La fanciulla e lo straniero

di Cassandra caligaria
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** CAPITOLO I ***
Capitolo 2: *** CAPITOLO II ***
Capitolo 3: *** CAPITOLO III ***
Capitolo 4: *** CAPITOLO IV ***
Capitolo 5: *** CAPITOLO V ***
Capitolo 6: *** CAPITOLO VI ***
Capitolo 7: *** CAPITOLO VII ***
Capitolo 8: *** CAPITOLO VIII ***
Capitolo 9: *** CAPITOLO IX ***
Capitolo 10: *** CAPITOLO X ***
Capitolo 11: *** CAPITOLO XI ***
Capitolo 12: *** CAPITOLO XII ***
Capitolo 13: *** CAPITOLO XIII ***
Capitolo 14: *** CAPITOLO XIV ***
Capitolo 15: *** CAPITOLO XV ***
Capitolo 16: *** CAPITOLO XVI ***
Capitolo 17: *** CAPITOLO XVII ***
Capitolo 18: *** CAPITOLO XVIII ***
Capitolo 19: *** CAPITOLO XIX ***
Capitolo 20: *** CAPITOLO XX ***
Capitolo 21: *** CAPITOLO XXI ***
Capitolo 22: *** CAPITOLO XXII ***
Capitolo 23: *** CAPITOLO XXIII ***
Capitolo 24: *** CAPITOLO XXIV ***
Capitolo 25: *** CAPITOLO XXV ***
Capitolo 26: *** CAPITOLO XXVI ***
Capitolo 27: *** CAPITOLO XXVII ***
Capitolo 28: *** CAPITOLO XXVIII ***
Capitolo 29: *** CAPITOLO XXIX ***
Capitolo 30: *** CAPITOLO XXX ***
Capitolo 31: *** EPILOGO ***
Capitolo 32: *** Extra - L'orologio ***



Capitolo 1
*** CAPITOLO I ***


Buonasera a tutti. Qualcuno mi conosce già, qualche altro forse mi conoscerà. Non sono nuova qui su Efp, sto pubblicando già un'altra storia, sempre nella categoria "Twilight", I WANT TO KNOW WHAT LOVE IS. Questa nuova storia è dedicata ad una persona per me molto speciale, che qualche giorno fa, purtroppo, è venuta a mancare, mio nonno. Mi mancherai tanto ... questa storia la dedico a te. Grazie per aver fatto parte della mia vita. Ti voglio bene.

Buona lettura, spero che vi appassionerete a questa nuova storia, ambientata in una terra che amo particolarmente, la Puglia, ed intrisa dei ricordi dei racconti di mio nonno.

 

CAPITOLO PRIMO

 

Nel punto in cui termina la vecchia via Appia, antica “regina viarum”, e sorge la nuova strada che conduce al porto di Brindisi, si erge imperiosa ed austera, come il Partenone domina dall’alto dell’acropoli la città, la masseria degli Swan.

Poco distante dal mare, immersa nella quiete degli uliveti secolari, la masseria degli Swan rappresenta il simbolo del potere e della ricchezza, conquistati con la fatica ed il sudore.

Il lungo viale alberato che conduce all’enorme portico della masseria è ricoperto di fine brecciolina bianca. Le scale esterne, che portano all’enorme terrazza all’ultimo piano, sono decorate con vasi di fiori di ogni specie e nazionalità.

Due leoni dominano l’ingresso.

Questo è tutto quello che si vede dall’esterno della grande fattoria bianca, come il marmo lunense.

Il cortile interno, su cui si affacciano tutte le porte e le finestre della masseria, è dominato da un enorme palma, che si eleva fiera e forte, offrendo ombra agli animali domestici ed ai bambini che giocano, durante la calura estiva.

Alle spalle della masseria, si estende la potente e ricca tenuta degli Swan.

Il famoso vigneto, il secolare uliveto, l’immenso campo di grano pugliese e varie piantagioni stagionali.

Non molto distante dalla tenuta, sorge un’umile dimora, accanto alla stalla degli Swan. E’ la casa del fattore Billy Black e di suo figlio Jacob, entrambi alle dipendenze del barone Swan.

Charlie Swan è il nipote di Carlo Capatorta, conosciuto meglio in paese come Carletto il pezzente, che durante la seconda metà dell'ottocento, povero e senza fortuna, si recò in America, come tanti altri suoi compaesani all’epoca, in cerca di buona ventura.

Sposò una ricca ereditiera argentina da cui ebbe una figlia, a cui mise il nome di sua madre, come si era soliti fare, Isabella.

Isabella, appena raggiunse la maturità, sposò un giovane americano, pur contro la volontà di suo padre, che desiderava per lei un marito italiano. Il barone Emmet Swan.

Dopo molti anni, Capatorta e famiglia ritornarono in paese. Il suo notevole cambiamento destò stupore tra la gente dei trulli. Alcuni di loro, i più giovani, non si ricordavano neanche di lui. Lo conoscevano di fama. Molti pensavano fosse morto, altri che fosse diventato un malvivente.

Invece, Carletto partito pezzente era ritornato massaio.

Misero in piedi la grande masseria, e poco prima di morire, Carlo riuscì ad assaggiare il vino più famoso dell’epoca, il gustoso “Primitivo” Swan.

Emmet ed Isabella portarono la masseria a livelli che il povero Carlo non avrebbe mai neanche potuto immaginare.

La produzione divenne sempre più grande e la gente iniziò a guardare quella strana famiglia, che parlava un po’ il dialetto locale e un po’ l’americano, con il rispetto e la riverenza che si devono ad un sovrano.

I giovani Swan ebbero due figli, Charlie ed Esme. Da piccoli, sotto consiglio del magnifico dell’università di Bari, che acquistando olio e vino dalla masseria, aveva finito per affezionarsi a quella bella famigliola, furono mandati a studiare a Parigi.

Lì conobbero le loro anime gemelle, e tornarono a casa con due fagottini.

Esme e Carlisle Cullen ebbero una bambina, Alice.

Charlie e Renee Swan, tornarono con in braccio il piccolo Emmet, che ben presto divenne la luce degli occhi di suo nonno.

Quando il vecchio Emmet Swan spirò, chiamò al suo capezzale il nipote, che ormai era prossimo a compiere i 13 anni, per tramandare alla nuova generazione, quello che suo padre, e suo nonno prima ancora, avevano trasmesso a lui. Il segreto per fare l’olio buono.

“Figliolo, ricordati sempre che “L’oliva più pende e più rende”,mi raccomando. Bada a tua sorella,e sii sempre fiero del nome che porti!”.

Dopo la morte del vecchio Swan, una giovane coppia americana, si presentò alla massiccia porta della grande masseria.

Era il figlio di un vecchio amico di Carlo, un americano. Carlo, prima di partire dall’America, aveva promesso al suo amico, memore dell’aiuto che aveva ricevuto una volta sbarcato nel nuovo continente, che in qualunque momento, di qualunque cosa avesse avuto bisogno lui o la sua famiglia, Capatorta ci sarebbe stato.

Charlie Swan, che dal nonno materno aveva ereditato non solo i baffi all’insù, ma anche il cuore d’oro, offrì loro un appartamento al primo piano ed il controllo dell’uliveto, mentre sua moglie avrebbe aiutato nelle cucine della tenuta.

La giovane coppia, Joseph e Lilian Hale, aveva due bambini. Due gemelli, Jasper e Rosalie. Due visi deliziosi, contornati da folti capelli biondi, e due occhi color del mare, che ben presto divennero i compagni di giochi dei figli di Charlie Swan.

Due anni dopo la nascita di Emmet, infatti, Renee aveva dato alla luce la piccola Isabella.

Isabella, che tutti fin da piccola, chiamavano Bella, era la più bella ragazzina del paese. E non solo da un punto di vista estetico. Sembrava circondata da un’aura angelica.

I modi fini e delicati, il sorriso gentile, l’educazione gesuita che aveva ricevuto, anziché stridere con l’ambiente bucolico in cui viveva e le abitudini che ne aveva acquisito, la rendevano ancora più bella e desiderabile.

Delicata ed indomabile, fine e selvaggia allo stesso tempo, aveva uno sguardo meraviglioso. Guardandola negli occhi si aveva l’impressione di specchiarsi nella malinconia di un’epoca lontana che vive delle gioie del presente.

A soli 16 anni vantava già una lunga schiera di pretendenti. Ma il suo cuore non era ancora pronto per innamorarsi.

Sua nonna Isabella, che da quando era rimasta vedova, vestiva di nero in tutte le stagioni, con i capelli raccolti in un candido chignon ed intrecciati da un foulard, nero anch’esso, aveva sempre avuto un debole per la piccola Bella.

Amava tutti i suoi nipoti, ma Bella era quella più simile a lei. Aveva i suoi stessi occhi, il suo stesso nome ed il suo temperamento mite. Ma quando si scaldava l’agnellino tirava fuori le unghie e si trasformava in un leone imperioso.

Da bambina era solita cullarla sotto il portico narrandole le gesta eroiche di Ulisse, che proprio da quelle coste, così vicine alle loro case, era passato cavalcando le onde del mare; leggendole, quando era un po’ più grande i romanzi che l’avevano fatta sognare e desiderare l’amore; cantandole le canzoni dei soldati che partivano per la guerra senza sapere se mai avrebbero più fatto ritorno in patria.

Isabella cresceva, nutrita di una grande cultura e di sogni.

Poco era rimasto di quella bambina dai folti ricci del colore delle castagne e gli occhi nocciola che a piedi nudi pigiava l’uva nel grande tino o giocava a nascondino con i suoi fratelli e gli altri bambini, finendo sempre a nascondersi nel vecchio trullo, dove suo nonno aveva installato il frantoio per macinare le olive.

Con il tempo i ricci erano diventati morbide onde che le accarezzavano le curve generose di quel corpo splendido che destava l’invidia di tutte le altre ragazze. Ma la sua passione per la vendemmia era rimasta la stessa. Perché se il palato di suo fratello aveva un debole per l’olio “buono”, Bella aveva da sempre avuto un buon occhio e un buon palato per il loro famoso Primitivo. Seguiva con suo padre tutte le fasi e le stagioni dei vigneti, dalla potatura alla vendemmia.

Non aveva di certo l’aspetto di una contadinella, tutt’altro. Era dotata di una bellezza particolare, in lei coesistevano l’aria di libertà ed i modi spensierati e un po’ rudi, che solo la vita all’aperto è in grado di fornire, e l’elegante raffinatezza degli anni vissuti nel collegio gesuita. Unica. Ecco com’era Bella.

Sognava, anche lei come sua nonna, un’avventura, un amore contrastato, un viaggio che le mostrasse che il mondo non era solo fatto di vendemmia e mietitura, sebbene amasse tutto quello che accadeva nel suo idillio bucolico, lì dove il tempo era scandito solo dal ritmo delle stagioni, nella grande masseria bianca.

In quel piccolo quadratino di mondo, la guerra che imperversava in ogni dove, versando sangue e lacrime, era qualcosa di lontano, di cui ogni tanto si sentiva parlare alla radio.

Si sapeva che le truppe tedesche avevano invaso le città più grandi della Puglia, ma lì alla masseria, quei soldati tedeschi dalla divisa inamidata con le medagliette scintillanti, erano solo clienti, interessati a comprare l’olio buono ed il famoso “Primitivo”.

Nessuno osava immaginare che quella ormai lontana estate del 1944 non l’avrebbero più dimenticata.

Soprattutto la giovane Isabella.

Quel giorno, il giorno più lungo e più caldo dell’anno, in cui i raggi del Sole sono perpendicolari al Tropico del Cancro e l’estate fa finalmente il suo ingresso, il giorno in cui si celebra la festa di San Giovanni Battista lì alla masseria, sarebbe rimasto per sempre scolpito nel suo giovane cuore.

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Capitolo 2
*** CAPITOLO II ***


Buongiorno a tutti e buon sabato! Ecco a voi il secondo capitolo di questa nuova storia ... Spero vi piaccia! Buona lettura!

Ricordo come sempre l'altra storia che sto pubblicando sempre in questa categoria : I WANT TO KNOW WHAT LOVE IS .

Ringrazio le persone che hanno aggiunto questa storia tra le seguite, le preferite e quelle da ricordare. Un grazie molto speciale a coloro che hanno recensito il primo capitolo. Spero che continuerete a seguirmi!

 

CAPITOLO SECONDO

Anche maggio era arrivato, e con esso iniziavano, alla grande masseria, i preparativi per la raccolta del grano. Tutti erano in fermento in quel periodo.

L’odore della mietitura è qualcosa di indescrivibile che solo chi vive ogni fase del grano, dalla semina in autunno, alla raccolta in primavera apprezza.

E’ un profumo, che per chi non lo conosce non ha un odore, come il sapore dell’acqua.

Ma per gli abitanti della masseria, l’odore del grano aveva il sapore della rinascita e della vita.

Bella amava l’odore del grano, amava il rumore del vento tra le spighe di grano. Da bambina, immersa in quelle infinite distese dorate immaginava che da un momento all’altro sarebbe arrivato il suo principe azzurro, con gli occhi color del mare ed i capelli del colore del grano. L’avrebbe presa con sé ed insieme sarebbero fuggiti lontano, dove il sole fa capolino quando la masseria dorme.

Poi crescendo, si era resa conto che probabilmente il principe azzurro non esisteva. Era stato Jacob, il suo migliore amico, nonché primo dei suoi pretendenti, a farle dimenticare l’esistenza del principe azzurro.

I modi poco fini e campagnoli di Jake, le sue carezze troppo insistenti ed i baci che pretendeva, invano, avevano creato una piaga nel cuore sensibile della fanciulla.

Bella sognava un ragazzo dai modi cavallereschi, che parlasse con la cadenza d’altri tempi, che le recitasse versi d’amore e le regalasse fiori. Non un ragazzo che le aveva promesso, se lo avesse vinto, il prosciutto in cima al “Palo della Cuccagna”, in cambio di un ballo.

Come ogni maggio, da qualche anno a quella parte, Bella si era recata nell’immenso campo di grano per iniziare la raccolta. E come sempre, aveva preferito andare prima degli altri, per poter respirare ancora per un po’ l’odore del grano e poter sognare ancora il suo principe immersa nella freschezza di quel campo.

E proprio in quel campo di grano, nascosto tra le spighe dorate che si ergono rigogliose verso il cielo, che il destino della giovane Isabella attendeva il suo compimento.

Mentre era assorta nei suoi pensieri, distesa tra le spighe, sentì un rumore strano alle sue spalle. C’era qualcuno, forse era un cane o un gatto. Ma il calpestio era stato troppo forte per essere stato provocato da un animaletto. Doveva essere qualcuno dei suoi famigliari. Si sollevò, aggiustando le pieghe del vestito e ripulendosi dei chicchi che le erano rimasti impigliati tra i boccoli dei capelli e si voltò.

“Chi è? Sei tu Emmet?”

Nessuno rispose. Forse suo fratello aveva voglia di scherzare, come al solito.

“Dai, dove ti sei nascosto? Tanto lo so che sei tu!”

Bella iniziò a percorrere a ritroso il campo di grano, cercando di avvicinarsi a casa. Aveva una strana sensazione, si sentiva osservata. Ad un trattò inciampò su qualcosa, o meglio su qualcuno, atterrando morbidamente su un torace muscoloso.

“AH!”

Non era Emmet. Era inciampata tra un paio di gambe ed era caduta sul loro legittimo proprietario.

Un paio di smeraldi la scrutavano curiosi e riverenti.

“Si è fatta male signorina? Mi dispiace averla spaventata, non era assolutamente mia intenzione!”.

Lo strano sconosciuto che si nascondeva tra le spighe di grano aveva un’aria davvero affascinante. Bella lo guardava, rapita dal suo strano accento, così simile a quello di suo nonno Emmet. Com’era cortese, le si era rivolto dandole del lei.

“Siete americano?”, domandò curiosa.

“Sì, signorina. Sono italo-americano. Il mio nome è Edward.”

Edward. Aveva un nome da principe quel bellissimo sconosciuto. Mentre parlava, Bella aveva potuto notare tutto quello che di primo acchito, appena caduta, le era sfuggito. I tratti dolci del viso, le labbra rosse e piene, la mascella perfettamente squadrata, i capelli color rame che accarezzati dai raggi del sole assumevano tutte le tonalità dello spettro del rosso. E quegli occhi, così simili al colore della sua pietra preferita … lo smeraldo.

“Tutto bene, signorina?”

Solo in quel momento si destò dai suoi pensieri e si rese conto della strana posizione che occupavano. Era distesa su di lui, completamente a contatto con ogni parte del suo corpo. Sentiva i suoi seni adagiati placidamente sul petto forte di quello sconosciuto, le sue gambe esili intrecciate a quelle di lui, e i loro respiri che si mescolavano all’odore del grano.

Facendo leva sulle braccia e sulle gambe si allontanò di malavoglia da lui e si mise seduta tra le spighe. Sentiva i cariossidi del grano pungerle malandrini la pelle diafana e delicata delle gambe. Ma in quel momento, era solo un lieve fastidio.

Nel momento in cui i suoi occhi si erano specchiati negli occhi di Edward aveva sentito il suo cuore batterle forte nel petto, come mai le era accaduto. Non aveva mai avuto un simile contatto con un uomo. Sicuramente in quel momento era arrossita, sentiva le guance in fiamme, come le capitava da bambina quando veniva scoperta a fare qualcosa che le era stato proibito. Ed in quel momento, nella posizione in cui si erano ritrovati poc’anzi, tutto nella quiete di quel profumato campo di grano sembrava urlare proibito.

Se solo suo padre li avesse trovati in quella posizione! Non avrebbe di certo creduto che si fosse trattato di un incidente.

“Il mio nome è Isabella, ma tutti mi chiamano Bella.”, così dicendo gli porse la mano. Lui all’inizio sembrò non capire il suo gesto, ma poi, stregato da quello sguardo maliziosamente innocente, aveva ricambiato la stretta.

Com’era morbida la sua pelle …

“Bella, mai ci fu nome più adatto a definire una tale creatura.”, le parole sgorgarono spontanee dalla sua bocca.

Bella, in tutta risposta, arrossì e chinò il capo. Iniziò a contare i chicchi di grano della spiga che si era piegata sotto il peso della sua gamba, era imbarazzata ed affascinata da quella situazione.

Non sapeva cosa rispondere, nessuno si era mai rivolto a lei in quel modo. Non era abituata a ricevere dei complimenti così dolci e terribilmente raffinati.

Quello straniero parlava come se provenisse da un’epoca lontana. E lei era stregata dal fiume di parole che quella meravigliosa bocca non riusciva ad arginare. E poi quando aveva pronunciato il suo nome … si era sentita come se una scarica di adrenalina si fosse impossessata del suo corpo.

“Da dove vieni, Edward?”

Anche a lui piaceva più del lecito sentire il proprio nome prendere vita da quella voce così calda e melodiosa. Aveva eliminato nel giro di un secondo tutte le formalità. E il giovane Edward non poteva che esserne felice.

“Non ricordo, non lo so. L’unica cosa di cui sono certo è che il mio nome è Edward, altro non ricordo. Mi sono assopito qui due giorni fa, il sole deve avermi fatto male. Dove siamo? Non so neanche come si chiama questo posto …”.

Il giovane in realtà sapeva chi fosse e da dove venisse, ma non poteva assolutamente rivelare i segreti che serbava nell’animo a quella bella fanciulla.

Bella gli spiegò che si trovava nella tenuta Swan, a pochi chilometri dalla piccola contrada di Campi, nel brindisino. Gli raccontò della raccolta del grano che sarebbe avvenuta di lì a poco, delle sue origini franco-italo-americano, della storia della masseria. Non aveva mai parlato tanto in vita sua. Eppure, con quel ragazzo le parole uscivano spontanee. Non le era mai capitato con uno sconosciuto. Le venne in mente una delle sue poesie preferite di Baudelaire, “Lo straniero”. Decise di recitarla ad Edward.

Quello che non poteva immaginare era che fosse anche la sua poesia preferita.

 

Qui aimes-tu le mieux, homme énigmatique, dis ? Ton père, ta mère, ta soeur ou ton frère ?

Je n'ai ni père, ni mère, ni soeur, ni frère.

Tes amis ?

Vous vous servez là d’une parole dont le sens m'est restée jusqu'à ce jour inconnu.

Ta patrie ?

J'ignore sous quelle latitude elle est située.

La beauté ?

Je l’aimerais volontiers, déesse et immortelle.

L’or ?

Je le hais comme vous haïssez Dieu.

Eh ! qu'aimes-tu donc, extraordinaire étranger ?

J'aime les nuages... les nuages qui passent... là-bas... là-bas... les merveilleux nuages !

 

Avevano recitato le battute della poesia senza mai lasciare che i loro sguardi si allontanassero.

Bella sorrideva e guardava estasiata quello straniero che le aveva stregato, in poco più di un’ora, il cuore e la mente.

Edward guardava quella creatura così colta ed affascinante completamente rapito.

“E’ una poesia meravigliosa, ma mai quanto te, dolce Bella!”

“G-grazie Edward”, arrossì, se possibile, ancora di più.

Tentato da quelle macchie porpora che si sposavano così bene con quella carnagione color crema, Edward le accarezzò, con il palmo della mano, la guancia.

Com’era dolce e delicata quella carezza! E quante sensazioni nuove stava provando in quel momento la piccola Bella!

Ma il loro idillio fu presto interrotto da un vociare alquanto preoccupato.

“BELLA!! BELLA! DOVE SEI FINITA! BELLAAA!!!”

“Ti stanno cercando, Bella. Sono i tuoi parenti?”

“Sì, sono loro.”

Bella in quel momento fu presa dal panico. Cosa avrebbe raccontato a suo padre? Cosa avrebbero fatto a Edward? Lei non voleva che andasse via.

Pensando ad un modo per giustificare la presenza di Edward lì con lei, optò per la verità. In fondo, quel povero ragazzo non ricordava nulla, e non sapeva dove andare in una terra straniera. Lì con loro alla masseria sarebbe stato al sicuro ed avrebbe avuto tutti gli agi di cui godevano loro.

Sì, avrebbe chiesto a suo padre di farlo restare con loro.

 

 

 

 


ANGOLINO DELL'AUTRICE.

Innanzitutto ci tengo a presentarvi qualcuno ...

 

edward

ECCOLO QUI LO STRANIERO!!

Piaciuto?! ^_^

Passiamo a noi. Allora, la poesia, che dà anche il titolo alla storia, è una delle mie poesie preferite.

Di seguito vi riporto la traduzione in italiano.

«Dimmi, enigmatico uomo, chi ami di più? tuo padre, tua madre, tua sorella o tuo fratello?
Non ho né padre, né madre, né sorella, né fratello.
I tuoi amici?
Usate una parola il cui senso mi è rimasto fino ad oggi sconosciuto.
La patria?
Non so sotto quale latitudine si trovi.
La bellezza?
L'amerei volentieri, ma dea e immortale.
L'oro?
Lo odio come voi odiate Dio.
Ma allora che cosa ami, meraviglioso straniero?
Amo le nuvole... Le nuvole che passano... laggiù... Le meravigliose nuvole!»

Vi chiederete il motivo per cui ho deciso di fargliela recitare in francese. Innanzitutto per rispettare l'originale musicalità dei versi, poi per sottilineare l'affinità immediata che c'è tra Edward e Bella. Lei, nonostante viva in una tenuta è molto colta ... e lui ...Bè si scoprirà presto chi è e qual è il segreto che nasconde! Quale sarà secondo voi questo segreto? E come reagirà Charlie?

Ora aspetto le vostre supposizioni ed i vostri commenti al capitolo!

 

 

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Capitolo 3
*** CAPITOLO III ***


Buongiorno a tutti e buon sabato! Ecco a voi il terzo capitolo di questa nuova storia ... Spero vi piaccia! Buona lettura!

Ricordo come sempre l'altra storia che sto pubblicando sempre in questa categoria : I WANT TO KNOW WHAT LOVE IS .

Ringrazio le persone che hanno aggiunto questa storia tra le seguite, le preferite e quelle da ricordare. Un grazie molto speciale a coloro che hanno recensito lo scorso capitolo. Spero che continuerete a seguirmi!

 

 

CAPITOLO TERZO

 

Bella raccontò al padre di aver incontrato Edward solo e sperduto in quell’immenso campo di grano. Aggiunse e precisò che non ricordava nulla di sé, all’infuori del suo nome ed utilizzando tutta la sua abile dialettica gli chiese di poterlo ospitare alla masseria.

Charlie, che amava sua figlia e teneva conto dei suoi consigli e dei suoi desideri come pochi uomini a quel tempo lontano, in cui le donne erano considerate solo madri, mogli e casalinghe, prive di volontà ed intelletto, si fidò del consiglio di sua figlia ed accettò di buon grado il nuovo arrivato alla tenuta.

“Resterai qui da noi fino a che lo vorrai. Ovviamente avrai un incarico anche tu, in cambio della nostra ospitalità ci aiuterai nella tenuta. Cosa sai fare ragazzo?”

“In verità, nulla in particolare, signore. Però imparo in fretta.”

“Bene. Allora seguirai mio figlio Emmet che ti insegnerà tutto quello che devi sapere. Ti occuperai dell’uliveto e del vigneto insieme a lui e a Jasper. Ora vieni dentro, sarai sicuramente stanco ed affamato. Non ricordi proprio nulla? Neanche da dove vieni?”. Charlie era molto incuriosito dal forte accento americano del ragazzo.

Il giovane Edward, lusingato da tanta cordialità e gentilezza, stava quasi per gettare la maschera e raccontare tutto a quell’uomo dai baffi strani e con gli stessi occhi della fanciulla più bella che avesse mai visto.

Ma non poteva. Non ancora per lo meno. Così, continuò a mentire, facendo finta di aver perso la memoria.

“No, signore. Non ricordo nulla al di fuori del mio nome. Mi dispiace.”

“Non ti preoccupare, figliolo. E una cosa …”

“Mi dica.”

“Chiamami Charlie e dammi del tu! Mi fai sentire vecchio, altrimenti!!”

“Oh, va bene. Va bene, Charlie.”

A quelle parole seguì una forte stretta di mano, simbolo di una nuova amicizia e di un bel rapporto di reciproca fedeltà. Edward non sapeva fino a che punto sarebbe riuscito ad ingannare quelle brave persone, e soprattutto non sapeva fino a che punto avrebbe retto la sua coscienza. La sua indole pura ed incline alla sincerità stava mettendo a dura prova la maschera che indossava.

 

 

In pochi minuti raggiunsero l’ingresso secondario della masseria. Edward non aveva mai visto una struttura così imponente in tutta la sua vita. E come capitava a molti, anche lui chinò il capo di fronte a quel simbolo di potenza e di ricchezza.

Una volta entrati nel piano riservato alla famiglia Swan, una bella signora, dai capelli biondi e gli occhi azzurri come il cielo, accolse i due uomini.

“Renee, lui è Edward. Bella lo ha trovato disteso nel campo di grano, privo di memoria. Resterà con noi. Ci darà una mano in cambio della nostra ospitalità.”

“Ma certo, Edward sono felice di conoscerti. Hai fame? Ti faccio preparare qualcosa … o preferisci prima fare un bel bagno caldo?”

“Io … non so davvero come ringraziarvi! Sono lusingato … non dovete preoccuparvi di nulla!”

“Approfittane Edward! Mio padre è un vero negriero quando si tratta delle sue olive e del suo vino!!!”

Un ragazzone dalla forte muscolatura apparve dal corridoio che stava di fronte a loro. Edward suppose che fosse il fratello di Bella.

Già … Bella … ma dov’era finita? Non l’aveva più vista da quando erano ancora nel campo di grano. Era sicuro che non fosse con loro quando erano arrivati alla masseria.

“Comunque, io sono Emmet. Piacere di conoscerti! Sento che andremo molto d’accordo!”

La sua supposizione fu confermata. Si trattava proprio di Emmet. Strinse la grande mano di quel ragazzo, che subito dopo gli diede una pacca sulla spalla.

Era davvero simpatico. Un gigante buono.

“Anch’io sono felice di conoscerti, Emmet.”

“Allora … vuoi prima rinfrescarti un po’? Ti faccio preparare un bel bagno rilassante con fiori di lavanda.”

“Grazie signora. Grazie di cuore!”

“Oh, figurati! Chiamami Renee, però!”

 

 

 

Bella, intanto, piena di quella elettricità e quella gioia che porta un nuovo evento, era corsa a raccontare l’accaduto a sua nonna Isabella.

Quest’ultima, che conosceva sua nipote meglio di chiunque altro, vide brillare i suoi occhi come non era mai accaduto mentre le raccontava dell’incontro con lo sconosciuto. Era ancora più bella e solare del solito.

Non omise dal suo racconto nessun particolare, dalla caduta sul corpo dello straniero, alle molteplici sensazioni che aveva provato.

Nonostante fosse la più anziana lì alla masseria, era l’unica a cui la giovane Bella apriva, ogni volta che ne sentiva il bisogno, il suo cuore. La nonna non conosceva il significato della parola pregiudizio, non giudicava se non con le regole del cuore e dei sentimenti. Lei, che al suo tempo, aveva sposato l’uomo che amava, nonostante le intenzioni di suo padre fossero ben diverse, capiva i moti dell’animo di sua nipote e condivideva i suoi tormenti e le sue emozioni.

“Oh, nonna! Avresti dovuto sentirlo mentre recitava i versi di Baudelaire! Ha un accento francese quasi migliore della mamma! E poi ha una voce così soave … Nonna, è qualcosa di indescrivibile!”, al solo ricordo le guance di Bella si imporporarono nuovamente.

All’occhio attento di nonna Isabella non sfuggì quel cambiamento sul viso di sua nipote. In quel momento le sembrò di essere tornata indietro nel tempo, molto indietro. Quando aveva più o meno l’età di sua nipote e il giovane Emmet le recitava ogni sera, sotto la finestra della sua stanza, i versi di Shakespeare. Era incredibile come nonostante gli anni, le epoche e tutti i cambiamenti che c’erano stati i sentimenti delle persone fossero sempre gli stessi. Quei versi che avevano preso vita qualche secolo prima erano ancora in grado di parlare ai cuori innamorati. Attuali come non mai.

La nonna aveva ben inteso che quell’affascinante straniero avesse fatto breccia nel giovane e puro cuore della nipote. Ma doveva capirlo da sola.

E, conoscendo Bella, immaginava fosse un giovane molto speciale.

“Vieni qui, tesoro. Sono molto felice per te. Stai brillando, forse non te ne accorgi, ma se ti potessi guardare come ti sto vedendo io in questo momento, ti renderesti conto della luce che emani.”, Bella corse ad abbracciare la nonna. Si rifugiò tra le sue braccia profumate di mandorle dolci come quando era bambina. Quel calore così materno la rassicurava e le trasmetteva una tale fiducia in se stessa che sentiva di poter realizzare tutto quel che desiderava.

“Ricordi quando da bambina correvi tra le mie braccia e mi chiedevi di raccontarti una storia? Hai sempre preferito i miei racconti alle bambole e al ricamo.”, Bella sorrise ricordando quando fuggiva dalle grinfie di sua cugina Alice e di Rosalie che volevano a tutti i costi farla giocare con le bambole.

O quando, un po’ più grande, fuggiva da sua madre che cercava di trasmetterle la sua passione per gli abiti e per il ricamo. Per fortuna, c’era Alice, che amava quanto Renee gli abiti e tutto quello che riguardava la sartoria, e si era rivelata una degna discepola.

“Nonna, le tue storie accompagnano ogni istante della mia vita, lo sai. Ho viaggiato, pianto e riso, ho partecipato a duelli e visto nascere gli amori più belli tra le tue braccia, cullata dalle tue storie. Come potrei dimenticarle? Quello che ho vissuto poc’anzi, sembrava così fiabesco … quasi irreale. Ma è tutto vero, nonna. Dovresti vederlo e sentirlo parlare. E’ così, così … così bello.”

La nonna, commossa dalle parole della nipote, sognò un po’ anche lei di quel magico incontro e sperò con tutto il suo cuore che anche la fiaba destinata a sua nipote prima o poi si realizzasse.

“Ma ora dov’è andato Edward?”

“Papà lo ha portato in casa. Credo sia con la mamma e con Emmet. Io, però, dovevo venire prima a raccontartelo!”, la nonna accarezzò i dolci boccoli di sua nipote ed avvertendo la voglia che aveva di andare in casa e rivedere Edward, le disse : “Tesoro, perché non vai a vedere cosa sta facendo? Poi verrai a raccontarmi tutto.”

“Oh, nonna!”, Bella abbracciò di nuovo sua nonna, prima di allontanarsi da lei ed entrare in casa.

Salì la scala esterna che portava alla grande terrazza ed entrò direttamente nella sua stanza. Si guardò allo specchio.

Era davvero lei quella fanciulla con gli occhi lucidi, le guance arrossate e quel sorriso così bello e spontaneo ad illuminarle il volto?

Non si era mai vista così. Era il ritratto del benessere e della gioia.

Si diede una sistemata ai capelli, pettinando dolcemente i suoi boccoli, e cercò di sistemare, invano, il vestito.

Insolenti, i chicchi di grano si erano infilati nella complicata trama della gonna, così decise di cambiarlo. Ne scelse uno bianco, stile impero, con una fascia azzurra in vita, che disegnava e valorizzava le sue morbide curve, mettendo in risalto anche il seno.

Dopo averlo indossato, si specchiò. Fece una mezza giravolta su se stessa cercando di analizzare la sua figura in cerca di qualche nota stonante. Dovette ammettere che in fondo lo straniero avesse ragione, era davvero molto bella.

Dopo un ultimo sguardo allo specchio uscì dalla sua stanza per recarsi in bagno a darsi una rinfrescata.

Nell’antibagno l’odore forte e pungente della lavanda le solleticò, indisponente, le narici.

Forse sua madre aveva lasciato un po’ di fiori di lavanda in giro per il bagno per deodorare l’ambiente, pensò.

Senza prestare molta attenzione allo sciabordio dell’acqua e al vapore molle che saturava l’aria del bagno, Bella entrò e si trovo di fronte quello che mai avrebbe potuto immaginare.

 

 

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Capitolo 4
*** CAPITOLO IV ***


Buonasera a tutti! Come procedono le vacanze? Le mie troppo in fretta! :(

Posto solo ora perchè in questi giorni non ho avuto un minimo di tempo per farlo. Anche riuscire a ritagliare un piccolo spazio di tempo per scrivere sta diventando difficile, con le giornate strapiene che mi ritrovo ad affrontare!

Cercherò comunque di postare con una certa regolarità.

Ricordo come sempre l'altra storia che sto pubblicando sempre in questa categoria : I WANT TO KNOW WHAT LOVE IS . Il prossimo capitolo è in lavorazione, arriverà tra qualche giorno.

Ringrazio le persone che hanno aggiunto questa storia tra le seguite, le preferite e quelle da ricordare. Un grazie molto speciale a coloro che hanno recensito lo scorso capitolo. Spero che continuerete a seguirmi!

 

CAPITOLO QUARTO

 

Edward, in tutto il suo splendore e la sua virilità, era in piedi nella tinozza in legno massello che troneggiava nella stanza.

La sua ragione le suggeriva che sarebbe dovuta uscire immediatamente, o quanto meno avrebbe dovuto volgere lo sguardo altrove. Ma il suo istinto e la sua curiosità prevalsero, e con occhio attento, studiò tutti i particolari di quella figura statuaria che aveva di fronte.

I capelli, che impregnati di acqua avevano assunto lo stesso colore dell’amaranto, erano completamente schiacciati sulla sua testa, una visione completamente diversa dalle ciocche ramate ribelli che aveva ammirato poche ore prima.

Piccole goccioline impertinenti di acqua scendevano pigramente sul suo bel viso, interponendosi tra le punte rossicce della barba leggera che gli ricopriva le guance.

Le labbra, scarlatte e lucide, erano schiuse in una “O” muta, come se in quel momento avesse voluto parlare, ma non avrebbe saputo scegliere sapientemente cosa dire.

L’occhio famelico e curioso di Bella oltrepassò il collo.

Le spalle ampie e muscolose, i pettorali ben torniti ricoperti da una leggera spolverata di riccioli rossi, gli addominali scolpiti.

Poi scese più in basso.

Non aveva mai visto un uomo nudo.

Non aveva mai visto un uomo in tutta la sua virilità.

Immaginava che fosse dotato di qualcosa di perfettamente complementare alla donna. Ma, quello che in quel momento aveva davanti, andava ben oltre le sue più fantasiose congetture.

Le ricordava tanto la statua del dio Marte che aveva visto l’anno precedente a Tivoli, nei giardini di villa Adriana. Bello e spietato, il dio della guerra, studiava immobile la sua prossima mossa, con il capo chino ed il volto contratto in una smorfia pensosa. La tensione della sua mente pensante aveva un’eco nella tensione perfetta dei muscoli del suo corpo, irrigidendo completamente la figura.

E così Edward, teso, non muoveva un muscolo. Era incantato da quella bellissima fanciulla, fasciata in un candido abito, che stava studiando ed analizzando il suo corpo, con sguardo attento e curioso, ma non intimorito.

Quando i loro sguardi famelici l’uno dell’altra si incontrarono, i loro cuori iniziarono a battere, forsennatamente, all’unisono.

Sebbene la situazione fosse molto imbarazzante, nessuno dei due accennò ad abbassare lo sguardo o a trovare qualche scusante.

I loro occhi si sostenevano a vicenda, quasi facessero a gara a chi si sarebbe arreso per primo. Inconsciamente speravano che l’altro dicesse qualcosa o facesse la prima mossa.

L’animo cavalleresco di Edward prese il sopravvento sul suo istinto di uomo, che gli suggeriva azioni che in quel momento dovevano essere evitate, e velocemente scese dalla tinozza e si coprì, come meglio poteva, con il telo che Renee gli aveva lasciato sulla sedia accanto.

“Bella”, non riuscì a dire altro.

La fanciulla si riscosse dai suoi pensieri quando sentì il suo nome pronunciato da Edward.

“Edward, sei … o mio Dio! Scusami! Io non sapevo che tu fossi qui! Così, per giunta! Io … perdonami, ti prego!”

Edward, che intanto aveva coperto le sue parti intime e si era ripreso dal primo momento di forte imbarazzo, si avvicinò a Bella e posò il palmo della mano sulla sua piccola spalla.

“Bella, non è successo niente. Non devi scusarti di nulla. Se può farti stare più tranquilla, questo piccolo episodio rimarrà tra di noi, nessuno saprà nulla, va bene?”

Bella annuì con il capo, incapace di pronunciare anche una sola parola. Il contatto della mano umida di Edward attraverso il sottile strato del suo vestito le aveva provocato una scossa di brividi che si era propagata in tutto il corpo.

Era molto attento, aveva intuito subito quale fosse l’origine delle scuse che la fanciulla gli porgeva. A quel tempo, trovarsi da sola con un uomo nudo, sconosciuto, nel bagno di casa sua non era di sicuro un episodio che avrebbe reso onore alla sua impeccabile condotta ed alla sua reputazione.

“Grazie, Edward.”

“Di cosa? Sono io che devo ringraziare te, Bella. Grazie davvero, di cuore.”, e alle sue parole seguì una dolcissima carezza lungo il braccio della fanciulla, fino ad arrivare alla mano. Fece passare il palmo della sua mano sotto quello della mano di Bella ed iniziò ad accarezzarle il dorso con il suo pollice. Poi sollevò quelle due estremità unite e complementari, rese elettriche dal reciproco contatto, e portò la mano di Bella vicino alle sue labbra.

Bella arrossì, intuendo le intenzioni di Edward.

Da bravo gentiluomo, depositò un bacio dolcissimo sul dorso candido della mano di Bella e prima di sciogliere quel contatto soffiò sulla pelle sottile e delicata della fanciulla, provocandole un brivido di piacere, un timido e sincero “Grazie”.

In tutta risposta Bella dedicò il più bello dei suoi sorrisi a quel ragazzo dai modi gentili e cavallereschi. La sua mano era ancora adagiata pigramente su quella di Edward, sembrava stessero bene così, non volevano mettere fine a quel contatto.

“Ora, credo sia meglio che io vada … non vorrei che qualcuno mi cercasse e …”

“Si, ma certo. Io intanto mi vesto.”

Staccando definitivamente loro mani, Bella fece qualche passo verso la porta che conduceva all’antibagno. Non ricordava neanche più il motivo per cui fosse andata in bagno, in ogni caso avrebbe utilizzato quello di sua madre.

“Edward!”, lo chiamò quando era ormai prossima ad uscire dalla stanza.

“Dimmi, Bella.”, sorrise incitandola a parlare.

“Dopo voglio farti fare un giro per la tenuta e voglio farti conoscere una persona molto speciale. Ti aspetto in terrazza, ci si arriva alla fine del corridoio.”

“Va bene, a dopo, allora.”

 

 

Dopo una veloce rinfrescata, Bella sollevò le ciocche laterali dei suoi lunghi capelli legandole dietro la nuca con un nastro. Cercò di sistemarsi per bene il vestito e passò più tempo del solito davanti allo specchio per controllare che non ci fossero difetti e che tutto fosse al suo posto.

Non aveva mai badato molto al suo aspetto. Era bella di natura e non amava molto vestirsi in modo ricercato o perdere tempo per acconciarsi. Questo lato del suo carattere era stata ed era tutt’ora una pillola amara da digerire per sua madre, che aveva trovato una degna sostituta di sua figlia in sua nipote Alice. Erano loro che si occupavano del guardaroba di Bella.

Quest’ultima dal canto suo, preferiva trascorrere il tempo con sua nonna Isabella e sua zia Esme, discorrendo per ore di letteratura e leggendo poesie in lingua originale, all’ombra della grande palma.

 

 

Uscì dalla sua stanza e si diresse verso la terrazza.

L’amaranto, che suo padre aveva comprato durante il suo soggiorno a Reggio Calabria, che occupava l’angolo destro della grande terrazza, le riportò alla mente il colore che i capelli bagnati di Edward avevano assunto, e quindi inevitabilmente anche tutto il resto delle scene che aveva avuto il piacere di analizzare poco prima.

Avvampò di piacere ripensando a quel fisico statuario che si era ritrovata dinanzi agli occhi. Nel giro di poche ore, da quando aveva trovato Edward disperso in quel campo di grano, aveva assaporato delle sensazioni nuove e così destabilizzanti che temeva di non riuscire a contenere quell’implosione, nascosta e sconosciuta, all’interno delle sue membra.

Dopo qualche minuto, mentre Bella, affacciata oltre il balconcino della terrazza, era assorta ad ammirare i raggi del sole che si divertivano a creare strani giochi di luce tra le pieghe delle pinne della grande palma, Edward arrivò alle sue spalle e le accarezzò un fianco, facendola voltare per annunciarle il suo arrivo.

Un palmo di mano distanziava i loro volti.

“Ti ho fatto aspettare molto?”, chiese con voce roca e tremula.

“No, no tranquillo. Sono appena arrivata anch’io.”, rispose Bella, cercando di aumentare la distanza da quel viso bellissimo.

Gli occhi di Edward erano magnetici.

“Vieni – disse Bella avviandosi verso le scale – ti faccio fare un giro per la tenuta.”

Mostrò a Edward quasi tutti i loro possedimenti. Il loro grande vigneto, dove conobbe Jasper e suo padre, poi gli presentò i suoi zii Esme e Carlisle e sua cugina Alice. Lo accompagnò nel grande uliveto, dove lavoravano in quel momento Charlie ed Emmet, e poi entrambi si persero in amabili chiacchierate sulle loro poesie preferite, godendo della frescura delle grandi piante.

Dopo avergli mostrato la cantina ed il vecchio frantoio, Bella ed Edward si recarono a casa di nonna Isabella.

“Nonna! Nonna! Possiamo entrare?”

“Era tua nonna la persona che volevi presentarmi?”, chiese Edward scrutando l’espressione apparentemente calma e neutra di Bella.

In cuor suo, Bella era molto tesa in quel momento. Sua nonna era la persona che più di chiunque altro stimava e ci teneva particolarmente a conoscere la sua opinione sul nuovo arrivato.

“Sì, è proprio lei! Su, entriamo!”

“Bella, tesoro. Ero un po’ indaffarata di là, stavo per venire ad accogliervi sull’uscio. Tu devi essere Edward. La tua fama ti precede, ragazzo.”

L’incedere tardo e lento, gravato dal peso degli anni, di nonna Isabella stonava con la musicalità della sua voce e l’espressione vivace del suo volto.

Edward si avvicinò a quella signora distinta ed elegante, completamente vestita di nero che muoveva i passi aiutandosi con un bastone e la salutò con un cavalleresco baciamano.

“E’ un vero onore per me fare la sua conoscenza, signora.”

“Il piacere è tutto mio, Edward. Accomodatevi, vi faccio preparare una limonata fresca. Victoria?!”

“Sì donna Isabella, ditemi.”

“Portaci tre bicchieri di limonata fresca, per favore.”

“Subito!”

Intanto la nonna, la nipote e lo straniero si erano accomodati placidamente sulle poltroncine del salotto e discorrevano amabilmente. Bella stava facendo un resoconto molto dettagliato della visita che avevano appena fatto per la tenuta, Edward aggiungeva i particolari che sfuggivano al racconto della fanciulla, e la nonna si limitava ad annuire studiando con occhio clinico gli sguardi che si lanciavano i due ragazzi.

I loro volti si illuminavano quando gli occhi dell’uno intercettavano la scia luminosa di quelli dell’altra. Erano così belli.

“Edward, vedo che indossi gli abiti di mio nipote Emmet!”, fece notare la nonna sorridendo.

“Sì, sono un po’ grandi per me in effetti … ma va benissimo così.”

“Oh, Edward, vedi i vestiti sono come la famiglia: bisogna viverci dentro un po' prima di sentirceli bene.”

La nonna era una persona molto saggia, ma in quel momento probabilmente nessuno dei due ragazzi colse tutta l’essenza della frase di nonna Isabella.

Quando il sole stava quasi per raggiungere la massima altezza sull’orizzonte e da lontano iniziava a sentirsi il canto dei contadini che si apprestavano a rincasare per il pranzo, i giovani salutarono la nonna promettendo di tornare a farle presto visita.

 

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Capitolo 5
*** CAPITOLO V ***


Salve a tutti! Come va? Spero tutto bene :)

Ecco a voi il nuovo capitolo di questa storia ... è lunghetto ;) Buona lettura!

Aspetto di conoscere la vostra opinione!

Grazie a tutte le persone che hanno aggiunto questa storia tra le seguite, le preferite e quelle da ricordare. Un grazie molto speciale a coloro che hanno recensito lo scorso capitolo.

 

PUBBLICITA'!

Ricordo come sempre l'altra storia che sto pubblicando sempre in questa categoria : I WANT TO KNOW WHAT LOVE IS . Passate, se vi va!

 

 

CAPITOLO QUINTO

 

Le malelingue che, viscide e velenose come serpenti, si erano diffuse, non appena in paese era giunta voce che uno straniero, disperso nel campo di grano della tenuta Swan, era stato accolto alla grande masseria, erano ormai solo un lontano ricordo.

Come il fumo che esala da un fuoco spento dalla pioggia, così le dicerie e le fantasie della gente del paese andavano scemando, fino ad allontanarsi dalla masseria per cercare un nuovo argomento di cui spettegolare alla sera, con le sedie posizionate sugli usci delle porte, a cercare un po’ di sollievo dalla calura afosa di giugno.

Più di un mese era trascorso da quel giorno nell’immenso campo, eppure sembrava che fossero passati anni.

Edward si era integrato molto bene all’interno di quella grande famiglia allargata che viveva alla masseria, da sempre incurante delle gerarchie dell’epoca e portavoce del nobile ideale dell’uguaglianza.

Era diventato indispensabile, una figura che completava il quadro maestoso della grande casa bianca.

Aveva imparato da Emmet e Jasper tutto quello che c’era da sapere riguardo alla cura del vigneto e dell’uliveto. Conosceva tutti i segreti di quelle piante secolari, ed era diventato molto abile nella potatura delle foglie di vite.

Aveva conquistato il cuore di tutti alla grande masseria, in particolare quello della giovane Bella.

