Danmen - L'ira del vento

di Seleyne
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo I : Un agognato nuovo inizio ***
Capitolo 3: *** Capitolo II: Sorpresa ***
Capitolo 4: *** Capitolo III: L'ospite ***
Capitolo 5: *** Capitolo IV: Uscita solitaria ***
Capitolo 6: *** Capitolo V: Cambiamenti ***
Capitolo 7: *** Capitolo VI: L'incontro ***
Capitolo 8: *** Capitolo VII: Fine dell'attesa ***



Capitolo 1
*** Prologo ***









Le fiamme sanno devastare anche il cuore più puro... 
nessuno può evitare di esserne corrotto...
anche l’anima più nobile cambia sotto quel rosso getto rovente.

 

 




«Piccola?... hey piccola mi senti?» sussurrò dolcemente una donna mentre scuoteva con delicatezza una delle due bambine che riempivano quel piccolo lettino tutto color albicocca.
Un paio di occhi grigi e assonnati si aprirono pian piano sotto un groviglio di capelli neri lucidi.

«Shina... hey, mi dispiace svegliarti ma.. potresti seguirmi un attimo in cucina?»
La donna condusse gentilmente la bambina, che aveva circa quattro anni, in una piccola cucina impregnata dall’odore dei biscotti cucinati solo qualche ora prima.
«Che succede?» disse la bimba con voce impastata: prova del sonno profondo di poco prima.

«Vedi.. ecco.. è successa una cosa.. vedi qualcuno... ha scatenato un incendio in un quartiere..e tutte le case sono bruciate..»
«Però.. che cosa brutta.. l’uomo nero ha fatto questo?»
«No piccola, è stato un ragazzino stupido. Comunque ecco devo dirti… non so bene come dirlo.. ecco è successo.. nel tuo quartiere»
«Nel mio quartiere? c-come nel mio quartiere? cos-cos’è successo?» la bimba con occhi increduli mise da parte il sonno prestando una lucida attenzione alle parole della madre della sua amichetta da cui si era fermata a dormire per il fine settimana.
«Vedi.. è stato disrutto tutto.. anche casa tua.»
«C-ca-casa m-mia?» le prime lacrime uscirono dagli angoli degli occhi grigi della ragazzina e pian piano divennero un piccolo fiumicciatolo.
«C’è una persona lì che si occuperà di te ok? ti dobbiamo portare a casa tua va bene?»
la bimba non riusciva nemmeno a parlare ma voleva vedere casa sua e i suoi genitori, quindi, con un breve cenno di assenso si infilò gli scarponcini ed il giubbotto ed uscì, in una notte fredda e gelida di inverno, col pigiama giallo regalatole dai genitori qualche giorno prima per il suo compleanno.

La casa era un cumulo di cenere.. non c’era più traccia nè della sua cara altalena nè della sua amata quercia. Sul retro, l’amato albero di fiori bianchi dall’intenso profumo era un ammasso di foglie nere e aride.. la casa non era altro che un cumulo di luoghi e ricordi che non sarebbero più potuti essere vissuti... e sotto di essa... vi erano due persone, una madre e un padre, decedute a causa dell’incendio,  che prima di morire avevano rivolto dei ringraziamenti al cielo e delle preghiere alla loro figlia, futura orfana, che per pura fortuna, quella sera, era a dormire da un’amichetta.

«Tu sei Shina vero?» un signore con una strana tunica si avvicinò a quella bimba con gli occhi increduli e fissi su oggetti ormai divenuti inutili ma, per lei, erano molto più che stupide macerie.
«Mi chiamo Anthony e mi occuperò di te per stasera, ti porterò in una casa piena di bambini come te e vivrai lì finché un tuo parente non verrà a prenderti o finché non sarai abbastanza grande per andartene. Sono sicuro che una bella bimba come te verrà subito adottata da una cara zia o da una nonna.»
«Di che posto si tratta?» Chiese la bimba che non capiva il discorso di quell’uomo che con un sorriso tirato le stara rivolgendo la sua attenzione.
«Si tratta di un orfanotrofio, ma vedrai sono sicuro che ti piacerà!» disse con finto entusiasmo che non contagiò minimamente la bambina.
«Io non sono orfana, ho una mamma e un papà!»
«Oh, cavolo.. Piccola cr-credevo c-che t-tu lo sa-sapessi... vedi i tuoi genitori sono... ehm... volati in cielo... non ci sono più... sono nel tuo cuore ora» probabilmente quelle parole le aveva ripetute molte volte a bambini e bambine diversi ma con in comune una sola cosa: non avere più nessuno.
Shina aveva affrontato ormai molte morti per la sua età: il nonno era morto per una malattia causata dal fumo, la nonna morta per il conseguente dolore, gli altri nonni non li aveva mai conosciuti e qualche mese prima era morto il loro unico parente rimasto: una zia rimasta coinvolta in un incidente d’auto. La fortuna non era decisamente dalla loro parte.
«Sono morti?» disse Shina con quella voce leggera e rotta dal pianto che solo un bambino, in un momento come quello, potrebbe fare.
«Si, mi dispiace tanto Shina, davvero.»
La mora non parlò.. pian piano lacrime sempre più intense offuscarono il suo sguardo, diventato ormai di un argento chiarissimo e non più grigio scuro, costringendola a sedersi sul cemento freddo, con le ginocchia strette al petto a causa del dolore della scoperta. 
Lo aveva sospettato certo: in fondo se fossero vivi perché non erano lì con lei? O anche se erano feriti perché era lì di fronte ai resti di una vita passata e non in un ospedale?
Lo sapeva, ma sentirselo dire faceva male.. molto male.. perché lo rendeva reale.. troppo reale.
Un vento furioso si scatenò lì intorno: quando Shina se ne accorse alzò lo sguardo incredula di fronte a sé e quello che vide fu così inaspettato che il ricordo della perdita per un attimo venne accantonato.


~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~

> nel frattempo

Quando la bambina alzò lo sguardo, l’uomo non poté non notare che gli occhi di lei erano quasi bianchi: solo lievi e leggere striature argentate li rendevano diversi dai suoi.
“E così.. c’è l’ho fatta.. ho un erede finalmente..” esultò, entusiasta come non lo era mai stato fino ad ora.
Una chioma argentata si allontanò da quel disastro accompagnata da un sorriso soddisfatto, beffardo e decisamente calcolatore.

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«C-cosa s-sono?» chiese la piccola inclinando la testa di lato, osservando di fronte a sè con uno sguardo a dir poco confuso.
«Cosa?» rispose l’uomo, che doveva portarla in orfanotrofio, non vedendo nulla nonostante seguisse lo sguardo della bambina da quando quest'ultima aveva rialzato improvvisamente la testa.
«Quegli esseri neri..li vede? quelli piccoli e neri, sembrano una piccola palla con ali e coda, svolazzano qui in giro.. anzi sono dappertutto!»
«Shina, piccola non ti senti bene, sei sconvolta. Vado a prendere la macchina per portarti all’istituto, aspettami qui ok? » disse l'uomo con un sorriso comprensivo.. peccato che effettivamente non comprese, in quanto quelle di Shina non erano semplici allucinazioni.

Shina continuò a fissare quegli esseri con un paio di occhi arrossati che dal bianco argenteo stavano tornando pian piano al grigio scuro.
Era così concentrata che non si accorse di una presenza alquanto bizzarra: un uomo con un cilindro bianco, una sciarpa a pois rosa e un pizzetto viola, la fissava con sguardo stupito. Arrivando a chissà quale conclusione l’uomo si girò e se andò sussurrando tra sè e sè delle parole alquanto strane: “Oh finalmente un po' di divertimento, aspetterò con ansia il tuo arrivo”

 

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Capitolo 2
*** Capitolo I : Un agognato nuovo inizio ***



Capitolo I: Un agognato nuovo inizio

Nella profondità dell’inverno, ho imparato alla fine che,
dentro di me, c’è un’estate invincibile.


 

 

>Orfanotrofio

“Perchè devono essere tutti così gentili? Non possono lasciarmi da sola?” pensai sbuffando contro l’ennesima signora che lavorava in quel dannato orfanotrofio.
Avevamo finito da poco il pranzo e tutti i bambini erano nel palchetto a giocare, sotto lo sguardo attento delle balie.
Nonostante fossi lì da circa quattro mesi non avevo ancora legato con  nessuno, nemmeno qualcuno della mia stessa età: da quando erano morti i miei genitori mi sono sempre sentita in colpa.
Quel weekend ero da un’amica a dormire e, per colpa di questo mio desiderio egoistico, non sono stata presente negli ultimi momenti dei miei genitori. Non potevo, quindi, permettere che ciò accadesse di nuovo anche se, ora, non avevo più nessuno che ne potesse restare deluso.
Mi risistemai meglio contro la dura corteccia della quercia che regnava in un piccolo angolo del parco: come se quel pezzo di terra fosse un posto a parte.
Lì, non solo c’era questa pianta gigante e vecchia che proiettava un enorme ombra, ma l’erba era più alta e i cespugli più rigogliosi del resto del parco dell’orfanotrofio.
Tuttavia, contrastando il mio desiderio di restare da sola, le donne che avevano il compito di badare a noi facevano continuamente avanti ed indietro, per chiedermi se stavo bene o se mi potesse servire qualcosa. La domanda che mi dava più fastidio e che mi sentivo ripetere più volte al giorno era: Shina, perché non ti unisci agli altri e giochi un po’ con loro?
Era così difficile capire che volevo restare sola?
Purtroppo per me, questo mio desiderio non venne rispettato né dalle balie dell’orfanotrofio né dall’uomo che mi si presentò qualche giorno dopo.

«Shina? potresti seguirmi un attimo, cara? c’è una persona che ti vorrebbe conoscere.»
“Chi diamine potrebbe essere?” mi chiesi alzandomi dal mio letto per seguire la donna, Carla credo si chiamasse, nel corridoio principale, finendo in una stanza in cui non ero mai stata… né io né il mio visitatore.

