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«AANN!»
Quell’urlo,
improvviso quanto stridulo, percosse le orecchie del giovane addormentato nel
suo letto.
Sentendosi
chiamare in modo così violento, Antalion si svegliò di soprassalto, sbatté il
capo contro la testiera del letto e, per finire in bellezza, rotolò a terra
nella fretta di alzarsi.
Le
lunghe gambe finirono con l’impigliarsi nella pelliccia d’orso che teneva sopra
le lenzuola e, nel crollare sul pavimento, picchiò con violenza un ginocchio,
sbucciandoselo.
Alla fine di quella rovinosa caduta,
sdraiato a terra a gambe e braccia divaricate, il fiato corto e l’aria più
addormentata che sveglia, Antalion volse lentamente il capo in direzione della
causa prima di quel disastro.
Accigliato, perciò, ringhiò: «Voi,
piccole pesti… cosa devo…»
«An è
tutto nudo, An è tutto nudo!» cominciarono a canticchiare in coro i due
gemelli, saltellando allegramente per la stanza del fratello maggiore.
Spalancando
gli occhi di colpo a quelle parole, Antalion si guardò per un momento prima di
avvampare in viso e coprirsi alla bell’e meglio.
Il
tutto, un attimo prima che la madre, in vestaglia da camera e l’aria
scarmigliata di chi si è appena svegliato, comparisse sulla soglia della sua
stanza.
Vagamente
sorpresa dal trovare il figlio maggiore steso a terra, e i due gemelli già ben
svegli e vestiti, Eikhe esalò confusa: «Ma che succede?»
«Chiedilo
a loro.»
Con un
brontolio, il giovane si rialzò da terra tenendo la pelle d’orso davanti
all’inguine mentre la madre, con sguardo curioso, lo osservava alla luce
dell’alba che penetrava dalla finestra.
Accortosi
di quell’occhiata prolungata, Antalion si ritrovò ad arrossire nuovamente e,
sedutosi sul letto, si coprì ancora di più, prima di bofonchiare: «Beh, che
c’è?»
Con
aria maliziosa, Eikhe sfiorò le spalle dei gemelli che, al suo solo tocco, si
calmarono immediatamente.
Sorridendo
poi al figlio maggiore, sentenziò: «Sai che somigli sempre di più a tuo padre?»
Da
quando il padre era tornato, sei anni prima, Antalion aveva passato un sacco di
tempo con l’uomo che gli aveva dato la vita ma che, per cause di forza
maggiore, non era potuto stare con lui e vederlo crescere.
Durante
la gravidanza di sua madre, in special modo, il giovane aveva legato in modo
speciale con Aken, e il desiderio di renderlo fiero di lui e di vederlo felice,
era stato il suo imperativo primario.
Inoltre,
sapeva bene che le parole della madre erano più che veritiere. Fin dal
principio, era parso evidente quanto si somigliassero, e a lui aveva sempre
fatto piacere.
Si era
comunque impegnato anima e corpo per diventare un eccellente guerriero e, con
l’aiuto di Aken stesso e di Istrea, sapeva di essere riuscito nell’intento.
L’imbarazzo
che, però, lo colse nel sentire quelle parole, non fu generato dal commento in
sé, quanto dai sottintesi che in esso erano contenuti.
Non
era diventato solo un buon combattente, ma anche la sua struttura fisica
era cambiata, divenendo più imponente e muscolare.
Ed era
quello che lo metteva a disagio.
Certo,
non era mai stato smilzo o di bassa statura, ma l’allenamento intensivo cui si
era sottoposto, lo aveva davvero mutato nell’aspetto.
I
risultati, non solo si vedevano ampiamente, ma avevano causato anche diversi
diverbi tra le ragazze del villaggio.
Liana,
pur confortata dal sapere dell’amore incondizionato che Antalion provava per lei,
si era accapigliata diverse volte con alcune sue amiche.
Era
infatti capitato, e più di una volta, che alcune ragazze si fossero rivolte a
lui per offrirsi come potenziali compagne di una notte.
Se la
cosa aveva imbarazzato a morte Antalion, aveva mandato in bestia Liana che,
dopo l’ennesimo litigio, aveva ingiuriato Aken per l’eccessivo impegno con cui
aveva addestrato suo figlio.