La fanciulla e lo straniero, venuto da lontano, trascorrevano molto tempo insieme, leggendo romanzi sotto la grande palma godendo della saggia compagnia di nonna Isabella che vedeva crescere il più puro dei sentimenti tra i due giovani. Oppure erano soliti fare lunghe passeggiate nell’immenso uliveto, recitando versi in francese o in inglese, o semplicemente godendo reciprocamente del loro silenzioso respiro.

Sembrava fosse nato per condurre quella vita campestre, così lontana dalla sua precedente vita.

 

Ogni tanto ci pensava.

Ogni giorno il senso di colpa lo attanagliava.

Sapeva che i suoi sentimenti verso quella gente così buona e cordiale fossero sinceri e puri, ma era anche consapevole di indossare una maschera, che giorno per giorno diventava un fardello sempre più pesante da sopportare.

Le uniche persone con cui non aveva legato molto, e che anzi, cercava di evitare caldamente, erano i Black.

 

Jacob Black era un ragazzo tanto forzuto quanto odioso. Molto robusto e dalla carnagione scura, aveva un cipiglio arrogante e prepotente, due qualità che lo rendevano inviso agli occhi di molti.

Faceva la corte a Bella da tempo, probabilmente nessuno ricordava più da quanto, e le scenette tragicomiche che li vedevano attori sul palcoscenico del cortile della masseria erano impresse nella memoria degli abitanti della grande casa.

Bella rifiutava categoricamente la sua corte, dapprima aveva cercato di usare tutta la calma e la gentilezza di cui era dotata, ma notando la continua e fastidiosa insistenza di quello che credeva una volta il suo migliore amico, aveva iniziato a tirare fuori la grinta e … la lingua.

Battibeccavano aspramente, Bella aveva sempre pronta una risposta pungente e a lui non andava giù. Non gli piaceva perdere. Soprattutto se chi usciva vincitore dallo scontro era una ragazza.

Notando la grande simpatia – e forse qualcosa di più di una semplice simpatia - che Bella nutriva per Edward, ed i modi gentili e le belle parole che gli riservava, covava un forte astio per quello straniero, che dall’America era giunto fin lì per sottrargli il suo premio. O quello che lui, per qualche assurda ragione, credeva suo.

Il suo odio e la sua malignità avevano mostrato ai suoi occhi un Edward diverso da quello che si era presentato lì alla masseria. Aveva intuito da subito che Edward non avesse raccontato tutta la sua storia, anzi era sicuro che dietro quel viso angelico celasse qualcosa, un segreto importante.

Il suo carattere insolente raggiungeva la massima espressione di cattiveria in presenza del suo rivale. Non perdeva mai occasione per schernirlo o indispettirlo. E la non curanza, che Edward gli riservava, non faceva altro che alimentare i suoi nervi, tesi come le corde di un violino.

 

Charlie ed Emmet Swan, che invece avevano preso in simpatia quel ragazzo americano, così educato e gentile, nonché un gran lavoratore, facevano di tutto per evitare che i due si incontrassero e, nutrendo poca simpatia per Jacob, gli avevano affidato il compito di andare al mercato a vendere gli ortaggi o di portare i rifornimenti richiesti alla caserma militare che si era stabilita a Brindisi, in modo da allontanarlo per tutto il giorno dalla masseria.

 

Durante una tranquilla notte di luna piena, non riuscendo a prendere sonno, Edward decise di andare a fare una passeggiata sulla collina antistante la grande masseria.

 

 

La sua America era lontana, dall’altra parte della Luna, pensò, mentre la luce argentea dei raggi lunari si rifletteva sui bei lineamenti del suo viso.

I volti dei suoi genitori, trasfigurati dal dolore invasero la sua mente e calde lacrime iniziarono a rigargli il volto.

 

Quella notte anche qualcun altro alla masseria non riusciva a prendere sonno.

Rigirandosi per l’ennesima volta tra le lenzuola, fresche di bucato, da cui esalava una delicata fragranza di Marsiglia e citronella, decise di alzarsi dal letto.

Bella sgattaiolò silenziosamente fuori dalla sua stanza, ed indossata una comoda vestaglietta blu, scese in cortile.

Osservò la luna, che alta nel cielo dominava tutte le creature del firmamento, disegnando con la sua luce strane figure sulla parete candida del suo palazzo, e decise di andare ad ammirarla dal punto più alto della tenuta, in cima alla collinetta.

 

Alcuni l’avrebbero definita telepatia, altri pura e semplice coincidenza …

 

Guidata da una forza interiore, a cui ancora non era in grado di dare un nome, la giovane vide una sagoma familiare, perfettamente incastrata in quel sublime paesaggio notturno, e spinta solamente dal suo istinto si avvicinò a lui.

Fece scivolare una mano lungo il suo braccio per attirare la sua attenzione.

Non avrebbe mai immaginato di vedere quelle lacrime prendere vita dai suoi smeraldi intrisi di dolore, solcare il suo bellissimo viso ed infrangersi, come le onde di un mare in tempesta sugli scogli, sulle sue labbra schiuse.

Edward tentò di scacciare via quelle lacrime, che avevano il sapore aspro del dolore e quello amaro del rimorso, e sorpreso di trovare Bella accanto a sé in quel momento, prese la sua piccola mano nella sua e la strinse.

Un gesto tanto semplice, quanto carico di affetto. Bella ricambiò la stretta, come per confermare la sua presenza e la sua partecipazione, discreta e silenziosa, a quel momento di dolore.

Si guardarono negli occhi, senza parlare, per un tempo, che ad entrambi, sembrò infinito. Analizzavano i loro volti, rischiarati dalla pallida luce della luna, perdendosi nei dettagli dei giochi di luce sulla loro pelle.

“Cosa ci facevi qui?”, domandò Bella.

“Potrei porti la stessa domanda”, rispose Edward ritrovando una certa ilarità.

Bella sorrise. Le sue labbra scarlatte, i denti eburnei, la carnagione simile alla porcellana più fine, brillavano, colpiti dalla luce argentata della Luna, e agli occhi di Edward sembrava che quella creatura così delicata vivesse di luce propria.

Edward non aveva mai visto niente di più bello in vita sua. In quel momento tutti i pensieri tristi, che fino a qualche momento prima avevano turbato il suo animo, scomparvero.

E come le gocce d’acqua rimaste in sospeso dopo un temporale, attraversate dai raggi di Sole, danno vita al più bello spettro di colori della natura che prende il nome di arcobaleno, così le ferite pulsanti del suo animo e le lacrime versate, colme di un antico dolore, rischiarate dalla luce emanata da quel sorriso lunare, lasciarono posto ad una rinnovata tranquillità.

Bella accarezzò la guancia di Edward, dove si scorgeva ancora la scia umida e molle di una lacrima birichina, e con un movimento dolce e lento, portò via con le sue dita la parte più evidente di quella sofferenza a lei ignota.

Avrebbe voluto chiedergli il motivo per cui stesse piangendo. Non aveva mai visto un uomo piangere, e vedere la sofferenza trasfigurare quel volto bellissimo, a lei tanto caro, le aveva provocato una morsa di dolore.

“Non riuscivo a dormire, così ho deciso di fare quattro passi.”, rispose Edward continuando ad ammirare quella creatura angelica che si trovava a pochi palmi da sé.

“Neanche io riuscivo a prendere sonno stasera. Abbiamo avuto la stessa idea a quanto pare”, disse Bella sorridendo, lusingata dallo sguardo ammaliato di Edward.

“La luna questa notte offre uno spettacolo meraviglioso, non credi Edward?”

“Oh sì, uno spettacolo davvero sublime.”

“E’ bellissima”

“Mai quanto te, Bella”.

Quelle parole erano così sincere e pure che Edward arrossì, pronunciandole, quasi avesse paura di risultare sfrontato, dando forma ai pensieri ed alle sensazioni che provava in presenza di Bella.

Da quando Edward era arrivato alla tenuta, Bella aveva iniziato ad abituarsi a ricevere complimenti galanti e dall’antico tono cavalleresco di quel ragazzo così affascinante.

Eppure, ogni volta era lusingata e commossa dalle parole dolcissime che pronunciava per lei, o dai versi dei poeti che quotidianamente le dedicava.

Era diventato una sorta di gioco, intrigante e misterioso.

Edward dedicava a Bella alcuni versi e lei, prontamente, rispondeva a lui con altri.

Rapsodi di se stessi ed inconsapevoli dei rischi che, malevoli come le iene, si insinuavano dietro le quinte di quelle contese letterarie, continuavano quella sensuale ed intrigante competizione, in cui, a suon di rima e versi, non vi era mai la proclamazione di un aedo vincitore.

Incoscienti ed incuranti, piacevolmente colpiti dalle nuove sensazioni che entrambi provavano, l’uno per l’altra, ingenui come due bambini e passionali come due amanti, continuavano a dare adito a quel gioco malandrino.

“Quanti poeti, stregati dal suo fascino, hanno composto i versi più belli in onore della Luna! E’ così bella e maestosa”, dichiarò Bella, contemplando quello spettacolo meraviglioso offerto da Madre Natura, mentre la fresca brezza estiva rapiva la sua dolce fragranza, offrendola con riverenza ed umiltà alle narici dello straniero.

Talco e lavanda. L’odore di Bella era innocente e sensuale, proprio come lei. Beandosi di quella fragranza che rinvigorì i suoi sensi e pago della visione che quella notte insonne gli aveva offerto, Edward prese la mano candida e morbida di Bella e la portò alle sue labbra.

“Dolce Bella, non sono un poeta, né un filosofo. Non un naturalista, né maestro d’armi e rime, ma concedi a questo povero viaggiatore ascensionista, un po’ istrione e musicista, di ammirare e decantare l’unica vera meraviglia, che questa sera, su questo sfondo sublime regna. Tu, deliziosa fanciulla, che ti mostri davanti a questi occhi che prima d’ora non conoscevano la bellezza, sei uno spettacolo di gran lunga superiore a quello della Luna. Non me ne voglia Artemide, ma la dea Afrodite sembra sia discesa dall’Olimpo per prendere forma tra le tue vesti.”

Una lacrima solitaria, espressione di gioia e di felicità, illuminò gli occhi color nocciola di Bella, e disegnò, con la precisione di un artista, la curva morbida della sua guancia.

Edward catturò, con un gesto rapido come un battito di ciglia, quella gocciolina salata, tra le sue labbra, depositando, poi un bacio, altrettanto salato, sulla guancia, ancora umida, di Bella.

Poi le circondò la vita con le sue braccia, facendole posare il capo profumato sul suo petto, e giunse le sue mani sul ventre della fanciulla, che, per nulla intimorita da quel gesto così audace, posò le sue mani su quelle di Edward.

Entrambi guardavano verso la Luna, che galeotta, osservava sorridente i due ragazzi, unica tacita testimone del loro idillio di una fresca notte d’estate.

Il giovane, con il cuore gonfio di gioia, che martellava nel petto al ritmo del battito delle ali di un colibrì, avvicinò le sue labbra all’orecchio di Bella e riportando alla mente i versi del poeta, iniziò a sussurrare :

 

“Ce soir, la lune rêve avec plus de paresse;
Ainsi qu'une beauté, sur de nombreux coussins,
Qui d'une main distraite et légère caresse
Avant de s'endormir le contour de ses seins,

Sur le dos satiné des molles avalanches,
Mourante, elle se livre aux longues pâmoisons,
Et promène ses yeux sur les visions blanches
Qui montent dans l'azur comme des floraisons.”

 

Edward strinse maggiormente la sua presa sulla vita della fanciulla. E per rendere quel momento ancora più indimenticabile, calandosi totalmente nella parte del menestrello che inneggia i versi più belli alla sua Musa, liberò un braccio da quello stretto groviglio, e lo posizionò un po’ più in alto, sotto il seno di Bella ed accarezzandole con dolcezza l’addome, provocò un brivido ad entrambi, e caldi sospiri si mescolarono all’aria molle e fresca di Giugno.

 

“Quand parfois sur ce globe, en sa langueur oisive,
Elle laisse filer une larme furtive,
Un poète pieux, ennemi du sommeil,

Dans le creux de sa main prend cette larme pâle,
Aux reflets irisés comme un fragment d'opale,
Et la met dans son coeur loin des yeux du soleil.”

 

Ad ogni parola, ancora più calda e roca, Bella fremeva tra le forti braccia di Edward, ed una forte ondata di piacere invase le sue membra, che l’accolsero come le onde del mare, che mosse dal vento si infrangono sugli scogli, ritrovano pace, ritornando sotto forma di miriadi di gocce, nel mare immenso.

La punta del naso di Edward, resa fredda dal vento che soffiava, accarezzò il lobo dell’orecchio di Bella e percorse il suo collo profumato, dove poi depositò un bacio.

 

 

 

Sdraiata nel suo letto, accaldata ed emozionata come non mai, Bella si addormentò, alle timide luci dell’alba, cullata dai suoni della vita che si destava ai primi raggi del sole, pronta ad accogliere un nuovo giorno.

Rievocando nella sua mente i versi di una poetessa vissuta in un’epoca lontana, colse, felice, tutta l’essenza di quelle fragili parole, di cui prima non comprendeva a pieno il senso, e si affidò alle braccia di Morfeo.

 

"Tramontata è la luna
e le Pleiadi a mezzo della notte;
anche giovinezza già dilegua,
e ora nel mio letto resto sola.

Scuote l’anima mia Eros,
come vento sul monte
che irrompe entro le querce;
e scioglie le membra e le agita,
dolce amara indomabile belva.

Ma a me non ape, non miele;
e soffro e desidero."


[Saffo, fr. 168B V., traduzione di Salvatore Quasimodo]

 

 

ANGOLO DELL'AUTRICE.

Allora, piaciuto?! Quale sarà questo segreto così doloroso da far versare lacrime al nostro povero Edward?! Aspetto le vostre congetture!

Anche in questo capitolo c'è un'altra delle mie poesie preferite scritte dalla somma penna del mio poeta preferito ... (Non si era capito, eh?! XD)

Bando alle ciance, ho preferito, anche questa volta, inserire il testo in lingua originale nella storia ... Credo sia molto più romantica e sensuale letta in francese ...

E poi immaginate di essere al posto di Bella, stretta ad un ragazzo meraviglioso, che in una notte di luna piena vi sussurra versi in francese, la lingua dell'amore ...

Beata lei!

 

Di seguito troverete il testo con la traduzione.

 

Tristesse de la lune

Charles Baudelaire

(Da: «Les fleurs du mal»)

Ce soir, la lune rêve avec plus de paresse;
Ainsi qu'une beauté, sur de nombreux coussins,
Qui d'une main distraite et légère caresse
Avant de s'endormir le contour de ses seins,
Sur le dos satiné des molles avalanches,
Mourante, elle se livre aux longues pâmoisons,
Et promène ses yeux sur les visions blanches
Qui montent dans l'azur comme des floraisons.
Quand parfois sur ce globe, en sa langueur oisive,
Elle laisse filer une larme furtive,
Un poète pieux, ennemi du sommeil,
Dans le creux de sa main prend cette larme pâle,
Aux reflets irisés comme un fragment d'opale,
Et la met dans son coeur loin des yeux du soleil

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Tristezza della luna

Charles Baudelaire

(Da: «I fiori del male»)

Questa sera la luna sogna più languidamente; come una
bella donna che su tanti cuscini con mano distratta e leggera
prima d'addormirsi carezza il contorno dei seni,
e sul dorso lucido di molli valanghe morente, si abbandona
a lunghi smarrimenti, girando gli occhi sulle visioni
bianche che salgono nell'azzurro come fiori in boccio.

Quando, nel suo languore ozioso, ella lascia cadere su questa
terra una lagrima furtiva, un pio poeta, odiatore del sonno,

accoglie nel cavo della mano questa pallida lagrima
dai riflessi iridati come un frammento d'opale, e la nasconde
nel suo cuore agli sguardi del sole

****

Per quel che riguarda l'altra meravigliosa poesia, bè, permettetemi di spendere anche qui due paroline ... sono dovute. E' incredibile come una ragazza vissuta nel VI secolo a. C., quindi più di duemila anni prima di noi, riesca ad esprimere perfettamente le sensazioni che, sicuramente, tutte noi, almeno una volta nella vita, abbiamo provato.

L'impetuosità dell'Eros, destabilizzante, che scuote, irrompe, scioglie ed agita, il fisico e la mente. Il desiderio forte, quasi incontenibile, che, inappagato, genera un forte senso di vuoto e solitudine.

E' così che si sente Bella, dopo aver provato tutta quella carica di sensuale emotività, resta sola nel suo letto alle prime luci dell'alba : "Ma a me non ape, non miele; e soffro e desidero", ed è così, che un pò tutte noi, almeno una volta, ci siamo sentite.

"Tramontata è la luna
e le Pleiadi a mezzo della notte;
anche giovinezza già dilegua,
e ora nel mio letto resto sola.

Scuote l’anima mia Eros,
come vento sul monte
che irrompe entro le querce;
e scioglie le membra e le agita,
dolce amara indomabile belva.

Ma a me non ape, non miele;
e soffro e desidero."

 


[Saffo, fr. 168B V., traduzione di Salvatore Quasimodo]

 

 

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Capitolo 6
*** CAPITOLO VI ***


Salve a tutti! Come va? Spero tutto bene :)

Lo so che sono abbastanza in ritardo nella pubblicazione, ma sono stata molto impegnata! Perdonatemi!

Spero che continuerete comunque a seguirmi!

Grazie a tutte le persone che hanno aggiunto questa storia tra le seguite, le preferite e quelle da ricordare. Un grazie molto speciale a coloro che hanno recensito lo scorso capitolo.

Vi lascio al capitolo, buona lettura!

 

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Ricordo come sempre l'altra storia che sto pubblicando sempre in questa categoria : I WANT TO KNOW WHAT LOVE IS . Passate, se vi va!

 

 

CAPITOLO SESTO

 

 

Era il 20 giugno del 1944. Il giorno in cui Edward compiva 19 anni.

Dopo aver terminato il suo lavoro per quel giorno e dopo aver goduto di un bel bagno ristoratore, si era recato, al tramonto, nel campo di grano, ormai orfano delle spighe rigogliose, lì dove tutto era cominciato, per godere degli ultimi raggi di sole sulla linea dell’orizzonte, che delicati si posavano sul suo viso.

Chissà come avrebbe festeggiato il suo compleanno se fosse stato a Chicago, a casa sua, circondato dai suoi cari. Probabilmente sua madre Elisabeth avrebbe preparato una torta di mele, il suo dolce preferito, ed avrebbe cucinato tutto il giorno per la solita cena con i suoi amici.

Ma quel giorno, il 20 giugno 1944, era lontano mille miglia da casa sua, dal clima freddo e ostile di Chicago, dal calore della sua famiglia.

Si guardò intorno e non vedendo nessuno nei dintorni, tirò fuori dalla tasca una foglie di vite ed un pacchetto di cerini. Stese la foglia sulla sua mano e la riempì di fieno e malva. Le uniche erbe che aveva a disposizione in quel momento. Non aveva tabacco con sé e non aveva avuto il coraggio di chiederne un po’ ad Emmet.

Arrotolò la foglia con il suo contenuto all’interno ed accese un’estremità di quella strana sigaretta naturale.

Aspirò una boccata di quel fumo profumato. Non era niente male.

Certo, gli mancavano le sue Lucky Strike, ma sempre meglio di niente …

 

Ad un tratto sentì dei passi leggeri. Immaginava già chi potesse essere, il suo cuore aveva imparato a distinguere il rumore dei passi, il ritmo del respiro e il profumo delicato della persona che proprio in quell’istante si era seduta accanto a lui.

“Bella”, pronunciò il suo nome voltandosi e specchiandosi nei suoi occhi meravigliosi.

“Che ci fai qui tutto solo? Ti aspettavo sotto il portico stasera … quando Emmet mi ha risposto di non sapere dove fossi, per un attimo, ho avuto paura che fossi andato via.”, pronunciò le ultime parole con aria triste, abbassando lo sguardo.

“Hey, secondo te avrei mai potuto fare una cosa del genere? Senza salutarti per giunta?”, cercò di far nascere su quel bellissimo volto il sorriso che amava tanto e che illuminava le sue giornate più buie, quando si perdeva nel vortice del senso di colpa e dei suoi mesti pensieri.

“Come sapevi dove trovarmi?”, chiese curioso.

“Immaginavo che tu fossi qui. Io vengo sempre qui quando voglio pensare e stare da sola.”

Edward le sorrise e le prese una mano. Quella confessione gli aveva scaldato il cuore. Erano così simili …

“Oggi sei stato molto silenzioso e pensieroso … sembrava che fossi altrove con la mente. Dove sei Edward?”, chiese curiosa.

“Sono qui. Sono qui accanto a te, Bella. Dove potrei essere se non accanto a te?”. Quelle parole erano state dettate dalla assoluta sincerità del suo cuore.

Lusingata e piacevolmente orgogliosa di quella risposta, Bella arrossì e strinse più forte la mano di Edward.

“Cosa stai fumando?”, domandò notando la strana sigaretta che giaceva pigra tra le dita di Edward.

“Vuoi provare?”, chiese Edward ammiccando.

Bella non aveva mai fumato in vita sua. Detestava l’odore del tabacco sui vestiti di suo padre e di suo fratello, ma in quel momento, vedendo le labbra di Edward chiudersi su quel filtro arrangiato di foglie di vite, una strana curiosità si impossessò di lei.

Voleva sentire il sapore di Edward, voleva posare le sue labbra lì dove Edward aveva posato le sue.

“Sì, fammi provare.”

“Non è tabacco comunque, puoi stare tranquilla. E’ solo un po’ di malva e fieno. E’ molto dolce. Sai come si fa?”

Bella scosse il capo.

Edward si avvicinò ancora di più a Bella, avvolse le spalle della fanciulla con il suo braccio destro ed avvicinò la mano con la sigaretta tra le dita alle labbra di Bella.

“Devi cercare di aspirare il fumo con la bocca, come se stessi prendendo una boccata d’aria. Tienilo un po’ in bocca, attenta a non farlo arrivare in gola, altrimenti potresti tossire. Poi lo butti fuori. Sei pronta?”

Bella era eccitatissima. Annuì con il capo, godendo della stretta vicinanza di Edward. Non aveva ancora avuto il coraggio di ammetterlo, ma quel ragazzo le stregava l’animo giorno dopo giorno.

Con il cuore che batteva così forte da sentirlo in gola, avvicinò le sue labbra alla sigaretta e le posò nel punto esatto dove prima c’erano quelle di Edward.

Sentì un sapore dolciastro e umido sulla punta delle labbra, suppose si trattasse del sapore di Edward.

Aveva davvero un buon sapore.

Seguì tutte le istruzioni alla lettera. Il fumo caldo e dolcemente acre invase la sua bocca, quando sentì che stava per arrivare in gola, fece come le aveva detto Edward e lo mandò fuori in un soffio.

Edward, affascinato dalla grazia e dalla sensualità di quel gesto, geloso di quella sigaretta che aveva avuto l’onore di avere un contatto così intimo con le labbra di Bella, avvertì una strana sensazione, che non provava da ormai molto tempo.

Avvertì tutto il vigore e la potenza dei suoi 19 anni.

Si sentì uomo.

“Brava Bella, sei stata davvero brava. Allora? Ti è piaciuto?”

Bella che in quel momento avrebbe voluto chiedergli a cosa si riferisse, se al fumo o al suo sapore, evitando di sembrare troppo sfrontata, si limitò a sorridere.

I ragazzi, persi l’uno negli occhi dell’altra, non si erano accorti di avere uno spettatore, fino a che non sentirono un applauso.

 

 

 

 

“Ma brava Bella, complimenti. E così, oltre a trascorrere tanto tempo con lui e combinare chissà cosa, hai anche iniziato a fumare. Tuo padre sarà felicissimo della notizia.”

“Jacob! Maledetto! Non osare! Credi davvero che mio padre crederebbe ad un bugiardo invidioso come te?”, urlò Bella rimettendosi in piedi ed avvicinandosi con aria minacciosa verso la figura malevola di Jacob.

“Cooosa? Brutta ragazzina viziata, ora ti faccio vedere io!”

Stringendo forte il braccio di Bella cercò di attirarla a sé.

“Lasciami! Lasciami! Mi stai facendo male!!”

“Ah, io ti faccio male! Non ti piace se ti faccio male, eh? Ti piace solo quello che ti fa lui!”

Urlò a sua volta Jacob stringendo ancora di più la presa sul candido braccio di Bella e scatenando l’ira di Edward.

“Non ti permettere! Non sei degno di nominarlo, brutto farabutto!”, in tutta risposta Jacob cercò di avvicinare le sue luride labbra a quelle di Bella, ma un destro degno della precisione di un pugile professionista lo colpì in pieno viso, ed un rivolo di sangue iniziò a disegnare la linea che dalle labbra arriva al mento.

“Bella, ti ha fatto male?”, domandò apprensivo Edward, strofinando energicamente l’avambraccio di Bella, cercando di procurarle un po’ di sollievo.

“No, no sto bene. Grazie!”, e si gettò tra le sue braccia respirando forte il suo profumo di uomo.

Nel frattempo, Jacob si era rialzato e si stava avvicinando ai due giovani, ancora stretti nel loro tenero abbraccio. Ma Edward, accorto e previdente, aveva allontanato Bella appena in tempo.

Come due gabbiani che si contendono la preda, immergendo il capo in acqua e riemergendo in superficie, seguendo il ritmo cadenzato della natura, cercano di dar prova della propria forza e combattono strenuamente per il loro premio, così Edward e Jacob si battevano per conquistare la giovane Bella.

Jacob colpì Edward in viso causandogli una ferita sull’arcata sopraccigliare ed una sul naso. Invano Bella urlava, invocando un soccorso, che sapeva, non sarebbe arrivato.

Ma come accade spesso nella natura, non è la dimostrazione della forza del predatore a decretare il vincitore, bensì la preda che sceglie di affidarsi al migliore dei suoi predatori. E così accadde anche in questo caso.

Edward si riprese e con un colpo sordo ben assestato al ventre di Jake riuscì a liberarsi e a scappare con Bella.

 

Mano nella mano corsero verso il fiume. Giunti in riva, stanchi e spaventati si fermarono e si guardarono alle spalle. Per fortuna, erano soli.

“Fammi … fammi vedere cosa ti ha fatto quell’energumeno!”

“Non, non è null …. AHI!”

Bella stava testando la gravità delle ferite di Edward, non sembravano molto profonde. Gli accarezzò il volto, cercando di alleviare un po’ il suo dolore e di trasmettergli tutta la sua gratitudine.

Strappò dall’orlo del suo vestito una striscia abbastanza lunga di stoffa che immerse nell’acqua del fiume. Pulì con cura e perizia il sangue che a contatto con l’aria era diventato più scuro ed aveva invaso buona parte del viso di Edward.

“Come ti senti? Ti fa molto male? Appena torniamo a casa di farò dare un’occhiata da zio Carlisle.”

“Va bene, ora va molto meglio. Non mi ha fatto molto male, almeno non quanto credo di averne fatto io a lui!”

“Già”, rispose Bella pensierosa.

“Hey, cosa c’è?”, chiese Edward preoccupato.

“No, nulla. Pensavo. Pensavo a quello che sarebbe potuto succedere se non ci fossi stato tu. Pensavo a quanto la mia vita sia cambiata ora che ci sei tu …”, pronunciò le ultime parole fissando i suoi occhi color nocciola in quegli splendidi smeraldi.

“Bella …”, sospirò lui.

Era completamente in balia di quella fanciulla.

“Sai perché oggi mi ero rifugiato lì, nel campo di grano?”

Bella scosse il capo, senza mai lasciare gli occhi di Edward.

“Una delle poche cose che ricordo sono le date più rilevanti della mia vita. E oggi è una ricorrenza abbastanza importante. E’ il mio compleanno, Bella.”

Bella in quel momento avrebbe voluto chiedergli tante cose. Erano tanti i punti interrogativi che albergavano nella sua mente; ma niente era più importante di quello che stava per accadere.

I visi dei ragazzi erano a pochi centimetri l’uno dall’altra.

Bella azzerò quella distanza tanto infima quanto inutile, assaporando finalmente il gusto di un bacio atteso e desiderato da tanto, e saziando la sete di conoscenza reciproca dei loro sapori.

Con il fiato corto e le labbra ancora intrappolate tra quelle di Edward, Bella sussurrò : “Buon compleanno, Edward!”.

E in quel momento, la nostalgia di casa, la voglia di solitudine, la ricerca di uno spazio per pensare non ebbero più alcun senso per Edward.

Quello era davvero un bel modo per festeggiare i suoi 19 anni, pensò.

 

 

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Capitolo 7
*** CAPITOLO VII ***


Buon pomeriggio a tutti! Siamo già arrivati al settimo capitolo ... mammasaura!! Allora, è un capitolo importante ... e ne precede uno ancora più importante! Il prossimo sarà davvero fondamentale ai fini della storia ...quindi stay tuned! Grazie a tutti coloro che leggono e seguono questa storia. Grazie a chi l'ha aggiunta tra le storie preferite e tra quelle da ricordare.

 

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CAPITOLO SETTIMO

 

Sin dalla notte dei tempi il cambio di direzione che il Sole compie nella notte tra il 21 ed il 22 giugno, che fu poi definito dagli uomini di scienza come Solstizio d’estate, era visto come un momento particolare e magico.

La notte di San Giovanni dava il benvenuto alla nuova stagione, fertile e luminosa, per questo si era soliti, a quei tempi, in quei luoghi, festeggiare e compiere alcuni riti propiziatori come la raccolta delle erbe nuove, l’accensione del falò con le erbe dell’anno precedente e la raccolta delle noci ancora immature per preparare il gustoso nocino.

 

Il giorno della festa di San Giovanni era sempre stato un giorno speciale per gli abitanti di Campi e particolarmente sentito dalle persone che vivevano nella grande masseria Swan.

In paese raccontavano che fu proprio San Giovanni a portar fortuna a Carletto il Pezzente. Pare che durante i festeggiamenti della notte di San Giovanni di molte estati fa, il buon Carletto, preda del nettare apollineo, si addormentò su un mazzetto di erbe nuove, raccolte proprio in occasione della festa. Gli apparve in sogno San Giovanni che gli indicò la strada per far fortuna.

Il mattino seguente partì alla volta del nuovo continente per cercare di fare avverare la predizione.

Il resto della storia, ormai, era nota a tutti.

E qualcuno, come si era soliti fare nelle piccole contrade, amava ancora inventare e tessere leggende sui discendenti del buon Carlo.

 

Fra leggende, falsi miti, e semine la vita alla masseria continuava a scorrere pigra e tranquilla. Come ogni anno, per rendere omaggio a san Giovanni e per accogliere la nuova estate, c’era aria di festa nella grande casa bianca.

Le fanciulle avevano cucito gli abiti nuovi da indossare e si erano incipriate per bene le guance.

La cara nonna Isabella preparava le erbe vecchie da bruciare nel grande falò e gli uomini scommettevano su chi quell’anno sarebbe riuscito a vincere il tanto agognato “Palo della cuccagna”.

 

 

“Nonna, nonna!!! Come mi sta il vestito?”, Isabella fece un giro su se stessa di fronte alla nonna. Ad accompagnare i suoi movimenti armoniosi ed aggraziati le mille pieghe del vestito blu che indossava.

“Tesoro, sei bellissima. Vieni qui, avvicinati”.

Senza esitazioni, la giovane si avvicinò alla nonna seduta sotto il portico.

“Abbassa la testa”, Bella obbedì ancora una volta agli ordini di sua nonna.

“Ecco fatto!”, esclamò dopo aver sistemato sui capelli finemente intrecciati di sua nipote la cosa più preziosa che possedeva.

Un fermacapelli d’argento con pietre preziose a forma di rose del blu più intenso, con al centro il fiore più elegante che Bella avesse mai visto, di cui non conosceva il nome, faceva bella mostra di sé sul capo della fanciulla.

“Questo fermacapelli me lo regalò tuo nonno come pegno d’amore. Come ben sai, mio padre non voleva che sposassi un americano. Ma tuo nonno mi promise che mi avrebbe sposato ad ogni costo, anche contro la volontà di mio padre, e per dimostrarmelo, mi regalò questo fermacapelli come pegno del suo amore. Sai che cosa rappresenta quel fiore rosa incastonato lì su? E’ una curcuma, simbolo di fortuna e prosperità. La notte di San Giovanni è una notte magica. E’ la notte in cui tutti i desideri si realizzano, bambina mia. E so, lo leggo nei tuoi occhi, che nel tuo cuore c’è qualcosa che desideri più di ogni altra e che ti renderà molto felice. Ti auguro di realizzare tutti i tuoi sogni, tesoro.”

C’è un vecchio detto che dice “San Giovanni non vuole inganni”.

E la nonna Isabella lo sapeva bene. Oltre al fermacapelli, il suo Emmet, le aveva lasciato, proprio durante la notte di San Giovanni, un altro pegno d’amore, molto più potente di un fermacapelli. Un pegno che, nove mesi dopo, prese il nome americano di suo nonno, Charlie.

La nonna conosceva la giovane Bella meglio di chiunque altro e sentiva che quella notte sarebbe stata magica per lei, proprio come era accaduto a lei tanti anni prima, in una terra lontana, sotto un cielo limpido e sereno.

“Grazie nonna! Ti voglio bene, è il regalo più prezioso e bello che potessi farmi!”

“Figurati tesoro, promettimi solo una cosa”

“Tutto quello che vuoi, nonna.”

“Sii felice. Fa’ di tutto per essere felice, combatti per quello che credi e non arrenderti mai.”

“Te lo prometto nonna”

E la nonna sapeva che sua nipote avrebbe mantenuto la promessa. I suoi occhi erano limpidi e sinceri.

 

 

“Allora Edward, è tutto chiaro? Devi cercare di arrivare in cima al palo per primo, senza cadere o toccare terra con i piedi. Attenzione a chi cercherà di tirarti i piedi ... Se ci riesci il prosciutto sarà tuo ed inoltre potrai chiedere alla ragazza che più ti piace di essere la tua dama per tutta la sera ed insieme aprirete le danze. Lei non potrà rifiutare … sia chiaro … tutte tranne Alice!!!”

Edward rise sonoramente.

“Va bene, va bene Jasper. Puoi stare tranquillo, non ho nessuna intenzione di invitare Alice a ballare! E poi non è detto che io arrivi per primo …”

Ed invece, Edward sapeva che aveva molte più probabilità di quei ragazzi, con cui in breve tempo aveva instaurato una bella amicizia, di arrivare per primo in cima al palo. I suoi muscoli erano ben torniti ed allenati, ed il lavoro lì alla masseria aveva temprato ancora di più la sua forza e la sua agilità.

 

Le lingue di fuoco del falò, profumate per via dell’artemisia che bruciava, scoppiettavano accompagnando il suono delle voci dei presenti.

Le fanciulle erano tutte in fila ed aspettavano solo che Charlie desse il via ai giochi.

Emmet fu il primo a cadere dal palo, atterrando sonoramente sul terreno asciutto e provocando risa ed ilarità tra i presenti.

Subito dopo anche Jasper andò a fare compagnia ad Emmet.

Erano rimasti soltanto Edward e Jacob. L’agilità e la forza del primo e la statura massiccia dell’altro sembravano andare di pari passo.

Jacob, memore di quello che era già accaduto con Edward, e fortemente adirato per via della sua sconfitta, cercava in tutti i modi di far scivolare Edward.

Senza riuscirci.

Sembrava che Edward non avesse fatto altro nella sua vita che arrampicarsi su pali alti e scivolosi.

Terribilmente aggraziato ed attento, con un movimento fluido e deciso, assestò un calcio a Jacob che cadde rovinosamente per terra e percorse gli ultimi centimetri che lo separavano dalla cima del palo afferrando il fiocco rosso ed il prosciutto.

Quello che interessava al giovane, ovviamente, non era il prosciutto.

 

Jacob, umiliato e deriso, si allontanò dalla festa insieme a suo padre.

Nessuno li vide fino al mattino seguente.

 

Appena scese dal palo, Edward fu accolto da grida di gioia e giubilo. Velocemente le donne lo fecero entrare in una stanza per potersi cambiare i vestiti sporchi di grasso.

Quando ritornò nel cortile trovò tutte le ragazze in fila, mentre i musicisti intonavano una melodia allegra, accompagnati dalle loro calde voci popolari.

Percorse con lo sguardo tutte le fanciulle che attendevano di essere scelte da lui, lo straniero bello e forte, cercando ansiosamente quegli occhi color nocciola che gli avevano stregato il cuore.

E poi la vide. Era la penultima della fila, qualche passo indietro rispetto alle altre, sembrava brillare di luce propria.

La pelle candida coperta da quel vestito del colore del cielo di notte, le labbra rosse tese in un sorriso meraviglioso e gli occhi ridenti. Lo stava aspettando.

Si avvicinò e si inginocchiò di fronte a lei, che prontamente gli porse la mano. Lui la afferrò con delicatezza e decisione, e dopo aver depositato su quel dorso candido un bacio di ringraziamento, si sollevò e mano nella mano si posizionarono di fronte alla fonte di quella musica che prese a scandire il ritmo dei loro movimenti.

Edward non conosceva quelle danze, ma si fece guidare più che volentieri dalla sua dolce dama. Danzarono guardandosi negli occhi, senza però scambiare una parola, troppo concentrati a leggere con lo sguardo la loro reciproca felicità e a godere della vicinanza dei loro corpi.

Quando il ritmo della musica cambiò, anche le altre coppie iniziarono a danzare, ma nessuno riusciva ad eguagliare la bellezza e la grazia emanati dalla fanciulla e lo straniero.

Le danze si fermarono durante la cena, per poi riprendere e continuare per tutta quella magica notte.

Richiamato dai suoi amici che volevano complimentarsi con lui per la sua bravura, si allontanò dalla sua dama. Tra pacche sulle spalle e strette di mano amichevoli, Edward non si accorse di quello che stava succedendo.

 

Sentì una voce soave e familiare intonare una melodia dolce e dal ritmo lento, quasi fosse una nenia, e si voltò.

 

 

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Capitolo 8
*** CAPITOLO VIII ***


Ho appena finito di scrivere il capitolo e anzichè aspettare domani ho deciso di postarlo subito! Le abitudini sono dure a morire :)

Allora, premetto che è la prima volta che scrivo qualcosa del genere.. il rating della storia è arancione e spero di essere riuscita ad attenermi ai limiti imposti.

Spero che il capitolo vi piaccia, mi farebbe piacere conoscere le vostre opinioni questa volta perchè è un capitolo molto ricco!

Buona lettura e grazie a tutti coloro che leggono e seguono questa storia!

Grazie a in particolare a prudence_78 per i complimenti e per la recensione. Spero che questo capitolo ti sia piaciuto! E grazie anche a beverlina, fammi sapere cosa ne pensi!

Un bacione.

Ci leggiamo di sotto con qualche chiarimento!

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Cliccate su questo link e ascoltate la canzone mentre leggete! E magari dopo guardate anche il video .. merita davvero!

LU RUSCIU TE LU MARE

 

 

 

CAPITOLO OTTAVO

 

 

Due occhi caldi ed innamorati accarezzavano la sua figura, mentre con dolcezza ammirava quella superba esibizione canora.

Bella, accompagnata da uno dei musicisti che pizzicava con perizia le corde di una chitarra, intonava una canzone che Edward non conosceva. Probabilmente era una canzone popolare scritta nel dialetto locale.

Il ritmo lento e soffice volava in alto, tendendo le corde più intime del suo animo. Stava cantando per lui. I suoi gesti, la mimica facciale e quegli occhi così espressivi erano tutti dedicati a lui.

Terminata la musica, Bella fece un cenno di ringraziamento al chitarrista ed un caloroso applauso la avvolse.

Edward rimase in disparte, in attesa che si liberasse per potersi congratulare con lei. Si allontanò un po’ dalla folla, dirigendosi verso l’antico frantoio.

Bella gradì molto i complimenti che le furono rivolti ma i suoi occhi erano altrove. Stava cercando Edward, erano le sue parole di congratulazioni che voleva sentire in quel momento.

Emmet, a cui non erano sfuggiti gli sguardi che i due giovani per tutta la sera si erano rivolti né la palese dedica della canzone, indicò alla sorella il punto in cui si trovava Edward.

Bella abbracciò di slancio suo fratello e lo ringraziò silenziosamente del suo aiuto. Aveva ben inteso tutto ed approvava.

Nascosto tra i rami del grande salice, con le spalle rilassate, adagiate sulla porta d’ingresso del frantoio, Edward stava aspettando la sua fanciulla.

Scorse la sua esile ed aggraziata figura in lontananza, nonostante indossasse un vestito dello stesso colore della notte, la sua pelle chiara brillava in contrasto a tutto quel buio.

“Bella … ti stavo aspettando”, sussurrò dolce Edward quando ormai erano così vicini che i loro profumi si mescolavano nell’aria.

“Ti stavo cercando … ad un certo punto non ti ho visto più.”

“Volevo farti i miei complimenti lontano da tutta quella confusione e volevo dirti …”

La sua frase fu interrotta dalle labbra di Bella che impazienti e soffici si erano posate sulle sue, adattandosi e modellandosi, assecondando i loro più reconditi desideri.

Edward attirò Bella a sé, stringendole forte la vita sottile. Le mani di lei gli cinsero la nuca.

La sua lingua picchiò impertinente sulle labbra della fanciulla che non esitarono a concedergli il via per percorrere i meandri della sua bocca.

Esplorò ogni centimetro di quella cavità così peccaminosa, calda ed umida. Poi trovò la sua lingua birichina, ed insieme iniziarono a giocare, a rincorrersi, a diventare una sola voce.

Ansimando, pago del suo sapore, Edward poggiò la sua fronte su quella di Bella, che gli regalò un ampio e dolce sorriso.

“Grazie.”

Un punto interrogativo si disegnò sul volto di Bella ed Edward, sorridendo per l’effetto che il suo bacio aveva sortito sull’attenzione di Bella, continuò:

“Volevo dirti grazie”

Bella comprese e sorrise in risposta. Ma non voleva interrompere quel gioco né voleva allontanarsi da lui.

“Per cosa?”, domandò facendo finta di non aver capito il motivo per cui l’aveva ringraziata.

Edward si avvicinò pericolosamente alle sue labbra. I loro respiri si affrettarono, quasi facessero a gara a chi avesse la frequenza maggiore, e con voce roca sussurrò :

“Grazie per avermi dedicato la canzone.”

“E chi ti dice che stessi cantando per te?”, rispose Bella sfoggiando l’ultima porzione di lucidità che le era rimasta.

“Questo”, ribatté deciso Edward riprendendo possesso delle sue labbra.

 

 

L’aria era satura dei fumi esalati dai fuochi dei falò, le cicale cantavano in lontananza la loro melodia e la luna, quella sera, dava le spalle ai due giovani, quasi volesse apparire discreta senza violare quel sacro momento.

 

 

Senza staccarsi l’uno dall’altra, quasi si alimentassero con il contatto delle loro labbra, entrarono nel frantoio e si chiusero la porta ed il mondo circostante alle spalle.

C’erano solo loro in quel momento.

Prede e predatori delle loro passioni, vittime dei loro sentimenti e carnefici dei propri languori.

Edward sollevò Bella per i fianchi, adagiandola su un muretto in pietra. Dalla piccola finestra in cima alla stanza del frantoio la luce della luna fioca della luna nuova illuminava le loro figure.

Tremavano entrambi, scossi da forti ondate di piacere di cui prima non conoscevano il sapore e la bellezza.

La mano di Edward scese ad accarezzare le acerbe rotondità di Bella, fino ad insinuarsi sotto le pieghe del vestito, oltrepassando il sottile tessuto delle sue mutandine. Non sapeva quale forza lo stesse spingendo.

Iniziò ad accarezzare lentamente le parti intime di Bella facendola ansimare, fino a quando, preda della stessa passione, non iniziò a sbottonare la camicia di Edward che finì rovinosamente per terra.

Con non poca fatica anche il vestito di Bella, eliminato l’ostacolo dei laccetti in vita, finì accanto alla camicia di Edward, seguito a ruota dai suoi pantaloni.

Erano completamente nudi, l’uno di fronte all’altra. Si studiavano a vicenda, senza la fretta che aveva accompagnato i loro precedenti gesti.

“Sei … sei bellissima”, sussurrò Edward completamente incantato a guardare quelle forme acerbe ma decise, accarezzate dai deboli raggi argentei che trapelavano nella stanza.

“Gra -grazie … anche tu sei bellissimo”, rispose Bella, che ora ammirava più attentamente il corpo di Edward soffermandosi in particolare sulla parte che lo distingueva da lei, e che in quel momento appariva molto più grande e maestosa rispetto alla prima volta che lo aveva visto nudo.

Si avvicinarono nuovamente, pelle contro pelle. Le loro bocche si unirono di nuovo, sembrava volessero scambiarsi l’anima e le mani iniziarono ad esplorare i loro corpi a vicenda.

Ripresero fiato per un attimo e poi ricominciarono a dar vita a quel bacio.

Bella sentiva qualcosa di duro premere sulla sua pancia, Edward intanto le concesse un po’ di respiro e scese a contemplare i seni di Bella con la sua lingua.

Scese con la bocca ancora più in basso fino a posare un bacio sul centro della sua femminilità provocandole un brivido ed una forte ondata di languore nel basso ventre.

Si avvicinò di nuovo alle sue labbra e sussurrò : “Bella, io … insomma, non voglio che tu faccia qualcosa di cui potrai pentirti. Sei ancora così giovane, sei quasi in età da marito … e …”

“Shh!”, Bella bloccò quel flusso insensato di parole posando la sua bocca su quella di Edward.

Il suo cuore aveva già deciso da tempo, ed ora, anche lei aveva compreso.

“Edward, è più felice in terra la rosa da cui si stilla il profumo di quella che appassisce e cresce, vive e muore in beatitudine solitaria. Io ho scelto, Edward. Ho scelto te.”

“Oh Bella! Mia Bella”, esclamò Edward baciandole le labbra.

“Il mio cuore ti appartiene già ormai, e con esso anche il resto è tuo.”

“Amore mio”, sussurrò Edward sulle sue labbra stringendola forte a sé, in un impeto di felicità.

Adagiò Bella su un letto arrangiato fatto con i loro vestiti e si stese su di lei, cercando di non pesarle troppo.

Con due dita allargò quella piccola fessura che conteneva la sua essenza più pura e con tutta la delicatezza di cui era capace, con la stessa pazienza e la perseveranza con cui l’acqua consuma la pietra, Edward oltrepassò il valico della sua innocenza giungendo a pizzicare le corde più alte del loro piacere, suonando la più dolce melodia degli amanti.

Qualche goccia vermiglia campeggiava sulle mutandine candide di Bella, simbolo del suo essere diventata donna.

Una lacrima solitaria si frappose fra le labbra dei giovani che con un bacio suggellarono la loro promessa d’amore.

La natura esplose nel corpo della fanciulla, mentre il suo amante, stanco e felice, le sussurrava dolci parole sulle labbra.

Il miracolo di San Giovanni si era compiuto di nuovo.

 

 

Il mattino li trovò abbracciati e sorridenti.

Ma quello che la Luna aveva celato, il Sole rendeva palese.

Bella accarezzava con lo sguardo le spalle forti di Edward, persa nella contemplazione della sua perfezione, quando ad un tratto qualcosa attirò la sua attenzione.

Sulla spalla destra, qualche centimetro sotto la nuca, una cicatrice rossa richiamò il suo sguardo. Aveva una forma strana. Troppo precisa per essere una semplice cicatrice. Era rettangolare e conteneva alcune scritte.

Si sporse meglio sul suo corpo e quello che vi lesse scatenò in lei la rabbia.

 

U.S. ARMY

376259

MG. EDWARD MASEN

 

 

 

 

A nulla servirono le suppliche di Edward che la pregava di ascoltare le sue spiegazioni.

Si rivestì in fretta e corse via, delusa.

 

 

 

Allora!! Capitolino ricco!! Innanzitutto la frase in corsivo non è mia ;), è di Shakespeare, tratta da Sogno di Una Notte di Mezza Estate, un'opera che adoro! Poi Per quanto riguarda la cicatrice di Edward ... è la piastrina militare che contiene il nome dell'esercito di appartenenza, numero di matricola e grado (MG = Maggiore) ... non aggiungo altro, vi aspetto al prossimo capitolo! Cosa accadrà ora?! Chi è Edward in realtà e perchè si trova lì?!