«Shina lui è Arthur Auguste Angel, e desidererebbe adottarti e portarti via con sé. Vi lasciò soli per qualche minuto così da poter prendere entrambi la vostra decisione. Ci vediamo fra poco ok?»
La stanza era quadrata e piccola, pavimenti di legno e carta da parati rossa rendeva il tutto ancora più minuto. Ad accentuare questo effetto un uomo alto, dai lunghi capelli biondi e occhi castano chiaro mi rivolse uno sguardo misto tra il distaccato e lo scocciato. “E questo qui vorrebbe adottarmi?”
«Ciao Shina, è un piacere conoscerti. Sono qui per toglierti da questo tugurio e per portarti in una nuova casa. Ti spiacerebbe venire con me?»
“Una nuova casa? la mia casa è ormai bruciata… “ Con uno sguardo incuriosito, non potei evitare di pormi svariate domande su quell’uomo, in particolare una:
«E perché mai dovrei seguire uno sconosciuto, in un luogo che non conosco, senza un valido motivo?»
«Ti garantisco, cara bambina, che non appena finirò il mio discorso, non farai alcuna obiezione al voler venire con me»
«Ma chi diamine ti credi di essere?» lo interruppi notando poco dopo che era, forse, meglio evitare di farlo.
«Ma con chi diamine pensi di parlare? E questo linguaggio poi? Te l’ho hanno insegnato quei maschiacci che erano qui fuori?»
«Ho usato lo stesso linguaggio che hai appena finito di usare tu!»
«Appena verrai via con me sistemeremo questa tua impertinenza signorina! Mostra un po’ più di rispetto! Sono uno dei migliori esorcisti in circolazione ragazzina e non esiste che mi metta a discutere con una come te!»
«Come fai ad essere così sicuro che segua uno sconosciuto? Non importa se sei il mago degli esorcisti o sei il fallito di turno, il discorso non cambia: io non ti conosco!»
«Conosco l’unico modo per vendicare i tuoi genitori e solo uno come me può insegnartelo. Inoltre, dato che sono uno dei migliori come ti ho già spiegato, l’occasione di imparare da uno come me non ti ricapiterà mai più ragazzina»
«I miei genitori sono morti e anche il ragazzo che ha scatenato l’incendio! Non c’è nessuno di cui io mi possa vendicare!»
«Illusa! Quel stupido ragazzino ha scatenato un incendio, ma tutto ciò è partito per colpa di un demone che lo ha spaventato» Arthur interruppe il suo discorso quando notò i miei occhi spalancati dallo shock << Si, mia cara infante, esistono i demoni. Vedi questi mostricciatoli che ci circondano? Che circondando e riempiono tutto l’orfanotrofio? Sono demoni, ti spiegherò per bene tutto più tardi: ora dobbiamo andarcene da qui»
«I-io c-credevo… credevo di essere l’unica a vederli! Com’è possibile che tutti gli altri mi prendano per pazza ma non tu?»
«Semplice: per vedere i demoni devi o essere tu stessa imparentata con un demone e, quindi, avere il suo sangue nelle tue vene oppure devi essere ferita da uno di loro, ricevere cioè una ferita demoniaca. Quel ragazzo è stato ferito da un demone, lo ha visto, si è spaventato e a scatenato quel dannato incendio per la paura come solo uno stupido potrebbe fare. Non abbiamo davvero più tempo. Shina, vorresti seguirmi?»
«I-io..» iniziai ad essere titubante. Ci pensai un po’ su: insomma erano un mucchio di informazioni dure da digerire per una bambina di quattro anni ma, quando il capo dell’orfanotrofio, tornò con le sue pantofole rosa, la risposta mi era chiara in mente.
«Ciao piccola cara. Allora come ti trovi con lui? É una persona simpatica?»
«Vado a prendere le mie cose, ho deciso che partirò con lui >> dissi in tono deciso eludendo le sue domande. Girai su me stessa, mi diressi rigida verso la porta, ripercorsi la strada fino alla mia camera e radunai le mie cose, in fretta e furia, presa da una forte emozione che non riuscì ad identificare.

 

>Vaticano


«Questa è la tua stanza. In quell’armadio ci sono dei vestiti e varie cose che ti potrebbero servire. Purtroppo ora ho una missione abbastanza urgente quindi dovrò lasciarti qui da sola per un po’. Sei libera di andare dove vuoi, di esplorare, ma sei abbastanza grande per capire che non devi né farti male, né cacciarti nei guai né, tantomeno, dar fastidio a qualcuno o crear pasticci.»
Dopo un mio cenno di assenso il mio nuovo tutore uscì dalla porta, chiudendosela alle spalle dopo un breve, ed impacciato, saluto.
Curiosai in giro: la mia stanza era sul tono del beige, un letto era posizionato al centro del lato destro con, di fronte, un lungo armadio bianco. Sulla destra del letto vi era un enorme finestra incorniciata da due tende blu zaffiro e una piccola scrivania, con qualche libro. L’unica decorazione presente era una poltrona blu, come le tende, con un enorme peluche su di essa.
Per la prima volta, la Shina che non aveva nulla da perdere, si è ritirata per dar posto alla vecchia me: timida, insicura e piena di paranoie.
Non uscì dalla mia camera fino al mattino seguente, dormì abbracciata a quel coniglio per tutta la notte immaginando, come facevo da quattro mesi, che quel peluche era, per finta, la mia cara mamma, tornata ad abbracciarmi.

 

Il mattino successivo, dopo aver fatto una colazione decisamente imbarazzante con Angel, decisi di farmi coraggio ed esplorare il Vaticano.
Partendo dalla mensa, trovai una cucina altrettanto enorme e altre sale da pranzo, un po’ più spartane e meno lussuose che scoprì erano destinate al personale.
Il Vaticano aveva una forma rettangolare suddivisa in tre piani più il tetto:
Il piano sottoterra era destinato alla scuola: il Vaticano addestrava giovani esorcisti, sia in campo teorico che pratico, e faceva tutto ciò al piano -1.
Il piano terra, che io definisco il piano tranquillo, ospitava le mense, l’immensa cucina, svariati salotti, biblioteche e vasti giardini.
Il secondo piano era articolato in numerose stanze distinte fra quelle del personale, quelle degli esorcisti e quelle di coloro che dirigono quel posto.
Il tetto, invece, era piatto e di cemento liscio, senza la traccia di tegole o altro. Caminetti qua e là facevano uscire del fumo bianco che creava un’atmosfera quasi surreale e, quel venticello che mi accolse quando salì le scale, rendeva il tutto ancora più magico.

Passarono così svariate settimane: caratterizzate dall’esplorazione e dal non far nulla.
Il personale era gentile e non era affatto fastidioso ed inopportuno come era, invece, quello dell’orfanotrofio. Parlavamo il minimo indispensabile, qualche chicchera in confidenza, ma mai mi furono poste domande sul mio passato né, tantomeno, cercarono di correggere il mio atteggiamento solitario e distaccato.

Dopo circa due mesi dal mio arrivo, una domenica, il mio tutor passò con me la sua prima giornata libera. Sapevo quanto il suo lavoro fosse asfissiante, che gli piacesse o meno, e, di conseguenza, apprezzai tantissimo che usasse il suo meritato giorno di riposo in mia compagnia.
Ero ancora a letto a dormire quando, all’alba, il mio esorcista preferito bussò alla mia porta.

«Shina? Shina sei già sveglia? Posso entrare?»
Essendomi svegliata qualche secondo prima al suono dei suoi pugni contro la porta risposi, dapprima in modo impastato e, poi, con uno stato di leggero allarme:
«C-come? A-Arthu?… Si si, sono sveglissima! Entra pure!»
«Shina.. sei ancora in pigiama? Poco importa, sono qui per farti una proposta, ti va di ascoltarmi un attimo?» Il mio tutor si sedette sul letto di fianco alle mie gambe ancora coperte dal caldo piumone, ovviamente blu.
«C-certo, dimmi pure.»
«Vedo che il tuo distacco da quei ragazzacci ha migliorato il tuo linguaggio! Molto bene ne sono lieto. Anche se hai solo quattro anni, e mezzo, voglio portarti in un posto. Non c’è bisogno che ti vesti per bene: il pigiama o una tuta andrà benissimo, non usciremo dal Vaticano. Ti attendo fuori ok?»
Al mio cenno di assenso, anche se insicuro, Arthur uscì e mi lasciò sola. Appena la porta fu chiusa, scattai fuori dal letto come una molla impazzita, sbattei contro al comodino, mi vestì in fretta e furia con la prima tuta che trovai sottomano e, in un men che non si dica, fui fuori di fronte al mio tutor.
«Dai seguimi.»
Scendemmo ben due rampe di scale: ciò significava che eravamo nel piano sotterraneo.
Percorremmo lunghi corridoi un po’ spaventosi: erano scuri e l’unica fonte di luce erano delle torce ai lati che gettavano ombre abbastanza inquietanti.
Arrivammo infine in una stanza enorme con vari oggetti alle pareti.

«Shina, non sono qui per obbligarti, ma voglio farti capire le opportunità che ti si offrono.
Se il tuo desiderio di vendicare i tuoi genitori, iniziando la tua strada da esorcista, allora preferisco che sia io ad addestrarti piuttosto che qualcuno di rango inferiore o comunque meno bravo di me. Non voglio che ti succeda qualcosa per colpa di un qualche idiota che non sa fare il suo lavoro. In ogni caso, non ti addestro per uccidere. Questo voglio che ti sia assolutamente ben chiaro piccola. Solo se anche tu lo vuoi, il mio desiderio è quello di addestrarti per far si che, se ti succeda qualcosa, sai cosa fare. Voglio che tu ti sappia difendere se poi, vuoi diventare un esorcista a tutti gli effetti, allora potrai dedicarti al combattimento contro i demoni ma questa voglio che sia una decisione che prenderai quando sarai addestrata.»
«Si, Arthur. Le mie idee non sono cambiate affatto. Voglio che tu mi addestri sia a difendermi e più avanti voglio combattere i demoni. Magari la mia opinione su questo ultimo punto potrà cambiare ma, ora come ora, voglio iniziare il mio allenamento. Sono stanca morta di girovagare in giro per il Vaticano. Voglio fare qualcosa di utile.»
«Se ne sei sicura, allora iniziamo. Sappi che puoi smettere quando vuoi chiaro?» solo dopo il mio cenno di assenso sicuro e deciso, il mio tutor riprese a parlare: «Per prima cosa ti spiego per bene cosa sono gli esorcisti..»
Arthur si mise a parlare di questi ultimi, delle loro varie classi e dei relativi poteri.
Mi descrisse i vari ranghi, ciò che avrei potuto scegliere di fare e anche l'arma che più preferivo.
« .. e quelli sono i Doctor.. vi sono poi i Dragoon, la cui specialità risiede nelle pistole e armi simili.. e poi gli Knight che usano una spada per combattere, anche se penso non sia la classe più adatta a te dato che sei una donna.. un'altra classe è quella dei Tamer..»
Le parole di Arthur erano semplici e facili da capire eppure ne colsi solo alcune di tutto il suo discorso.
I miei occhi, diventati di un colore leggermente bianco e argentato, erano concentrati su una spada e non riuscirono a staccarsi da lì.

