Voglio afferrarti mentre stai cadendo

di 9Pepe4
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Appesi a un filo ***
Capitolo 2: *** Il risveglio ***
Capitolo 3: *** Visite ***
Capitolo 4: *** Scuse e proposte ***
Capitolo 5: *** Un paio di novità ***
Capitolo 6: *** Quattro amici in Central Park ***
Capitolo 7: *** Visita a domicilio ***
Capitolo 8: *** Scienza e teatro ***
Capitolo 9: *** Bloccato ***
Capitolo 10: *** Un marito ideale ***
Capitolo 11: *** Da soli insieme ***
Capitolo 12: *** Rivelazioni ***
Capitolo 13: *** Dubbi e chiarimenti ***
Capitolo 14: *** Passo dopo passo ***
Capitolo 15: *** Raccolta fondi ***
Capitolo 16: *** Qualcosa ***
Capitolo 17: *** Confusione ***
Capitolo 18: *** Tutto per un gelato ***
Capitolo 19: *** Festeggiamento a sorpresa ***
Capitolo 20: *** Lizard ***
Capitolo 21: *** Complicazioni ***
Capitolo 22: *** Un piccolo imprevisto ***



Capitolo 1
*** Appesi a un filo ***


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Capitolo 01 – Appesi a un filo

Quel corridoio d’ospedale era tutto uguale.
Sterile, asettico. Pregno dell’odore del disinfettante.
Peter Parker aveva la nausea.
Davanti ai suoi occhi, continuava a balenare l’espressione stordita di Harry nel momento in cui le lame del suo aliante lo avevano trafitto.
E poi la sofferenza, le sirene lontane delle ambulanze. Il disfare il suo amico della tuta di Goblin, la corsa disperata per affidarlo ad alcuni medici. Dopodiché precipitarsi indietro, strapparsi di dosso i brandelli del costume da Spider-Man, recuperare dei vestiti… E via in ospedale, dove la sua corsa si era interrotta bruscamente.
L’andare avanti e indietro gli aveva fatto venir voglia di vomitare, ma forse l’attesa era mille volte peggiore.
In quel momento, Harry si trovava in sala operatoria.
La vita del suo migliore amico era appesa ad un filo, ed era tutta colpa sua.
Venom puntava a lui, voleva uccidere lui. Ma Harry si era messo in mezzo per salvarlo.
Già. Non aveva esitato un secondo, nonostante tutto il dolore che lui gli aveva causato.
«Peter? Peter Parker?»
Nel sentire quella voce femminile, Peter alzò il capo, trovandosi a guardare una ragazza che lo fissava incredula.
Stordito com’era, impiegò qualche momento a raccapezzarsi.
Lei indossava una divisa da infermiera, e teneva i capelli biondi legati in una pratica coda di cavallo.
Peter pensò persino che si trattasse di una delle ragazze che aveva rimorchiato mentre era sotto l’influsso del costume nero… Ma alla fine realizzò di conoscerla.
«Elizabeth Allen» disse, senza riuscire ad evitare di suonare un po’ guardingo.
Erano stati a scuola insieme, ai tempi delle medie, e lui non serbava ricordi esattamente piacevoli sul suo conto.
A sorpresa, la ragazza si mise a ridere di gusto. «Non ho nessuna intenzione di azzannarti, sta’ tranquillo!»
Peter trovò quella reazione poco in linea col carattere permaloso della compagna che ricordava, ma non era nelle condizioni di stupirsene.
Dio, era normale che l’operazione di Harry durasse tanto?
La giovane dovette notare la sua espressione, le sue occhiaie marcate, poiché tornò seria in un attimo e lo fissò interrogativa… per poi sgranare gli occhi.
«Io e la mia lingua lunga!» imprecò. «Scusami, Parker. Non ho pensato di…»
Peter non seppe mai cosa non aveva pensato di fare, poiché in quel momento la ragazza notò Mary Jane.
Quest’ultima era accomodata sulla sedia accanto a quella di Peter, e teneva il proprio volto tra le mani.
Il giovane girò la testa verso di lei. Vederla così lo faceva star male, ma non sapeva come consolarla. Lui stesso si sentiva morire, soffocato dal senso di colpa.
La ragazza bionda gli scoccò un’occhiata, poi si avvicinò alla rossa con aria titubante. «MJ?» chiamò, posandole una mano sulla spalla.
Mary Jane alzò il capo e sgranò gli occhi – erano arrossati, anche se lei non stava più piangendo. «Liz!» boccheggiò, stupefatta. «Cosa… Cosa ci fai qui?»
La ragazza si strinse nelle spalle. «Ci lavoro» rispose, per poi aggiungere cautamente: «Sei insieme a Parker? Perché siete qui?»
Peter serrò i pugni sulle proprie ginocchia. “Siamo qui perché sono un idiota e un incapace. Perché un mostro stava per uccidermi e il mio migliore amico si è messo in mezzo per salvarmi”.
«Un nostro amico» disse Mary Jane, cercando di tener salda la voce. «È rimasto coinvolto nello scontro tra Spider-Man e Venom».
«Oddio, mi dispiace!» esclamò l’altra ragazza, e sembrava sincera.
Si voltò verso Peter, e lo fissò in volto con una strana intensità.
«A quanto pare anche tu ci sei rimasto in mezzo» osservò. «Ti sei fatto vedere quei lividi e quei tagli?»
Peter annuì, indifferente. «Me li hanno già disinfettati».
Era vero: non appena aveva messo piede in ospedale, un medico aveva notato la sua aria malconcia, e aveva voluto a tutti costi sottoporlo a una visita veloce.
«Il vostro amico…» azzardò la ragazza bionda dopo qualche istante. «Lo conosco?»
Peter fece cenno di no col capo, mentre Mary Jane si mordeva forte le labbra.
Liz esitò un attimo, poi domandò: «Adesso è in sala operatoria, vero? Se vuoi, posso andare a vedere come stanno procedendo le cose».
Nell’udire quelle parole, Peter la guardò come un cane randagio che si vede offrire un boccone inaspettato.
Mary Jane, invece, non sembrava credere alle proprie orecchie. «Davvero lo faresti?»
Liz annuì. «Certo! Basta che mi diciate come si chiama…»
«Harry» intervenne Peter. «Harry Osborn».
La ragazza bionda lo guardò. «Tornerò non appena saprò qualcosa» promise, avviandosi a passo spedito lungo il corridoio.
Peter la seguì con lo sguardo.
«Saranno buone notizie, vero?» sussurrò Mary Jane. Aveva il viso tirato.
Peter inghiottì e le strinse la mano. «Lo spero».
La ragazza lo guardò. La sua espressione era composta, ma i suoi occhi erano colmi di tristezza… E lei, esitante, poggiò la testa sulla spalla del giovane.
Era da molto tempo che non stavano così vicini.
Peter la abbracciò, cercando di farle forza.