La
cosa era parsa così ridicola, agli occhi dell’uomo che, non solo non se l’era
presa per il rimbrotto, ma aveva fatto notare alla giovane quanto potesse
ritenersi fortunata di avere un compagno così prestante e valoroso.
Certo,
Antalion aveva fulminato con lo sguardo il padre per quell’uscita maliziosa, ma
Liana era sembrata soddisfatta e, con calma e pazienza, il suo umore si era
pacificato.
Non
che il metro e novanta di statura, e i quasi cento chili di muscoli fossero
scomparsi, ma la cosa sembrava non essere più un problema.
O
almeno, così sperava Antalion.
Il
fatto che, però, anche sua madre gli facesse notare quel particolare, lo mandò
nel pallone, portandolo a sdraiarsi sul letto, coprirsi con la pelle d’orso e
ringhiare: «Uffa, mamma, non ti ci mettere anche tu!»
Ridendo
di fronte all’imbarazzo manifesto del figlio maggiore, Eikhe trascinò fuori
dalla stanza i due gemelli di sei anni, Enyl e Rannyl, e ordinò bonaria:
«Vestiti, dai. Naell sarà qui nel primo pomeriggio, e ci sono ancora un sacco
di cose da fare.»
«Sì,
va bene, va bene.»
Con
uno sbuffo infastidito, attese con pazienza che il trio fosse uscito dalla
stanza dopodiché, non appena la porta fu chiusa, balzò fuori dal letto e si
diresse alla cassapanca per estrarre i suoi abiti.
La
cugina Naell, il giorno del suo dodicesimo compleanno, aveva espresso il
desiderio di passare un po’ di tempo assieme agli zii, tra le donne-lupo del
villaggio di Hyo-den.
Era
suo desiderio imparare un nuovo stile di vita, così come un approccio diverso
alla quotidianità.
Poiché
la regina aveva promesso alla figlia minore che avrebbe esaudito questo suo
desiderio, la richiesta era stata accettata.
Il
giorno stesso, un messaggio era stato inviato tramite falco al Borgomastro di
Marhna, in modo tale che la famiglia di Aken ed Eikhe fosse avvisata del
prossimo arrivo della principessa.
Non
appena Kannor, Borgomastro e amico di vecchia data di Aken, aveva fatto
consegnare la missiva ai diretti interessati, nel villaggio erano iniziati i
preparativi per accogliere Naell e il suo seguito.
Quel
giorno, sarebbe giunta a Hyo-den e, nella via principale del villaggio, festoni
fiorati e libagioni erano già stati sistemati su lunghe tavolate di legno
piazzate ai lati della strada.
Restava
solo da preparare la stanza che la principessa avrebbe occupato per il suo
periodo di vacanza presso gli zii e, per quello, c’era bisogno di Antalion.
Non
perché lui sapesse fare le cose meglio dei genitori ma perché, a conti fatti,
Naell sarebbe stata la prima inquilina della casa che, nel giro di pochi mesi,
Antalion e Liana avrebbero diviso insieme.
Molti
lavori dovevano essere terminati, motivo per cui Antalion e la sua compagna
ancora vivevano presso le rispettive famiglie, ma il grosso dell’edificio era
stato ultimato.
Le
camere e il bagno, inoltre, erano già usufruibili, perciò potevano ospitare
degnamente la principessa in visita.
Eretta
dietro l’abitazione di Eikhe e Aken, la baita era composta da un piano
rialzato, abitativo, e un seminterrato dove erano state costruite una dispensa,
una piccola cantina e una ghiacciaia.
Entro
la fine dell’autunno, sarebbero riusciti a utilizzarla nel vero senso della
parola ma, per il momento, Naell sarebbe stata la prima persona a dormirvi,
assieme alla sua dama di compagnia.
Dopo
essersi infilati gli stivaletti di pelle e aver raddrizzato la lunga tunica di
pelle di daino, Antalion sgusciò fuori dalla sua stanza giusto in tempo per
veder comparire suo padre dalla camera padronale.
Qualche
filo grigio tingeva le sue tempie, e una lieve rete di rughe sottilissime ne
increspava la pelle ai lati della bocca, ma questo conferiva al suo volto solo
un tocco di gentilezza in più.
Alto
non meno del figlio e per corporatura identico, Aken di Rajana pareva non
essere cambiato, dal giorno in cui aveva messo piede per la prima volta nel
villaggio di Hyo-den.