«..Knight» dissi con poca voce bassa e impastata.
«Come hai detto Shina? Knight? Non penso che quella sia la classe più adatta a te, soprattutto ora che sei ancora una bambina. Penso che ti convenga dedicarti ad altro, almeno per il momento.»
«Perchè? mi è vietato scegliere quella classe?»  dissi sconsolata e con un barlume di lacrime che minacciavano di esondare dai miei occhi.
«No, bè non c'è nessun divieto Shina ma non credo comunque che..»
«La voglio» dissi interrompendo, senza scrupoli, uno degli esorcisti più temuti, «voglio essere uno Knight. Non mi importa quanto possa essere difficile, voglio allenarmi per diventare una dei migliori di quella classe!» dissi con un vigore sempre maggiore.
«D'accordo Shina, non posso obbligarti a cambiare idea dato che mi sembra improbabile. Sei sempre libera di cambiare idea, oltre a questo non so che dirti. Ti devo avvertire però: se vuoi diventare una delle migliori dovrai allenarti duramente, vivere notte e giorno con la tua spada, rinunciare ad essere una bambina e a tutto ciò che questo comporta, non sarò più il tuo tutor ma il tuo allenatore.» disse Angel con uno sguardo dubbioso sperando, forse, che cambiassi idea. Speranza inutile:
«Quando iniziamo?» fu la pronta risposta di Shina con lo sguardo argentato e determinato fisso sul muro su cui era appesa una spada, identica a quella che aveva il padre, nel salotto di famiglia.

 
 

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Capitolo 3
*** Capitolo II: Sorpresa ***


Capitolo II : Sorpresa
 

Per aprire una porta occorre solo la chiave giusta.
Questo si può applicare anche per i cuori più freddi.

 


 

I miei allenamenti presero il via coinvolgendomi più di quanto non pensassi: mi alzavo molto presto, anzi meglio dire che era il mio stesso tutore a tirarmi giù dal letto, allenavo il mio corpo con riscaldamenti ed esercizi vari. Mi fermavo per una colazione leggera per poi riprendere nel pomeriggio, fino a sera tardi, esercitandomi con la spada.
Passarono così vari mesi finché non arrivò il giorno del mio quinto compleanno.

Dopo i soliti esercizi mattutini andai con Arthur a fare colazione nella mensa. Rimasi silenziosa per tutto il tempo, offesa dal fatto che nessuno si fosse ricordato del mio compleanno: presi qualche brioche, a cui dedicai pochi morsi, ed un succo di frutta e mi sedetti tutta zitta e un po’ musona affianco al mio insegnante. 
«Arthur non ti sembra di esagerare con questa bambina? Ti rendi conto di quanti pochi anni abbia? Da quando ha iniziato a lavorare con te è dimagrita, mangia poco e non gioca nemmeno più a fare gli scherzi, nascondendosi dietro le tende! Sembra quasi un adulta da come si comporta! Non hai un po' di buonsenso?» 
Un caro amico del mio tutore si avvicinò e gli fece uno dei soliti rimproveri che il mio padre adottivo si sentiva ripetere sempre più spesso.
«Mike, ti prego, mi sono già assorbito quell’idiota di Shura questa mattina… non iniziare pure te. Inoltre non hai una missione fra poco? dovresti muoverti»
Da quando Arthur aveva preso il via ad allenarmi aveva iniziato a delegare il suo lavoro a cari fidati colleghi per poter passare più tempo con me ma, ovviamente, molte volte erano dei suoi amici, tra cui Mike e la bizzarra Shura, che si occupavano del mio addestramento.
Quel pomeriggio, però, erano tutti e tre impegnati e così, come accadeva di rado, ero libera.

Dopo la colazione me ne tornai in camera a dormire, ancora sconsolata per la dimenticanza da parte di tutti: dalle signore della mensa, dai colleghi di Arthur che consideravo miei amici e, ovviamente, a colui che iniziavo a considerare come un padre adottivo.
Senza accorgemene mi ero affezionata a tutti loro e, ormai, li iniziavo a considerare come una strana ma adorabile famiglia perciò, il fatto che il mio tutor si fosse dimenticato di che giorno fosse per me, mi feriva più di quanto volessi.
Mi addormentai più profondamente del previsto e mi svegliai, quando ormai erano le quattro del pomeriggio inoltrate.
Mi misi una tuta comoda e decisi di passare il resto del pomeriggio nel mio posto preferito.
Fu un regalo dei miei genitori ed appena fu montata ci passai pomeriggi interi, crogiolandomi nell'ombra dell'enorme quercia che riempiva quasi un lato della casa. Era blu, come uno dei miei colori preferiti, e il vento che sentivo tra i capelli mi dava la stessa rilassante sensazione di quando mia madre mi coccolava alla sera prima di dormire.
Nonostante tutto, dondolarmi sull’altalena aveva ed ha il favoloso potere di calmarmi.
La trovai per caso, in uno dei miei soliti giri di esplorazione per il vaticano: era rossa per la ruggine, ma, dopo aver chiesto ad Arthur se poteva sistemarla, dondolava alla perfezione.
Il tempo passò come sempre in un lampo: in un battibaleno le sei arrivarono con l’oscurità tipica di quell’ora e del periodo invernale.
Dondolare non faceva che aumentare il freddo e così rientrai: passai per il giardino sul retro, entrando dalla porta di servizio della mensa ma… “Perchè è chiusa? No dai! Non voglio fare il giro! Uffaaaa!!!” mi lamentai tra me e me e, con i miei soliti borbottii, dovetti fare il giro ed entrare dalla porta principale.

Andai in camera mia e trascorsi un bel po' di tempo nella vasca calda, giocando con le bolle provocate dal sapone e dai miei animaletti di gomma.
Misi una tuta pesante e calda, legai i capelli in un paio di codini, e mi diressi verso la mensa per fare un’abbondante cena.
“Che fame! Voglio la pappa subito” camminai velocemente spinta dalle lamentele rumorose del mio stomaco, troppo vuoto per i miei gusti.
«Ma che diamine…?» La mensa era tutta buia e né lì né nel corridoio c’era anima viva.
Stavo per mettermi a piangere quando un paio di braccia, ormai familiari, mi strinsero da dietro:
«Shina, quante volte devo dirti di non usare quel linguaggio? »
«Arth…? »
«Sorpresa!!»
Non appena cercai di girarmi per poter essere di fronte al mio tutor, lui mi rigirò mettendomi di nuovo nella posizione di prima. In pochi attimi le luci si accesero, facendomi chiudere gli occhi per l’improvviso fastidio, e un coro di voci mi mandò nella confusione più totale.
Appena i miei occhi si abituarono, vidi tutti, dal personale agli esorcisti… tutti quelli che conoscevo di fronte ad un enorme tavolo su cui vi erano varie leccornie, dalla pizza alle fritelle, tra cui un enorme torta marrone.
Al sentirgli dire «Buon compleanno Shina!!» un fiume, sempre più abbondante, di lacrime iniziò a scendermi dagli occhi e mi costrinse a girarmi nascondendo il viso nel petto del mio tutor.
«Shina! Dai forza ci stanno aspettando tutti, prendi il fazzoletto nella mia tasca e andiamo a mangiare la torta al cioccolato che hanno preparato! Su deve essere buonissima è tutto il giorno che cucinano! Shina, ti prego, sto morendo di fame.»
«P-pen-pensavo che ti fos-fossi dimenticato del mio compleanno»
«Non mi dimentico mai nulla, figurarsi il tuo compleanno. Ho fatto solo finta di dimenticarmene sciocca»
«Era per questo che oggi non c’eravate e mi avete lasciata sola?»
«No, no, oggi avevamo una missione urgente: questa mattina un tempio di monaci è stato attaccato da Satana e siamo andati a dare una mano a sistemare questo pomeriggio, anche se il nostro intervento è stato del tutto inutile. Perché ti sono mancato?»
«Oh capisco. No per nulla, mi passi il fazzoletto?»
Ero sempre stata una bambina orgogliosa e, nemmeno in quell’occasione, mi comportai altrimenti.

La festa procedette tranquilla: mangiammo, aprì svariati regali, giocammo e cercammo, inutilmente, di far partecipare il mio padre adottivo al karaoke portato da Shura.
La tristezza della giornata sparì e mi divertì tanto, come non succedeva da quando morirono i miei genitori.
Ad un certo punto della serata però, un breve capogiro mi costrinse ad andare nel bagno a sciacquarmi la faccia.
Alzando il viso sullo specchio notai che i miei occhi erano diventati argento chiaro.
“Cosa? che diamine stava succedendo?”
Rimasi seduta in bagno per qualche minuto ma i miei occhi non si decisero a tornare come erano prima.
«Shina, tutto bene?»
«Si Arthur, arrivo subito»
«Shina mi faresti un favore? andresti nella sala vicino alle scale a prendere un microfono in più per il karaoke? c’è Mike che sta cercando di convincere la capocuoca a cantare, santo cielo.»
«Certo, vado subito»
Appena sentì che il mio tutor si era allontanato con un «Grazie» uscì dal bagno per andare a prendere il microfono quando ricevetti, se così si può dire, un’altra sorpresa nel corridoio: un bambino, poco più grande di me, con capelli castano scuro e due occhi azzurri circondati da un paio di occhiali mi rivolse uno sguardo incuriosito.
Io, ero decisamente più confusa che incuriosita: da quando c’era un altro bambino qui?
Un signore che lo stava accompagnando, dai capelli grigi, occhiali e tunica da monaco con tanto di collana a forma di croce, mi rivolse un sorriso e se ne andò, col bambino, fuori dalla porta principale.
Dallo specchio nel corridoio, notai che i miei occhi erano ormai bianchi ma che, pian piano, stavano tornando al loro colore originale. “Che diamine stava succedendo?”
Con la testa che mi girava e qualche lacrima di paura, mi sedetti finché non tornai calma come prima. Entrai nella sala di fronte alle scale, recuperai un paio di microfoni, e tornai in mensa a divertirmi dimenticandomi, per il momento, di quel bambino e dello strano comportamento dei miei occhi.

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Capitolo 4
*** Capitolo III: L'ospite ***





 

Non possiamo dire in quale preciso momento nasca l’amicizia.
Come nel riempire una caraffa a goccia a goccia,
c’è finalmente una stilla che la fa traboccare,
così in una sequela di atti gentili c’è n’è, infine,
uno che fa traboccare il cuore.