Liz controllò il tabellone su cui erano segnati gli interventi del giorno.
Quello scontro nel centro di New York aveva causato un bel po’ di danni, così al momento le sale operatorie erano tutte occupate. La ragazza, però, trovò subito il nome che le interessava.
Harry Osborn. Lo stava operando il dottor Reed. Era in Sala 2.
Liz girò sui tacchi, precipitandosi lungo il corridoio.
Ogni sala operatoria era dotata di una piccola galleria, dove i chirurghi si lavavano e si preparavano e dalla quale, volendo, potevano anche assistere alle operazioni.
Tale galleria, infatti, era separata dalla sala vera e propria per mezzo di una vetrata.
Quando Liz arrivò, le bastò un’occhiata per capire che le cose stavano andando male.
I bip dell’elettrocardiogramma erano fin troppo rapidi, e il dottor Reed stava giusto tendendo il guanto insanguinato verso la sua assistente.
«Defibrillatore!» lo sentì dire la ragazza bionda.
Col cuore in tumulto, Liz avvicinò il viso alla vetrata, e per poco non vi sbatté il naso contro.
Harry Osborn era disteso sul tavolo operatorio inondato di luce. Gran parte del suo volto esamine era coperto, e Liz riuscì a vederne giusto gli occhi chiusi, ma tanto bastò perché lui le apparisse intollerabilmente indifeso.
E in quanto alle persone che cercavano di salvargli la vita… Sembravano fantasmi avvolti in camici verde acqua.
La ragazza strinse i pugni così forte da farsi male.
Non vedeva Mary Jane da anni, e le erano successe moltissime cose, ma non aveva dimenticato la loro amicizia, e ricordava fin troppo bene quanto l’altra le fosse apparsa disperata.
Al solo pensiero di doverle riferire delle cattive notizie, si sentiva morire.
Quando l’elettrocardiogramma si ridusse a una linea piatta, segno che il cuore del giovane si era fermato, la ragazza non resistette.
In preda all’ansia, s’infilò in fretta e furia guanti, cuffia e mascherina, ed entrò nella sala operatoria.
L’anestesista nell’angolo la guardò inarcando le sopracciglia, ma né il chirurgo né la sua assistente fecero caso a lei: l’uomo stava giusto restituendo il defibrillatore, dopodiché immerse la mano nel torace aperto del suo paziente.
«Andiamo, ragazzo» borbottò.
Liz riusciva quasi a vedere le mani del dottor Reed che massaggiavano il cuore sanguinante del suo paziente.
Finalmente, dopo qualche secondo di agonia, il cuore del ragazzo ripartì.
Liz emise un sospiro carico di sollievo, ma da ciò che vedeva capiva che era presto per considerarlo salvo.
«Garze» ordinò il dottor Reed, tendendo la mano. «Aspira… È una gran brutta emorragia».
Liz sentì una fitta d’ansia. Anche a lei appariva chiaro che il giovane stava perdendo una quantità enorme di sangue, ma sentirlo confermare dal medico le parve spaventoso.
Le mani del chirurgo lavoravano senza sosta, la sua voce chiedeva continuamente altri studenti. Ma la sua fronte, visibile tra la mascherina e la cuffia azzurra, era aggrottata, e dopo un po’ lui iniziò a scuotere il capo.
Con un nodo alla gola, Liz puntò gli occhi sul volto di Harry Osborn.
In quel momento, notò che lui aveva il lato destro del viso sfigurato, come se fosse sfuggito appena in tempo a un incendio.
E di colpo, non si trattò più solo di non voler portare una cattiva notizia a MJ. Anzi, per un istante dimenticò persino di trovarsi lì per richiesta dell’amica.
Harry Osborn doveva avere circa la sua età, e sembrava così sperduto…
Liz si sentì soffocare. “Oddio, no! Ti prego, fa’ che vada tutto bene. Ti prego, ti prego, ti prego…”
La voce incredula del dottor Reed interruppe le sue preghiere: «Non è possibile…»
«Che cosa, dottore?»
«Questi vasi. Erano andati, come diavolo…? Non importa. Il ragazzo è fortunato».
Liz sentì il proprio cuore battere più forte. Fortunato?
«Bene» decretò il chirurgo, «finiamo qui, e poi possiamo chiudere. Se la caverà».
La ragazza bionda gettò un ultimo sguardo al volto esamine di Harry Osborn, sentendo un sorriso radioso premere contro la mascherina.
Senza dire nulla, sgusciò via: non le serviva sapere altro.


