Ah, piaciuta la canzone?!

Vi riporto di seguito il testo in italiano e nel dialetto originale e qualche nota storica.

”Lu Rusciu te lu Mare” in Dialetto Salentino

 

Nu giurnu scei ‘ncaccia a li paduli
E ‘ntisi le cranonchiule cantare.
A una a una le sentia cantare
Ca me pariane a mie Lu Rusciu te lu Mare.
Lu Rusciu te lu Mare è troppu forte
La fija te lu re se tae la morte.
Iddha se tae la morte e jeu la vita
La fija te lu re sta se marita.
Iddha sta se marita e jeu me ‘nzuru
La fija te lu re porta nu fiuru.
Iddha porta nu fiuru e jeu na parma
La fija te lu re sta va ‘lla Spagna.
Iddha sta va la Spagna e jeu ‘n Turchia
La fija te lu re è la zita mia.
E vola vola vola vola vola
E vola vola vola palomba mia
Ca jeu lu core meu te l’aggiu ddare
Ca jeu lu core meu te l’aggiu ddare.

”Lu Rusciu te lu Mare” tradotto in Italiano

Un giorno andai a caccia per le paludi
E idii le ranocchie gracidare.
A una a una le sentivo cantare
Mi sembravano il rumore del mare.
Il rumore del mare è molto forte
La figlia del re si da la morte.
Lei si dà la morte e io la vita
La figlia del re ora si marita.
Lei si marita e io mi sposo
La figlia del re porta un fiore.
Lei porta un fiore e io una palma
La figlia del re parte in Spagna.
Lei parte in Spagna e io in Turchia
La figlia del re è la fidanzata mia.
E vola vola vola vola vola
E vola vola vola colomba mia
Che io il cuore mio te lo devo dare
Che io il cuore mio te lo devo dare

Lu Rusciu te lu Mare” è un canto popolare, nato a Gallipoli molti secoli fa, che narra dell’amore impossibile tra una nobildonna e un soldato. A contrastare la storia d’amore la differenza di ceto sociale tra i due amanti, in un’epoca in cui nessuno poteva sottrarsi al proprio ruolo e ai propri doveri. L’autore per far capire quanto grande fosse questo divario sociale ricorre a degli efficaci paragoni, per esempio mette a confronto la parola “marita” utilizzata un tempo nelle occasioni ufficiali e formali con la forma dialettale “’nzuru”, utilizzata dalle persone umili, allo stesso modo la figlia del re porta con se un fiore, simbolo regale, mentre al soldato spetta un modesto ramo di palma, lei parte per la Spagna e lui per la Turchia. Ma nonostante queste forti differente lui sente comunque un amore talmente forte nei confronti della nobildonna da giurarle amore eterno.
“Lu Rusciu te lu Mare” è stata portata a nuova vita solo nel 1978 per mano di Luigi Cardigliano originario Ugento, ma che in quegli anni viveva a Firenze in un clima culturale molto vivo e particolare. Dal 1974 al 1980 infatti si era riunito nella città toscana, un gruppo di giovani studenti provenienti dal sud d’Italia (Puglia, Calabria, Sicilia, Sardegna) che ogni notte si riunivano in Piazza della Signoria o vicino agli Uffizi, per cantare e ballare tutti insieme i canti delle proprie tradizioni popolari, in una festosa collettività etnica dove ognuno ritrovava le proprie radici e si arricchiva dal confronto e dallo scambio con gli altri.
Lontano dalla madre patria ecco allora che “Lu Rusciu te lu Mare” riuscì ad emergere da secoli di silenzio.
Oggi si possono ascoltare in giro per feste e sagre ben tre diverse versioni della stessa ballata.
L’originale, dal ritmo lento, una seconda versione è nata ad opera dello stesso Cardigliano, che introdusse un ritmo più intenso, eseguendo il pezzo senza l’ausilio di strumento musicale ma sovrapponendo tre o quattro voci per creare delicate sonorità. Inoltre Cardigliano aggiunse l’ultima strofa.
Nel 1993/94 un amico di Luigi Cardigliano, Bruno Spennato di Melissano, appartenente al gruppo degli “Alla bua” che nasceva in quegli anni, reinterpretò di nuovo “Lu Rusciu te lu Mare” in una terza versione ancora più veloce e aggiunse un’ulteriore strofa che dava un finale tragico alla storia dei due amanti: “Lu Rusciu te lu Mare è mutu forte, la fija te lu re se tae la morte”.
Questa ultima versione ebbe un discreto successo, diventando la versione più famosa de “Lu Rusciu te lu Mare”, quella che ancora oggi si sente cantare in giro per il Salento, durante le feste e che in cui molti vi si riconoscono a tal punto da indicarla come canto rappresentativo e ufficiale di tutto il Salento. [FONTE : http://www.immaginasalento.it/salento/pizzica-e-taranta/lu-rusciu-te-lu-mare.html]

 

Fatemi sapere se vi è piaciuto! Buonanotte, un bacione! Elettra.

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Capitolo 9
*** CAPITOLO IX ***


Buonasera ... o buonanotte! E' tardissimo e le palpebre si stanno chiudendo da sole ;) Vi lascio al capitolo, spero vi piaccia!

Buona lettura e grazie a tutti coloro che leggono e seguono questa storia!

 

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Ricordo come sempre l'altra storia che sto pubblicando sempre in questa categoria : I WANT TO KNOW WHAT LOVE IS . Passate, se vi va!

 

 

 

CAPITOLO NONO

 

 



Infilò in fretta i suoi pantaloni e corse fuori dal vecchio frantoio, che quella notte era stato testimone accogliente del loro amore e della loro passione.
L’aurora stava disegnando in cielo il mattino, con le sue dita di un caldo colore a metà tra l’arancio ed il rosa.
La linea dell’orizzonte diventava man mano più definita, le goccioline di rugiada riflettevano lo spettro dei colori dell’arcobaleno.
In lontananza un gallo cantava, mentre le tortore dagli alberi vicini intonavano il loro strano verso esotico, che in quel momento, a Edward sembrava il più disperato dei suoni della natura.
Era sicuro di sapere dove poter trovare Bella.
Oltrepassò la tenuta e percorse la salita che portava alla collina dove qualche notte prima avevano ammirato insieme la luna, la stessa collina che era stata testimone della loro strana e sensuale sigaretta, dove in seguito Edward aveva picchiato ed allontanato Jacob.
Bella era lì, seduta sul terriccio molle in posizione fetale, il corpo scosso da singhiozzi.
I capelli morbidi e lucenti le ricadevano sulle spalle e davanti al viso, frapponendosi fra di loro, innalzando ancora di più un muro che le circostanze avevano costruito.
Edward si sedette accanto a lei ed iniziò ad accarezzarle quella massa ribelle e setosa. Al suo tocco, Bella si ritrasse ed iniziò ad urlare.
“Vattene! Vattene! Lasciami stare, io non ti voglio più vedere!!”
Urlava e si dimenava, allontanava le mani di Edward che cercavano inutilmente di fermarla.
“Bella, Bella … ti prego! BELLA!”, urlò e lei, come incantata, si fermò e puntò i suoi occhi in quelli di Edward.
Lesse un grande dolore in quel verde così limpido, e la voglia di conoscere la verità si impossessò di lei.
“Bella, amore, lascia che ti spieghi … te ne prego. Poi potrai decidere se credermi o meno. Ma ti prego, ascolta la mia storia.”
Fece un cenno con il capo e quando l’ultimo singhiozzo si congedò dal suo corpo, Edward iniziò a raccontare.
“Mi chiamo Edward Masen, sono nato a Chicago il 20 giugno del 1925. Mia madre quella notte partorì due gemelli, mio fratello Anthony e me. Mio padre, Edward, è un noto commerciante di stoffe di Chicago, figlio di una emigrante italiana e di un americano. Mia madre, Elisabeth, è un’insegnante.
Io e mio fratello spesso da bambini sognavamo di diventare soldati e di ricevere tante medaglie d’oro, come quelle di nonno Anthony, valoroso generale della guerra di secessione americana.
Quando scoppiò la guerra avevamo solo 15 anni e giurammo che se fosse durata a lungo, appena compiuti i 18 anni ci saremmo arruolati nell’esercito americano, preservando ed esaltando l’onore e la gloria che appartenevano alla nostra famiglia da sempre.
Il 4 luglio dell’anno scorso Anthony ed io giurammo fedeltà all’esercito Americano e agli stati uniti d’America. All’inizio tutto sembrava un gioco, come quelli che facevamo da bambini. La sveglia, gli esercizi, la marcia, l’addestramento. Fino a quando un giorno ci fu comunicato che eravamo stati scelti per compiere una missione importantissima, la più importante di tutte. Eravamo due dei soldati scelti del grande battaglione di fanteria che poi avrebbe agito in Italia. Compagnia di artiglieria, eravamo due dei 187 uomini che la componevano.
Eravamo felici e fieri di questa missione, lo comunicammo a nostra madre che scoppiò a piangere alla notizia della nostra imminente venuta in Italia, mentre nostro padre, fiero dei suoi figli, ci augurò buona fortuna.
Siamo sbarcati in Sicilia, poi la nostra compagnia si spostò in un paesino della Calabria. Eravamo, insieme ad altri 10 ragazzi, i più giovani soldati della compagnia. Una notte, gli ufficiali ed altri uomini, probabilmente molto ubriachi, iniziarono a schernirci e denigrarci. Ci chiamavano pappe molle, dicevano che non eravamo degni della nostra divisa, soprattutto io e io fratello, di origini italiane. Pretendevano che pulissimo le punte dei loro stivali con la lingua. Noi rifiutammo e loro iniziarono a picchiarci. Ci ridussero molto male, e poi, non contenti, strapparono le piastrine che avevamo al collo, le scaldarono vicino al fuoco e, come guardiani di bestiame, ci marchiarono la pelle con le piastrine incandescenti.”
Edward prese una pausa, Bella intanto ascoltava piena di tristezza quella storia.
“Dopo quell’episodio, ce ne furono altri, un po’ meno violenti, ma altrettanto fastidiosi. Io e mio fratello iniziammo a pentirci della scelta compiuta. Non era quella, fatta di fango e servigi, la vita militare che sognavamo. La nostra gloria terminava nel momento in cui iniziavamo a lustrare le scarpe ai nostri ufficiali.
Una notte, che probabilmente non dimenticherò mai, subimmo un attacco da parte di una piccola organizzazione di guerriglia locale. Perdemmo due uomini, mio fratello salvò la vita dell’ufficiale che ci aveva marchiati a fuoco uccidendo i nostri invasori.
Da quella notte Anthony cambiò, completamente. Aveva lo sguardo spento, non parlava più. Una sera mi confidò che non riusciva più a dormire perché era perseguitato dagli occhi morenti degli uomini che aveva ucciso.
Voleva fare lo scrittore Anthony. Aveva un animo molto sensibile, molto più del mio. Le ragazze facevano la fila per poter uscire con lui. Aveva uno splendido futuro davanti. Se solo avesse trovato la forza di scappare via da quell’orrore della vita militare …
Il 15 marzo io ero di guardia. Staccai il turno alle 6 di mattina e rientrai nella nostra stanza. Non trovai mio fratello nel suo letto, né altrove, così iniziai a cercarlo fuori dal campo.
E lì, appeso ad un albero, giaceva il corpo esanime di mio fratello Anthony, morto suicida alle idi di marzo. Ai suoi piedi trovai una lettera, due righe abbozzate per me.”
Edward estrasse dalla tasca dei suoi pantaloni un foglio ingiallito e malconcio, su cui campeggiavano poche righe tremanti.


“Perdonami Edward, io non ce la facevo più. Fuggi via di qui, liberati, scegli di vivere la tua vita. Fallo anche per me. Abbraccia forte la mamma e dille che le ho voluto bene. Chiedi scusa a papà da parte mia se ho disonorato la gloria della famiglia Masen e dì anche a lui che gli ho voluto tanto bene.
Spero che un giorno potrete perdonarmi … veglierò per sempre su di voi.
Con tutto l’affetto di cui sono in possesso, Anthony.”


Bella aveva il volto rigato dalle lacrime. Abbracciò Edward di slancio ed iniziò a piangere sulla sua spalla.
“Scusami”, sussurrò al suo orecchio quando si calmò.
“Non devi scusarti tu. Sono io quello che deve farlo. Puoi perdonarmi, Bella? Puoi perdonarmi se non ti ho raccontato subito la verità?”, chiese con gli occhi lucidi.
“Amore mio, per cosa dovrei perdonarti? Per aver sofferto così tanto? Per aver ricevuto dei trattamenti così brutali? Perché la vita ti ha strappato tuo fratello in un modo orribile? Edward … non devo perdonarti nulla. Vorrei solo poter cancellare almeno una parte del tuo dolore ..”
“Bella”, sussurrò Edward commosso.
“Tu sei il regalo più bello che la vita potesse farmi. Quando sono fuggito dal campo e sono arrivato qui in Puglia credevo che anche per me sarebbe finita. Non avevo più speranze, avevo il cuore lacerato dal dolore. Tu hai restituito al mio cuore un motivo per battere. Ti amo, Bella.”
“Oh, Edward!! Anch’io ti amo!”, quasi urlò tra le lacrime la fanciulla, incollando febbrilmente le sue labbra su quelle di Edward.
Carichi e felici della confessione del loro amore, mera espressione verbale della notte appena trascorsa, i due ragazzi continuarono a bearsi delle loro carezze mentre il sole faceva capolino all’orizzonte illuminando i loro corpi innamorati.




 

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Capitolo 10
*** CAPITOLO X ***


Buonasera. Perdonate il mio ritardo, ma sono stata stra-impegnata. Ogni volta che aprivo word per scrivere, arrivava quel malefico di Morfeo e mi "calava la palpebra" ... anzi calavano entrambe! ;)
Vi lascio al capitolo ... spero vi piaccia!

Buona lettura e grazie a tutti coloro che recensiscono, leggono e seguono questa storia!

 

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CAPITOLO DECIMO

 

 



Buonciorno barone Sfwan!
Un generale tedesco, alto e panciuto, con la camicia ben inamidata e qualche medaglietta sul petto, fece il suo ingresso nella proprietà Swan, seguito da Jacob Black.
L’uno con l’aria fiera ma cordiale, l’altro con un fastidioso ghigno stampato sul volto.
“Buongiorno a lei, generale. Qual buon vento la porta nella nostra proprietà? Ha bisogno di qualcosa? Il mio fattore ha per caso commesso qualche errore nel portare le provvigioni che avevate richiesto in caserma?”, domandò Charlie, scrutando Jacob Black in maniera torva.
Dalla sera della festa di San Giovanni era diventato, se possibile, ancor meno sopportabile di prima. Era sempre scontroso e non perdeva mai occasione per insultare Edward, o parlar male di lui con suo padre e gli altri fattori.
L’unico motivo per cui Charlie Swan continuava a sopportare la presenza dei Black alla masseria era per mantenere la vecchia promessa fatta a suo padre Emmet. Gli aveva giurato che il vedovo e suo figlio sarebbero rimasti a servizio degli Swan per tutto il tempo che avessero voluto. Non avevano altri parenti in Italia, e quei pochi rimasti negli Stati Uniti non nutrivano grande stima ed affetto per loro. Come biasimarli …
Erano due bravi lavoratori, in fondo, pensava Charlie, il resto non era affar loro.
“No, no. Il fostro fattore mi ha riferito che qui con foi lavora un italo-americano che afete teciso ti ospitare. Sarei curioso di conoscerlo.”
“Oh. Bè, caro generale, “Welcome to the USA!”. Qui siamo tutti italo-americani, tranne il mio fattore, che le ha riferito la notizia, che è un nativo americano. Impossibile che non lo sapesse. Non ha forse notato che parliamo l’inglese meglio dell’italiano? Quindi direi che la sua curiosità sia più che soddisfatta. Ha l’onore di conoscere un’intera famiglia italo – americana!”, rispose Charlie, sfoggiando la calma e la compostezza che da sempre lo caratterizzavano e non nascondendo una nota di ironia nella sua voce.
“Ma … ma certo. Solo che il fostro fattore mi aveva riferito che ci fosse un ragazzo nuovo, qui. Uno smemorato americano. Come sapete siamo in una fase delicata del conflitto, questi americani sono nemici del regime e pare che si stiano avvicinando alla zona che presidiamo.Conoscete i rischi che si corrono se si ospita un nemico del regime. Folevo conoscerlo per evitare brutti inconvenienti a voi.”, rispose il generale, fortemente colpito e spiazzato dalla risposta di Charlie, ma allo stesso tempo, fiero e sicuro, come imponeva la sua carica.
“Uno smemorato? Non mi pare affatto. Il ragazzo nuovo di cui le parlava il mio fattore – Charlie non risparmiò un’occhiataccia a Jacob – è mio nipote Edward, il figlio di mia sorella che in questi anni di lontananza ha curato alcuni affari di famiglia negli Stati Uniti.”
“Ah.”, rispose il generale riservando un’occhiata torva a Jacob, ormai verde di bile.
“Caro generale, ascolti il mio consiglio : mai fidarsi di un Americano!”, esclamò Charlie calcando di enfasi l’aggettivo “americano”, chiaro riferimento a Jacob.
I due uomini scoppiarono a ridere alla battuta di Charlie.
“Venga con me, voglio mostrarle il mio vigneto. Quest’anno sarà un’annata degna di nota.”
“Con molto piacere”, rispose il generale.
“Ah, mi chiami pure Demetri! Ormai ci conosciamo da un po’, risparmiamo le formalità!”
Charlie sorrise ed insieme si avviarono verso il vigneto.


Emmet, che aveva osservato la scena in silenzio di fianco al padre, si avvicinò pericolosamente a Jacob, e sfoggiando un’aria minacciosa, che di solito non assumeva, lo afferrò per le spalle e quando si ritrovarono occhi negli occhi :
“Se ci tieni alla pelle e ad avere ancora un letto su cui dormire ed un piatto caldo per sfamarti, non ti permettere più di fare una cosa del genere! Hai capito, Jacob Black? Cosa credevi di fare? Che storie vai blaterando? Avevamo capito tutti che Edward non ti piacesse per ovvi motivi … ma arrivare a diffamare lui e noi fino a questo punto … mi fai schifo! Un altro passo falso e ti ritroverai a mendicare le briciole dai tedeschi, Jacob Black!”
Gli sputò in faccia quelle parole con ribrezzo e si allontanò.


“E così, tu saresti mio fratello!” trillò Alice quando Emmet terminò di raccontare l’accaduto a tutta la famiglia riunita, Edward compreso.
“Edward, non devi preoccuparti di nulla. Sono anni ormai che intratteniamo rapporti commerciali con le truppe tedesche, qui sei al sicuro. Lascia perdere quel Black. Fai parte della famiglia, ormai!”, esclamò Charlie battendo una mano sulla spalla del ragazzo, dall’alto della sua magnanimità.
“Grazie, grazie davvero di tutto barone Swan.”
Edward rispose con il capo chino, dopo aver scambiato uno sguardo d’intesa con Bella, la sua amata, che custodiva gelosamente quel segreto così pesante nel suo cuore.
“Ancora con questo barone? Edward … sei mio nipote! Chiamami Charlie.”
Quelle parole furono come una pugnalata bruciante nel petto.
Quelle persone erano così buone con lui, erano pronte a correre seri rischi pur di proteggerlo, e lui? Lui li aveva ingannati fin dall’inizio, continuava a mentire sulla sua reale identità ed aveva anche rubato il cuore e la virtù della figlia di quell’uomo, così nobile, che in quell’istante lo aveva ribattezzato come uno di famiglia.
Ma ormai la recita doveva continuare, non poteva cedere proprio in quel momento. Aveva paura di perdere quella sicurezza che in pochi mesi alla tenuta aveva acquisito grazie al calore e all’affetto di quella grande famiglia.
Sollevò il capo ed il sorriso che gli dedicò Bella gli fece dimenticare tutto. Chi fosse, chi era stato e chi sarebbe stato.
Ancora una volta, lui era solo Edward, un ragazzo italo-americano, e basta.
“Grazie … Charlie”, rispose sinceramente commosso Edward.



Era un caldo pomeriggio di luglio. Le cicale cantavano allegre e numerose. Gli abitanti della masseria riposavano nelle loro abitazioni, al riparo dalla calura estiva che non gli permetteva di svolgere le loro quotidiane attività nella tenuta in quel particolare periodo dell’anno.
Quel pomeriggio, Bella aveva appuntamento con Edward nel campo di grano, ormai deserto dopo la raccolta.
Sgattaiolò fuori dalla sua stanza attraversando la grande terrazza e corse trafilata dal suo amore.

I raggi del sole, che accarezzavano quella meravigliosa chioma ribelle, mostravano tutte le tonalità dello spettro del rosso.
Bella rimase incantata ad osservare quello spettacolo di luce. Era così bello da far male agli occhi. Ed era suo.
Si avvicinò, cercando di fare il minor rumore possibile, ma le radici secche delle spighe tradirono i suoi intenti.
Si ritrovò distesa per terra con Edward che la sovrastava per intero. Un sorriso furbo e malandrino disegnato su quelle labbra rosse turgide ed una luce, che ormai conosceva bene, in quegli occhi color smeraldo.
Sfiorò con una carezza quel viso perfetto ed avvicinò le sue labbra a quelle di Edward.
Fu un bacio lento e dolce, uno di quei baci che nascono per il solo gusto di sfiorarsi, un bacio di saluto, una carezza di labbra, che proprio per l’estrema delicatezza, accese i languori e i desideri dei due giovani.
Dopo quella notte nel frantoio, dopo aver compreso quanto si amassero, il sentimento tra Edward e Bella era diventato sempre più forte ed il loro rapporto più intimo.
Bastava uno sguardo per comprendersi, un sussurro per amarsi, un bacio per raggiungere il Paradiso.
Edward abbassò lo sguardo sul collo di Bella e per un attimo quel dolore antico che giaceva nel suo cuore trasfigurò il suo viso angelico.
Bella posò i palmi delle sue mani sulle tempie di Edward, costringendolo a sollevare lo sguardo sul suo viso : “Cosa c’è, amore mio? A cosa pensi?”
Edward sorrise per il modo in cui l’aveva chiamato. Gli piaceva più del lecito.
“Nulla.”
“Edward”, lo rimproverò lei.
“E’ che … mi sento un verme. Mi sembra di tradire giorno dopo giorno la tua famiglia, tuo padre, la fiducia immensa che nutrono nei miei confronti … io … non ce la faccio”, disse con tono disperato.
“Edward, amore, risolveremo tutto insieme. Credi di non meritare la fiducia che ti è stata concessa? Nessuno è più affidabile di te alla masseria. Sei preciso e tremendamente onesto, e non lo dico perché sono di parte. E’ la realtà.”, rispose Bella facendolo sorridere di nuovo.
“Appena la guerra finirà sveleremo a tutti il tuo segreto. Ho troppa paura che qualcuno possa tradirci. Hai visto cosa ha combinato Jacob. I tedeschi sono pericolosi, ed io ho paura. Ho paura di perderti …”
“Questo non accadrà mai, Bella. Te lo prometto. Nessuno potrà separarci.”
“Giuramelo.”
“Ti amo e ti prometto che nessuno riuscirà a portarmi via da te.”
Bella avvicinò le sue labbra a quelle di Edward e, con il fiato corto per via del bacio appena scambiato, sussurrò su quelle labbra:
“Ti amo tanto. Adesso ci penso io a mandar via dalla tua testa tutti questi pensieri molesti”.
Con una scintilla maliziosa negli occhi riprese a baciarlo, mentre con la mano scendeva lì dove mai, neanche nei suoi sogni più segreti, avrebbe osato.
Eliminato l’ostacolo ingombrante della stoffa dei pantaloni, iniziò un lento massaggio che portò Edward ad ansimare mentre lo sguardo di Bella si faceva via via più malizioso.
Quando il respiro di Edward ritornò regolare, stampò un bacio sulle labbra di Bella e le sussurrò nell’orecchio, con il respiro ancora ansante : “Ora ci penso io a te, signorina.”
Ribaltò le loro posizioni e sollevò la sua gonna. Accarezzò quelle gambe pallide ed esili. Ad ogni suo tocco rispondeva un brivido. Insinuò due dita nel centro della sua femminilità e sollevò il capo.
Bella aveva le guance rosse ed il respiro corto. Il sorriso perennemente stampato sulle sue labbra, quasi volesse incitare le carezze del suo amante.
Baciò quel fiore delicato, che la natura aveva riservato a lui e solo a lui, e cercò un muto consenso in quelle iridi color nocciola dilatate dalla passione.
Bella gli sorrise ancora e, per palesare maggiormente la sua volontà ed i suoi desideri, la sua mano si insinuò tra le ciocche calde e ribelli del suo amato, spingendo la sua testa in un tacito ma deciso invito a proseguire il suo cammino.
Con le labbra e con la lingua si deliziò di quel nettare agrumato, beandosi delle carezze e degli spasmi del corpo di Bella, totalmente succube della sua volontà ma padrona, come sempre, del gioco.
Riportò il viso all’altezza di quello di Bella, che, come se sentisse la nostalgia di un contatto appena assaporato e già perduto, iniziò a baciare con foga quelle labbra che sapevano ancora di lei.
Con la velocità dettata dall’ansia di ricongiungersi, tolsero di mezzo anche gli ultimi indumenti che ostacolavano la comunione perfetta dei loro corpi.
Il sole si nascose dietro la collina, quasi avesse compreso che la sacralità del momento necessitasse di discrezione.
Una lieve brezza estiva, leggera come il soffio di un bambino, accarezzò i loro corpi uniti e perfettamente incastrati.
I loro bacini si muovevano all’unisono, senza tregua, ed una scossa di piacere li avvolse in un vortice di benessere, che dal ventre raggiungeva il petto.
In quel momento così sacro e perfetto, distesi su un campo di grano, con il sole all’orizzonte, pronto a congedarsi per quel giorno, Edward comprese che tutti quei pensieri che avevano affollato la sua mente erano spariti, come goccioline di rugiada al sole.
Bella era con lui e lo amava, ed era l’unica cosa che contava.





 

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Capitolo 11
*** CAPITOLO XI ***


 

 

CAPITOLO UNDICESIMO

 

 




“Allora ragazze, continuiamo con Catullo oggi.”
La voce melodiosa e dolce di Esme annunciò a Bella ed Alice il loro programma mattutino di studio.
Emmet, Bella ed Alice erano stati educati tutti, rigorosamente, alla tenuta, dove la cultura godeva di priorità ed eccellenza.
Esme aveva studiato lettere alla Sorbona, suo fratello Charlie diritto. Entrambi avevano incontrato le loro dolci metà a Parigi.
Carlisle Cullen, marito di Esme e padre di Alice, era un inglese che studiava medicina alla Sorbona, mentre Renèe era una giovane marsigliese che lavorava presso un prestigioso atelièr di moda parigino.
Bella aveva sempre trovato molto affascinanti i racconti, dei suoi genitori e dei suoi zii, degli anni parigini.
Anni spensierati e pieni di gioia, anni colorati d’amore.
Lo stesso colore che illuminava le sue giornate da quando Edward era arrivato alla tenuta.
“Ma mamma! Avevamo detto che avremmo ridotto le ore di latino! Uffa …”, replicò Alice.
“Alice Cullen! In questa sede sono la tua insegnante e non accetto repliche, di nessun genere! Quindi apri il tuo libro ed inizia a leggere. Carme 68.”
Bella, a differenza di sua cugina, era particolarmente felice. Amava la letteratura, e soprattutto amava i versi di Catullo, che considerava il sommo poeta dell’amore.
Da quando aveva conosciuto Edward, da quando avevano scoperto la loro reciproca attrazione, da quando aveva amato Edward quelle poesie avevano assunto una sfumatura diversa.
“Quod mihi fortuna casuque oppressus acerbo conscriptum hoc lacrimis mittis epistolium …”
[Quello che mi mandi, colpito dalla sorte e da acerbo frangente, questa lettera composta di lacrime …]


La lezione del mattino era terminata ed Esme aveva assegnato alle fanciulle alcuni versi del carme catulliano da tradurre, per il mattino seguente.
Bella era sola, nella sua stanza.
Non aveva ancora visto Edward, quel giorno, e le mancava terribilmente.
Era come se il suo cuore avesse un ritmo diverso in presenza di Edward, come se battesse davvero solo quando era con lui.
Erano indispensabili, l’uno per l’altra.

“Quo mea se molli candida diva pede intulit et trito fulgentem in limine plantam innixa arguta constituit solea, coniugis ut quondam flagrans advenit amore Protesilaeam Laodamia domum inceptam frustra, nondum cum sanguine sacro hostia caelestis pacificasset eros. nil mihi tam valde placeat, Ramnusia virgo, quod temere invitis suscipiatur eris.”
Dopo aver analizzato con perizia e sapienza la frase, Bella iniziò la traduzione del periodo.

“Là si recò la mia candida dea col morbido piede e sulla battuta soglia, appoggiandosi, la vivace suola poggiò la splendente pianta, come un tempo bruciando per amore del coniuge Laodamia giunse alla casa protesilea invano iniziata, non avendo ancora la vittima pacificato col sacro sangue i celesti padroni.”

Aveva ancora la penna tra le dita e stava per continuare la lettura del carme, quando, ad un certo punto, un respiro caldo e dalla frequenza famigliare, accompagnato da un profumo di colonia, sole e tabacco, che avrebbe riconosciuto tra mille, e che era in grado di irretire tutti i suoi sensi fino a stregarle la mente ed il corpo, soffiò sul suo collo candido.
“Mi sei mancata tantissimo”, sussurrò provocandole un brivido che le strinse la nuca in una morsa e si propagò lungo tutta la spina dorsale fino all’estremità dei piedi.
“Ed –Edward!”, balbettò Bella, sorpresa ed incredula di trovarlo lì, nella sua stanza, a quell’ora del pomeriggio, con i suoi genitori in casa e …
“EDWARD!”
Era lì con lei … tutto il resto erano solo dettagli marginali.
“Shh!”, intimò lui, sorridendole, come solo un ragazzo innamorato era in grado di fare, e posando due dita sulle sue labbra.
Intanto Bella si era girata, pur restando seduta sulla sedia, verso il suo amato, che era in ginocchio di fronte a lei, con le braccia che le cingevano la vita ed il respiro caldo sul suo petto.
“Come .. come …”, scosse il capo incapace di parlare e si sporse sulle sue labbra, tracciandone il contorno con la lingua.
“Mi sei mancato”, disse con voce innocente, quasi volesse giustificarsi di aver provato nostalgia per il suo amato.
“Anche tu, amore”, rispose, facendola arrossire.
Edward accarezzò quelle guance, soffici come petali di rose, e posò un delicato bacio sulle sue labbra.
“Stavi studiando?”, domandò indicando il libro ed il quaderno aperti dinanzi a loro.
“Si, stavo traducendo un carme di Catullo”
“Mmm … interessante”
“Certo … Ma come hai fatto ad entrare?”
“Amore, avevi lasciato la porta aperta … sono salito in terrazza e sono entrato.”
“Oh”, fu l’unica risposta di Bella.
“Non mi ha visto nessuno, comunque. Puoi stare tranquilla”, aggiunse sorridendole.
Bella si mise in piedi e prese per mano Edward conducendolo verso il suo letto.
“Vieni qui”, gli fece cenno di sedersi accanto a lei.
Edward si sedette sul letto e strinse Bella in un abbraccio, respirando forte il suo dolce aroma di lavanda e talco, che sapeva di casa, sapeva di amore, sapeva di lei.
Si avvicinò al suo orecchio ed iniziò :

“Da mihi basìa mille, deinde centum,
dein mille altera, dein secunda centum
deinde usque altera mille, deinde centum.”

Le labbra di Bella si tesero in un sorriso ed obbedendo al richiamo di quei versi immortali posò le sue labbra su quelle di Edward.


Qualche giorno dopo …
10.8.1944, Ostuni.

(Ostuni, nota anche come la "Città Bianca")

“Non trovi che sia uno spettacolo meraviglioso?”, domandò Bella volgendo lo sguardo sul manto scuro e silenzioso che si stagliava infinito intorno a loro.
Il cielo stellato illuminava i loro volti ed una calda coperta li avvolgeva sulla sabbia bianca della spiaggia di Ostuni.



Come da molti anni a quella parte, per tradizione, i ragazzi della masseria si recavano in spiaggia, per trascorrere la notte di San Lorenzo ad ammirare lo spettacolo delle stelle cadenti.
“Mai quanto te, amore mio”, rispose senza neanche pensarci Edward.
“Mmm … questa l’ho già sentita!”, ribattè Bella, voltandosi verso Edward e scontrandosi con quel verde luminoso, quasi accecante, più delle stelle.
“Ah si??!”, domandò con fare retorico Edward, posando le mani sui fianchi di Bella ed iniziando a solleticarle la pelle coperta da un sottile velo di cotone.
“No, no, no! Ti prego … baaasta!!”, si dimenava ridendo la fanciulla, senza però trovare il coraggio di allontanarsi da quella dolce tortura.



“Guarda, una stella cadente! L’hai vista?!”, esclamò Bella.
“Si”
“Hai espresso un desiderio?”, domandò curiosa Bella.
“Non ne ho bisogno. Tutto quello che desidero è già tra le mie braccia”
Incredibile come la struggente sincerità, a tratti dolcemente ingenua, di Edward riuscisse a farle arrivare il cuore in gola.
Riusciva ad esprimere i suoi sentimenti in modo spontaneo, privo di etichette o inibizioni.
Tra loro era sempre stato così, semplicemente naturale.
Si amavano e nessun pregiudizio o pudore o inibizione alcuna avrebbe osato frapporsi tra loro e frenare la loro passione.
“Ti amo”, disse Bella lasciandogli un bacio sulle labbra schiuse.
“Anch’io, amore.”
Rimasero per un po’ di tempo stretti l’una all’altro, beandosi del calore reciproco ad ammirare le stelle.
Ad un certo punto, Edward richiamò l’attenzione di Bella.
“Bella?”
“Si?”
“Ti prometto che un giorno, quando tutto questo sarà finito, quando finalmente sarò solo un ragazzo e non un soldato disertore, ti sposerò. Ti amo e ti amerò per sempre, e chiamo a testimone di questa promessa il firmamento e tutte le stelle che lo illuminano stasera. Ti giuro che un giorno non dovremo più amarci di nascosto.”
Bella aveva gli occhi lucidi per l’emozione. Quelle parole, così intense, avevano fatto tremare il suo cuore di gioia.
“Amore mio!”, esclamò e suggellò quel momento con un bacio, a completamento della promessa appena fatta.
“BELLA! BELLA! EDWARD! DOVE SIETE? VENITE A … Oh … Cosa … che diamine sta succedendo!?”
I due ragazzi, ancora stretti tra loro ed impegnati in un bacio che non aveva voglia di aver termine, si destarono dalla loro bolla quando udirono quella voce.
Si misero in piedi, Edward, istintivamente, si posizionò davanti a Bella, quasi volesse farle da scudo.
“MI SPIEGATE COSA STAVA SUCCEDENDO?!”
Bella iniziò a tremare, Edward le prese una mano e la strinse forte.

 


Buongiorno mondo! Allora ... chi sarà questo "intruso"che ha interrotto la bolla dei nostri amanti!? Provate ad indovinare :) In palio c'è uno spoiler del prossimo capitolo! Come sempre, rigrazio tutti coloro che recensiscono, leggono e seguono questa storia!

Qualche piccolo appunto ...

Per quanto riguarda le citazioni di Catullo presenti, le prime sono tratte dal carme 68, in cui il poeta descrive l'immagine del primo incontro con Lesbia, la donna amata. Le citazioni successive, probabilmente le più famose, sono tratte dal carme 5 ... vi riporto la traduzione di seguito.

"Donami mille baci, poi altri cento
Poi altri mille, poi ancora altri cento,
poi di seguito mille, poi di nuovo altri cento."

Questo capitolo è dedicato ad uno dei miei miti, che purtroppo non c'è più. Oggi avrebbe compiuto 60 anni ... Grazie Rino.
Qualche mese fa avevo scritto una one-shot ispirata ad una delle sue canzoni, a mio parere, pura poesia. Vi lascio il link di seguito, mi farebbe piacere leggere la vostra opinione. SEI OTTAVI.


PUBBLICITA'!


Ricordo come sempre l'altra storia che sto pubblicando sempre in questa categoria :
I WANT TO KNOW WHAT LOVE IS . Passate, se vi va!

 

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Capitolo 12
*** CAPITOLO XII ***


CAPITOLO DODICESIMO

 





“Allora?! Mi spiegate cosa stavate facendo sotto quella coperta?! E non cercate banali scuse! Vi ho visti!”, esclamò Emmet, con tono minaccioso.
Ad un tratto la sua mole riuscì ad incutere timore su Edward.
Bella tremava e stringeva convulsamente la mano di Edward. Non aveva mai visto suo fratello in quel modo.
“Emmet …”, sibilò Bella con voce tremante.
“Emmet, ti prego … non fargli del male”, Bella strinse più forte la mano di Edward e gli cinse la vita con il braccio libero, posando il capo sul braccio destro di lui, in modo da poter guardare in volto suo fratello.
“Bella, sta’ tranquilla … non mi accadrà nulla di male.”, le sussurrò Edward, baciandole una tempia.
“Emmet … io amo tua sorella. E lei ama me. Perdonami se hai dovuto scoprirlo in questo modo … ma …”, disse Edward con un tono così fermo e convinto che anche il più scettico degli uomini avrebbe creduto alle sue parole.
“AHAHAHAH!”
Emmet iniziò a ridere e si avvicinò a Edward dandogli una pacca sulla spalla.
Due punti interrogativi si disegnarono sui volti di Edward e Bella.
“Ma … cosa …”, disse una Bella più incredula che mai.
“Ahahah! Finalmente vi siete decisi a parlarmene!! Credevate che fossi così ingenuo da non aver capito nulla?!”, domandò retorico, con estrema calma e con l’aria divertita.
Edward riprese il suo colorito naturale e tirò un sospiro di sollievo mentre Bella rilassò la presa dal suo braccio.
“Come hai fatto a capirlo?”, chiese Bella riprendendo il normale ritmo respiratorio.
“Bella, Bella. Credi davvero che i vostri sguardi o la canzone che hai cantato la sera della festa di san Giovanni fossero passati inosservati? O le tue fughe pomeridiane? Sono tuo fratello, ti conosco bene! E ho notato quanto sei cambiata da quando Edward è con noi, alla masseria. Sei ancora più bella e raggiante.”, rispose Emmet guardando dolcemente sua sorella.
“Oh, Emmet!”, corse ad abbracciarlo.
“Quindi non sei arrabbiato con noi? Ti prego, promettimi che non gli farai del male!”, esclamò Bella con una tale ingenuità e dolcezza che Emmet sorrise e strinse forte a sé sua sorella. Ormai era una donna.
“Assolutamente no, ma ti pare? Potrei mai fare del male ad un mio amico?! Che per di più ha rubato il cuore della mia sorellina?”, domandò retorico Emmet.
Strinse in un abbraccio fraterno anche Edward ed esclamò : “Guai a te se la fai soffrire! In quel caso dovrai seriamente aver paura di me!”
Edward prese una mano di Bella e la portò alle labbra, facendola arrossire.
“Non è neanche lontanamente nei miei programmi. Sono innamorato di tua sorella, è tutto per me.”
Bella, che probabilmente non si sarebbe mai abituata alla dolcezza e alla struggente sincerità di Edward, posò un lieve bacio sulla sua guancia, sussurrando sulla sua pelle, in una sensuale carezza di labbra sul velo di barba rossiccia che gli ricopriva le guance, quelle parole che per Edward diventarono salvezza e ragione di vita, “Ti amo”.
Emmet sorrise commosso e soddisfatto, ammirando l’amore di quei due ragazzi e pensando alla sua amata Rosalie.
“Che succede qui? Che fine avevate fatto, ragazzi!?”, trillò Alice avvicinandosi ai suoi cugini con aria curiosa.
All’occhio attento di Alice non sfuggì la presa salda di Edward sui fianchi di Bella e le loro mani intrecciate.
“Bellaaa!!”, urlò felice, tuffandosi letteralmente tra le braccia della cugina.
“Lo sapevo! Lo sapevo! Come sono felice per voi!!”
“Grazie, Alice!”, rispose Bella, sorridendo.


I ragazzi trascorsero il resto della notte ammirando il cielo foderato di stelle, ognuno perso nei propri desideri affidati a quei punti luminosi che lasciavano una scia sul manto notturno.
Il mattino accarezzò i loro volti sorridenti e prima di rientrare alla masseria, Edward e Bella fecero giurare ai ragazzi di mantenere ancora per un po’ il segreto sulla loro relazione.
I focolai di guerra erano ancora attivi e vicini a loro. Non potevano correre un simile rischio.



“Devo andare”, sussurrò Edward sulle labbra di Bella, rosse e gonfie per via delle loro intense attività pomeridiane.
“No, no! Uffa! Resta ancora un po’ con me …”, soffiò la fanciulla ad un centimetro dalle sue labbra, facendo rabbrividire di piacere Edward.
Erano distesi sul letto di Bella, in un caldo ed assolato pomeriggio di fine agosto.
I loro corpi intrecciati a formarne uno solo, i pochi vestiti giacevano ai piedi del letto, sparsi sul pavimento.
“Tra un po’ si sveglieranno i tuoi …”, rispose Edward, cercando di allontanarsi, malvolentieri, da quella dolce quanto accattivante tentazione.
“E quindi?”, ribatté Bella con fare innocente.
“Mmm … come credi che potremmo giustificare una scena del genere?! Credo a Charlie verrebbe un infarto se ci trovasse così!”, esclamò lasciando un sonoro bacio sulle labbra di Bella.
“Uffa! Ma tanto ho chiuso la porta a chiave! Ti prego …”, supplicò con un filo di voce mentre la sua mano scendeva ad accarezzare il torace glabro e muscoloso di Edward, spingendosi sensualmente più in basso.
Una scossa di piacere fece sussultare Edward quando Bella racchiuse nella sua piccola mano il centro della sua virilità ed iniziò un lento ma deciso massaggio.
“Rilassati, amore …”, soffiò sulle sue labbra.
Con un rapido gesto fece distendere Edward sotto di lei, e senza mai lasciare la presa e mantenendo il ritmo, si adagiò sui suoi fianchi, sfregando la sua pelle accaldata su quella di Edward, imprimendo a tutto il suo corpo il ritmo che prima teneva solo la sua mano.
I lunghi capelli gli solleticavano il viso, facendo penetrare direttamente, dalle narici all’anima, il suo delicato profumo.
Edward era completamente stregato dal movimento dei suoi seni piccoli e tondi, così vicini al suo torace da sfiorarlo quasi.
Abbassò il capo ed accolse tra le labbra uno di quei piccoli frutti, turgidi e profumati, dedicandosi con perizia ad una lenta opera di suzione.
Bella iniziò a gemere silenziosamente e, ormai pronta ad accogliere nuovamente il suo seme, guidò la sua erezione verso il suo caldo ed umido porto.
Nuovamente furono una cosa sola, di nuovo i loro umori si mescolarono, mentre i gemiti morivano in gola, rispettando il saldo sigillo delle loro labbra.
Rimasero ancora uniti, incastrati nel loro atto d’amore, di cui restava soltanto qualche timida carezza e qualche brivido in cima ai capelli.
I love you”, esclamò Edward, baciando la fronte madida di sudore di Bella, completamente adagiata sul suo corpo, mentre i suoi muscoli si rilassavano, lasciando quell’urna calda diventata di nuovo troppo stretta.
“Anch’io amore”, rispose Bella, lasciando un dolce bacio sul collo di Edward prima di chiudere gli occhi e adagiarsi, stremata, tra le braccia di Morfeo.
Ma qualcuno aveva assistito a quel passionale amplesso, al di là della porta-finestra della camera di Bella, e verde di rabbia meditava vendetta.





 

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Capitolo 13
*** CAPITOLO XIII ***


 

CAPITOLO TREDICESIMO

 





Dopo aver spazzolato i suoi lunghi capelli, Bella infilò la camicia da notte di fine seta blu e si diresse verso il suo letto.
Si distese comodamente e prese il libro, che giaceva ormai da diversi giorni sul suo comodino, riprendendo la lettura dal punto in cui aveva interrotto qualche giorno prima, quando Edward era arrivato a sorpresa nella sua stanza, interrompendo i suoi già deboli propositi di dedicarsi allo studio della Commedia dantesca.
I versi che cantavano la triste sorte di Paolo e Francesca, inevitabilmente, condussero la sua mente al suo amato.
La forza dell’amore era qualcosa che da poco aveva imparato a conoscere. E, nonostante la tragica sorte degli amanti romagnoli, sul suo viso si dipinse un sorriso.
Amor vincit omnia, pensò Bella.
L’amore supera ogni confine, perfino quello della morte e del peccato, o presunto tale, che nell’immaginario dantesco confina i due giovani amanti ad essere trasportati da una violenta bufera, simbolo della passione travolgente che li avvolse in vita, per tutta l’eternità.
Francesca sarebbe appartenuta per sempre a Paolo, così come lei sarebbe appartenuta per sempre al suo Edward.
Le piaceva più del lecito paragonare i loro nomi a quelli delle coppie più celebri della letteratura.
Romeo e Giulietta, Tristano ed Isotta, Paolo e Francesca, Edward e Bella …
C’era una sorta di musicalità celata che legava come un filo sottile i loro nomi ad un destino ormai scritto, quasi fossero destinati a comparire nella memoria storica degli amori più belli e celebri.
Perché lo sentivano entrambi quel sentimento unico e travolgente tanto cantato dai poeti di ogni epoca. Non erano solo parole su carta. Erano sensazioni che prendevano forma attraverso uno sguardo, una parola, un gesto. Il loro amore era qualcosa a cui non potevano e soprattutto non volevano sottrarsi, necessario come l’aria.
Le loro strade si erano incrociate e proseguivano insieme il loro cammino, come due affluenti del grande fiume dell’Amore.
Era così persa a fantasticare sulle trame del destino, che le avevano fatto il dono più bello che potesse desiderare, da non accorgersi di un’ombra malvagia che si celava tra le pieghe della tenda, pronta a tendere un agguato non appena la vittima avesse compiuto un passo falso.
Bella volse uno sguardo alla sveglia. Le lancette segnavano le 23.30, era stanca e l’indomani sarebbe stata una lunga giornata, quindi decise di abbandonare la lettura delle anime dannate del V canto dell’Inferno e spense luce della lampada.
Il suo letto era troppo grande e troppo vuoto senza Edward.
Continuò a rigirarsi tra le lenzuola fresche, fino a trovare una posizione comoda. Era stesa a pancia in giù, con la testa girata verso la porta della sua stanza, le spalle rivolte alla finestra. Cercava di occupare quanto più spazio possibile con il suo corpo, quasi volesse colmare in ogni modo possibile il vuoto, nel suo letto e nel suo cuore, dell’assenza di Edward. Se avesse potuto, non si sarebbe separata dalla sua metà neanche per un istante.
Ma non poteva, c’erano ancora troppe questioni da chiarire …
Ad un certo punto, quando era già un passo in là nel mondo dei sogni, sentì due braccia cingerle i fianchi in malo modo e voltarla bruscamente dall’altro lato del letto.
Non era Edward, non poteva essere lui.
Troppo brusco e per nulla delicato.
Non fece in tempo a realizzare quello che stava succedendo ed assegnare un nome alla figura che aveva davanti a sé, che una lurida e viscida bocca si posò sulle sue labbra cercando qualcosa che non avrebbero mai trovato.
Il suo consenso ed il suo amore.
Bella iniziò a dimenarsi e scalciare, tentando di allontanare quell’essere malvagio, che, fino a qualche mese prima, credeva fosse il suo migliore amico.
“Lasciami! Lasciami! NOOOO!”, urlò quando le sue mani ruvide e tozze iniziarono a sbottonarle la camicia da notte.
“Zitta! Sta’ zitta!”, le intimò con un tono che Bella non conosceva.
Un lampo di paura attraversò i suoi occhi quando Jacob strappò la sua camicia da notte sul davanti, lasciandola nuda davanti ai suoi occhi spaventosamente famelici.
Si coprì i seni con le mani, continuando ad invocare un aiuto che sembrava non sarebbe mai arrivato.
“LASCIAMIII!! AIUTOO”, urlò con quanto fiato aveva in gola quando le mani di Jacob le scoprirono i seni dalla protezione delle sue mani ed iniziarono a toccarla con violenza.
“Credevo ti piacesse! Quando l’altro giorno ti toccava lui ti piaceva!”, rispose Jacob iniziando a toccare la sua intimità.
“Perché lui sì ed io no!? Cos’ha lui più di me?!”
“Io lo amo! E tu … tu potrai anche avere il mio corpo, ma non avrai MAI il mio cuore! Hai capito!? MAI!!”, urlò Bella mentre le lacrime di disperazione le rigavano il volto candido e le luride mani di Jacob si insinuavano tra le sue labbra intime.
“Ti piace?! Eh?! Ti piace?! L’altro giorno urlavi di piacere!!”, esclamò Jacob, ormai privo di senno, muovendo sempre più velocemente e violentemente le sue dita nell’intimità di Bella.
“Sei solo un pazzo!! LASCIAMI STAREE!”, urlò Bella mentre cercava di allontanare Jacob scalciando.
Ma sembrava che quei calci stimolassero ancora di più la sua violenza e la sua smania.
Ad un certo punto, quando sembrava che Bella non avesse più fiato in gola e lacrime da versare e stava per accadere l’irreparabile, Emmet spalancò la porta della stanza di Bella.
La scena che si presentò davanti ai suoi occhi lo rese completamente cieco.
Dopo averlo allontanato dal corpo di sua sorella, scaraventandolo per terra, iniziò a pestarlo con furia.
“MALEDETTO! Cosa credevi di fare?!”
Urlava e lo picchiava, lasciando ferite sul suo volto, che non erano nulla confrontate con la ferita intima che aveva provocato a Bella.
“Cosa sta succedendo qui?”, Charlie e Renee entrarono in camera di Bella, attirati dalle urla del loro primogenito.
“Emmet?! Cosa stai facendo?”, Charlie tentò di calmare la furia cieca di suo figlio, mentre Renee si avvicinò a Bella cercando di capire qualcosa riguardo a quello che stava accadendo.
Emmet descrisse a Charlie quello che aveva visto e dovette ricorrere a tutta la sua forza per evitare che uccidesse Jacob seduta stante.
“Jacob Black! Tu e tuo padre avete un’ora per lasciare la mia tenuta e non farvi vedere mai più, sono stato chiaro? Se solo vi avvicinerete, anche solo di un metro all’ingresso della masseria, giuro che vi ucciderò con le mie stesse mani!”