 



 

Nonostante volessi dormire fino a tardi, il dovere chiamava.
Al suono irritante della sveglia mi alzai, poco dopo il sorgere del sole, presi l’enorme asciugamano arancione steso fuori e, con ancora un occhio chiuso, andai in bagno e aprì l’acqua calda.
Mi divertì un po' a scegliere il sapone che avrei usato, in base unicamente al colore, e non appena la vasca fu quasi piena, presi il mio giocattolo di plastica e mi infilai completamente in quelle bolle color lavanda.
Mi sciolsi in quello stato vaporoso di beatitudine pura, allungai la mano gocciolante verso il mio delfino e iniziai a giocherellare con le bolle e con i miei capelli che si muovevano come serpenti neri.
Guardando l’ora con sbuffi e malavoglia mi sciacquai per bene ed uscì dal mio paradiso personale avvolta completamente nel mio asciugamano: sembravo più un verme arancione di cui si intravedevano solo i piedi e la parte alta della testa.
Una volta infilati un paio di comodi pantaloni, una maglietta ed una giacca, legai i capelli più alti in due codini, presi i miei libri e andai a fare colazione.
C’era più fermento del solito ma non ci feci molto caso. Quella mattina Arthur non c’era e così feci colazione con Shura che, più frequentavo, più ero d’accordo con il mio tutore su quanto fosse insopportabile, senza contare che praticamente era in giro mezza nuda cosa che mi dava un po’ fastidio. “Una maglietta potrebbe anche mettersela! Gliela compro per natale e son certa che anche Arthur sarà d’accordo!” pensai sorridendo tra me e me.
Dopo qualche chiacchera ed un paio di brioche mi diressi nella mia classe dove ci sarebbe stata una delle solite noiose lezioni teoriche sui diversi simboli dei Tamer.

«Ciao Mary, scusa il ritard… » Avevo appena varcato la soglia quando notai che la mia insegnate non c’era ma, al suo posto, trovai un bambino dai capelli scuri.
Rimasi ferma e imbarazzata in piedi vicino alla porta, sotto uno sguardo altrettanto timido di un paio di occhi già incrociati la sera precedente.
«Non si preoccupi, signor. Fujimoto, ci prenderemo cura del signorino Yukio, senza contare che può venire a trovarlo quando vuole e qui c’è un’altra bambina con cui potrà fare amicizia. Venga le mostro l’aula.»
Sentì distrattamente la voce della mia insegnante e quella di un altro uomo che si stavano avvicinando e che, presto, trovai alle mie spalle.
«Oh, Shina. A parlar del diavolo spuntano proprio le corna eh! Ahaha! Signorina non pensare che non abbia notato il tuo ritardo e le briciole di brioche, che non ho ancora mangiato, intorno alla tua boccuccia! Anche se oggi sei perdonata, siediti subito lì davanti che fra qualche secondo iniziamo. Come vede signor. Fujimoto qui…»
Ignorai il resto del discorso, presi in mano il mio libro e, facendo finta di ripassare, lanciai occhiate al ragazzino dietro di me.
Dopo qualche minuto la lezione iniziò ma, anche se cercavo di seguire, la mia attenzione era concentrata alle mie spalle e così non potei evitare qualche richiamo.
Al termine successe quel momento che avevo sperato per tutto il tempo che non si avverasse.
«Bene, ragazzi prima di lasciarvi andare a pranzare mi sembra educato che vi presentiate entrambi, su Shina sì gentile verso il nostro ospite e inizia tu: alzati e vieni qui davanti» anche se mi sentì subito in colpa verso il mio padre adottivo non potei evitare di pensare con tutte le mie forze ad un bel “Diamine!”
«Ciao, il mio nome è Shina, ho cinque anni, sono la figlia adottiva dell’esorcista Arthur Auguste Angel, vivo qui e sto cercando di diventare uno Knight, piacere di conoscerti» conclusi il mio impacciato discorso con un inchino altrettanto disastroso, non ero decisamente abituata alle buone maniere.
Ringraziai mentalmente la buona sorte quando, appena ebbi finito di parlare, il moro si alzò evitandomi così la possibilità di dover proseguire ancora.
«Ciao, è un piacere conoscerti. Il mio nome è Yukio Okumura, ho sette anni e sono stato mandato qui per imparare l’arte dell’esorcismo.»
“Bè a sentire lui il mio discorso non era poi così pessimo. Mi merito decisamente un bel pranzo ora! Mamma mia che fame!”
«Bene, bene. Siete liberi, Shina accompagna Yukio nella mensa. Signorino Yukio incontrerà lì il gestore delle camere e, dopo pranzo, ti accompagnerà alla tua camera. É stato un piacere ci vediamo!»
Senza una parola accompagnai Yukio per la sfilza di corridoi cercando di raggiungere il più in fretta possibile la mensa.
«Come mai ci siamo fermati? Qui non vedo la mensa…» Sentì a malapena le parole del ragazzo, la mia concentrazione era fissa sul riflesso dei miei occhi che erano scesi, di nuovo, di qualche tonalità.
«C-come? Ah sì, scusami è che mi sembrava di aver visto un Coal Tar. Era solo un’ombra, in fondo qui abbiamo le migliori barriere protettive quindi… Dai andiamo siamo quasi vicini alla mensa.»
Camminai in fretta e con un «Eccoci» feci capire a Yukio che eravamo arrivati a destinazione.
Appena fummo notati, il signore delle camere, così lo chiamavo io, venne a parlare con il ragazzino e ne approfittai per sedermi di fronte ad Arthur e a gustarmi il piatto che mi aveva, premurosamente, preparato.

I giorni passarono tutti un po’ uguali: al mattino facevo lezione con Yukio e al pomeriggio facevo le mie lezioni individuali con la spada.
Avevamo diverse occasioni per parlare ma entrambi, forse per via della comune timidezza, cercavamo di evitarci finché, un incontro notturno in cucina cambiò tutto.

«Cavolo non ci arrivo! Devo trovare una sedia!»
«Che stai facendo?» Erano le tre di notte e, a causa dei miei soliti incubi che avevo ogni tanto, non ero più riuscita a prendere sonno e, così, la soluzione migliore che avevo trovato da circa un mese era quella di infilarmi in cucina e mangiare un po' di schifezze. Quella sera avevo una voglia matta del gelato al cioccolato cosparso di cacao, peccato che quest’ultimo ingrediente riuscivo a malapena a sfiorarlo con le dita.
Al suono di una voce improvvisa, la timidezza provata precedentemente venne rimpiazzata prima dallo spavento e poi dalla rabbia.
«M-ma c-che… Ma sei scemo? ti rendi conto che mi hai spaventato da morire? Diamine! Che ci fai tu piuttosto» avendo, forse, usato un tono un po' troppo duro a causa del momento, il moro rispose con voce bassa, udibile a malapena.
«Sc-scusami, non era mia intenzione. Volevo preparami una tazza di latte, non riesco a dormire. Ora me ne vado, scusami ancora.»
“Diamine, di nuovo!”
«Hey! Yukio? Aspetta…» Mi allontanai dalla dispensa e raggiunsi il ragazzino sulla soglia della porta e cercai di rimediare al mio comportamento con un tono più dolce e pacato.
«Scusami tu, non dovevo inveirti contro. Anche io non riesco a dormire, e mi sto preparando un bel gelato al cioccolato con cacao. Che ne dici di accendere la tv, metterci un bel cartone animato, preparare del latte caldo e un po' di gelato?»
«S-sì, c-certo!» Col sorriso che gli era spuntato sulle gote rosse come un gamberetto, Yukio iniziò a cercare il latte nel frigo.
«Ehm, il latte è qui nella dispensa» sorrisi a causa del suo ironico disorientamento, in fondo era divertente vedere qualcuno rosso come il peperone alla sua sinistra che cerca un qualcosa senza sapere dove trovarlo «É qui alla mia sinistra… Ah, ehm, Yukio? potresti prendermi il cacao su quello scaffale? Dato che sei più alto di me dovresti arrivarci»
«C-certo, lo prendo subito»

