuccioli le era parso sempre più
facile, più leggero.
La
soddisfazione provata nel sentire decantare le sue doti di pazienza e
gentilezza da Syanaill, si combinava con l’affetto sempre crescente che provava
per il piccolo Ylar, uno dei cuccioli di Symill e Luak.
Passare
del tempo assieme a lui e agli altri cuccioli, le aveva restituito la fiducia
in se stessa.
Durante
le prime settimane, aveva perso un po’ della sua autostima, trovandosi dinanzi
a un mondo, per lei, così estraneo ma di cui, a tutti i costi, aveva voluto far
parte.
Gli
zii e i cugini, però, le erano stati vicini, in questo suo processo di crescita.
Nel
recarsi al capanno dei lupi assieme a Eikhe e i gemelli – che, da quel giorno, ne
avrebbero imparato i rudimenti dell’allevamento – il suo sorriso era radioso.
Zio
Aken e Antalion, impegnati nel terminare la casa di quest’ultimo, le avevano
augurato buona giornata, prima di scappare fuori dalla cucina con gli attrezzi
da falegname e la sporta per il pranzo.
Era
difficile credere che lo zio, fino a pochi anni prima, fosse stato impegnato a
decifrare scartoffie su scartoffie, piegato dietro la sua scrivania di legno di
pino.
Ora,
vestito di pelli e con le mani ricoperte di calli per il duro lavoro manuale
che soleva fare ogni giorno, sembrava un qualunque abitante delle montagne, non
certo un principe di un’antica casata nobiliare.
Eppure,
a lui stava bene così e, anzi, era ringiovanito, stando all’aria aperta e
assieme alle persone con cui aveva scelto di vivere.
Lei,
invece, cosa voleva?
Forse,
era davvero troppo giovane per pensarci, ma non le sembrava di avere le idee
molto chiare.
La
vita al villaggio le piaceva da impazzire.
Non
dover indossare le crinoline, o i lunghi abiti di seta e velluto, le scarpine
con il tacco – tanto strette in punta! – o acconciarsi i capelli in maniera
impossibile, era un sollievo.
Eppure,
certe cose le mancavano.
Forse,
non era né carne né pesce.
Enyl
le sorrise nello stringerle fiduciosa la mano e, con la sua vocina trillante,
le disse: «Di solito, sono i grandi che hanno le rughe in fronte.»
«Grazie,
tesoro mio» la rimbrottò bonariamente Eikhe, volgendosi a mezzo per guardare
nipote e figlia mentre Rannyl, quieto, le camminava al fianco con passo
spedito.
Enyl
fece un sorrisone furbo alla madre, replicando: «Tu sei bellissima e
giovanissima, mamma.»
La
madre rise del suo dire, prima di chiedere a Naell: «Tutto bene, tesoro? O hai
dei pensieri profondi che ti turbano?»
Con una
scrollata di spalle, la nipote mormorò pensosa: «Non proprio. Pensavo che sono
incontentabile.»
Un
risolino scaturì dalle labbra piegate in un sorriso di Eikhe che, bonariamente,
chiosò: «E chi non lo è? A nostro modo, tutti vorremmo il meglio di ogni cosa
ma, ben difficilmente, si può ottenere. Credo che neppure gli dèi possano
ottenere tutto ciò che vogliono perché, inevitabilmente, devono passare
attraverso il filtro del libero arbitrio che ci hanno concesso. Possono
consigliarci, instradarci ma non possono obbligarci. E’ un cavillo che,
secondo me, si sono pentiti millenni fa di averci donato ma, ormai, non posso
guastare ciò che hanno fatto.»
«E’
ironico pensare che gli dèi, pur con tutto il loro potere, devono attenersi a
ciò che facciamo noi» constatò Naell, ammiccando divertita. «Ma anche il dio
Haaron deve sottostare al libero arbitrio?»
«Sì,
se ci pensi bene. Non può obbligare una persona a morire… può solo attendere. E
pazientare.»
Il
gracchiare di un corvo in lontananza portò Naell a bloccarsi a metà di un passo
per cercarne il volo nel cielo ma, nulla vedendo, storse il naso e chiese:
«Dove diavolo è?»
Eikhe
le sfiorò la spalla con una mano e, indicandogli la casa di Istrea, in fondo
alla via principale del villaggio, le spiegò: «Vedi lassù, accanto alla
finestra del solaio?»
«Sì»
annuì la principessa, intravedendo un trespolo attaccato alla parete della
casa.
«Lassù
vive Wolan, il corvo di Hyo-den. Quello che hai sentito prima, era lui» la
informò la zia, notando la sorpresa dipingersi sul suo volto di bambina.
Sbattendo
freneticamente le palpebre chiare, Naell esalò: «E che ci fa un corvo nel
villaggio? Non sapevo si potessero addomesticare.»
«Infatti
non è addomesticato. Nessuna creatura di Haaron può essere addomesticata. Non
sono animali da compagnia come possono essere i lupi. I lupi furono i compagni
di Hyo quando ella abbandonò il regno dell’immortalità per tornare tra gli
umani. Hevos volle così, per lei. Ma Haaron non ha mai desiderato che i suoi
animali facessero amicizia con l’uomo. Dovevano solo essere i suoi occhi e le
sue orecchie sul mondo, null’altro.»
Proseguendo
verso lo stallaggio dei lupi, la figlia sacra aggiunse: «Lui non ama mettere
piede nel mondo dei mortali, perciò si affida ad avvoltoi e corvi, per avere
sempre sotto controllo la situazione.»
In
quel mentre, un bellissimo corvo dalle ali lucide e nere sbucò dalla finestra
lasciata aperta per lui.
Con le
zampe arancioni artigliate e il becco leggermente adunco, nero come il resto
del corpo, l’uccello caracollò sul trespolo di legno prima di aprire le grandi
ali e spiccare il volo in direzione del bosco.
In
quel mentre, l’ululato di un lupo si levò fiero, come in risposta alla sua
presenza nel villaggio.
Naell
ne seguì il volo fino a perderlo oltre la linea dell’abetaia mentre Eikhe,
lievemente turbata, mormorò: «Sarà anche una coincidenza, ma…»
«Ti è
parso strano che si sia involato proprio mentre il lupo ululava, vero?» terminò
per lei Naell, fissando la zia con occhi vagamente impensieriti.
Scuotendo
il capo, Eikhe tornò a sorridere, come a voler tranquillizzare la nipote e se
stessa.
«Lasciamo
stare. Ti stavo spiegando del corvo. Devi sapere che sono loro, a scegliere
dove stare, o con chi stare. Istrea, semplicemente, una mattina se l’è
ritrovato davanti a casa, intento a beccare contro la porta d’entrata come se
stesse bussando per entrare e, da quel giorno, non se n’è più andato.»
«Curioso.
Io pensavo che i corvi portassero sfortuna» esalò Naell, sempre più curiosa.
«Non
proprio. Sono i messaggeri di Haaron, certo, ma non sono entità negative.
Servono al ciclo della vita esattamente come ogni altra creatura. Inoltre,
Wolan ha una personalità piuttosto marcata. Ed è simpatico.»
«Come
fa, un corvo, a essere simpatico?» ironizzò la nipote, decisamente scettica.
«Lo
scoprirai se vorrà onorarti della sua presenza.»
Eikhe
ridacchiò, nel dirlo.
«Ricordo
che, il giorno dopo la nascita dei gemelli, lui si è messo sul davanzale della
finestra della camera, e li ha guardati per tutta la giornata mentre dormivano
nella culla. E guai a svegliarli! Si infuriava come un matto! Sembrava
proteggerli.»
Naell
la fissò come se avesse avuto le corna e la coda ed Eikhe, scoppiando a ridere,
esalò: «Ti giuro, è vero!»
«Non
ho parole» scosse esasperata il capo Naell. «Solo a voi, succedono queste
cose.»
«Forse,
era semplicemente curioso perché, di solito, non nascono mai dei gemelli, tra
le figlie sacre» le confidò Eikhe, sorprendendola ulteriormente.
«E
perché?»
«Sono
solo ipotesi, ma pensiamo abbia a che fare con il Marchio di Hevos. Vedi, se il
bambino è da solo, riceve il dono per intero dalla madre, ma in caso di un
parto gemellare… pensiamo possa dividersi tra i due nascituri, il che li
renderebbe più deboli.»
Con
uno sguardo a metà tra il preoccupato e l’ansioso, Eikhe fissò i suoi due figli
che, imperturbabili, stavano camminando l’uno affianco all’altra senza badare
ai loro discorsi.
Almeno
in apparenza.
«Visto
che il Marchio di Hevos serve soprattutto a scopo difensivo, abbiamo ipotizzato
che non siano mai nati gemelli per non togliere difese ai nuovi nati, ma non ne
avremo la certezza finché Enyl e Rannyl non saranno abbastanza grandi per
sviluppare la freoha.»
«Quindi,
i loro occhi ambrati non vi danno la sicurezza che, un giorno, potranno
sviluppare i poteri dei discendenti di Hevos» mormorò Naell.
«No.
Stiamo navigando a vista, per così dire» ammise Eikhe, prima di afferrare Enyl,
prenderla in braccio e stamparle un bacione sulla guancia e rimetterla a terra.
«Ma io sono sicurissima che tutti e due saranno dei potentissimi figli sacri.»
Rannyl
ridacchiò nel vedere Enyl sorridere tutta contenta ma, quando vide la madre
avvicinarsi per fare altrettanto, svicolò abilmente e disse: «Eh, no, mamma!
Non in mezzo al villaggio!»
Eikhe
si mise a ridere, scusandosi e replicando: «Chiedo scusa, Rannyl. Hai ragione.
Sei troppo grande perché io ti baci in pubblico.»
«Esatto»
annuì il bambino, prendendo per mano la sorella prima di dire alla madre:
«Corriamo fino al capanno, va bene?»
«Fate
pure» concesse loro Eikhe, guardandoli mentre, con movimenti sincroni,
iniziavano a correre in direzione del capanno dei lupi.
«Sembrano
così perfetti…» sussurrò poi la donna, lasciando scivolare fuori dalla bocca un
sospiro tremulo.
«Li
sono» ci tenne a precisare Naell, stringendole una mano con affetto.
La
donna le sorrise calorosamente, accostandola a sé per un rapido abbraccio,
prima di proporle a sua volta una corsa.
Naell
accettò di buon grado e, assieme alla zia, divorò la distanza che le separava
dal capanno in pochi secondi.
***
Impegnata a ripulire il pelo di uno
dei cuccioli con una spazzola di crine di cavallo, Naell sollevò il viso quando
percepì accanto a sé la presenza di qualcuno.
Sorridendo spontaneamente nel vedere
Luak, gli disse: «Ciao. Cerchi Symill?»
Lui
scosse il muso, dandole un colpetto alla spalla con il naso prima di indicarle
di seguirlo.
Piuttosto
confusa, Naell poggiò il cucciolo a terra perché tornasse dai suoi compagni e,
dopo aver riposto la spazzola nel secchio che soleva usare nella stalla, lo
seguì.
Vagamente
incuriosita, poi, gli domandò: «Dove stiamo andando?»
Ovviamente
il lupo non le rispose, ben sapendo che qualsiasi cosa lui avesse detto, Naell
non avrebbe potuto comprenderla.
Inoltre,
non c’era molto da dire, in quel momento.
Era
già complicato fare quanto gli era stato ordinato, senza sentirsi tremendamente
in colpa nei confronti di Eikhe e Aken.
Usciti
che furono dal capanno, Luak e Naell si ritrovarono nel cortile sul retro, dove
si trovavano anche Enyl e Rannyl, impegnati a giocare con il fieno fresco.
Vedendoli
comparire, si bloccarono immediatamente e dissero quasi in coro: «Ha chiamato
anche te?»
Sempre
più confusa, Naell calò lo sguardo a fissare il bel lupo di Eikhe, chiedendosi
cosa gli stesse passando per la testa.
Nel
prendere per mano i cuginetti, chiese loro: «Vi ha condotti qui lui?»
«Sì.
Siamo sgattaiolati fuori senza farci vedere da Syanaill che, sicuramente, ci
avrebbe rispediti indietro senza tante chiacchiere.»
Rannyl
si guardò intorno circospetto subito dopo aver spiegato alla cugina cos’era
successo, come se si aspettasse di veder comparire qualcuno da un momento
all’altro.
«Allora,
Luak, che succede?» domandò a quel punto Naell, puntando le mani sui fianchi e
guardando inquisitoria il lupo.
Lui si
limitò ad afferrare coi denti la tunica della ragazza, prima di trascinarla con
sé e guardarla con aria di preghiera, quasi la stesse supplicando di seguirlo.
Naell,
a quel punto, lo accarezzò sul capo e gli chiese: «Dobbiamo venire con te?
Tutti e tre?»
Il
lupo annuì, mollando la presa ed Enyl, tutta eccitata, ballonzolò attorno a
loro canticchiando: «Andiamo in missione segreta! Andiamo in missione segreta!»
«Temo
di sì, altrimenti Luak non ci avrebbe trascinati fuori a questo modo» brontolò
Naell. «Non possiamo neppure lasciare un messaggio per Eikhe e Aken? Andranno
fuori di testa, non trovandoci.»
Luak
scosse mestamente il muso e Naell, con un gran sospiro, si passò le mani in
testa con aria esasperata, sbuffando: «Mi ammazzeranno, già lo so.»
Poi,
guardati i cugini, chiosò: «E sia…si va in missione.»
Enyl e
Rannyl afferrarono subito le mani protese della cugina e, seguendo Luak fuori
dal recinto, si immersero nella vicina abetaia senza che nessuno, al villaggio,
si accorgesse della loro sparizione.
Naell,
però, era più che certa che, nel giro di mezz’ora, Hyo-den sarebbe esploso. E
che Eikhe e Aken avrebbero dato di matto.
***
«Come sarebbe a dire che sono
spariti?» esclamò Eikhe, gli occhi fuori dalle orbite mentre Syanaill,
chiaramente dispiaciuta, la tratteneva per un braccio.
Come
da accordi, Eikhe era tornata per l’ora di pranzo per recuperare i figli al
capanno dei lupi, prima di condurli alla casa di Istrea per la loro prima
lezione di matematica e astronomia.
Quando,
però, era entrata nella stalla, aveva trovato le sue sorelle sparpagliate ogni
dove e con l’aria di chi si trovasse nel peggiore guaio della propria vita.
Bloccata
Syanaill, le aveva chiesto cosa stesse succedendo.
Non
appena era venuta a conoscenza della verità, Eikhe era sbiancata, minacciando
di svenire, prima di esplodere in un’accorata quando sorprendente imprecazione.
L’attimo
dopo, aveva espresso tutta una serie di domande a raffica, cui la compagna non
aveva saputo rispondere.
Ora,
mentre le altre figlie sacre erano impegnate nella ricerca di qualche indizio
in giro per il recinto, Syanaill scrollò leggermente Eikhe, ancora preda di un
forte stato di shock.
«Non
possono essere andati lontani, Eikhe. Inoltre, manca anche Naell, quindi
possiamo dare quasi per scontato che siano insieme.»
Sarcastica,
Eikhe replicò: «Non è che questo mi dia coraggio. Naell è una brava ragazza, ma
non è cresciuta al limitare di un bosco.»
Syanaill
annuì torva, mormorando: «Non capisco davvero cosa sia preso a tutti loro.
Avrebbero anche potuto lasciarmi un messaggio, o qualcosa del genere.»
Accigliandosi
leggermente, Eikhe le domandò: «Hai notato se c’è stato uno strano movimento di
lupi, intorno al capanno?»
«Perché?»
«Sono
già parecchie settimane che i lupi si comportano in maniera insensata. Non
vorrei che ci fossero di mezzo loro, dietro a questa strana scomparsa» borbottò
Eikhe, poggiando le mani sui fianchi e guardandosi intorno con aria
inquisitoria.
Le era
parso strano fin dall’inizio che i lupi fossero così misteriosi con loro
quando, mai prima di allora, v’erano stati segreti tra le figlie sacre e i loro
compagni animali.
Ora,
invece, tutto si svolgeva alle loro spalle, senza che nessuno di loro sapesse
cosa stessero combinando.
Non
era normale. Per niente.
«Pensi
che qualcuno abbia detto loro di portare via i ragazzi?» ipotizzò
Syanaill, aggrottando la fronte.
«Non
sarebbe la prima volta che la mia vita viene sconvolta da quel qualcuno
in particolare. Quello che mi chiedo è il perché di così tanta segretezza.
Inoltre, cosa c’entrano i miei figli e Naell?»
Sospirando
esasperata, Eikhe fissò l’amica e aggiunse: «Vado a dirlo ad Aken e Antalion.
Tu vedi di trovare Liana e avvertila. Ci serviranno un po’ di sorelle, per dare
il via alle ricerche nel bosco.»
Annuendo,
Syanaill sbraitò all’indirizzo di una
delle ragazze più giovani presenti nel capanno e la inviò di volata a cercare
Liana dopodiché, fissando dubbiosa una delle lupe, commentò: «Pensi che il suo
umore sia collegato alla sparizione dei ragazzi?»
Seguendo
lo sguardo della donna, Eikhe sollevò lesta un sopracciglio con evidente
sorpresa e, confusa, esalò: «Che diamine prende a Symill?»
«Che
diamine prende a tutti, oserei dire» le replicò Syanaill, ringhiando
un’imprecazione tra i denti.
«Vado.
Se resto ferma ancora un po’, rischio di esplodere.»
Detto
ciò, diede una pacca sulla spalla a Syanaill e corse fuori dal capanno per
dirigersi a grandi passi verso la casa del figlio maggiore.
La
mente le ribolliva in cerca di idee, così come delle parole giuste da dire ai
suoi due uomini che, di sicuro, si sarebbero accesi come falò, non appena avesse
detto loro di Naell e dei gemelli.
***
Le mani allacciate a quelle dei
gemelli, Naell si stava guardando intorno circospetta, su di sé gli sguardi dei
corvi che, appollaiati sui rami degli abeti, li fissavano con attenzione fin da
quando avevano messo piede nel bosco.
Ormai, si erano allontanati da
Hyo-Den da più di un’ora.
Man
mano che si erano inoltrati nell’abetaia, la foresta si era fatta più fitta, i
cespugli più alti e il terreno più accidentato.
Più di
una volta era stata costretta ad aiutare Enyl o Rannyl ad attraversare un
ruscello, piuttosto che a scavalcare qualche roccia sporgente.
Il
tutto, sotto lo sguardo attento di Luak che, neppure una volta, li aveva persi
di vista.
A
momenti alterni, si era voltato per controllare che tenessero il suo passo,
dopodiché aveva ripreso la marcia tenendo il muso verso terra, quasi stesse
cercando una pista olfattiva in particolare.
I
corvi, nel frattempo, si erano spostati con loro, involandosi da un albero
all’altro con un gran sbattere di ali e un gracchiare inquietante a far loro da
accompagnamento musicale.
Naell,
che aveva studiato con curiosità Wolan, il corvo del villaggio di Hyo-den, cominciò
a chiedersi se avesse ricevuto ordini da parte del suo onorato, quanto poco
conosciuto signore, Haaron.
Di lui
si parlava poco, al villaggio, e si conosceva ancora meno.
Per
quel che ne sapeva lei, non esisteva neppure un culto del dio-corvo, pur se la
cosa le sembrava per lo meno strana.
Dopotutto,
loro seguivano e onoravano i culti della dea della Vita quanto del dio
della
Morte, quindi perché questo non avrebbe dovuto replicarsi anche per Haaron?
Eppure, non le era sembrato che vi fossero cappelle a lui dedicate, nel paese.
Forse,
Haaron voleva in qualche modo vendicarsi sulle figlie sacre, spingendoli nel
bosco in quel modo?
Ma
allora, non avrebbe utilizzato un lupo, per trarli in una trappola, no?
Vagamente
preoccupata, Naell fissò la schiena curva di Luak con una muta speranza nel cuore
e, stringendo impercettibilmente le mani dei cugini, disse loro con un tono
che, sperò, potesse suonare allegro: «Scommetto che Eikhe si arrabbierà da
morire, quando scoprirà che siamo usciti per questa gita senza dirle nulla.»
Enyl
ridacchiò e annuì.
«Daremo
al colpa a Luak. Dopotutto, è lui che ci ha attirati nel bosco, no?»
«Vero»
asserì con convinzione Rannyl, guardandosi curiosamente intorno con i suoi
attenti occhi d’ambra.
«Vedremo
di rappezzarla in qualche modo» sospirò rassegnata Naell.
L’attimo
seguente, lanciò un gridolino spaventato quando, dinanzi a lei, a poco meno di
dieci passi di distanza atterrò, con un gran sfarfallio di penne, il possente
Wolan.
Anche
i gemelli si spaventarono, mollando immediatamente la presa dalle mani di Naell
per nascondersi dietro di lei, i piccoli corpi tremanti e i grandi occhi
sgranati.
Tutti
e tre fissarono sgomenti l’enorme corvo nero che, ritto sulle zampe possenti,
li stava osservando con estrema serietà.
Un
attimo dopo, dal fitto dei cespugli, una nuvola di brina cristallina si elevò
come bruma, precedendo l’arrivo di un possente lupo dal candido pelo.
Dopo
uno sguardo d’intesa con il corvo, si andò a mettere al suo fianco prima di
accomodarsi a terra ed esordire con voce stentorea: «Il mio più sincero benvenuto,
figli diletti e principessa di Rajana.»
Un
colpo in testa l’avrebbe stordita meno.
Le
ginocchia di Naell gemettero, cedendo di schianto e portandola a crollare a
terra insieme ai gemellini che, timorosi, si accoccolarono accanto a lei
stringendo convulsamente le manine attorno alla sua tunica di pelle.
«Grazie
per essere giunti qui.»
La
voce del corvo suonò bizzarra non meno di quella del lupo.
Era
metallica, con un accento esotico e scaturì da quel becco scuro strascicata,
quasi controvoglia, come se colui che stava parlando lo facesse a fatica.
Enyl
affondò subito il viso nel petto di Naell che, protettiva, strinse un braccio
attorno alle spalle tremanti della piccola prima di attirarsi vicino anche
Rannyl.