L’aria
di montagna e la vita spartana sembravano essere un balsamo di lunga vita per
lui e, di sicuro, prendersi cura di due canaglie con i figli minori, lo teneva
in allenamento.
Sorridendogli
nell’accostarsi a lui mentre si dirigevano assieme in cucina per la colazione,
Antalion esordì dicendo: «Hai dormito bene? Ti vedo un po’ sciupato.»
«Ah-ah.
Davvero spiritoso. Verrò a chiedertelo anch’io, una di queste mattine, quando
ti sveglierai al fianco di Liana» replicò con un ghigno furbo Aken, dando una
pacca amichevole sulla spalla del figlio, che sghignazzò.
«Dovresti
stare attento… sai, alla tua età…» lo rimproverò bonariamente Antalion, prima
di prendersi uno scappellotto amichevole sulla testa. «Ahia!»
«Ben
ti sta, ragazzo. La mia è una famiglia estremamente longeva e potrei mettere
incinta ancora tua madre, se volessi, giusto per dimostrartelo» ironizzò il
padre, prima di puntare lo sguardo sulla figura esile e longilinea della
compagna.
In
quel momento, era impegnata a servire del latte fresco a Enyl, tutta felice nel
suo vestitino nuovo, e con due graziose trecce bionde a incorniciarne il viso
d’angelo.
Rannyl,
al contrario, era scuro di capelli e dalla carnagione bronzea come il padre e
il fratello maggiore ma, come tutti i figli della coppia, aveva occhi ambrati e
luminosi come il sole.
Abbigliato
con una tunica nuova e lunga fino al ginocchio, Rannyl si tirò nervosamente una
manica prima di sorridere all’arrivo di padre e fratello.
Sollevando
il suo bicchierone di latte, esclamò: «Buongiorno!»
Accomodandosi
dopo aver dato un bacio sulla testa a entrambi i figli, Aken rispose dicendo:
«Buongiorno. Si può sapere cos’è stato, il baccano di prima?»
Ridacchiando
complici, Rannyl ed Enyl si guardarono per un momento prima di esclamare in
coro: «Scherzetto!»
Vagamente
accigliato, Antalion afferrò un biscotto dal piatto posizionato nel mezzo del
tavolo della cugina e, sgranocchiandolo ombroso, mugugnò: «Non avevo bisogno di
una sveglia così violenta.»
Enyl
balzò dalla sedia per raggiungere il fratello maggiore e, poggiato il capo
sulla coscia della gamba che Antalion aveva sbattuto a terra, massaggiò
gentilmente l’arto contuso e sussurrò: «Fa tanto male?»
Aken
cercò di nascondere un sogghigno dietro l’orlo della tazza da caffè mentre il figlio maggiore, ammorbidendosi immediatamente
di fronte alla gentilezza della sorellina, le carezzava il capo con affetto.
«Non
più di tanto, tesoro. Finisci la colazione, così possiamo dare una mano a mamma
a sistemare la stanza di Naell.»
«Sì»
annuì Enyl, baciando il ginocchio di Antalion prima di tornare trotterellando
alla sua sedia.
Era
sempre stato così.
Per
quanti scherzi facessero, per quanti danni combinassero, la gentilezza innata
di Enyl appianava tutto, e Antalion diventava come burro fuso nelle sue mani.
Aken
trovava quel comportamento tra fratelli il chiaro segno di chi, veramente, comandasse in casa, ma tendenzialmente preferiva non
dirlo di fronte ad Antalion.
Anche
Eikhe pensava che Enyl stesse diventando un’adorabile quanto subdola
manipolatrice, e la cosa la divertiva un mondo.
Una
volta diventata adulta, nessuno avrebbe
potuto metterle i piedi in testa.
Per
Antalion, invece, era solo un piccolo angioletto da proteggere, anche quando ne
combinava una peggio dei demoni di montagna.
Rannyl,
invece, era tendenzialmente la spalla della sorella in ogni genere di guaio, o
piano cospiratorio, ingegnato da Enyl.
Il più
delle volte, ne copriva anche le tracce.
Difficilmente
ne smascherava le marachelle, se non quando il disastro era così tremendo che
la paura prendeva il sopravvento sulla complicità tra gemelli.
A ogni
buon conto, Rannyl difendeva sempre la sorellina da qualsiasi pericolo, fosse anche
solo un ragnetto o una lucertola, mentre Antalion si prendeva cura di entrambi
con identica solerzia.