Passammo una nottata divertente: mettemmo un bel cartone animato alla tv, grazie a cui abbiamo fatto battute e risate, abbiamo bevuto il latte con i cereali e del gelato con il sudato, da parte mia almeno, cacao.
Chiacchierammo per molto tempo, anche dopo che il cartone fu finito e anche se facevamo tardi, non c’è ne importava.
Per la prima volta dalla morte dei miei genitori, stavo legando con qualcuno della mia stessa età. Per un momento feci una connessione fra Arthur con i miei genitori e Yukio con la bimba da cui avevo dormito e così, per qualche istante, mi venne voglia di andarmene. Non volevo rischiare di deludere Arthur com’era successo con i miei genitori: non riuscivo a perdonarmi il fatto di essere stata via mentre morivano, di non aver vissuto i loro ultimi istanti, anche se sarebbero stati anche i miei. Più volte avevo desiderato di tornare indietro e, anche a costo di andarmene per sempre, passare con loro ciò che rimaneva della mia vita. In fondo, erano le uniche persone a cui tenevo e su cui sapevo di poter contare dato che non avevo altri parenti, tralasciando una vecchia nonna mai vista.
In ogni caso, per un breve istante mi persi nei miei pensieri in preda all’angoscia ma, promisi a me stessa, che un episodio come quello di quasi un anno fa non si sarebbe mai ripetuto, né con Arthur né con nessun altro: non avrei mai più abbandonato le persone a cui tenevo.
«Shina? tutto ok?»
«Si, scusa mi sono persa un po’»
«Sai mi ricordi mio fratello, e devo dire che la cosa mi fa piacere, mi manca un po’»
Molte persone mi dicevano che per la mia età era molto più acuta e sveglia di molte altre bambine, forse per il mio passato o forse per chissà quale altre motivo, ma sta di fatto che anche Yukio era più maturo degli altri ragazzini della sua età. “Che anche lui nasconda qualcosa? un triste passato come il mio magari?”
«Parlami un po' della tua famiglia, sono curiosa»
«Oh, bè non c’è molto da dire sai? siamo una famiglia un po' strana»
Yukio per le seguenti due ore e mezza mi raccontò di Fujimoto, l’uomo che avevo visto un paio di volte, di come lo avesse accolto e cresciuto come figlio suo, di suo fratello Rin e di una ragazzina che era nel mio stesso orfanotrofio ma che non mi sembrava di averla mai vista, Nagi, e percepì la sua tristezza  quando mi raccontò di non aver conosciuto i genitori.
Poi venne il mio turno: non raccontai tutti i dettagli perchè, anche se mi stava sempre più simpatico e mi stavo un po' affezionando, non me la sentivo di parlare con lui di certe cose… in fondo non ne avevo mai parlato nemmeno con Arthur. Non ero pronta: ogni volta che ci pensavo o ne parlavo tra me e me la ferita che pensavo stesse guarendo col tempo, si riapriva ancora più profonda di prima.
Parlai, fra qualche lacrima, della morte dei miei genitori, del mio periodo di isolamento personale all’orfanotrofio e del mio spaesante arrivo qui. Appena mi fui calmata e dopo che Yukio, senza alcuna domanda o curiosità, mi asciugò le lacrime con un tovagliolo che aveva sottomano, iniziai a lasciarmi andare e parlai di ciò che davvero mi faceva stare male: non la morte dei miei genitori, non il fatto che ero orfana… ma i ricordi.
Se un bimbo nasce orfano ha con sè sempre un vuoto dentro, e prova del dolore certo ma, sono sempre più convinta, che sia più facile nascere orfani che diventarlo. I ricordi, i ricordi felici, sono un peso che ti porti dietro per tutta la vita. Quei ricordi non sbiadiscono, perchè ci sei così attaccato, da quando i tuoi genitori muoiono, che non li dimenticherai mai, semplicemente perchè ogni notte, ogni sensazione, il più stupido oggetto che può andare da un coniglio di peluche o da un’altalena, può risvegliare in te quei ricordi accompagnati inevitabilmente da un dolore che pensavi, o meglio speravi, di non poter provare più.
Parlai di quando ero piccola, di mia madre che mi comprava le mie caramelle preferite al limone dalla vecchietta che teneva un bancone al mercato, di mio padre che, sfinito dalle mie insistenze, mi ricomprò il coniglio di peluche, ricordo di una vacanza, facendo quindi un viaggio di molti chilometri, che o avevo perso o rotto. Ricordai, anche a me stessa, i ricordi più dolci: le coccole prima di dormire, le fiabe raccontate sotto una finto accampamento di cuscini e lenzuola e le passeggiate in mezzo al bosco accompagnate dagli starnuti di mio padre allergico al polline trasportato dal vento.
Dopo il passato parlai anche dei bei momenti del presente, Arthur ne era il protagonista assoluto.
«Sai la fama di Arthur lo procede, ma non avrei mai detto che fosse il tipo da comprare giocattoli e peluche ad una bimba appena conosciuta»
«Anche se non lo dimostra Arthur è una persona molto affettuosa, devi solo scavare a fondo. Comunque che rimanga tra me e te, ma non chiamarlo Arthur o con nomignoli. É una cosa che non sopporta, anche se non si arrabbierà mai con te quanto si arrabbia con Shura»
Scoppiai in una breve risata e Yukio, anche non conoscendone bene il motivo, rise anche lui lasciandosi trasportare.
«Quindi si fa chiamare Arthur solo da te?»
«Oh, c-credo di s-si» Per la prima volta mi resi conto di quanto, il mio padre adottivo, mi volesse bene senza pretendere nulla in cambio, a cominciare da quando oliò l’altalena arrugginita fuori dal vaticano solo per farmi contenta.
«Shina, domani non abbiamo lezione giusto?»
«Oh, no grazie al cielo no! perchè?»
«Ti andrebbe di venire in camera mia? Voglio farti vedere le foto della mia famiglia e voglio vedere se ho ancora da qualche parte una cosa che vorrei darti»
«Oh, d’accordo»
Scoprì che la sua stanza era incredibilmente vicina a quella di una persona che si sarebbe decisamente arrabbiata vedendomi in giro a quell’ora.
«Yukio, facciamo piano, qui dorme Arthur» sussurrai al moro dopo averlo chiamato con un piccolo colpetto alla spalla.
La sua camera era molto simile alla mia, anche qui il colore prevalente era uno: non il blu ma il verde.
Ci sedemmo sul letto e mi mostrò le sue foto raccontandomi per ognuna l’episodio che riguardava.
A circa metà, Yukio si alzò e andò a prendere una cosa nell’armadio di fronte al letto.
«Tieni, questo è per te. Non preoccuparti è una cosa che ho trovato venendo qui, era per terra, ma lo raccolto perchè mi piaceva ma non ho legami affettivi, sarei molto contento se lo accettassi.»
«N-no, i-io n-non posso»
«Davvero, mi farebbe piacere. Non preoccuparti Shina accettalo»
Era un delizioso portachiavi: doveva essere caduto a qualcuno perchè era un po' rovinato dato che probabilmente è stato calpestato qualche volta, era leggermente impolverato ma, il coniglio di legno bianco era fra i più belli che avessi mai visto.
«Mi hai detto che i tuo genitori ti avevano dato un peluche di un coniglio bianco, e so che quello in camera tua regalatoti da Arthur è marrone. Così ora ne hai anche uno bianco no?»
Non dissi nulla, non potevo. So solo che le lacrime scesero furiose e che mi aggrappai a quel ragazzino come se mi avesse regalato la cosa più preziosa del mondo.
Forse per distrarmi, Yukio riprese il suo racconto con le fotografie rimaste ma la stanchezza sopraffece entrambi e, quasi senza accorgecene, ci addormentammo in quel letto verde. Mi dimenticai del fatto che, ancora una volta, mi stavo addormentando in un letto che non era il mio e che se fosse successo qualcosa, non me lo sarei perdonato. Mi dimenticai del gelato, ormai liquido, dimenticato sul lavello della cucina, chiaro segno, nonché prova, del mio passaggio. Infine, mi dimenticai della preoccupazione riguardante i miei occhi che, per tutta la notte fin da quando li intravidi dal cucchiaino del latte, erano di una graduazione più chiara del normale. 

 

 

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Capitolo 5
*** Capitolo IV: Uscita solitaria ***




Tutti noi veniamo al mondo innocenti,
con gli occhi spalancati,
è compito dei nostri genitori guidarci e proteggerci, 
e perchè no... anche dei nonni, a modo loro.


 


Shina si era allenata duramente per molti mesi, senza uscire da quelle quattro mura che erano il Vaticano. 
Studiava al mattino e si allenava fino allo sfinimento nel pomeriggio per concludere poi la giornata con un bel gelato e quattro chiacchere con Yukio, per poi ricominciare tutto da capo il giorno successivo.
Decise così di dedicarsi una giornata, in cui Arthur era impegnato in una missione, all'insegna dello svago.
Senza dire nulla a nessuno, dopo pranzo, si mise un bel cappotto pesante e si fece una bella passeggiata fino in centro città.


"É una bella occasione per comprare qualcosa ad Arthur e agli altri per Natale!"

Shina passò così qualche ora, girovagando fra i negozi e i mercatini natalizi tipici, curiosando fra le bancarelle e facendo quei pochi acquisti che i suoi miseri risparmi le permettevano. 
Fu dopo circa un'ora che si rese conto di essersi spinta, forse, un po' troppo lontano.
La ragazzina dai capelli corvini decise così di mettere una mano sul coltello che teneva nascosto nella cintura e si avvicinò ad uno sconosciuto per chiedere informazioni su come tornare verso il centro.
Individuò un uomo alto, coi capelli biondi e apparenti occhi dolci e disponibili. 


«Salve, mi scusi? dico a lei, posso disturbarla?»
«Oh, ciao piccola, dimmi, cosa posso fare per te?»
«Mi potrebbe indicare la strada più veloce per tornare in centro città? o se la strada fosse più breve, una via per arrivare al Vaticano»
«Abiti al Vaticano piccola?»
«Si... abito lì»

"Cosa gli può interessare se abitassi in una qualunque casa piuttosto che al Vaticano?"

«Orfana dunque... Non hai una mamma o un papà con te vero? Dai vieni, fra poco devo andare in centro anche io, se ti va puoi venire direttamente con me, così eviti di perderti ulteriolmente»
«Uhm, d'accordo»

Shina era decisamente poco convinta nel seguire uno completo sconosciuto per strade che non aveva mai percorso: infatti quello era il primo giorno in cui era uscita dal Vaticano e aveva visitato la città. 

"Forse era meglio venire con Arthur la prima volta..."

Shina seguì silenziosamente l'uomo per una decina di minuti, finchè si rese conto che, seppur non avesse mai visitato la città, le strade che stavano percorrendo per tornare indietro erano del tutto diverse e andavano nella direzione opposta da quella in cui la ragazza era venuta in precedenza.

«Hai intenzione di prenderti quella bambina vero? bè sappi che l'onore di averla non ti sarà concesso»

Una ragazza dai lunghi capelli mossi e mori si rivolse al giovane con tono austero e, allo stesso tempo, nobile.

«Chi diamine sei tu?»
«Non sono affari tuoi. Ora vattene senza tante storie»
«Ma non esist-»

L'uomo dai folti capelli biondi non fece nemmeno in tempo a terminare la fase che si ritrovò la testa che dondolava per terra, staccata dal resto del corpo.
Fu la prima volta che Shina vide una persona morire di fronte a lei: un urlo proruppe dalla sua gola e i suoi occhi bagnati dalle lacrime si posarono su quella ragazza, notando solo ora che gli occhi di quest'ultima erano di un argento chiarissimo quasi bianco.
Quello che Shina non poteva notare era che i suoi occhi erano identici alla ragazza che stava in piedi di fronte a lei con, fra le mani, il suo coltellino ricoperto di sangue.

«Ecco questo è tuo. L'ho preso in prestito per un attimo, ma sono certa che non ti dispiaccia, ora forza vieni con me. Ti riporto da Arthur al Vaticano»

Shina non mosse un muscolo, rimase lì seduta per terra a gambe incrociate, tremando come una foglia e fissando quella giovane donna
«C-chi sei?»

«Reiko. Che c'è? stupita che te l'abbia detto? Tanto ci rivedremo ancora quindi perchè non dirtelo. Sappi però che se rivelerai il mio nome al tuo caro Arthur o a qualcun altro, queste persone faranno la stessa fine del ragazzo laggiù e, prima che ci provi, so quanto sia forte il tuo tutore e tutto il resto, ma sappi anche che sono molto più forte di uno stupido esorcista.»

Dopo svariati minuti e, a seguito del cenno di assenso di Shina, Reiko la prese per mano, l' aiutò a mettersi in piedi e con un «Per di qua» la condusse per svariate vie finchè Shina non riconobbe la strada per tornare al Vaticano.