Per
una volta, quest’ultimo non si lamentò affatto di essere abbracciato stretto.
Luak,
che aveva reclinato ossequioso il muso fin da quando il dio-lupo Hevos era
apparso dinanzi a loro, disse mentalmente al suo signore: Ho fatto quanto
richiestomi. Ora posso avvertire la mia compagna e padrona?Non voglio che Eikhe
soffra più del necessario.
Hevos fissò benevolo il suo lupo
prima di annuire e dire: «Avverti la figlia sacra Liana, e conducila qui.
Desidero parlare anche con lei, prima che Eikhe giunga a prendere i suoi
gioielli inestimabili.»
Come
desideri. La instraderò da questa parte, e poi parlerò con Eikhe.
Detto ciò, Luak trotterellò via in
silenzio, disperdendosi oltre una coltre di cespugli nodosi.
Ancora basita di fronte a quelle due
presenze che nulla avevano di normale, Naell non smetteva di sbattere le ciglia,
come nella vaga speranza di risvegliarsi da un sogno.
O da un incubo.
«Non
avere paura, figlia di Rajana. Nessuno di noi intende farvi del male. Farvi
giungere qui era importante per noi, per diversi motivi. Primo tra tutti,
volevo sapere se ti saresti fidata a sufficienza di un lupo, pur non
comprendendone la lingua, tanto da spingerti a inoltrarti nel bosco, anche
senza conoscerne le leggi. Inoltre, ho apprezzato come tu abbia pensato a
tenere al riparo i due gemelli, che io e mio fratello amiamo in modo
particolare.»
Lo
sguardo di Naell, più che mai confuso, si spostò su Wolan e, lappandosi le
labbra secche come a trovare il coraggio di parlare, la ragazza mormorò: «Siete
il dio-corvo?»
«Sono
una sua emanazione. Contrariamente a Hevos, io non posso camminare su questo
mondo con le mie vere gambe, o porterei morte e distruzione ovunque. Sono, per
così dire, una compagnia pestilenziale.»
Nel
dirlo, il corvo rise con un gracchiare graffiante, che Naell trovò assurdamente
ridicolo, tanto da portarla a sorridere divertita.
Hevos
tossì a sua volta una risata prima di intervenire dicendo: «Volevamo inoltre
parlarti in privato, e difficilmente avremmo potuto farlo, visto quanto le
figlie sacre ti tengono d’occhio.»
Arrossendo,
Naell asserì: «Non vogliono che io mi faccia male.»
«Encomiabile,
da parte loro, ma credo del tutto superfluo. Sei molto più forte di quanto tu
non pensi, principessa. E presto lo scoprirai anche tu.»
Hevos
la fissò qualche altro secondo, prima di puntare lo sguardo sui due gemelli e
aggiungere: «E voi, creature meravigliose… abbiamo trepidato fin da quando
abbiamo scoperto che vostra madre portava in grembo un miracolo. Abbiamo
pregato perché non vi succedesse nulla, e Haaron ha vegliato su di voi perché
la morte non varcasse le soglie di casa vostra, opponendosi strenuamente alle
leggi stesse dell’Universo, perché entrambi poteste sopravvivere.»
Enyl e
Rannyl si scostarono timorosi da Naell, per lanciare occhiate dubbiose
all’indirizzo dei due animali mistici.
Con la
sua voce nasale, il corvo soggiunse: «Eravate troppo importanti per i vostri
genitori, per l’Universo tutto. Non potevo farvi entrare nel mio regno, anche
se qualcuno ha tentato di opporsi a
me.»
«Perché
sono importanti per l’Universo?» chiese allora Naell. «E chi può tentare di
contrastare un dio?»
Hevos
si accucciò a terra, e così fece Wolan, sistemandosi le ali sui fianchi prima di
infilare il becco tra le piume a cercare un fastidioso parassita.
«La
Nuova Via, creata dai genitori di Enyl e Rannyl, aveva bisogno di un nuovo
fulcro, ma non potevano essere Eikhe e Aken. Loro sono stati i promotori, ma
appartengono alla Vecchia Via, perciò non possono essere loro, il Faro della
Luce. Serviva qualcuno legato a loro ma, al tempo stesso, che non lo fosse.»
Naell
fissò Hevos con aria aggrottata, cercando di venire a capo di quel discorso fin
troppo complesso, per i suoi gusti.
Con una
risatina gracchiante, Wolan intervenne dicendo: «Come al solito, parli per
enigmi, Hevos. La ragazza non ha capito nulla di quel che hai detto.»
Hevos
brontolò a bassa voce con l’emanazione del fratello mentre la ragazza, sempre
più confusa, li fissò dibattere come due ragazzini.
«Siete
peggio di me e Staryn quando discutiamo!»
Hevos
e Wolan smisero immediatamente di borbottare e, a sorpresa, la brina che
galleggiava attorno al corpo candido del dio-lupo divenne dorata.
Wolan
sghignazzò con tono metallico e commentò: «E’ imbarazzato!»
Schiarendosi
la voce mentre la brina tornava bianca e traslucida, Hevos riprese la parola
dicendo: «Enyl e Rannyl rappresentano le due colonne portanti di un ponte. Così
ti è più chiaro, principessa?»
«Dovevano
per forza essere due, perché altrimenti non avrebbe potuto reggere, giusto?»
ipotizzò Naell, cercando di immaginarsi i gemelli nel ruolo di colonne. «Il
punto è; dove porta, questo ponte?»
«Questo
deve ancora essere scritto» asserì Hevos, con tono sibillino. «Posso però dirti
che tu rientri nei miei interessi.»
«Devo preoccuparmi?» ironizzò Naell,
rammentando più che bene ciò che era successo agli zii, “a causa” dell’interesse di
Hevos per loro.
Hevos
ridacchiò, limitandosi a dire: «Ho un dono per te, che sicuramente potrai
apprezzare più di tante altre tue coetanee.»
«E
cioè?» esalò Naell.
«Ylar
diverrà il tuo lupo. Potrai portarlo a Rajana con te assieme agli altri due
cuccioli di Symill, che diverranno i compagni dei tuoi fratelli. Questo è il
mio dono a voi, che vi siete dimostrati rispettosi nei confronti delle mie
figli, e avete permesso loro di ritrovare credibilità e rinomanza nel mondo
degli uomini.»
Naell
sobbalzò a quelle parole, eccitata all’idea di poter portare con sé Ylar a
Rajana, una volta conclusosi quel viaggio avventuroso in un mondo a lei
sconosciuto.
Amava
già alla follia quel lupacchiotto tenero e dolce, e sarebbe stato bellissimo
averlo sempre con sé, amarlo e vezzeggiarlo e non doverlo mai abbandonare.
Un
lento, piacevole sorriso si dipinse sul volto della ragazza mentre i due
gemelli, fissando Hevos con aria apertamente sconvolta, esalarono: «E Symill? E
Luak? Piangeranno!»
«Loro
sono d’accordo con me» replicò loro Hevos. «Amano la principessa, e sanno che
lei si prenderà cura dei loro cuccioli, a Rajana.»
A
Rannyl parve strano e, pur sapendo di dovere il massimo rispetto nei confronti
del dio-lupo, ribatté dubbioso: «Ma non sarebbe un po’ strano, per loro, vivere
fuori dalla foresta?»
Hevos
lo fissò con autentico rispetto, ma si limitò a dirgli: «Sarai davvero una
colonna portante di immenso valore.»
Enyl
sorrise al fratello, che arrossì copiosamente di fronte a quel complimento, e
disse allegra: «Ho un fratello davvero bravo, sì!»
Wolan
a quel punto rise e, rivoltosi alla bambina, celiò: «Tu diventerai
un’ammaliatrice cui nessuno saprà resistere, Enyl di Hyo-den. Le genti
penderanno dalle tue labbra, e la tua saggezza sarà preceduta solo dalla tua
avvenenza.»
Fu il
turno di Enyl di arrossire e, mentre Rannyl la prendeva bonariamente in giro
per tutti quei complimenti, Naell si concentrò su Hevos.
«Succederà
davvero? Quello che state dicendo.»
«Il
tempo ce lo dirà» gli rispose misterioso il dio-lupo, prima di udire dei passi
frettolosi giungere dal bosco. «La nostra ospite è infine giunta.»
Volgendosi
a mezzo, Naell sorrise nel vedere giungere di corsa Liana che, lancia alla mano
e sguardo omicida negli occhi, si bloccò a metà di un passo non appena si rese
conto di chi vi fosse nelle vicinanze dei ragazzi.
Basita,
la figlia sacra esalò: «Mio signore Hevos!»
Crollando
in ginocchi subito dopo, Liana reclinò compita il capo, mormorando: «Perdonate
se sono giunta con le armi levate, ma temevo che i gemelli e la principessa
fossero in pericolo.»
«Perdona
tu la nostra segretezza, figlia
sacra, ma dovevamo conferire con loro in separata sede.»
Levandosi
sulle zampe, Hevos le si avvicinò e, sfiorandone il viso con il muso freddo,
aggiunse: «Sei stata benedetta, figlia mia, e io sono lieto di vedere dentro di
te un frutto di immenso splendore. La Nuova Via avrà combattenti di valente
mano e potente anima. Me ne compiaccio.»
Liana
sobbalzò a quelle parole e, portandosi una mano sul ventre piatto, biascicò
confusa: «Aspetto… un figlio?»
«Di
nobile stirpe e di forza inusitata. Sì, figlia diletta. Dentro le tue carni
cresce una nuova vita, ed essa sarà preziosa per tutti voi, come lo sono le
vite dei gemelli che tanto noi abbiamo atteso e amato fin dal loro primo vagito
su questo mondo» mormorò Hevos, lanciando uno sguardo adorante ai due bambini.
Sentendosi
prossima alle lacrime, Liana sorrise al suo dio ed esalò: «Potrò… potrò dirlo
al mio compagno? Ad Antalion? Potrò?»
«Ne
siete i genitori, mia cara. Certo che potrai» asserì Hevos, guardando poi Naell
e i gemelli. «Ciò che voi avete udito, invece, a voi soli apparterrà. Non è
tempo per simili esternazioni. Ma dovevate sapere, perché siate pronti quando il Fato vi chiamerà a raccolta.»
Inaspettatamente,
i due gemelli si inginocchiarono di fronte al dio-lupo, asserendo con tono
inaspettatamente maturo: «Ciò che ci hai rivelato rimarrà dentro di noi, te lo
promettiamo.»
«Lo
prometto anch’io» assentì Naell, prima di chiedere: «Dovrò parlare di Ylar,
però.»
«Ciò
ti è consentito, principessa. E ora andate. Eikhe e Aken sono in ansia per voi,
così come il villaggio tutto. Procedete e sappiate che avete la benedizione mia
e di Haaron» terminò di dire il dio-lupo, prima di trotterellare via in una
nuvola di brina scintillante.
Liana
fissò l’enorme corvo, che era rimasto in silenzio fin dal suo arrivo, ed esalò:
«Wolan?»
Il
corvo si limitò a gracchiare prima di involarsi in direzione del cielo turchino
ed Enyl, osservandolo nel suo volteggiare in cerchi concentrici, commentò:
«Haaron è tornato a casa.»
Riscuotendosi,
Liana aiutò Naell a rialzarsi e, aspra, disse a tutti e tre: «Noi
dobbiamo tornare a casa. Il villaggio è impazzito, da quando abbiamo scoperto
che eravate spariti.»
Poi,
volgendo lo sguardo in direzione di Luak che, silenzioso, li aveva raggiunti,
aggiunse: «E tu… prima o poi, dovrai spiegarci perché siete ammattiti di colpo
tutti quanti! Fare sparire così i gemellini e Naell! Volevi vederci morti di
paura?»
Luak
incassò con un uggiolio pentito e Naell, in dovere di difenderlo, si avvicinò
al lupo per avvolgergli protettiva le spalle.
«Hevos
aveva ordinato a Luak di accompagnarci qui. E lui, di certo, non poteva
rifiutarsi, no?»
Accigliandosi,
Liana domandò a Luak: «I vostri ‘affari
del branco’, riguardavano Hevos?»
Luak
annuì, senza però spiegare null’altro e Liana, scocciata, sbuffò: «Dèi, quanti
misteri! Coraggio, in marcia. Si torna a casa!»
Mettendosi
al suo fianco, le mani strette in quelle dei gemelli, Naell sorrise a Liana e
mormorò: «Congratulazioni. Scommetto che Antalion sarà felicissimo.»
Liana
a quel punto arrossì copiosamente e, con un risolino, diede un buffetto sulla
guancia a Naell, replicando: «Sempre che non svenga prima per la notizia!»
Naell
sorrise, lieta per la novella e felice per entrambi ma, in cuor suo, si chiese
turbata perché, in futuro, avrebbero dovuto aver bisogno di colonne
portanti e di combattenti dalla forza immane.
Cosa
li attendeva? E perché il Fato li avrebbe chiamati a raccolta? E lei cosa aveva
a che fare con quel futuro incerto?
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Capitolo 6 *** cap. 6 ***
6.
Il brusio nella sala delle riunioni
della casa di Istrea, era solo paragonabile a quello che, una volta, Naell
aveva udito durante una seduta del Concilio della Corona.
E quella volta, aveva origliato
attraverso un panneggio dietro cui si era nascosta, non era stava veramente presente alla riunione.
Questa
volta, però, non c’era nessun pesante telo damascato a proteggerla dalle
occhiate di chi, nella sala, la stava guardando a metà tra lo sconvolto e
l’invidioso.
Solo
le mani forti e protettive di Aken ed Eikhe, in piedi dietro di lei, la
consolavano e la trattenevano dal fuggire a gambe levate da quel posto.
Non
che volessero farle del male, ma aveva idea di avere fatto quasi uno sgarbo a
tutte loro, incontrando il dio-lupo a cui loro erano devote quando, a quasi
nessuna del villaggio, era stato concesso un simile onore.
Seduta
accanto a lei assieme ai gemelli, che apparivano stranamente tranquilli e quasi
indifferenti al caos generato dal loro ritorno a Hyo-den, Liana le strizzò
l’occhio.
«Vedrai
che non appena arriverà Istrea, si daranno una calmata.»
«Ho
quasi paura del suo arrivo» brontolò Naell, prima di sorridere benevola ad
Antalion, giunto nella stanza praticamente di corsa.
Scivolando
abilmente tra i corpi di donne assiepate nella sala, raggiunse in fretta la sua
famiglia e, dopo aver dato un bacio ai fratelli e alla cugina, si inginocchiò
dinanzi a Liana.
«Sono
arrivato appena ho potuto. Allora, che succede? Dove li hai pescati?»
Liana
si limitò a sorridergli dolcemente, prima di chinarsi a dargli un modesto bacio
sulle labbra per poi sussurrare: «Erano a passeggiare con Hevos e Haaron.»
Antalion
sobbalzò di sorpresa, fissando i tre ragazzi con aria apertamente sconvolta.
«Miseriaccia!
Entrambi? Siete stati davvero baciati dalla fortuna!»
«Non
ne sono sicura» borbottò Naell, ripensando alle parole di Hevos.
Perché
ci sarebbe stato bisogno di due colonne portanti?
E
perché, i gemelli sarebbero stati i due pilastri di un ponte?
Un
ponte per dove? O per unificare chi?
Cosa
sarebbe successo, nel loro futuro? E perché lei era finita nel bel mezzo di
quella visione-non visione?
Fatto
accomodare Antalion al fianco dei gemelli, Liana gli strinse una mano per un
istante e sussurrò a bassa voce al suo orecchio: «Ora c’è troppa confusione,
per cui te ne parlerò dopo, ma Hevos ha detto una cosa anche a me.»
«Forte!»
sorrise divertito Antalion, dandole un bacio con lo schiocco sul naso, e
tornando serio subito dopo non appena Istrea entrò nella sala, che azzittì
tutti con lo sguardo.
Il
brusio scemò di colpo, facendo piombare la stanza nel silenzio più teso che
Naell avesse mai provato.
Nessuna
osava aprire bocca e, mentre Istrea raggiunse il palchetto su cui avrebbe
parlato a tutte loro, la ragazza percepì distintamente la stretta di Eikhe e di
Aken farsi più forte, sulle sue spalle.
Erano
con lei, in tutto e per tutto.
Naell
levò su di loro uno sguardo grato, prima di udire Istrea parlare per la prima
volta.
«Visto
che i nostri fuggiaschi stanno ovviamente bene…» e, nel dirlo, sorrise ai
gemelli e alla principessa. «… vediamo di capire cosa ci ha riferito Liana e
cosa, Hevos, abbia detto a questi tre fanciulli benedetti.»
Liana
si levò in piedi pur tenendo una mano allacciata a quella del compagno, che le
sorrise fiero.
Con
tono tranquillo, esordì dicendo: «Quando ho raggiunto i ragazzi grazie
all’aiuto di Luak, che mi ha indirizzata verso di loro, li ho trovati in
compagnia del dio-lupo Hevos e dell’emanazione del dio-corvo Haaron che, a
quanto pare, si serve di Wolan per osservarci.»
Questa
prima notizia portò i presenti a un nuovo giro di battute sussurrate e commenti
increduli, che Istrea riportò immediatamente al silenzio con un cenno imperioso
della mano.
«Continua
pure, Liana» la pregò poi Istrea.
Annuendo,
Liana aggiunse con voce stentorea: «Il dio-lupo ha offerto in dono ai figli
della famiglia reale i cuccioli di Luak e Symill, quale segno dell’unione
profonda che esiste a tutt’oggi tra la casa regnante e le figlie e i figli del
branco.»
«Dei
lupi dovrebbero vivere in un palazzo?!» esplose una delle donne, non potendo
trattenersi oltre.
Istrea
levò una mano per calmare sul nascere quella che avrebbe potuto, ben presto,
diventare una discussione più che violenta.
Presa
la parola, la Signora del Villaggio si rivolse direttamente a Naell chiedendole
gentilmente: «Non devi pensare che qualcuno di noi possa avercela con te,
bambina. Dicci quello che Hevos ti ha detto.»
Naell
arrossì lievemente e, schiarendosi la voce, si levò a sua volta in piedi ed
espose i fatti avvenuti nel bosco.
Naturalmente,
omise ciò che Hevos aveva desiderato tenere segreto e, quando ebbe terminato di
parlare, Istrea annuì gravemente prima di permetterle di accomodarsi.
Osservate
subito dopo le sue sorelle e i pochi uomini presenti nella sala, Istrea disse
cupamente: «Se Hevos ha scelto una via diversa da tutti gli altri loro fratelli,
per i figli di Luak e Symill, noi non possiamo che accettare la sua decisione.
E’ più che ovvio che Lui sa cose che noi ignoriamo. I lupi partiranno con te,
quando la tua permanenza qui avrà termine, principessa, e io mi auguro con
tutta me stessa che tu vorrai prenderti cura di loro come hai fatto qui al
villaggio.»
«Più
che sì, Signora» mormorò Naell, reclinando ossequiosa il capo.
Sapeva
benissimo che quella decisione non piaceva a nessuno, pur avendo ascoltato la
voce di Istrea e avendone percepito il tono imperioso, di comando.
Non
una sola sorella, o fratello del branco avrebbe potuto opporsi a quell’ordine,
ma Naell era certa che, per nessun motivo, ciò sarebbe stato accettato con
leggerezza.
Tutti,
al villaggio, amavano i lupi e li onoravano, e l’idea di sapere tre di loro
confinati entro le possenti e fredde pareti di un palazzo, era quasi più
detestabile della loro morte.
Rajana
era vista alla stregua di una gabbia e, con l’esempio di Aken a fungere da
memento vivente, non sarebbe stato facile far comprendere loro che, in quel
luogo, si poteva anche vivere serenamente.
Quando
la seduta fu sciolta, e Naell poté uscire dalla casa di Istrea, la ragazza si
scusò con gli zii e i cugini e, già con le lacrime agli occhi, corse a
perdifiato fino al capanno dei lupi.
Non
voleva che nessuno la vedesse e, soprattutto, non voleva sentire su di sé il
biasimo per una cosa che non aveva scelto, né voluto.
Non
lei era stata a decidere per la vita dei tre lupi, ma Hevos e,
indipendentemente dalle parole cordiali di Istrea, Naell sapeva benissimo
che tutte ce l’avevano con lei.
Dopo
aver aperto di botto la porta del caseggiato e aver scavalcato il recinto con
un balzo, si gettò in ginocchio accanto a Symill, che uggiolò spaventata per la
sua strana reazione.
Abbracciandola
con forza, singhiozzò spiacente e mormorò: «Non l’ho deciso io, Symill. Non è
colpa mia, non è colpa mia…»
Dondolò
avanti e indietro, tenendo stretta a sé la lupa che, a momenti alterni,
uggiolava spiacente e le leccava consolatoria il viso.
I suoi
cuccioli trotterellarono innocenti attorno a loro, e Ylar le morse le brache per attirarne
l’attenzione.
Si
sentiva morire dentro, al pensiero di separare quella famiglia e non capiva
perché Hevos avesse voluto mettere sulle sue spalle un simile peso.
Lei
era solo una bambina!
Non
poteva affrontare una simile prova! Non voleva!
Per
ore e ore rimase lì ad abbracciare la lupa, a piangere tutte le sue lacrime sul
suo pelo morbido.
Quando,
però, la voce di Kaila riuscì a penetrare nella sua mente, Naell si volse con
un sobbalzo e osservò sorpresa il viso dell’amica stagliarsi sull’entrata del
capanno.
La
luce del tramonto tingeva le vette dei monti alle sue spalle.
Era
dunque passato così tanto tempo?
Un
sorriso gentile si dipinse sul volto di Kaila che, entrando con passo
tranquillo, si appoggiò allo steccato e le chiese: «Stai meglio?»
«Insomma»
borbottò Naell, osservandola mentre, agilmente, superava lo steccato per
raggiungerla.
Sedutasi
a terra sulla paglia smossa e profumata di fresco, Kaila le diede un colpetto
contro la spalla, mormorando: «Per la cronaca, nessuno ce l’ha con te. E’ che
non capiamo il volere di Hevos.»