Note:
Se qualcuno è riuscito ad arrivare in fondo a questo capitolo, mi congratulo con lui.
E sarei felicissima se mi facesse sapere cosa ne pensa (è il caso di continuare o di cestinare la storia?).

Questa, comunque, è la riscrittura (molto riscritta XD) di una storia che avevo iniziato a pubblicare il 9 ottobre del 2010.

Liz Allen non l’ho inventata io: è un personaggio dei fumetti al pari di Peter, Harry e Mary Jane.
Io vi consiglio di non cercare altre informazioni in rete su di lei, se volete che ciò che succederà sia una sorpresa.
Nel banner (orrido, lo so) là in alto, è impersonata da Reese Witherspoon.

Ho detto tutto, perciò mi eclisso!
Ah, il prossimo capitolo dovrebbe arrivare mercoledì 30 gennaio. Contrordine: arriverà giovedì 24 ^^

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Capitolo 2
*** Il risveglio ***


Capitolo 02 – Il risveglio

Quando Harry si svegliò, la prima cosa che vide fu il volto di Peter.
«Ehi, bello…» riuscì a chiamarlo, con un fil di voce. «Hai una pessima cera».
L’espressione dell’altro cambiò immediatamente, aprendosi in un sorriso colmo di sollievo. «Farmelo dire da te è il colmo. Sei più pallido di uno zombie».
Harry sorrise debolmente, mentre capiva di trovarsi in ospedale.
In quel momento, si accorse che accanto al suo letto c’era anche Mary Jane.
La ragazza era pallida e aveva gli occhi arrossati, ma pareva che le sue guance stessero riprendendo un po’ di colore.
«Lo giuro su quello che vuoi, Harry» aggiunse Peter, con voce roca. «La prossima volta che mi fai prendere uno spavento simile, ti uccido».
Harry cercò di ridere, ma tacque immediatamente.
Il petto gli faceva un male cane, e la sua testa sembrava sul punto di esplodere.
“Be’, se non altro sono vivo” si disse, di colpo.
Quel pensiero fu come un’ondata di calore che lo investì da capo a piedi.
Già. Era vivo, cosa sulla quale poco prima non avrebbe scommesso nemmeno un centesimo.
«Ci hai fatto preoccupare tantissimo» affermò Mary Jane.
Harry si inumidì le labbra secche. «Adesso è tutto passato, no?» domandò, guardando Peter.
Quest’ultimo capì che l’amico non stava parlando solo della morte scampata per un pelo, e accennò un sorriso. «Già».
In quel momento, una voce di donna iniziò a dire, in tono scorbutico: «Questo non è orario di visita, dovreste…»
Una seconda voce – sempre femminile, ma più giovane – intervenne seccata: «Il loro amico ha rischiato di morire, Janet! Da’ loro un po’ di tempo!»
Mary Jane e Peter si erano girati verso la porta della stanza, e Harry aggrottò la fronte, cercando di vedere le persone tra le quali si era svolto quello scambio di battute.
Fece in tempo a cogliere la schiena di un’infermiera robusta che usciva, poi mise a fuoco una ragazza bionda in piedi sulla soglia.
Incrociando il suo sguardo, lei gli rivolse un sorriso imbarazzato.
«Ah, Harry» disse Mary Jane, facendo cenno alla giovane di avvicinarsi. «Lei è Elizabeth Allen, veniva alle medie con me e Peter».
«Piacere di conoscerti» disse la ragazza.
Harry le rivolse un cenno del capo, sentendosi un po’ a disagio.
Conosceva fin troppo bene le condizioni del proprio volto e, sebbene non gli desse alcun fastidio la presenza di Peter e Mary Jane, davanti a un’estranea non poteva dirsi del tutto tranquillo.
«Forse è meglio che andiamo» accennò Mary Jane, riluttante. Guardò l’infermiera bionda e assunse un tono quasi supplichevole. «Liz, ti occuperai tu di lui, vero?»
L’altra le sorrise con fare tranquillizzante. «Sicuro» replicò. «Non è stato un problema farmi assegnare questo post-operatorio».