“Tesoro, calmati!”, Renee cercava di tranquillizzare sua figlia, inutilmente.
Bella tremava e piangeva, scossa da quanto le era accaduto.
Renee le aveva fatto fare un bagno caldo, poi l’aveva aiutata ad indossare una camicia da notte pulita. Ma a nulla erano servite tutte le sue cure materne.
“Mamma … ci penso io. Andate a letto, resto io con Bella per questa notte.”
Emmet riuscì a convincere i suoi genitori ad andare a letto, consapevole di conoscere l’unica persona che avrebbe potuto tranquillizzarla.
Dopo averla convinta che Jacob Black fosse finalmente sparito dalle loro vite, Emmet portò Bella fuori dalla sua stanza e si diresse, con sua sorella tra le braccia, ai piani inferiori.
Bussò più volte alla porta color noce fino a quando si aprì, rivelando un Edward molto assonnato.
Non appena vide chi fosse giunto ad interrompere i suoi sogni, fece entrare i suoi ospiti e prese Bella dalle braccia di Emmet.
“Cos’è successo?”, chiese Edward allarmato quando vide che Bella stringeva spasmodicamente la sua camicia e piangeva, senza proferir parola.
Emmet gli raccontò l’accaduto, senza risparmiargli i dettagli più brutali.
“DOV’E’?! DOV’E’?! IO LO UCCIDO QUEL CANE!”, fece per alzarsi, quando Bella aumentò la presa sulla sua camicia, piena delle lacrime della fanciulla, in una muta preghiera di inazione.
Edward aumentò le sue carezze rassicuranti sul capo della sua amata, stringendola più forte che poteva al petto e cercando di infonderle tutto l’amore che provava.
“Amore ..”, sussurrò Edward all’orecchio di Bella.
“Amore mio, non piangere … mi dispiace tanto”, disse Edward con tono mortificato.
“Bella, amore … ti prego. E’ tutto passato, ora ci sono io e ti giuro che non ti lascerò più sola neanche per un attimo”
“Ed-Edward!”, singhiozzò Bella, incastrando la testa nell’incavo del suo collo e respirando il suo profumo speziato misto a quello fresco delle lenzuola.
Prese due grossi respiri, e finalmente riuscì a rilassare e distendere un po’ i suoi muscoli.
“Emmet … credo sia meglio che Bella rimanga qui con me questa notte. Non mi sentirei tranquillo a non averla accanto ..”
Bella si voltò verso suo fratello, che era rimasto in silenzio fino a quel momento, rispettando il loro dolore, mentre Edward le stringeva la vita possessivamente.
“Certo, l’ho portata qui apposta. Non riuscirei a stare tranquillo neanche io, sapendola sola nella sua stanza. Domattina però, prima che si sveglino i nostri genitori, verrò a prenderla per accompagnarla nella sua stanza.”
“Grazie Emmet, buonanotte.”
“Grazie a te, Edward. Buonanotte ragazzi.”
Emmet posò un bacio sul capo di sua sorella ed uscì dalla camera di Edward. Bella strinse forte una mano di Edward tra le sue.
“Ti va di andare a letto?”, domandò Edward posando un bacio sulla guancia di Bella, mentre con la mano libera scendeva ad accarezzarle il mento.
La fanciulla annuì e, restando tra le braccia del suo amato, si accoccolò sul suo petto forte respirando il suo buon profumo.
“Però …”
“Dimmi amore, cosa c’è?”, chiese Edward apprensivo.
“Non spegnere la luce, ho paura …”
“Amore, non devi temere più nulla. Ci sono io con te … però se vuoi dormiamo con la luce accesa, così vedrai che ci sono io al tuo fianco. Io e nessun altro”, esclamò Edward, non senza nascondere un certo orgoglio.
“Ti amo”, sussurrò Bella posando un bacio leggero sulle labbra del suo amato.



ANGOLINO DELL'AUTRICE.

Buonasera a tutte/i ... So di essere in ritardo, ma sono stata davvero molto molto impegnata ... e sono stata anche privata della mia adorata connessione!
Ringrazio come sempre tutti coloro che seguono questa storia, i preferiti, quelli che l'hanno inserita tra le ricordate e anche chi legge soltanto. Ho risposto alle recensioni usando la nuova funzione di risposta immediata.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto ... aspetto le vostre opinioni a riguardo!
Ricordo l'altra storia che sto pubblicando I WANT TO KNOW WHAT LOVE IS .
Per chi volesse dare un'occhiata al canto di Paolo e Francesca cliccate qui : V CANTO.

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Capitolo 14
*** CAPITOLO XIV ***


CAPITOLO QUATTORDICESIMO

 





Quello che sarebbe potuto accadere, in quella notte di fine agosto, era diventato un argomento di cui si parlava poco alla masseria. In pochi erano a conoscenza del vero motivo per cui i Black erano stati cacciati dalla masseria, e quei pochi preferivano tacere o glissare sull’argomento quando qualcuno ne domandava.
Faceva male a tutti aver scoperto che tra quelle mura, che erano la casa di molti, si nascondeva un animo così vile. E ancora più turpe era l’averlo scoperto sulla pelle di una fanciulla pura come Bella.
Ma il tempo è un dio che guarisce tutte le cose. E lo sapeva bene Bella, che nonostante fosse stata vittima di un atto violento e malvagio, aveva trovato la forza ed il coraggio di dimenticare.
Edward non la lasciava sola neanche un istante. Appena terminava il suo lavoro alla masseria, correva dalla sua amata. Di notte, complice l’aiuto di Emmet, dormivano insieme, stretti in un abbraccio quasi soffocante, perché Bella non riusciva ancora ad addormentarsi da sola nella sua stanza. Purtroppo, Edward era comunque costretto a sgattaiolare via dalla sua stanza prima che sorgesse il sole, e, soprattutto, prima che si svegliasse Charlie.
Ma quella mattina era speciale. Era il giorno del compleanno di Bella, il 13 settembre, e lui non poteva non darle il buongiorno che meritava.
Alle prime timide luci dell’aurora, che tingevano di pesca le sue guance lisce e rosa, Bella iniziò a stiracchiarsi, scontrandosi con il petto caldo e forte di Edward, che aumentò la presa sulla sua vita.
Percorse con il naso la pelle candida del suo collo, riempiendosi le narici del suo profumo di lavanda e talco, che durante la notte aveva assunto una intensità tale da provocare reazioni nel suo corpo che sarebbe stato meglio evitare, e si divertì a solleticarle quella porzione di pelle così sensibile, tra il collo e l’orecchio.
“Mmm..”, mugugnò Bella, aprendo gli occhi.
“Good morning my lady and happy birthday!”, le sussurrò nell’orecchio con quell’accento Americano che faceva letteralmente impazzire la sua amata.
Bella sollevò il capo ed il suo sguardo si perse in quei due smeraldi che la guardavano con adorazione. Sorrise serena e posò un leggero bacio sulle labbra di Edward.
“Grazie”, sussurrò senza staccare le sue labbra da quelle di Edward.
Edward strinse Bella a sé e lasciò un bacio sul suo capo profumato. Rimasero per un po’ di tempo in silenzio, i loro toraci si riempivano e si rilassavano seguendo lo stesso ritmo, i loro cuori battevano all’unisono e probabilmente anche i loro pensieri vagavano sugli stessi orizzonti in quel momento.
Da quella notte la loro intimità era stata compromessa dalla violenza e dalla malvagità del gesto compiuto da Jacob. I loro contatti si limitavano a baci e carezze, Edward non osava chiedere nulla di più. Dio solo sapeva cosa avrebbe potuto fare se avesse avuto quel cane tra le mani .. ma era meglio che fosse il più possibile lontano da loro.
Amava Bella e sperava che, con il tempo e con la sua vicinanza, avrebbe presto dimenticato tutto e sarebbero ritornati alla consuetudine delle loro giornate.
Di sicuro, il fatto che in quel momento i suoi seni stessero vicinissimi alla pelle del suo torace, separati solo dalla leggera stoffa della camicia da notte e le sue gambe gli circondassero i fianchi non lo aiutava di certo a tenere buono il suo membro. E poi era ormai quasi l’alba …
Bella, evidentemente, si accorse che qualcosa di molto duro premeva sul suo ventre e qualcosa scattò in lei. Ma non era paura.
Era desiderio. Puro desiderio.
Prese ad accarezzare lascivamente il petto di Edward scendendo sempre più in basso. Scostò la stoffa dei pantaloni e superò anche la barriera dell’intimo giungendo alla sua meta. Appena impugnò il membro durò ed eccitato, però, Edward la fermò.
“No, Bella.”
“Perché?”, chiese lei, ad un tratto timorosa.
“Non .. non mi vuoi più? E’ per Jake … io, Edward ti giuro che non è successo niente … non è riuscito a ..”
Il suo flusso di parole fu arrestato da un bacio inaspettato e mozzafiato, un bacio come non se ne scambiavano più da tanto, troppo tempo.
“Tu davvero credi che io non ti voglia? E per di più per colpa di quel cane?”, domandò Edward.
“Ma allora, perché …”, cercò di replicare Bella.
“Amore, io credevo che non fossi ancora pronta, dopo quello che .. sì, insomma. Non voglio che tu faccia qualcosa di cui non sei sicura.”, disse accarezzandole le guance con le labbra.
“Edward, se c’è una cosa di cui sono sicura, sei tu ed il nostro amore.”
Non ci fu bisogno di aggiungere altro. Ogni altra parola sarebbe stata superflua in quel momento.
Edward eliminò gli ultimi ostacoli che gli impedivano di amarsi ed iniziò un lento processo di vezzeggiamento, alternando le dita alla sua lingua, mentre Bella faceva lo stesso con lui.
Quando il piacere inondò le rispettive bocche, ritornarono l’uno di fronte all’altra. Bella aveva le guance arrossate e le pupille dilatate, Edward respirava a fatica, carico delle emozioni appena provate.
Le loro bocche si unirono di nuovo nella danza dell’amore, e furono ancora una volta un solo corpo ed un’unica anima.
E come le onde del mare si infrangono, sospinte dal vento, contro gli scogli, raggiungendo picchi di roccia sempre più alti, così il piacere travolse i due giovani amanti, che, stremati, si adagiarono sorridenti tra le braccia di Morfeo.
Era appena sorto il sole all’orizzonte, quando la mente malata di Jacob Black decise di mettere in atto il suo piano malefico : distruggere ciò che di più prezioso e fruttifero c’era alla masseria Swan.





Buon Natale e buon S. Stefano! Poichè non so se riuscirò a postare prima di Capodanno, vi faccio anche i miei migliori auguri di un felicissimo anno nuovo. Spero che vi stiate divertendo in questi giorni di festa e vi auguro di trascorrerli al meglio! Buona giornata, un bacione!

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Capitolo 15
*** CAPITOLO XV ***


CAPITOLO QUINDICESIMO

 

 

 

 



Avrebbe voluto fare colazione con la sua famiglia, quella mattina, Charlie. Sarebbe uscito di casa presto, per iniziare il lavoro nei campi, e poi sarebbe rientrato per stare con la sua famiglia, tutta la giornata. Come di consueto, avrebbe voluto fare gli auguri alla sua bambina, che quel giorno compiva sedici anni. E invece …
"Un corvo che gracchia! Cattivo presagio.”, esclamò quella mattina Charlie, sull’uscio di casa.
E per una volta, non si trattava di una banale credenza popolare.
Dovette sbattere più volte le palpebre, prima di rendersi conto che, quello che si trovava di fronte ai suoi occhi, non fosse un’allucinazione.
Le fiamme si ergevano alte del cielo, le urla disordinate ed acute si spargevano a macchia d’olio nella tenuta, i fattori, le mogli e perfino i bambini, correvano e si agitavano di fronte al disastro che si stava abbattendo sul vigneto.
Era una calda mattina di settembre, era il 12 settembre, giorno della vergine Maria, motivo per il quale la giovane Isabella portava come secondo nome proprio quello della Madonna.
Il sole brillava sulle teste della folla, le nuvole ridenti imbiancavano il cielo turchese; tutto, anche il gracidare lontano delle rane, nel fiume, contrastava con quello che stava accadendo : la masseria bianca era diventata l’inferno, incastonata in una cornice quasi paradisiaca.
“Il vigneto sta andando a fuoco!!”
“La vigna prende fuoco!!! PRESTO, PRESTO! SPEGNETE LE FIAMME!”
“Oh mio Dio”, Emmet si congelò di fronte al disastro che stava distruggendo l’enorme vigneto della masseria Swan.
“Emmet! Emmet! Dov’è Edward?! Abbiamo bisogno di lui!”, urlò Charlie, mentre tentava, disperatamente, di domare le fiamme.
“Edward … vado a cercarlo, papà!”
Corse all’interno della casa, salì le scale, e si diresse verso la stanza di sua sorella. Sapeva che l’avrebbe trovato lì.
Spalancò la porta della stanza, senza preoccuparsi di dover bussare, ed iniziò ad urlare, incurante del fatto che i due giovani stessero ancora dormendo.
“Edward! Edward! Presto … il vigneto sta andando a fuoco! Corri! Scendi giù con me!”
“COSA?!”, urlò Bella, spaventata.
Edward non proferì parola, congelato dalle urla di Emmet. Non avrebbe voluto risvegliarsi così quella mattina. Non dopo la gioia provata qualche ora prima. Avrebbe voluto riempire di baci il viso di Bella, sussurrarle dolci parole all’orecchio, avrebbe voluto trascorrere con lei tutta la giornata, farle di nuovo gli auguri. Avrebbe voluto rendere speciale il giorno del suo compleanno.
E invece, la allontanò delicatamente da sé, le baciò il capo e poi le labbra, infilò i pantaloni e la camicia e proprio mentre stava per alzarsi dal letto, un’altra cosa, che non avrebbe mai voluto accadesse, si verificò.
Charlie aveva seguito Emmet, preoccupato dall’assenza di Edward dai campi, dal momento che iniziava a lavorare sempre molto presto.
“Tu .. tu … cosa ci fai nel letto di MIA FIGLIA?!”, urlò, rasentando l’isteria, Charlie.
Edward impallidì, incapace di parlare e di muoversi, Bella nascose il viso dietro le spalle di Edward ed Emmet rimase pietrificato di fronte a suo padre.
Charlie si avvicinò come una furia ad Edward, lo tirò per il collo della camicia ed iniziò a malmenarlo.
“PAPA’! PAPA’!!! FERMOO!”, urlò Bella iniziando a piangere.
Emmet si riprese dall’iniziale stato di afasia ed acciuffò suo padre dalle spalle, cercando di tenerlo il più lontano possibile da Edward.
“Basta papà! Non è il momento, ora. Abbiamo un incendio da domare!”
“Io ti ammazzo! Se solo scopro che l’hai toccata con un dito! FUORI DA CASA MIA!”, continuava ad inveire Charlie, investito da una furia cieca.
“Papà, abbiamo bisogno di lui. Non ha fatto nulla. Andiamo a spegnere l’incendio, poi risolveremo anche questa faccenda”, tentò di calmarlo Emmet, stupendosi della sua stessa calma.

Non fu affatto semplice domare le fiamme e il buon Charlie, alla fine, dovette ammettere che la presenza di Edward era stata provvidenziale.
Era riuscito a mettere in salvo un ceppo di vite con la radice che ancora non era stato contaminato dalle fiamme; una volta ripulite le ceneri del vigneto lo avrebbero innestato di nuovo nel terreno ed il Primitivo Swan avrebbe continuato ad esistere e rallegrare gli animi.
Eppure, Charlie non riusciva a perdonare Edward.
Si sentiva tradito, da sua figlia e da un ragazzo che aveva accolto come un figlio, tra le mura della sua casa.


“Vieni qui, Edward. Ti controllo se c’è qualche lussazione alle spalle, mio cognato è minuto ma molto forte!”, sorrise bonariamente Carlisle.
Edward si avvicinò timoroso al dottore e sperò con tutto il cuore che lo visitasse senza fargli togliere gli indumenti.


Nella stanza c’erano Emmet, Carlisle, Edward e da poco anche Charlie aveva deciso di controllare le condizioni di salute di quel ragazzo, a cui, nonostante tutto, voleva un gran bene.
“Chi credete possa essere stato?”, chiese con voce rotta dalla rabbia e dall’amarezza Charlie, indicando con il capo i resti del vigneto, che si potevano scorgere dalla finestra dello studio di Carlisle.
“Non saprei, Charlie …”, rispose Carlisle mentre era impegnato a disinfettare le escoriazioni presenti sul viso di Edward.
Emmet ed Edward si lanciarono uno sguardo complice e decisero di intervenire in quella conversazione rivelando i loro, più che fondati, dubbi.
“Papà, io credo di sapere chi sia stato.”
“Come fai ad esserne certo, Emmet? Chi potrebbe volerci così male?”, e proprio mentre dava voce alla domanda, la risposta fu chiara al barone Swan.
“Jacob Black”, sussurrò chinando il capo e stringendo i pugni fino a far diventare le nocche delle mani bianche, nonostante lo strato di fuligine che vi si era depositato.
“Avrei dovuto assicurarmi che fossero abbastanza lontani da qui, forse tutto questo non sarebbe accaduto. Io non capisco neanche il motivo per cui si sia comportato così male nei nostri confronti, mancando di rispetto a Bella”, rivolse lo sguardo a Edward e scorse un lampo di rabbia attraversargli gli occhi.
“Non è colpa tua, Charlie.”, per la prima volta da quella mattina Edward gli rivolgeva di nuovo la parola con normalità, come se quella scena in camera di Bella non ci fosse mai stata.
“Jacob Black sapeva di me e di Bella. Ci aveva scoperti e minacciati. Era geloso del sentimento che ci lega. Quel cane …”, ringhiò Edward.
“Edward, togli la camicia, devo controllare se ci sono ferite o escoriazioni anche sulle spalle”.
Edward impallidì e dopo un istante di esitazione sbottonò con lentezza la camicia e la sistemò su una sedia.
Carlisle si avvicinò subito alla cicatrice rossa, resa ancora più evidente dal pallore di quella parte del corpo, sempre coperta da vestiti, e toccò lievemente i tratti in rilievo di quella che era la piastrina del soldato Masen.
Lesse ad alta voce quello che era marchiato a fuoco sulla pelle del giovane.


U.S. ARMY
376259
MG EDWARD MASEN


“Cosa …”, tentò di articolare Charlie.
“E’ arrivato il momento di dirvi chi sono veramente.”, intervenne deciso Edward.









Nell’ultimo capitolo che avevo postato vi avevo fatto gli auguri di buon Natale e felice anno nuovo, ora sarei in ritardo perfino con gli auguri di buona Pasqua …
Se qualcuno di voi segue anche l’altra mia storia
I WANT TO KNOW WHAT LOVE IS avrà letto che non sono proprio in pari con le pubblicazioni (ma và, posti dopo 3 mesi!) per via di vari motivi che non elencherò, dal momento che non mi va di annoiarvi.

 

Vi dico solo che avevo iniziato a scrivere questo capitolo il 5 febbraio. Mi è preso un colpo quando ho letto la data dell’ultima modifica del file! Ieri sera sono stata colta da un’ispirazione improvvisa e, ignorando bellamente la sveglia che è suonata presto stamattina, mi sono rimessa a scrivere e ho terminato il capitolo in meno di un’ora. Però la connessione mi ha abbandonata ed è ritornata solo ora.

Detto ciò, spero che il capitolo vi piaccia. Spero che non vi siate dimenticate di me e della mia storia e mi auguro che continuerete a seguirmi.

- La citazione di Charlie all’inizio del capitolo "Un corvo che gracchia! Cattivo presagio.”, è una battuta di Euclione – tratta dalla Commedia della Pentola di Plauto.

- L’incendio della vigna e la storia del ceppo, che resiste alle fiamme e verrà ripiantato, è liberamente tratto dal film “Il profumo del mosto selvatico”, se non lo avete fatto, vi consiglio di vedere questo meraviglioso film.

-L'immagine è uno scatto fatto durante le riprese del film "Water for elephants".

Al solito, grazie a tutte voi che leggete, mi seguite con tanta pazienza ed affetto, e recensite.
Potrà sembrare banale, ma è vero che quando l’ispirazione cala sapere che qualcuno leggerà e magari ti farà conoscere la sua opinione su quello che hai scritto è un incentivo per continuare a scrivere.

Buona serata, alla prossima.
Un bacio.




 

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Capitolo 16
*** CAPITOLO XVI ***




CAPITOLO SEDICESIMO

 

 

 

 





Edward raccontò ai tre uomini della masseria la sua storia. Le loro facce, dapprima incredule, alla fine del racconto non riuscirono a nascondere il dolore e la compassione per quel ragazzo, che a causa delle crudeltà della guerra, aveva dovuto sopportare dei dolori così grandi alla sua giovane età.
Quando finì di parlare, Carlisle gli strinse una spalla, in un gesto molto paterno, Emmet aprì le sue braccia robuste, per accogliere quello che ormai era un fratello per lui in un abbraccio e Charlie, che era rimasto in disparte per tutto il tempo, si avvicinò a Edward e con gli occhi lucidi, gli disse :
“Mi dispiace moltissimo … io non ho parole. Posso solo immaginare il dolore che hai provato. Hai sofferto tanto, troppo, per la tua giovane età. Posso assicurarti che fino a che resterai qui con noi, non dovrai temere nulla. Nessuno oserà più farti del male, te lo prometto.”
“Charlie … io … grazie. E ti chiedo scusa, perdonami se puoi. Non volevo mancarti di rispetto, ma ti giuro che amo tua figlia più della mia stessa vita e non avrei mai osato disonorare lei o la vostra famiglia.”
Charlie gli diede una pacca sulla spalla e gli sorrise :
“La nostra famiglia, Edward. La nostra.”



Per tutta la mattinata, gli abitanti della masseria furono impegnati nella pulitura del disastro causato dalle fiamme; intanto a casa Swan, Bella non riusciva a stare tranquilla.
Era in ansia per Edward, temeva che suo padre lo avrebbe mandato via; era preoccupata per l’ incendio e non aveva bisogno di usare la fantasia per capire chi lo avesse appiccato ed incapace di ascoltare anche un solo minuto in più le paranoie di sua madre riguardo a quello che era successo quella mattina nella sua stanza, decise di andare a trovare l’unica persona - che era sicura - l’avrebbe tranquillizzata.



“Bella, tesoro! Buon compleanno”, nonna Isabella allargò le braccia per accogliere sua nipote.
La fanciulla si rifugiò in quel caldo abbraccio profumato di mandorle dolci, proprio come quando era bambina.
“G-gr-az-ie”, sussurrò con la voce rotta dal pianto.
Senza rendersene conto, aveva iniziato a piangere. Aveva accumulato tante preoccupazioni, troppe e tutte insieme : prima Jacob, poi suo padre, Edward, l’incendio …
“Sfogati, piccola mia. Sfogati …”, sussurrò dolcemente nonna Isabella, mentre accarezzava il capo di sua nipote.
Quando con l’ultima lacrima scivolò via anche l’ultimo pensiero, Bella si staccò dall’abbraccio materno di sua nonna e si sedette accanto a lei.
“Cos’è successo, piccola? Come mai tutte queste lacrime proprio il giorno del tuo compleanno?”, domandò amorevole la nonna.
“Nonna, sono preoccupata … io … papà stamattina è entrato nella mia stanza e …”,
Non provava alcuna vergogna a raccontare a sua nonna di essere stata trovata in un momento di intimità con Edward da suo padre, ma sua nonna interruppe il suo racconto.
“Aspetta. Aiutami ad alzarmi e andiamo di là. Victoria ha appena sfornato il pane e sono certa di aver sentito anche un buon profumo di dolce. Vieni, tesoro … non c’è niente di meglio che fare due chiacchiere davanti ad una tazza di tè ed una fetta di torta.”
Nonna Isabella aveva un ottimo olfatto: infatti nel salotto antistante la sala da pranzo, Victoria stava riponendo in un vassoio una crostata di marmellata di pesche.
“Mmm … che profumino!”, esclamò Bella.
“Victoria, ci prepari una tazza di tè?”, domandò nonna Isabella mentre si accomodava sulla poltroncina sorreggendosi a sua nipote.
“Certo, donna Isabella.”
“Allora, vediamo un po’ se il sapore di questa crostata è tanto delizioso quanto il suo odore.”
La nonna divise la crostata in spicchi, a raggiera, e ne porse una fetta a sua nipote. Poi ne prese una anche per sé e prima di invitare Bella a continuare il suo racconto, i ricordi bussarono prepotenti alle porte della sua memoria e una lacrima sottile scese dai suoi occhi.
“Nonna, che succede? Tutto bene?”, chiese Bella preoccupata quando vide gli occhi di sua nonna farsi lucidi.
“Va tutto bene tesoro, non è niente. Ad una certa età - alla mia età – si diventa più sensibili al tempo che scorre ed alcuni gesti quotidiani, certi profumi e sapori, mi riportano alla mente dei ricordi, ma non mi restituiscono le persone che continuano a vivere lì, nei miei ricordi.”
Bella capì che sua nonna si stava riferendo ai ricordi di suo nonno; sebbene fossero trascorsi quasi sette anni dalla sua morte, la nonna soffriva ancora molto per la perdita del suo grande amore.
“Vedi, da quando il nonno non c’è più, cerco di evitare il più possibile di trascorrere del tempo da sola in certe parti della casa. E questo salotto è una di quelle. Tu potresti chiedermi : “Ma come nonna! Continui a dormire nella camera da letto che hai condiviso con lui per una vita e non riesci a trascorrere del tempo in un banale salotto?” Beh, questo salotto è più di un talamo nuziale. Questo salotto è stato testimone di tutti i giorni della nostra vita, se potesse parlare ne avrebbe di cose da raccontare!

 



Ogni giorno, ogni santo giorno che Dio ci ha donato, che ci fosse la neve o il solleone, che fosse tempo di vendemmia o di semina, io e tuo nonno, dopo aver pranzato e cenato, quando tuo padre e tua zia erano ormai nelle loro camere a riposare, ci mettevamo seduti qui, con una tazzina di caffè in mano e ci raccontavamo quello che era accaduto nei momenti della giornata, in cui eravamo stati separati, impegnati nelle reciproche faccende. A volte, prima di andare a letto leggevamo qualche verso o qualche racconto.
E’ qui che gli ho annunciato che sarebbe diventato papà, è sempre qui che abbiamo deciso di mandare i nostri figli a Parigi per studiare; è qui che ho dovuto calmarlo perché voleva imbracciare il fucile e sparare contro tuo zio Carlisle che aveva osato mettere incinta la sua bambina!”
Nonna Isabella sorrise a quel ricordo, tra le lacrime.
“Ed è qui, che quando ancora era lucido e la malattia gli permetteva ancora di camminare, seppur tremando, ha voluto sedersi accanto a me, prendere il suo ultimo caffè e dirmi, stringendomi la mano, che amava tanto e tanto mi aveva amata, e che mi ringraziava per averlo amato a mia volta ed avergli regalato una vita felice.”


Prese il fazzoletto che teneva sempre ripiegato nella manica ed asciugò le lacrime che erano arrivate a lambirle le labbra.
“Mi sembra ancora di vederlo qui, seduto sulla poltroncina dove ora ci sei tu. Se mi concentro abbastanza nei miei ricordi, mi sembra di sentire il suo profumo di colonia e tabacco che poi si mischiava a quello del caffè. Mi piaceva tanto quel suo profumo particolare. Era unico. O forse, era unico per me che ne ero follemente innamorata.”
“Oh, nonna!”, sussurrò Bella alzandosi per abbracciarla.
La fanciulla si era commossa ascoltando il racconto di sua nonna ed in cuor suo sperava di poter vivere anche lei una vita lunga e felice con l’amore della sua vita, proprio come i suoi nonni.
“Oh piccola, non voglio farti piangere con i miei ricordi! Cosa mi stavi raccontando?”
Nel frattempo arrivò Victoria che servì il tè a Bella e a sua nonna per poi ritornare in cucina a preparare il pranzo.
Bella sorseggiò un po’ di tè e cominciò a parlare.
“Nonna, dalla notte in cui Jacob si è intrufolato nella mia stanza, io non riesco più a dormire da sola. L’unica persona con cui mi sento al sicuro e protetta è … Edward.”
La nonna sorrise, ed in quel sorriso c’era la comprensione di una donna che aveva capito perfettamente cosa intendesse sua nipote, andando al di là delle sue parole, ed un invito a continuare il suo racconto.
“Da quella notte, non mi lascia sola nemmeno per un istante. Passa con me tutto il tempo che ha a disposizione, di giorno e di notte. La mattina, va via presto per andare a lavorare e soprattutto prima che papà e mamma si sveglino. Stamattina, quando è scoppiato l’incendio, Emmet – che sa di noi due – è venuto a cercarlo in camera mia. Non si è accorto però che papà lo stava seguendo e così ha trovato Edward nel mio letto.”
Prese un altro sorso di tè, mentre nonna Isabella attendeva che continuasse il suo racconto. Sperava davvero che suo figlio sarebbe stato in grado di comprendere ed accettare quello che il cuore di sua figlia aveva scelto, proprio come lei aveva cercato di insegnargli.
“Si è infuriato, dovevi vederlo nonna! Ha iniziato a picchiarlo, per fortuna Emmet lo ha fermato altrimenti lo avrebbe ucciso! Io … ho paura! Non so come sta, non so dov’è … sono andati a spegnere l’incendio ed ormai sono ore che le fiamme sono state domate, ma nessuno di loro tre è tornato a casa!”
Nonna Isabella scosse il capo ed allungò un braccio per accarezzare il volto preoccupato di sua nipote.
“Tesoro, immaginavo che la luce che vedevo nei tuoi occhi fosse frutto dell’amore; ma non ti ho chiesto nulla, aspettavo che venissi tu stessa a raccontarmelo, sapevo che prima o poi lo avresti fatto, proprio come è accaduto. Se conosco bene mio figlio, puoi stare tranquilla sulle condizioni di Edward. Magari, ora sono tornati … perché non vai a vedere?”
“Sì, forse ora sono tornati … hai ragione nonna! E scusami se non sono venuta prima a raccontarti di Edward, ma è successo tutto così in fretta e poi c’è stato Jacob e …”
“Shhh, non ti preoccupare tesoro. L’importante è che tu sia felice. E’ così bello vederti brillare grazie all’amore.”
“Ti voglio bene, nonna”, disse Bella abbracciando sua nonna e baciandole una guancia.
“Anch’io piccola mia e fammi sapere come sta Edward!”
“Certo nonna!”


Scese le scale esterne e decise di fare il giro lungo, passando dal retro della villa di sua nonna, per evitare di incontrare chiunque avesse potuto farle domande. Non voleva vedere nessuno, se non Edward. Aveva bisogno di assicurarsi che stesse bene.
Si sentiva agitata.
Passando per la cucina e la lavanderia, si fermò a salutare Rosalie e sua madre, impegnate a fare il bucato.
La sua attenzione fu catturata dal mastello dove giacevano, coperte dalla cenere, le pezze che tutte le donne della masseria utilizzavano una volta al mese.
Rosalie stava trasportando faticosamente un grande calderone pieno di acqua bollente e solo quando la nube di vapore, che si sollevò nel momento in cui l’acqua fu versata sulle pezze, investì le narici di Bella portandola a boccheggiare, si rese conto che c’era qualcosa che non andava.
O meglio qualcosa che non arrivava.
Il suo ciclo mestruale.

















NOTE.

Una delle domande che mi sono sempre posta – e che forse anche voi vi sarete poste – è : “Come facevano le donne quando non esistevano gli assorbenti?”
Beh, la risposta arriva dai racconti della mia nonnina! Le donne, prima degli assorbenti, usavano delle “pezze” in cotone che venivano fissate ad un elastico tramite una spilla da balia. Anche i pannolini dell’epoca erano più o meno fatti allo stesso modo.
Venivano messe a bagno e poi ricoperte da una tela, a sua volta ricoperta di cenere, il detersivo dell’epoca, nonché potente disinfettante e sbiancante!
Ci si versava dell’acqua bollente, per continuare l’opera di “disinfezione”, e poi venivano stese al sole.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, ringrazio tutte le persone che hanno letto il precedente e che lo hanno recensito.
Un grazie speciale a danybor che ha segnalato questa storia tra le scelte!
Grazie a tutti i preferiti, a tutti quelli che seguono e a chi legge soltanto.
Alla prossima, un bacio!

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Capitolo 17
*** CAPITOLO XVII ***


 

CAPITOLO DICIASSETTESIMO

 

 

 

 





“Assaggia questo!”, esclamò Bella, avvicinando l’anellino di pasta di pane croccante alle labbra di Edward.
“Cos’è?”, domandò Edward curioso.
“Tarallini. Una specialità pugliese. Sono buonissimi, assaggia.”
Edward addentò il tarallino e iniziò a masticare con gusto quella delizia croccante. La consistenza farinosa riempì il palato di Edward : il gusto salato dell’impasto, l’aroma inconfondibile dell’olio evo, la freschezza dei semi di finocchio che venivano tritati dai denti.
“E’ delizioso!”
“Visto? Te l’avevo detto! Prendine un altro! Ma ti avviso, i tarallini sono come le ciliegie : uno tira l’altro!”
Edward e Bella stavano facendo merenda sotto la grande palma, dove avevano trascorso la maggior parte dei loro pomeriggi insieme : ormai potevano vivere il loro amore liberamente. Tutti sapevano di loro due e avevano accettato di fronte alla potenza dell’amore la loro relazione.
Erano trascorsi dieci giorni da quando la loro relazione era stata scoperta e dieci giorni da quando Bella aveva capito di essere incinta. Non ne aveva parlato con nessuno, soltanto con suo zio Carlisle. Sebbene fosse molto imbarazzata, la professionalità e la discrezione di suo zio l’avevano tranquillizzata e dopo avergli descritto la situazione ebbe conferma della sua condizione.
Ma non aveva ancora detto niente a Edward. Aveva forse paura che non avrebbe gioito come stava silenziosamente facendo lei da dieci giorni a quella parte?
Mentre i due innamorati godevano del calore degli ultimi pallidi raggi del sole di settembre, un ragazzo in divisa alto, robusto e bello come il Sole, si avvicinò claudicante alla palma e per poco non cadde ai piedi dei due ragazzi per via delle numerose ferite che aveva.
“Ma cosa...” balbettò Bella, spaventata.
“Michael?! Mike sei tu?!” urlò Edward cercando di sostenere il militare che era caduto in terra e che non riusciva più a parlare, un po’ per il dolore un po’ per la sorpresa di aver trovato un suo commilitone.
“E—e-dward?! Sei vivo? Oppure sono morto io?”, farfugliò confusamente il giovane.
“Sei vivo Mike, siamo vivi entrambi! Ma come sei finito qui? Cosa è successo?”, domandò Edward felice di aver ritrovato un suo caro amico e compagno d’armi, seppure non nelle migliori condizioni.


Svenne, probabilmente per il dolore, ma fortunatamente erano già arrivati alla masseria. Il buon Carlisle si prese cura di lui e la minestra che aveva preparato Rosalie lo rimise subito in sesto.
“Allora? Come stai? Che fine hai fatto dopo… beh, dopo quella mattina…”, chiese esitante a Edward.
Li avevano lasciati soli, perfino Bella che non si staccava mai dal suo amore, aveva capito che Edward doveva sistemare ancora alcuni aspetti della sua vita prima dell’arrivo alla masseria. E doveva farlo da solo.
“Sono scappato, Mike. Avevo paura ero terrorizzato. Non so neanche io quanto ho camminato, non ricordo se mi sono mai fermato, se ho dormito. I miei ricordi cominciano qui, in questo quadrato di terra baciato dal sole. Una mattina mi sono svegliato disteso in un campo di grano e accanto a me ho trovato la ragazza più bella che avessi mai visto. Credevo di essere morto ed essere giunto in Paradiso! Gli Swan sono persone meravigliose: mi hanno accolto come un figlio, mi hanno dato vitto, alloggio e lavoro; mi hanno dato il calore di una famiglia e soprattutto mi hanno ridato la speranza di vivere. Dopo la morte di Anthony, dopo tutte le brutalità della guerra, credevo che non sarei stato più in grado di restare in questo mondo. Mi sentivo vuoto, freddo, non provavo più neanche dolore. Ma poi ho incontrato lei, Bella, l’amore della mia vita. Lei mi ha fatto rinascere. Ma ora raccontami di te! Come sei arrivato fin qui?”
“Sono molto felice per te, Edward. Credevo … ho temuto che fossi morto, fratello. Sei sparito così, senza dire niente, senza lasciare un segno, una traccia … Non avrei mai e poi mai immaginato di incontrarti di nuovo! Non sai quanto sono felice!”
I due amici si abbracciarono e calde lacrime scesero sui loro volti.
“Dopo che tu sei andato via, ci siamo spostati a Brindisi. Sono arrivati nuovi comandanti, hanno mandato via tutti i vecchi dopo che io e le altre matricole abbiamo raccontato al generale Bratel delle angherie che abbiamo dovuto subire e dopo che … insomma, dopo avergli raccontato di tuo fratello. Edward, i tedeschi ormai sono alle strette. Dopo la presa di Roma e l’operazione Overlord in Normandia i tedeschi hanno incassato una serie di perdite. La guerra è quasi finita, Edward. Io sono rimasto ferito quando abbiamo attaccato la caserma dei tedeschi a Brindisi, ma l’abbiamo presa! Se ne stanno andando verso nord, dove ci sono ancora i fascisti. Quasi tutto il sud è libero e gli italiani sono con noi. Hanno creato un movimento di resistenza incredibile. Mai vista una cosa del genere! Appena sarò di nuovo in forze, tornerò a Brindisi per le ultime operazioni belliche. Edward, vieni anche tu. Sei un ottimo elemento, uno dei migliori. L’esercito americano ha bisogno di te, il mondo ha bisogno di te. Pensaci, amico mio.”

“Amore, sei pensieroso…”
Bella si rannicchiò tra le braccia di Edward e cercò il suo sguardo.
“A cosa stai pensando? A quello che ti ha detto Mike, non è vero?”, domandò Bella temendo di aver intuito la causa dei pensieri di Edward.
“No, no Bella. Sta’ tranquilla.”, le sorrise e le baciò le labbra.
“Edward ti conosco fin troppo bene e so che qualcosa ti sta balenando in testa.”, continuò Bella incrociando le braccia al petto.
“Non riesco proprio a nasconderti niente, eh?”, sorrise bonario Edward.
Sospirò e cominciò a parlare.
“Bella, quando sono arrivato qui, avevo perso tutto: mio fratello, la mia carriera, me stesso. Non mi aspettavo più niente dalla vita, attendevo solo la morte, la fine delle sofferenze, l’annichilimento. Quando mi sono svegliato su quel campo di grano, ho trovato te, la mia vita; ho trovato una famiglia, ho ritrovato la speranza vivendo qui giorno dopo giorno seguendo il ritmo della terra e delle stagioni. Ho trovato una tranquillità che non mi era mai appartenuta. Oggi parlando con Mike, ho completato il quadro della mia vita, l’ultimo tassello mancante è tornato al suo posto. Bella, io sono un soldato. Ho giurato fedeltà alla mia nazione, alla bandiera americana. Io devo tornare dai miei commilitoni, devo liberare questo Paese dalla guerra. Lo devo al mondo, alla tua famiglia, a me e a mio fratello. Non piangere amore, ti prego.”
Bella non si era neanche accorta di aver iniziato a piangere e ad un tratto si ritrovo a singhiozzare sul torace forte del suo amato, respirando forte il suo profumo.
“Ho paura, Edward. Non voglio perderti …”
“Non ti libererai di me così facilmente, signorina!”, scherzò Edward, cercando di rendere la situazione più leggera. Era consapevole dei rischi che correva tornando a combattere.
“Bella … guardami.”
La fanciulla obbedì.
“Io ti amo e non potrei vivere lontano da te. Morirei, all’istante. Ti giuro che tornerò sano e salvo e appena la guerra sarà finita, potremo finalmente vivere in pace il nostro amore.”
“E’ una promessa?”, domandò Bella, con la speranza nel cuore.
“Sì.”







Ehm ehm ehm …
Non sono in ritardo di più.
Non sono imperdonabile, molto ma molto di più.
Non è da me promettere aggiornamenti più rapidi e poi aggiornare dopo … ok, evito di guardare la data dell’ultima pubblicazione per evitare un colpo!
L’unica cosa che posso fare è chiedervi umilmente scusa per il ritardo e sperare che il capitolo vi sia piaciuto e che la storia continui ad appassionarvi. Grazie a chiunque leggerà e continuerà a seguirmi.
Nei prossimi giorni aggiornerò anche l’altra fan fiction :)
Buona Immacolata, a presto!



NOTE.
Gli eventi storici citati ovviamente sono realmente accaduti :
- L'operazione Overlord;
- Gli avvenimenti del 1944 ;
- La Resistenza

Mi sono concessa qualche licenza storica riguardo alla presa della caserma tedesca di Brindisi e alla fuga dei tedeschi verso nord, ma per il resto ho cercato di rimanere il più possibile fedele agli avvenimenti.



Ah, e per chi non li conoscesse - ma dubito che esistano persone che sono all'oscuro dell'esistenza di questa delizia! -,
i TARALLINI! Diverse sono le origini della parola “TARALLO”; alcuni pensano che derivi dal latino “TORRERE” (tostare), altri dicono che derivi dal greco “DARATOS”( un tipo di pane) o dall’italico “TAR” (avvolgere). Il tarallo in origine nasce come un prodotto consumato da contadini quando si spostavano per curare i loro raccolti ed erano lontani da casa per molti giorni. Durante il XVIII sec. I fornai usavano per arrotolare e poi infornare i resti della pasta del pane: così si formavano degli anelli dorati, chiamati TARALLI. Iniziarono a diventare importanti quanto il pane e la gente li accompagnava con il vino. Durante i secoli il TARALLINO pugliese veniva poi elaborato con vino, olio d’ oliva e farina di grano tenero. [Tratto da http://www.taralli-pugliesi.it/storia.htm]



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Capitolo 18
*** CAPITOLO XVIII ***




CAPITOLO DICIOTTESIMO

 

 

 

 





Ottobre era arrivato e aveva portato con sé i primi segni dell’autunno. Nei giorni seguenti l’arrivo di Mike c’erano stati forti temporali, che avevano costretto tutti gli abitanti della masseria a lasciare i consueti lavori e a restare nelle proprie abitazioni, ognuno perso nei propri pensieri o impegnato in faccende domestiche.
Alice pensava a qualche nuovo abito da cucire per l’inverno, Renee aveva iniziato a ricamare lenzuola e coperte per sua figlia, quasi avesse avuto un presagio di quel che sarebbe accaduto nei mesi seguenti; Esme preparava il programma di studio per le ragazze per il nuovo anno scolastico, Carlisle aveva avuto molto da fare a curare feriti dell’esercito americano, Rosalie e sua madre preparavano conserve per l’inverno, Emmet e Jasper si erano occupati della ristrutturazione del frantoio, per evitare che la pioggia peggiorasse le condizioni delle vecchie mura; Bella era sempre più agitata perché non riusciva a trovare un momento libero per dire a Edward che era in dolce attesa. Edward, dal canto suo, aveva sempre più paura del suo rientro in guerra: temeva che non avrebbe più potuto rivedere la sua amata Bella.
Il povero Charlie era divorato dalle preoccupazioni e dai pensieri: da una parte era orgoglioso della scelta di Edward di ritornare a combattere, si fidava di lui e lo stimava molto; d’altra parte temeva per la reazione di sua figlia e per qualunque cosa sarebbe potuta accadere in guerra al ragazzo straniero, venuto da lontano, che ormai considerava come un figlio.
In una fredda mattina di ottobre, quando il sole non era ancora sorto e una fitta nebbia avvolgeva tutto quello che aveva intorno, due figure si stavano allontanando dalla masseria alla volta di Brindisi.



“Edward, questa mattina Charlie mi ha portato con sé a Brindisi. Ho incontrato il generale e gli ho parlato di te. Si è illuminato quando ha sentito il tuo nome; la tua fama dopo che sei sparito è cresciuta a dismisura. Edward, non vedono l’ora che torni a combattere con noi. Carlisle pensa che ormai mi sia ripreso e possa ritornare in campo. Tra due giorni partiamo per il Nord Italia, di notte. Domani vogliono discutere tutti i dettagli del piano e vogliono che siamo tutti presenti. Quindi …”
“Quindi questa è la mia ultima notte qui, giusto?”
“Giusto. Mi dispiace che stia accadendo tutto così in fretta, ma dobbiamo approfittare di questo momento favorevole. Un giorno in più e potrebbe essere troppo tardi per qualcuno. Sai com’è lì fuori Edward, lo sai molto meglio di me.”
“Sì, sì lo so. Lo so …”, rispose con aria mesta Edward.
“Beh.. cosa aspetti ancora qui?! Va’ da lei!”, esclamò Charlie.
Edward alzò lo sguardo e incontro due iridi color nocciola così simili a quelle che lo avevano stregato in quella lontana mattina di giugno e che fin da allora aveva amato. Carlisle dapprima guardò stupito suo cognato, poi sorrise bonariamente ed esclamò:
“Coraggio Edward, andrà tutto bene!”
“Lo spero davvero.”, rispose Edward che già pregustava l’incontro con la sua amata.
Quando stava per chiudersi la porta alle spalle, Charlie lo richiamò:
“Edward! Mi hai fatto una promessa: non farla soffrire e torna sano e salvo a casa. Noi ti aspettiamo.”
Il giovane commosso corse ad abbracciare Charlie e qualche lacrima di commozione rigò il viso di entrambi. Poi abbracciò anche Carlisle, che gli diede una pacca sulla spalla e gli sussurrò nell’orecchio: “Coraggio figliolo, sei un soldato dell’esercito americano. Noi siamo fieri di te!”