«Alcune
sono gelose del fatto che io, una
straniera, abbia potuto vederlo» ci tenne a dire Naell, storcendo il naso.
«Beh,
allora sono più sciocche di quanto io abbia mai potuto pensare fino a ora. Come
se noi potessimo decidere di incontrarlo, o meno! E’ Hevos ha decidere, non
noi» ridacchiò Kalia, facendo spallucce.
«Sarà
anche così, ma… in fondo, non è il mio dio. Perché ha scelto me, per questo
regalo?»
«Quante
altre principesse reali conosci, qui intorno?» ammiccò Kalia, facendola
sorridere. «Non so cosa spinga Hevos, ma so che tu ti prenderai cura di Ylar, e
so che insegnerai lo stesso ai tuoi fratelli. Ci deve essere sicuramente un
disegno più ampio, in tutto questo, ma noi non sappiamo leggerlo.»
Perché
non posso dirglielo!?, si lagnò tra sé Naell, rimpiangendo di aver promesso a Hevos il totale
silenzio sull’intera faccenda.
Kalia
poggiò una mano sulla sua spalla, scrollandola gentilmente e, con un mezzo
sorriso, asserì: «Porti un grande peso sulle spalle, principessina, ma ricorda
una cosa; non sarai mai sola. L’hai detto tu stessa un sacco di volte. La tua
famiglia ti ama, e qui hai amici e parenti che si farebbero in quattro, per te.
Per quanto il peso del tuo titolo sia abnorme, non dovrai mai portarlo
interamente con le tue sole forze.»
Abbozzando
un sorrisino, Naell le chiese: «Se ti volessi come mia consigliera, un giorno, verresti
da me a Rajana?»
«Chissà,
tutto è possibile…» ammiccò Kaila, alzandosi in piedi e aiutando Naell a fare
altrettanto. «Sono tua amica e sempre lo sarò, hillan. Ricordati questo,
quando ti sentirai sola e sconsolata. E rammenta anche che, una volta che sei
stata toccata da Hevos, non potrai mai, veramente, sentirti abbandonata da
tutti, perché una figlia o un figlio del branco ci saranno sempre, per te.»
Naell
non poté impedirsi di stringere Kaila in un abbraccio caloroso e, poggiato il
capo contro i suoi seni, sorrise grata e sussurrò con decisione: «Avrai sempre
un posto speciale nel mio cuore, amica mia!»
«E tu
nel mio, hillan. Ma ora andiamo. Credo ti aspettino per cena, quindi…»
Naell
rise con lei nell’uscire dal recinto ma, quando si volse indietro per osservare
un momento Symill, il dolore tornò nel suo cuore, pesante come un macigno.
Avrebbe
davvero osato portare via Ylar da quel mondo? Strapparlo ai suoi genitori?
***
Quando
la cena fu consumata e anche l’ultima fetta di torta fu fatta sparire dal
piatto, Liana si levò in piedi e, tossicchiando per attirare l’attenzione di
tutti i presenti, sorrise al compagno e disse: «Come Naell e i gemelli già
sanno, ho qualcosa di molto importante da dirvi.»
Enyl e
Rannyl sorrisero complici a Naell che, deliziata all’idea di sapere già tutto,
aveva le stelle negli occhi al pensiero di ciò che avrebbe detto, o fatto,
Antalion alla notizia.
Era
così bello pensare che, ben presto, suo cugino e sua cugina avrebbero avuto un
bebè da stringere tra le braccia!
Guardando
la compagna con aria divertita, Antalion commentò: «E’ tutto il giorno che
tieni per te questa notizia. Finalmente possiamo essere informati anche noi!»
«Farai
meno il gradasso, tra un po’» scherzò Liana, prima di strizzare l’occhio a
Naell ed esclamare allegra: «Aspetto un bambino!»
Antalion,
che era appoggiato sui piedi posteriori della sedia, sgranò sconvolto gli occhi
prima di perdere l’equilibrio e finire lungo riverso sul pavimento.
Eikhe,
invece, raggiante di felicità, balzò in piedi per abbracciare l’amica ed
esclamare: «Oh, per Hevos! Sono felicissima per voi!»
Cercando
di non badare alle risate divertite dei figli minori e al risolino di Naell, Aken
si levò in piedi per recuperare Antalion da terra, ancora tremendamente confuso
da quella notizia data a bruciapelo.
Presolo
per mano, lo tirò in piedi e lo abbracciò, dicendogli commosso:
«Congratulazioni, figliolo.»
«Grazie…
papà» ansò Antalion, stringendosi a lui per un istante prima di intrecciare lo
sguardo della sua compagna e mormorare: «Volevi farmi morire?»
«Tutt’altro»
ridacchiò lei, abbracciandolo con foga non appena gli fu possibile. «Allora,
sei contento?»
«Contento?
Farai fatica a trovare una persona più felice di me, tra queste montagne»
sogghignò Antalion, prendendola in braccio prima di darle un soffocante bacio
sulla bocca.
«An e
Liana si baciano! An e Liana si baciano!» strillarono in coro i due gemelli,
danzando allegramente attorno alla tavola da pranzo.
Naell
li osservò con un misto di gioia e tristezza assieme e, quando fu sicura di non
offendere nessuno, si scusò con loro e uscì per andare a dormire.
Addusse
come scusa il fatto di sentirsi molto stanca, dopo quella giornata ricca di
imprevisti, e infine uscì sola e triste.
In
realtà, non riusciva a provare la stessa gioia che sentivano loro, e non voleva
guastare la festa a nessuno.
Per
quanto fosse lieta della notizia, l’idea di festeggiare le sembrava assurda.
Non se
la sentiva di essere felice quando sapeva bene che, nel giro di poche
settimane, avrebbe spezzato il cuore di due lupi che lei amava tantissimo.
Luak e
Symill erano adorabili e così pure i loro cuccioli, ma lei non li voleva
separare, non voleva allontanarli dal loro villaggio, da tutte le loro
certezze.
Erano
troppo piccoli! Troppo indifesi!
Non
avevano alcuna voce in capitolo in quella faccenda, e non era giusto!
Detestava
l’idea di essere usata per fini politici, ma sapeva che questo avrebbe potuto
succedere, un giorno, perché lei era nata principessa.
Per
quanto i suoi genitori le volessero bene, il regno era ugualmente importante.
Lei
per prima non si sarebbe tirata indietro, per la sua difesa, in qualsiasi modo
essa avesse dovuto essere fatta.
Perciò
detestava l’idea che creature così dolci e indifese, dovessero subire una sorte
su cui loro non avevano avuto alcun potere, né decisione.
Non
era giusto!
«La
giustizia, spesso e volentieri, non ha a che fare con questo mondo.»
Sobbalzando
per la sorpresa e lo spavento assieme, Naell crollò a sedere su uno dei gradini
della veranda quando, volgendosi a mezzo, trovò a fissarla con molta
comprensione niente meno che Hevos
Due
volte in un giorno? No, era troppo!
Balbettando
uno stentato saluto, Naell lo vide trottare su per le scale fino a raggiungerla
e, a grande sorpresa, sedersi accanto a lei e sfiorarle il viso con il naso
freddo e umido.
«Il
tuo cuore è appesantito dalla scelta, e questo me ne dispiace, ma doveva essere
fatto» le disse ancora Hevos, con tono spiacente.
«Amo
quei cuccioli, ma non meritano di crescere lontano da tutto ciò che conoscono e,
soprattutto, senza che sia loro la scelta» mormorò Naell, stringendosi le
braccia attorno al corpo tremante. «Non voglio che qualcuno soffra a causa mia
e, di sicuro, Luak e Symill soffriranno, checché ne dicano loro… o voi, con
tutto il rispetto.»
Hevos
si librò in una risatina prima di ammettere: «Non posso che essere d’accordo
con te, ma dovevo…era necessario metterti alla prova, principessa.»
«Perché?
Sempre per via di quel futuro oscuro che ci avete prospettato?» domandò Naell,
più che sicura che Hevos non avrebbe risposto.
«Sì»
disse soltanto lui, sorprendendola un po’.
Beh,
insomma, non era una gran risposta, ma non si era aspettata neppure un cenno
con il muso, quindi…
«Posso
dunque rifiutare il vostro dono? Non vi sentirete offeso?» tentennò lei.
«Il
libero arbitrio è molto più di un incontro di parole, principessa. Puoi seguire
il tuo cuore, per ora, ma sappi che un domani questa possibilità non ti verrà
data, e che sarà la necessità a guidarti, non necessariamente i tuoi desideri.
Sei pronta ad accettarlo?»
«Sono
nata principessa. Lo so da quando sono nata» asserì Naell, rizzando le spalle e
guardandolo con fierezza.
«Quindi
accetti il tuo ruolo, senza rimpianto alcuno?»
Vagamente
sorpresa che lui fosse a conoscenza dei suoi tentennamenti, Naell sorrise e
commentò: «C’è qualcosa che non sapete, dio-lupo?»
«Ben
poche cose, in effetti. Non so cosa mangerai domattina per colazione, per
esempio» sentenziò divertito Hevos, facendola ridere sommessamente. «Il Fato mi
è in parte visibile, in parte no. Posso intervenire per consigliare, non per
ordinare, perché i miei figli a me tanto cari, non finiscano nel baratro. A
volte, le decisioni da prendere sono più difficili di altre, perché il futuro
che attende al varco è più funesto di altri,ma tutto è fatto solo per un
motivo.»
«Permetterci
di vivere al meglio?» ipotizzò Naell.
«E’
nei miei intenti. Anche se a volte non posso evitare che certe disgrazie
avvengano» sospirò Hevos, reclinando il muso per poggiarlo sulle gambe della
ragazza, che sospirò di sorpresa per quel gesto davvero inaspettato.
Arrischiandosi
a toccarlo, Naell gli carezzò il capo morbido, avvertendo il freddo della brina
e il calore del suo corpo vivo. Era una strana sensazione.
Hevos
chiuse gli occhi, mormorando malinconico: «Hyo fu l’ultima ad accarezzarmi il
capo come stai facendo tu. Mi manca così tanto!»
Naell
proseguì nella sua carezza prendendo anche le spalle e la schiena e, mentre la
sua mano si bagnava di brina al pari dei calzoni, lei domandò spiacente al
dio-lupo: «Vi è spiaciuto vedere quanta sofferenza le vostre figlie si siano
causate nel corso dei secoli?»
«Molto.
Ma occorreva tempo per tutto, anche perché aprissero gli occhi e tornassero
alla verità che io avevo voluto per loro. A volte è difficile osservare i
propri figli commettere degli errori, e non poter intervenire come si vorrebbe.
Ma occorre dar loro fiducia, perché comprendano da soli» le spiegò
sommessamente Hevos, sempre tenendo gli occhi chiusi e scodinzolando
debolmente.
«Farò
del mio meglio per prepararmi a questo futuro non proprio roseo, ve lo
prometto. Non so ancora esattamente come, ma lo farò» gli promise Naell, con
veemenza.
«Rimani
te stessa e dai voce alla tua anima, in tutte le sue declinazioni. Luak aveva
fiducia in te, e ho visto che è stata ben riposta. Se manterrai questo tuo
cuore saldo e puro, non avrai difficoltà ad affrontare ciò che avverrà nel tuo
futuro» asserì con decisione Hevos, rialzando il muso per guardarla negli
occhi.
«Nessuna
anticipazione?» ironizzò Naell, sorridendo bieca.
«Credi
nel diverso e nello sconosciuto» le disse lui, rialzandosi sulle zampe.
«Diverso
e sconosciuto» annuì Naell, imitandolo.
«Grazie
per le carezze e per la bella chiacchierata» mormorò a quel punto Hevos,
trotterellando giù dalle scale.
«Vi
rivedrò più?» volle sapere Naell.
«Forse.
Per ora, buona fortuna, principessa Naell Yollande di Rajana.»
Ciò
detto, svanì in una nuvola di brina sotto i suoi occhi e Naell, con un sorriso,
sussurrò all’oscurità: «Grazie, Hevos.»
***
Tenendo
in braccio Ylar, che le stava leccando il mento come se fosse stato il più
dolce tra i bocconi, Naell fissò seria in viso Istrea e disse perentoria:
«Rifiuto il dono di Hevos. Il posto dei lupi è qui. Non deciderò mai la
loro sorte. Saranno liberi di fare ciò che vogliono e se, un domani, vorranno
accompagnare il nostro cammino, sarò ben felice di accoglierli a Rajana, ma non
un giorno prima.»
Istrea
la fissò con altrettanta serietà e le replicò gentilmente: «Sai che rifiutare
il dono di un dio, a volte, ci si può ripercuotere contro, vero?»
«Ne ho
parlato con il diretto interessato, e Lui è d’accordo» scrollò le spalle Naell,
facendo sobbalzare tutte le presenti, ivi compresa Eikhe.
Imprecando
senza tanti complimenti, Istrea fissò la principessa con cupo cipiglio prima di
rivolgersi a Eikhe ed esclamare: «Cos’ha, la tua famiglia, da attirare Hevos
come le mosche sul miele?»
«Credo
dovrai chiederlo direttamente a Lui, Istrea» ridacchiò Eikhe, avvolgendo con un
braccio le spalle della nipote. «E’ successo ieri sera, quando sei uscita per
andare a letto?»
Naell
annuì, spiegando loro come si sentisse all’idea di strappare i lupi alla loro
casa e che, pur amandoli tanto, non li avrebbe mai condannati a seguire una
scelta che loro non avevano potuto fare.
Alla
fine, stringendo maggiormente a sé Ylar, Naell lo baciò sul musetto e terminò:
«Non potrei mai vederlo infelice. I genitori sanno della scelta di Hevos e
della mia. Se un domani vorranno dirlo anche ai loro cuccioli, saranno loro a
scegliere se venire da noi, o meno. Ma non sarò io a obbligarli.»
«Questo
ti fa onore, Naell» le sorrise benevola Istrea.
«E’
quello che farebbe qualsiasi figlia del branco» le replicò Naell, arrossendo
leggermente.
«E tu
lo sei, mia cara. Lo sei» annuì orgogliosa Istrea, annuendo in direzione di
Eikhe, che strinse maggiormente a sé la nipote.
I
passi frettolosi di uno dei più giovani figli del branco le interruppe e,
quando videro entrare di corsa e trafelato il piccolo Alistan, Istrea lo
accolse con un sorriso chiedendogli: «Dove corri così di corsa, ragazzo?»
Riprendendo
fiato a pieni polmoni tenendo le mani sulle cosce, Alistan esalò a mezza voce:
«Una missiva… per…la principessa. Da palazzo.»
Naell
impallidì leggermente e, dopo aver messo a terra Ylar, che zampettò accanto a
lei uggiolando per tornare in braccio, prese la lettera dalla mano tremolante
di Alistan.
Era chiusa
dal sigillo in ceralacca con le insegne di suo padre e, perciò, aveva un
carattere dannatamente ufficiale.
Ringraziato
il bambino, spezzò il fermo di cera rossa e infine aprì il messaggio.
«Vedrai
che non è successo nulla di grave» la tranquillizzò Eikhe, sorridendole
benevola.
Naell
annuì, pur leggendo febbrilmente la missiva per comprendere quanto prima il suo
contenuto.
Dopo
aver dato una scorsa alle prime righe, però, si bloccò di colpo, levò uno
sguardo dubbioso all’indirizzo della zia ed esalò: «Sono tutti impazziti, a
Rajana?»
Eikhe,
al pari delle altre donne presenti e del giovane Alistan, che strabuzzò gli
occhi alle sue parole, esalò un sospiro di sorpresa.
Data
una scorsa veloce al contenuto della missiva, sgranò a sua volta le iridi
dorate, dicendo subito dopo: «O sono molto ottimisti, o tuo padre soffre di
demenza senile precoce.»
Scoppiando
a ridere nervosamente, Naell replicò alla zia: «Non dovresti parlare così del
re, neppure tu che sei Eroina del Regno.»
Eikhe
si limitò a scrollare negligente una mano prima di guardare una curiosa Istrea
e spiegare a tutte loro: «I principi Staryn e Meriton stanno venendo qui assieme
a una delegazione del Regno di Akantar …e al suo principe ereditario.»
«Dèi
del Cielo!» esclamò Istrea, impallidendo. «Vogliono vedermi morta! Non possiamo
garantire la sicurezza per così tanti nobili titolati! Per Hevos, tuo padre
vuole davvero farmi venire un infarto prima del tempo!»
Naell
cercò di tranquillizzarla, replicando: «Avranno un intero battaglione a
difenderli, Istrea. Non penso proprio che vengano tra le montagne senza una
buona scorta di acciaio a rinforzo.»
Storcendo
il naso indispettita, Istrea ribatté: «Basta un fosso nascosto dall’erba alta
per far morire un principe. Una zampa di un cavallo messa male e, puff, il principe si spezza il collo nella
caduta e siamo tutti bell’e che fritti.»
«Vero» ammise torva la principessa, chiedendosi
cosa fosse venuto in mente a suo padre.
Da quando in qua lasciava che entrambi i fratelli si muovessero all’unisono fuori dal
palazzo?
E chi era questo principe di Akantar?
Sapeva che quel reame era al di là del mare, e
governato da un sovrano illuminato che suo padre stimava da tempo, ma non aveva
mai saputo che vi sarebbe stata una visita da parte loro.
Quando erano giunti?
Camminando nervosamente avanti e indietro, le mani
strette dietro la schiena e l’aria di chi volesse strangolare qualcuno, Istrea
mugugnò irritata: «Questa me la pagherà, tuo padre, te lo giuro, piccola
Naell.»
«Ne terrò debito conto» ridacchiò la ragazza,
sorridendo complice alla zia, che ammiccò divertita.
Bloccandosi a metà di un passo, la Signora del
Villaggio abbaiò alla figlia con tono da generale: «Manda un messaggio via
falco al comandante delle Guardiane. Le voglio qui non più tardi di domani. Devono controllare i confini di Hyo-den, quindi di’ loro
di portare i loro culi qui al più presto. Vai!»
Selden si guardò bene dal far notare alla madre che
non si potevano dare ordini alle Guardiane quanto, piuttosto, chiedere cortesemente che facessero la loro apparizione dove
necessitava.
Uscì di volata dal capanno tirandosi dietro
Alistan, prima che la madre lo mandasse in giro a dispensare ordini e,
strizzando l’occhio al bambino, gli consigliò: «Stai alla larga da mia madre
per un po’, se non vuoi che ti usi da ambasciatore per tutta la giornata.»
«Farò come dici, Selden. Grazie» ammiccò il
bambino, correndo via di gran fretta.
Selden lo imitò, avviandosi lesta verso la sua casa
per scrivere di volata il messaggio di sua madre in cui, naturalmente, avrebbe aggiunto una buona dose di ‘per favore’
e di ‘potreste’.
Istrea, nel frattempo, guardò accigliata Eikhe e
ordinò: «Fai preparare tutte le figlie sacre tra i venti e i trent’anni in
assetto da battaglia… Liana esclusa, s’intende, visto che è incinta. Dopodiché,
tu e la tua squadra di arciere vi apposterete sui tetti delle case per
controllare la situazione dall’alto, non appena avremo saputo dalle sentinelle
del loro avvicinamento. Non voglio un solo buco libero. Non uno!»
Eikhe annuì tranquilla e uscì con calma dalla casa
matronale, dopo aver lanciato un sorriso a Naell.
Rimasta assieme a Istrea e poche altre, la
principessa le chiese educatamente: «Non credi che sia un tantino eccessivo?»
«Anche se siamo in tempo di pace, mia cara, i
briganti sono comunque presenti tra le montagne, e non voglio di certo che uno
dei tuoi fratelli o questo fantomatico principe ospite siano colpiti per errore
durante una scorribanda. Credimi, niente sarà
eccessivo, quando giungeranno qui» brontolò Istrea, prima di lanciarsi in una
nuova serie di ordini sbraitati a destra e a manca alle sue sorelle.
Vedendosi del tutto inutile, Naell si affrettò ad
uscire dal capanno per tornarsene a casa quando, sulla porta, trovò ad
attenderla i due gemelli che, sorridenti, la presero per mano chiedendole:
«Istrea è impazzita?»
«No, piccoli. E’ solo molto, molto agitata» replicò
loro Naell, sorridendo benevola. «Voi come vi sentite, dopo tutti questi strani
eventi?»
Enyl e Rannyl si guardarono all’unisono prima di
sorridere e ammettere:«Un po’ di paura l’abbiamo avuta, ma non lo dirai al
papà, vero?»
«Il segreto morirà con me» promise loro Naell.
C’erano un po’ troppe cose che doveva tenere
nascoste ma, in fondo, una in più che differenza faceva?
N.d.A.: Domandina: cosa faranno i lupacchiotti?
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Capitolo 7 *** cap. 7 ***
7.
Naell aveva sempre e solo sentito
parlare delle Guardiane, misterioso corpo di guardia formato da donne-lupo.
Il loro unico compito era quello di
tenere d’occhio i luoghi di culto del dio-lupo e, eventualmente, intervenire in
caso di bisogno, qualora qualche figlia del branco avesse avuto bisogno di
loro.
Non
sapeva dove vivessero, se avessero loro villaggi – separati dalle altre – o se,
semplicemente, abitassero nel bosco come nomadi, sempre in viaggio da un
santuario all’altro.
L’unica
cosa che sapeva era che le incutevano un timore reverenziale non indifferente.
Quando
erano giunte al villaggio, non meno di tre giorni addietro, si erano presentate
in formazione dinanzi alla casa di Istrea.
Qella
che, a parere suo, doveva essere la comandante in capo di quell’élite militare,
si era presentata con il nome di Yrana e aveva offerto i loro servigi a Hyo-den
in vista dell’arrivo dei principi.
Da
quel momento, si erano posizionate lungo i confini del villaggio, le armi in
pugno, i pesanti mantelli d’orso sulle spalle e le inquietanti maschere di
terracotta calate sui loro volti a deformarne i lineamenti.
Eikhe
le aveva spiegato che le Guardiane venivano scelte tra le migliori combattenti
di ogni villaggio di donne-lupo, perché venissero addestrate nel compito di
proteggere i luoghi di culto di Hevos.