Peter sembrava poco convinto, e si staccò di malavoglia dal letto dell’amico.
Harry avrebbe voluto far notare loro che non era un invalido, ma poi lasciò perdere. Era bello vedere i suoi amici preoccupati per lui.
«Torniamo nell’orario di visita» gli promise Mary Jane.
«Ci vediamo presto» confermò Peter.
Harry sorrise, lasciando che il proprio corpo spossato si rilassasse contro il materasso. «Certo».
Peter, però, indugiò un istante, e a Mary Jane la cosa non sfuggì.
«Io e Liz ti aspettiamo fuori, tigre» disse al proprio fidanzato, sfiorandogli la guancia prima di uscire in corridoio con l’infermiera bionda.
Harry la seguì con lo sguardo, quindi portò gli occhi su Peter.
Per un istante, sembrò che su di loro gravasse il peso di mille cose non dette, ed Harry sentì il bisogno di cercare una qualche chiarezza.
«Bernard mi ha detto che… che la ferita di mio padre è stata provocata dal suo aliante».
Mentre pronunciava quelle parole, sentì una stretta allo stomaco. Istintivamente, le sue mani corsero alla fasciatura che gli stringeva il petto…
Peter sbatté le palpebre. «Sì» disse soltanto.
«E tu hai detto la verità» aggiunse Harry. Gli sembrava di avere la bocca piena di sabbia.
«Sì».
«Quindi…» Il ragazzo inspirò profondamente dal naso. «Quindi è vero. Lui aveva cercato di ucciderti, ma non ci è riuscito. Per questo è morto».
Peter rimase in silenzio, ma Harry trovò la conferma nel suo sguardo che cambiava.
«Ah». Lasciò che la sua nuca sprofondasse nel cuscino.
«Harry…» iniziò Peter.
L’altro, però, scosse appena la testa. «Va bene così, Pete» affermò.
Si sentiva irrealmente calmo. Forse era troppo esausto per mettersi a rimuginare su suo padre, su Goblin, su… su tutto. Forse era la sua mente che cercava di difendersi chiudendo fuori ogni cosa.
Harry emise un lento sbuffo.
«Cavoli» commentò poi, tentando di suonare ironico. «Sono a pezzi. Forse è meglio che tu vada, prima che MJ venga a chiamarti».
Peter corrugò la fronte, ed Harry abbozzò un sorriso.
«Tanto ci vediamo dopo, no?»
L’altro annuì lentamente. E, sebbene sembrasse piuttosto preoccupato, riuscì a sorridere a sua volta. «Ci vediamo dopo».
Ci furono altri sorrisi, poi Peter uscì in corridoio.
Liz e Mary Jane si erano fermate poco più avanti, e lui le raggiunse in pochi passi.
Mary Jane gli rivolse un piccolo sorriso e Liz, impegnata a sciogliersi la coda di cavallo, lo guardò di sfuggita.
«Harry starà bene, vero?» le chiese Mary Jane, in tono angustiato.
L’altra ragazza spostò la propria attenzione sull’amica, passandosi una mano tra i capelli biondi. Annuì, rassicurandola: «Il dottor Reed diceva che l’operazione è andata molto bene».
Ancora indecisa, la rossa guardò Peter. «Forse dovremmo…» iniziò.
«MJ, sono le cinque del mattino» la interruppe Liz, in tono franco. «Quel che dovete fare è andare a riposarvi. L’orario di visita inizia alle tre del pomeriggio. Vedete di essere in forma per allora».
«E tu?» intervenne Peter. «Cosa farai?»
«Io starò qui ancora per molto, temo» replicò Liz, poi lo guardò dritto in faccia. «E so fare bene il mio lavoro, davvero».
Peter si chiese se era suonato troppo diffidente, dopodiché scambiò un’occhiata con Mary Jane, mentre Liz aggrottava la fronte.
«Va bene» disse Mary Jane alla fine. «Tu… prenditi cura di lui».
Liz sorrise. «Senz’altro».
Baciò l’amica sulla guance, rivolse un cenno al ragazzo, e poi restò a guardarli mentre se ne andavano, camminando tanto vicini da sfiorarsi.