Forse,
perché la loro nascita era stata decisamente travagliata.
O
perché Antalion ne era stato tra i protagonisti.
Fatto
stava che il giovane curava i suoi fratellini come se fossero stati i suoi
stessi figli e, per Eikhe e Aken, era una gioia vederli crescere assieme sani e
forti.
Naturalmente,
ai gemelli non era mai stato detto cosa fosse successo la notte della
loro nascita.
Era
più che probabile che la solerzia quasi eccessiva di Antalion fosse nata da
quell’evento che, solo per grazia di Hevon, non era finito in tragedia.
Nata
per ultima, Enyl si era ritrovata ad avere il cordone ombelicale stretto
attorno al collo e, solo grazie alle abili manipolazioni di Vesthe, la bimba
era riuscita a uscirne viva.
Lo
sforzo di nascere, però, l’aveva indebolita al punto da non permetterle di
emettere il suo primo vagito.
Nel
vederla mortalmente pallida e debole, Antalion l’aveva stretta tra le braccia
ancora sporca di liquido amniotico e le aveva massaggiato il corpicino per
riscaldarla, aiutandola a espellere l’aria come avrebbe dovuto.
Aken,
nel frattempo, si era preso cura di Rannyl, più in forze rispetto alla
sorellina, ma davvero piccolo tra le sue braccia robuste.
Vesthe,
occupata con Eikhe, aveva così lasciato ai due uomini il compito di
preoccuparsi dei bambini.
Per
giorni interi Eikhe era rimasta a letto, pallida e smunta e con dolori
addominali lancinanti.
Alla
fine, però, si era ripresa ed era riuscita ad attaccare al seno entrambi i
figli che, fino a quel momento, erano stati allattati da un’altra donna del
villaggio, offertasi spontaneamente per dare una mano alla coppia.
Quegli
eventi, avevano fatto sì che l’unione tra Antalion e i suoi fratelli divenisse
ancor più stretta e forte.
Per
quanto Eikhe detestasse ricordare quei tragici momenti, non poteva che
sorridere nel vedere quale legame vi fosse, ora, tra i suoi figli.
A
colazione ultimata, l’intera famiglia si diresse verso la casa di Antalion e,
dopo aver aperto la porta d’ingresso, il giovane lasciò entrare per primi i
gemelli.
Carichi
di lenzuola fresche di bucato, i piccoli si diressero di corsa verso le stanze
che avrebbe occupato Naell.
Scrutando
soddisfatto le travature di legno che sorreggevano il soffitto e la cucina già
debitamente montata, Antalion saggiò pensieroso la superficie liscia del tavolo
in sala da pranzo.
«Credi
che sia abbastanza grande? Non so, ho pensato che per sei persone potesse
bastare, come inizio, ma…»
«Va
più che bene, figliolo» lo tranquillizzò Aken, sorridendogli. «E, se vi fosse
bisogno di un’aggiunta, non dovresti far altro che spostare il tavolino della
cucina qui in sala da pranzo.»
Con un
sogghigno, Antalion si lasciò andare a una breve risata derisoria.
«Lo
so, sono nervoso, non dirmelo.»
«L’hai
detto tu, non io.»
Aken
gli diede una pacca sulla spalla, seguendo poi Eikhe lungo il disimpegno che
conduceva alle stanze da letto.
Lì,
Enyl e Rannyl avevano già poggiato le lenzuola sulla cassapanca di legno di
ciliegio che Antalion stesso aveva intagliato l’estate precedente.
Impazienti,
i bambini guardarono la madre in attesa che desse loro qualcos’altro da fare.
Nel
vederli così eccitati, Eikhe ordinò loro: «Visto che siete così ben disposti a
dare una mano, mettetevi a sistemare dei fiori nei vasi che ho portato ieri. Ma
non strappateli dalle aiuole dei vicini.»
Enyl
arrossì a quel commento e annuì, mentre Rannyl ridacchiava divertito.
Per
via di un regalo improvvisato alla mamma – con relativo rimprovero corredato –
Enyl era stata costretta a chiedere scusa alla padrona dei fiori che la bimba
aveva strappato.
La
donna, con una buona dose di ironia, l’aveva perdonata per i motivi davvero
amorevoli che l’avevano spinta a prenderli senza permesso, ed Eikhe aveva
sorriso alla figlioletta.