Anche
lei, però, non aveva idea di che fine facessero, una volta selezionate per quel
ruolo.
Da
quel poco che si sapeva tramite il mito e i racconti delle Anziane, i templi altro
non erano che le porte interdimensionali da cui il dio-lupo entrava e usciva
dal nostro mondo al suo.
Per
questo, le Guardiane si occupavano di tenerli protetti.
Naturalmente,
Naell non si era arrischiata a chiedere conferma, perché quelle donne le
facevano davvero troppa paura.
Non
che le avessero detto qualcosa in malo modo, o che l’avessero guardata storta.
Semplicemente, stare loro vicino le faceva venire i brividi.
Di
certo, uno dei motivi che la spingevano a scrutarle con ansia, era il rapporto
tra Guardiane e figlie sacre; era teso come corde di liuto, e lo si poteva
avvertire nell’aria come una sorta di aroma pungente che solleticava le narici.
L’odio
era scemato, lasciando il posto a una quieta sopportazione, ma la pace era ben
lungi dall’essere stata raggiunta.
A ogni
buon conto, le Guardiane sapevano bene quando sotterrare l’ascia di guerra e
mettersi a disposizione di una sorella, quando essa era nei guai.
Fosse anche
una figlia sacra.
Seduta
sulla paglia fresca all’interno del recinto dove erano allevati i lupi, Naell
era ben contenta di stare loro lontano, anche se impegnata sul lavoro.
Spazzolando
gentilmente uno dei cuccioli come era suo compito, la ragazza sollevò sorpresa
il capo quando, anticipata da una serie di imprecazioni, vide entrare Syanaill
in compagnia di un paio di sorelle.
La
donna appariva veramente furente e Naell, bloccando a metà il movimento della
spazzola, sgranò gli occhi e sbatté le palpebre confusa prima di chiederle: «Ma
che succede?»
«Succede
che Istrea morirà prima della fine della settimana, se continua così, perché sarò
io ad ammazzarla!» sbottò Syanaill, scavalcando il recinto con un abile
gesto di gambe, mentre le due figlie sacre più giovani sorridevano sotto i
baffi.
Evidentemente,
erano state testimoni dell’alterco che aveva causato l’ira della loro maestra,
oppure ne ipotizzavano le ragioni.
Non
contenta, l’anziana figlia sacra prese uno dei forconi appesi alle rastrelliere
e, con una rabbia che le incendiava lo sguardo, iniziò a buttare fieno nuovo
nei box delle puerpere.
Per
fortuna, le lupe non si trovavano lì, in quel momento, ma nel recinto esterno,
impegnate a godersi il sole pomeridiano.
«Sembra
quasi che io mi diverta, a negarle ulteriori sorelle. Ma dovrebbe
saperlo che abbiamo sei lupe in attesa di partorire! Dovrebbe saperlo che io
non posso fare tutto da sola! Dovrebbe saperlo che c’è bisogno di mani
esperte per far nascere i cuccioli!» continuò a mugugnare Syanaill, sempre più
furiosa.
Man
mano che le ottave della sua voce si innalzavano verso vette sempre più alte,
le due figlie sacre si avvicinarono quatte quatte a Naell e, sottovoce, Malyni
le sussurrò: «Fossi in te, uscirei per un po’ con le lupe incinte. Syanaill
comincerà a sbraitare sempre più forte finché non se la prenderà con la prima
che troverà a tiro, affibbiandole i compiti più infami. Noi andiamo fuori a
raccogliere un po’ di letame da portare alla fossa. E’ decisamente preferibile
che stare qui a sorbirsi la sua manfrina.»
Annuendo
alle due ragazze, Naell mormorò grata: «Seguirò il tuo consiglio, Malyni. Non
si sa mai.»
«Saggia
decisione» chiosò con un sorrisino complice Nualin, prima di dare un colpo di
gomito all’amica e sgattaiolare fuori dal capanno senza farsi vedere da
Syanaill.
Syanaill
che, ancora lanciata nella sua filippica senza fine, non si rese conto della
fuga in grande stile delle due allieve, né di quella di Naell.
La
ragazza si acquattò contro il recinto tenendosi bassa sulle gambe, in modo tale
che la figlia sacra non potesse vederla oltre la coltre di fieno che stava
inforcando con violenza.
Non
appena fu a portata di tiro, scivolò fuori attraverso la botola usata dai lupi,
così da non essere costretta ad aprire il portone, smascherandosi.
Quando
fu all’esterno, si ritrovò a fissare il muso di una delle lupe, Lynne, forse
desiderosa di rientrare nel capanno e, con un sorrisino, le diede una carezza
gentile prima di dirle: «Fossi in te resterei fuori ancora un po’. Syanaill ha
un demone per capello.»
Lynne
strabuzzò gli occhi prima di uggiolare e, trotterellando via, se ne tornò
accanto alle compagne, ancora accoccolate sull’erba a godersi la bella giornata
estiva.
«Mi sa
che le imiterò, almeno finché la tempesta dentro il capanno non si sarà
calmata» commentò tra sé Naell, poggiando le mani sui fianchi sottili.
Da
quando era giunta a Hyo-den, i cambiamenti nel suo corpo si era fatti più che
evidenti.
Si era
asciugata, lasciando che la mollezza della vita di palazzo sparisse per
lasciare il posto a un fisico asciutto, abbronzato e forte.
Lavorare
tutti i giorni, mettendosi in gioco ogni volta e dimostrando di potercela fare,
l’aveva fatta anche crescere a livello umano.
Ora si
sentiva più capace, meno insicura e, di tutto, doveva ringraziare la sua
famiglia e il villaggio di Hyo-den.
Naturalmente,
non avrebbe mai detto al padre che gli uomini del villaggio si erano offerti di
insegnarle a usare un’ascia – cosa che aveva trovato piuttosto difficile, ma
gratificante.
O che,
più di una volta, si era ritrovata sul ciglio di un tetto a fissare delle assi
di legno con martello e chiodi ma, a conti fatti, non erano cose che doveva obbligatoriamente
menzionare.
Ridacchiando
tra sé nel sedersi accanto alle lupe stese al sole, Naell si disse che, in
fondo, segreto più, segreto meno, non c’erano problemi.
Non si
era fatta male, aveva imparato una cosa in più e lei era contenta. Non c’era null’altro
da sapere.
Con un
movimento fluido di braccia, intrecciò le mani dietro la testa e si sdraiò a
sua volta sull’erba chiudendo gli occhi e, con uno sbadiglio, si addormentò
dopo poco, baciata dai raggi caldi e sornioni del sole.
***
Sentiva un certo umidore sul volto.
Che una nuvola birichina avesse oscurato il sole, pensando di scaricare sul
villaggio un po’ di pioggia?
Aprendo
un occhio per controllare, Naell si rese subito conto di avere gli abiti
asciutti.
Il
sole splendeva alto nel cielo e neppure una nuvola macchiava l’azzurro intenso
che la sovrastava come un enorme mantello.
Quindi?
Voltando
il capo dai capelli intrecciati su un fianco, Naell sorrise spontaneamente
quando vide Ylar accovacciato a pochi centimetri da lei, la lingua ciondoloni e
gli occhioni grigi che la fissavano… spaventati?
Accigliandosi
immediatamente quando si rese conto che il cucciolo appariva turbato da
qualcosa, Naell si affrettò a rimettersi seduta.
Preso
Ylar in braccio, si guardò intorno con circospezione prima di rendersi conto
che anche le lupe avevano rizzato le orecchie e che, a denti snudati,
osservavano il vicino contorno del bosco.
Tornando
immediatamente ai suoi doveri, Naell si alzò in piedi e disse perentoria:
«Tornate dentro, non si sa mai.»
Le
lupe si limitarono ad alzarsi sulle zampe, ma si rifiutarono di allontanarsi da
lei, circondandola con i loro corpi massicci e snudando ancor più i denti.
Un
basso brontolio di gola fuoriuscì dalle loro bocche serrate, mentre Naell
continuava a guardarsi intorno, circospetta.
Stringendosi
maggiormente Ylar al petto, Naell cercò una potenziale arma da usare per
difendersi e difendere le lupe incinte e, quando scorse un bastone accanto al
capanno, corse ad afferrarlo.
Poggiato
subito dopo il cucciolo a terra, gli intimò: «Stai in mezzo alle lupe, va
bene?»
Ylar
annuì all’indirizzo dell’amica ma, quando un’ombra uscì veloce dal bosco,
uggiolò spaventato e si acquattò a terra, coprendosi le orecchie con le zampe
paffute.
Naell,
seppur a fatica, seguì i movimenti sinuosi dell’ombra che, con rapidi balzi,
atterrò sinuosa su un vicino capanno prima di balzare via sotto lo sguardo
preoccupato della principessa.
Era
impossibile coglierne le fattezze, tanto era veloce, ma aveva compreso bene
quanto fosse grande e possente.
Cosa diavolo
era? Un leone di montagna?
Non ne
aveva mai visti, sapeva solo cos’erano e com’erano, ma non aveva mai avuto la
sfortuna di incontrarne uno.
L’ombra si mosse veloce tutt’intorno,
avvicinandosi sempre di più al folto gruppo di lupe che Naell voleva difendere.
Con un sibilo sommesso e un fruscio,
infine, atterrò sul prato dinanzi a loro mettendo finalmente in mostra la sua
identità, che però non servì affatto a tranquillizzare la ragazza, né tanto
meno le gestanti.
Era
assurdo, eppure sembrava un felino.
Solo
che non assomigliava per niente a un leone di montagna, notoriamente
grosso più o meno come un lupo e dal manto color ocra.
Questo
era ben più grande di un lupo, il suo pelo era maculato e passava dal nocciola
al nero, in macchie tondeggianti che ne ricoprivano la schiena, il muso e le
zampe affusolate.
La sua
struttura imponente disse a Naell quanto potesse essere forte e pericolosa,
qualora avesse deciso di attaccarli.
La
creatura misteriosa, però, non fece altro che fissare i suoi occhi verdi e
penetranti sul loro gruppo, prima di sedersi sulle zampe posteriori, emettere
un mugolio e infine… scodinzolare.
Naell
spalancò la bocca, basita di fronte a quel comportamento tutt’altro che
minaccioso, prima di rendersi conto di un particolare a cui, in precedenza, non
aveva badato.
Aveva
un collare!
Era
ricoperto di pietre preziose, incastonate su una catena di anelli dorati che, a
conti fatti, sembrava più un girocollo da donna che altro.
Alla
caviglia, portava un cerchio d’oro a cui erano stati applicati due splendidi
opali neri.
Naell
fissò il gioiello con attenzione, notando un’incisione sul bordo molto simile a
un blasone gentilizio.
Sembrava
la rappresentazione stilizzata di una testa di felino, ma non poteva esserne
sicura perché il disegno era molto piccolo.
L’unico
modo per meglio controllare sarebbe stato avvicinarsi, cosa che lei non avrebbe
fatto per nessun motivo al mondo!
Ugualmente,
Naell rimase in attesa di una qualsiasi manovra da parte dello strano felino,
interiormente spaventata quanto attratta dalla sua bellezza quasi ipnotica e
dal suo ron-ron, che aveva cominciato a far vibrare nell’aria fin da
quando si era seduto.
Ops,
seduta.
Con un
mezzo sorriso, Naell si rese conto trattarsi di una femmina e, come se la cosa
fosse di una qualche importanza, poggiò il bastone su una spalla e disse a
mezza voce: «Visto che siamo tutte della stessa categoria, che ne diresti di
non mangiarci? Sai, giusto per solidarietà femminile.»
Il
felino femmina allora annuì e, sotto gli occhi sconvolti di Naell, si illuminò
come una stella prima di mutare forma e prendere le sembianze di una donna,
interamente ricoperta dalla sottile peluria maculata.
La
stessa che, in precedenza, l’aveva ricoperta come felino.
Coprendosi
la bocca per non lanciare uno strillo, mentre le lupe uggiolavano confuse
nell’osservare la strana creatura, Naell spalancò gli occhi nel fissarli sul
fisico slanciato della donna.
Non era
del tutto umana, e recava su di sé i chiari segni del felino che era stata fino
a un attimo prima.
Una
lunga coda le pencolava dal fondoschiena mentre gli occhi, ripiegati verso
l’alto come quelli di un gatto, erano un poco più grandi del normale, in tutto
identici a quelli dell’animale che ora non era più.
O non
del tutto, a ben vedere.
Il suo
corpo era muscoloso, slanciato, chiaramente femminile, e recava su collo e
caviglia gli stessi orpelli che Naell aveva visto sul felino che era giunto al
capanno.
Sì,
non poteva sbagliarsi, erano la stessa cosa… persona… animale. Sì, insomma.
Quello.
Preso
un gran respiro per evitare di svenire, Naell si tolse la mano dalla bocca e,
gracchiando, esalò: «Cosa sei?»
La
donna-felino inclinò il capo di capelli cortissimi e sorrise con la sua bocca
carnosa, prima di mormorare con voce bassa e roca:«My-chan. Sono io.»
Era
evidente il suo sforzo nell’esprimersi nella sua lingua perciò Naell, con tono
educato e un po’ meno spaventato, le chiese: «Qual è la tua patria d’origine?»
«Akantar.»
Lo
pronunciò Ak-ant-har, facendo sibilare un’acca che Naell non aveva idea
vi fosse.
Evidentemente,
i suoi studi in lingue straniere avevano bisogno di un ritocchino.
«Sei
con il seguito del principe, allora» asserì Naell, usando il dialetto costiero
usato dai pescatori.
Sapeva
che, bene o male, veniva usato da tutti i paesi che avessero sbocco sul mare,
per cui sperava che anche lei lo conoscesse.
Non
aveva idea di quale idioma si usasse nel resto del paese di Akantar, perché non
era ancora arrivata a un simile livello di preparazione e, in quel momento, se
ne risentì.
La
donna parve però gradire l’uso di quella lingua perché sorrise maggiormente e
annuì, dicendole: «Lui è più lontano di me. Qualche…tempo. Mezz’ora, forse. Ero
curiosa.»
Mentre
le lupe si calmavano progressivamente, non percependo un pericolo imminente
nell’aria, e Ylar restava prudentemente accanto a loro, Naell poggiò a terra il
bastone e uscì dal cerchio protettivo offerto dalle sue amiche a quattro zampe.
Avvinatasi
all’esotica donna-felino, le chiese: «Sono tutte così, da dove vieni tu?»
Lei rise,
un suono ferino, morbido e caldo che accarezzò Naell da capo a piedi, dandole
una strana sensazione, come di velluto avvolto attorno al suo corpo.
My-chan,
dopo un momento, le spiegò: «Vecchia razza. Poche ancora di noi. Siamo… in
estinzione?»
Naell
annuì, confermandole che la parola era esatta e My-chan, tutta contenta, le si
avvicinò per abbracciarla, mormorando con la sua voce carezzevole: «Mi piaci!
Sei buona!»
La
ragazza rimase bloccata nel suo abbraccio, paralizzata dalla sorpresa e da un
briciolo di paura prima di rendersi conto che, a tutti gli effetti, la
donna-felino stava… stava facendo le
fusa! Per lei!
Con la
muscolatura asciutta e potente che si ritrovava, avrebbe potuto ucciderla con
facilità estrema, invece si limitò al suo ron-ron ritmico, che continuò
anche quando My-chan si scostò per aggiungere: «Gentile come il mio padrone.
Lui non … non ha paura di me. E non mi picchia.»
La
sola idea fece tremare di rabbia Naell che, accigliandosi, la fissò sdegnata
esclamando: «Chi ti avrebbe picchiata?!»
My-chan
rise nuovamente, carezzandole un braccio con il tocco leggero di una mano,
quasi come un riflesso incondizionato, o per calmare l’ira della principessa, e
mormorò: «Cacciatori. Taaanti cacciatori! Loro facevano di noi dei…»
Si
guardò intorno, come per cercare la parola giusta da usare prima di battere il
piede a terra e aggiungere, fiera: «Tappeti. Ecco cosa! Tappeti!»
Disgustata,
Naell rabbrividì suo malgrado ed esalò: «Non puoi dire sul serio! E… i re del
tuo paese lo permettevano?!»
«Papà
del mio padrone, no. Lui ha detto basta. E anche suo figlio, ma ormai eravamo
davvero pochissime» nel dirlo, sospirò infelice e Naell, d’istinto, le prese
una mano e la carezzò comprensivamente.
My-chan
sembrò gradire il gesto e, scostandosi da lei, si accucciò a terra riprendendo
le forme feline sotto gli occhi vagamente sgranati di Naell, che osservò quel
magico cambiamento senza riuscire a emettere fiato.
Quando
il corpo della donna fu nuovamente in forma animale, ella iniziò a strusciarsi
accanto alle gambe di Naell, emettendo una fitta gamma di miagolii e fusa che
portarono la ragazza a ridere di gusto.
Era
davvero la situazione più assurda a cui si fosse mai trovata innanzi, ma quella
strana donna-animale le piaceva.
Aveva
un che di infantile e dolce e, al tempo stesso, sapeva essere estremamente
seria e adulta.
Un
vero caleidoscopio di emozioni. Inoltre, l’aveva incuriosita.
Da
quel poco che aveva capito, My-chan era l’animale – la poteva chiamare così? –
da compagnia del principe di Akantar e, a quanto pareva, lui era gentile e
cortese, con lei.
Di
certo, un punto a suo favore.
«Direi
che…» iniziò col dire Naell, prima di sobbalzare quando uno dei corni delle
vedette, appostate sulle torri di controllo poste poco oltre i confini di
Hyo-den, suonò con forza.
Quel
rombo espanse il suo richiamo su tutta l’ampia valle in cui si trovava il
villaggio.
Poggiata
una mano sulla schiena di My-chan, Naell guardò le lupe – incuriosite dalla
loro strana ospite – e il piccolo Ylar e, infine, disse loro: «Voi tornate
dentro. Syanaill dovrebbe essersi calmata, ormai. Io vado a vedere che
succede.»
Le
lupe annuirono con il muso mentre Ylar, uggiolando, fissò Naell con ansia prima
di accordarsi al gruppo di partorienti e rientrare nel capanno.
Pur
spiacendole, Naell non poteva stare con Ylar, in quel momento.
C’erano
cose più pressanti a cui fare caso.
Lanciato
uno sguardo in direzione di My-chan, che continuava a starle accanto fiduciosa,
le sorrise e asserì: «Direi che io e te potremmo andare a controllare come
procedono le cose, che ne dici?»
My-chan
annuì e trotterellò al suo fianco, raggiungendo lo steccato che separava il
prato dal resto delle abitazioni del villaggio.
Scavalcatolo
con agilità, la guardò con una certa aspettativa mentre Naell, con movimenti
più goffi, oltrepassava l’ostacolo prima di atterrare sul terreno battuto della
via.
«Non
sono atletica come te» tenne a precisare la principessa, ammiccando al suo
indirizzo prima di incamminarsi verso il centro di Hyo-den con My-chan al
fianco.
Sui
tetti, come nella strada principale, il via vai di donne-lupo era controllato,
seguiva uno schema che Istrea aveva inculcato a dure parole nelle menti delle
sue sorelle.
Sui
volti di tutte, però, si leggeva la leggera ansia che aleggiava tutt’intorno ormai
da giorni.
Non
era cosa da poco ricevere la visita di così tante alte cariche dello stato e,
di sicuro, l’idea di un potenziale incidente terrorizzava tutti e tutte.
Inoltre,
quando le prime donne che Naell incrociò lungo la via la videro affiancata a un
felino mai visto prima, parecchie di loro si scostarono sconvolte e spaventate,
urlandole dietro: «Ma quella cosa da dove è saltata fuori?!»
«E’
del principe di Akantar» si limitò a dire la principessa, sorridendo a My-chan
e passandole una mano sulla schiena possente e robusta.
Diverse
donne imprecarono disgustate, chiedendosi irritate se dovessero saltare fuori
altre novità, in un momento come quello.
Altre,
invece, più che mai divertite da tutto quel caos a stento controllato, fecero
commenti e ipotesi sulla loro strana, nuova ospite.
La
notizia dell’arrivo di quello strano felino addomesticato si sparse per il
villaggio con la velocità del fuoco nella steppa e, mentre Naell proseguiva la
sua avanzata verso Istrea, Eikhe le urlò da uno dei tetti: «Ehi, piccola! E
quello?»
Sorridendo
alla volta della zia, Naell la salutò con un cenno della mano prima di urlare
di rimando: «E’ una mia nuova amica!»
«Molto
bella!» le rispose Eikhe prima di tornare al suo posto di guardia, l’arco in
una mano e una freccia già incoccata e a riposo, nell’altra.
My-chan
miagolò tutta contenta per il complimento di Eikhe e Naell, ridacchiando, le
chiese: «Il tuo principe ti fa tante moine, vero?»
Il
felino annuì, scodinzolando felice e Naell, con un sorrisone divertito, celiò
ironica: «Perché mi immagino il tuo principe come un ragazzino pelle e ossa, e
che dipende interamente dalla tua difesa?»
My-chan
scosse con veemenza il capo, smentendo di netto la descrizione di Naell e la
principessa, sempre più curiosa, mormorò: «Ti chiederei di tornare donna per
farmi una sua descrizione accurata ma, se tu lo facessi proprio ora, e in mezzo
a tutte queste donne già nervose, probabilmente ne ammazzeremmo metà per
infarto.»
La
donna-felino assentì con aria comprensiva, confermando la sua ipotesi e
trovandola più che mai azzeccata.
Dandole
una grattata in mezzo alle orecchie ritte, Naell sentenziò: «Casomai, lo farai
più tardi, quando Istrea avrà messo un quintale di ovatta intorno ai miei
fratelli e al tuo principe.»
My-chan
lanciò un lungo, profondo brontolio di gola che a Naell parve tanto una risata
di complicità e, sorridendo alla sua nuova amica, dichiarò: «Penso proprio che
io e te andremo d’accordo, sai?»
Il
felino annuì e, strusciandosi contro una gamba di Naell, miagolò felice.
Quando
infine la principessa giunse nei pressi di Istrea e del suo comitato di
benvenuto, si mise prudentemente di fronte a My-chan.