Dopo l’uscita di Peter e Mary Jane, Harry si era appisolato.
Quando l’infermiera bionda – Elizabeth Allen, si chiamava – arrivò a svegliarlo, lui ebbe un sussulto.
In un dormiveglia agitato, aveva rivissuto il momento in cui Venom l’aveva trafitto… Impiegò qualche secondo, prima di registrare il volto chino su di lui e di notare che la ragazza aveva tra le mani delle bende di un bianco accecante e del disinfettante.
«Scusami, devo cambiarti la fasciatura» gli spiegò lei, infilandosi un paio di guanti in lattice.
Harry sbatté le palpebre, mentre il suo cuore riprendeva un ritmo normale. «Fa’ pure» mormorò.
Liz Allen gli gettò una mezza occhiata e il giovane sentì l’impulso di coprirsi la guancia destra con la mano; subito dopo, però, la ragazza si chinò su di lui, mettendosi al lavoro.
Giusto per fare qualcosa, Harry si mise ad osservarle la nuca. La scriminatura dei capelli biondi era tutta a zig-zag, come se la ragazza si fosse pettinata di corsa.
«Posso farti una domanda?» chiese Liz, alzando per un istante gli occhi su di lui.
«Quale?» replicò Harry, sorpreso.
«MJ e Peter Parker» fece la ragazza, tornando a chinarsi sul petto di lui. «Stanno insieme?»
Harry la fissò. «Penso di sì» disse alla fine.
Si rendeva conto che non era il massimo delle risposte, ma d’altronde non poteva certo spiegare ad una sconosciuta che temeva avessero litigato a causa sua e della sua vendetta.
Liz rise brevemente, mentre le sue dita lavoravano veloci. «Se alle medie mi avesse detto che in futuro si sarebbe fidanzata con Parker, le avrei dato della pazza».
Harry aggrottò la fronte.
Lei, concentrata sulla fasciatura, non lo guardava in faccia, ma ciò non lo infastidiva. Anzi, lo faceva sentire più a suo agio.
«Non ti piace Peter?»
La ragazza si strinse nelle spalle, mettendo da parte una benda unta e insanguinata. «Penso di essere stata una delle persone che alle medie gli rendevano la vita impossibile» ammise. «Ero odiosa, a quei tempi».
«Ah» disse Harry, e nessuno dei due aggiunse altro.
Liz conosceva bene il suo mestiere: fu molto delicata, e solo una volta il giovane sentì una fitta dovuta a una mossa troppo sollecita.
Neanche allora, però, si lasciò scappare un fiato.
Era sopravvissuto a una ferita mortale. Non gli sembrava il caso di lamentarsi.
Quando Liz ebbe finito, buttò via le bende che gli aveva tolto, poi gli domandò: «Come ti senti?»
Harry cercò di pensarci onestamente. «Come se ieri sera avessi partecipato a una raccolta fondi particolarmente stressante».
La ragazza sorrise. «Vuoi dire una di quelle serate interminabili, da spendere facendo sorrisi a persone odiose ed esageratamente ricche?»
Stupito, lui la guardò come se la vedesse realmente solo in quel momento. «Proprio così…»
«Capisco la sensazione» affermò Liz, scrollando la testa bionda.
Harry inarcò un sopracciglio scuro. «Sì?» domandò.
«Mio padre possiede un albergo e qualche club in giro per New York» spiegò allora la ragazza. «Il suo patrimonio mi ha fatto trascorrere serate noiosissime».
«Be’» mormorò Harry, cercando con cautela di sedersi più dritto, «tutta quella noia non ti è tornata utile?»
«A te è tornata utile?» chiese lei di rimando, scettica.
«Dirigo la OsCorp» rispose Harry. «Ora le raccolte fondi devo persino organizzarle. Tirando le somme, un po’ di addestramento mi ha fatto bene. Sicura che a te non sia servito proprio a niente?»
«Stai scherzando» disse Liz. «Sono finita a fare l’infermiera, quindi…»
Harry non poté farne a meno. Rise. «E perché questo mestiere, se posso chiedere?»
Anche se la capacità visiva del suo occhio destro era stata ridotta notevolmente dall’esplosione che lo aveva sfigurato, si rese subito conto che non poteva.
Il sorriso di Liz, infatti, si fece improvvisamente forzato. «Cosa c’è di meglio dell’aiutare il prossimo?» scherzò, ma ora c’era una traccia di nervosismo nella sua voce.
Harry ne fu incuriosito, ma purtroppo non aveva le energie per continuare a indagare, così non insistette.
«Niente» ammise invece. «Ero solo sorpreso».
«E tu?» incalzò Liz. «Dirigi la OsCorp, hai detto?»
Harry si rabbuiò. «Una scomoda eredità paterna» disse, sorvolando sul fatto che la parte peggiore del retaggio di Norman Osborn era stata un’altra. «Non me la cavo troppo bene, sta fallendo».
Pensando al tracollo dell’azienda, dovette abbassare gli occhi.
Liz lo osservò con discrezione. «Sta fallendo» obiettò infine. «Non è ancora fallita».
Harry rialzò il capo, sorpreso. Pensò che probabilmente lei lo aveva detto solo per essere gentile, ma si sentì comunque incoraggiato.
«Già» concordò, in tono assorto. «Non è ancora fallita».
Liz gli sorrise. «Qui ho finito» disse poi. «Adesso ti lascio riposare…»
