Colpevole,
Enyl si era messa a piangere nel chiedere perdono più e più volte.
Intervenendo
per dare una mano alla sorella, Rannyl la prese per mano e disse: « Li
prenderemo qui dietro, nel boschetto.»
«Senza
allontanarvi, mi raccomando» precisò Eikhe, prima di scrutare Antalion e
aggiungere: «Mi aiuti?»
«Sì,
mamma» annuì lesto, mentre i gemellini uscivano dalla camera e Aken li seguiva
con lo sguardo.
«Vai
pure con loro.»
Aken
ringraziò con un sorriso la compagna, e si dileguò in silenzio dietro ai figli
minori mentre Antalion sorrideva divertito.
Ammiccando
al figlio maggiore, Eikhe disse sommessamente: «Non si sente ancora tranquillo
a saperli in giro da soli, anche se sono a portata di voce.»
«Forse,
avremmo dovuto mandare i lupi con loro. Allora, papà non si sarebbe
preoccupato.»
Con un
abile gesto di mano, stese il copri-materasso prima di lisciarlo con gesti
morbidi del palmo dopodiché, presi due lembi della coperta di lana, la stese a
sua volta, sistemandone gli orli negli angoli.
«Liar
dovrebbe essere ancora con la compagna, …almeno, è lì che l’ho lasciato ieri
notte, dopo che sono nati i cuccioli» mormorò pensierosa Eikhe, ripensando ai
tre cuccioletti bianchi e neri nati solo una quindicina di ore prima.
Un
sorriso soddisfatto si dipinse sul viso di Antalion quando ripensò alla notte
appena trascorsa, passata interamente ad accudire Symil, la compagna di Liar.
Il suo
risveglio così traumatico lo doveva anche a quella notte travagliata.
Diversamente,
non sarebbe crollato dal letto a quel modo, neppure per uno scherzo dei
fratellini.
In
quel mentre, il ticchettio delle unghie di Mykos fece volgere lo sguardo a
madre e figlio che, sorridenti, salutarono il lupo di Antalion.
Questi,
fece capolino con il muso all’interno della stanza, prima di abbaiare il suo
saluto.
«Ehi,
canaglia! Dove te ne sei andato, ieri? Ti ho cercato dappertutto!» esclamò
Antalion, finendo di sistemare il copriletto di pelliccia.
Mykos
scodinzolò spiacente prima di mugugnare una risposta, al che il giovane fissò
confuso la madre prima di esalare: «Ho capito bene? Affari del branco?»
Il
lupo annuì col muso prima di volgere lo sguardo dietro di sé non appena Nak, il
lupo di Liana e Fyn, il lupo di Aken, fecero il loro ingresso nella casa.
«Ed
ecco rispuntare gli altri due. Eravate con lui, quindi?» chiese a quel punto
Antalion, fissando i tre lupi con aria inquisitoria.
Tutti
e tre annuirono e, dalla porta d’ingresso, la voce squillante e allegra di
Liana fece capolino, borbottando: «Hanno le bocche cucite, questi tre. Li ho
tartassati per bene, non appena li ho visti riemergere dal bosco, ma non mi
hanno voluto dire niente.»
Antalion
si illuminò in viso al solo sentire la voce dell’amata e, accoltala con un
bacio leggero sulla bocca, le chiese: «Nak non ti ha detto proprio nulla?»
Salutando
Eikhe con un sorriso e un bacio sulla guancia, Liana scosse subito dopo il
capo, replicando: «Affari del branco.»
Eikhe
allora fissò i tre lupi con aria vagamente confusa, mugugnando: «Beh, questa
davvero non mi è mai capitata prima.»
I tre
lupi si limitarono a scodinzolare prima di sgattaiolare nuovamente via e Liana,
con un sospiro, esalò: «Valli a capire! Quando ci si mettono, sono peggio dei
bambini piccoli.»
«Non
posso che essere d’accordo.»
Con un
risolino, Antalion fissò la madre - che stava ghignando divertita - prima di
chiederle: «Perché sghignazzi così?»
«Perché
stavo pensando a te da piccolo, e a come ti comportavi.»
Nel
dirlo, gli sorrise dolcemente.
«Ma se
ero bravissimo!» le ritorse contro Antalion, ammiccando malizioso.