Sfiorando
poi una spalla della donna, la avvertì sentitamente: «Prima di voltarti verso
di me, voglio che tu sappia che non sono sola e che, qui con me, c’è l’animale
da compagnia del principe di Akantar.»
Istrea,
naturalmente, non badò a una sola parola della ragazza e, voltandosi di scatto,
le brontolò contro: «Ma cosa diamine stai… dicendo… ragazza…»
Man
mano che i suoi occhi registravano ciò che aveva innanzi, le parole di Istrea
divennero più strozzate, fin quasi a scomparire in un rantolo senza forze.
Mentre
il suo sguardo si faceva man mano più sconvolto, il suo viso divenne una
maschera di terrore puro.
Sua
figlia Selden, lanciando uno strillo ben poco edificante, balzò dietro la
schiena della madre e fissò spaventata a morte l’enorme felino alle spalle di
Naell.
Le due
figlie sacre che si trovavano con loro, invece, più sconcertate che mai,
portarono istintivamente le mani alle daghe prima di esclamare quasi all’unisono:
«Per tutti i demoni delle montagne, ma cos’è?!»
Naell
fissò Everyn e Krisena – due figlie sacre nate da stesso padre ma da madri
diverse – con aria vagamente ironica e chiosò: «Non avrete mica paura, spero?
Non avete notato che ha il collare e, soprattutto, che mi sta facendo le fusa?»
Istrea
riuscì in qualche modo a riprendere il controllo su se stessa e, dopo aver
lanciato un’occhiataccia alla figlia, che arrossì copiosamente nello scostarsi
da lei, si piegò leggermente in avanti per dare uno sguardo più attento al
grande felino.
Solo a
quel punto notò ciò che Naell aveva detto loro.
Non
solo se ne stava docile al fianco della principessa, che appariva tutto tranne
che spaventata, ma emetteva un ron-ron così forte da far quasi vibrare
l’aria.
«A
quanto sembra, le piaci» commentò a quel punto Istrea, tornando i posizione
eretta mentre Everyn e Krisena si mettevano nuovamente sull’attenti.
Inclinando
il capo nel fissare Naell con curiosità, Selden le chiese dubbiosa: «Come sai
che è del principe straniero?»
«Perché
me l’ha detto lei» si lasciò sfuggire Naell prima di tapparsi la bocca,
sgranando gli occhi di fronte all’errore grossolano che aveva appena fatto.
E meno
male che si era ripromessa di non dire una parola!
Selden
impallidì visibilmente al suo dire mentre Istrea, fissando allibita Naell, si
portava le mani nei capelli prima di esclamare irritata: «Dèi del cielo!
Un’altra diavoleria! Cos’altro dovrà succedere, oggi?!»
Mortificata,
Naell si morse un labbro con fare spiacente mentre My-chan, lanciandole uno
sguardo ironico, emise un basso ringhio di gola, sedendosi a terra accanto a
lei.
Altro
che non fare impazzire Istrea… di quel passo, le sarebbe venuto un collasso
isterico. A lei, e a mezzo villaggio.
Guardandosi
intorno nella speranza che qualcuno la salvasse da ulteriori scivoloni
diplomatici, Naell sorrise grata nel vedere giungere suo zio Aken con andatura
tranquilla e rilassata.
I
gemelli erano accanto a lui, stretti alle sue forti mani, mentre lui aveva
l’aria di uno più che abituato a eventi strani e incomprensibili.
Salutando
il quartetto di donne in attesa, e ricevendo in risposta dei brontolii
scomposti e irritati, Aken fissò poi curiosamente la nipote e la sua strana
compagna prima di sorridere divertito.
Trattenendo
accanto a sé i gemelli – interessati a conoscere l’amica a quattro zampe della
cugina – domandò con ironia a Naell: «Mi spieghi cosa ci fai con un renpardo
stellato al fianco? E soprattutto, da dove salta fuori?»
Più
che mai sorpresa, Naell fece tanto d’occhi nel sentire il nome dell’animale e,
fissando My-chan per un istante, si rivolse subito dopo allo zio, domandando
curiosa: «E’ del principe di Akantar. E’ venuta qui per curiosare prima del
loro arrivo. Ma tu come fai a sapere di che razza è?»
Ridacchiando,
Aken sorrise ai figli nel passare le mani sui loro capi e scompigliare i
capelli di entrambi poi, con tono serafico, le spiegò: «Ho avuto un sacco di
tempo libero, mentre ero a palazzo a piangermi addosso, quindi ho studiato su
una marea di libri, ivi compresi dei testi che trattavano di fauna e flora
esotiche. E’ lì che ho visto il disegno di un renpardo e, quando l’ho
visto accanto a te, l’ho riconosciuto subito. Però, pensavo fosse una razza
estinta. Mi sorprende che ne esistano ancora.»
Accigliandosi
leggermente, Naell passò una mano intorno alla testa di My-chan mormorando: «Me
l’ha detto anche lei che sono in poche, ormai.»
Aken
allora sollevò un sopracciglio con evidente curiosità e, dopo essersi
inginocchiato di fronte al renpardo, sorrise e lo accarezzò sotto il
mento, chiedendole: «E’ dunque vera la leggenda che vi vuole sia umani che
animali?»
My-chan mugolò di piacere e socchiuse
gli occhi mentre Naell, ridacchiando, annuì e disse a bassa voce allo zio: «Io
l’ho vista, prima. E’ così che mi ha spiegato chi era. Ma non volevo
sconvolgere Istrea, spiegandole ogni cosa… anche se un errore l’ho fatto lo
stesso.»
Aken
lanciò un’occhiata alla vecchia amica, ritta a pochi passi da loro e con lo
sguardo cupo puntato verso il bosco vicino.
Sorridendo
complice, commentò sommessamente: «Vedrai che le passerà presto.»
«Sì,
quando noi ce ne saremo andati…» sospirò Naell, reclinando il capo.
Aken
le sorrise gentilmente, stringendosela al fianco prima di scrutare i figli, che
ancora stavano osservando curiosi il renpardo.
«Perché
non vai a chiamare Antalion? Credo gli farà piacere vedere i cugini.»
Naell
annuì e i gemelli, in coro, esclamarono: «Possiamo andare con lei?»
«Ma
certo» assentì Aken, dando un bacio veloce alla nipote prima di vederla correre
via assieme a Enyl, Rannyl e il renpardo.
Dopo
un ultimo sguardo ai ragazzi, Aken si volse in direzione dell’entrata del
villaggio, percependo attorno a sé la presenza delle arciere di Eikhe e delle
Guardiane.
Quando
il corno aveva suonato, avvertendo tutti dell’arrivo dei loro ospiti, i ranghi
si erano serrati e, in quel momento, ben difficilmente si sarebbe potuti
entrare a Hyo-den.
Tra
figlie sacre e donne-lupo armate di daga, arcieri e arciere assiepati sui tetti
e Guardiane forti delle loro lance acuminate, forse solo un granello di polvere
avrebbe potuto oltrepassare quelle difese.
Intrecciando
le braccia sul possente torace, Aken lanciò un mezzo sorriso all’amica Istrea e
chiosò: «Un’altra giornata così, e i capelli ti diverranno tutti bianchi, eh?»
Istrea
si limitò a un leggero ringhio, prima di mugugnare: «Re o non re, tuo fratello
mi ha proprio consegnato tra le mani una patata bollente. Fare venire qui l’erede
del regno! E non solo! Anche suo fratello, e un ospite a sorpresa!»
Wolan
volteggiò leggiadro sopra le loro teste prima di andarsi a posare sul suo
trespolo, il capo oscuro piegato verso il basso a scrutare la strada e gli
intelligenti occhi che non sembravano perdersi alcun particolare.
Istrea
lo fissò accigliata, mormorando disgustata: «Sono giorni che mi tiene d’occhio.
Ormai è diventato la mia ombra.»
«Ci
sono un sacco di persone interessate a che oggi si svolga tutto nel migliore
dei modi» asserì Aken, lanciando un’occhiata ironica all’enorme corvo nero.
«Persone?»
sibilò Istrea. «Divinità, vorrai dire. Forse tu e la tua consorte ci siete
abituati, visti i vostri trascorsi, ma a me tutto questo interessamento divino
fa venire la tremarella.»
Aken
la fissò apertamente divertito, prima di esclamare incredulo: «La grande Istrea
che ha paura di un corvo?»
Scrollando
una mano con fare infastidito, lei gli replicò caustica: «Non si tratta
dell’animale, ma di chi rappresenta.»
Tornando
serio, Aken annuì e sentenziò torvo: «Non piace neppure a me questa situazione,
ma ormai ho imparato da tempo che, su certe cose, non posso mettere il becco,
perché c’è qualcuno che ne sa più di me.»
«Quanto
vorrei avere la tua stessa fiducia» sospirò Istrea, scuotendo mestamente il
capo.
«Non
so se è fiducia o rassegnazione, ma il risultato è lo stesso» ammise Aken,
prima di irrigidirsi leggermente quando, dal largo sentiero del bosco che
conduceva a Hyo-den, emersero i primi cavalli… e cavallerizze.
Sgranando
gli occhi per la sorpresa, Aken esalò: «Ma che diamine…»
______________________________
N.d.A.: Odiatemi pure, ma lascerò al prossimo capitolo la descrizione di ciò che ha sconvolto tanto Aken. Credo che l’arrivo di My-chan sia sufficiente, come sorpresa, per ora. A presto! :)
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Capitolo 8 *** cap. 8 ***
8.
«Per tutti i demoni delle montagne!»
esclamò Antalion, balzando indietro di quasi mezzo metro quando, a sorpresa,
vide sbucare Naell e i gemelli da dietro l’angolo di una casa…assieme a quello
che aveva tutta l’aria di essere un felino gigantesco!
Anche
Liana, accanto al suo compagno, sobbalzò spaventata prima di notare l’assoluta
tranquillità del trio di giovani.
Pur
aggrappata al braccio di Antalion, che li stava fissando con aperta
perplessità, riuscì a dire con tono quasi tranquillo: «Ehi, ragazzi! Che ci
fate qui con… con… beh, con…»
«My-chan»
intervenne con un sorrisino Naell, accarezzando la testa del felino che,
strusciandosi contro il suo fianco, emise dei ron-ron così forti da
essere più che udibili.
Antalion
si passò una mano tra i capelli neri, tagliati di poco sopra le spalle e,
vagamente perplesso, chiese alla cugina: «Si può sapere da dove salta fuori
quel gattone troppo cresciuto?»
«Anche
quanto, è una miciona.»
Nel
dirlo, Naell sorrise complice a My-chan.
«E’
l’animale da compagnia del principe di Akantar, ed è venuta in avanscoperta per
vedere il villaggio.»
«E tu
sai questo perché…» si informò dubbioso Antalion, sempre più accigliato.
Naell
ridacchiò con fare divertito, limitandosi a dire: «Meglio che la prendi per
come te l’ho venduta, credimi.»
Liana
sospirò, scuotendo il capo e, passandosi istintivamente una mano sul ventre
ancora piatto, esalò: «Meglio che mi vada a sedere, invece di starmene in giro.
Se la giornata è iniziata con questa sorpresina, non oso immaginare cosa
succederà dopo.»
Protettivo,
Antalion le avvolse la vita con un braccio e, dopo averle baciato la tempia, le
sorrise mormorandole dolcemente: «Vai sulla veranda della casa dei miei. E’
sulla via principale, perciò vedrai l’arrivo dei principi in tutta comodità. Io
rimarrò qui per tenere sott’occhio il retro delle abitazioni.»
Naell,
a quel punto, intervenne e replicò al cugino: «Zio Aken ha detto che dovresti
venire anche tu. Sarebbe carino se ci fossi, per l’arrivo dei miei fratelli.»
Mordendosi
il labbro inferiore con aria titubante – aveva ricevuto degli ordini perentori
da Istrea, e non aveva molta voglia di subire le sue ire – Antalion si guardò
intorno prima di incrociare lo sguardo di un suo coetaneo poco distante.
Vedendoli
raccolti a parlare, sollevò un sopracciglio con aria interrogativa e chiese:
«Ci sono dei guai, Antalion?»
«Non
proprio. Dovrei andare a ricevere i miei cugini, a quanto pare. Posso lasciare
la mia postazione a te, Kogan?» gli domandò Antalion, non ancora del tutto
convinto che fosse la cosa migliore da fare.
«Nessun
problema…» poi, ammiccando, indirizzò uno sguardo divertito al felino al fianco
di Naell e aggiunse: «…poi, mi spiegherai da dove salta fuori quel micione
enorme.»
«Promesso»
ridacchiò Antalion, strizzandogli l’occhio prima di prendere per mano la
compagna e dirigersi verso la via principale di Hyo-den, assieme ai ragazzi e a
My-chan, come l’aveva chiamata Naell.
Osservando
la principessa e il modo vagamente protettivo con cui teneva poggiata la mano
sulle spalle del felino, Liana storse la bocca in una smorfia ironica e
commentò: «Me lo sento nelle ossa. Oggi ne vedremo delle belle.»
***
Alti e possenti destrieri dal pelo
scuro come la notte avanzarono lenti lungo la via e, su esili selle senza
pomello, cavallerizze armate fino ai denti osservarono le case attorno a loro
come fossero barriere difensive e, sorprendentemente, si rilassarono.
Era
evidente quanto, fino a quel momento, fossero state tese come corde di violino.
Scorgere
finalmente il termine di quel viaggio, certamente lungo e sfiancante – almeno a
livello psicologico – era, per loro, un autentico sollievo.
Aken,
che ancora le stava fissando a occhi spalancati, non meno di tutti i presenti –
donne-lupo comprese – ne studiò le lucide armature bulinate con lo stemma reale
di Akantar.
Lunghe
spade sottili e ricurve pendevano dai loro cinturoni legati in vita, mentre
daghe corte e tozze erano legate dietro la schiena, all’altezza delle reni.
Accanto
alle selle, erano sistemate delle faretre colme di dardi da balestra, arma che
tenevano saldamente legata a tracolla su una spalla, tramite una fascia di
cuoio.
I loro
volti dai lineamenti ferini, non mascherati da alcun elmo, erano color
dell’ebano e lunghi capelli neri, stretti in pesanti trecce, scintillavano
sotto il sole con strani riflessi blu.
Dietro
la prima schiera di soldatesse, circa una ventina, giunsero gli uomini di
Rajana, che si allargarono a ventaglio per formare due file di soldati.
Mentre
il corpo di guardia di Akantar raggiungeva il gruppo di Istrea, disponendosi a
loro volta sui lati della strada, i trombettieri fecero levare nell’aria la
fanfara che precedeva l’arrivo dei reali.
Aken
sogghignò sardonico e commentò, all’indirizzo di Istrea: «Scommetto quel che
vuoi che Meriton e Staryn, in questo momento, sono rossi come peperoni maturi.»
«Non
so Sua Altezza Meriton, ma il principe Staryn di sicuro» ammiccò Istrea,
continuando a osservare con interesse le alte e possenti guerriere di Akantar.
«Ammetto che la loro presenza mi ha sorpresa.»
«Non
sei l’unica» ammise Aken.
Aveva
sentito, nel corso degli anni, di voci riguardo a un corpo di guardia
interamente femminile, facente parte dell’esercito del tanto rinomato regno di
Akantar.
Non
aveva però mai avuto conferma diretta della loro reale esistenza.
I
rapporti commerciali con Akantar avevano preso piede solo qualche anno prima della
sua fuga da Rajana e, fino a quel momento, lui aveva parlato di affari
unicamente con qualche loro rappresentante.
Mai,
in nessuna loro discussione, avevano toccato argomenti anche lontanamente
attinenti all’esercito che proteggeva i loro confini.
Lo
scoprire che ad Akantar le donne potessero entrare nell’esercito, sorprese non
poco Aken che, pur abituato a vivere in mezzo a donne guerriere ormai da tempo,
trovò la cosa davvero sconcertante.
Nell’osservare
i loro corpi tonici e tutt’altro che esili, però, si disse che neppure per un
istante avrebbe potuto sottovalutare una di quelle soldatesse, durante un
combattimento.
Sembravano
maledettamente in gamba.
L’arrivo
dei figli e della nipote distolse Aken dalla visione delle possenti guerriere
akantaryan e, nel salutare Antalion con un mezzo sorriso, gli sussurrò: «Che ne
dici?»
Antalion
ammirò per un istante le donne a cavallo prima di annuire fiero e sostenere:
«Il principe di Akantar mi sta già simpatico.»
«Lo
sospettavo» ridacchiò il padre, aprendosi in un sorriso spontaneo quando,
finalmente, la colonna di guardie private dei principi fece finalmente il suo
ingresso nel villaggio.
Sotto
l’occhio attento degli abitanti di Hyo-den, le loro Altezze il principe Meriton
e il principe Staryn entrarono per primi all’interno dell’abbraccio sicuro del
villaggio.
Subito
dietro di loro, la nera cavalcatura del principe di Akantar avanzò al passo
mentre il giovane, con sguardo incuriosito, ammirava ciò che si erigeva attorno
a lui.
Studiò
le strutture lignee delle case quanto le slanciate guerriere che, dai tetti
delle abitazioni, tenevano sotto controllo la situazione nei dintorni del paese
montano.
Erano
anni che, per voce dei marinai, così come dei mercanti, gli echi delle
avventure dell’Eroina del Regno di Enerios si udivano un po’ ogni dove.
Il
principe di Akantar ne era giunto a conoscenza per caso e, sapere della
discendenza divina di questa fantomatica donna, lo aveva oltremodo incuriosito.
Giunto
a Rajana con la delegazione akantaryan, il giovane ne aveva quindi parlato
direttamente con re Ruak, scoprendo a sorpresa della loro parentela.
Era
stata una sorpresa, per lui, venire a conoscenza dei legami stretti tra questa
donna e la corona di Enerios.
Sempre più interessato a conoscere di lei ogni
cosa, il principe Ellessandar aveva chiesto perciò lumi al sovrano di Enerios.
Con
tono ben gentile e disponibilità infinita, lui gli aveva parlato di Eikhe,
delle figlie sacre e della loro discendenza legata alla loro divinità, il
dio-lupo Hevos.
Ellessandar
ne era rimasto semplicemente affascinato e, non appena aveva saputo dai
principi del loro imminente viaggio per riportare a casa la minore dei tre
figli del re, aveva chiesto loro di poterli seguire tra le montagne.
Naturalmente,
la sua richiesta aveva mandato su tutte le furie il suo attendente e il
Ministro del Commercio, terrorizzati all’idea che lui potesse essere rapito o,
peggio, ucciso.
Nessuno
di loro aveva mai visto una montagna dal vivo, né avevano idea di come fosse il
paesaggio tra quegli impervi coni rocciosi, che potevano intravedere dalle
balconate del palazzo di Rajana.
Dei
Monti Urlanti sapevano solo quello che era scritto nei libri e, di loro,
Ellessandar conosceva solo l’aspetto prettamente geologico, ma nulla più.
L’idea
di poterli vedere, e toccare, gli era parsa così buona che, né le proteste
dell’amico e confidente, né tanto meno quelle del ministro, l’avevano fatto
desistere dai suoi intenti.
Aveva
perciò pregato Ruak di poter seguire i suoi figli e, dopo aver spiegato la sua
decisione alle sue guardie del corpo, aveva preparato armi e bagagli e si era
unito alla colonna di soldati diretti al nord.
Lo
scorgere paesaggi così differenti rispetto ai deserti sterminati che
circondavano la capitale del suo regno, Yskandar, era stato per Ellessandar più
che sorprendente.
Aveva
ammirato i territori di Enerios amandoli al primo sguardo e, quando infine
erano giunti alle pendici dei Monti Urlanti, la sua sorpresa era stata tale da
lasciarlo senza parole.
Aveva
immaginato fin dal primo giorno quanto potessero essere imponenti ma mai, nella
sua vita, avrebbe mai pensato di poter ritrovarsi dinanzi a simili meraviglie
della natura.
I loro
contorni frastagliati, ricoperti di bianca neve soffice e spumosa, apparivano
minacciosi al pari dei loro scoscesi declivi, eppure Ellessandar li aveva
trovati splendidi.
Abituato
a una terra per lo più piatta e senza grandi variazioni di tono – solo le coste
erano verdeggianti e floride, ma l’interno era ricoperto di sabbia e dune – il
principe non aveva potuto far altro che dichiararsi invidioso di simili
bellezze.
Il
principe Meriton, con un sorriso, lo aveva ringraziato per il complimento.
Sapere
che lui ritenesse belle le sue terre era, per l’erede al trono di Rajana, un
omaggio più importante di mille riconoscimenti ufficiali.
Nel
proseguire lungo un largo sentiero boschivo, il giovane principe Staryn lo
aveva informato dei motivi che avevano portato la loro sorellina minore a
spingersi così lontano da casa.
Quando
aveva saputo l’intera storia, ne aveva sorriso con gentilezza.
Una
simile fanciulla sarebbe diventata una principessa dal carattere ben più che
mordace, una donna da tenere davvero in debito conto.
My-chan,
a quel punto, aveva desiderato precederli per dare un’occhiata ai dintorni ed
Ellessandar, non trovandovi nulla di strano, l’aveva lasciata andare.
Aveva
dubitato fortemente che il suo renpardo potesse correre dei rischi.
La sua
presenza, in effetti, aveva causato qualche problema ai cavalli dell’esercito
di Enerios, disturbati da un felino di simili dimensioni tra le loro fila.
Dopo i
primi giorni di iniziale tensione, tutto si era però risolto per il meglio, a
dimostrazione del perfetto addestramento dei destrieri di Rajana.
Ora
che finalmente si trovava nel luogo di cui tanto aveva sentito parlare, Ellessandar
non ne rimase affatto deluso.
Muovendosi
lentamente dietro le cavalcature dei due principi, il giovane osservò ammirato
le costruzioni di tronchi d’albero, i frangi valanghe sulle alture – di cui
Staryn gli aveva accennato – e, infine, lasciò che il suo sguardo vagasse sugli
abitanti del villaggio.