«Da qui sai benissimo dove andare, ti ricordo il nostro patto. Torna a casa ora Shina»

Reiko scomparve così come era venuta: una folata di vento tale da far chiudere gli occhi della ragazzetta per qualche secondo e la mora che l'aveva accompagnata era come volatilizzata nel nulla.
Inutile dire che Shina non percorse altra strada se non la via principale che l'avrebbe ricondotta a casa sua, strattonando i suoi acquisti qua e là a causa del dondolio provocato dai suoi passi rapidi.
Una volta arrivata al Vaticano, la ragazza si diresse in camera sua, lasciò per terra le borse e dopo un bagno caldo, fu in grado di pensare lucidamente di nuovo.

"Chi era quella ragazza? Come faceva a sapere di Arthur? E il mio nome, sono certa di non averglielo detto eppure lo sapeva.. chi diamine è questa Reiko?"
Shina ci pensò per svariati giorni a seguire finchè il ricordo della ragazza mora non divenne che un lontano ricordo.


Gli anni passarono fra allenamenti e studi, Yukio all'età di quindici anni, tornò a casa sua dal fratello e dal padre adottivo e Shina, rimasta sola, continuò la sua carriera come Knight. All'età di quattordici anni divenne il più giovane membro della Upper 2nd Class e si stava allenando duramente nell'attesa di avere l'età minima necessaria per affrontare l'esame ed entrare a far parte della Upper 1st class.
Shina scoprì che nel frattempo Yukio si era recato alla True Cross Academy nelle vesti di insegnante e il fratello, Rin, aveva seguito la sua stessa strada ma come alunno.

Le strade dei due giovani amici si erano così separate finchè, un incarico affidatole da Arthur, non la costrinse a frequentare sempre più spesso quella strana accademia. 

«Shina, devi andare ad occuparti di quell'idiota di Shura. Si crede un'insegnate di successo in quella stupida accademia! Devi tenerla d'occhio.»
«Arthur ti prego, stai scherzando vero?»
«Sai che non scherzo mai»
«No dai ti prego! Mille allenamenti piuttosto! Ma stare dietro a Shura, no non esiste!»
«Niente discussioni Shina! La decisione è presa vedi di fartelo entrare in testa! Domani avrai la tua chiave passepartout che ti permetterà di andare dove vuoi, e partirai immediatamente per la True Cross»
«Ma-»
«Niente ma Shina! É la tua missione: caso chiuso! Domani partirai per l'accademia, niente storie. Ora vai a prepare i bagagli: quell'idiota del preside ti ha preparato una stanza e per sicurezza dovresti lasciare là quanto è necessario. Non puoi certo portarti dietro la chiave passepartout ovunque, per questo avrai una tua stanza!»
«Agli ordini...»

Shina si diresse così di controvoglia verso la sua stanza, inconsapevole che dal giorno dopo la sua vita sarebbe cambiata: avrebbe stretto nuove amicizie, come Nagi, ne avrebbe interrotte altre a causa di litigi e malintesi, come il suo legame con Yukio, e avrebbe scoperto la verità sul suo passato e sulla natura del suo sangue che, a sua insaputa, stava diventando sempre meno umano.
 

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Capitolo 6
*** Capitolo V: Cambiamenti ***


 

Come l’erba nel prato cresce,
così come i giorni dell’uomo passano,
così come i fiori, anche l’uomo fiorisce,
finché il vento non distrugge ogni cosa.

 



Shina quella mattina preparò decisamente controvoglia la sua valigia: aveva sempre avuto gran voglia di partecipare alle missioni ma questa era decisamente l’eccezione.
Lavorare a contatto con Shura era estenuante, tuttavia il Vaticano in particolare Arthur, divenuto recentemente un paladino e quindi colui che partecipava all’organizzazione principale delle missioni, stava indagando sulle attività del preside della True Cross: Mephisto Pheles.
Nonostante fosse una ragazza bizzarra e capricciosa, Shura sapeva fare il suo lavoro ma, con il nuovo incarico affidatole dal suddetto preside, non riusciva a svolgere le sue indagini a dovere: quest’ultimo, infatti, l’aveva messa a capo di una classe di giovani matricole.

Shina, con un lieve sbuffo, infilò il suo passe-partout nuovo di zecca in una qualsiasi porta e in un lampo si ritrovò all’accademia di esorcismo.
Si diresse pazientemente verso la classe di Shura, seguendo il ricordo della mappa che le aveva mostrato il suo caro tutore. Peccato però che la ragazza dai capelli corvini ci aveva dato a malapena un’occhiata e, spinta dall’orgoglio e dalla voglia di dimostrare di essere la migliore in ogni campo, non aveva accettato di portarsene dietro una copia.
Questo era il motivo principale per cui Shina si era letteralmente persa in quella sfilza di corridoi tutti identici.
“Ma un cartello potrebbe anche mettercelo quel dannato preside!”
La giovane superò l’ennesimo angolo e camminò per vari corridoi quando fu costretta ad evitare un flash luminoso che per poco non le staccava un orecchio.

Shina rotolò di lato e grazie ai numerosi anni di insegnamento che l’avevano plasmata fin da piccola estrasse la spada e si girò pronta ad affrontare qualunque minaccia le si parò davanti.
Le sue iridi divenute di un argento chiaro incontrarono un paio di occhi dorati.
«Stai bene?! Dio, mi dispiace tanto, non credevo ci fosse qualcuno in giro ora...»

Una giovane ragazza di circa la sua età la fissava con dispiacere in cima ad un demone a forma di lupo.

“Tamer… i soliti idioti! Calma… Shina… resta… calma!”
Quello non era il Vaticano e quella di fronte a lei non era decisamente una professionista, quindi Shina doveva darsi una calmata.

«Tranquilla… Ma si può sapere che diamine stai facendo?!» sbottò l'esorcista, facendole abbassare il capo. I suoi esercizi per rilassarsi non erano decisamente molto efficaci.
«Sei fortunata che l’abbia schivato! Se fosse stato uno stupido alunno inesperto sicuramente non l’avrebbe evitato.»
Shina osservò la ragazza di fronte a lei e si perse nei suoi pensieri per qualche minuto: le ricordava qualcuno e il suo volto le era familiare ma non riusciva a fare i giusti collegamenti.

«E’ solo che sono un po’ in ritardo e dato che di solito non c’è nessuno per questi corridoi...»

«Ah, sei una di quei bambocci incapaci del primo anno?» domandò allora Shina, con un tono severo ma allo stesso tempo speranzoso: odiava girovagare a vuoto senza sapere dove andare. Alla risposta affermativa della mora, Shina con un sorrisetto da furba decise di ottenere ciò di cui al momento aveva bisogno
«Dimenticherò questo incidente se mi dai un passaggio fino all’aula, dato che non ho più voglia di camminare.»

«O-okay... Posso capirti, sai. Questi corridoi sono infiniti!» La moretta rispose allegra, facendole posto sul suo famiglio.
La ragazza discusse brevemente con quest'ultimo e Shina, come il suo padre adottivo, disapprovava questo comportamento: i famigli erano demoni utilizzati come arma, nient’altro.
Famigliarizzare con loro era, dunque, sbagliato agli occhi degli esorcisti professionisti e dell’ordine ma, nonostante ciò, Shina si era sempre sentita a proprio agio in presenza dei demoni. Per questo motivo combatteva senza paura o timore, ma lottava anzi con grinta e ardore nonostante affrontasse nemici con doti e capacità non umane.
«Qual è il tuo nome?»

«Ah, giusto. Io sono Nagi e lui è Narukami – o Naru.»

«Kogarashi Shina, dalla sede centrale del Vaticano. Ehi, a che velocità può andare il tuo demone?» Shina apprezzava le abilità e le doti dei demoni, in particolare la loro velocità. In fondo stava partecipando ad una delle missioni più sgradite fra quelle affidatole in tutti quegli anni, perciò perchè non cercare di divertirsi un po'?
Il lupo della ragazza sogghignò, al contrario dello sguardo preoccupato di quest’ultima.
«Naru, non ti azzardare a-»

«Vi consiglio di reggervi forte


Dopo qualche minuto, il demone si fermò di fronte ad un’enorme porta, segno che purtroppo erano arrivate a destinazione. Shina scese con un balzo dalla schiena del ‘lupo’ dedicando a quest’ultimo un occhiolino di ringraziamento. La ragazza sistemò i suoi capelli ridotti ad un ammasso nero simile alla paglia e si rivolse a Nagi con un sorriso compiaciuto.
«Hah, il tuo famiglio se la cava bene!»
«Il mio famiglio dovrebbe smettere di correre in quel modo solo per una provocazione!»

«Ooh, vedo che andate già d’accordo voi due, ma se dovete parlare fatelo dopo le lezioni!» Una voce irritante interruppe il loro discorso: Shura.
La donna prese le ragazze per la guancia e Shina rispose con un sonoro schiaffo sulla sua mano.

«Vengo a salvarti il fondoschiena e questo è il ringraziamento? Sappi che Arthur non è contento del tuo comportamento e sappi, inoltre, che ti aiuterò con i tuoi compiti ma non voglio assolutamente avere a che fare con questa classe di rammolliti!»
Dopo qualche battibecco Shura presentò Shina alla classe mentre quest’ultima se ne stava seduta guardando fuori dalla finestra, indifferente ai saluti degli alunni, e incominciò la sua lezione.

 


Il mattino seguente Shina si alzò come al solito poco prima dell’alba, si vestì e prese le sue spade.
L’appartamento che le avevano affidato era isolato dal resto delle palazzine: nel suo edificio abitava fortunatamente solo lei. Esplorò il bosco a cui affacciava la sua nuova stanza e dopo qualche minuto trovò una radura che fece al caso suo.
Un leggero venticello le fece compagnia mentre scaricava tutta la tensione attraverso il sudore e il dolore ai muscoli.
Dopo circa un’ora i polmoni bruciavano furiosi e le gambe tremavano leggermente a causa di tutti i salti e le arrampicate sugli alberi ma, nonostante ciò, il nervosismo accumulato non era sbiadito granché. Non solo doveva svolgere parte degli incarichi di Shura, la quale non aveva materialmente il tempo di compiere a causa della classe di idioti che le era stata affidata, ma quest’ultima voleva che insegnasse a maneggiare la spada ai presunti idioti.
“Non esiste e non lo farò! Non importa quello che potrebbe dire mio padre!”
Era più giovane di quegli alunni, lei aveva appena compiuto quattordici anni mentre loro avevano almeno un anno in più, eppure nessuno di loro aveva avuto un quarto dell’addestramento che lei aveva ricevuto da quando aveva a malapena cinque anni.
Shura le aveva dato inoltre l’incarico di tenere d’occhio la ragazzetta mora.
“Come si chiamava? Ah sì, Naki o Nagi… una cosa simile”
Shina decise di tornare in camera per potersi cambiare dopo una rilassante doccia quando, all’ingresso, trovò un uomo. Shina lo aveva incontrato quando era piccola peccato però che non se ne ricordasse, senza contare che, a sua insaputa, quell’uomo aveva indagato su di lei in quegli anni.
«Aah, Shina-chan, vero? Sono anni che non ci si vede, come vanno le cose al Vaticano?»
«Preside Pheles, cosa ci fa qui? Non dovrebbe essere ancora a letto?» Shina si sforzò di essere cortese, sforzo che però fece ridacchiare il presunto padrone di tutta la baracca.
«Oh, non temere, mia cara. Il sottoscritto ha già riposato a dovere! E per rispondere alla tua prima domanda, ti stavo cercando. L’estate si sta avvicinando e con essa i festival tradizionali, in particolare...»  Dal nulla apparve un manifesto arrotolato nelle mani del demone, che presto si premurò di mostrarlo alla ragazza prima di continuare la sua spiegazione. «Il Sanja Matsuri è uno degli eventi più attesi! Ci saranno tre interi giorni di festa, come da tradizione, ed una parata in onore delle divinità della buona sorte.»