«Anche
troppo…» ammise lei. «… e infatti, per anni, mi sono preoccupata che ci fosse
qualcosa che non quadrava. Quando andammo a palazzo, due anni fa, per pura
curiosità chiesi lumi a un’anziana balia di Aken, e lei mi confermò che tuo
padre si era comportato esattamente come te. Un bimbo calmo e quieto…almeno
fino ai cinque anni. Lì, è esploso. Esattamente come te.»
«Tale
padre, tale figlio» ammiccò Liana, dando un pizzicotto sul fianco ad Antalion.
«Non poteva andarmi meglio. Invecchia come lui, e io sarò la donna più felice
del mondo.»
Vagamente
accigliato, Atalion replicò con tono leggermente aspro: «Sicura di volere me, e
non lui?»
Scoppiando
a ridere assieme a Eikhe, Liana lo abbracciò calorosamente e stampò un sonoro
bacio sulle labbra per poi sussurrare solo per lui: «Sei tu l’unico uomo che voglio.»
«Bene»
si limitò a dire Antalion, prima di sentire lo scalpiccio veloce dei piedi di
Enyl e Rannyl, di ritorno dalla loro missione nel boschetto.
Le
braccia cariche di fiori a stelo lungo, e l’aria di chi si è divertito un
mondo, i due gemelli strillarono un saluto eccitato a Liana, che ricambiò con
dei baci sulle loro testoline.
Nel
veder rientrare il compagno in quel momento, disse: «Fatevi aiutare da papà a
sistemare i fiori per casa, adesso.»
«Papà!»
esclamarono in coro i bimbi, prima di vederselo comparire alle spalle in punta
di piedi.
Lo
strillo che lanciarono subito dopo venne presto sostituito da una risata
collettiva e, mentre Aken accompagnava in giro per casa i due figlioletti,
Liana li osservò con occhi languidi, sussurrando: «Sono adorabili.»
«Solo
perché non ti hanno svegliato di soprassalto come hanno fatto con me,
altrimenti non lo diresti» replicò bonario Antalion, avvolgendole la vita prima
di poggiarle il mento su una spalla.
Liana
si volse a mezzo per smentirlo e, con un risolino, esclamò: «Non fare
l’antipatico! Sai benissimo di essere innamorato pazzo di loro!»
«Non
confermo né smentisco» sghignazzò Antalion, osservando divertito i due
fratellini che correvano in giro per quella che, entro pochi mesi, sarebbe
stata la loro casa.
Quando
avevano proposto l’idea di costruire una nuova casa, così da crearsi un po’ di
indipendenza, i suoi genitori si erano dichiarati entusiasti della cosa.
In
particolare, Aken si era mostrato prodigo di consigli, e pronto a mettersi in
pista per aiutarlo in qualsiasi genere di lavoro si sarebbe reso necessario.
Non si
era mai tirato indietro, finendo con lo stancarsi spesso e volentieri più del
necessario, ma né Antalion né tanto meno Eikhe se l’erano sentita di fermarlo.
Entrambi
comprendevano benissimo i sentimenti che avevano spinto l’uomo a darsi tanto da
fare, per il figlio maggiore.
Il
dolore provato in quei lunghi sedici anni di lontananza, non si era mai sopito
del tutto, nel suo cuore.
Quando
l’opportunità di fare qualcosa di speciale per Antalion gli era stata
presentata praticamente su un piatto d’argento, lui l’aveva colta al volo.
Non
appena aveva ricevuto il via libera, si era messo d’impegno per creare qualcosa
di unico per il figlio che non aveva potuto veder crescere.
Ora la
casa era quasi ultimata, e Antalion ne amava ogni singola trave, ogni più
piccolo chiodo perché sapeva che, entro quelle pareti, c’erano l’amore
incondizionato del padre e la sua eterna protezione.
Non
avrebbero più vissuto sotto lo stesso tetto, ma Aken ci sarebbe sempre stato,
avrebbe sempre vigilato su di lui e sulla sua nuova famiglia e, per qualsiasi
cosa, si sarebbe mosso in loro difesa.
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Bentornati e bentornate a coloro che vorranno seguirmi in questa breve storia che narra le vicende di “Occhi di Lupo” a sei anni dalla fuga di Aken tra le montagne.
Naturalmente, spero vorrete commentare e dirmi cosa ne pensate… vi aspetto. Anche per le critiche, s’intende! ^_^