Erano
in prevalenza donne, pur se poté scorgere alcuni uomini e diversi bambini di
svariate età e, per la maggior parte, le loro chiome variavano dal rosso più
acceso al biondo platino.
Tutte
coloro che possedevano quei capelli meravigliosi e dalle tinte chiare, spiccavano
soprattutto per i loro occhi d’ambra.
Figlie
sacre, indubbiamente.
Distogliendo
lo sguardo non appena scorse i due principi bloccare le loro cavalcature,
Ellessandar li imitò prima di discendere dal suo destriero con un agile
movimento di gambe.
Gli
stretti abiti di cuoio nero mugolarono leggermente a quel movimento e, quando
gli stivali toccarono terra, sul selciato grigio e levigato, i suoi occhi scuri
si posarono istintivamente su un volto a lui familiare.
Il
colore degli occhi era diverso – verdi quelli delluomo che stava osservando,
azzurri quelli del re – ma i tratti volitivi erano gli stessi, così come la
postura regale.
Quell’uomo,
dalle ampie spalle e gli abiti di pelle di daino, non poteva che essere il
fratello maggiore di Re Ruak, l’uomo che aveva rinunciato alla corona per amore
di una figlia sacra.
Affiancandosi
ai due principi, che stavano rendendo omaggio a una donna dai biondi capelli
striati di grigio, Ellessandar si affrettò a fare lo stesso e, omaggiatala con
un elegante inchino, esordì dicendo: «Chiedo scusa per gli enormi disagi che,
sicuramente, abbiamo causato per via del nostro arrivo, ma non posso che essere
lieto di trovarmi in un luogo così bello, e tra persone così interessanti.»
La
donna sorrise bonaria, scuotendo il capo lentamente e replicando: «L’unica
nostra preoccupazione era per la vostra incolumità ma, ora che siete qui, il
mio cuore è più leggero, principe. Io sono Istrea, Signora del Villaggio di Hyo-den,
e vi do il benvenuto a nome di tutti.»
«E’ un
vero onore fare la vostra conoscenza. Il mio nome è Ellessandar Trygg Ennyson
di Akantar.»
Nel
dirlo, piegò la bocca in un leggero sogghigno e ammiccò all’indirizzo di
Istrea, che sorrise divertita.
«E’ di
certo un nome che incute timore» asserì Istrea, diplomaticamente.
«E
riempie la bocca» ironizzò il principe, facendola ridacchiare. «Mio padre è
stato fin troppo prolifico nel pensare al mio nome, e io ne sconto il fio. Sarò
più che felice se vorrete chiamarmi solo Ellessandar.»
«Non
sia mai che noi vi rendiamo infelice» sorrise complice Istrea, prima di
indicargli l’uomo al suo fianco per presentarglielo. «Credo abbiate notato una
certa somiglianza con il re. Lui è Aken di Rajana, ed è uno dei nostri figli
del branco.»
Allungando
istintivamente una mano verso di lui, Ellessandar sorrise lieto e asserì con
convinzione: «Sono più che felice di fare la vostra conoscenza, Aken. So che
avete rinunciato al vostro ruolo come erede designato ma, se preferite che io…»
Interrompendolo
con un gesto della mano libera, Aken ammiccò al suo indirizzo replicando:
«Nessun titolo, Altezza Reale. Io sono solo Aken, ed è un onore potervi
accogliere a Hyo-den.»
Ellessandar
allora allargò il proprio sorriso prima di scorgere un giovane in tutto simile
ad Aken, al suo fianco.
Salutatolo
con un cenno del capo, si azzardò a chiedere: «Posso solo immaginare che voi
siate suo figlio, vero?»
«Antalion,
Vostra Altezza.»
Con un
elegante cenno del capo, Antalion si scostò subito dopo per far passare dinanzi
a lui i gemelli e aggiungere: «E questi sono i miei fratelli minori. Enyl e
Rannyl.»
«Due
bellissimi bambini» chiosò Ellessandar, sorridendo loro.
Enyl,
come suo solito, non si lasciò sfuggire l’occasione per ficcare il naso e, con
un sorriso smagliante, gli chiese: «Altezza… come mai la tua pelle è così scura
rispetto alla mia?»
Aken
scoppiò immediatamente a ridere, di fronte alla spudorata curiosità della
figlia mentre Istrea, impallidendo leggermente, fulminava con lo sguardo la
piccola.
Per
nulla preoccupata dalla sua reazione, continuò a sorridere al principe che,
imperturbabile, le si inginocchiò accanto prima di dirle: «Io provengo da un
luogo molto più a sud di qui, dove le terre sono baciate da un sole molto caldo
e molto forte. La pelle, allora, per proteggersi, è diventata più scura tanti e
tanti secoli fa e così, ora, tutto il mio popolo ha questa colorazione.»
«E’
per questo che quelle belle signore sono scure come te, allora» si informò
Enyl, indicando con un dito le guerriere appostate accanto ai loro destrieri.
Sempre
sorridendo, Ellessandar annuì.
«Sì,
quelle belle signore sono come me, e mi proteggono dai cattivi.»
«Come
la mia mamma» sentenziò Enyl, guardando verso l’alto prima di indicare al
principe una donna in particolare. «E’ lei la mia mamma.»
Ellessandar
allora tornò a rialzarsi e, ammirato, scrutò la slanciata figlia sacra che si
trovava sul tetto di una delle case a loro più vicine.
Al
pari di molte altre figlie sacre, anche lei aveva capelli ramati, che portava
stretti in una treccia.
Abbigliata
con pelli di daino, era armata di un arco lungo e appariva intrinsecamente
pericolosa, pur non avendone l’aspetto.
Intervenendo
a mezza voce, Aken disse orgoglioso: «Mia moglie Eikhe.»
«L’Eroina
del Regno» asserì Ellessandar. «Ho così tanto sentito parlare di lei, da averla
immaginata alta due metri e con braccia forti come quelle di un uomo… ma avrei
dovuto capire di essere in errore fin da subito.»
Con un
risolino, Aken chiamò la moglie perché li raggiungesse ed Eikhe, con un paio di
balzi agili e leggeri, toccò terra quasi senza produrre alcun rumore.
Ancora
armata del suo arco, li raggiunse prima di esibirsi in un breve inchino e
presentarsi al principe.
«Siamo
lieti di averti qui tra noi, principe. Io sono Eikhe.»
«Ciò
che hai appena fatto… quel balzo… ha a che fare con la tua origine divina,
vero?» chiese ammagliato Ellessandar, fissandola con lo stesso sguardo che
avrebbe avuto un bambino di fronte a un giocattolo nuovo.
Subito
sorpresa, Eikhe scoppiò in una risatina allegra prima di guardare sorniona il
marito e celiare: «Tuo fratello ha la lingua lunga, eh?»
«A
quanto pare…» sghignazzò Aken, ammiccando alla moglie.
«Spero
di non averti arrecato offesa, chiedendo» si affrettò a precisare Ellessandar.
Meriton
intervenne con un sorriso e, avvicinandosi agli zii, abbracciò entrambi.
«Devi
sapere, zia, che il principe è giunto a palazzo conoscendo già la tua
nomea. Papà, diciamo, non ha fatto altro che infiocchettarla un po’.»
A quel
punto, Eikhe arrossì imbarazzata e, con un risolino, mormorò: «Dèi, non è possibile
che, dopo tanti anni, quella storia sia ancora in giro!»
«Ha
varcato i confini del mare, invece…» le replicò bonariamente Ellessandar. «… ed
è giunta fino alle porte del nostro palazzo. E, come puoi vedere dal mio
esercito, la nomea di una donna che salva un intero regno, non può che averci
fatto piacere.»
Eikhe
lanciò uno sguardo alle possenti guerriere, che le sorrisero di rimando, prima
di annuire al principe Ellessandar.
«Diciamo
che quella volta abbiamo avuto fortuna, se così si può dire.»
«Sarei
onorato se volessi raccontarmi ogni cosa» le propose il principe, prima di
udire un miagolio profondo tra i presenti.
Volgendosi
immediatamente in direzione di quel suono a lui così caro e familiare, il
principe oltrepassò con grazia il muro umano formato da Aken e Antalion e,
inginocchiandosi a terra, abbracciò con calore il suo renpardo,
esclamando: «My-chan! Eccoti qui! Ormai pensavo avessi perso la strada.»
«E’
arrivata una mezz’oretta fa» intervenne con tono pacato Naell che, fino a quel
momento, aveva studiato l’alta figura del principe dal riparo offertole dai
corpi imponenti di zio e cugino.
Nel
momento stesso in cui lo aveva visto in sella al suo destriero, la principessa
si era sorpresa non poco nello scoprire che il principe di Akantar era, sì,
giovane, ma anche prestante non meno dei fratelli e alto come una montagna.
Le sue
spalle, larghe quasi quanto quelle dello zio, erano fasciate da un drappeggio
di pelle chiara all’apparenza così morbida da sembrare seta, al pari dei
calzoni da viaggio e degli stivali neri dalle borchie argentate.
Il
viso, dello stesso colore del cioccolato al latte, aveva zigomi alti e una
mascella volitiva e gli occhi, di un profondo color pece, erano dotati di
un’innata intelligenza, più che evidente a ogni suo sguardo.
I
capelli l’avevano incuriosita non poco.
Erano
lunghi, stretti in una coda di cavallo dietro la nuca, e bloccati da un
fermaglio di corno traslucido.
Non
portava orpelli di nessun genere, né anelli con stemmi nobiliari, o altro.
Bastava
il suo portamento, oltre alla sua parlata elegante, a far comprendere a tutti
chi fosse.
La sua
voce, dal timbro musicale, era bassa e roca e storpiava in modo davvero
bizzarro le esse e le erre, nel parlare la loro lingua, per lo più gutturale.
Quella
stessa voce le accarezzò le orecchie, nel chiederle: «Ti sei presa cura di lei,
figlia del branco?»
Naell
non lo corresse e lo guardò rialzarsi in tutta la sua straordinaria altezza.
Annuendo
nel levare il capo per poterlo guardare in viso, sorrise e asserì: «Ci ha
sorpresi tutti, quando è piombata nel cortile del capanno dei lupi.»
«Posso
immaginarlo» annuì Ellessandar.
Staryn
si avvicinò a loro con un sorrisone e, dopo aver abbracciato la sorella, la
presentò al principe. «Lei è nostra sorella Naell. La scavezzacollo di casa.»
La
ragazza sogghignò al commento del fratello, dandogli un leggero colpo di gomito
nello stomaco, prima di profondersi in una riverenza piuttosto bizzarra.
Con un
risolino, mormorò: «Mi scuso se mi presento con abiti da lavoro, Altezza.»
Ellessandar,
subito sorpreso da quella scoperta, scosse una mano con fare tranquillo,
ribattendo con sagacia: «Mi sarei stupito maggiormente se ti avessi vista con
crinoline e abito di seta.»
Naell
rise sommessamente, chiosando: «Dubito sarei riuscita a lavorare un solo
giorno, con tutti gli orpelli che sono solita portare a corte.»
«Chissà
perché, ma ne sono più che convinto anch’io» assentì Ellessandar prima di
scoppiare a ridere con i presenti.
***
Uno spicchio di luna illuminava la
spianata dove si trovava il villaggio di Hyo-den.
Dopo l’iniziale tensione dovuta
all’arrivo del contingente di soldati, guidati dall’immancabile Meyor, tutto si
era svolto nel modo migliore.
Libagioni
erano state offerte agli ospiti, Istrea aveva finito con il monopolizzare il
capitano delle guardie private del principe Ellessandar e My-chan, dopo aver
fatto le feste al suo padrone, era tornata al fianco di Naell.
In
quel momento, la principessa le stava facendo un grattino dietro le orecchie.
Il ron-ron
che emetteva faceva vibrare le gambe della ragazza, su cui era poggiata la sua testa.
Ylar
invece, dopo l’iniziale paura, si era avvicinato trotterellando all’enorme
felino e, ora, era praticamente sdraiato sulla sua enorme schiena, intento a
mordicchiarlo sul collo, come alla ricerca di qualche parassita da eliminare.
Sembravano
andare d’amore e d’accordo.
Dopo i
convenevoli di rito, Naell aveva spiegato ai fratelli del dono che Hevos
avrebbe voluto fare alla famiglia reale, e i motivi che l’avevano spinta a
rifiutare un tale regalo.
Sia
Meriton che Staryn si erano dichiarati d’accordo con la sorella, e avevano
plaudito la sua scelta e la ponderazione dimostrata in un simile frangente.
Pur
avendo desiderato avere un lupo come compagno, dopo aver visto quelli del
cugino e della zia, entrambi i fratelli comprendevano benissimo quanto, la vita
di palazzo, fosse inadatta a simili animali.
Luak e
Symill avevano accolto con favore la decisione dei principi, pur se i loro
cuccioli si erano mostrati davvero interessati di fare la loro conoscenza.
Avevano
sgambettato felici verso di loro, allontanandosi dai genitori sulle loro
zampette robuste e pelose, e si erano fatti prendere in braccio e coccolare per
tutto il giorno.
Non
che, in quel momento, le cose fossero diverse.
Meriton
e Staryn, seduti su un paio di sedie sotto la veranda di casa degli zii,
tenevano Rym e Coyn sulle cosce, impegnati a fare loro il solletico sui loro
ventri bianchi e morbidi.
I
lupetti non sembravano avere nessunissima intenzione di cambiare quello stato
di cose, e le cose andavano avanti così da
ore.
Symill,
dal canto suo, se ne stava ai piedi delle scale - occupate dalla famiglia di
Aken e da Ellessandar - osservando i figli con aria esasperata mentre Luak, accanto
al padrone, appariva chiaramente disgustato.
Sembravano
imbarazzati dal comportamento dei figli.
Dopo
averli guardati per un bel po’ e aver ridacchiato sotto i baffi, Liana accarezzò
divertita il suo lupo e mormorò, rivolta a nessuno in particolare: «Mi sa tanto
che tra un po’ esploderanno. Sono al limite.»
«Comportamento
poco dignitoso?» domandò Ellessandar, grattando sotto il mento Ylar.
Il
lupetto tirò fuori la lingua, soddisfatto, e piegò un poco indietro la
testolina perché il principe potesse lavorare meglio con le dita.
La
donna annuì, scoppiando a ridere, ed esclamò: «Oltremodo! I lupi vanno molto
fieri della loro indipendenza e un comportamento simile, anche in un cucciolo,
è considerato ben poco… edificante?»
Eikhe
sorrise a Liana nell’annuire e, rivolta al principe, spiegò: «Per un lupo, è
importante mantenere un certo distacco. Ne va del suo orgoglio. Ovviamente,
qualche carezza e qualche abbraccio sono sempre graditi, e anche il gioco, ma
farsi fare coccolare tutto il santo giorno…»
Sogghignando
all’indirizzo dei due principi, che se la stavano godendo un mondo a
giocherellare con i cuccioli, Ellessandar chiosò: «E’ come essere protagonisti
di un incidente diplomatico, o qualcosa di simile.»
«Più o
meno» assentì Aken, prima di aggiungere sornione: «O forse, loro erano destinati
fin dall’inizio a essere così.»
Naell
sollevò lesta il capo per fissare il volto serioso dello zio e chiedere, con
voce sottile e tesa: «Che intendi dire, zio?»
«Pensaci
bene, piccola. Hevos avrebbe potuto scegliere uno qualsiasi dei lupi appena
nati, eppure ha scelto loro. E guardali come si comportano» le espose
Aken, indirizzando un sorriso ai nipoti. «Ti sembra che gli altri cuccioli
abbiano fatto lo stesso? No. Solo loro.»
«Quindi,
la mia decisione è stata inutile?» esalò Naell, sentendosi stranamente presa in
giro.
Aken
ed Eikhe la fissarono con comprensione, sapendo bene come si stesse sentendo in
quel momento e la zia, poggiandole una mano sulla spalla, cercò di confortarla
come meglio poté.
«Non
devi sentirti offesa. Era importante che tu soppesassi la sua offerta perché,
prima di tutto, lui sembrava aver bisogno di sapere come la pensassi.
Non voglio conoscere i motivi che lo hanno spinto a una decisione simile,
perché avrà avuto le sue ragioni, ma evidentemente era necessario che tu
compissi una scelta per dare una risposta ai suoi quesiti.»
«Quindi,
Ylar e gli altri verranno comunque con noi?» esalò Naell, volgendosi a fissare
il lupetto con aria speranzosa e dubbiosa insieme.
«A
quanto pare, sì. Anche perché non credo che quei due si staccheranno volentieri
da Meriton e Staryn» ridacchiò Antalion, ammiccando alla cuginetta e carezzando
distrattamente una coscia della compagna.
Da
quando aveva saputo della sua prossima paternità, era diventato ancor più
solerte, nei confronti di Liana.
Ellessandar
intervenne per tentare a sua volta di chetare i dubbi della principessa,
asserendo: «My-chan è con me da quando avevo otto anni e, pur se ha vissuto per
così tanto tempo in un palazzo, non penserei mai che non è in grado di
cavarsela fuori dalle quattro mura che l’hanno vista crescere. Sono più che
sicuro che, nelle vostre mani, i lupi non perderanno la loro affinità con i
boschi. Abituandosi fin da piccoli al palazzo, inoltre, subiranno meno shock,
non ti pare, Naell?»
Mordendosi
pensierosa il labbro inferiore, la ragazza alla fine annuì al principe.
«Sì,
penso tu abbia ragione. Inoltre, mi farò personale carico di portarli nel bosco
perché non perdano confidenza con il loro mondo.»
«Non
te ne andrai da sola per il bosco, una volta tornata a palazzo» precisò
Meriton, accigliandosi leggermente. «Anche quanto, ti accompagneremo noi. O
Meyor.»
Sentendosi
interpellare, il comandante sorrise alla ragazza, ammiccando con aria divertita
e lei, rispondendo al suo sorriso, annuì al suo indirizzo prima di tornare a
guardare con sufficienza il fratello.
Sapeva
che prima o poi un simile problema si sarebbe presentato, per cui era preparata
per rispondergli a tono.
Sollevando
serafica un sopracciglio, Naell chiese al fratello: «E di grazia, ti sapresti
anche orientare? Perché, se non erro, non è una delle tue specialità.»
Meriton
arrossì fino alla radice dei capelli nel sentire la sorella riprenderlo a quel
modo, e dinanzi ai suoi parenti e amici.
Gonfiandosi
come un pavone, si levò in piedi tenendo in braccio Rym per rimbeccarla a tono.
«Sono
tuo fratello maggiore, perciò non ti permetterò di girare indisturbata per la
foresta, con il rischio che qualcuno possa farti del male. Sarai degnamente
scortata.»
La
ragazza allora sgranò gli occhi, falsamente spaventata, e si portò le mani
dinanzi alla bocca spalancata, esalando: «Oh, dèi, Meriton! Che paura che mi
fai!»
Staryn
scoppiò a ridere di gusto, divertito dall’intemperanza della sorellina mentre
Meriton, sempre più contrariato, la fissava come se avesse voluto prenderla a
scappellotti.
Era
più che evidente che si sentiva colpito nel suo onore di uomo, oltre che di erede
del regno.
Più
che mai decisa ad avere la meglio in quella discussione, Naell si levò in piedi
a sua volta, fissò il fratello maggiore con autentico affetto e aggiunse più
dolcemente: «Meriton, ti sono grata per le tue attenzioni, davvero, ma non sono
più la bambina che conoscevi. Di certo, non mi addentrerò per i boschi da sola
ma credimi, sono in grado di percorrere le vie delle foreste e, di certo, anche
senza di te.»
«La
principessa ha ragione» intervenne a sorpresa Kalia, comparendo sul fondo delle
scale e osservando la famiglia riunita con un timido sorriso. «Scusate se mi
intrometto, ma avremmo bisogno di Naell per un po’. Noi ragazze vorremmo darle
un regalo di arrivederci.»
Perdendo
di colpo il suo cipiglio battagliero, Meriton fissò la fulva figlia sacra con
un certo interesse e, con una maggiore cortesia rispetto a quella usata con la
sorella, le chiese: «Cosa intendevi dire, prima?»
«Che
Naell è in grado di orientarsi e di riconoscere ciò che le può essere dannoso,
all’interno di un bosco. Certo, non possiede ancora una padronanza ottimale
della daga, nel caso debba difendersi da sola ma…è brava, per essere una
principiante. E, come arciera, ha dimostrato un’affinità davvero unica con
quell’arma.»
Nel
dirlo, strizzò l’occhio all’amica, che ridacchiò di fronte alla costernazione
dei fratelli.
Ovvio
che fossero sorpresi. Nelle sue lettere alla famiglia, non aveva
menzionato un po’ di cose.
Ellessandar,
invece, non parve né sorpreso né turbato da quelle rivelazioni e, anzi, annuì
compiaciuto prima di spiegare loro il perché il della sua reazione.
«Non
ci trovo nulla di strano, lo ammetto. Mia madre è la cavallerizza migliore del
regno, e io stesso non mi metterei mai contro di lei, in una gara di tiro con
l’arco. Ha un occhio portentoso.»
Naell
si allargò in un sorrisone tutto denti e, ghignando all’indirizzo dei fratelli
– che apparivano ancora confusi – scese le scale per raggiungere Kalia prima di
volgere lo sguardo in direzione del principe Ellessandar.
«Pensi
che tua madre gradirebbe una mia visita?»
«Naell!»
esclamò Meriton, basito di fronte alla faccia tosta della sorella.
«Quando
le racconterò come vivono le donne-lupo, vorrà saperne ogni cosa e, di sicuro,
tu sei più informata di me sul loro stile di vita» le sorrise Ellessandar,
senza minimamente badare alle reazioni del principe di Rajana.
I suoi
occhi scuri erano tutti per la giovane e intemperante principessa.
«Bene.
Mi sa che, per il mio prossimo compleanno, chiederò che sia questo, il mio
regalo» ridacchiò Naell, guardando poi My-chan per chiederle: «Vuoi venire
anche tu?»
Il felino
annuì e si levò sulle zampe stando ben attenta a non far cadere Ylar e, dopo
aver lanciato uno sguardo al padrone, trotterellò lungo la via assieme alle due
ragazze, scomparendo oltre un muro di corpi festanti e rilassati.