Bella era in camera sua, seduta davanti alla pettiniera si stava spazzolando i capelli con cura. Era pronta per andare a letto. Guardò il suo riflesso nello specchio e sospirò. Era molto preoccupata in quei giorni, per la sorte di Edward, per la sua partenza e per il loro bambino. Non era ancora riuscita a parlargli. Sospirò nuovamente e conservò la spazzola. Si girò sullo sgabello e fece per alzarsi quando due braccia forti la sollevarono e si ritrovò occhi negli occhi con il suo amato Edward.
“Edward”, sussurrò felice.
“Sei tornato, mi sei mancato …”
Incastrò il capo nell’incavo del suo collo e respirò il suo profumo.
Edward si sedette sul letto e portò Bella sulle sue gambe. Le accarezzò i fianchi e poi le baciò le labbra.
“Bella, ho appena parlato con Mike.”
“Oh …”
“Amore, devo partire. Domani mattina presto ci vogliono in caserma a Brindisi per discutere della strategia da adottare e poi ci muoveremo alla volta del Nord, per liberare le città dai fascisti.”
“Edward … io …”, gli accarezzava il volto, mentre cercava di trovare la cosa più giusta da dire.


Non c’era nulla di più giusto di quello che fece. Lo baciò con un ardore tale da fargli emettere mugolii di piacere e lo spinse a distendersi sul letto.
I suoi lunghi capelli gli solleticavano il collo e facevano quasi da sipario al loro amore, preservando la loro intimità perfino dalla sublime natura notturna che si stendeva placida fuori dalla finestra: la luna ridente nel manto vellutato del cielo, la civetta appollaiata sul ramo basso di un pino, il candido barbagianni che planava alto nel cielo e strideva di tanto in tanto.
Anche Edward capì che non c’erano parole giuste e che quella notte non ci sarebbe stato posto per le parole, giuste o sbagliate che fossero.
Quella notte era tutta per loro due e lui l’amò con un ardore e una perizia tali da cancellare dalle loro menti ogni pensiero e rimandare tutto all’alba del giorno seguente.
La mise a sedere, senza mai staccare le labbra dalle sue, e l’aiutò a sfilare la camicia da notte che finì sul pavimento. Dopo un po’, anche la camicia e i pantaloni di Edward fecero la stessa fine.
Contemplò, venerò, saggiò e stuzzicò i suoi seni con la lingua, per poi passare a occuparsi con la stessa pazienza e lo stesso zelo della sua intimità.
Le donò piacere, intenso piacere, prima di unirsi a lei e diventare una cosa sola, cullandosi l'uno nell'altra sulle note della melodia più antica del mondo: la sospirata melodia degli amanti.


Ancora con il respiro affannoso, Bella si adagiò sul torace di Edward e ascoltò il battito del suo cuore. Posò un bacio delicato sul suo petto e poi si addormentò.


Al suo risveglio, Edward era già vestito e la guardava con occhi colmi d’amore seduto sul letto.
“E’ già ora di andare?”, domandò mettendosi seduta e stropicciandosi gli occhi.
“Sì, torna a dormire. Ho aspettato che ti svegliassi per salutarti.”
Le accarezzò i capelli, si soffermò sul viso e poi le prese una mano tra le sue.
La portò alle labbra e baciò ogni dito.
“Perché non mi hai svegliata prima? Ho sprecato del tempo per stare insieme, dormendo … che stupida!”
“Ehi amore, abbiamo tutto il tempo del mondo per stare insieme.”
“Ma … ma …”
“Niente “ma”. Non ci sono “ma”. Ti ho fatto una promessa e la manterrò. Tornerò da te, Bella. Tornerò presto e avremo tutto il tempo per stare insieme, tranquilli e felici.”
Doveva dirglielo. Era arrivato il momento. Avvicinò le mani di Edward che ancora stringevano la sua e le posò sulla sua pancia che si mostrava leggermente più gonfia del solito.
“Farai bene a mantenere la tua promessa, perché … Noi siamo qui che ti aspettiamo. E vogliamo che torni presto.”
Sottolineò il plurale premendo con maggiore intensità la mano di Edward sul suo ventre.
Lo sguardo di Edward dapprima sorpreso, poi incredulo, infine commosso dimostrò che aveva compreso.
“Bella, oh Dio! Tu sei …”
“Sì, sono incinta.”
“Oh mio Dio!”










Edward se ne va in guerra e Bella finalmente è riuscita a dirgli la verità ...
Ma quale sarà la reazione di Edward alla notizia?! Lo scoprirete nel prossimo aggiornamento!

Avviso per chi segue I WANT TO KNOW WHAT LOVE IS : ci sono buone probabilità che aggiorni in questi giorni, prima di Natale.

Ringrazio tutte voi che leggete e seguite questa storia e vi auguro un felice e sereno Natale!
A presto!

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Capitolo 19
*** CAPITOLO XIX ***



CAPITOLO DICIANNOVESIMO

 

 

 

 








Edward soffocò Bella in un abbraccio e iniziò a tempestarle il viso di baci, sussurrandole sulle labbra “Ti amo, ti amo, ti amo!”. Bella era felice e sollevata, finalmente era riuscita a dirglielo e lui era al settimo cielo, proprio come immaginava. In quell’istante, tutte le paure e l’ansia di quei giorni svanirono e si diede mentalmente della stupida: come aveva potuto pensare che Edward non sarebbe stato felice della bella notizia? Loro si amavano e il bambino che stava crescendo dentro di lei ne era la prova.
Incollò le sue labbra a quelle di Bella e la baciò con una calma e una dolcezza che stonavano quasi con la passione e l’ardore con cui si erano amati fino a qualche ora prima.
“Oh mio Dio! Sei incinta!”, sussurrò sulla sua bocca, continuando a lasciarle dei piccoli baci a fior di labbra.
“Bella, da quanto lo sai?”
“Da un mese quasi … l’ho capito il giorno del mio compleanno. Poi ho chiesto conferma a zio Carlisle e …”
“Amore, perché non me lo hai detto prima?” la interruppe Edward.
“Io non lo so … avevo paura, forse. Ma ora mi rendo conto che sono stata proprio una stupida. Di cosa ho avuto paura? Forse di come avresti potuto reagire o di come reagirà mio padre, o di quello che diranno le persone. Noi non siamo sposati e …”


La zittì con un bacio. E quando le loro labbra si staccarono, Edward chinò il capo e lo poggiò sul suo ventre leggermente gonfio. Lo accarezzò e lo baciò, Bella gli accarezzava amorevolmente i capelli e disse :
“Scusami amore, non so cosa mi sia preso. Io so che tu mi ami e so che ami il nostro bambino, ma non sapevo come comportarmi e cosa fare! Ero … sono al settimo cielo! E non sapevo come gestire tanta felicità da sola. Ora che la condividiamo è tutto più bello.”


Un sorriso si dipinse sulle labbra del giovane soldato.
“Ti amo Bella. Ti amo tanto e amo già questo bambino. Ma promettimi che non avrai più paura di dirmi qualcosa. Non devi. Sai che puoi confidarti con me e parlare di tutto. Per quanto riguarda tuo padre, dobbiamo dirglielo. La tua pancia sta crescendo e presto sarà evidente. Non preoccuparti del giudizio degli altri. Cosa ti dovrebbero dire? Cosa ci dovrebbero dire? Non siamo sposati? Non mi sembra una cosa irreparabile! E poi niente è più ufficiale di questo!”


E ritornò sulle sue labbra.
Presto quel bacio divenne più urgente e le mani corsero frenetiche sui loro corpi; Edward strinse Bella tra le braccia senza mai staccarsi dalle sue labbra e di nuovo si incastrarono alla perfezione, come era successo sempre, dalla prima volta che i loro corpi si erano uniti.


L’aurora si stava affacciando all’orizzonte e la mente di entrambi i giovani si rabbuiò d’un tratto.
“Bella …”, cominciò Edward.
“Lo so.”, rispose lei senza permettergli di terminare la frase.
“Devi andare …” e mentre lo disse sollevò il capo per poter incontrare il suo sguardo. Gli sorrise amorevolmente e gli accarezzò una guancia.
Edward sospirò e si beò di quella carezza con avidità, sapendo che per un po’ di tempo non avrebbe avuto accanto il calore di quella mano, di quel corpo, di quella donna.
“Vorrei restare, credimi. Vorrei stare accanto a te e vedere la tua pancia crescere giorno dopo giorno. Ma devo andare. Ora ho un motivo in più per farlo.”
Sorrise e posò una mano sul ventre di Bella.
“Voglio che un giorno mio figlio possa essere fiero di me. Non voglio dovergli raccontare di essere stato un codardo, di non aver combattuto per la sua patria, anzi la nostra patria. Voglio essere degno di mio figlio. E anche di sua madre.”


Bella gli sorrise di rimando e lo baciò. Le sue parole l’avevano colpita e ancor di più l’aveva colpita la scintilla che illuminava gli occhi di Edward quando si parlava di patria, di divise e di coraggio. Era un soldato. Un soldato puro e coraggioso e lei lo amava immensamente e amava vederlo così felice e pieno di vita e di speranza.


Anche lei, aveva deciso, sarebbe stata coraggiosa. Sebbene sapesse quanto gli sarebbe mancato e quanto avrebbe voluto averlo vicino in un momento così delicato, non sarebbe stata così egoista da impedirgli di fare ciò che lui riteneva fosse giusto. Tanto più che sapeva quanto fosse valoroso in battaglia. L’Italia aveva bisogno di uomini come lui.
“Edward Masen, giurami che tornerai qui sano e salvo altrimenti verrò a prenderti io, ovunque sarai e non sarà facile tener testa alla furia di una donna incinta!”, cercò di sdrammatizzare Bella.
Strappò un sorriso a Edward, che si alzò dal letto per prendere qualcosa dalla giacca appesa sulla sedia accanto alla pettiniera.
“L’avevo comprato per il tuo compleanno, ma dopo l’incendio e tutto quello che è successo dopo me ne sono completamente dimenticato. Avevo intenzione di regalartelo allora, come pegno d’amore.”
“Oh mio Dio, Edward! E’ … è un anello!”, esclamò felicemente sorpresa Bella.
“Sì, è un anello. E’ un anello di fidanzamento irlandese. L’ho comprato a Brindisi da un gioielliere e mi ha assicurato che proviene dall’Irlanda. Pensa che era l’ultimo pezzo che gli era rimasto! Ti va di accettarlo come mio pegno d’amore?”


“Oh mio Dio! Sì, sì che lo accetto!”, Bella gli gettò le braccia al collo e gli tempestò il viso di baci.
“Posso?”, domandò Edward emozionato prendendole la mano destra.
Bella fece cenno di sì con il capo e registrò nella sua memoria ogni movimento e ogni istante, certa che una volta che lui sarebbe partito si sarebbe cullata nel ricordo di quei momenti.
“Si chiama Claddagh Ring, anello claddagh. Le mani simboleggiano l'amicizia, la corona è simbolo di lealtà e il cuore dell'amore.”
“E’ bellissimo, amore!” sussurrò Bella ammirando l’anello d’oro che faceva bella mostra di sé sul suo anulare destro.



Accarezzò lo smeraldo incastonato nel centro del cuore e sorrise.
“Buffo, – disse – al centro del cuore di questo anello c’è uno smeraldo, proprio come al centro del mio cuore.”
Edward all’iniziò sembrò non comprendere il paragone, poi Bella avvicinò la sua mano agli occhi di Edward che istintivamente li chiuse. Gli baciò entrambe le palpebre e spiegò:
“Non ho mai visto degli occhi più belli dei tuoi. Mi sono entrati nel cuore dal primo momento in cui i nostri sguardi si sono incrociati.”



“Ma perché me lo hai messo all’anulare destro e non al sinistro?”
Edward sorrise e rispose dolcemente:
“Perché è un anello di fidanzamento e quindi si indossa sull’anulare destro. Quando saremo sposati, potrai portarlo a sinistra.”
“Fi-fi-da-nzamento? Siamo fidanzati ora?”, gli occhi di Bella si fecero lucidi e un sorriso si stampò sul suo volto.
“Sì, siamo fidanzati e quando tornerò ti sposerò. Sempre che tu lo voglia.”, rispose Edward.
“Certo che lo voglio! Ti amo Edward e voglio trascorrere con te la mia vita, questo lo sapevi già e non devi dimenticarlo. Mai.”
Era un monito, da tenere presente costantemente quando sarebbe stato in campo, in pericolo, lontano da lei e dalla pace della masseria.
I suoi occhi dissero quello che non era riuscita a esprimere con le parole: rivelarono la paura di perderlo, il timore di non poter esaudire tutte quelle promesse che si erano appena fatti.
Edward comprese, ormai era in grado di leggerle nell’anima, e la strinse forte a sé baciandole le labbra.
“Ti amo Bella e ti prometto che tornerò presto, sano e salvo.”
Detto ciò, indossò la giacca e si inginocchiò accanto al letto. Avvicinò il viso all’altezza del ventre di Bella e cominciò ad accarezzarlo.

“Ciao piccolino, papà torna presto. Fai il bravo, va bene? Non far stancare troppo la mamma. Ti voglio bene.”
Posò un bacio delicato sul rigonfiamento e poi si sollevò dal pavimento per sedersi accanto a Bella.
Prese un respiro profondo e le prese la mano destra. Baciò l’anello senza mai staccare gli occhi dai suoi.
“Hai promesso.”, lo ammonì lei dolcemente, mentre gli occhi le si riempivano di lacrime.
La baciò. E fu un bacio che fece quasi male. Ardore, urgenza, avidità, dolore.
Un bacio che sancì la loro promessa.
“Lo sai, mantengo sempre le mie promesse. Sono un soldato e ti ho giurato amore e fedeltà assoluta.”
La baciò un’ultima volta e quando sentì che le lacrime stavano per scendere, si allontanò.
“Ti amo, Edward. Sta’ attento!”, esclamò Bella.
Si voltò, con una mano sulla maniglia della porta, e rispose: “Anch’io ti amo e sta’ attenta anche tu, amore mio.”.
























Grazie a tutte voi che mi seguite e che leggete questa storia.


Vi auguro di trascorrere una buona fine e un meaviglioso inizio di anno nuovo.

Il prossimo capitolo .... nel 2012!!!


Ci si sente l'anno prossimo! :D

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Capitolo 20
*** CAPITOLO XX ***



CAPITOLO VENTESIMO

 

 

 

 






 

Edward era andato via alle prime luci dell’alba con Mike. Emmet e Jasper li avevano accompagnati fino a Brindisi. La masseria aveva ripreso la sua consueta attività: un sole pallido rendeva l’aria più tiepida rispetto ai giorni passati; bisognava approfittare del bel tempo per preparare le piante e i campi all’inverno e soprattutto bisognava proteggere l’uliveto dai possibili danni della pioggia e del vento.

Charlie e Renee stavano facendo colazione in sala da pranzo, la radio era accesa e quando la stanza si riempì delle note allegre della sigla, suonate dall’orchestra Angelini, Bella fece il suo ingresso.
Aveva gli occhi arrossati e stanchi, segno che aveva pianto molto e riposato poco. Si sedette accanto a sua madre che le accarezzò i morbidi capelli, a cui non aveva evidentemente dedicato alcuna cura quella mattina, e le sistemò una ciocca dietro l’orecchio per poterla guardare meglio in volto.
“Buongiorno”, sussurrò Bella.
“Buongiorno tesoro”, rispose sua madre che subito dopo le versò del latte caldo nella tazza.
“Buongiorno Bella”, disse Charlie.
Bella iniziò a sorseggiare il latte, Charlie non sapeva cosa dire, così decise di prendere un’altra fetta di dolce, mentre Renee canticchiava le canzoni che davano alla radio, studiando ogni minimo movimento di sua figlia.
A un certo punto, l’attenzione di Charlie fu catturata dallo smeraldo che faceva bella mostra di sé sull’anulare di Bella.
Quando Bella sollevò lo sguardo dai ghirigori di pizzo Cantù sulla tovaglia di lino bianco, incontrò gli occhi di suo padre che sembravano indicare proprio il suo anello di fidanzamento.
Istintivamente, come si è soliti fare quando si vuole proteggere qualcosa di molto prezioso, ritrasse la mano e la nascose sotto la tovaglia.
Ma il gesto suscitò anche la curiosità di sua madre.
“Bella? Tutto bene?”
“S-sì, sì mamma…”
“Bella perché non fai vedere anche a tua madre cosa nascondi sotto il tavolo?”, propose Charlie con nonchalance.
“Cosa sta succedendo?”, lo sguardo di Renee saettò da suo marito a sua figlia, fino a posarsi sulla mano destra di Bella che era timidamente tornata a posarsi sul tavolo.
“Tesoro, non farmi preoccupare. Parlami! Cosa c’è?”
Bella sollevò timidamente la mano e la posò sul tavolo, in modo che sua madre e suo padre potessero ammirare l’anello.
“Oh”, fece Renee prendendole la mano e studiando da ogni possibile angolazione l’anello di sua figlia.
“E… cosa è? Cioè… voglio dire, cosa significa?”, balbettò Renee.
“Me lo ha regalato Edward. E’ un anello irlandese, un pegno d’amore.” Rispose timidamente Bella.
“Ma è… un anello di fidanzamento?”, continuò Renee.
“S-sì”, rispose Bella sollevando il capo e incontrando lo sguardo a metà tra il turbato e il commosso di sua madre.
Charlie, invece, non si mostrò particolarmente interessato alla faccenda e continuò a sorseggiare il suo caffè.
La sua calma fece insospettire Renee, che si destò dal suo confuso stato d’animo per riprendere il marito.
“Charlie?! Sei tra noi? Hai sentito cosa ha detto tua figlia?”
“Sì, sono qui e ho sentito.”, fece un occhiolino complice a Bella che, se possibile, era ancora più stupita di sua madre dalla reazione di Charlie.
“E non dici niente?!”, urlò Renee.
“Ah sì, perdonatemi… Congratulazioni Bella!”
Bella strabuzzò gli occhi per lo stupore, Renee quasi non si strozzò con il caffè che aveva appena sorseggiato, mentre Charlie guardava divertito le reazioni delle sue donne.
“Tuuuu! TU! Tu sapevi tutto e non mi hai detto niente!”, lo rimproverò Renee dopo essersi ripresa e aver recuperato un tono di voce normale.
“Tesoro, non potevo dirtelo prima e perdermi questa deliziosa scena! Ahahahahah!”
Charlie le baciò teneramente una guancia e le passò un braccio intorno alle spalle.
“Lo sapevo da qualche giorno. Precisamente da quando Edward ha comprato l’anello e sinceramente, quando mi ha chiesto la tua mano, non mi ha neanche stupito più di tanto. Un po’ me lo aspettavo. È un ragazzo molto rispettoso e ben educato. Mi piace e gli voglio bene. E poi francamente, penso che nessun altro sia degno della tua mano. Quindi, ho subito dato il mio consenso e ho promesso a Edward che non avrei detto nulla perché lui voleva che fossi tu ad informarci della lieta notizia.”
Charlie sorrise a sua figlia che finalmente riuscì a tirare un sospiro di sollievo.
“Mamma, tu non dici niente? Per te va bene?"
“Oh, Bella, certo che va bene! Sono d’accordo con tuo padre. Anche se avrei preferito essere informata prima, ho rischiato di morire e di non poter vedere mia figlia salire all’altare vestita di bianco!
Tutti e tre scoppiarono a ridere e finirono di fare colazione iniziando a discutere dei preparativi delle nozze.


Terminata la colazione, Bella andò in camera sua a studiare.
All’improvviso le tornarono in mente alcune frasi che i suoi genitori avevano pronunciato qualche ora prima e a cui non aveva dato particolare importanza.

“Voleva che fossi tu ad informarci della lieta notizia.”
“Salire all’altare vestita di bianco.”

Come avrebbe potuto rivelare ai suoi genitori che era incinta e che non avrebbe potuto indossare quell’abito bianco perché sarebbe arrivata con il pancione all’altare e tutti avrebbero saputo che non era degna di quell’abito?
E se al momento di arrivare all’altare il bambino fosse già nato?
E se Edward non tornasse dalla guerra, lei all’altare non arriverebbe mai.
E se, e se, e se…
Tutti quei se vorticarono così velocemente nella sua mente da farle perdere i sensi.
Quando si risvegliò, non era in camera sua e aveva un forte mal di testa e una strana sensazione di nausea.
Riconobbe subito, dai libri e dai quadri appesi alle pareti, nonché dall’odore di bergamotto, lo studio di suo zio Carlisle.
“Bella, piccola, come ti senti?”
“B—be…”, non riuscì a terminare la risposta a suo zio, perché la nausea troppo forte le fece rigettare tutta la colazione sul lettino.








NOTE

- QUI e
cliccando su "sigla" nel testo, trovate il video della sigla, suonata dall’orchestra Angelini, che accompagna l’ingresso di Bella in sala da pranzo ;

- Bella pensa che non può indossare l’abito bianco poiché è incinta. Forse molte di voi, sicuramente le più piccole, non lo sapranno, ma fino a qualche tempo fa, in particolare nelle zone più tradizionaliste, le spose incinte o comunque non illibate, non potevano indossare l’abito bianco, simbolo di candore e purezza. QUI un rimando a wikipedia che spiega un po’ questa vecchia tradizione.







Sono imperdonabile. Avevo promesso di aggiornare entro Pasqua, ma non ce l’ho fatta. Mi dispiace.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto e prometto che per il prossimo non dovrete attendere così tanto.
Buon fine settimana, a presto!

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Capitolo 21
*** CAPITOLO XXI ***



CAPITOLO VENTUNESIMO

 

 

 

 





 

Carlisle accompagnò Bella nella toletta del suo studio e cambiò la traversina sporca, affidandola a Rosalie che andò trafilata in lavanderia per farla bollire. Nel frattempo, Bella, dopo essersi rinfrescata ed aver sciacquato la bocca con acqua e bicarbonato, come le aveva detto di fare suo zio per neutralizzare gli acidi del reflusso, si guardava allo specchio della toletta e mille pensieri si affollavano nella sua testa. Oramai non poteva più mentire sul suo stato: presto la sua pancia sarebbe cresciuta.
Respirò a fondo e uscì dalla toletta. Suo zio era seduto dietro la scrivania e quando la vide comparire si alzò e le andò incontro.
“Bella, tesoro stai bene?”, le mise una mano sulla spalla con fare paterno e la accompagnò a sedersi sulla poltrona di fronte alla sua scrivania. Lui avvicinò una sedia e si sedette accanto a lei.
“Bella, ti stai sottoponendo a uno stress enorme in questo periodo e non ti fa bene. Non vi fa bene. Hai le occhiaie, sicuramente stanotte non avrai chiuso occhio, piccola. Non puoi continuare a tenerti tutto dentro. Una gravidanza non può essere vissuta di nascosto. Tu stai accumulando troppa ansia: hai già il pensiero costante di Edward in guerra, non puoi aggiungerci anche l’ansia che deriva dal tenere nascosto il tuo stato. Altrimenti quello di stamattina rischia di non essere solo un episodio di nausea da gravidanza. Devi dirlo ai tuoi genitori. Per il tuo bene e quello di tuo figlio. Se vuoi, posso farlo io.”
Accarezzò la guancia di quella che era quasi una seconda figlia per lui e attese una sua risposta.
“Lo so zio, hai ragione. È che stamattina mamma ha iniziato a parlare dei preparativi per il matrimonio, del mio vestito… e io ho iniziato a pensare che non potrò indossare il vestito bianco, che la gente parlerà male di me e mamma e papà ne soffriranno, e se poi Edward non dovesse tornare… i-i-io….”
Iniziò a piangere e finalmente riuscì a sfogarsi con qualcuno e a condividere il fardello pesante dei suoi pensieri.
Suo zio la abbracciò e mentre Bella piangeva, versando le lacrime sul suo camice inamidato, lui tentava di tranquillizzarla accarezzandole la schiena.
Quando si calmò, sollevò il capo e sorrise a suo zio.
“Grazie zio, ma devo farlo io. Glielo dirò oggi a pranzo. Ma… chi mi ha trovata svenuta? Mamma e papà non sanno niente, vero?”
“No, Bella tranquilla. Loro non sanno niente, tua madre è con Alice. Credo stiano già iniziando a organizzare il tuo matrimonio!”, lo zio scoppiò a ridere riuscendo a coinvolgere anche Bella.
“Ti ha trovata Joseph e ti ha portata subito qui.”
“Grazie al cielo!”, Bella tirò un sospiro di sollievo.
“Ora vado zio. Passo a trovare la nonna, poi più tardi dirò tutto a mamma e papà.”
“Ti senti meglio, sei sicura di star bene?”
“Sì, sì sto bene. Grazie di tutto zio!”, lo abbracciò.
“Figurati piccola. E congratulazioni per le tue nozze!”, le baciò il capo.
“Oh, grazie!”, arrossì lievemente. Ancora non riusciva a credere che era fidanzata ufficialmente e presto sarebbe diventata moglie e madre.



“Bella, buongiorno! Era un po’ che non ti si vedeva più da queste parti! Come stai tesoro?”
“Nonna!”, Bella abbracciò sua nonna che si godeva i caldi raggi del sole di quel giorno, seduta nel patio a leggere un libro.
“Come stai?”
“Io sto bene tesoro, tu piuttosto come stai? Hai un aspetto così stanco… Edward è partito, l’ho saputo da tua madre.”
“Mi manca già… e ho così tanta paura di perderlo!”, gli occhi le si velarono di lacrime.
“Bella, il tuo Edward è molto forte e tornerà da te sano e salvo. Ricordi quando da bambina ti raccontai la storia di Tristano e Isotta e tu piangevi perché non ti piaceva il finale della loro storia?

« Come accade al caprifoglio
che al nocciolo s'attacca:
quando vi si è intrecciato e avvolto
e tutt'attorno al tronco s'è messo,
assieme possono vivere a lungo;
ma poi quando si tenti di separarli,
subito muore il nocciolo
e insieme il caprifoglio.
"Amica, così ne è di noi:
non te senza me, non io senza te". »

Tu e Edward siete l’uno parte dell’altra, niente potrà separarvi. Ora comprendi le parole che da piccina ti avevano fatto tanto piangere?”
“Nonna, ora comprendo tutto. E…” Bella pensò che prima di dirlo ai suoi genitori, doveva dire alla nonna del suo bambino. Lei avrebbe capito meglio di chiunque altro.
“Nonna, sai perché ora comprendo così bene i versi di Tristano e Isotta? Perché io e Edward ormai siamo legati indissolubilmente: aspetto un bambino.”
“Oh, piccola mia!”, la nonna protese le braccia per stringere forte sua nipote.
“E non è tutto… guarda qui!”, Bella mostrò a sua nonna l’anello che Edward le aveva infilato all’anulare destro proprio quella mattina, con una tale fierezza e una gioia negli occhi che sua nonna non poté fare a meno di commuoversi.
“Tesoro, sono così felice per te! Sapevo che eri destinata a una vita meravigliosa, sentivo che il destino ti avrebbe riservato un grande amore. Ed è arrivato, custodiscilo con cura. E abbi fede, Edward tornerà presto da te.”



Dopo aver salutato la nonna e aver faticato non poco a declinare il suo invito per il pranzo, promettendole che le avrebbe fatto compagnia il giorno seguente, Bella tornò a casa.
Andò in bagno e riempì la vasca di acqua calda. Sparse dei fiori di lavanda nell’acqua e si immerse. Inevitabilmente, l’odore pungente della lavanda le riportò alla memoria il ricordo della prima volta che aveva visto Edward completamente nudo, proprio in quel bagno. Sorrise e istintivamente le sue mani si posarono sulla leggera sporgenza del suo ventre, che custodiva amorevolmente una parte di Edward.
“Quanto mi manchi…” sussurrò.
“Ho promesso di essere forte e lo sarò. E poi, non sono sola… insieme ce la caveremo, piccolo mio. Papà tornerà presto da noi.”, sorrise e accarezzò dolcemente la sua pancia.
Si asciugò con cura e cosparse il suo corpo di talco. Scelse uno dei suoi abiti più belli e si sistemò i capelli con dei nastri.
Si stava preparando con cura e così avrebbe fatto sempre, come se ad attenderla in sala da pranzo ci sarebbe stato anche lui.
Scese le scale e una volta varcata la soglia della sala da pranzo, trovò una piacevole sorpresa.
“Alice!”
“Bella Bella Bella! Congratulazioni!!”, Alice, con la sua solita allegria, corse ad abbracciarla.
“Dobbiamo organizzare tutto, faremo cucire il tuo abito con le migliori stoffe francesi! Oggi stiliamo la lista degli invitati: io e la zia abbiamo già iniziato a pensare al tuo corredo di nozze e…”
“Aspetta Alice, quanto corri!”, Bella sorrise di fronte all’esuberanza di sua cugina. Come aveva ben immaginato suo zio, Alice e sua madre avevano già iniziato a organizzare tutto, dando sfogo alla loro principale vocazione.
“Bella, ma ti rendi conto che stai per sposarti! Oh mio Dio! Ti prego, dimmi che sarò la tua damigella! Ho in mente un vestito fantastico da abbinare ai nastrini che mi ha portato papà da Parigi lo scorso Natale!”
Bella sospirò e sorrise, Alice era incredibile.
“Certo che sarai la mia damigella! Chi altro potrebbe ricoprire un ruolo così importante!”
“Sì sì, che bello!”, Alice iniziò a parlare con Renee di tutte le sue idee riguardo al vestito, le scarpe, l’acconciatura.
Nel frattempo, anche Charlie fece il suo ingresso. Si appoggiò con la schiena all’arco che permetteva il passaggio dal salotto alla sala da pranzo. Scosse la testa e rise di gusto vedendo sua nipote e sua moglie riempire la povera Bella di domande e suggerimenti sull’organizzazione del matrimonio. Ed era solo il primo di una lunga serie di giorni di preparativi!
Povera la mia Bella,pensò.
Era cresciuta la sua bambina. Era diventata una donna e presto si sarebbe sposata e avrebbe lasciato il suo nido. Nonostante questo pensiero lo rattristasse un po’, era felice che avesse trovato Edward. Non avrebbe potuto sperare di meglio per sua figlia.
La sua risata lo annunciò e le tre donne si voltarono verso di lui.
Bella sorrise e tirò un sospiro di sollievo, ringraziandolo sottovoce per averla salvata dalle due organizzatrici: aveva per lo meno guadagnato dieci minuti di pace.
“Charlie, finalmente sei arrivato!”, Renee andò a salutarlo con un bacio.
“Ciao tesoro! Alice, come stai?”
“Bene zio, grazie! Sono felicissima per Bella con la zia organizzeremo un matrimonio fantastico!”
Le due si scambiarono un’occhiata complice e Bella si voltò verso suo padre con sguardo supplichevole. Charlie si avvicinò a Bella e le baciò una guancia.
“Rassegnati figlia mia, ora sei nelle loro mani!”
“Aiuto!”, sussurrò Bella con fare teatrale, mimando uno svenimento.


Presero posto a tavola e Lilian servì il pranzo.
Bella pensò che quello era il momento per fare il suo annuncio. Se avesse rimandato ancora, probabilmente non avrebbe più trovato il coraggio per parlare.
“Mamma, papà, Alice, devo dirvi una cosa.”
I tre si voltarono attenti, incuriositi dal tono fermo e quasi solenne di Bella.
“Aspetto un bambino”.






NOTE
Scusate ancora una volta il mio ritardo!
Grazie a tutte voi che continuate a seguirmi, il prossimo capitolo arriverà presto, promesso!
A presto e un bacio!

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Capitolo 22
*** CAPITOLO XXII ***




CAPITOLO VENTIDUESIMO

 

 

 

 






 

Le reazioni che seguirono all’annuncio di Bella rasentarono la comicità: Charlie impallidì e cadde in uno stato catatonico, non accennò alcun movimento muscolare per almeno dieci minuti, sembrava una statua; Renee, dopo un iniziale stato di afasia si alzò dalla sedia e abbracciò sua figlia piangendo, ripetendo come una nenia:
“La mia bambina aspetta un bambino, la mia bambina aspetta un bambino”, intervallando ogni frase con dei sonori singhiozzi.
Alice mostrò, come faceva sempre di fronte a qualsiasi novità, tanta gioia. Quasi iniziò a saltellare intorno al tavolo e a ogni giro, passando dietro la sedia di Bella, si fermava e abbracciava sua cugina, urlandole nell’orecchio: “Congratulazioni Bella!! Diventerai mamma e io diventerò zia!”
La povera Bella, dal canto suo, non sapeva se piangere o ridere di fronte a quelle reazioni. Non sapeva in realtà cosa avrebbe dovuto aspettarsi, ma le loro reazioni erano piuttosto bizzarre.
Quando Emmet, di ritorno da Brindisi, entrò in sala da pranzo e si ritrovò di fronte a quel teatrino, se non fosse stato per Alice, avrebbe pensato che fosse successo qualcosa di terribile.
Quando poi vide sua cugina saltellare, iniziò a ridere.
“Mi spiegate cosa sta succedendo?”
“Bella aspetta un bambino e io diventerò zia… e anche tu-u-u!”, urlò Alice abbracciandolo di slancio.
“Bella aspetta un bambino?!”, domandò Emmet con gli occhi che brillavano.
“Ma è una notizia meravigliosa!”
A quel punto, Charlie si svegliò dalla catatonia e Renee si ricompose voltandosi verso suo figlio e accorgendosi della sua presenza.
“Congratulazioni sorellina!”, Emmet quasi stritolò Bella in un abbraccio.
“G-grazie Emmet! Meno male che ci sei tu, mi stavano facendo impazzire!”, ammise Bella, felice che suo fratello avesse preso la notizia con così tanta gioia. Era un po’ preoccupata per suo padre, che sembrava aver perso le parole.
“Bella, tesoro, scusa per la mia reazione! Non me lo aspettavo… sei ancora una bambina…”
“No, Renee. Non è più una bambina, Bella è una donna ormai.”
Finalmente Charlie prese a parlare catalizzando l’attenzione di tutti i presenti su di sé.
“Bella, non ti nego che avrei preferito che fossi sposata, prima di avere un figlio. Sebbene… beh, insomma… è una bella notizia, diamine! Al bando le ciance e le etichette! Congratulazioni piccola!”
Charlie si alzò e andò ad abbracciare sua figlia. Bella iniziò a piangere sulla spalla di suo padre, scaricando tutta la tensione che aveva accumulato fino a quel momento.
Tutti avevano preso la notizia molto bene, sebbene sua madre fosse ancora sotto shock. Suo padre stava per rivelare dinanzi a tutti di aver colto in flagrante lei e Edward, ma per fortuna si era fermato in tempo, evitando un bell’interrogatorio da parte di sua moglie che era completamente all’oscuro della faccenda.
Ma in fondo, pensò che era meglio che non sapesse nulla. Renee era sempre stata tra i due quella più sognatrice e con meno senso pratico delle cose: di lì a poco avrebbe iniziato a fare progetti sulla nascita del bambino, sul corredino, la culla, la casa in cui la nuova famigliola avrebbe abitato e non avrebbe chiesto nulla a sua figlia, né si sarebbe persa in congetture ed elucubrazioni riguardo al ‘quando’ il concepimento fosse avvenuto. Charlie, al contrario suo, aveva un gran fiuto: probabilmente, se non avesse ereditato la masseria da suo padre, avrebbe fatto il poliziotto. Neanche lui sapeva né voleva sapere di preciso quando sua figlia fosse rimasta incinta, ma per lo meno, era consapevole già da tempo che non fosse più una bambina e forse, in cuor suo, un po’ se l’ aspettava la notizia di una gravidanza.
Era stato giovane anche lui e anche suo figlio Emmet era stato concepito prima del matrimonio, non era un uomo bigotto e la notizia in sé non lo aveva sconvolto. Quello che lo preoccupava era la sorte di Edward: conosceva bene i rischi di una guerra e sperava con tutto il suo cuore che facesse ritorno sano e salvo dalla sua famiglia.
“Bella, da quanto lo sai?”, Renee finalmente si riprese e Bella scorse un lampo di gioia nei suoi occhi.
“Da un mese circa.”, rispose Bella un po’ in imbarazzo di fronte a quella domanda.
Se ne era resa conto da poco, non aveva badato molto a quello che era successo da quando Edward era arrivato alla masseria e soprattutto da quando avevano iniziato ad avere rapporti. Appena avrebbe avuto un attimo di tranquillità, da sola, per pensare, avrebbe cercato di capire quando era rimasta incinta.
Suo zio Carlisle, appena le aveva dato conferma del suo stato, aveva voluto sapere da quanto non avesse il ciclo, ma lei non era riuscita a dargli una risposta precisa. Lui le aveva consigliato di rilassarsi e provare a ricordare: era molto importante per stabilire quando sarebbe nato il bambino.


Dopo aver pranzato tutti insieme, Charlie ed Emmet ritornarono al lavoro, Alice e Renee si barricarono nel salotto per continuare a discutere dei preparativi e tentarono con tutte le forze di convincere anche la futura sposa a unirsi a loro. Ma Bella era stanca e visibilmente spossata: era stata una mattinata piuttosto intensa e promise loro che le avrebbe raggiunto dopo aver riposato un po’.
Si stese sul letto e le ritornò alla mente il momento in cui si era accorta di essere incinta.
“Rosalie!”, esclamò saltando giù dal letto e precipitandosi nell’ appartamento a piano terra degli Hale.


Rosalie e sua madre, custodivano gelosamente un calendario su cui segnavano, mese per mese, le date dei cicli mestruali di ogni donna della masseria. Da bambina, Bella non capiva cosa fossero quelle croci rosse sul calendario di Lilian, poi crescendo le fu spiegato tutto. Rosalie e Lilian si occupavano della disinfezione e della detersione delle pezze, quindi erano le uniche a cui poter affidare un compito del genere. Col tempo, la vista di Lilian andava peggiorando, ed era sua figlia Rosalie che si occupava delle “mensilità”.
“Permesso?”, Bella bussò alla porta attendendo una risposta.
“Avanti!”
“Salve Lilian, come stai?”, domandò Bella entrando in cucina.
“Oh, Bella! Abbastanza bene grazie e tu?”
“Bene, grazie. Rosalie è in casa?”, domando Bella inquieta.
“Sì, è in camera sua Bella. Ti faccio strada.”, Lilian le sorrise e la oltrepassò, attraversando il corridoio e bussando all’ultima porta in fondo a destra.
“Rose, c’è qui Bella, vuole parlarti. Vieni Bella, vi preparo una limonata fresca.”
“Grazie Lilian.”
Bella entrò e andò a salutare Rosalie che era seduta alla toletta, molto umile e poco attrezzata in confronto a quella di Bella, ma dotata del necessario, e si stava spazzolando i lunghi capelli biondi.
“Rosalie devo chiederti una cosa di estrema importanza.”
“Finalmente Bella, pensavo che non te ne saresti accorta fino a quando non ti fosse cresciuta la pancia!”
“Quindi tu lo sapevi e non mi hai detto niente?”, domandò Bella incredula.
“Pensavo te ne fossi accorta… e poi come facevo a dirti una cosa del genere… insomma, io non credevo che tu e Edward… hai capito, no?”, tentò di articolare Rosalie, leggermente imbarazzata.
“Hai ragione, scusami. Qualche giorno fa mi sono resa conto che in effetti è da un po’ che non arriva, un mese di sicuro. Me ne sono accorta il giorno del mio compleanno, quando ho visto te e tua madre disinfettare le pezze in lavanderia. Però, zio Carlisle vuole sapere quando ho avuto l’ultimo ciclo e allora mi sono ricordata dei tuoi calendari. Per favore, potresti farmelo controllare?”
“Ma certo Bella!”, Rosalie si alzò e si diresse verso il lato opposto della stanza, aprì il primo cassetto del settimino ed estrasse un calendario.
“Da quando hai iniziat-….”
Bella la interruppe, evitandole l’imbarazzo di una domanda così intima.
“Giugno.” Rispose soltanto, senza specificare la data che era custodita gelosamente nel suo cuore.
Rosalie si avvicinò a Bella tenendo tra le mani quel calendario, che il quel momento a Bella sembrava il più prezioso dei tesori.
“Allora, vediamo, a giugno, il 12 hai avuto il ciclo. Vedi? C’è questa croce rossa con la “B”. – Bella annuì - Controlliamo luglio… niente… agosto, neanche e settembre altrettanto. Quindi…”
“Quindi il 12 giugno… grazie Rose! Sei stata preziosa!”
“Figurati Bella. Congratulazioni, sia per il bambino che per le tue nozze!”
“Grazie!”
Le due fanciulle trascorsero ancora qualche momento insieme, sorseggiando la limonata fresca che Lilian aveva servito nel salotto.
Poi Bella si congedò e tornò in camera sua. Salì dalle scale esterne, dalle quali era scesa prima, per evitare di cadere in trappola di Alice e di sua madre.


12 giugno… Quindi... la notte di san Giovanni… il miracolo di san Giovanni! Pensò e si portò le mani al ventre. Sorrise, perché quella notte sarebbe rimasta per sempre nello scrigno dei suoi ricordi più cari ed ora aveva un motivo in più per serbarla nel suo cuore, con ancora più cura.
Tornata in camera sua, prese il suo diario, che teneva nascosto nella libreria dietro un pesante volume de “I promessi sposi” – cosa che in quel momento la fece ridere di gusto- e aprì proprio la pagina del 24 giugno.
Rilesse e rivisse tutto quello spettro di emozioni che avevano accompagnato il suo passaggio da bambina a donna e si commosse.
Poi affidò alle pagine del suo diario una cronaca dettagliata di tutti gli avvenimenti di quella giornata e decise che avrebbe scritto ogni giorno tutto quello che le accadeva, così poi lo avrebbe fatto leggere a Edward, al suo ritorno, per renderlo partecipe di ogni singolo giorno della sua vita, anche di quelli in cui era assente, e per svelargli completamente l’intensità del suo amore.
Quello sarebbe stato il suo regalo di bentornato.





NOTE:
Visto che brava che sono stata questa volta? Solo 4 giorni di attesa! :)
Avrei dovuto postare mercoledì, ma siccome ho un impegno, vi avrei fatto aspettare un giorno in più... visto che il capitolo era pronto, ho pensato di non farvi stare troppo sulle spine!
Spero che vi sia piaciuto, grazie a tutte voi che mi seguite :)


Adesso un giochino:
Sarà un bambino o una bambina? Chi indovinerà, riceverà uno spoiler del prossimo capitolo via email!
Al via le scommesse!

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Capitolo 23
*** CAPITOLO XXIII ***




CAPITOLO VENTITREESIMO

 

 

 

 





 

 

Una volta individuata la data del possibile concepimento, fu molto semplice per il buon Carlisle calcolare il periodo esatto in cui sarebbe nato il bambino.
“Nascerà quasi sicuramente fra il 13 e il 21 marzo, alle porte della primavera. Sei incinta di tre mesi Bella.”, le aveva detto suo zio ormai tre mesi fa.

Il corpo di Bella si stava adattando alla sua condizione: il suo bacino era diventato più largo, per permettere al bambino di crescere comodamente, il suo seno era gonfio e prospero, la sua pelle luminosa e i capelli più forti e brillanti del solito. Era ancora più bella, ma il suo sguardo era spento. Erano tre mesi che Edward era partito ed era riuscito a inviarle solo tre lettere. Stava bene, o per lo meno era quello che le scriveva. Di notte, nei suoi sogni, si alternavano immagini di morte e distruzione a immagini di gioia e felicità, nella sua casa con Edward e il suo bambino.
Bella aveva sognato una bambina. Più volte le era apparsa in sogno una bimba che somigliava molto a lei da bambina, ma con gli occhi verdi come quelli di Edward. Quando faceva quei sogni, la mattina si svegliava felice e sperava di scendere in cortile e trovare il suo amore ad attenderla. Ma purtroppo, questo non accadeva.
Cercavano tutti di starle vicino, di distrarla in ogni modo. Alice e sua madre la rapivano ogni giorno per coinvolgerla nei preparativi delle sue nozze, nella scelta delle stoffe, nella sistemazione della casa in cui avrebbe vissuto una volta sposata.
Una mattina, esasperata dalle continue prove del suo vestito, che non era ancora pronto, poiché il corpo di Bella cambiava di mese in mese e non si sapeva se si sarebbe sposata prima o dopo aver avuto il bambino, Bella scoppiò a piangere e a implorare sua madre e sua cugina di smetterla di fare progetti perché lei probabilmente non si sarebbe mai sposata e Edward non sarebbe mai tornato da lei.
Occorse l’intervento di suo zio Carlisle per farla calmare.
“Carlisle dalle qualcosa!”, urlava sua madre.
“Non posso Renee, è in gravidanza. Un barbiturico potrebbe avere gravi effetti sul bambino.”
“Bella, tesoro, devi calmarti. Fallo per il tuo bambino. Calmati. Fai dei respiri profondi, come faccio io. Guardami… coraggio Bella, inspira col naso ed espira con la bocca… ok, così… brava…”
Quando finalmente riuscì a calmarsi sentì per la prima volta il suo bambino muoversi nella pancia, quasi a voler consolare la sua mamma e a dimostrarle il suo affetto e la sua presenza in quei giorni di triste gioia. La fanciulla si commosse e tutti i presenti fraintesero quelle lacrime, ricominciando a preoccuparsi per lei.
“Bella, tesoro della mamma… non piangere, non ti fa bene!”
L’emozione era così grande che non riusciva a parlare così fece cenno a suo zio, che stava per tirare fuori qualcosa dalla sua borsa, di fermarsi.
Poi gli prese la mano e se la portò sul ventre.
Il bambino prese a scalciare ancora più forte e anche Carlisle si commosse sentendo il suo nipotino rendere ancora più palese la sua presenza tra loro.
Renee si avvicinò ai due e Bella riuscì a schiarirsi la voce:
“Mamma vieni qui, senti…”
Prese la mano di sua madre e la posò accanto a quella di suo zio. Fu inevitabile per Renee commuoversi e abbracciare forte sua figlia.


Nei giorni seguenti, il pancione di Bella divenne l’attrattiva principale della masseria. Le più curiose e le più attente ad ogni singolo movimento del bambino erano, oltre alla mamma ovviamente, le fanciulle della masseria, Alice e Rosalie che facevano tanti passi quanti ne faceva Bella. Erano attente a soddisfare ogni sua più piccola esigenza e trascorrevano con lei la maggior parte del loro tempo, fantasticando se sarebbe nato un bambino o una bambina, se avrebbe avuto gli occhi di Edward o i capelli di Bella, stilando una lista di possibili nomi. Per Bella quei momenti erano un vero toccasana: riusciva a distrarsi e a ritornare gioiosa e allegra.