«In sostanza vorrebbe che controllassi che i pensieri e le preghiere delle persone in quei giorni non attirino qualche demone infame?» Shina ridacchiò, rispondendo con tono di sfida.
«Le sue barriere non servono proprio a niente allora.»

«La prudenza non è mai troppa. Meglio impiegare qualche persona in più invece che in meno, non vogliamo che qualche innocente si faccia male, no?»
Una forte folata di vento fece volar via il capello dell’uomo il quale rise compiaciuto.
“Perché diamine sta ridendo?”
Shina prese una semplice decisione: avrebbe fatto una doccia più corta del previsto ma sarebbe andata a parlare con Yukio per chiedere qualche informazione su quello strano preside.
Si mosse rapida, spinta dalla curiosità di capire cosa non andasse nel cervello dell’uomo appena incontrato.
Si ritrovò sotto il palazzo di Yukio e, arrampicandosi sui cornicioni e varie sporgenze, si ritrovò sotto la finestra del vecchio amico.
Era certa che non avrebbe fatto storie ritrovandosela lì di punto in bianco, in fondo si può dire che erano cresciuti insieme, avevano anche dormito insieme svariate volte, dunque era tranquilla sul fatto che Yukio non si sarebbe fatto molti problemi ad accoglierla nonostante lui fosse ancora in pigiama e lei in una tuta sporca e sudata.
I piani della ragazza si volatilizzarono quando si accorse che Yukio era sveglio e in compagnia: stava parlando col fratello Rin.
Shina ascoltò in silenzio la conversazione prima distrattamente, sentendo quanto bastava per capire quando fosse il momento giusto per entrare, poi sempre più attentamente quando il discorso prese una piega un po' insolita.
Quando finalmente Rin uscì dalla camera di Yukio, Shina scese silenziosamente dal balcone tornando coi piedi sul prato soffice.
Camminò lenta e distratta fino alla sua palazzina e, quando finalmente fu sotto il getto della doccia, rilasciò le lacrime trattenute.
Fino a quel momento aveva considerato Yukio un caro amico ma, dopo aver sentito la discussione dei due fratelli Okumura, si rese conto che sperava in qualcosa di più. Una cosa che ormai non sarebbe più successa.
Secondo quanto sentito poco prima, una certa Shiemi prova della simpatia per Yukio sentimento che a quanto pare, secondo Rin, è ricambiato dal vecchio amico di Shina.
La ragazza si rese conto che non poteva più essere amica di Yukio: l’amicizia non era quello che voleva da lui.
Sotto l’acqua scrosciante Shina arrivò ad una conclusione che si fissò indelebilmente nel suo cervello e nel suo cuore: a prescindere se quello che aveva sentito fosse vero o meno, per il momento non poteva avere sentimenti di quel tipo. Shina fissò per bene le sue priorità e uccidere i demoni per vendicare la morte della sua famiglia era quella più importante.
Peccato che la ragazza non sapeva che un membro della sua famiglia era vivo e vegeto.

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Capitolo 7
*** Capitolo VI: L'incontro ***



 

Ogni volta che muovevo la lama,
ogni volta che i muscoli protestavano ed
ogni volta che non avevo più fiato
mi ripetevo “ancora uno”,  perchè tutti quegli affondi, quei colpi,
prima o poi, avrebbero fatto la differenza fra me e i miei avversari.



 

Shina non era certamente contraria al divertimento ma passare un festival facendo da supervisore non rientrava nelle sue attività preferite.

Nonostante l’esorcista non amasse la missione che le era stata affidata, non poteva non ammirare la bellezza di quella città accademica tutta adornata per la festa: luci e lanterne erano ovunque, decorazioni colorate adornavano gli edifici e svariati negozi e bancarelle erano aperti attirando l’attenzione di numerosi clienti.

Shina camminava in giro osservando attentamente le persone, gli angoli bui e i tetti, in cerca di ospiti non graditi e ovviamente non umani quando, una vecchia conoscenza, le bloccò la strada.
«Hey Shina! Che ci fai tutta sola? Vieni forza!»
La mora le prese la mano e senza tante cerimonie la condusse con sè. Shina decise di lasciarla fare, semplicemente perchè sorvegliare Nagi rientrava nei suoi compiti.


Fu quando scoprì che quest'ultima non era sola che Shina cambiò decisamente idea.
Yukio, Rin e altri Exwire, di cui non sapeva il nome, attendevano la mora che la stava ormai letteralmente tirando per mano.
“Dannazione!”
Shina amava la solitudine e apprezzava la compagnia di una o due persone… un gruppo di scolari indisciplinati erano decisamente sull’ultimo gradino delle compagnie preferite della ragazza.

Dopo qualche minuto alcuni ragazzi tra cui Rin si separarono dal gruppo e, cosa che Shina decisamente non gradiva molto, Yukio le si avvicinò.
«Devo dire che non mi aspettavo di rivederti qui.»
«Già.»
«Come ha fatto Nagi a convincerti a venir qui? Mi sei sempre sembrata un tipo troppo attento al lavoro per concedersi un po’ di svago.»

Shina sogghignò. «Da che pulpito, mister Ho-lavorato-duro-per-otto-anni-solo-per-diventare-un-ottimo-esorcista-e-chissene-dello-svago. Sono qui solo perché l'idiota di un preside mi ha obbligato a fare la guardia nei dintorni, incappare in quell’incapace senza senso dell’orientamento è stato un caso.»
«Severa e fredda come al solito, noto.»
«Mph...»

Shina non era mai stata tanto fredda con Yukio, se non ai primi incontri, ma il discorso origliato l’altro giorno aveva cancellato la simpatia che provava per il giovane insegnante: ormai per lei non era altro che una semplice conoscenza.
Osservò il fratello di quest’ultimo vincere un peluche e regalarlo ad una ragazza bionda…
«Che atteggiamento stupido… Beh, almeno lui non ha segreti per te.»
«Cosa intendi dire?»
«Non fare il finto tonto, lo sai cosa intendo dire.» rispose la ragazza, scoccandogli un’occhiata scocciata. «Non hai notato nulla di strano riguardo tua ‘sorella’?»
«No, non mi pare. Sembra solamente più stanca del solito, ma sicuramente è per colpa degli esami delle due scuole.»

“É un pessimo bugiardo”
Shina si guardò intorno quando una forte folata di vento, un brivido intenso lungo la schiena e un forte capogiro, non la costrinsero ad appoggiarsi al primo muro che le capitò a tiro.
Quelle quattro parole le riecheggiarono nella testa come se le fossero state gridate vicino all’orecchio.
Manco a farlo apposta, la folla iniziò ad urlare non molto distante da lei.
Non pensò né a cosa volesse fare Yukio né ad altro: lei lavorava da sola.
Corse più veloce che mai, grazie all’adrenalina che iniziava a circolare nelle sue vene, verso l’origine di quel tumulto.

Un altro capogiro la fece per un attimo fermare e, grazie a ciò, notò che Yukio stava discutendo col fratello preoccupato per gli altri ragazzi.
«Fregatene, se poi crepano sono fatti loro!»
Shina si rivolse con sgarbo verso il suo vecchio amico e con due occhi, a sua insaputa, di un argento molto chiaro e vivo, come se avessero luce propria.
La verità era che Shina percepiva una strana sensazione, la stessa che provava nei confronti di  Yukio, di Rin, di Nagi e anche verso il preside. Tuttavia, quella volta, ciò che sentiva era molto forte, come se qualcosa dentro di sé la spingesse verso una direzione precisa.

Shina ricominciò a correre seguendo il proprio istinto, il quale la stava conducendo proprio nel punto in cui la gente scappava il più velocemente possibile.
Forti colpi di vento trasportavano qua e là stand, tendoni e vari oggetti, tuttavia la forza di queste folate non aveva mai avuto impatto sulla ragazza. Shina, infatti, non aveva mai avuto difficoltà a contrastare questo fenomeno naturale.

Yukio fu di nuovo accanto a lei, dopo aver impartito ordini a destra e a manca agli exwire.
«Tch, qualcosa mi dice che non avremo tempo di parare il culo anche a loro se succede qualcosa.» commentò Shina, parandosi il volto con una mano dalla seconda raffica di vento e polvere che giunse vicino a loro.
Sentendo quella sensazione sempre più forte, Shina riprese a correre in mezzo a quel vento furioso evitando oggetti volanti, senza accorgersi che Yukio era rimasto indietro incapace di contrastare quelle folate e ai danni che provocavano, come il crollo di un edificio che si interpose come barriera tra i due.

Shina non credeva ai suoi occhi, ormai divenuti di un bianco brillante e vivido.
“É lei! Quella ragazza: Reiko! É proprio lei! E quella è Nagi che… Nagi… c-che assomiglia a Reiko…”
Shina osservò la ragazza più grande che era decisamente molto simile, troppo, alla ragazza che frequentava l’accademia.

“La differenza lampante sono gli occhi… occhi m-molto simili a-ai m-miei q-qu-quando…”
L’esorcista deglutì più volte quando notò gli occhi bianchi, argentati e scintillanti della mora.
Dopo svariati momenti connotati dallo smarrimento, Shina si riprese e tornò al suo dovere di guardiano: non poteva permettere che Nagi morisse soffocata.
«Ferma dove sei!»
Reiko la fissò, stupita per qualche momento, e le raffiche di vento diminuirono di intensità.
Sembrò quasi tornare la calma quando un’energia demoniaca, simile ad un piccolo fulmine, non cercò di far cessare definitivamente quelle raffiche.
A quel punto la mora osservò Shina con sguardo un po' infastidito ma non privo di perfido sarcasmo.
«É passato un po’ dal nostro ultimo incontro, cara Shina. Ti trovo bene.»