«Mi
scuso per il comportamento di mia sorella. Evidentemente, stare all’aperto per
troppo tempo le ha fatto dimenticare l’etichetta da tenersi con un nobile in
visita» brontolò Meriton, scuotendo il capo con aria contrita prima di fissare
accigliato gli zii.
Aken,
per tutta risposta, scrollò le spalle e replicò al cipiglio del nipote: «Naell
non è stata scortese, solo sincera, e non vedo come questo possa avere in
qualche modo potuto offendere il principe Ellessandar.»
Annuendo
all’indirizzo di Aken, il principe di Akantar ci tenne a difendere Naell dalle
accuse del fratello, asserendo con gentilezza: «Non devi preoccuparti, Meriton,
davvero. Amo la schiettezza, nelle persone, perché già troppi nobili titolati
cercano i miei favori con vane parole. Trovare in tua sorella questa totale mancanza
di affettazione, è stata una piacevole novità.»
«Sono
lieto che la cosa non ti abbia disturbato, Ellessandar, ma non so quanto questo
suo modo di comportarsi potrà giovarle, a corte» sospirò Meriton. «Cercate di
non fraintendermi. Voglio solo il meglio per lei, ma dubito che essere così
schietta con il prossimo possa essere la carta vincente, a palazzo.»
«Naell
non è una sciocca e sa bene che, una volta tornata a Rajana, le cose torneranno
a essere come prima…» intervenne Aken, benevolo. «…ma ora, sa di avere la forza
di poter affrontare praticamente qualsiasi ostacolo, oltre ad aver imparato
qualcosa in più sul suo popolo.»
«Non
vorrei soffrisse quanto hai sofferto tu, zio Aken» precisò Meriton,
sorridendogli con affetto.
«Naell
non ha il cuore spezzato in due dal dolore per la perdita di una persona amata,
Meriton, anche se capisco le tue paure. Ma credo proprio che tua sorella sia
maturata molto, in questi mesi, e abbia raggiunto un buon compromesso con se
stessa e i suoi desideri» gli spiegò Aken, con un mezzo sorriso. «Inoltre,
potrà portare con sé l’adorato Ylar, per cui non abbandonerà mai del tutto
Hyo-den. Ne avrà un pezzetto, con sé.»
«Vero»
ammise Meriton, stringendo un po’ più a sé Rym, che gli leccò il mento con fare
divertito.
«L’importante
è che si limiti a Ylar, e non decida di portare a palazzo anche My-chan,
altrimenti a qualcuno potrebbe venire davvero un infarto» sghignazzò
Staryn, ammiccando con il principe Ellessandar.
Divertito,
Ellessandar lanciò uno sguardo in direzione del gruppetto di figlie sacre dove
si trovava anche il suo renpardo. Sembravano divertirsi un mondo.
«Sono
un po’ geloso, in effetti. My-chan non aveva mai fatto amicizia con nessuno, se
non con me» sogghignò il principe akantaryan , mordicchiando pensieroso un
dolcetto tra quelli che teneva sul suo piatto, in bilico su un ginocchio.
«Naell
è buona, bella e brava. E’ facile fare amicizia con lei» buttò lì Enyl,
sedendosi vicino al principe prima di offrirgli un dolcetto a forma di
ciambella. «Ne vuoi uno?»
Staryn,
a quella vista, afferrò lesto la tortina
- memore di ciò che era successo a lui la volta precedente - e, con un sorriso
di scuse al sorpreso Ellessandar, sogghignò.
«E’
per evitare disastri. Può anche sembrare un angioletto, ma sa essere tremenda,
quando vuole fare uno scherzo.»
Enyl
guardò imperturbabile il cugino e replicò: «Guarda che è buono.»
Staryn,
per contro, la fissò con aria poco convinta mentre Rannyl, seduto accanto alla
sorella, se ne stava a testa bassa a scrutare interessato il suo piatto di
dolci.
Aken
ed Eikhe guardarono divertiti i figli minori e il nipote nella loro silenziosa
battaglia di sguardi mentre Antalion, Meyor e Liana, tentando di non ridere,
studiarono incuriositi l’apparente disinteresse di Rannyl per tutta la
faccenda.
Qualcosa
non quadrava.
Ellessandar,
da par suo, si mostrò davvero incuriosito e, rivolgendosi alla bambina, le
chiese: «Cos’è successo, a tuo cugino, per portarlo a credere che tu voglia
farmi uno scherzo?»
«Mi ha
dato un tortino speziato… molto speziato» intervenne Staryn, continuando
a osservare una granitica Enyl che, con i suoi occhioni d’ambra, lo stava
apertamente sfidando a mangiare la ciambella.
Ellessandar
rise divertito, di fronte a quella risposta mentre Enyl, ancora con lo sguardo
fisso sul cugino, gli domandava: «Vuoi che gli dia un morso io, per
convincerti? Lo faccio, sai? Dai, dammela.»
«So
che me ne pentirò» brontolò Staryn, assaggiando la ciambella e, al tempo
stesso, strizzando gli occhi già presagendo il peggio.
Un
attimo dopo, Staryn si portò le mani alla gola e, raggiunto in fretta il bordo
della veranda, sputò tutto prima di ingiuriare a male parole Enyl che,
scoppiando a ridere assieme agli altri, chiosò: «Ci sei cascato ancora!»
Asciugandosi
una lacrima di ilarità mentre Staryn si affrettava a prendere un bicchiere
d’acqua dalle mani dello zio, Ellessandar guardò la bambina con ammirazione,
domandandole: «Sapevi che sarebbe intervenuto, vero?»
Fu
Rannyl a rispondere per lei.
«Staryn
era stato sua vittima, la volta scorsa, quindi era quasi certo che, vedendola
offrire un dolcetto anche a te, sarebbe intervenuto per salvarti.»
«Mio
fratello è tanto bravo a congegnare scherzi! E io a metterli in pratica!»
ridacchiò Enyl, sorridendo melliflua.
Ellessandar
rise ancora più forte, affascinato dai modi di fare dei due gemelli.
Presa
in braccio la figlia, Eikhe le diede un bacio sulla guancia prima di
suggerirle: «Coraggio, scusati con Staryn e, per stasera, basta scherzi.»
«D’accordo»
promise Enyl, scostandosi dalla madre con un lampo negli occhi.
Rannyl
con sagacia, chiosò: «Brutta scelta di parole.»
«Dici,
caro?» sghignazzò sua madre, ammiccando al figlio prima di scompigliargli i
capelli.
«Sì»
annuì lui, tutto sorridente.
Enyl,
nel frattempo, raggiunse Staryn sulla veranda e, dopo averlo fissato con occhi
liquidi e colmi di dispiacere, lo abbracciò, annullando di fatto la rabbia del
cugino.
Ora
del tutto pacificato, il principe si piegò in avanti, lasciando che la cuginetta
gli desse un bacio sulla guancia.
«E’
un’ammaliatrice» sogghignò Ellessandar.
«Nel
bene e nel male» ammise Aken, con un risolino.
«E tu,
una mente di prim’ordine» aggiunse Ellessandar, allungando una mano in
direzione di Rannyl, che la strinse imbarazzato e ridacchiando non poco.
Rivolgendosi
poi a Eikhe, il principe le chiese: «Quando sarà più grande, potrei decidere di
rubartelo. Chissà cosa potrebbe inventarsi, con un’intera corte da utilizzare
per i suoi scopi?»
«Ran
potrà fare quel che vorrà, una volta adulto» ridacchiò Eikhe. «Per ora, però, vorrei che la smettesse di
congegnare scherzi e trucchi.»
«Vedrò»
si limitò a dire Rannyl, facendo posto a Enyl quando la vide tornare.
I due
gemelli si scambiarono un’occhiata d’intesa e, a Ellessandar, sorse il dubbio
che, prima della loro partenza, anche lui avrebbe subito gli effetti
dell’intelligenza sottile di quei due monelli.
La
sola idea lo divertì un mondo.
_____________________________
N.d.A.: che ve ne pare dei nuovi arrivati? ;)
Ormai siamo al capolinea e forse, un domani, penserò a scrivere qualcosa del futuro di Ellessandar e gli altri ma, per il momento, direi che mi fermerò a questa breve storia sui nostri eroi.
A presto, per il gran finale!
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Capitolo 9 *** Epilogo ***
9.
Il passo cadenzato del cavallo le faceva sempre lo stesso effetto. Cadeva ogni volta in un quieto dormiveglia.
Il crepuscolo danzava con i suoi colori rossastri e violacei nel cielo estivo, tingendo le nevi dei Monti Urlanti e mutando i bianchi valloni in enormi laghi di sangue.
I seracchi solitamente minacciosi, invece, rassomigliavano a una distesa di cespugli di rose in boccio.
L’aria frizzante della sera portava con sé l’odore dei muschi del bosco, il profumo resinoso dei pini e l’aroma della legna bruciata nei camini delle casupole che, come macchie d’inchiostro, coloravano il panorama che si estendeva dinanzi a loro.
Ormai erano nei pressi di Marhna, la bella cittadina montana dove risiedeva il padre di Eikhe, e dove Borgomastro si trovava il vecchio amico dello zio, Kannor.
Avevano abbandonato il villaggio di Hyo-Den due giorni addietro, lasciando alle loro spalle doni da parte della corona, nuove amiche e speranze inconfessate.
Con loro, stavano portando a Rajana esperienze nuove e tre nuovi compagni.
Di certo, il re e la regina avrebbero trovato curiosa la presenza di quei tre splendidi esemplari di lupo, ma Ruak e Renke non potevano certo dirsi due persone dalle idee ristrette.
Avrebbero fatto spallucce, con tutta probabilità, e non avrebbero fatto alcun caso a quel piccolo cambiamento nella loro vita familiare.
La corte, invece, avrebbe sicuramente storto il naso ma, da quel poco che Naell aveva potuto capire in quei due primi giorni di viaggio, ai fratelli non sarebbe importato nulla.
Amavano già troppo Rym e Coyn, per preoccuparsi delle chiacchiere di palazzo.
Quanto a lei, avrebbe difeso Ylar con le unghie e con i denti, questo era poco ma sicuro.
Portandosi il lupetto all’altezza del viso, lo baciò sul naso umido prima di volgere lo sguardo alle sue spalle, in direzione dei monti.
Per mesi, avevano vegliato su di lei e, con un leggero sospiro, si chiese quanto tempo sarebbe passato ancora, per lei, prima di poterli rivedere.
Lasciare le sue amiche era stato più difficile di quanto non avesse pensato in un primo momento e, quando aveva abbracciato Kalia, Naell aveva temuto di crollare a piangere come una bambina di sei anni.
Si era stretta a lei, inspirando il suo profumo di fiori di campo e miele e le aveva detto con sincerità: «Sei la migliore amica che potessi sperare di trovare.»
Kalia aveva sorriso di fronte a quella confessione e l’aveva baciata candidamente sulla fronte, replicando: «E io non avrei mai pensato di trovare, in una principessa, un’amica così cara. Mi mancherai.»
Si erano lasciate con la promessa di scriversi e quando, infine, Naell aveva dovuto salutare gli zii, li aveva pregati di portare anche Kalia con loro, l’anno venturo, quando avrebbero portato i gemelli a Rajana per la prima volta.
Aken ed Eikhe gliel’avevano promesso e lei era partita più serena.
Una stella cadente fendette il cielo sopra le montagne e Naell, con un mezzo sorriso, ne ammirò l’arco lucente prima di vederlo svanire oltre la linea seghettata dei monti innevati.
«Nel nostro paese, le stelle fiammeggianti vogliono dire “cambiamento in corso”. Qui, hanno significato?» le chiese My-chan, interrompendo il suo divagare pensieroso.
Quel pomeriggio, l’enorme felino del principe Ellessandar aveva ripreso forma umana per chiacchierare un poco con la principessa e Naell.
Deliziata dall’interesse della donna nei suoi confronti, la principessa si era ben prestata a rispondere alle sue mille e più domande.
My-Chan aveva un punto di vista davvero singolare, molto diverso da quello di qualsiasi donna Naell avesse mai conosciuto.
Forse, dipendeva semplicemente dal fatto che, a tutti gli effetti, My-chan era solo in parte umana.
Sorridendo alla sua strana compagna di viaggio, Naell strinse al petto un sonnolento Ylar e le disse: «So che, tra le montagne, sono viste come le lacrime di Iralva, la nostra dea della Creazione, ma non so bene il perché di questa interpretazione. Noi, gente di pianura, crediamo che siano granelli di luna che cadono dal cielo. Niente di granché mistico.»
My-chan sorrise e, indicando con un cenno del capo il suo principe, che procedeva ad andatura tranquilla a pochi metri da loro, le confidò: «Lui dice che sono sassi che bruciano. Una volta, me ne ha fatto vedere uno con il suo…come si chiama…grande occhio?»
Vagamente confusa, Naell lanciò un’occhiata curiosa in direzione di Ellessandar che, neanche avesse avuto gli occhi sulla nuca, si volse nella sua direzione con aria interrogativa e le chiese: «E’ successo qualcosa, Naell?»
Il principe, contrariamente a quanto aveva in un primo tempo pensato, aveva preso immediatamente l’abitudine di usare un tono colloquiale con tutti loro, donne-lupo comprese.
Di fatto, aveva cancellato a piè pari il protocollo e i titoli altisonanti.
Si era lasciato andare alla calda accoglienza del villaggio, e aveva gioito dei piaceri di una buona compagnia come una persona qualsiasi, domandando con interesse e rispondendo a domande con altrettanta solerzia.
Si era seduto su uno dei gradini della veranda dei suoi zii, rifiutando una più comoda sedia imbottita, e aveva mangiato da un piatto di peltro con le mani, senza preoccuparsi dell’etichetta o di sporcarsi le dita.
Aveva giocato con i figli di Aken ed Eikhe, e aveva subito con una risata gli scherzi dei gemelli che, prima della loro partenza, erano riusciti a mettere in atto.
A Naell era parso un giovane affamato di calore e, più di una volta, se ne era chiesta il motivo ma, per educazione, aveva preferito non indagare troppo.
«My-chan mi parlava di una specie di grande occhio, con cui le avresti mostrato cosa sono le stelle cadenti» gli spiegò Naell, tornando al presente e sorridendogli cordiale.
Rallentando un poco l’andatura del suo stallone per mettersi al fianco del baio di Naell, Ellessandar sorrise alla sua compagna felina prima di ammettere: «Si chiama cannocchiale. E’ un lungo tubo cilindrico, in cui sono inseriti degli specchi che riflettono le immagini, ingrandendole.»
Sbattendo le palpebre con aria più che mai sorpresa, Naell schiuse le labbra ed esalò: «Le… ingrandisce?»
Ridendo del suo stupore, Ellessandar annuì prima di allungarsi verso una delle sue sacche da viaggio e scartabellare per qualche attimo, prima di estrarre un cilindretto di pelle scura.
Porgendoglielo, le mostrò un mezzo sorriso di incoraggiamento.
Naell lo trasse nella propria mano prima di fissarlo con aria guardinga, quasi si aspettasse che le potesse esplodere in mano da un momento all’altro.
Allargando il proprio sorriso, Ellessandar si allungò dalla sella per sfiorare la sua mano e, sollevata un poco, le spiegò: «Poggia la parte più piccola sull’occhio destro e chiudi il sinistro, poi punta il tubo in una direzione di tua scelta.»
Ancora scettica, Naell fece come le fu spiegato e, quando guardò nel cilindro dopo averlo puntato verso le montagne, lanciò uno strillo di sorpresa prima di rischiare di far scivolare a terra lo strumento.
Subito, una delle guardie loro accanto si informò se tutto procedesse bene e Naell, al colmo dell’imbarazzo, annuì a più riprese prima di fissare basita un sorridente Ellessandar.
«Ma com’è possibile?!»
Scoppiando a ridere sommessamente, Ellessandar riprese il cannocchiale dalla mano protesa di Naell e, dopo aver aperto i lacci di cuoio che tenevano serrato il cilindro di pelle, le mostrò le lenti prismatiche che si trovavano al suo interno.
«Dovrei annoiarti per giorni e giorni, con i miei studi sulle immagini ma, in sostanza, ciò che vediamo lo dobbiamo alla luce che, passando tra queste lenti, ingrandisce ciò che vedi, permettendoti una visione migliore e più accurata.»
Gli occhi sgranati e l’aria affascinata quanto incuriosita, Naell sorrise al principe e domandò: «L’hai fatto tu?»
«Grazie all’aiuto di diversi studiosi che si trovano a palazzo, a Yskandar» ammise Ellessandar. «Sono sempre stato affascinato dal cielo e da tutti i suoi misteri. Sul tetto del palazzo della capitale, si trova un cannocchiale molto più grande di questo. Mio padre dice che sono matto, ma pare che sia divertito dalle mie scoperte e i miei studi. Una volta, l’ho trovato ad armeggiare sul tetto, nel tentativo di usare il cannocchiale per scovare una carovana di soldati di ritorno da un viaggio, dove si trovava anche mia madre.»
«Mi sento tremendamente ignorante, in questo momento» brontolò Naell, mordendosi il labbro inferiore.
Ellessandar scosse il capo, replicando: «Hai dodici anni, Naell. Hai tutto il tempo di crearti una tua cultura personale, credimi. Inoltre, ci sono cose che tu sai, e che io non ho la più pallida idea di come tu faccia a fare.»
«E cioè?» esalò Naell, più che mai sorpresa.
Lui le indicò le briglie del cavallo, che riposavano inutilizzate intorno al pomo della sella e, con un mezzo sorriso, il principe celiò: «Giuro, non oserei mai stare in groppa a un cavallo senza neppure degnare di uno sguardo le briglie. Chi te l’ha insegnato?»
Aprendosi in un sorriso orgoglioso, Naell gli spiegò gli insegnamenti degli zii e della capacità sua, dei fratelli e dei genitori di utilizzare i cavalli a quel modo, senza l’uso delle briglie.
A quel punto il principe annuì e asserì candidamente: «Vedi? Io sono del tutto ignorante in materia.»
«Sì ma… non è la stessa cosa!» protestò Naell, sorridendo.
«Non se vedi la parola ‘ignorante’ nel senso puro del termine. “Colui che ignora una cosa.” Non è né spregiativo né altro, denota semplicemente un dato di fatto. L’ignoranza si può eliminare con studio e buona volontà. E’ la stupidità che è più difficile da abbattere» le spiegò Ellessandar, prima di scusarsi con un sorriso e aggiungere: «Ti sto tediando con discorsi noiosi.»
«Affatto» scosse il capo Naell. «Al villaggio, ho imparato che non si è mai abbastanza giovani per imparare, né abbastanza vecchi per ammettere di non sapere.»
«Un pensiero profondo, per una fanciulla di dodici anni. Darai del filo da torcere ai tuoi insegnanti, ne sono più che certo» la omaggiò il principe, accennando un cenno col capo.
«Naell-ykan è tanto brava!» sentenziò My-chan, che aveva ascoltato le loro dissertazioni con interesse.
Vagamente sorpreso, Ellessandar esalò: «Ykan, mia cara?»
«Che significa?» si incuriosì Naell, fissando con intenzione il principe che, con sua somma sorpresa, distolse lo sguardo.
Non poté esserne del tutto certa, a causa della luce sempre più rada, ma le parve che, sotto quella pelle color del cioccolato, vi fosse un profuso rossore.
Sempre più interessata, Naell volse lo sguardo in direzione della donna-felino e le chiese: «Cosa vuole dire, ykan, My-chan?»
«Mamma!» esclamò tutta contenta la donna, guardandola con occhi traboccanti di affetto.
«Oh, beh…» ridacchiò Naell, presa del tutto alla sprovvista da quella uscita.
Carezzando i capelli morbidi e setosi di My-chan con gesto tenero, Naell le disse sinceramente: «Sbaglierò, ma sei più grande di me, perciò la vedo un po’ dura a farti da mamma ma, se ti sta bene così…»
«My-chan, per certi versi, è più piccola di te. I renpardi stellati sono creature molto singolari. Anche se il loro corpo si sviluppa velocemente, la mente segue il regolare iter di crescita e, a conti fatti, lei ha solo otto anni…» intervenne Ellessandar, avendo apparentemente superato l’iniziale imbarazzo. «… e, visto che ti sei comportata con lei in modo così premuroso, ti vede come una mamma. Lei non l’ha mai avuta.»
La notizia sconvolse a tal punto Naell da farle sorgere spontanei due lacrimoni ai lati degli occhi.
Lacrime che My-chan raccolse con un dito prima di scuotere il capo e replicare: «Se Naell è triste per quel che ho detto, non lo dico più!»
«No!» esclamò lei, scuotendo febbrilmente le mani. «Mi hai commossa, tutto qui. Sono onorata che tu mi veda così.»
My-chan allora sorrise tutta contenta e Ylar, quasi si sentisse in dovere di intervenire, abbaiò allegro e balzò tra le braccia della donna-felino, che lo strinse a sé con un risolino, grattandolo sulla pancia e tra le orecchie.
Ridacchiando, Naell commentò all’indirizzo del principe: «Pare che lui voglia farle da fratello.»
«A quanto pare…» ironizzò Ellessandar prima di scoppiare a ridere con espressione a metà tra il sorpreso e il divertito.
Sollevando un sopracciglio con espressione serafica, lei gli domandò: «Naturalmente, non mi dirai cosa ti ha sconvolto tanto, prima.»
«Affatto. Lo terrò per me» sentenziò Ellessandar, prima di inchinarsi a lei e raggiungere al trotto le figure dei principi, qualche decina di metri più avanti.
Scuotendo la testa con espressione esasperata quanto ironica, Naell chiosò: «Valli a capire, i maschi.»
Ylar protestò con un brontolio di gola e la principessa, con un risolino, precisò: «I maschi su due zampe, chiedo venia.»
«Se nahry ti fa arrabbiare, lo sgrido» la informò My-chan, tutta seria in viso.
«Nahry? Cosa significa?» mormorò Naell, accigliandosi leggermente.
«Papà. Ellessandar è il mio papà» le spiegò tranquillamente la donna-felino.