L’inverno era arrivato e il Natale era alle porte. Il maltempo aveva costretto tutti nelle case ed era bello sedersi tutti insieme intorno al camino, alla sera, ad ascoltare i racconti di nonna Isabella sull’America e su suo padre, mangiando la frutta secca, simbolo indiscusso del periodo natalizio.
Il giorno di Natale si unì al ricco pranzo che ogni anno veniva preparato alla masseria anche una cugina di nonna Isabella che viveva in paese, a San Vito dei Normanni. Si chiamava Angela e non somigliava molto ad Isabella. Era una donna bassa e molto magra, al contrario della nonna, che era piuttosto rotondetta. Aveva gli occhi scuri e i tratti del viso piuttosto marcati, la sua carnagione era olivastra e i capelli grigi erano sempre raccolti in uno chignon basso. Era la figlia della sorella di Carletto Capatorta, il padre di nonna Isabella, e non si era mai sposata: durante la Grande guerra aveva prestato servizio come infermiera e si era innamorata di un soldato americano ferito. Rimase incinta, ma lui morì per setticemia qualche mese prima che il loro bambino nascesse. Lo chiamò come suo padre, Ben, per onorare la sua memoria. Dopo aver preso il diploma da infermiera, si specializzò come ostetrica: aveva fatto nascere tutti i bambini di san Vito dei Normanni dal 1920 fino ad allora; e sebbene ci fosse l’ospedale a Brindisi, la gente di quelle parti era piuttosto diffidente e considerava il parto ancora un evento magico, quasi legato alla stregoneria, e preferiva che i bambini nascessero in casa. Da quando Carlisle era arrivato alla masseria, spesso collaboravano, soprattutto nei parti più difficili. Angela era un’ottima assistente.
Ogni anno, da quando i genitori di Angela erano morti, lei e suo figlio trascorrevano le feste alla masseria. Ma quell’anno, ci sarebbe stata solo Angela: anche Ben era partito per la guerra.
Il pranzo si consumò in un clima di relativa gioia: due dei componenti della famiglia mancavano, ma per fortuna, la vita che cresceva nel ventre di Bella, riuscì a catalizzare l’attenzione dei presenti su di lei e a rallegrare gli animi.
Le portate furono molte e abbondanti, come da tradizione. La guerra, se non fosse stato per la partenza di Edward e Ben, era lontana dalla vita degli abitanti della masseria. Il cibo era abbondante e genuino e per fortuna tutti gli uomini della masseria erano o troppo giovani o troppo vecchi per essere chiamati alle armi.
Si unirono al pranzo anche tutti i fattori e i domestici, come era tradizione dai tempi in cui Carletto aveva posato il primo mattone della masseria.
Terminato il pranzo, gli uomini si riunirono nella salotto per consumare un digestivo e giocare alla Stoppa, mentre le donne si riunirono intorno al camino ad ascoltare i racconti di gioventù di Isabella e Angela, bevendo una tazza di tè.
Ad un certo punto, Angela domandò a Bella:
“Bella, sai già se sarà un bambino o una bambina?”
“No, zia. Non lo so… non credo si possa sapere prima della nascita.”, rispose Bella quasi spaventata da quella domanda. Se ci fosse stato un modo per scoprire il sesso del suo bambino, sicuramente suo zio Carlisle lo avrebbe saputo e glielo avrebbe detto.
“Oh, sciocchezze! Qui siete tutte miscredenti! Non le avete ancora fatto l’ago?”
“L’ago?!”, domandò Bella spaventata.
Angela e sua nonna scoppiarono a ridere.
“Bella, non è un intervento e neanche un’iniezione! Io personalmente non ci credo, Angela però ci ha sempre preso con questo giochino. Esme, Renee, vi ricordate che lo fece anche a voi quando eravate incinte?”
Isabella si rivolse alle due donne che annuirono con il capo, sorridendo.
“Allora Bella, vuoi sapere se sarà un maschietto o una femminuccia?”, chiese dolcemente Angela.
“Sì”, rispose Bella incuriosita da quello che le avrebbe fatto Angela.

“Lilian, per favore, prendi un ago e un filo di circa 15 centimetri”, disse Renee.
“Subito signora”
Lilian torno con ago e filo e li porse ad Angela.
Non senza fatica, a causa della vista che peggiorava col tempo, infilò il filo nella cruna dell’ago e si avvicinò a Bella.
Prese le estremità del filo tra l’indice e il pollice e fece penzolare l’ago sul pancione di Bella, sfiorando il tessuto del suo vestito. Lo sollevò di pochi centimetri, tenendolo sospeso, e dopo un po’, l’ago iniziò a disegnare dei cerchi.
Angela e sua nonna si scambiarono uno sguardo complice e sorrisero.
Bella, impaziente, domandò: “ Beh, allora? Cos’è?”
“Avrai una bambina, Bella. Vedi, l’ago sta disegnando dei cerchi. Il cerchio è da sempre simbolo della femminilità; se invece avesse oscillato da destra a sinistra, sarebbe stato un maschio.”, rispose Angela con tono esperto.
Bella sorrise, felice.
“Spesso mi è apparsa in sogno la mia bambina”, confessò accarezzandosi il pancione.
Le donne sorrisero e Renee e la nonna si commossero, di fronte a quella piccola mamma che accarezzava la sua bambina nel pancione.
“Allora possiamo scegliere i nomi ora!”, intervenne Alice.
E così trascorsero il resto della serata parlando dei possibili nomi da dare alla bambina: c’era chi propendeva per un nome italiano e chi per un nome americano, chi invece, come sua zia Esme, suggeriva due nomi, uno italiano e uno americano per rendere onore alle origini dei suoi genitori: d’altronde, fece notare sua zia, anche Bella aveva due nomi, uno italiano e uno francese, Isabella Marie.
Bella in cuor suo aveva già deciso da tempo il nome da dare alla sua bambina, ma non ne avrebbe fatto parola quella sera. Voleva prima rendere noto il suo desiderio al padre della sua bambina e poi a tutto il resto della famiglia.




Prima di andare a letto, prese il diario che stava scrivendo a Edward e trascrisse, senza tralasciare nulla, tutti gli avvenimenti di quella bella giornata.
Conservò il diario e prima di mettersi a letto si fermò a guardare la luna che brillava alta nel cielo. Aveva ricominciato a piovere, ma lei era lì, calma e placida come sempre. All’improvviso, una figura comparve davanti alla sua finestra e Bella ebbe un attimo di mancamento; ma quando riconobbe i tratti familiari del viso, si affrettò ad aprire la porta-finestra per farlo entrare.





NOTE.


Allora, innanzitutto complimenti a chi aveva indovinato il sesso del bambino! Spero che lo spoiler vi sia piaciuto :)
Ovviamente, non esistendo le ecografie ed essendo il parto un argomento prettamente femminile, la cultura popolare è piena piena di vari metodi e congetture per scoprire il sesso del nascituro.
Quello dell'ago non è un metodo scientifico, ma ho voluto comunque che Angela indovinasse... siamo nel 1944 in fondo :)
Poi, qui troverete una dettagliata spiegazione sul gioco della Stoppa, gioco molto diffuso nel sud Italia, nel periodo in cui è ambientata la storia, in Puglia in particolare. Credo che in alcune zone, ci sia ancora qualche giocatore. Ed è un gioco molto praticato proprio nel periodo natalizio/invernale.
E adesso, ho ben DUE giochini!!


1. Come si chiamerà la bambina? Pensateci bene, potete scriverlo anche nella recensione al prossimo capitolo, perché in palio c'è un EXTRA in anteprima!


2. Chi ha bussato alla finestra? Qui in palio c'è uno spoiler del prossimo capitolo :)


Buon divertimento!!! ;)


Grazie a chi legge, segue e commenta questa storia. Grazie di cuore!

Alla prossima!

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Capitolo 24
*** CAPITOLO XXIV ***




CAPITOLO VENTIQUATTRESIMO

 

 

 

 


 


 

 

“Mike?!”, esclamò Bella sorpresa facendo entrare il soldato in uniforme nella sua stanza. I suoi vestiti grondavano acqua e fango, che si depositarono sul pavimento. Era dimagrito e aveva parecchie escoriazioni sul volto. Gli occhi erano segnati da profonde occhiaie, le guance, un tempo paffute, erano state risucchiate da quell’inferno che è la vita in guerra.
“Bella, non spaventarti…”, cominciò a parlarle.
“Oh mio Dio! Edward! Dov’è Mike? Come sta?”, Bella iniziò ad agitarsi.
“Bella, sta’ calma. Ho bisogno del tuo aiuto e dell’aiuto di tuo zio. Edward… sta bene. – La sua voce si incrinò nel pronunciare quell’aggettivo-. Siamo riusciti a fuggire, i tedeschi ci avevano catturato a Perugia. Molti nostri commilitoni… – sospirò, chiuse gli occhi e una lacrima scese sulla sua guancia -. Abbiamo incontrato dei disertori dell’esercito italiano che si sono uniti ai partigiani e siamo stati in montagna con loro. Ci hanno nascosti per un po’ e ci hanno indicato la strada per arrivare qui. Abbiamo camminato per non so quanti giorni… Abbiamo attraversato boschi innevati, fiumi ghiacciati… Ma alla fine, siamo arrivati a Brindisi e poi qui, vicino al fiume, poche ore fa. Ci siamo rifugiati tra gli alberi, ma…
“MA?!”, lo incalzò Bella, visibilmente agitata.
“Un ragazzo afroamericano, o forse indiano, non so… era buio e lui era scuro, che evidentemente ci ha seguiti da Brindisi… quando ha visto Edward…”
“JACOB!”, urlò Bella.
“… ha iniziato a colpirlo senza pietà, per fortuna c’ero io e sono riuscito a fermarlo. Ma ad un certo punto, ha tirato fuori un coltello… Ha colpito Edward, ma è solo una ferita superficiale, sta’ tranquilla. Tuo zio deve medicarlo, io non ce la facevo a portarlo fin qui in spalla. Il ragazzo… Jacob… Bella, gli ho sparato. Stava per uccidere Edward.”, disse Mike più a sé stesso che a Bella, guardandosi la mano destra, quella che aveva premuto il grilletto della sua pistola.
“Oh, mio Dio! Edward!”, Bella si strinse le braccia al corpo e iniziò a piangere.
“No, no Bella. Ti prego… non fare così. Edward sta bene, ma ha bisogno di noi. Per favore, calmati. Dimmi dove posso trovare tuo padre e tuo zio, così lo portiamo qui. Sta bene, davvero. Devi credermi.”
“Oh Dio! Mike, grazie! Gli hai salvato la vita.”, sussurrò Bella tra le lacrime, un misto di paura e sollievo. Edward era lì, a pochi metri da lei, al freddo.
“Vieni, andiamo a chiamare lo zio.”, lo guidò fino alla camera di suo padre e poi andarono a chiamare Carlisle.


“Bella, tu aspettaci qui. Sta diluviando, non puoi assolutamente uscire fuori di casa nelle tue condizioni!”, tuonò suo padre.
Bella obbedì, senza protestare, e si sedette vicino al camino. Sua madre le preparò una tazza di cioccolata calda e dopo un iniziale tentativo di rifiuto, l’ accettò, probabilmente più per la creatura che le cresceva dentro che per sé stessa.
Il pendolo in salotto scoccò la mezzanotte e in quell’istante, la porta di casa si aprì. Erano passate due ore da quando Mike era entrato nella sua camera.
Bella corse all’ingresso dove non trovò chi si aspettava di incontrare.
“Papà”, disse, nella voce una nota di delusione.
“Bella, vieni tesoro. Indossa un cappotto, ti accompagno da lui.”
“Perché non può venire qui? Come sta?”
“Bella, lo vedrai tra poco. Renee… ”, Charlie chiamò sua moglie che prontamente posò una pesante mantella di lana sulle spalle e sul capo di sua figlia.



Arrivati nello studio di Carlisle, Bella trovò suo zio visivamente stanco e provato, con il camice bianco pieno di macchie di sangue.
Bella deglutì, tentando di non pensare al peggio, ma la vista di quel sangue le fece scorrere un brivido nelle vene.
“Zio… come sta?”
“Bella, sta bene. Ora sta riposando. Ho dovuto dargli una forte dose di sedativo per calmare il dolore. La ferita era piuttosto profonda e infetta… Edward è molto debole e denutrito…”
“Cosa significa? Si riprenderà, vero?”
Carlisle lanciò un’occhiata preoccupata a Charlie, che abbassò lo sguardo.
“Cosa mi nascondete? Zio, voglio la verità.”
“Bella, ho molti sulfamidici e gli ho medicato la ferita al meglio, somministrandogli anche degli antibiotici per via intramuscolare. Ma temo non basterà. Mi serve un farmaco che è stato scoperto da poco, la penicillina. È l’antibiotico più potente che esista, solo con quello potrò definire Edward sano e salvo.”
“Bene, dove possiamo prendere questo farmaco?”
“Bella… lo usano nelle infermerie dell’esercito americano per curare i soldati. Cercherò in tutti i modi di procurarne una buona scorta…”
“E se non dovessi riuscirci?”, domandò Bella con tono fermo e risoluto.
“Temo che per salvargli la vita, se l’infezione non recede con i sulfamidici e il suo corpo debole non reagisce ai farmaci, dovrò… amputargli la gamba.”, Carlisle abbassò lo sguardo e prese una mano tremante di Bella fra le sue. Era sconvolta: Edward, il suo Edward…
“Mi dispiace Bella, sto facendo tutto il possibile.”, sussurrò mortificato e addolorato Carlisle.
“Maledetto Black!”, ringhiò Emmet uscendo insieme a Mike dall’ambulatorio di Carlisle.
“Che fine ha fatto quel maledetto? Èancora libero di farci del male?”, soffiò Bella, spaventata dalle sue stesse parole.
“L’ho ucciso, Bella.”, anche Mike uscì dall’ambulatorio. Sia lui che Emmet erano sporchi di sangue. Dovevano aver assistito suo zio nella medicazione della ferita.
“Abbiamo gettato il corpo nel fiume, ora non potrà più farci del male.”, Charlie si avvicinò a sua figlia e le circondò le spalle con un braccio.
“Vuoi entrare, Bella?”, le domandò dolcemente.
“Sì”, sussurrò.
“Noi siamo qui, se hai bisogno di qualcosa.”, la rassicurò suo zio.



Appena entrata nell’ambulatorio, illuminato solo dalla luce sottile di una lampada a olio, evidentemente per favorire il riposo di Edward, l’odore forte dei sulfamidici le fece salire un conato di vomito, che riuscì a soffocare. Non era il momento per mostrarsi debole.
Edward era disteso sul lettino, un lenzuolo candido gli copriva la vita, lasciando scoperto il busto. Indossava ancora la sua divisa, con la piastrina che usciva fuori dal colletto della maglia e pendeva verso di lei. Il sangue si era incrostato sul nome inciso sul metallo.
Bella si avvicinò e iniziò ad accarezzargli i capelli. Il viso era emaciato, pallido e pieno di escoriazioni dovute al freddo, ma era sempre bellissimo. Le mani, le sue belle mani da soldato, erano arrossate dal freddo e piene di tagli. Il palmo della mano destra era bendato: evidentemente era stato ferito anche lì.
Non riuscì a trattenere ancora le lacrime, si sedette accanto a lui, sul lettino, cercando di non toccare la mano ferita o la gamba. Gli accarezzò il viso e poi il collo, scese sul petto e si fermò ad ascoltare il battito del suo cuore e il suo respiro cadenzato. Era lì con lei. Ed era vivo.
Pianse in silenzio, con il viso sul suo cuore, fino a quando una mano tremante non le accarezzò i capelli.
“Umm.. Talco e lavanda, il tuo profumo. Allora non stavo sognando…”, mugugnò con la voce impastata dalla sofferenza.
Bella si alzò, piano, come se si stesse svegliando da un sogno e temesse che tutto quello che aveva visto potesse scomparire; quando i suoi occhi annegarono nei due profondi smeraldi che la guardavano con amore, capì che era tutto vero.
“Edward! Edward!”, esclamò con la voce arrochita dal pianto, mentre le sue mani correvano frenetiche sul viso dell’amato.
“Come stai, amore?”, domandò lui, accarezzandole la schiena.
“Io sto bene, tu piuttosto? Come ti senti? Oh mio Dio! Ho temuto… quando ho visto Mike…”, Bella scoppiò di nuovo a piangere.
Edward la abbracciò, chiamando a raccolta tutte le forze residue, e la cullò sul suo petto, per quanto la posizione e la debolezza glielo consentissero per un tempo che sembrò a entrambi troppo breve per colmare i mesi che li avevano tenuti lontani l’uno dall’altra.
“Ora sto bene. Adesso che sei qui, mi sento bene. Te l’avevo promesso che sarei tornato!”, tentò di farla sorridere.
Bella si avvicinò ancora di più al suo viso e iniziò a tempestarlo di baci, finché non trovò la sua bocca, avida di ricongiungersi a quella di Bella. Il dolore alla ferita, la debolezza, il freddo e la fame che aveva patito in quei mesi si annullarono con quel bacio; Bella lo baciò come una disperata, quasi volesse tentare di cancellare la sofferenza da quel corpo tanto amato.
Quando si staccarono, Bella si sistemò meglio sul lettino e fece scivolare sul pavimento la mantella che le aveva fatto indossare sua madre: i suoi movimenti erano resi goffi dal pancione che si era rivelato in tutta la sua rotondità, coperto solo dalla camicia da notte, davanti agli occhi colmi di gioia di Edward.
Pose la sua mano sulla pancia di Bella e con gli occhi gonfi di lacrime, sussurrò:
“Sei bellissima”.
Bella posò la sua mano su quella di Edward, “Non sai da quanto tempo sognavo questo momento e questa scena!”, esclamò la fanciulla, con voce commossa.
Proprio in quel momento, Edward sentì un colpetto provenire dalla pancia di Bella e le lacrime di gioia presero a scendere ancora più velocemente, mentre Bella si chinava si di lui per catturare di nuovo le sue labbra, in un bacio carico d’amore.
"Bentornato a casa, papà!", sussurrò Bella sulle sue labbra, stringendogli forte la mano.








NOTE.

Allora... come state? Piaciuto il capitolo? Mi dispiace per le fan di Jacob, però in questa storia ha avuto la fine che meritava, dopo tutto il male che ha fatto alla famiglia Swan.
Nessuna di voi ha indovinato, però Edward è tornato lo stesso :) Suppongo siate felici quanto me del suo ritorno ^_^
Per quel che riguarda il nome della bambina, voglio darvi un'altra chance e un aiutino:
non sarà Renesmee né Elisabeth... pensateci ancora e se vi viene in mente qualche idea, scrivetelo nelle recensioni! In palio, ripeto, c'è un EXTRA in anteprima. :)

Poi, qualche appunto storico sul capitolo:

- La pistola di Mike

- I sulfamidici
- La penicillina


Grazie a tutte voi che continuate a seguire con affetto questa storia :)
Come avevo già annunciato qui, la prossima settimana sarò assente perché vado in vacanza.
Il prossimo capitolo arriverà il tra il 9 e il 10 di agosto.

Nel frattempo, vi lascio uno spoiler del prossimo capitolo:


 

“Vediamo cosa possiamo fare… trovato!”
Prese una sedia e vi si accomodò, portando Bella su di sé, facendola sedere a cavalcioni, il più possibile vicina a sé, per quanto la protuberanza del suo ventre lo permettesse, l’uno di fronte all’altra.
“Edward! Così ti faccio male! La tua gamba! E poi ora sono più pesante…”, disse indicando la sua pancia.
Bella cercò di alzarsi, ma Edward la costrinse a stare giù.
“Tu non ti muovi di qui. Non mi fai male. E non sei affatto pesante”, le rispose dolcemente, accarezzandole la pancia che si frapponeva fra i loro corpi.
“Va bene…”, asserì la fanciulla con altrettanta dolcezza.



Che cosa faranno i nostri piccioncini? Sono proprio curiosa di leggere le vostre congetture! Ovviamente, anche qui, se qualcuna dovesse indovinare, ci sarà un regalino! :)

 

Buone vacanze!
A presto!

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Capitolo 25
*** CAPITOLO XXV ***


 

CAPITOLO VENTICINQUESIMO

 

 

 

 


 


 

 

Bella non volle sentire ragioni e trascorse il resto della notte nello studio di Carlisle, adagiata su una brandina che di solito veniva utilizzata per trasportare i feriti nell’ambulatorio. Carlisle rimase tutta la notte con loro, per monitorare la situazione della ferita di Edward.
Il mattino seguente, Charlie, Emmet, e Jasper partirono presto alla volta di Lecce, dove si era stanziato un accampamento militare americano. Mike restò con Carlisle alla tenuta: avrebbe potuto aver bisogno di aiuto, nel caso la situazione si fosse aggravata.


“Allora, la ferita sembra non essere peggiorata rispetto a ieri. Questo è un buon segno, Edward.”, sorrise Carlisle.
Bella strinse forte la mano di Edward e gli sorrise.
Medicò con cura il taglio e gli somministrò un’altra dose di antibiotici.
“Edward, immagino tu sia stanco di indossare questi abiti e credo abbia bisogno di rilassarti e ristorarti con un bel bagno caldo, figliolo. Ti faccio preparare da Rosalie il bagno, qui in ambulatorio. È meglio non sforzarti troppo a camminare. Ti aiuteremo io e Mike.”
“Zio…” sussurrò Bella.
“Sì, Bella. Dimmi pure…”
“Ecco, non c’è bisogno che lo aiutiate voi… posso pensarci io.”, disse d’un fiato.
“Oh, tesoro. Io e Mike lo aiuteremo soltanto a raggiungere il bagno, nelle tue condizioni non potresti mai farcela a sollevarlo di peso. Certo che poi puoi occupartene tu… è tutto tuo!”
Bella arrossì e ringraziò mentalmente suo zio. Aveva bisogno di stare con Edward da sola, non voleva condividerlo con nessuno.


“Bene, Mike, vieni in casa. Hai bisogno anche tu di un bel bagno e anch’io. Bella, Rosalie e Joseph sono in lavanderia a disinfettare le bende, se hai bisogno di qualcosa e io non sono ancora tornato, chiedi a loro. Torno subito.”
“Certo zio, va’ pure.”, Bella sorrise e si affrettò a raggiungere il bagno dell’ambulatorio.
La piccola vasca non riusciva a contenere il corpo di Edward, che aveva dovuto piegare le gambe per riuscire a entrarci. Bella notò che la gamba ferita era fuori dalla vasca.
“Tuo zio dice che non dobbiamo bagnarla”, Edward rispose alla sua muta osservazione.
“Come fai?”, gli domandò Bella dolcemente.
“A capire cosa sto pensando. Lo fai sempre.”, gli accarezzò una guancia, ruvida per via della barba incolta.
“Per me i tuoi occhi sono un libro aperto, riesco a capire quello che stai pensando semplicemente guardandoti. Mi viene… naturale”, rispose lui scrollando le spalle.
Bella sorrise e si chinò per baciargli le labbra.
“Ti amo”, sussurrò ancora sulle sue labbra.
Edward sollevò un braccio dall’acqua e le accarezzò una guancia, bagnandola con la mano, ma a Bella non diede fastidio. Anzi, si beò di quel contatto tanto a lungo agognato.
“Ti amo anch’io Bella, non hai idea di quanto sia grande il mio amore per te. Sei stata la mia ancora di salvezza, la ragione per la quale sono sopravvissuto alla fame, al freddo, ai colpi di mitragliatrice… Tu e il bambino che cresce nella tua pancia siete tutta la mia vita.”
Bella si commosse a quelle parole e lo baciò ancora e ancora. Una morsa le aveva intrappolato il suo cuore, sentendo quelle parole. Chissà quanto ha dovuto soffrire, povero amore…
Avrebbero continuato quel discorso più tardi, quando Edward si sarebbe ripreso - perché lei era certa che si sarebbe ripreso -, quando la guerra si sarebbe allontanata ancora di qualche passo rispetto a loro, avrebbero affrontato di nuovo quel discorso. Bella, in quel momento, voleva solo fargli dimenticare tutta quella sofferenza e quel dolore che aveva lasciato segni profondi nel corpo e nella mente di Edward.
“Bene, soldato. Vogliamo fare questo bagno, che ne dici?”, domandò con tono allegro.
“Maggiore, prego.”, la riprese Edward con tono saccente.
“Oh, mi perdoni, maggiore.”, calcò volutamente con il tono della voce l’ultima parola, facendolo ridacchiare.
Bella sollevò le maniche della sua camicia da notte e si inginocchio sulla pila di cuscini che suo zio le aveva lasciato accanto alla tinozza.
“Bella, sei sicura di non affaticarti troppo così? Con la pancia, il bambino… io posso lavarmi da solo…”
“Edward”, lo riprese lei.
“Vuoi privarmi del piacere di fare il bagno al mio futuro sposo?! Lasciami prendere cura di te… io sto bene. Guarda, lo zio mi ha messo dei cuscini qui, apposta. Io e la bambina stiamo bene.”
“Bambina?! Ma come… dici sul serio?!”, domandò Edward stupito.
Bella gli raccontò di Angela e del gioco dell’ago e il sorriso di Edward si allargò notevolmente sul suo viso.
“Sai, ho sempre pensato che sarebbe stata una bambina. L’ho sognata spesso, in questi mesi. Non lo so perché, ma il fatto che sia arrivata così presto e inaspettatamente nelle nostre vite, proprio come tu sei arrivata nella mia vita, mi ha fatto sempre pensare che fosse una bambina, testarda e determinata come la sua mamma.”, Edward accarezzò il viso di Bella e si allungò per baciarle una guancia.
“Anch’io l’ho sognata, quasi ogni notte.”, disse Bella con una certa soddisfazione nella voce.
“Anche se eravamo lontani, nei sogni siamo sempre stati uniti.”, aggiunse Edward.
Bella gli baciò il dorso della mano e poi prese a lavarlo con cura.
Prima i capelli, poi il collo, le spalle, il petto, le braccia, fino a scendere sul suo addome e poi più in basso, fino alle gambe. Usava una spugna pregna di sapone, ma prima di passare la spugna, la sua mano e le sue labbra, tracciavano la strada sul corpo di Edward, quasi a rimarcare il territorio. Quando per sbaglio, muovendosi per raggiungere la gamba immersa nell’acqua, urtò la gamba fasciata, Edward sussultò per il dolore e strinse i denti.
“Scusa amore. Ti fa così tanto male?”, domandò Bella preoccupata, accarezzando delicatamente la fasciatura e posando un bacio delicatissimo sulla gamba.
“Un po’… non preoccuparti. Ora va meglio… se mi dai un altro bacio, forse il dolore passa del tutto.”, rispose con tono furbo Edward.
Bella comprese il suo gioco e decise di rispondere a tono.
“E dove sente dolore, maggiore? Mi faccia vedere?”
“Umm… qui”, e si toccò l’angolo della bocca.
Bella gli sorrise maliziosamente e si chinò per posargli un bacio nel punto che aveva indicato.
“E poi?”, sussurrò con un filo di voce.
“Qui!”, rispose lui catturando le labbra di Bella tra le sue. Le cinse il collo con le braccia, finendo per bagnarle quasi tutta la camicia da notte e parte dei capelli.
“Mi sei mancato così tanto”, esclamò sulla sua guancia.
“Anche tu amore, non sai quanto… Ma ora sono qui e non me ne andrò per nessuna ragione al mondo.”
“Mai più?”, domandò Bella.
“Mai più, te lo prometto. Il mio posto è qui.” E con una mano scese ad accarezzare il pancione di Bella.


“Vado a chiamare lo zio per farti uscire dalla vasca.”
“No, Bella ce la faccio.”
“Edward, per favore. Lo zio mi ha raccomandato di non farti fare assolutamente sforzi. Aspettami qui.”
“Va bene, va bene. Non mi muovo!”, esclamò alzando le braccia in aria, in segno di resa.
Bella ridacchiò e andò nello studio di suo zio. Carlisle stava sistemando dei farmaci in un cassetto.
“Zio, ho finito. Puoi venire ad aiutare Edward?”
“Certo Bella, arrivo subito.”
“Come sta Mike? Con tutta la confusione di ieri, non mi sono neanche preoccupata di chiederglielo…”
“Sta bene, Bella. Non rimproverarti, è normale che ieri ti sia dimenticata di domandargli come stesse. Sta riposando in casa, è molto provato anche lui. Ho dovuto dargli dei sonniferi per dormire… povero ragazzo. La guerra è una brutta bestia”, la voce di Carlisle si incrinò e per un attimo Bella pensò che stesse per scoppiare in lacrime. Non aveva mai visto suo zio piangere, anzi, non aveva mai visto suo zio senza un sorriso sulle labbra.
“Zio, tutto bene?”, domandò Bella preoccupata.
“Sì, certo. Perdonami, Bella. Forse non lo sai, ma mio padre era un soldato.”
“Credevo fosse un medico, come te.”, rispose la fanciulla.
“Sì, era un medico dell’esercito francese. Ha fatto parte dell’esercito per più di trent’anni. Ha trascorso molti anni in Africa, in Algeria e in Tunisia, a curare i soldati. Quando è tornato a Parigi… non era più lo stesso. Fino alla fine dei suoi giorni, è dovuto ricorrere all’etere per riuscire ad addormentarsi.”
“Oh”, sussurrò Bella rabbuiandosi.
“Tesoro, non volevo spaventarti. Non temere per Edward o per Mike: loro sono giovani, il loro cuore cancellerà presto i brutti ricordi della guerra.”, la rassicurò suo zio.


“Allora Edward, va meglio ora?”, domandò Carlisle aiutandolo ad indossare un pigiama pulito.
“Decisamente”, rispose Edward lanciando un’occhiata maliziosa a Bella.
“Bene bene, molto bene. Se non ti dispiace, vorrei tenerti ancora qui per qualche giorno in osservazione. Nel pomeriggio Charlie tornerà da Lecce con le medicine di cui hai bisogno, dopo qualche giorno di somministrazione ti potrò liberare da questo ambulatorio.”
“Che tipo di medicine, Carlisle?”, domandò Edward.
“Penicillina, ne hai sentito parlare?”
“Ma certo. Me l’hanno somministrata in infermeria quando sono stato ferito, dopo un rastrellamento.”, lo informò Edward.
“Mi hai dato una buona notizia Edward: se ti è già stata somministrata, possiamo stare tranquilli che non avrà effetti indesiderati sul tuo organismo. Dobbiamo solo attendere il loro arrivo.”, Carlisle gli sorrise e dopo averlo fatto stendere sul letto, che Rosalie nel frattempo aveva cambiato, gli controllò la temperatura.
“Hai un po’ di febbre… è normale, con una ferita del genere.” Carlisle guardò preoccupato il numero segnato dalla colonnina di mercurio - '38' - e pregò che Charlie trovasse la penicillina e la portasse presto lì.
A Bella non sfuggì lo sguardo di suo zio, ma si sforzò di non mostrarsi preoccupata di fronte a Edward.
“Hai bisogno di qualcosa, Edward?”
“In realtà sì. Per favore, potrei avere un rasoio e del sapone da barba? Vorrei radermi.”, domandò Edward.
“Ma certo, ti porto subito tutto l’occorrente. Lo specchio nella toletta è piccolo, ma credo sia sufficiente. Se hai difficoltà a stare in piedi per raderti, posso aiutarti io.”, si offrì gentilmente Carlisle.
“Ti ringrazio, ma penso di potercela fare da solo. Sono un soldato, sono abituato a radermi senza specchio.”, rispose Edward.


“Posso raderti io?”, gli domandò Bella mentre osservava Edward preparare l’occorrente che Carlisle gli aveva portato.
“Umm… d’accordo!”, rispose Edward mentre la sua bocca si piegava in una virgola di sorriso.
“Sei troppo alto, però! Non ci arrivo!”, si lamentò Bella avvicinando il pennello pieno di sapone al viso di Edward.
“Vediamo cosa possiamo fare… trovato!”
Prese una sedia e vi si accomodò, portando Bella su di sé, facendola sedere a cavalcioni, il più possibile vicina a sé, per quanto la protuberanza del suo ventre lo permettesse, l’uno di fronte all’altra.
“Edward! Così ti faccio male! La tua gamba! E poi ora sono più pesante…”, disse indicando la sua pancia.
Bella cercò di alzarsi, ma Edward la costrinse a stare giù.
“Tu non ti muovi di qui. Non mi fai male. E non sei affatto pesante”, le rispose dolcemente, accarezzandole la pancia che si frapponeva fra i loro corpi.
“Va bene…”, asserì la fanciulla con altrettanta dolcezza.
Iniziò a spargere con il pennello il sapone da barba sul suo viso. Poi passò il rasoio a serramanico dal collo al mento, sulle guance e sulla delicata porzione di pelle tra il naso e il labbro superiore. Bella era molto concentrata e Edward tentava di facilitarle il compito, inclinando il capo seguendo i movimenti della rasatura.
“Fatto!”, esclamò Bella soddisfatta, pulendo dal viso di Edward i residui di sapone, con la tovaglietta di lino che gli aveva posato sul petto, a mo’ di bavetta.
Gli diede un sonoro bacio sulle labbra e si sollevò, mantenendosi sulle sue braccia. Dovette sgranchirsi le gambe, perché la posizione che aveva mantenuto fino ad allora le aveva rese anchilosate.
“Tutto bene, amore?”, domandò apprensivo Edward.
“Sì, sì, tutto bene. Da quando c’è lei,- si accarezzò amorevolmente il ventre- i miei muscoli hanno perso un po’ di elasticità e le mie ossa si stanno adattando alla nuova arrivata. Zio Carlisle ha detto che è tutto normale, non ti preoccupare. Tu piuttosto, come ti senti?”
“Mai stato meglio” e la baciò, facendole inclinare il capo indietro.
“Hai fatto un ottimo lavoro, Bella. Prima il bagno, poi la barba… Mi piace ricevere tutte queste cure da te…”, le confessò arrossendo.
“E a me piace prendermi cura di te!”, rispose lei prontamente, accarezzandogli le guance morbide e lisce.
“Ora fila a letto! Devi guarire e rimetterti in sesto… mi sei mancato…”, la sua voce si arrochì sull’ultima frase.
Edward ridacchiò e le baciò una guancia.
“Non hai nemmeno idea di quanto mi sia mancata tu… ma … credi che, con la bambina… possiamo?
“Immagino di sì… in fondo, quando non sapevamo ancora di lei non ci siamo di certo astenuti, anche se era più piccola di adesso…”, Bella sorrise e si accarezzò il pancione, dove incontrò la mano di Edward.
“Chiederò allo zio…”, mormorò arrossendo, sebbene sapesse che suo zio era molto professionale e disponibile e che poteva chiedergli qualunque cosa, era pur sempre suo zio e parlargli di certe cose imbarazzava Bella.
“Ora dormi!”, ordinò Bella.
“Agli ordini comandante!”, rispose Edward.
“Vado a cambiarmi, torno subito.”, lo salutò con un bacio e quando arrivò nello studio di suo zio, trovò suo padre e suo fratello ad attenderla.
“Che succede? Avete trovato le medicine?”







NOTE.

Dite che avranno trovato le medicine?
Lo scoprirete nel prossimo capitolo, fra una decina di giorni circa!
Avete ritrovato lo spoiler nel capitolo? ^^ Piaciuto?! Il capitolo è un po' più lungo del solito, spero vi faccia piacere :) Grazie a tutte voi che leggete e seguite questa storia.
Buone vacanze e buon Ferragosto!
A presto, un bacio!

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Capitolo 26
*** CAPITOLO XXVI ***


 

CAPITOLO VENTISEIESIMO

 









 

“Siamo stati molto fortunati, Bella. Il carico di rifornimenti era appena arrivato da Napoli e siamo riusciti ad ottenere una buona scorta di penicillina. Edward è salvo!”, esclamò Emmet prendendo fra le braccia sua sorella.
“Grazie a Dio!”, Bella scoppiò a piangere per la gioia.
“Andiamo da Edward, così posso già iniziare la cura.”, propose Carlisle sorridendo.
“E tu! Signorina, corri a cambiarti! Stai prendendo troppo freddo vestita così!”, la rimproverò Charlie.
“Va bene, papà.”, Bella alzò gli occhi al cielo e corse trafilata in casa a cambiarsi.


Dopo aver fatto un bagno caldo e aver indossato un vestito che la proteggesse dal freddo, si precipitò al piano inferiore per raggiungere Edward.
“Bella!”, la chiamò sua madre.
“Ciao mamma, sto andando da Edward!”, la salutò Bella.
“Ehi, fermati! Non hai mangiato niente! Hai saltato la colazione! Bella devi mangiare!”
“Ma mamma…”, e in quel momento di accorse di avere fame.
“Mangerò con Edward… per favore…”, la supplicò.
“E va bene…”, acconsentì Renee comprendendo l’urgenza e il desiderio di non stare neanche un minuto separata da lui.



Arrivata nello studio di suo zio, trovò Emmet che vagava tra gli scaffali colmi di libri, intento a leggerne i titoli.
“Vuoi darti alla medicina, ora?”, lo prese in giro Bella.
“Per carità, non fa proprio per me! Stanno medicando la gamba di Edward e ho preferito restare qui… già ieri sera è stata dura aiutare lo zio a tenerlo fermo mentre lo medicava e vedere tutto quel sangue che zampillava dalla ferita…”, Emmet scosse il capo per mandare via i ricordi dalla sua mente.
“Emmet, ti prego… risparmiami i particolari…”, mormorò Bella afferrandosi il collo con una mano, per fermare i conati di vomito che le stavano salendo in gola.
“Oddio, scusa. Hai ragione… è che tu sei sempre stata la più coraggiosa tra noi due e ora che sei incinta ogni tanto dimentico che sei più… impressionabile.
Bella gli sorrise e andò ad abbracciarlo.
“Sono così felice che Edward sia tornato.”, sussurrò Emmet. E lo pensava davvero, voleva bene a quel ragazzo come un vero fratello.
“Anch’io Emmet, non immagini neanche quanto. Credo che oggi sia una delle giornate più belle della mia vita. Era da un po’ che non mi sentivo così felice.”, gli confessò la fanciulla.


Carlisle e Charlie uscirono dall’ambulatorio lasciando la porta socchiusa.
“Come sta?”, domandò Bella.
“Sta bene, Bella. Gli ho somministrato la prima dose di penicillina e gli ho medicato di nuovo la ferita. Deve mangiare, è molto denutrito e gli antibiotici sono farmaci molto forti. Vado a dare disposizioni per il pranzo.”
“Io pranzo qui, con lui. Non lo lascio solo.”, asserì Bella con decisione.
“Lo immaginavo.”, disse suo zio e andò a chiamare Rosalie.
“Bene, credo ti stia aspettando, Bella. Emmet, andiamo in casa a pranzare. A più tardi!”, Charlie salutò Bella e uscì dallo studio insieme a Emmet.



Edward si era addormentato. Con la chiara luce del giorno, Bella poté constatare quanto suo zio avesse ragione sul fatto che fosse denutrito. Le guance, non più ricoperte dalla barba, erano incavate, gli occhi erano segnati da occhiaie violacee e profonde. Sembrava così piccolo e indifeso in quel letto! In quel momento, il soldato, venuto da lontano, giovane e forte, che l’aveva fatta innamorare, si mostrò a Bella in tutta la sua vulnerabilità. Di fronte ai suoi occhi c’era un ragazzo stanco e provato da eventi che non avrebbe dovuto vivere alla sua età. Un ragazzo che l’aveva stregata dal primo momento in cui loro occhi si erano incrociati e che avrebbe amato per sempre.
Avvicinò una mano al suo viso e cominciò a percorrere le linee marcate sotto gli occhi, le guance, le labbra. Lentamente, prese ad accarezzargli i capelli e a lasciargli baci delicati su tutto il viso. Non voleva interrompere il suo riposo, ma, probabilmente complice la maternità, sentiva il bisogno di stargli il più vicino possibile e di coccolarlo, come un bambino indifeso.

“Mmm… sto sognando?”, sussurrò Edward con la voce impastata, aprendo timidamente gli occhi.
“No, soldato. Non stai sognando, è tutto vero.”, gli rispose Bella cercando le sue labbra.

“Mmm… squisito!”, esclamò Edward dopo aver ripulito il suo piatto di brodo di carne con una fetta di pane.
Bella lo osservava incantata: possibile che fosse così bello e affascinante anche mentre mangiava? Ma un altro pensiero si insinuò nella sua mente: da quanto tempo Edward non mangiava? E senza che se ne accorgesse, la sua domanda prese voce.
“Da quanto tempo non mangiavi, Edward? Sei così dimagrito…”, sussurrò la fanciulla accarezzandogli le guance scavate.
Edward afferrò la mano di Bella e se la portò alle labbra.
“Ora non ha più importanza, sono qui con te e sono sazio. Il passato è passato.”
Una lacrima disegnò una curva sulla guancia di Bella e altre ne seguirono il medesimo percorso, Edward si sporse per stringerla fra le braccia e lei posò il capo sul suo petto, piangendo tutte le lacrime, che per tre mesi aveva accumulato per lui, sul suo cuore.
Edward le accarezzava i capelli e le baciava teneramente gli occhi, cercando di catturare quell’argine alla fonte. Alla fine, scoppiò a piangere anche lui. Non era la prima volta che lo faceva: solo con Bella era in grado di mostrare la sua parte più vulnerabile. Solo con lei poteva mettere da parte la divisa da soldato e la corazza che era richiesta a quel tempo per essere definito ‘uomo’ e mostrarsi semplicemente per quello che era, Edward Masen.
Quando entrambi non ebbero più lacrime da versare e i loro respiri si sintonizzarono alla stessa frequenza, stretti in un abbraccio, mai sazi l’uno della vicinanza dell’altra, si addormentarono.



Li svegliò Carlisle, quasi al tramonto, per medicare nuovamente la ferita di Edward e somministrargli un’altra dose di penicillina.
“Come ti senti Edward?”, gli domandò premuroso.
“Bene, grazie. Solo un po’ debole e assonnato…”
“È normale, la penicillina è un farmaco molto forte. La tua temperatura è perfettamente nella norma e il polso ha ripreso vigore rispetto a ieri. Stai guarendo in fretta, ragazzo. Ne sono molto felice.”, Carlisle gli accarezzò il capo e gli sorrise con affetto paterno.
“Tra poco Rosalie servirà la cena, Bella immagino che tu rimanga qui…”
“Sì, zio. In realtà, vorrei chiederti un favore. Potrei restare qui anche stanotte? Non mi sento sicura a lasciarlo da solo…”, Bella strinse forte la mano di Edward.
“Tesoro, nelle tue condizioni… Devi riposare in un letto comodo. Nella nottata, verrò a controllare io Edward. Ma se vuoi stare qui con lui, per me non ci sono problemi.
Chiederò a Jasper e Emmet di farti sistemare una brandina comoda. Lilian ti porterà le coperte.
“Grazie zio!”, esclamò la fanciulla.
“Di nulla, Bella. Ci vediamo più tardi ragazzi!”, Carlisle uscì dall’ambulatorio e nel giro di un’ora Jasper e Emmet avevano provveduto a sistemare una comoda brandina accanto a quella di Edward.



Bella, rientrando in casa per prendere la camicia da notte, aveva preso anche il suo diario.

“Ho un regalo per te.”, sussurrò avvicinandosi a Edward mentre teneva le mani dietro la schiena.
“Davvero? Cosa?”, domandò incuriosito Edward.
“Tieni.”, glielo porse con orgoglio.
“È il mio diario. O meglio, uno dei miei diari. Ho iniziato a scriverlo la sera che sei andato via. Da quella sera, ogni giorno, prima di chiudere gli occhi, ho affidato a queste pagine un dettagliato resoconto della mia giornata, dei miei pensieri, delle mie paure e delle mie speranze. Volevo che non ti perdessi nulla della nostra vita qui – si accarezzò il pancione – in questi mesi di lontananza. Volevo colmare in qualche modo la tua assenza e scriverti, in un certo senso, mi ha aiutata. Era come se ogni sera, tu fossi nel mio letto e ascoltassi il racconto di quello che mi era accaduto durante il giorno.”
“Oh, Bella! Amore mio!”, Edward catturò le labbra di Bella e le schiuse con ardore.
“Ti amo tanto”, sussurrò con il fiato corto, facendo combaciare le loro fronti.
“Anch’io Edward. Ti amo tanto anch’io.”, Bella gli sorrise e gli stampò un sonoro bacio sulle labbra.
“Vieni qui”, Edward le fece cenno di sdraiarsi accanto a lui, con la testa appoggiata sul suo petto.
“Ti va di iniziare a leggermelo?”, le chiese, abbracciandola.
“Davvero vuoi che sia io a leggertelo?”, gli domandò la fanciulla stupita.
“Sì, voglio sentire i tuoi pensieri prendere corpo dalla tua voce. Voglio che sia tu a raccontarmi di questi mesi.”, affermò con decisione.
“D’accordo”, acconsentì la fanciulla e, prima di cominciare a leggere, suggellò la promessa con un bacio.







Eccomi qui!
Come state? Come sono andate le vacanze? Ormai immagino siano finite per tutti, o quasi. :)
Edward è sano e salvo, ve l'avevo promesso che non avrei fatto più patire guai a questi poveretti!
Spero che il capitolo vi sia piaciuto e vi ringrazio per l'affetto con cui seguite questa storia.
Il prossimo capitolo arriverà fra una quindicina di giorni.
A presto, un bacio!

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Capitolo 27
*** CAPITOLO XXVII ***


 

CAPITOLO VENTISETTESIMO




 

Il 27 gennaio 1945, data che molti anni dopo fu scelta per commemorare la memoria delle vittime della Shoah; per gli abitanti della masseria, per due giovani in particolare, quella data sarebbe rimasta incisa nei loro cuori e serbata nei loro ricordi più cari.
Quel giorno, infatti, nel piccolo borgo di Campi si stavano celebrando le nozze della figlia del barone Swan e di un giovane soldato americano.
La storia della fanciulla e del ragazzo straniero ormai era diventata leggenda e le loro nozze, celebrate in privato nella cappella della masseria, con pochi intimi invitati, acuirono la curiosità e la fantasia degli abitanti del piccolo paese.
La cerimonia fu commovente e intima e il banchetto ricco di ogni bontà. Nevicava quel giorno a Campi e avrebbe continuato a farlo per tutto il resto della settimana, regalando molta gioia ai novelli sposi.
Charlie aveva riservato all’interno della masseria una casetta per ognuno dei suoi figli e per sua nipote; Edward e Bella erano rimasti incantati alla vista della loro nuova dimora e si erano commossi di fronte alla cura con cui ogni piccolo dettaglio era stato studiato per rendere calda e confortevole la loro vita lì.


Terminata la cerimonia, Bella era stata accompagnata da sua madre, sua cugina e Rosalie in camera da letto per prepararsi per la notte e sistemare il prezioso abito da sposa; mentre Edward si era fermato nella corte della masseria, sotto il portico, a fumare insieme a Emmet e Jasper, osservando la neve candida che cadeva dal cielo, in attesa che sua moglie fosse pronta per la notte.


Osservando nello specchio le mani di sua madre che sfilavano abilmente le forcine dai suoi capelli, liberandole i morbidi boccoli sulle spalle, la sua attenzione fu catturata da Alice e Rosalie che sistemavano delle preziose e candide lenzuola di seta, ricamate ad arte con dei ghirigori dorati, sull’enorme letto a baldacchino che troneggiava nella stanza.

“Qualcosa di tradizionale deve pur esserci nel tuo matrimonio.”, asserì sua madre, sorridendole.
“Già… ma tu credi davvero a queste tradizioni? Voglio dire… che differenza fa se il letto della prima notte di nozze viene preparato da due signorine o da due donne sposate o dalla sposa stessa?”
“In teoria, nessuna. Ma vedi, cara, le tradizioni fanno parte della nostra vita, ci legano al passato, sono un’ancora di certezza: ci dicono chi siamo. Il matrimonio è un passo importante nella vita di ogni persona e se è tradizione che il letto della prima notte di nozze debba essere fatto da due fanciulle, in segno di purezza, non ci vedo nulla di male. Alice e Rosalie ti vogliono molto bene, vedila così: è di buon auspicio che siano loro a prepararti il letto per stanotte, perché vogliono augurarti una vita felice e serena.”
“Beh, non avevo mai pensato alle tradizioni sotto questo punto di vista…”
“Un’altra tradizione è che la camicia da notte della sposa sia un regalo. Vieni tesoro, ti aiuto ad indossarla. Spero ti piaccia.”
Renee aiutò Bella ad indossare una raffinata camicia da notte in raso di seta color rosa cipria: era stata ricamata a mano da sua madre e aveva una scollatura a ‘V’ impreziosita da infinite piegoline di pizzo e volant di seta che terminavano sotto il seno, da cui partivano i lembi di una delicata e sottile fusciacca di una tonalità leggermente più scura della camicia da notte.
“Mamma è… bellissima.”, commentò Bella osservandosi con gli occhi lucidi nello specchio.
“Tu sei bellissima, tesoro. Ti sta d’incanto.”, Renee le baciò una tempia commossa, mentre osservava sua figlia che si accarezzava la pancia messa in rilievo dal taglio della camicia da notte.
Aveva lavorato giorno e notte per ricamare la camicia da notte di sua figlia e il risultato era perfetto.
“Beh, direi che qui abbiamo finito. Andiamo ragazze?”, domandò Renee a Alice e Rosalie.
“Sì, zia. Possiamo andare, anche noi abbiamo finito.”
Alice si avvicinò a Bella per salutarla e lo stesso fece Rosalie. Le fanciulle le augurarono la buonanotte e le sorrisero complici.
Poi fu il turno di sua madre.
“Sarà strano non averti più in casa, sapere che non dormirai più sotto il mio stesso tetto, avere un posto in meno a tavola… accettare il fatto che ormai non avrai più bisogno di me…”, sussurrò Renee tra le lacrime facendo commuovere sua figlia e le due fanciulle che si erano avvicinate alla porta della stanza, in attesa di uscire.
“Ci vedremo tutti i giorni, abitiamo nello stesso palazzo… e… e io e Edward verremo spesso a pranzo o a cena da voi!”, singhiozzò Bella.
“E poi, avrò bisogno di te quando nascerà il bambino… avrò bisogno di te più che mai, mamma! Avrò sempre bisogno di te.”
Si strinsero forte e piansero tante lacrime.