Reiko si avvicinò con un passo da predatore nella direzione della giovane esorcista che prontamente estrasse la spada, si mise in posizione di attacco e, come accadeva quando era sotto pressione, una leggera folata di vento si agitò intorno a lei muovendole i suoi lunghi capelli corvini.

«Che caratterino! Sai, mi spiace non poter restare a parlare di più con te ma ho del lavoro urgente da sbrigare, quindi… Fatti un sonnellino ora»
Reiko le appoggiò la mano all’altezza sul cuore e, qualcosa dentro Shina, si agitò come sotto al comando della mora di fronte a lei: un qualcosa che l’esorcista non si era mai resa conto di avere si mosse, salendo in gola e togliendole il respiro. Shina combatté con tutte le sue forze, presa dal panico, finché non poté far altro che accasciarsi a terra a causa dell’assenza di aria nei polmoni.

 

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Capitolo 8
*** Capitolo VII: Fine dell'attesa ***



 

Sii il fuoco d’artificio che spiccherà in mezzo agli altri,
prima di dissolverti e ricorda:
i mostri non sono sotto al letto ma
dentro di noi.


 


«Hai visto Amaimon? te l’ho detto che ci saremmo divertiti. Il fulmine dentro una ragazzetta e il vento che ne insegue costantemente un’altra, senza contare gli altri due mezzi-demoni: il divertimento è alle porte, mio caro.» disse un uomo dal pizzetto viola con un bizzarro cilindro.


Shina si risvegliò più tardi, in camera sua e incrociò un paio di occhi gentili che in quei giorni gli erano mancati più del dovuto.
«A-Arth…»
«Sh, tranquilla, va tutto bene piccola»
«M-mi dispiace»
Shina dopo qualche minuto aveva intuito più o meno cosa fosse successo: aveva fallito contro quella strana ragazza.
«Non ti preoccupare. Ora devo andare, stai più attenta ok? per oggi sei libera: non ci sono lezioni e anche Shura è in riposo. Cerca di recuperare le forze.»

Shina rimase a letto ancora per qualche ora, spinta dalla stanchezza che le rendeva gli arti pesanti come macigni. Dopo una risanante doccia decise di fare una passeggiata in mezzo al bosco sotto il suo appartamento: quel giorno avrebbe saltato gli abituali allenamenti per dedicarsi unicamente a rilassarsi, peccato però che i suoi programmi sarebbe stati totalmente stravolti da un demone dai capelli argento che l’aveva tenuta d’occhio fin da quando era nata.

 

Erano quasi le due del pomeriggio quando la ragazza, dopo aver passeggiato per quasi un’ora, trovo una nuova radura più ampia e bella di quella esplorata nei giorni precedenti.
Gli alberi salivano possenti e rigogliosi verso il cielo, fiori di colore indaco e azzurro riempivano l’erba verde, creando così un meraviglioso mosaico. Shina era seduta in mezzo contro il tronco di un albero quando una folata di vento la investì.
Nulla di strano, se non per il fatto che l’unica cosa che si muovevano erano i suoi capelli e vestiti: le foglie, i fili d’erba e tutto il resto del paesaggio era fermo immobile.

«Ma che diamine?» La giovane esorcista non poté trattenere quell’esclamazione che il suo tutore non sopportava affatto.
«Ciao mia cara. É semplicemente un piacere poterti rivedere così presto.»
Shina si girò verso quella voce e, dopo un forte capogiro, incontro uno sguardo che conosceva bene: un paio di occhi di un argento molto chiaro e luminoso che in quel momento erano identici ai suoi.
«Reiko… Si può sapere che cosa vuoi da me?»
«Sono qui per raccontarti la tua storia, non sei curiosa di sapere il tuo passato mia cara Kogarashi?»
«Io so tutto del mio passato»
«Anche del sangue demoniaco che scorre nelle tue vene e che, ahimè, scorreva nelle vene di tua madre?»
«C-cosa?»
Shina, alla vista del nuovo arrivato, si era alzata in piedi pronta ad affrontare la mora che con tanta spavalderia aveva interrotto il suo momento di tranquillità ma, a sentire quelle parole, la giovane esorcista dovette appoggiarsi nuovamente contro il tronco dell’albero.
“Un altro capogiro! E di nuovo quella sensazione!”
«Oh, non mi sono nemmeno presentato correttamente. Ah, a volte, so essere un vero maleducato. Mia cara nipote, io sono Fuuten. Oh, non far caso all’aspetto che ho assunto. Questa donna, Reiko, o meglio quest’insulsa sacerdotessa, è solo il guscio che contiene la mia anima. Ma, come? Non vieni ad abbracciare il tuo caro nonno? Anche tu sei una vera maleducata vero?»
«N-nonno?… tu non sei mio nonno!»
«Oh, mia cara non farmi ridere. Evidentemente l’intelligenza l’hai ereditata da tua nonna ma, ti ho vista combattere e in quanto abilità e strategie hai decisamente preso da me. La furbizia è una delle migliori caratteristiche dei demoni.»
«Spiegami tutto» rispose in un sussurro l’esorcista dopo qualche minuto.
«Stai per morire quindi… perchè no? Saprai certamente che Fuuten è il demone del vento mia cara ragazza.
Uno dei miei principali scopi è quello di vivere sul vostro mondo senza difficoltà cosa, ahimè, un po’ difficile per demoni come me. Per realizzare questo obiettivo serve un involucro che abbia del sangue demoniaco nelle vene e, all’inizio, tua madre doveva servire a questo scopo.
Che donna inutile… anzi, in fondo, ha dato te alla luce quindi tanto stupida non è.
In ogni caso la farò breve: sedussi tua nonna nella speranza che il nascituro, nato dalla nostra unione, avesse le capacità di poter contenere nel futuro la mia anima e di permettermi di vivere ad Assiah. Seguì tua madre per molti anni ma non ricevetti alcun segno di poteri demoniaci. Poi nascesti tu e, alla morte dei tuoi genitori, mentre pateticamente piangevi di fronte ad una casa ridotta ad un cumulo di cenere, vidi in te ciò che da anni stavo aspettando.
Tu hai del potere demoniaco dentro di te: non a caso hai visto i demoni senza ricevere ferite demoniache, cosa che tua madre non riusciva a fare; non a caso in diverse occasioni riuscivi a controllare ed a movimentare i venti; e… non a caso… riesci a percepire i demoni. Quello strano presentimento che hai provato verso il preside, i fratelli Okumura e verso quell’insulsa Nagi Inabikari non è a vuoto: in loro presenza i tuoi occhi non cambiano colore per puro piacere, mia cara nipote.»

Reiko, o più precisamente Fuuten, si avvicinò a Shina con passo lento e allo stesso tempo intimidatorio, si abbasso sulle ginocchia portando il suo viso all’altezza di quello della nipote.
La sacerdotessa, controllata dal demone, afferrò con una mano il mento della più giovane, girandole il viso finché non furono faccia a faccia.
«E non a caso i tuoi occhi sono quasi bianchi in mia presenza. Ora bando alle ciance mia cara nipotina, è giunta l’ora di soddisfare le mie richieste. Per quanto mi riguarda sei nata per uno scopo ed ora lo porterai a termine»

 Shina era troppo presa dal panico e dallo shock per capire cosa stesse succedendo ma, in pochi minuti, si ritrovò paralizzata dalla testa ai piedi. Dopo che Reiko le ebbe toccato il petto, come la sera precedente, il corpo di Shina non rispondeva più ad alcun comando: non poteva muoversi, non riusciva nemmeno ad urlare ma tutto ciò che poteva fare era vedere e sentire.
Fuuten iniziò a sussurrare parole incomprensibili, in una lingua che Shina non riusciva ad intendere. Dopo qualche minuto sentì dentro di sé qualcosa che si muoveva: un onda di energia stava pian piano crescendo dentro di lei.
Il vento iniziava a muoversi impetuoso intorno ai due, polvere, erba e sassi erano trasportati ovunque rendendo quasi impossibile scorgere ciò che succedeva a qualche metro da loro.
Tutto ciò però non impedì ad una giovane ragazza di raggiungere il nonno e la nipote, in groppa ad un famiglio a forma di lupo.
Tutto ciò che avvenne dopo fu confuso agli occhi di Shina ma ciò che vide le bloccò quel poco fiato che le era rimasto in corpo.
Nagi stava lottando contro Reiko a colpi di fulmini quando, uno di questi ultimi, per poco non colpì l’esorcista immobilizzata.
Fu lo stesso Fuuten a pararsi di fronte a lei, salvandola da un colpo che sicuramente l’avrebbe fatta smettere di respirare in modo permanente. Da quel momento in poi i colpi emanati da Nagi si dirigevano unicamente nella sua direzione, costringendo Reiko a difendere sia se stessa che la ragazza dietro di lei.
Nel frattempo sempre più energia entrava nel corpo di Shina e si espandeva rapidamente. Quest’ultima sentiva il sangue ribollirle nelle vene come se fosse lava rovente.

“Sembra di bruciare vivi” lacrime di dolore solcavano le guance della giovane, lasciando scie biancastre sulla pelle sporca di polvere e terra.

Ogni volta che Nagi tentava di colpire Shina, Fuuten parava i colpi e allontanava l’avversario con forti folate di vento che, però, col passare del tempo diminuivano di intensità.

«Che diamine stai facendo Fuuten? Perché stai trasferendo il tuo potere demoniaco dentro a quella?»
Una voce un po' cavernosa irruppe dalla bocca di Nagi.
Forti folate di vento coprirono tutto quanto finché, all’improvviso, cessarono.
Reiko, Shina e Nagi erano tutte e tre per terra, svenute.

 


Nel frattempo a Gehenna il demone del fulmine, Raiden, sconfisse e distrusse definitivamente il suo avversario, ormai totalmente privo del suo potere demoniaco.
Fuuten era così scomparso, ma la sua cara nipote aveva preso il suo posto, come nuovo demone del vento.

 


 




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~Note Finali: 
Quello che avete letto finora è l'introduzione al racconto vero e proprio, infatti mi sono limitata a capitoli legati unicamente alla trama, senza fare episodi per così dire 'extra', ovvero che non c'entrassero granchè con l'evoluzione della storia principale.
La storia di Shina e degli altri personaggi continua in un altra storia che pubblicherò a breve! Spero vi sia piaciuto! ^^




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