A quel punto, Naell esplose in una calda risata di gola e, con le lacrime agli occhi per il divertimento, la giovane commentò ghignante: «Ora capisco perché era imbarazzato a morte. Povero principe! Che brutto scherzo gli hai fatto!»
Imperturbabile, My-chan replicò: «Quelle brutte befane che ci sono a casa, non meritano di essere chiamate ykan, e io mi scelgo chi voglio.»
«Saggia decisione, My-chan. Non sia mai che te ne capiti una che non sia simpatica» ridacchiò Naell, indirizzando delle occhiate divertite alla schiena del principe che, contrariamente a quanto successo in precedenza, rimase strenuamente voltato in direzione della valle.
Evidentemente, l’uscita della sua My-chan lo aveva imbarazzato davvero.
«Fossi in te, però, non userei quell’appellativo quando c’è anche lui. Sembra che la cosa gli dia fastidio.»
«Dici?» si informò la donna-felino.
«Magari fastidio, no, però si imbarazza, e noi non vogliamo che sia in imbarazzo quando è con noi, vero?» le propose Naell, sorridendole complice.
«No, non il mio nahry.»
«Bene, allora mi chiamerai ykan quando saremo tra noi, d’accordo?»
«Sì, ykan.» Poi, mestamente, aggiunse: «Però, abitiamo tanto lontano, noi. Come facciamo?»
«Sai leggere, My-chan?»
«Sììì. Nahry mi ha insegnato» esclamò felice My-chan, stringendosi al petto Ylar prima di dargli un bacio.
Il lupo sembrò apprezzare, perché la leccò in viso più e più volte.
«Allora ti scriverò tante, tante lettere e tu le scriverai a me poi, quando mi sarà possibile, verrò a trovarti. Tu, però, non dimenticarti di me» le promise Naell, sorridendole con sincero affetto.
«Non potrei mai dimenticarmi della mia ykan.»
My-chan le carezzò una gamba con la mano prima di restituirle Ylar e, con un bagliore ormai a lei familiare, riprese sembianze feline e corse in direzione del bosco vicino, probabilmente per una caccia notturna o un semplice giro esplorativo.
Il lupetto le si accoccolò subito in grembo e Naell, lasciato vagare lo sguardo tutt’attorno, sorrise tra sé per quello strano colloquio con My-chan e per la qualifica a sorpresa a cui era assurta da un attimo all’altro.
In qualunque luogo fosse andata, in qualsiasi corte lei si fosse trasferita, con qualunque uomo lei avesse un giorno deciso di unire la sua vita, My-chan sarebbe comunque stata la sua figlioccia.
Il solo pensiero la rese felice come poche altre cose avesse sperimentato, fino a quel momento.
Carezzando Ylar, gli sussurrò: «Tu e lei sarete i miei piccoli, e io sarò la vostra mamma.»
Ylar, a sorpresa, lanciò un ululato prolungato verso il cielo, cui si unirono anche Rym e Coyn e, dal fitto del bosco, un grido in risposta si elevò forte e cristallino, procurando in Naell un brivido familiare.
In un sussurro, perciò, mormorò: «Grazie, Hevos.»
***
Seduto attorno a un alto fuoco scoppiettante mentre la sorella, al suo fianco, dormiva già assieme al suo piccolo lupo, Meriton sorrise affettuosamente nel sistemare un poco la pesante coperta che proteggeva Naell dall’umido della notte.
«Temevo che il rientro a casa l’avrebbe fatta cadere in depressione, invece mi sembra che sia su di tono. Voi che dite?»
«Il fatto di avere i cuccioli con noi, l’ha in qualche modo tirata su di morale…» ipotizzò pensieroso Staryn, carezzando Coyn con fare distratto. «… inoltre, la vedo molto più matura di quando è partita. Forse, questa vacanza tra i monti le ha fatto bene.»
«Non conoscendola bene come voi, non posso sapere come fosse prima, ma credo che vostra sorella sia pienamente consapevole del proprio ruolo e che, nonostante senta la mancanza degli zii e delle amiche, il rientro non le pesi come temevate» intervenne allora Ellessandar, aggiungendo un ciocco al fuoco, che sfrigolò allegramente, lanciando lingue scarlatte verso il cielo tinto di stelle.
«La mia paura più grande era che, dopo un viaggio simile, potesse detestare la vita di corte. Naell è troppo simile allo zio, per non avere in antipatia certi obblighi cui tutti noi siamo sottoposti ma, se per Staryn e me è più facile sopportarli, per lei non è così. Inoltre, temo che il ruolo più infido sia toccato a lei.»
Staryn annuì e, mesto, aggiunse: «Anche se papà e mamma sono dei genitori eccezionali, sono pur sempre il re e la regina, e non possono permetterle di avere tutta la libertà che lei sogna. Sarebbe impensabile. Le fondamenta stesse della corona potrebbero cedere, e questo sarebbe un male per tutti. In primo luogo per il popolo, che di noi si fida e ha fiducia.»
Annuendo a sua volta, Ellessandar mormorò: «I cambiamenti non si possono effettuare in un giorno. Occorre dare tempo al tempo.»
«Esatto. E’ stato già difficile per Aken che, dopotutto, era un uomo, e perciò più libero di fare ciò che desiderava, anche secondo la legge. Naell non avrebbe mai potuto fare una cosa simile, anche se aborrisco la sola idea che vi possano essere simili differenze.»
Nel dirlo, Meriton storse il naso.
«Naell non è inferiore a nessun uomo, e dovrebbe avere gli stessi diritti miei e di Staryn eppure, per legge, lei è diversa da noi, come lo è la mamma. Mamma non potrebbe regnare, se papà venisse a mancare, e questo è assurdo, perché è capace e intelligente tanto quanto lui. Solo che, almeno per adesso, in consiglio non vogliono neppure sentire l’odore della parola “co-reggenza”. Impallidiscono tutti, e diventano muti come tombe.»
«Vecchi retrogradi» ringhiò Staryn, accigliandosi.
Scuro in volto, Ellessandar spiegò loro: «Ad Akantar, la figura della donna non è dissimile da quella dell’uomo, e mia madre regna parimenti con mio padre, ma le genti di oltre confine non sono del nostro stesso avviso. Spesso e volentieri, subiamo scorrerie in cui vengono rapite donne dalle oasi, dove si trovano le tribù che compongono il mio popolo e, quel che succede loro, è meglio non dirlo ad alta voce. E’ difficile tener loro testa, poiché il deserto è grande, e il mio esercito non può arrivare ovunque… non avete idea di quanto possa essere snervante, a volte.»
Meriton annuì, comprendendo appieno la rabbia e il dispiacere del principe e, ancora una volta, gettò uno sguardo in direzione di Naell.
«Forse, la sua idea di venire a trovare tua madre, non è poi così brutta. Potrebbe divertirsi ancora per un po’, ampliare la sua cultura – sapessi quanto le piace leggere! – e conoscere persone nuove. Naell non è fatta per stare rinchiusa a filare la lana, o chiacchierare in maniera vuota del tempo, o di schiocche voci di palazzo.»
«Temi per lei un matrimonio che non la soddisfi? Qualche nobile titolato l’ha già chiesta per sé?» si informò Ellessandar, osservando spiacente il viso tranquillo e immerso nel sonno di Naell.
Staryn storse la bocca, imprecò tra i denti e gettò un altro ciocco di legno nel fuoco, facendolo schioccare con violenza.
Lunghe lingue scarlatte si levarono verso il cielo mentre la sua voce, di solito allegra, uscì cavernosa dalla sua bocca piegata in una smorfia.
«Il Conte Alderan ha parlato con nostro padre, poco meno di sei mesi fa. Voleva informarsi sul potenziale futuro della principessa, visto che lui ha un figliolo della stessa età e che, tra qualche anno, prenderà le redini del suo esteso e ricco feudo. Quell’ampolloso pezzo di…»
«Staryn!» lo richiamò senza troppa veemenza Meriton, lanciandogli un mezzo sorriso ironico.
Il fratello si limitò a scrollare le spalle, continuando a dire: «… quel pomposo nobile da strapazzo si vanta dei suoi vasti possedimenti e della miniera d’oro che, ahimè, si trova nei terreni di sua proprietà. Ha quasi più capitali della corona stessa, e intrattiene commerci fiorenti sia con Karton che con l’intero Enerios.»
«Un brigante vestito da gentiluomo. Conosco la razza» ghignò Ellessandar, ammiccando all’indirizzo del giovane principe.
Annuendo, Staryn proseguì nel suo racconto.
«Morale della favola, ha proposto neppure troppo delicatamente che Naell e il suo rampollo, un certo Coryn, Colryk, non ricordo bene il nome, si fidanzino allo scoccare del sedicesimo anno di lei, così da cementare l’unione tra le nostre due famiglie. Naturalmente, per mostrarsi magnanimo, lascerebbe tempo alla principessa per abituarsi all’idea. Avrebbe proposto un matrimonio per i vent’anni di entrambi.»
«Papà ha declinato gentilmente l’offerta, dichiarando che Naell è davvero troppo giovane per essere sottoposta a una simile pressione, e il conte si è dichiarato d’accordo, lasciando per altri momenti quel discorso. Ma sappiamo bene che tornerà all’attacco» terminò per il fratello, Meriton, sbuffando con aria contrariata.
Staryn imprecò tra i denti, e concluse: «Naell non ne sa nulla, altrimenti avrebbe sicuramente trovato il modo di scappare, una volta trovatasi in mezzo alle montagne. La sola idea di sposarsi, almeno per il momento, la fa ridere a crepapelle, e non penso che accetterebbe uno smidollato, come marito. E quel ragazzino non ha l’aria di uno che, neppure tra qualche anno, assurgerà a livelli decenti di fascino.»
Ridendo suo malgrado, Ellessandar si appoggiò all’indietro sui gomiti e, guardando l’erede al trono di Enerios, commentò: «Sembrate aver studiato da vicino questo ragazzino.»
«Stavano parlando di nostra sorella! Ovvio che sì! La farei scappare io stesso da palazzo, se sapessi che, per mere ragioni dinastiche, fosse assegnata a un uomo non adatto a lei» brontolò Meriton, adombrandosi in viso.
«Tutto ciò è infinitamente cortese da parte tua, ma non credo che i tuoi genitori, se potranno, la metteranno in mano a un uomo meno che perfetto» replicò gentilmente Ellessandar. «Mi sono sembrati una coppia molto affiatata, e non si vergognavano di far vedere al mondo intero il loro amore. Una cosa rara, in un ambiente affettato come il nostro.»
«Papà ci raccontò di essersi innamorato di mamma al primo sguardo… dopo averla vista ripulire uno zoccolo della sua giumenta!» ridacchiò Meriton, ripensando a quella vecchia storia.
Ellessandar sollevò un sopracciglio con evidente sorpresa, esalando: «Un incontro ben strano!»
Staryn annuì, spiegandogli: «Erano entrambi nervosi, quel giorno. Si sarebbero incontrati per la prima volta e, a quanto pare, stare con i loro cavalli avrebbe potuto aiutarli a calmarsi. E così si incontrarono nelle stalle, lontano dagli orpelli di Corte, non mascherati da mille e più consuetudini. Si videro per come erano realmente, e si piacquero.»
«Sono stati fortunati.»
Nel dirlo, Ellessandar sospirò melanconicamente.
«Mia sorella maggiore si sposò circa sei anni fa con un nobile di un’isola nei pressi di Yskandar. Lo fece in spregio a tutti i consigli datile dalla famiglia, solo per dispetto nei confronti dei nostri genitori e, da quel poco che so di lei, ora è praticamente prigioniera nel palazzo in cui vive, scodellando figli su figli al marito-padrone e, per noi, è impossibile andare a trovarla senza scatenare una battaglia navale tra il nostro esercito e quello del sovrano delle Isole Arcobaleno, cugino dell’uomo sposato da mia sorella.»
«Come mai ha voluto lanciarsi in un’impresa così autolesionista?» esalò Meriton, sinceramente sorpreso.
«Forse, perché ci hanno viziato troppo» ammise con un mesto risolino Ellessandar. «Millysen sapeva di essere bella e tutti, a corte, la vezzeggiavano e la adoravano. Mio padre, più di tutti, la ricopriva di regali e nulla che lei chiedesse, le veniva negato. Questo la portò a volere sempre di più, anche ciò che non era per lei, compreso quell’uomo. I miei genitori sapevano cosa si nascondesse dietro quel volto ammaliante, ma Millysen non volle sentire ragioni. Scappò, rinnegando il suo sangue e ingiuriando a male parole i miei genitori e, alla fine, mio padre la ripudiò come figlia, pur piangendo per lei ogni notte.»
«Probabilmente, lo avrebbe fatto anche se tu e lei non foste stati viziati fin da piccoli, come dici tu. Non mi sembra, comunque, che tu ti sia dato a giochi pericolosi» asserì gentilmente Meriton, sorridendogli benevolo.
Ellessandar scosse il capo, ridacchiando, e convenne con lui.
«Sì, forse sarebbe successo lo stesso, ma i miei genitori se ne sono presi la colpa e, da quel giorno, so che pensano a lei con dolore. Io ho cercato in ogni modo di non dare loro neppure un dispiacere, ma non so se ci sono riuscito.»
«Sono certo che lo hanno apprezzato» lo rincuorò Staryn, dandogli una pacca amichevole sulla spalla.
Ellessandar reclinò all’indietro il capo, scrutando pensoso le stelle alte in cielo e la luna pallida che rischiarava la notte e, con un mezzo sorriso, asserì: «Certe volte mi sembra di avere cent’anni, non venti. E’ così stancante essere l’unico erede di una dinastia millenaria, dover sopportare il peso di ciò che non è più. Vorrei tanto che i miei fratelli non fossero morti da piccoli. Suonerà cinico, ma la penso così.»
Meriton e Staryn sapevano bene quali lutti avessero colpito la famiglia reale di Akantarm e comprendeva quale peso fosse toccato in sorte a Ellessandar.
Di sei figli maschi, lui era l’unico sopravvissuto a una tremenda epidemia che aveva colpito Yskandar meno di dieci anni prima.
Dopo aver perso anche Millysen in modo così assurdo, alla famiglia del giovane principe rimanevano ben poche gioie di cui sorridere.
«Sei onesto, non cinico» mormorò Staryn, sbadigliando un attimo dopo. «E con questa perla filosofica, io vi dico buonanotte.»
Ellessandar ridacchiò, annuendo al suo indirizzo prima di stendersi sul suo mantello e replicare: «Penso dormirò anch’io. Per domani saremo a Rajana, e non vorrei arrivarci con le occhiaie e la faccia insonnolita.»
«Non sia mai!» ghignò Meriton, stendendosi accanto a Naell.
***
Doveva parlargli, o tacere? Tenere per sé ciò che aveva ascoltato per errore, o esporre i suoi pensieri?
Difficile dire quale fosse la scelta migliore ma visto che, grazie ai buoni uffici di Hevos, aveva già abbastanza segreti da tenere per sé, preferì non avere altri scheletri nell’armadio da tenere sott’occhio.
Avvicinata perciò la propria cavalcatura a quella del principe Ellessandar, Naell gli sorrise a mo’ di saluto prima di dirgli, senza tanti giri di parole: «Non dovreste parlare così a lungo, dinanzi al fuoco. Finite col dire troppe cose.»
Sinceramente sorpreso, il principe le sorrise spiacente, mormorando: «Le mie più profonde scuse. Non avremmo dovuto parlare di argomenti che ti riguardavano. Ti sei offesa?»
«Dell’offerta di matrimonio, sì,… per come avete reagito, no» ammise lei, con un mezzo sorriso. «Ma mi è spiaciuto sapere di tua sorella. Non pensavo potesse arrivare a tanto.»
«Non si conoscono mai a sufficienza le persone, a quanto pare» chiosò lui, facendo spallucce. «Pensi di scappare alle prime avvisaglie di tempesta, allora?»
Naell ci pensò su per un po’ prima di ghignare all’indirizzo del principe e commentare: «Di sicuro, scandalizzerei tutto il popolo di Enerios. Oppure, più semplicemente, potrei chiedere a uno dei miei cugini di sacrificarsi per la causa e sposarmi, ma sarebbe disgustoso, anche se più che lecito.»
«Ti sembrerebbe di sposare uno dei tuoi fratelli?» ironizzò Ellessandar, vedendola annuire divertita e disgustata assieme.
Tornando seria, Naell fissò lo sguardo sui contorni indistinti delle case di Rajana, semi nascoste da una leggera nebbiolina biancastra e, con voce piana, mormorò: «Dubito di essere una persona romantica, perciò non credo che, quando verrà per me il giorno di incontrare il mio sposo, soffrirò e piangerò disperata. Potrei farlo se sapessi di non poter più essere me stessa, ma non per l’uomo in se stesso.»
«Tanto cinismo in una ragazza così giovane? Come mai?» si incuriosì Ellessandar, fissandola debitamente sorpreso.
Naell si esibì in un risolino divertito, prima di ammettere: «Ho la testa da un’altra parte. Mi sembra che preoccuparmi per cose così frivole, sapendo quel che so, sia sciocco.»
A quel punto, il principe mostrò ampiamente di non aver capito una sola parola di quanto riferito dalla ragazza e Naell, scrollando le spalle spiacente, disse: «Devo mantenere un segreto per conto di un dio, mi spiace. Ma è questo che mi spinge a non pensare granché a quest’evento in particolare. Visto quello che mi è stato detto, dubito che un mio futuro matrimonio possa essere più tremendo di quello che mi aspetta.»
Aggrottando la fronte, Ellessandar allungò istintivamente una mano per afferrare un braccio di Naell, esalando sconvolto: «Cosa mai dovrebbe capitarti?!»
Sinceramente commossa dalla sua preoccupazione, Naell gli sorrise gentilmente, replicando: «Non lo so, so soltanto che io sarò coinvolta in qualcosa di epocale. Ma non posso dire altro.»
«Un fardello non da poco, per una fanciulla così giovane che dovrebbe pensare, prima di tutto, a bei prati profumati e sontuosi balli in maschera» cercò di ironizzare il principe, pur lasciando trapelare dal suo sguardo d’ossidiana l’ansia che stava provando per la giovane nuova amica.
Scoppiando a ridere di fronte a quello scenario ipotetico, Naell si terse una lacrima di ilarità dall’angolo di un occhio prima di esalare divertita: «Oh, cielo! Non prediresti un ballo in maschera per farmi divertire, se sapessi come danzo. Credo di essere nata con due piedi destri!»
Evidentemente scettico, Ellessandar replicò con altrettanto divertimento: «Non lo credo possibile. Ti ho vista ballare, al villaggio, durante i festeggiamenti, e le tue amiche sono uscite tutte quante indenni dalle danze. Forse, dipende solo dal cavaliere che ti scorta sulla pista.»
«Può essere…» gli concesse lei, prima di notare lo sguardo curioso del fratello Staryn, rivolto verso di loro.
Istintivamente, gli fece la linguaccia e Staryn, per diretta conseguenza, gliela restituì corredata di gestacci prima di sorriderle più tranquillo.
Rivolta poi a Ellessandar, gli spiegò succintamente: «Idiozie tra fratelli.»
«Fanno bene allo spirito» sospirò melanconicamente il giovane, sorridendo poi a My-chan, che stava procedendo tranquilla accanto ai loro cavalli in forma animale. «Lei è come una sorella, per me. E so che il suo amore è sincero e disinteressato.»
«My-chan ti vuole davvero bene. Ed è una compagnia deliziosa» asserì Naell, lanciando uno sguardo alla donna-felino, che ricambiò la sua occhiata con un brontolio sommesso.
«Le piaci. Il che è raro, in lei. Se non fosse che ne sentirei troppo la mancanza, le potrei proporre di rimanere un po’ con te e tornare con la prossima nave per Akantar. Ma no, non ce la farei proprio» scrollò le spalle Ellessandar, fissando con affetto incondizionato il renpardo.
«Non mi sognerei mai di dividervi» replicò Naell, sorridendo. «E poi, con lei lontana, potrò avere la scusa per venire più spesso ad Akantar a trovarla.»
My-chan si dichiarò entusiasta, miagolando profusamente ed Ellessandar, scoppiando a ridere, esalò: «La trovi perfettamente d’accordo!»
«Lo immaginavo» sogghignò Naell, tornando a fissare in viso il principe per poi chiedergli: «Mi farai vedere le stelle con il tuo cannocchiale, quando sarò a Yskandar?»
«Se lo vorrai, sì» annuì lui.
Naell si limitò a un breve cenno del capo, prima di portare la sua attenzione al paesaggio che li circondava.
Per molto tempo non avrebbe più potuto assaporare la libertà di quei mesi trascorsi tra quelle lande selvagge e misteriose ma, nello stringersi la mano al petto – in corrispondenza del dono lasciatole dalle sue amiche – , ebbe la certezza che una parte di lei non avrebbe mai abbandonato quei luoghi.
Sotto la tunica ricamata che indossava, ben nascosto alla vista, si trovava un piccolo stiletto dall’elsa a forma di testa di lupo.
Le ragazze lo avevano forgiato in gran segreto nella fucina del villaggio, aiutate da Antalion nella creazione dell’anima in creta, in cui avevano creato l’elsa dalla forma così inusuale.
La scoperta dell’inaspettata bravura del cugino in quel genere di lavori di precisione, l’aveva resa ancora più fiera di lui, e l’idea di portare con sé qualcosa creato anche da lui, le faceva sentire un po’ meno la loro mancanza.
Certo, nasconderlo sotto gli abiti sarebbe stato un dramma, e portarlo in bella vista avrebbe creato ancor più scandalo di quanto non l’avrebbero dato i lupetti a palazzo, ma il solo fatto di averlo la rendeva felice.
Era una figlia del branco e, anche se lontana dalla sua tribù, anche se immersa in un mondo totalmente diverso da quello di qualsiasi altra figlia di Hevos, lei avrebbe comunque avuto un posto nel loro cuore.
E, presto o tardi, si sarebbero ritrovate.
E dopo questa avventura tra i monti, ci trasferiamo nelle lande desertiche di Akantar, con il racconto intitolato 'Artiglio di Lupo'.
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