“Su tesoro, ora basta. Edward ti aspetta e oggi è un giorno di festa. Basta lacrime. Oggi inizia una nuova vita per te. Sappi che potrai sempre contare su di noi, per qualsiasi cosa, noi ci saremo.”
Bella annuì e sorrise a sua madre.
“Ti voglio bene, mamma. Grazie di tutto.”
“Sono fiera di te e della giovane donna che sei diventata. Ti voglio bene anch’io.”, Renee diede un bacio sulla fronte a sua figlia e dopo un’ultima carezza, posò le sue mani sulla vita di Alice e di Rosalie e tutte e tre sparirono dietro la porta.


“Renee! Tutto bene? Bella sta bene… hai pianto?”, domandò Edward preoccupato, vedendo il volto di Renee arrossato dalle lacrime.
Renee gli gettò le braccia al collo e lo strinse in un abbraccio materno. Il ragazzo, all’inizio titubante e preoccupato per la sua reazione, ricambiò l’abbraccio della donna.
“Va tutto bene, sta’ tranquillo. Bella sta bene. Edward…”, lo chiamò scostandosi per poterlo guardare negli occhi.
“Sono felice che sia tu l’uomo che starà accanto a mia figlia. Non avrei potuto desiderare di meglio. Vi auguro tanta felicità e… ti voglio bene.”
Edward tirò un sospiro di sollievo e sorrise dolcemente a Renee.
“Grazie Renee. Voi mi avete ridato una vita, mi avete concesso l’onore di sposare vostra figlia: siete la mia famiglia e non finirò mai di esservi grato per tutto quello che avete fatto per me. Ti voglio tanto bene.”
Si abbracciarono ancora.
“Va’ ora, tua moglie ti sta aspettando. Ci vediamo presto.”, Renee gli accarezzò una guancia e poi si avviò verso casa sua.


Il ragazzo bussò alla porta della sua camera da letto e una voce calda e allegra, gli rispose di entrare.
Bella lo aspettava in piedi, vicino al letto. Era una visione meravigliosa. Si avvicinò, sorridendole, senza staccare mai lo sguardo da quegli occhi magnetici. Le accarezzò le guance, i capelli, le spalle e infine le sue mani si posarono sui suoi fianchi, accarezzandole dolcemente anche la pancia.
“Sei bellissima.”
Non era la prima volta che glielo diceva quel giorno.
Le prese la mano sinistra, dove faceva bella mostra di sé una vera d’oro con le loro iniziali incise e intrecciate tra loro in un elegante italico, e la intrecciò con la sua sinistra. Bella gli sorrise e si sporse per baciare la fede di Edward, proprio nello stesso istante anche Edward fece la stessa cosa, per baciare l’anulare di Bella.
Le loro fronti si scontrarono e le loro labbra si incontrarono proprio lì, sul metallo freddo che da poche ore stava sulle loro dita intrecciate e saldamente incastrate.
Sorrisero felici. Rimasero in quella posizione, con le dita intrecciate e le labbra che si sfioravano per un tempo che sembrò a entrambi infinito. Non avevano fretta, sembrava volessero godere di ogni istante della loro nuova vita insieme.
Carlisle aveva assicurato a entrambi che la loro intimità non avrebbe compromesso in alcun modo la salute del bambino, dovevano solo essere più delicati del solito. Ma da quando Edward si era ripreso, non avevano ancora avuto rapporti, perché Edward voleva aspettare quella notte, la loro prima notte di nozze. Voleva aspettare il matrimonio… beh, la fanciulla non ne era stata particolarmente contenta; ma in quel momento, si rese conto che Edward aveva ragione: l’attesa rendeva la loro prima notte di nozze ancora più speciale.
“Ti amo.”, le sussurrò sulle labbra, guardandola negli occhi.
La profondità di quello sguardo e di quelle parole le fecero tremare le gambe e una scossa di desiderio vibrò in lei.
“Anch’io ti amo. Ti amo tantissimo.”, gli rispose prendendo ad accarezzare le sue guance, di nuovo piene e morbide.
Edward la prese tra le braccia e la posò delicatamente sul letto. Scostò le coperte e le raffinate lenzuola e poi si piegò per togliersi le scarpe e depositarle lontano dal letto, accanto alla toletta. Solo in quel momento Bella notò che non indossava la giacca che aveva tenuto per tutto il giorno e che aveva le maniche della camicia risvoltate sulle braccia.
Quando portò le mani al suo collo per allentarsi il complicato e raffinato nodo del plastron, Bella lo chiamò.
“Edward… Edward, vieni qui. Voglio… voglio farlo io.”, asserì guardandolo con adorazione.
Non se lo fece ripetere due volte e si avvicinò a sua moglie. Bella si era inginocchiata sul letto, per arrivare all’altezza del suo collo. Gli sorrise e prese a sciogliere la seta, solleticandogli di tanto in tanto la pelle sensibile del collo.
“Accidenti, quanto è complicato!”, disse Bella impaziente facendo ridacchiare Edward.
“Hmm… il sarto ci ha messo quasi mezzora stamattina per annodarla e tu ti lamenti per qualche minuto!”, la canzonò.
“Sì, perché anche se sei bellissimo così, ti preferisco decisamente nudo! Non ce la faccio più Edward…”, gli confessò Bella, arrossendo.
Edward le baciò la punta del naso, facendola arrossire ancora di più.
“Non c’è fretta, amore. Abbiamo tutta la notte.”, le sussurrò malizioso.
La aiutò a sciogliere il nodo della cravatta e poi si lasciò spogliare completamente.
Bella iniziò ad accarezzargli l’addome e il petto con le mani, lasciandogli di tanto in tanto un bacio rovente che lo faceva rabbrividire di piacere. Si spostò e si sedette sul letto, lasciandogli lo spazio di sedersi accanto a lei.
“Sei bellissimo.”, gli sussurrò prima di avventarsi sulle sue labbra.
Edward le strinse dolcemente un fianco e sollevò l’orlo della camicia da notte, per accarezzarle direttamente la pelle della pancia.
“Sei ancora vestita, signora Masen.”, mugugnò sulle sue labbra.
Senza staccarsi dalle labbra di lei sciolse il nodo della fusciacca e le fece sollevare le braccia per sfilarle la camicia da notte. Si alzò dal letto per depositarla sulla sedia della toletta: se l’avesse lasciata in balia delle loro ‘coccole’ non avrebbe avuto vita lunga e gli sarebbe dispiaciuto molto, stava molto bene a sua moglie.
Si posizionò in ginocchio ai piedi del letto e un punto interrogativo si dipinse sul volto di sua moglie. Lui le rivolse un sorriso rassicurante e lei non chiese nulla né obbiettò: di fronte ai suoi sorrisi, si scioglieva sempre, era inerme nelle sue mani.
Iniziò a baciarle le dita dei piedi, massaggiandole la pianta con le mani. Continuò a baciarle le gambe, senza tralasciare neanche un centimetro di pelle. Giunto all’interno coscia, sollevò lo sguardo, quasi per chiedere il permesso, e incontrò due occhi languidi e innamorati che gli sorrisero in una tacita preghiera.
Iniziò a vezzeggiarla, delicatamente, prima con le dita e poi con la lingua. Bella gemeva di piacere per le carezze e le attenzioni che suo marito le stava dedicando. Aveva artigliato le dita tra i suoi capelli e quando il piacere la travolse, temette di fargli male per quanto li strinse. Ma lui sollevò il capo, sorridendo soddisfatto, e dopo aver lasciato un bacio sulla sua pancia e uno su entrambi i suoi seni, più pieni e sodi che mai per via della gravidanza, portò il viso all’altezza del suo e si impossessò della sua bocca.
La fece voltare su un fianco, per non pesarle sulla pancia, e, sdraiatosi dietro di lei, la strinse forte a sé. Mentre con una mano le accarezzava i seni, con l’altra riprese a stuzzicarle l’intimità. Continuando con le sue carezze, la penetrò con estrema delicatezza, senza giungere fino in fondo, per paura di fare male alla bambina, mentre Bella, gemendo per il piacere, voltò il collo in cerca delle sue labbra e le trovò fameliche e pronte a ricevere i suoi baci.



“È stato meraviglioso, Edward.”, sospirò Bella, accarezzandogli il viso.
“Concordo, mia dolce sposa.”, le rispose sorridendole.
“Mi sei mancata così tanto…”, aggiunse, dandole un leggero bacio.
“Anche tu, Edward. Non sai quanto… Ma… Forse dovremmo astenerci più spesso, se questi sono i risultati.”, propose Bella, fingendo nonchalance.
“Cosa!?”, quasi urlò Edward.
Bella ridacchiò e gli scoccò un sonoro bacio sulla bocca.
“Scherzo amore. Fosse stato per me, se ben ricordi, non avrei aspettato di certo stanotte… ma devo ammettere che l’attesa è stata…”, Bella era in cerca delle parole.
“È stata un’ottima e romantica idea.”, concluse per lei Edward.
“Sì, certo e anche molto antiquata e tradizionalista...”- lo canzonò Bella -, “Ma ne è valsa la pena ed è stato molto, molto romantico.”, terminò sorridendogli.


Continuò ad accarezzarle la pancia e a baciarle le labbra, sussurrandole ad ogni bacio dolci parole d’amore, fino a quando non si rese conto che le palpebre di Bella stavano per cedere al richiamo di Morfeo.
“Dormi adesso, è stata una giornata impegnativa.”, le soffiò sulle labbra.
Bella gli sorrise e incollò nuovamente la sua bocca a quella di suo marito.
“Buonanotte, amore mio.”, mormorò stringendosi a lui e posando il capo sul suo petto.
“Sogni d’oro, mia Bella.”, le rispose, posando il viso sui suoi capelli respirando il suo profumo di talco e lavanda, che sin dal primo istante, lo aveva fatto sentire a casa.













Buonasera!
Allora, i nostri cari piccioncini si sono sposati ^^
Qualche lacrimuccia mi è scesa, quando Bella e sua madre si salutano...
Spero che il capitolo vi sia piaciuto e spero di poter leggere le vostre impressioni a riguardo.
Ricordo che siete ancora in tempo per indovinare il nome della bambina e ricevere in anteprima un extra della storia.
Volevo avvisarvi che siam giunti quasi alla fine. Mancano tre capitoli alla fine della storia -sigh :'( -, massimo quattro, ma non è sicuro. E poi ci saranno degli extra, come promesso. Almeno due. :)
Bene, direi che è tutto. Mi rimetto ai vostri commenti!
Alla prossima, un bacione!

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Capitolo 28
*** CAPITOLO XXVIII ***


CAPITOLO VENTOTTESIMO


 

 

“La prossima settimana saranno due mesi che siamo sposati.”, mormorò Edward, continuando ad accarezzare i lunghi capelli di sua moglie, che si godeva pigramente le sue carezze mentre ascoltava il suono del suo cuore.
“Sembra essere trascorso molto più tempo… stiamo così bene che mi sembra di stare con te, in questa casa, da una vita!”, esclamò Bella lasciando un bacio sul petto nudo di suo marito.
Nei due mesi appena passati, i novelli sposi avevano trascorso la maggior parte delle loro giornate nella camera da letto, godendo dell’intimità della loro casetta, estraniandosi completamente da quella che era la tipica vita nella masseria: una vita quasi comunitaria, scandita dai ritmi delle stagioni e della natura. Complice l’inverno piovoso e qualche nevicata, soprattutto nelle prime settimane dopo il matrimonio, tutti i lavori della masseria erano stati sospesi; per la gioia di Edward e di Bella.
“È quello che ho sempre provato da quando ci siamo incontrati: mi sembra di conoscerti e di stare con te da una vita e invece non è trascorso neanche un anno. Potrei stare in capo al mondo, ma con te al mio fianco mi sentirei sempre a casa.”, sussurrò Edward facendo tremare sua moglie.
“Vale lo stesso per me, lo sai.”, gli rispose Bella, sollevando un po’ il capo per guardarlo negli occhi.
“Ti amo.”, bisbigliò sulle sue labbra, prima di baciarlo.
“Ti amo anch’io.”, le rispose suo marito, lasciandole dolci baci su tutto il viso.
Proprio quando le loro carezze e le loro coccole stavano diventando più intime, qualcuno bussò alla porta.
“Non –bacio- aprire…”, Bella tentò di trattenere suo marito dall’intento di alzarsi dal letto per aprire la porta.
Lui la baciò a lungo e poi si alzò dal letto e si rivestì in fretta.
“Magari qualcuno ha bisogno di noi, non possiamo non aprire, amore.”, le spiegò.
“Uffa, cosa ne sanno che siamo svegli!? Dai, non aprire… facciamo finta che stiamo ancora dormendo. In fondo è ancora presto…”, gli disse guardando maliziosamente la porzione di pelle lasciata scoperta dai primi bottoni aperti della camicia di Edward.
Lui salì in ginocchio sul letto e si avvicinò carponi a Bella. La baciò ancora e poi le sussurrò nell’orecchio:
“Vado a vedere chi è e quando torno riprendiamo da dove abbiamo interrotto.”, le sussurrò sorridendole e dandole ancora un bacio.
“Fa’ presto!”, gli urlò lei prima che sparisse oltre la porta della loro camera.



Edward rientrò in camera, reggendo in una mano un piatto coperto da un tovagliolo e nell’altra una bellissima rosa bourbon bianca, con delle deliziose venature rosse. Erano le rose che crescevano sul loro terrazzo.
“È la prima di quest’anno. – disse Edward – Nel primo giorno di primavera. – sorrise – Per te, amore mio.”
“Oh, grazie amore!”, Bella gli gettò le braccia al collo, ma si mosse troppo bruscamente, perché avvertì una forte fitta alla pancia.
Posò entrambe le mani sulla pancia e ricadde pesantemente indietro sul letto. Edward posò il piatto sul comodino e si avvicinò preoccupato a Bella.
“Tutto bene? Vuoi che chiami lo zio? Devi fare piano, amore. Siamo quasi alla fine…”, le sorrise mentre le sue mani continuavano ad accarezzarle la pancia, ormai diventata enorme, quasi per darle sollievo.
“No, no. Sto bene, Edward. Davvero. Lo zio ha detto che è normale iniziare ad avere qualche piccola contrazione: la bimba si sta preparando.”, lo tranquillizzò lei. Ma, sotto sotto, avvertiva che quella fitta non era come le altre, avute nei giorni precedenti.
“Non vedo l’ora che nasca…”, sussurrò Edward emozionato.
“Anch’io.”, rispose Bella voltando il capo verso suo marito.
Gli diede un tenero bacio sulle labbra.
“Grazie, per la rosa.”
Lui, in tutta risposta, la baciò di nuovo.
“Tutto per te.”
“Cosa c’è in quel piatto? E chi era alla porta?”, domandò curiosa Bella annusando la piccola rosa.
“Nel piatto c’è una torta che ha preparato ieri Lilian: ce la manda tua madre. Me l’ha portata tuo padre e mi ha anche detto che oggi comincia la semina del grano. Io devo…”
“No!”, esclamò Bella allarmata.
“Bella, devo andare… hanno bisogno di me.”
“Ma… insomma, bastano loro. Te l’avevo detto che non dovevi aprire. Non è giusto… io voglio stare con te.”, piagnucolò Bella, mettendo su il broncio.
“Amore sei troppo tenera!”, esclamò Edward baciandole sonoramente le labbra protruse.
“Tornerò presto, te lo prometto. Facciamo colazione ora?”, le propose massaggiandole le spalle.
“D’accordo.”, si arrese la fanciulla. Non avrebbe voluto lasciarlo andare, perché si sentiva strana, come se temesse che in assenza di Edward sarebbe accaduto qualcosa. Voleva che le stesse vicino, non voleva privarsi della presenza di suo marito quel giorno.




“Oggi starai da tua madre.”, affermò con decisione Edward, mentre si abbottonava i polsini della camicia.
“Cosa?! Ma perché?”, gli domandò Bella, che seduta sul letto, era intenta a fare un fiocco alla cinta della vestaglia, per chiuderla.
“Perché nelle tue condizioni non è prudente restare sola in casa. Non farmi preoccupare…”
“Ah sì?! Guarda che non sono una bambina! So badare a me stessa e poi, se ti preoccupassi davvero per me, non mi lasceresti da sola!”, urlò Bella.
Era la loro prima lite.
“Bella, ma ti ascolti quando parli? Io mi preoccuperò comunque per te, mi preoccuperò sempre per te, ma sapendo che starai con tua madre, mi sentirò un po’ più tranquillo. Sei incinta, porti in grembo mio figlio, e ho tutto il diritto di dirti che non è sicuro restare sola in casa, visto che dovresti partorire a giorni!”, urlò ancora di più Edward.
Bella non aveva mai sentito il quel tono autoritario prendere vita dalla sua bocca e sebbene una parte di lei fosse affascinata da quel lato di suo marito, un chiaro tratto del maggiore Masen, in quel momento si sentì punta nell’orgoglio. Il loro rapporto era stato sempre paritario: lui non era come gli altri uomini, gli altri mariti, non le aveva mai imposto nulla, l’aveva sempre lasciata libera di scegliere, sin dall’inizio. E sebbene, in quel momento, lui stava solo cercando di salvaguardare la sua salute e quella del bambino, Bella scoppiò a piangere e si chiuse in bagno. Non voleva vederlo in quel momento. Era nervosa e si sentiva strana.
Edward scosse il capo e strinse le mani a pugno. Era tentato di dire a Charlie che non se la sentiva di lasciare Bella da sola quella mattina, che detestava vederla piangere e non voleva che ce l’avesse con lui. Ma il suo senso del dovere e la gratitudine che provava verso quell’uomo erano troppo forti.
Bussò alla porta del bagno.
“Bella. Bella, per favore. Apri la porta.”, disse calmo.
Sentiva i suoi singhiozzi attraverso la superficie di legno che li separava.
“Bella, ti prego. Scusami, sono stato troppo duro. Perdonami. Adesso apri questa porta.”, ma le sue preghiere non furono ascoltate e i singhiozzi divennero ancora più forti.
“Bella mi sto preoccupando davvero, ora. Aprimi. Ti prego, amore, apri questa porta!”, urlò sull’orlo della disperazione Edward.
Finalmente sentì lo scatto della chiave che girava nella toppa e quello che vide lo terrorizzò.
Bella era inginocchiata sul pavimento freddo del bagno, intorno a lei, un lago di sangue che aveva macchiato il tessuto candido della sua vestaglia. Piangeva e teneva le mani sulla pancia come se tentasse di calmare un forte dolore.
“Oh mio Dio! Bella!”, Edward la prese tra le braccia e corse nello studio di Carlisle.
Durante il tragitto, Bella continuava a piangere e stringeva forte il tessuto della camicia di Edward.
“Ho p-pa-u-r-a, Edward!”, piangeva disperata fra le sue braccia.
“Non devi temere nulla, amore. Ci sono io con te.”, tentò di tranquillizzarla Edward, ma anche lui aveva paura.
“Edward, Bella!”, li chiamò Carlisle che stava uscendo di casa proprio in quel momento.
“Carlisle, credo che Bella stia per partorire! L’ho trovata in una pozza di sangue stamattina e ha forti dolori alla pancia!”
“Venite nell’ambulatorio, presto!”, Carlisle corse ad aprire le porte in modo da dare libero passaggio a Edward.
“Stendila su quel lettino, piano.”, gli indicò Carlisle mentre indossava il camice e infilava dei guanti.
“Edward, corri a chiamare Esme e Lilian e di' a Rosalie di far bollire dell’acqua. Presto!”
Edward andò a chiamare le donne e incontrò anche Renee, che corse trafelata nell’ambulatorio.



Quando Edward tornò nello studio di Carlisle sentì delle urla disumane provenire dall’ambulatorio ed entrò spaventato, temendo che qualcosa non stesse andando per il verso giusto.
Ma quando entrò, nell’istante in cui i suoi occhi si posarono sul viso contratto dal dolore e dallo sforzo di sua moglie, un piccolo bozzolo pieno di sangue emise un pianto che avvisò i presenti della sua venuta al mondo.
Edward, che si era avvicinato a sua moglie e le aveva preso una mano tra le sue, chinò il capo accanto al suo e le sussurrò emozionato:
“Grazie.”, poi le baciò la fronte imperlata di sudore.
Carlisle l’avvolse in un telo bianco e la guardò con adorazione:
“Benvenuta al mondo, piccola.”
Dopo aver tagliato il cordone ombelicale, la affidò a Renee per ripulirla alla meglio e si occupò di Bella. Poi, una volta riavuta la bambina tra le braccia si avvicinò ai due giovani.
“Bella, Edward, vostra figlia.”
E così dicendo, la posò delicatamente sul petto di Bella. Edward, che stava accanto a sua moglie, chinò il capo su quello piccolo e ricoperto di qualche ciuffo biondo di sua figlia e, richiamato da una sorta di filo invisibile che lo legava a quella piccola creatura che piangeva, tra le braccia della sua mamma, iniziò a versare lacrime di gioia.
“È bellissima.”, sussurrò venerandola con lo sguardo.
“Sì, è vero.”, rispose Bella emozionata.
Edward baciò il capo di sua figlia e istintivamente avvicinò la sua mano a quella della bambina. La piccola strinse nel suo pugnetto l’indice del padre.
“Adesso non hai più scampo, Edward. Sei legato a vita, ora che ti ha preso il dito.”, gli disse Carlisle rientrando nell’ambulatorio e sorridendo di fronte a quella tenera scena.
Edward sorrise a Carlisle, e gli rispose:
“Credo di non essere mai stato più felice.”
“Posso riprendermela un attimo? Dobbiamo ripulire per bene questa bella signorina. Ve la riporto subito.”
Detto questo, dopo aver controllato Bella, si allontanò lasciando i due giovani soli nell’ambulatorio.
“Edward…”, lo chiamò sua moglie, pur avendolo accanto.
“Amore…”, le rispose Edward.
“Scusami, ti prego… io non so cosa mi è preso stamattina, mi sentivo strana… non volevo restare da sola… e infatti… insomma, stavo per partorire! Perdonami per quello che ti ho detto, io non lo pensavo davvero. So che ti preoccupi sempre per me e…”
Edward la interruppe con un bacio.
“Sei tu che devi perdonarmi. Io stavo per lasciarti sola, proprio nel momento in cui tu avevi più bisogno di me e non voglio neanche pensare a quello che sarebbe potuto accadere se me ne fossi andato, lasciandoti in quel bagno, sola. Perdonami, Bella. E scusami se ho alzato la voce e ti ho dato degli ordini. Ti giuro che non accadrà mai più. Non è così che funzionano le cose tra noi. Io e te siamo uguali, non avevo nessun diritto di importi qualcosa contro il tuo volere. Imparerò ad ascoltarti di più. Scusami, scusami, scusami amore!”, le sussurrò sulle labbra, mentre le stringeva il viso con le mani.
Bella si sporse per baciarlo.
“La nostra prima lite, proprio il giorno in cui è nata nostra figlia!”, esclamò Bella, sorridendo serena.
“Credo che abbia scelto proprio il momento migliore per venire al mondo! È già molto perspicace!”, rispose Edward adorante, con il tono che avrebbe usato sempre per parlare di sua figlia.
“Edward, credo proprio di aver trovato il terzo nome della bambina.”
“Ah sì? Che nome hai scelto?”, domandò con sincera curiosità Edward.
“Beh, oggi è san Benedetto… quindi pensavo, Benedetta. Che ne pensi?”
“Mi piace, lo trovo molto adatto a lei.”, rispose Edward avvicinando il suo viso a quello di Bella.
“Bella…”, le soffiò vicino alle labbra.
“Ti amo.”
Bella azzerò la distanza tra le loro labbra e strinse le braccia intorno al collo di Edward.
“Anch’io ti amo.”, gli rispose sorridendo.
“Sei stanca?”, le domandò preoccupato, accarezzandole una guancia.
“Un po’… più che altro mi sento debole.”, uno sbadiglio confermò la sua stanchezza.
Edward le baciò la fronte e continuò ad accarezzarle il viso fino a quando la porta dell’ambulatorio non si aprì nuovamente, rivelando una piacevole e piccola presenza.
“Eccola qui, pulita e profumata!”, Renee avvicinò sua nipote a Bella.
“Congratulazioni ragazzi, è bellissima.”, esclamò rapita anche lei dalla piccola.
“Grazie mamma.”, rispose Bella, commossa.
“Chissà di che colore sono i suoi occhi… non li ha ancora aperti…”, mormorò Bella preoccupata.
“Bella, è normale. La piccola deve abituarsi alla diversa temperatura e al nuovo ambiente in cui si trova. Tra qualche ora, al massimo domani, la signorina ci svelerà il colore dei suoi occhietti.”, le rispose sorridendo suo zio, che era appena rientrato nell’ambulatorio.
“A proposito, possiamo sapere qual è il nome della piccola?”, aggiunse curioso.
Edward e Bella si guardarono negli occhi e si sorrisero, poi Edward fece a Bella un cenno con il capo e la fanciulla prese a parlare.
“Mamma, zio, vi presento la piccola Jane Marie Benedetta Masen.”, affermò orgogliosa Bella.
“La chiameremo solo Jane, ma ci sembrava giusto che avesse un nome che ricordasse ognuna delle sue origini: americana, italiana e francese. E poi Marie è anche il secondo nome di Bella.”, aggiunse Edward, mentre accarezzava una guancia alla bambina che si era addormentata tra le braccia di Bella.
“Mi sembra un’idea molto bella, ragazzi. E il nome mi piace, suona bene.”, disse Carlisle.
Renee intanto si era commossa nel sentire le parole di Edward e si limitò a sorridere a sua figlia.




Qualche ora dopo, quando la piccola era stata presentata a tutta la famiglia e a quasi tutti gli abitanti della masseria, mentre suo padre la stava sistemando nella culletta in legno accanto al letto dei suoi genitori, Jane aprì gli occhi, rivelando due iridi grigio-verdi molto vispe.
“Bella! Bella ha aperto gli occhi!”, esclamò piano Edward, cercando di contenere l’emozione nel vedere gli occhi di sua figlia, così simili ai suoi. Non voleva spaventare la bambina urlando di gioia.
“Portala qui, voglio vederli anch’io!”, gli disse Bella, che era stata comodamente sistemata nel loro letto.
“Guardala…”, mormorò Edward sedendosi sul letto, accanto a sua moglie, con la piccola Jane tra le braccia.
“Ha i tuoi occhi, Edward. Lo speravo tanto. Sono bellissimi.”, disse Bella guardando con adorazione sua figlia e suo marito.
“Non ho mai visto una bimba più bella di lei. Ha i miei occhi, è vero, ma i lineamenti sono i tuoi.”, rispose Edward.
La piccola cominciò a piangere tra le braccia del suo papà, che iniziò a cullarla e a canticchiarle la ninna nanna di quando era bambino.



“Non sono mai stato così felice…”, sussurrò Edward, mentre teneva sua moglie, ancora un po’ provata dal parto, tra le braccia.
“Anch’io Edward, non credevo che il mio cuore potesse contenere così tanta gioia!”, soffiò sua moglie, colta da uno sbadiglio.
“Riposa amore, sei stanca.”, le disse dolcemente.
“Ma io… la bambina, se si sveglia…”, mormorò Bella.
“La sentirai, se si sveglia. E poi ci sono io. Veglierò sulle mie donne.”, rispose Edward facendo sorridere Bella, che sbadigliò ancora.
“Sogni d’oro, amore.”, le soffiò sulle labbra.







NOTE.

Vi piace il nome della bimba? Dite la verità... non ve l'aspettavate proprio che la chiamassi Jane! Adesso, vediamo un po' quale testolina arguta indovina perché ho deciso di chiamarla Jane! Vi anticipo che uno degli extra, o meglio, un missing moment della storia descriverà proprio il momento in cui Edward e Bella scelgono il nome della bimba.

La ninna nanna, che Edward canta e che potete ascoltare cliccando sul testo, pare sia di origini nord americane.
http://it.wikipedia.org/wiki/Ninna_nanna_(canto)#Ninna_nanne_inglesi

Volevo mostrarvi anche la rosa che Edward regala a Bella:
Ammetto che mi ricorda un po' New Moon!



In summa, il capitolo è ricco: abbiamo la prima lite dei novelli sposi, il parto e finalmente il nome della piccola che viene svelato!
Attendo con trepidazione di leggere le vostre impressioni :)
A presto, buonanotte!

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Capitolo 29
*** CAPITOLO XXIX ***


 

CAPITOLO VENTINOVESIMO


 

 

Era l’estate del 1945 quando la piccola Jane Marie Benedetta Masen ricevette il sacramento del Battesimo. Come quasi tutti si aspettavano alla masseria Swan, il padrino e la madrina furono Emmett ed Alice.
La piccola Jane cresceva sana e forte, coccolata da tutti. Diventava sempre più bella ed era sempre più simile a sua madre per i lineamenti del viso; il colore degli occhi, invece, come Bella aveva sperato, era quel verde smeraldo che tanto amava.
I raggi del sole filtrati dalle spesse tende della camera da letto accarezzarono i corpi dei due giovani sposi. Edward si mosse piano, per non svegliare sua moglie e si avvicinò alla culla della bambina.
La piccola dormiva beata, stringendo il lenzuolo di lino bianco nella mano stretta a pugnetto. La osservava incantato, come un pellegrino di fronte alla statua di un Santo. Studiava i delicati e perfetti lineamenti del suo viso, le fossette in corrispondenza delle nocche sulle manine paffute, il suo respiro tranquillo e regolare. Avrebbe passato tutta la vita di fronte a quello spettacolo, ad ammirare il frutto del loro amore.
Chissà se sognava la sua bambina, chissà cosa sognava. Si ritrovò a pensare che era un peccato che l’età più innocente e spensierata sia quella di cui si hanno meno ricordi.
Lui ricordava poco di quando era bambino e da qualche tempo combatteva contro i suoi ricordi, tentava di non farli riaffiorare alla memoria, perché erano troppo dolorosi. Si era imposto di non ricordare di aver avuto una vita prima di arrivare alla masseria, perché in ogni immagine del suo passato c’era Anthony e questo bastava a renderlo triste.
Una lacrima, seguita da altre sottili e salate, gli rigò il viso. Non accadeva da tanto tempo.
Non si era accorto che sua moglie era già sveglia da un po’ e si era messa di fianco per osservare lui che guardava la piccola Jane.
Non si era accorto che si fosse alzata dal letto per avvicinarsi a lui, proprio nel momento in cui aveva cominciato a pensare ad Anthony. Lei aveva capito, perché ormai lo conosceva bene, che tristi pensieri avessero preso il posto di quelli felici, dalle mani strette a pugno e dalle spalle che avevano assunto una posa rigida.
Si avvicinò e lo abbracciò da dietro, posando il capo sulle sue scapole forti e fresche che profumavano di bucato fresco, di lui, ma avevano anche un po’ dell’odore di lei.
Tanti odori che messi insieme sapevano di casa.
Lo strinse più forte che poteva, come se attraverso quella stretta potesse prendere un po’ della sua sofferenza sulle sue esili spalle. Si accorse che aveva iniziato a tremare, segno che stava per piangere sul serio. Allora, lo prese per mano ed insieme uscirono dalla stanza, per non svegliare la piccola.
Appena furono nel salotto, seduti sul divano, Edward iniziò a singhiozzare e Bella, addolorata per la sofferenza di suo marito, non poté fare altro che abbracciarlo forte e stringere il suo capo sul petto.
Lo cullava come faceva con Jane, accarezzandogli i capelli e lasciandogli qualche bacio sulla fronte.
Il suo corpo forte era scosso da singhiozzi che facevano tremare entrambi, stretti com’erano l’uno all’altra. Le lacrime impregnarono il tessuto leggero della vestaglia di sua moglie. La sua sofferenza, il suo dolore, gli incubi che ancora aveva ogni tanto di notte, erano come una pugnalata al cuore per Bella.
Non ce la faceva a vedere suo marito in preda al dolore e non sapeva cosa fare per alleviare la sua sofferenza, se non stargli vicina il più possibile.


Ne aveva parlato anche con suo zio Carlisle, saggio consigliere e mentore, che l’aveva rassicurata, dicendole che fosse normale, dopo aver combattuto in guerra e aver vissuto un lutto così grave, avere degli incubi. Ma sarebbero passati, con il tempo.
Infatti da quando si erano sposati e poi era nata Jane, gli incubi erano diminuiti. Edward era sempre allegro, felice e premuroso. Ma Bella sapeva che c’era comunque una parte di lui che si sentiva in colpa.
Si sentiva in colpa per aver privato i suoi genitori anche della sua presenza.
E da quando era diventata mamma, la sua intuizione era divenuta certezza.
I suoi genitori erano lontani e sebbene lui non ne parlasse mai – solo a volte, ne parlava con sua moglie -, Bella era convinta che gli mancassero molto e che fossero loro il tassello mancante alla sua completa felicità.
Non li vedeva da quando si era arruolato nell’esercito, non aveva avuto più loro notizie dopo la morte di Anthony e non li aveva avvisati che si era sposato ed era diventato padre, sebbene Bella gli avesse proposto più volte di invitarli a raggiungerlo.
Non lo diceva e non lo dava a vedere, ma era certa che gli mancassero e si sentisse in colpa, nei loro confronti. Soprattutto da quando la piccola Jane era nata.
Edward era un padre perfetto e adorabile; ma spesso, quando teneva in braccio Jane o semplicemente la osservava dormire, Bella aveva notato che il suo sguardo si perdeva nel vuoto e il suo volto si trasfigurava a causa di quell’antico dolore, che non era ancora riuscito a superare.



Quando finalmente sembrò essersi calmato, Edward strinse forte sua moglie e prese ad accarezzarle un fianco, con la mano libera. L’altra era impegnata a stringere forte il tessuto della sua vestaglia, quasi a volerla trattenere con sé.
Prese un respiro profondo e sollevò il capo, incrociando lo sguardo preoccupato di sua moglie. Le accarezzò il viso e lei gli sorrise, come per incitarlo a parlare.
“Scusa, scusami. Io non so cosa mi è preso…”, tentò di giustificarsi.
“Non devi scusarti con me, Edward. Sai che non ce n’è bisogno.”, lo rassicurò lei.
Lui la strinse forte a sé e le baciò il capo profumato. Bella gli accarezzava il torace glabro, mentre ascoltava il ritmo del suo cuore accelerare, a causa del suo tocco.
“Edward, io so cosa ti è preso. So perché ogni tanto sei triste e hai lo sguardo perso nel vuoto. So che ti senti in colpa, anche se cerchi di nascondermelo. Io ti conosco bene.”
Edward non le rispose, ma continuò ad accarezzarle la schiena. Bella continuò a parlargli.
“Scrivi ai tuoi genitori, Edward. Fagli sapere che stai bene. Raccontagli di noi, di Jane. Ti prego, amore. Vedrai che ti sentirai meglio.”
Lo sentì trattenere il respiro e per un attimo ebbe paura. Poi, sentì le sue dita posarsi sotto il suo mento e sollevarlo, fino a trovarsi occhi negli occhi.
“Hai ragione: io mi sento in colpa. Mi sento tremendamente in colpa. Perché sono stato uno stupido egoista e l’ho capito solo da quando sono diventato padre. Se solo un giorno – che spero non arriverà mai – io non dovessi avere notizie di Jane, vivere nel dubbio che le sia accaduto qualcosa, lontana da me, io penso che ne morirei. I miei genitori non hanno perso solo un figlio: a causa del mio comportamento egoista, li hanno persi entrambi. Non so come stanno, non so se sono ancora entrambi vivi, non so come hanno affrontato il lutto di mio fratello. Ho fatto schifo come figlio, sono stato uno stupido. Li ho tagliati fuori dalla mia vita e non so neanche perché l’ho fatto. Quando sono arrivato qui, quando vi avevo raccontato di aver perso la memoria… beh, era quello che speravo. Avrei voluto cancellare tutto quello che avevo vissuto, prima di arrivare qui. Tutti i ricordi, tutti i momenti vissuti con mio fratello, tutta la mia vita, fino al giorno in cui ho incontrato te, il giorno in cui ho ricominciato a vivere. Ho cercato con tutte le mie forze di far tacere la mia coscienza, che mi ricordava che sì avevo perso mio fratello, ma avevo ancora due genitori, che probabilmente avevano bisogno di me. Credevo di poter cominciare tutto daccapo, eliminando quello che c’era stato prima. Avevo addirittura pensato di spedire la mia piastrina di riconoscimento ai miei genitori, così forse avrebbero trovato pace e non avrebbero vissuto nel dubbio che fossi vivo. Sarebbe stato più facile: avrebbero pianto entrambi come morti. Ma quando è nata Jane, è cambiato tutto. Sono entrato di nuovo in crisi e insieme alla felicità che cresceva giorno dopo giorno, il mio dolore e il mio senso di colpa riaffioravano. Non sono riuscito a tenerlo a bada e così stamattina, sono crollato. Perdonami, Bella. Perdonami se non te ne ho parlato subito. Tutti gli incubi… non è solo colpa della guerra. Scusa, amore.”
Bella gli accarezzò una guancia e si sistemò meglio sulle sue gambe, per poterlo abbracciare. Sentì tutto il suo corpo rilassarsi e ne fu sollevata. Stava iniziando a liberarsi di un fardello troppo pesante e troppo a lungo tenuto dentro di sé.
“Edward, non devi scusarti con me. Io ti starò sempre accanto, in ogni momento, bello o brutto che sia, qualunque decisione tu prenderai, io sarò con te. Ma, voglio che ti liberi finalmente di questa sofferenza, voglio che parli con me se c’è qualcosa che ti turba, proprio come faccio io con te. Voglio solo che tu sia felice.”
“Ti amo”, le sussurrò Edward, stringendola più forte a sé e provocandole brividi lungo tutta la schiena.
“Anch’io amore.”, rispose Bella, finalmente sollevata.
Un pianto proveniente dalla loro camera da letto, li fece sollevare immediatamente dal divano e sorridenti, mano nella mano, raggiunsero la loro bambina che pretendeva di fare colazione.





“Buongiorno, Bella!”, la salutò allegro suo zio.
“Buongiorno, zio!”, rispose Bella, entrando nel suo studio e chiudendosi la porta alle spalle.
“Ciao piccolina! Come stai?”, Carlisle iniziò a solleticare la bambina sul pancino, che emise in risposta un delizioso risolino.
Ogni mese, Carlisle controllava la piccola Jane, assicurandosi che la sua crescita procedesse nel migliore dei modi.


“Bene, Bella. La piccolina è forte e sana, il suo peso aumenta regolarmente, così come la sua lunghezza. Direi che possiamo iniziare a svezzarla. Puoi cominciare con del semolino in brodo, quello prodotto dal nostro grano è ottimo e tuo padre è attentissimo al momento della macina.”, le disse sorridendo.
“D’accordo, zio.”, rispose Bella.
“Poi se alla signorina piace, fra qualche settimana possiamo iniziare a farle assaggiare anche del brodo di carne leggera, magari di pollo.”, aggiunse Carlisle prendendo in braccio Jane e fingendo di parlare con lei.
La piccola lo guardava assorta, con i suoi grandi occhi verdi. Bella sorrise e pensò che anche suo zio Carlisle, come suo padre, sarebbe un nonno perfetto.
“Zio, devo parlarti di una cosa…”
“Certo, Bella, dimmi pure. Riguarda te o la bambina?”, domandò subito Carlisle, rimettendosi seduto dietro la scrivania, ma continuando a tenere in braccio Jane.
“Riguarda me.”, rispose prontamente Bella.
“È normale che non sia ancora tornato il mio ciclo?”, gli domandò a bruciapelo.
“Sì, Bella. È del tutto normale perché stai allattando.”, le rispose tranquillo suo zio.
“Io… è possibile che sia di nuovo incinta? Vedi… sono ingrassata, nonostante avessi perso la pancia dopo il parto, ora mi sembra stia ritornando ad essere più rotonda, e da qualche mattina mi sveglio con la nausea.”, confessò Bella.
“Beh, è possibile. Ti avevo detto che il fatto che allattassi ti potesse preservare, almeno all’inizio, da una eventuale gravidanza. Ma dopo il puerperio, nonostante l’allattamento, niente esclude che si possa rimanere incinta. Hai notato altri sintomi, oltre alla nausea e alla pancia, tesoro?”, domandò dolce.
“Beh, il seno… mi è sembrato più grosso. Però, ho pensato che derivasse dal fatto che stia allattando…”, sorrise dentro di sé pensando che quel particolare lo aveva notato Edward. Ma, ovviamente, omise quel particolare a suo zio.
“Vieni, Bella. Andiamo nell’ ambulatorio, così ti visito e controlliamo che tutto sia apposto.”
Carlisle condusse Bella nell’ ambulatorio e dopo aver sistemato Jane nel passeggino, la invitò a stendersi sul lettino.


“Allora, zio?”, domandò Bella in ansia.
“Sei incinta, Bella. Non so dirti con precisione di quanto, ma facendo due calcoli, visto che Jane ha cinque mesi e non credo tu sia rimasta incinta prima di almeno sei settimane dal parto, credo tu sia incinta di tre mesi, al massimo quattro.”, le rispose suo zio, sorridendole.
“Allora avevo ragione…”, mormorò Bella, sorridendo.
“Sì, tesoro. Avevi ragione. Congratulazioni!”, esclamò allegro Carlisle.
“Grazie, zio. Anche se avrei preferito che Jane fosse un po’ più grande, sono felice di aspettare un altro bambino.”, gli confessò Bella.





Edward rientrò tardi a casa quella sera. Era stato a Brindisi con Charlie ed Emmett per affari e poi era finalmente andato a spedire un telegramma ai suoi genitori.
Bella aveva sistemato Jane nella sua culla e quando Edward entrò in camera da letto, la piccola dormiva già beata.
Le baciò la fronte e poi si avvicinò a sua moglie per salutarla.
“Bentornato…”, mugolò lei sulle sue labbra.
“Mi sei mancata. Mi siete mancate!”, asserì lui, abbracciandola.
“Vado a fare un bagno, sono esausto. Ti va di… farmi compagnia?”, ammiccò malizioso.
Bella scosse la testa divertita: era da quando lo aveva scoperto nel bagno di sua madre, ormai più di un anno fa, nudo, che ogni volta che andava a farsi un bagno le proponeva di unirsi a lui. Non che non lo avesse mai fatto, anzi; spesso, soprattutto quando Bella era incinta, facevano il bagno insieme, così Edward la aiutava ad entrare ed uscire dalla vasca, evitandole pericolose cadute.
“Volentieri.”, rispose lei, cominciando a sciogliere il nodo della sua vestaglia e mostrando i suoi seni tondi e floridi, nudi, di fronte ai suoi occhi famelici.
“Ti prego, andiamo di là… non vorrei svegliare Jane…”, sussurrò, con voce roca, Edward.
Bella ridacchiò e lo prese per mano. Si alzò dal letto ed insieme si diressero nella toeletta annessa alla loro camera da letto.





Bella si rilassò contro il petto di suo marito, che teneva le mani strette a quelle di sua moglie, sul suo grembo pieno. Voltò il collo, in cerca delle sue labbra e gli lasciò un delicato bacio.
“Amore, devo dirti una cosa. In realtà, non è la prima volta che te lo dico…”, Bella arrossì lievemente.
“Dimmi…”, la incoraggiò, sorridendo, Edward.
“Beh, io… sono incinta.”, Bella premette più forte le mani di Edward, strette alle sue, sul suo grembo, coperto dall’acqua e dalla schiuma profumata di lavanda.
“Sei incinta?”, domandò incredulo e con un enorme e luminoso sorriso stampato sulle labbra suo marito.
“Sì, sono incinta. Stamattina zio Carlisle mi ha visitata e me lo ha confermato… io lo sospettavo già da un po’…”, rispose Bella.
“Dio, Bella, è meraviglioso!”, esclamò Edward felice, intrappolando le labbra di sua moglie tra le sue.

















NOTE.
Innanzitutto, scusate il ritardo. Purtroppo ci sono stati un po' di imprevisti in questo mese e non sono riuscita a scrivere e postare quando avrei voluto. Spero che il capitolo vi piaccia e beh, come avete letto, abbiamo un altro bebè in arrivo! Maschietto o femminuccia?! XD



E poi, a proposito di figlie di Bella e Edward... ho scritto una one-shot per un contest intitolato 'About Renesmee', indetto sul forum di EFP da __Hilary__, proprio in occasione dell'uscita nelle sale di 'Breaking Dawn - parte II', e sono arrivata seconda! :) Mi farebbe molto piacere se la leggeste e magari mi faceste conoscere la vostra opinione a riguardo. :) Questa è la storia SCIVOLI E BIKINI.
Alla prossima allora! Ah, vi avviso: il prossimo capitolo sarà l'ultimo di questa storia. Poi ci sarà l'epilogo ed infine gli extra.
Buonanotte, un bacione!

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Capitolo 30
*** CAPITOLO XXX ***


 

CAPITOLO TRENTESIMO


 

 

Il dieci gennaio del 1946 era nato il piccolo Anthony. Due anni dopo, il due giugno del 1948, si erano aggiunti alla famiglia i gemelli Carlo ed Elisabetta.
Edward aveva ripreso i contatti con i suoi genitori, che fremevano dalla voglia di conoscere i loro nipotini e la moglie di Edward. Gli avevano spedito alcune fotografie, ma i giovani contavano di partire presto per l’America.
E non solo per far conoscere i bambini ai nonni Masen…
Con la fine della guerra ed il rafforzamento dei rapporti economici con gli Stati Uniti, Charlie aveva riflettuto a lungo sulla possibilità di proporre i prodotti della masseria al mercato americano e aveva visto in Edward il suo migliore collaboratore in affari oltreoceano.
Nella primavera del 1950, la giovane famiglia si trasferì in America, a Chicago, per gestire la filiale americana della Swan-Masen Oil & Wine.
Gli affari andavano molto bene e la famigliola rimase in America per un decennio, accogliendo un nuovo membro, il piccolo Thomas, nato al Chicago Hospital il trentuno luglio del 1955.


Nella primavera del 1960, una elegante automobile scura percorse il lungo viale alberato, ricoperto di brecciolina bianca, che conduce all’ingresso principale della masseria Swan. Non era cambiato nulla in dieci anni di lontananza: la masseria era sempre lì, bella, bianca e imperiosa.
Sette bambini, di età compresa fra i dodici e i tre anni, i figli di Alice e di Emmett, che avevano sposato i gemelli Hale, giocavano ad Acchiapparello. Risolini e grida riempivano l’aria già calda di aprile.
Sotto gli sguardi rapiti dei bambini, un giovane ed elegante signore scese dall’automobile e tese la mano verso sua moglie, una bellissima giovane donna, dai lunghi capelli castani. Dopo aver lisciato le pieghe della gonna con le mani, Bella si sporse con il busto all’interno dell’abitacolo per prendere in braccio il suo bambino più piccolo, che si era addormentato durante il viaggio.
L’uomo in giacca e cravatta, Edward, fece uscire dalla macchina gli altri quattro ragazzi e insieme all’autista iniziò a tirare fuori le valigie dal portabagagli.
Jane aveva raggiunto la stessa età che aveva sua madre quando aveva conosciuto suo padre, somigliava moltissimo a Bella, ma aveva gli occhi di Edward; Anthony aveva quattordici anni, ma era molto più alto di un ragazzo della sua età, i lineamenti delicati e i capelli biondi, lo rendevano simile a un cherubino - neanche a dirlo -, somigliava moltissimo al gemello di Edward; le due teste castane che si affiancarono ai loro fratelli maggiori, quasi fossero stati addestrati a prendere quella posizione simmetrica di fronte a chi li guardava, appartenevano ai due gemelli dodicenni, Carlo ed Elisabetta, due uragani di allegria e vivacità.
In braccio alla sua mamma, profondamente addormentato e con le gote rosse per via del contatto prolungato con la spalla di sua sorella, c’era il piccolo Thomas, un bimbo molto vivace ed estremamente intelligente, dai folti capelli biondi e con gli occhi verdi di suo padre. Sua nonna Elisabeth diceva sempre che era la copia di Edward da bambino e questo non faceva altro che aumentare l’orgoglio di suo padre.
“Zia?” si avvicinò stupita la figlia maggiore di Emmett e Rosalie, Susan, che aveva visto Bella l’ultima volta quando aveva solo tre anni. Gli altri bambini smisero di giocare e si avvicinarono incuriositi a quelle figure così eleganti e a quei bambini vestiti in modo così diverso da loro. Conoscevano tutti la storia degli zii e dei cugini d’America, li avevano visti anche in foto, ma di certo non si aspettavano che fossero tanto belli dal vivo, sembravano degli attori.
“Sì, tesoro, sono la zia Bella”
La fanciulla sorrise e Bella si avvicinò e la abbracciò.
“Sei diventata una bellissima signorina, somigli moltissimo alla tua mamma, ma hai il sorriso di mio fratello!” sussurrò, commossa.
“Grazie, zia. Lui è Thomas, non è vero?” domandò Susan indicando, con una carezza sulla schiena del bambino, l’unico cugino che non aveva potuto conoscere, essendo nato in America.
“Sì, lui è Thomas. Sarà felicissimo di conoscervi tutti, quando si sveglierà”
Edward e Bella salutarono tutti i bambini, molti dei quali conosciuti solo tramite le fotografie che gli spedivano, e gli presentarono i loro figli.


Quel giorno si versarono molte lacrime di commozione, per il ritorno di Edward e Bella alla masseria. Charlie e Renèe furono felicissimi di poter riabbracciare i loro nipotini, dopo aver trascorso tanto tempo lontani da loro.
Il pranzo e la cena, quel giorno di aprile, furono una grande festa per tutti: rimasero tutti a tavola dal mezzogiorno alla sera, mettendo da parte qualsiasi impegno. Sembrava quasi il giorno di Natale di tanti anni fa, quando un giovane soldato, sporco e ferito, era riuscito a ritornare a casa, tra le braccia della sua amata.
All’imbrunire, l’allegra compagnia si sciolse e ogni nucleo famigliare ritornò nella propria abitazione, salutandosi con la promessa di ritrovarsi di nuovo tutti insieme per la colazione, l’indomani.


La casa che era stata costruita per Edward e Bella non era cambiata nel corso degli anni, la presenza di un gran numero di stanze, sistemate per poter accogliere una numerosa famiglia, fece sì che tutti i bambini potessero avere una stanza per sé, proprio come nella loro grande casa a Chicago.
“Siamo a casa, finalmente” sussurrò Bella, accoccolandosi sul petto di suo marito e respirando forte l’odore di sapone di Marsiglia e citronella che emanava la biancheria. Non aveva mai trovato quell’odore di pulito in America, dove il bucato si faceva in lavatrice e i saponi utilizzati si chiamavano detersivi, prodotti chimici profumatissimi, che però perdevano la loro fragranza in poco tempo.
“Già, mi era mancata la nostra casa” aggiunse Edward, posando un bacio sul capo di sua moglie.
“Jane è stata felicissima, quando ha visto che la sua camera è rimasta esattamente come l’aveva lasciata dieci anni fa”
“Tommy era entusiasta quando l’ho portato con me e Charlie a spasso per la tenuta, non aveva mai visto un campo di grano… Avresti dovuto vederlo, non ha smesso per un attimo di ridere e saltellare!”
“Edward?”
“Dimmi, amore”
“Restiamo qui. Mi piacerebbe tanto che i nostri figli crescessero in un luogo come questo, mangiando cibi sani, respirando aria pulita, giocando all’aperto coni loro cugini… e poi, è qui che è cominciato tutto: se tu non fossi arrivato qui, loro non ci sarebbero. In America si sta bene, ma…”
“Ma questa è casa nostra” terminò Edward per sua moglie “Mi hai letto nel pensiero, stavo meditando da tempo su quale fosse il luogo migliore in cui far crescere i nostri figli e non hai idea di quanto mi sia mancato tutto questo: i sapori, i profumi, la natura, la genuinità delle persone e l’amore della nostra famiglia… In America ci sono i miei genitori, è vero, ma è qui che c’è la maggior parte della nostra famiglia. Mi sono mancati tutti così tanto… Cercherò di far venire qui i miei genitori, non possono perdersi l’atmosfera che si respira da queste parti. In America, mio cugino Seth se la caverà alla grande nel gestire l’azienda, magari ogni tanto tornerò io a controllare le cose. Ne ho parlato oggi con tuo padre e anche lui è d’accordo, sarebbe felicissimo di riaverci di nuovo qui.”
Bella si strinse più forte a suo marito e gli baciò il petto, proprio nel punto in cui il suo cuore galoppava veloce.
“Ti amo tanto”
“Anch’io, Bella, ti amo ogni giorno di più. Passeggiare di nuovo in quel campo di grano, con Tommy fra le braccia, è stato molto emozionante. Mi ha riportato indietro nel tempo… è lì che è cominciato tutto. Ti rendi conto che sono già passati sedici anni da quel giorno?”
“Soltanto? A me sembra di stare con te da una vita; dei sedici anni che precedono la tua venuta ho dei ricordi splendidi, ma da quando ci sei tu è iniziata la mia vera vita.”


“Oggi andiamo a trovare la nonna, zio Carlisle dice che per la sua età si mantiene più che bene, ma le forze la stanno abbandonando. Più volte ha espresso il desiderio di vedermi, prima di morire. Mi è mancata molto, forse più di tutti…” disse Bella a suo marito, mentre indossava gli orecchini di perle, seduta alla pettiniera, e osservava, nello specchio, suo marito vestirsi.

Edward aveva trentacinque anni e, se possibile, era ancora più bello di prima. Gli anni avevano reso i suoi lineamenti raffinati più decisi, era un uomo molto affascinante e Bella aveva dovuto più volte rimarcare il territorio in America. Lo stesso valeva per lei, gli anni e le numerose gravidanze l’avevano resa ancora più bella, le sue curve si erano fatte più dolci e il suo volto era sempre radioso. Suo marito era molto geloso e protettivo e gli americani erano piuttosto intraprendenti: neanche una fede all’anulare li aveva fatti desistere dall’avanzare proposte indecenti. Ma niente e nessuno era riuscito a scalfire la loro unione, anzi, semmai aveva contribuito a rafforzarla.

“So che vi lega un rapporto speciale, sarà felice di vedere quanto sono cresciuti i ragazzi e di conoscere l’ultimo arrivato”
Edward si avvicinò a sua moglie e iniziò ad accarezzarle il collo candido con la punta del naso, lasciandole dei baci roventi sulla pelle delicata e sensibile. Trovava ogni gesto della sua preparazione, dallo spazzolare i folti capelli, all’agganciare gli orecchini, quando era seduta alla pettiniera, estremamente sensuale.
“Edward… i ragazzi…” tentò di resistergli Bella, pur sapendo, di perdere, come sempre, quella battaglia.
“Dormono, abbiamo ancora un po’ di tempo”
Edward intrappolò le labbra di Bella tra le sue e la prese tra le braccia, per portarla di nuovo a letto.

“Sembriamo due adolescenti…” commentò Bella, ancora ansante per l’assalto di suo marito.
“Siamo ancora due adolescenti, mia cara…” la canzonò Edward.
“Spero che tutto questo non cambi mai, tra di noi. La nostra complicità, l’intesa, la leggerezza, il bisogno l’uno dell’altra, gli assalti…” ridacchiò maliziosa Bella, accarezzando il torace glabro e tonico di suo marito.
“Ti giuro che non cambierà mai nulla, tra di noi. Ti amerò per sempre. E anche gli assalti ci saranno sempre: è la promessa di un militare, quindi è sacra” terminò, sulle sue labbra, Edward.


“Dove andiamo, mamma?” domandò Elisabetta, mentre si dirigevano verso la casetta di nonna Isabella.
“A trovare la nonna, non la ricordi, vero? Eri troppo piccola, quando l’hai vista l’ultima volta.”
“Ma è tua nonna, quindi è la nostra bis… come si dice… bisnonna?” intervenne Thomas.
“Sì, Tommy, si dice bisnonna” Rispose dolcemente Elisabetta.
L’anziana Victoria aprì la porta e quasi scoppiò in lacrime, vedendo Bella e la sua famiglia.
“Siete tornati, finalmente!” esclamò, emozionata.
“Victoria cara, ti trovo bene” disse Bella e la abbracciò. Quella donna era stata una sorta di zia per lei.
“Venite, la nonna vi sta aspettando.”
“Come sta?” domandò Edward.
“Si dimentica le cose, dorme poco di notte e di giorno soffre molto per i dolori reumatici. Sarà felice di vedervi, era da tanto tempo che aspettava questo giorno. Magari, la vostra presenza le allevierà un po’ gli affanni della malattia”
“Donna Isabella, guardate chi c’è!”
“Vic, Victoria, che ore sono?” biascicò la nonna, mentre, aiutata da Victoria, sollevava la schiena dal letto.
“Bella e Edward sono tornati, aprite gli occhi, guardateli!”
“Bella? Bella è tornata?” l’anziana donna si animò d’un tratto.
“Nonna, sono qui!” Bella si era seduta sul letto e le accarezzava un braccio.
La vista della nonna col tempo era peggiorata, vedeva poco e male da lontano.
“Tesoro mio, sei tornata a casa, finalmente!”
Bella si sporse ad abbracciare la nonna e calde lacrime solcarono i loro volti.
Quando sciolsero il loro abbraccio, Edward si avvicinò per salutare la nonna.

“Edward, caro, te la ricordi quella frase che ti dissi quando ci conoscemmo?”
“Ricordo tutto quello che mi hai detto, nonna. Ne ho fatto tesoro, in questi anni.”
La nonna sorrise e Edward le sorrise a sua volta, complice. Notò che dal taschino della sua giacca pendeva una catenella dorata e gli occhi le si riempirono di lacrime di gioia e commozione.
“Hai capito, dunque? Devo dire che adesso hai trovato proprio gli abiti adatti a te.”
Edward si avvicinò a sua moglie e le accarezzò una guancia.
“Ho trovato gli abiti perfetti, ma credo di averlo sempre saputo.”
La nonna sorrise, emozionata.
“E i vostri figli? Jane deve essere diventata una signorina, ora.”
“Sono qui fuori. Ragazzi!” li chiamò Edward.
In ordine crescente, uno per volta, entrarono nella grande camera da letto e si disposero in riga di fronte all’enorme baldacchino in stile napoleonico.
“Ciao, nonna” la salutò Jane.
“Ciao, tesoro. Sei diventata una bellissima signorina. Avrai già una lunga fila di corteggiatori! Come stai?”
La fanciulla ridacchiò ed evitò di ribattere all’affermazione della nonna. “Bene, grazie. Sono felice di essere ritornata qui. E tu, come stai?”
“Adesso, molto bene, grazie. E tu, invece, Anthony? Sei proprio un bel giovanotto. Sei contento di essere tornato in Italia?”
“Grazie, nonna. In realtà non ricordavo molto di questo posto, sono contento di essere tornato”
“Somigli molto al tuo papà”
“È vero, anche caratterialmente!” intervenne Bella, facendo sorridere tutti.
“E voi, invece? Quando siete andati via di qui, camminavate appena!”
Carlo ed Elisabetta sorrisero.
“Io non ricordavo neanche di averci vissuto qui!” rispose allegro Carlo. “Però, mi piace.”
“Sì, piace anche a me. E poi, ci sono tutti i nostri cugini, qui.” Aggiunse Elisabetta. La nonna sorrise compiaciuta.
“Tu, invece, biondino che sembri tanto timido e cerchi di nasconderti dietro tua sorella, come ti chiami?”
“Thomas” sussurrò il bambino, divertito da quello che sembrava quasi un interrogatorio da caserma militare.
“Parli in italiano, Thomas?”
“Sì, poco”
“Sta imparando” intervenne suo padre.
“Molto bene, molto bene”
“Sai già leggere e scrivere, Thomas?”
“Sì, so anche fare le addizioni!”
“Ma che bravo che sei! Abbiamo qui il contabile dell’azienda, eh!”
Edward e Bella risero e ammirarono orgogliosi il volto fiero del bambino, che evidentemente, pur non conoscendo il significato della parola ‘contabile’, l’aveva percepito come un grande complimento.
“Sono molto felice di avervi conosciuto, ragazzi. Avete avuto la fortuna di avere due genitori meravigliosi: si percepisce chiaramente che siete dei ragazzi di buon cuore e di notevole intelletto. Sono certa che farete molta strada nella vostra vita.”
“Grazie, nonna” risposero in coro i due fratelli più grandi.
Uno dopo l’altro abbracciarono la nonna, alla quale non sfuggirono alcune lacrime. Edward seguì i suoi figli, avendo capito che c’era qualcosa che doveva sentire solo sua moglie. Era sempre stato così tra le due Isabelle, erano unite da un legame più profondo di quello di sangue.

“Bella, cara, sei diventata una donna. Guardati: sei andata via di qui che sembravi una ragazzina, ancora con i capelli intrecciati, e ora sei una bellissima donna che indossa i tacchi e mette il rossetto. Sono molto fiera di te, di quello che sei diventata, del meraviglioso lavoro che hai fatto con i tuoi figli.”
“Grazie, nonna, ma non è solo merito mio. Edward…”
“Lo so, lo so che Edward ti ha aiutata.”
“E mi aiuta ancora. Se non ci fosse stato lui, non credo che sarei riuscita a crescere e a educare cinque figli così bene.”
La nonna sorrise, notando che l’amore tra i due, col tempo, era diventato ancora più forte.
“E tu come stai, nonna?”
“Adesso sono in pace, finalmente. Il mio incubo peggiore era quello di andarmene senza averti salutata e senza aver conosciuto la tua famiglia, senza avervi visti tutti per l’ultima volta. Ma, ora, penso che il mio tempo in questo mondo sia finito. Posso andarmene in pace e soddisfatta della mia eredità su questa terra. Voi siete la mia eredità.”
“Nonna…” sussurrò, sull’orlo delle lacrime, Bella.
“No, tesoro, non devi piangere. Ho vissuto moltissimo, più di quanto potessi sperare. Ho avuto una vita felice, sono stata figlia, moglie, madre, nonna e bisnonna. Ho provato tanto amore e ne ho ricevuto altrettanto, sono stata più fortunata di molti perché ho vissuto due guerre, senza aver dovuto patire la fame e il freddo. Ho studiato e viaggiato tanto. Ho avuto il privilegio di vivere in due stati diversi e conoscerne la lingua e la cultura. Avrei voluto avere mio marito accanto per un tempo più lungo di quello che ci è stato concesso, ma non si può chiedere troppo alla vita. Bisogna prendersi quello che viene e cercare di viverlo al meglio. Avevo espresso un desiderio: poterti vedere per un ultima volta prima di morire e sono stata ascoltata. Se dovessi morire stanotte, me ne andrei felice.”
Bella ormai piangeva e incapace di proferir parola abbracciò la nonna forte, quasi a volerla trattenere con sé e non lasciarla andare.

Il 23 giugno del 1960, come sempre era stato e sarebbe ancora stato per molti anni a venire, il giorno prima di san Giovanni, tutta la masseria era in fermento per la preparazione dei fuochi e del banchetto di quella sera.
La nonna non aveva ancora lasciato questa Terra e, anzi, si sentiva ancora più forte quel giorno.
“Ho sognato mia madre, stanotte.” disse, rompendo il silenzio nella camera.
“Davvero, nonna? Sai, me la ricordo appena…”
“Le somiglio molto e anche tu hai preso qualcosa da lei, ma solo fisicamente” rispose fiera la nonna, che stava indossando, aiutata da sua nipote e da sua figlia Esme, l’abito più bello del suo guardaroba.
“Lei, a differenza mia e vostra, era molto superstiziosa e la notte di san Giovanni, a casa nostra, c’era sempre un gran baccano. Si suonava, si cantava e si ballava fino a tardi. Si faceva rumore con trombe, trombette, campanacci, tamburelli e qualsiasi altro strumento per allontanare le streghe che, si diceva, andassero in giro a catturare le anime”
Il racconto della festa e delle antiche superstizioni, legate al culto di san Giovanni, fu interrotto dalla voce di Jane, la figlia di san Giovanni.
“Mamma, mamma!”
“Cosa c’è, Jane? Sono qui, nella camera della nonna.” Urlò Bella per farsi sentire.
“Oh, eccovi. Ciao, nonna. Zia Esme.” La fanciulla salutò le donne presenti.
“Ciao, tesoro. Buon onomastico” rispose la nonna.
“Oh, grazie! Mamma, la nonna ha detto che hanno appena sfornato il pane e i taralli. Voleva che ti avvisassi, perché ha detto che ti piacciono molto. Carlo e Anthony credo che avranno un’indigestione stanotte! Stanno mangiando tantissimo!” ridacchiò Jane.
“Arrivo, tesoro. Spero che quei due non si sentano male davvero, sono insopportabili quando non stanno bene!” esclamò Bella, sorridendo complice a sua figlia.


“Quanto mi mancavano queste serate!” sussurrò Edward nell’orecchio di sua moglie, tentando di superare con il tono della voce quello della musica.
“Anche a me, moltissimo. Ti ricordi cos’è successo la notte di san Giovanni di sedici anni fa?”
“Come potrei dimenticarlo!” rispose Edward, con voce quasi commossa, baciando sua moglie sulla guancia e cingendole la vita con le braccia.
Rimasero lì tutta la notte, i loro figli impararono alcuni canti e alcune danze e si divertirono come matti; le cicale accompagnarono con il loro canto le melodie della serata; i fuochi accesi rischiararono la notte e l’odore del fumo si mescolò a quello a quello del vino e del pane fresco.
La nonna, seduta a capo tavola, osservò e impresse nel suo cuore tutti i volti della sua famiglia; si voltò verso la tenuta e le sembrò quasi di vedere suo padre che raccoglieva le olive e sua madre che, infaticabile, sgranava il rosario e aspettava che l’impasto del pane crescesse, al caldo sotto vari strati di coperte di lana. Vide suo marito, il suo amato marito, che rincasava canticchiando e la salutava con un bacio; vide la sua casa, colma d’amore e di gioia.
Il ritmo della musica si fece sempre più lento: qualcuno aveva iniziato a cantare la canzone più bella della sua terra.
Alcuni dei bambini erano già stati portati a letto dalle loro mamme; le giovani coppie, ebbre di vino e di amore, stavano già riscaldando i loro letti; nonna Isabella era felice e si sentiva in pace.

Chi lo sa se è vero che la notte di san Giovanni le streghe vanno in giro a catturare le anime, pensò.

Si voltò un’ultima volta verso la sua casa e poi il suo sguardo si soffermò sui fuochi, che lenti lenti si spegnevano.












Note relative al capitolo.


- Acchiapparello è un gioco per bambini, dubito ci sia qualcuno che non lo conosca, in ogni caso qui le regole del gioco;
- Il campo di grano è un riferimento al CAPITOLO II;
- La frase che nonna Isabella ha detto a Edward quando si sono conosciuti è
“Oh, Edward, vedi i vestiti sono come la famiglia: bisogna viverci dentro un po' prima di sentirceli bene.” nel CAPITOLO IV
- La canzone di cui si parla nella parte finale del capitolo è la stessa che canta Bella qui;
- Qualcosa sulla notte di san Giovanni ve l’avevo già scritta nel CAPITOLO VII;
- La catenella dorata che pende dal taschino di Edward sarà il protagonista di uno degli extra


E con questo capitolo la storia si conclude. Posto oggi, il 21 marzo, perché è la data del compleanno di Jane. Data simbolica per questa storia.

L’epilogo, che arriverà la prossima settimana, svelerà un po’ di cose e conterrà le mie riflessioni su questa storia. Quando oggi ho messo il punto finale, ho iniziato a piangere, mi mancheranno molto questi personaggi. Mi fermo qui e non scrivo altro, mi riserverò tutto lo spazio di cui ho bisogno nell'epilogo.
Grazie a tutte le persone che hanno seguito e seguono questa storia, a chi l'ha recensita, a chi è stato così paziente da attendere tanto tempo per avere questo capitolo.


Lascio qui, come ho fatto anche nell'altra storia, i link a varie one-shot che ho scritto per alcuni contest:



 
 
 
 
Storia prima classificata al contest "Padre e figlia" indetto da Alice_Nekkina_Pattinson sul forum di Efp
I Cullen stanno per partire per l’Alaska, dove trascorreranno un intero mese, ospiti del clan Denali. Seguirà, poi, un altro mese di vacanza alle Canarie. Renesmee non vuole trascorrere così tanto tempo lontana da Jacob e da Forks. Cerca di scendere a patti con i suoi genitori, per diminuire la durata delle vacanze, ma non ci riesce. La piccola sta crescendo e sente una tempesta agitarsi dentro di sé. Si ribella alle imposizioni di suo padre e litiga con lui. Corre via di casa e si rifugia nella foresta, ma un temporale estivo la coglie alla sprovvista…
 
Autore: Elettra989 | Pubblicata: 08/01/13 | Aggiornata: 08/01/13 | Rating: Verde | Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Capitoli: 1 - One shot | Completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Edward Cullen, Renesmee Cullen | Note: Nessuna | Avvertimenti: Nessuno
Categoria: Libri > Twilight | Contesto: Successivo alla saga | Leggi le 3 recensioni
 
 
 
 
Storia terza classificata al contest 'Uno sguardo al passato' indetto da Pinzy81 sul forum di Efp
La storia narra, secondo il mio punto di vista, il primo incontro tra Esme e Carlisle. Siamo nel 1911, Esme è una studentessa in un collegio e, cadendo accidentalmente da un albero di magnolia, si frattura una gamba. Il medico di Columbus è fuori città e il suo sostituto è un medico giovane e alquanto affascinante...
 
Autore: Elettra989 | Pubblicata: 05/01/13 | Aggiornata: 05/01/13 | Rating: Verde | Genere: Generale, Sentimentale | Capitoli: 1 - One shot | Completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Carlisle Cullen, Esme Cullen | Coppie: Carlisle/Esme | Note: Missing Moments | Avvertimenti: Nessuno
Categoria: Libri > Twilight | Contesto: Precedente alla saga | Leggi le 2 recensioni
 
 
 
 
Storia seconda classificata la contest 'Luci e ombre di Natale' indetto da perrypotter e Capriccio biondo sul forum di Efp
È Natale e in casa Cullen, complice la presenza della piccola Renesmee, si respira aria di gran festa e di gioia. Di fronte al presepe allestito da Edward e sua figlia, Rosalie riflette su sé stessa, sul Natale, sulla vita che non ha avuto. Il rancore sempre nascosto dentro di sé per la maternità negata non le dà tregua; il senso di insoddisfazione e di tristezza crescono di fronte alle scene di vita quotidiana che vedono protagonisti Edward e la sua famiglia. Persa nei suoi ricordi umani e inghiottita dai suoi rimpianti, viene riportata alla realtà da Emmett. Grazie a lui e alle sue parole cariche d’amore, riuscirà ad accettare la sua vita e metterà a tacere i rimpianti.
 
Autore: Elettra989 | Pubblicata: 04/01/13 | Aggiornata: 04/01/13 | Rating: Verde | Genere: Generale, Introspettivo, Malinconico | Capitoli: 1 - One shot | Completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Emmett Cullen, Renesmee Cullen, Rosalie Hale | Coppie: Emmett/Rosalie | Note: Nessuna | Avvertimenti: Nessuno
Categoria: Libri > Twilight | Contesto: Successivo alla saga | Leggi le 6 recensioni
 
 
Storia seconda classificata al contest 'About Renesmee' indetto da __Hilary__ sul forum di EFP
Renesmee trascorre una giornata con Charlie, perché i suoi genitori stanno organizzando una sorpresa per il suo compleanno ed il loro anniversario di nozze. Dopo un piccolo incidente avvenuto al parco, la piccola convince il nonno ad andare in un centro commerciale. Renesmee adora fare shopping, ma adora ancora di più vedere le persone che le stanno intorno felici. Il suo piano di andare al centro commerciale ha un fine particolare: rinnovare il guardaroba di Charlie per un appuntamento speciale.
 
Autore: Elettra989 | Pubblicata: 31/10/12 | Aggiornata: 31/10/12 | Rating: Verde | Genere: Commedia, Generale | Capitoli: 1 - One shot | Completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Charlie Swan, Renesmee Cullen | Note: Nessuna | Avvertimenti: Nessuno
Categoria: Libri > Twilight | Contesto: Successivo alla saga | Leggi le 7 recensioni
 



E, per chi volesse partecipare, ho indetto un contest che scade il 4 aprile: "yes I said yes I will Yes"



Alla prossima, buonanotte!

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Capitolo 31
*** EPILOGO ***


EPILOGO

 




 

Campi, 24 giugno 1970

“Edward, vieni qui! Vieni a vedere!”
“Cosa hai trovato?”
“I diari della nonna, guarda: sono tantissimi. Ha iniziato a scriverli quando aveva tredici anni…”
“Bella? Questo cos’è? ‘La fanciulla e lo straniero, storia di un amore’… c’è una dedica per te”
Presi il foglio dalle mani di mio marito e con voce tremula iniziai a leggere:

“Mia adorata Isabella,
se starai leggendo questa lettera, vorrà dire che avrai trovato il mio manoscritto e io non ci sarò più.
Non ho scritto un testamento, perché non avevo più niente da lasciare in questo mondo: tutto quello che possedevo era il mio amore per voi e credo – spero - di essere stata in grado di donarvelo.
Non so se questi luoghi, che mi hanno vista arrivare trentenne e andarmene via quasi novantenne, avranno memoria di me. Chi lo sa, se fra vent’anni, si parlerà ancora dell’argentina, la figlia di Carletto il pezzente, che aveva sposato un americano bello come il sole ed era arrivata in Puglia con due bambini che non capivano una parola del dialetto locale.
Ho un unico desiderio: quello di rivederti un' ultima volta, prima di partire per l’ultimo viaggio. E, magari, vedere i fuochi della notte di san Giovanni. Voglio salutare la mia casa; i miei figli e i miei nipoti; i campi lavorati da mio padre. Voglio sentire le canzonette che cantava mio marito di ritorno dal lavoro e guardare per un’ ultima volta il cielo stellato, che nella notte di san Giovanni è sempre più bello.
Forse i miei desideri verranno esauditi, o forse no. Questo non posso saperlo.
Spero che mi perdonerai, per quello che stai per leggere.
Da bambina, quando ti leggevo le grandi storie della letteratura, ti avevo spiegato che gli amori belli non si raccontano, si scrive solo degli amori tragici. Hai pianto per un pomeriggio intero e giurato che non avresti più voluto ascoltare niente da me! Ma il giorno dopo sei ritornata, ancora più curiosa di prima. Per quel che mi è stato possibile, ho voluto rimediare e regalarti la lettura una storia d’amore a lieto fine. Ho scritto, servendomi dei tuoi racconti e anche un po’ dei tuoi diari (spero che mi perdonerai, per questo), la storia d’amore più bella che io abbia visto e sentito nella mia vita, la tua. La vostra, anzi. Perché se quel bel giovanotto non fosse capitato dalle nostre parti, ci sarebbe stato ben poco da scrivere, tesoro.
Questo è il mio regalo per te: racconta la tua storia a te e a tuo marito, raccontatevela insieme, raccontatela ai vostri figli e fate in modo che ne avranno memoria i vostri nipoti. Noi siamo ciò che ricordiamo di essere stati. Non dimenticarlo mai.

Ti voglio tanto bene,

nonna Isabella”


“Amore, non piangere”
Solo allora mi resi conto di essere stretta tra le braccia di mio marito e di aver cominciato a versare calde lacrime sulle carte della nonna.
“Mi manca, Edward. Mi manca tantissimo” singhiozzai.
“Lo so, amore. Ma lei è ancora qui con noi. È dentro di te, è nella storia che ha scritto, è in questi luoghi, è nella piccola appena nata che porta il suo e il tuo nome. Non se n’è mai andata e non se ne andrà. Uno spirito come il suo è destinato all’eternità.”
Mi baciò la fronte e tirò fuori dalla giacca un fazzoletto con le sue iniziali ricamate di blu, con cui mi asciugò delicatamente le lacrime dal viso.


“Cosa vuoi fare con il manoscritto? Hai intenzione di pubblicarlo?” mi domandò quella sera, a letto.
“Ci ho pensato a lungo e no, non credo, almeno per ora, che lo pubblicherò. È un regalo troppo prezioso e intimo: farò esattamente quello che la nonna mi ha consigliato di fare. Lo leggeremo noi due insieme ogni sera, lo leggerò ai nostri figli e appena la piccola Isabella sarà un po’ più grande, lo leggerò anche a lei. Sarà il tesoro della nostra famiglia.”
“Sono felice della tua scelta. Che ne dici di cominciare a leggerlo da stasera?” mi domandò con un lampo di malizia negli occhi.
“Da dove vuoi cominciare, amore?” mi accoccolai sul suo petto, tenendo in mano le carte del manoscritto.
“Dall’inizio.”



Campi, 3 Agosto 1975


“Quella cerchiata di rosso sono io, Isabella. Tu ancora non ci sei, perché questa carta l’ha scritta mia nonna molto prima che tu nascessi.”
“Posso leggere io, nonna?”
“Certo, tesoro!”
La bambina, seduta sulle mie ginocchia, cominciò a leggere la scrittura tremante di mia nonna. Era la carta che aveva messo a guardia del manoscritto che conteneva la nostra storia.

“Mi sono dovuta fare questa carta, perché ho paura di non ricordare più niente, il nome dei miei figli e quello dei miei genitori.” Aveva scritto dietro la carta datata 12 gennaio 1960.


 

“Nel punto in cui termina la vecchia via Appia, antica “regina viarum”, e sorge la nuova strada che conduce al porto di Brindisi, si erge imperiosa ed austera, come il Partenone domina dall’alto dell’acropoli la città, la masseria degli Swan.”

E così, in un caldo pomeriggio d’estate, seduta sotto lo stesso portico, dove avevo trascorso i più bei pomeriggi della mia infanzia e della mia adolescenza, dove ero cresciuta, ascoltando i racconti di mia nonna, mia nipote Isabella, che aveva cinque anni e aveva imparato a leggere da qualche mese, mi raccontò la mia storia.
Una bella storia d’amore.




 


FINE











NOTE



Ve l'aspettavate un finale del genere, con tanto di manoscritto inedito scritto dalla nonna? ^_^
La piccola Isabella, ovvero Isabella III, è la figlia di Jane. Le parole che legge “Nel punto in cui termina la vecchia via Appia, antica “regina viarum”, e sorge la nuova strada che conduce al porto di Brindisi, si erge imperiosa ed austera, come il Partenone domina dall’alto dell’acropoli la città, la masseria degli Swan.” sono le parole di incipit di questa storia (CAPITOLO I)



Ho iniziato a scrivere questa storia in un momento molto doloroso e difficile della mia vita, durante l'ultimo periodo della malattia di mio nonno. Avevo bisogno di trovare qualcosa di buono in tutto quel dolore e, allora, ho deciso di servirmi dei suoi racconti d’infanzia, dei racconti sugli anni della guerra, sulle sigarette che fumava a dodici anni, nel granaio, di nascosto dai genitori, e che erano molto simili a quella che fuma Edward in uno dei primi capitoli di questa storia, perché quando c'era la guerra era difficile trovare il tabacco e ci si arrangiava con il fieno. Ho deciso di mantenere viva la sua memoria nella mia.
Ho iniziato a pubblicare la storia qualche giorno dopo la sua scomparsa, perché avevo bisogno di continuare a sentirlo vicino. Perdere mio nonno è stato un duro colpo. Anche adesso che scrivo queste parole mi è salito un groppo in gola. Nonostante siano trascorsi tre anni, la mancanza si sente sempre, anzi, si sente sempre di più. Ma più passa il tempo, più ritrovo un po' di lui in me stessa.
Voglio concludere questa storia e questa nota con le parole che recita una bravissima attrice italiana, Giovanna Mezzogiorno, alla fine di un bellissimo film, La finestra di fronte:



“Ho ancora bisogno di una tua parola, Davide, di un tuo sguardo, di un tuo gesto. Ma poi all'improvviso sento i tuoi gesti nei miei, ti riconosco nelle mie parole. Tutti quelli che se ne vanno, ti lasciano sempre addosso un po' di sé. È questo il segreto della memoria? Se è così allora mi sento più sicura, perché so che non sarò mai sola.”



Questa storia è dedicata a mio nonno.
Grazie a tutte le persone che l’hanno letta, seguita e commentata.
Grazie alla pazienza che avete avuto, perché soprattutto nell'ultimo anno gli aggiornamenti non sono stati propriamente costanti.
Grazie ai lettori che verranno, sarò felice di leggere le vostre impressioni.
Ci saranno degli extra, come promesso; non so ancora se gli dedicherò una 'storia' a parte o continuerò a pubblicarli qui, in ogni caso, vi avviserò.
Per ora, devo solo trovare il coraggio di spuntare la casella 'completa'.



A presto,

Elettra.

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Capitolo 32
*** Extra - L'orologio ***


Oggi è il decimo anniversario di questa storia. Mi ritrovo stamattina, a dieci anni esatti dalla pubblicazione del primo capitolo di questa storia, nello stesso posto in cui mi trovavo in quella lontana estate. Lo stesso posto che mi aveva ispirato l'ambientazione della storia e mi è sembrato giusto e doveroso festeggiare questo anniversario pubblicando un extra che avrebbe dovuto vedere la luce da tempo, ma che per vari motivi era rimasto solo un'idea fino ad oggi.
L'extra può essere letto anche da chi non ha letto tutta la storia, la prima parte si inserisce nel capitolo 21 della storia a livello cronologico-narrativo, la seconda parte nel capitolo 27. Tra parentesi troverete queste indicazioni anche all'interno del testo.
Il protagonista dell'extra, per chi avesse letto la storia, è la catenella dorata che spunta dal taschino di Edward nel capitolo 30.


Buon anniversario a me e a tutte voi che avete seguito questa storia.










 

 L’orologio

(capitolo 21)
20 ottobre 1944

 


Donna Isabella allungò il braccio e accarezzò il lato del letto ormai vuoto da tempo sospirando triste.
Oggi avremmo festeggiato quarant’anni di matrimonio, pensò.
Una morsa le strinse il cuore e sentì gli occhi inumidirsi. Suo marito le mancava molto, nonostante fosse morto da qualche anno.
Avevano in mente grandi progetti per festeggiare il loro quarantesimo anniversario di matrimonio, volevano tornare in Argentina, dove si erano conosciuti e dove tutto era iniziato.
Probabilmente non sarebbe stato comunque possibile per via della guerra in corso, ma sicuramente, se suo marito fosse stato ancora lì con lei, avrebbero fatto una grande festa con tutta la loro famiglia per celebrare l’importante ricorrenza.
Quel giorno lo aveva immaginato completamente diverso, di sicuro non pensava che ci sarebbe arrivata da sola. Aveva perso suo marito all’età di cinquantacinque anni, non si poteva di certo considerare una vedova giovane per l’epoca, ma anche il loro amore e il loro matrimonio erano stati tutt’altro che consueti per quel tempo.
Si riteneva molto fortunata: non tutte le donne della sua epoca si sposavano per amore. In alcuni casi, l’amore - o meglio, l’affetto - arrivava dopo, con i figli e l’abitudine. In altre unioni, le più sfortunate, la dipartita del congiunto rappresentava quasi un sollievo.
Per lei era stato come perdere un pezzo di cuore, quello più importante. Emmett era la metà della sua anima, lo aveva capito non appena si erano incontrati e il loro amore nel tempo era diventato sempre più forte. Isabella sapeva bene, però, che il prezzo da pagare per un amore così grande, era un dolore altrettanto intenso. Non era un caso se le due parole insieme costituivano una rima perfetta, tanto cara ai poeti.
 
 
Si alzò dal letto e si sedette davanti allo specchio della pettiniera per spazzolarsi i capelli. Aprì il portagioie e accarezzò, come tutte le mattine, l’orologio da taschino che aveva regalato a suo marito il giorno delle loro nozze, quasi avesse voluto augurargli il buongiorno.
«Buon anniversario, mio caro», sussurrò accarezzando l’incisione sul retro, «ovunque tu sia adesso».
Era molto affezionata a quell’orologio, non solo perché suo marito lo indossava sempre, ma perché quell’orologio portava con sé e univa tanti pezzi della sua famiglia e della sua storia.
La catenella d’oro era stata ricavata dall’unica collana di sua nonna Isabella, dono di nozze di suo marito e probabilmente l’unico oggetto di valore che la povera contadina possedeva. Non l’aveva mai conosciuta perché quando lei era ritornata a Campi era già morta. La collana l’aveva data a suo figlio, Carletto, il padre di Isabella, che l’aveva impegnata una volta arrivato in America per pagarsi da vivere per i primi tempi. La prima cosa che Carletto aveva fatto, una volta che era riuscito a mettere insieme una consistente somma di denaro, era stata riprendersi quel sottile filo d’oro, l’unico ricordo di sua madre.
L’orologio, invece, apparteneva a suo padre: l’aveva comprato da un rigattiere svizzero pensando che non valesse molto, infatti l’aveva pagato poco. Quando un giorno quell’orologio si era fermato e l’aveva portato nella bottega di un orefice per far sistemare il meccanismo aveva scoperto invece che era un oggetto di gran pregio e valore e Carletto, a quel punto, non solo lo fece sistemare, ma ci fece aggiungere la collana di sua madre, per poterlo indossare come facevano i ricchi signori, visto che ormai lo era diventato anche lui. Da quel giorno, quell’orologio era sempre stato nel suo taschino. Se lo ricordava bene Isabella, che da bambina amava giocare con quella catenina d’oro che pendeva dal panciotto di suo padre.
Non avendo figli maschi a cui passare quel cimelio di famiglia, lo diede a sua figlia qualche giorno prima di sposarsi, nonostante fosse un orologio maschile. Le disse che sua nonna avrebbe sicuramente voluto che avesse lei la sua collana, come dono di nozze, ma siccome ormai era parte dell’orologio, le regalò tutto quanto.
Isabella lo donò a suo marito il giorno del loro matrimonio, prima però lo aveva portato da un orefice e aveva fatto incidere sul retro della cassa una frase: Nessuna misura del tempo è abbastanza con te, ma cominceremo con per sempre seguita dalle loro iniziali, la I e la E, intrecciate a formare un elegante monogramma, che poi lei aveva pazientemente ricamato su tutta la biancheria del suo corredo.
In seguito alla morte di Emmett aveva diviso i suoi oggetti personali donandoli a suo figlio, a suo nipote e a suo genero, ma quell’orologio, insieme alla fede nuziale di suo marito che indossava sotto alla sua perché era troppo larga per il suo dito e rischiava di perderla, non voleva proprio darlo a nessuno. Lo custodiva gelosamente, era un regalo troppo intimo e personale, non riusciva proprio a staccarsene, sebbene fosse consapevole che prima o poi avrebbe dovuto.
 
 
Entrò Victoria nella stanza che la informò che l’acqua per il bagno era pronta. Andò a lavarsi e si cosparse il corpo con l’olio di mandorle, come faceva sempre da quando era ragazza, poi indossò un vestito nero, come faceva sempre da quando suo marito non c’era più.
Il suo Emmett probabilmente avrebbe avuto da obiettare, amava vederla indossare vesti colorate e non avrebbe voluto di certo che il periodo di lutto per la sua morte durasse così tanto, ma lei non se la sentiva più di sfoggiare abiti colorati, sapendo che non avrebbe ricevuto i suoi complimenti.
 
 
Il giorno prima sua nipote Bella, la sua prediletta, era passata a salutarla e a informarla che presto si sarebbe sposata e sarebbe diventata mamma. Sapeva da sempre in cuor suo che quell’orologio sarebbe toccato a lei un giorno, era l’unica a cui avrebbe potuto affidare un’eredità così preziosa. Voleva molto bene a tutti i suoi nipoti indistintamente, ma era una donna intelligente e sapeva bene che avere una predilezione o una maggiore affinità con uno di loro era del tutto normale, ragion per cui non si faceva nessun problema a mostrarla.
Bella era identica a lei, erano spiriti affini, e stava vivendo un amore grande, proprio come quello che aveva avuto lei.
Suo figlio Charlie o suo nipote Emmett probabilmente sarebbero stati la scelta più tradizionale per tramandare quel dono, ma per quanto volesse bene a entrambi, non se la sentiva di affidare a loro un cimelio tanto importante e significativo. Quella dedica incisa sul retro poi pesava tanto. Era un oggetto troppo personale e prezioso, nessuno sapeva di quella frase. Inoltre, donna Isabella era molto attenta ai segni del destino e le iniziali di sua nipote e del suo innamorato coincidevano perfettamente con quelle sue e di suo marito Emmett.
Quell’orologio era destinato a proseguire la sua vita con loro.
 
 
«Nonna, buongiorno!» la salutò sua nipote Bella, porgendole un mazzo di fiori.
«Buon anniversario!» le disse, mentre si sporgeva per baciarle una guancia.
«Grazie mille, tesoro, sono bellissimi».
«Ne ho raccolti altri, per il nonno» le disse dolce e gli occhi di donna Isabella si inumidirono.
 
 
Fin quando suo marito era vivo la sera del venti ottobre si faceva grande festa nel cortile per il loro anniversario con tutta la loro famiglia, se il tempo lo permetteva, altrimenti si riunivano nel grande salone di casa. Da quando era morto Emmett, il venti ottobre, Isabella si isolava da tutti e andava a portare dei fiori al cimitero da sola.
Quel giorno, invece, aveva chiesto a sua nipote di accompagnarla.
 
 
 
Dopo aver sistemato i fiori freschi nel vaso, Bella intuì che sua nonna aveva bisogno di restare da sola per un attimo, così si allontanò da lei adducendo come scusa che sarebbe andata a prendere dell’acqua alla fontana per ripulire la tomba, in realtà perfettamente pulita e splendente.
Isabella accarezzò quel viso tanto amato attraverso il vetro della cornice, poi si sedette sulla panchina che aveva fatto sistemare di fronte alla tomba di suo marito.
«Sono sicura che avresti avuto da ridire sulla scelta della foto», ridacchiò, «hai un’espressione così seria, quasi non sembri tu», sorrise triste.
Ogni conversazione di donna Isabella con quella pietra muta iniziava quasi sempre così.
«Mi manchi, sai, ogni giorno di più. Sei in ogni mio pensiero, in ogni mia parola, in ogni mio gesto. Non è normale, non sono la prima né l’ultima vedova, ma è così, non posso farci niente. Ogni giorno che passa sento un vuoto dentro che diventa sempre più grande e sempre più incolmabile e doloroso. Ti sei portato via il mio cuore» le lacrime iniziarono a uscire dai suoi occhi.
«Avevamo un patto, noi. Dovevamo andarcene insieme, ma la vita ha deciso diversamente. Avevamo pianificato questa giornata, ne avevamo immaginato ogni dettaglio e, invece, io sono qui e tu non sei con me» si asciugò gli occhi con un fazzoletto.
«Lo sai che stiamo per diventare bisnonni? Lo sai che la piccola Bella si è innamorata? Dovresti vederla, è una fonte di luce. Avresti adorato Edward, ne sono certa. È americano, è gentile, è bello e forte, come te» continuò dolce.
«So che non ho mai dovuto chiederti il permesso per fare nulla, ma non me la sento di separarmi dall’ultima parte di te che mi resta senza prima parlartene. Ho deciso di donare a Bella il tuo orologio, quello che ti ho regalato io quarant’anni fa, più o meno a quest’ora, mentre eravamo dall’altra parte del mondo» i suoi occhi si persero nei ricordi di quel caldo sabato di ottobre di quarant’anni prima, quando appena ventiduenne stava coronando il suo sogno d’amore.
«Com’eri bello quel giorno nel tuo completo elegante e con gli occhi lucidi per l’emozione. Mi sentivo così fortunata al pensiero che un giovane così raffinato, bello, forte, dolce e premuroso fosse destinato a me. Ero così felice quel giorno e sono stata tanto felice ogni giorno da allora, grazie a te» la voce le si spezzò in gola.
«Lo sai che io ho sempre creduto ai segni del destino e l’amore di questi due giovani mi ricorda tanto il nostro. Inoltre, i loro nomi hanno le nostre stesse iniziali, quindi è perfetto» concluse.
«Nonna?» la chiamò timidamente Bella che portava un secchio pieno di acqua.
«Vieni qui, tesoro, siediti accanto a me».
«Grazie per la tua discrezione» disse alla nipote, facendola sorridere.
«Capirai un giorno quanto è importante coltivare e mantenere sempre viva l’intimità e la complicità con tuo marito: è quello che mi manca di più. Bastava uno sguardo per capirci» mormorò con lo guardo perso nei ricordi.
Bella appoggiò la testa sulla spalla di sua nonna, beandosi del suo profumo familiare e guardando la foto di suo nonno disse: «Ho paura di dimenticarlo, ero ancora una bambina quando è morto».
«Non accadrà, lui vive dentro di te e continuerà a vivere nella creatura che porti in grembo», la rassicurò sua nonna, accarezzandole i lunghi capelli su cui faceva capolino il fermaglio che le aveva regalato non molto tempo prima, un dono del suo Emmett.
«Devo darti una cosa» le disse mentre estraeva dalla sua borsetta un sacchetto di velluto blu.
Bella lo aprì e sgranò gli occhi.
«L’orologio del nonno?» Isabella annuì.
«Questo orologio è più di un cimelio di famiglia, io l’avevo regalato a tuo nonno esattamente quarant’anni fa il giorno del nostro matrimonio. È un oggetto che unisce così tante vite e così tante storie lontane nel tempo. Voglio che lo abbia tu, potresti regalarlo a Edward per le vostre nozze» le suggerì.
Bella si rigirò l’orologio tra le mani e lesse la dedica scritta sul retro.
«Nonna, sei sicura di volertene separare?» Bella sapeva quanto sua nonna fosse legata a quell’oggetto e ricordava vagamente una discussione tra suo padre e sua nonna proprio riguardo a quell’orologio.
«Appartiene a voi, vedi: abbiamo anche le stesse iniziali. E sono sicura, anche se la frase non l’hai scelta tu, che si addica perfettamente ai tuoi sentimenti per Edward» le sorrise.
Bella annuì e i suoi occhi brillavano, come succedeva ogni volta che sentiva pronunciare quel nome tanto caro al suo cuore.
«Grazie, nonna» Bella abbracciò sua nonna commossa. «Ti assicuro che Edward sarà il degno custode di un tesoro tanto prezioso».
«Ne sono certa» rispose Isabella.
 
 
 

(capitolo 27)
Durante la notte del 27 gennaio 1945

 

 
«Ho una regalo per te» mormorò Bella, accarezzando i capelli di Edward che ascoltava il battito del suo cuore mentre con le dita le disegnava pigramente dei cerchi sulla pancia. Era stato così bello ritrovarsi e amarsi di nuovo, consapevoli che sarebbe stato così per tutta la loro vita.
Si sporse verso il comodino, aprì il cassetto e tirò fuori l’orologio.
«Era di mio nonno Emmett, glielo aveva donato la nonna come regalo di nozze» gli spiegò mentre Edward studiava quel prezioso oggetto.
«Grazie, amore. È bellissimo, ma non sarebbe più giusto se lo avessero tuo padre o tuo fratello?»
Bella scosse il capo.
«Appartiene alle donne della nostra famiglia che lo affidano agli uomini della loro vita» gli spiegò accarezzandogli dolcemente una guancia.
«Leggi l’incisione sul retro, è perfetta per noi» lo incitò.
Edward abbassò lo sguardo sull’orologio, sorrise e poi baciò la sua sposa.
«Hai ragione, è perfetta».




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La frase Nessuna misura del tempo è abbastanza con te, ma cominceremo con per sempre è tratta da The Twilight Saga: Breaking dawn - Parte I. Lo specifico per dovere di cronaca e per onestà intellettuale, ma tanto lo so che l'avrete riconosciuta subito tutte!

Per chi segue Espresso, il capitolo arriverà in settimana.

 

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