Note:
Allora, so di aver già risposto a chi ha recensito lo scorso capitolo, ma li (anzi, le) ringrazio di nuovo, perché mi hanno fatta felicissima *^*
Poi, be’, ringrazio Enide e ErinThe per aver aggiunto questa storia tra le seguite.
E… non credo di aver nient’altro da dire (c’è chi sa già che l’altro ieri ho visto “Dead man walking”, che mi ha lasciato un’angoscia tremenda, e forse ciò contribuisce a limitare la mia solita parlantina XD), perciò vi do appuntamento a mercoledì 30 gennaio ^^

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Capitolo 3
*** Visite ***


Capitolo 03 – Visite

Naturalmente, Peter e Mary Jane mantennero la promessa e, non appena iniziò l’orario di visita, si presentarono nella stanza d’ospedale dell’amico.
«Come stai?» domandò subito Mary Jane.
«Benissimo» replicò Harry. Era un’esagerazione fatta e finita: si sentiva più lucido rispetto a quando si era risvegliato dopo l’operazione, certo, ma il petto gli doleva ancora e tutti i suoi muscoli erano indolenziti.
«Di sicuro» ironizzò Peter, alzando gli occhi al cielo.
«Davvero» insistette Harry. Stava già pensando a come fare per salvare la OsCorp: per il momento, non si sentiva in grado di affrontare i pensieri peggiori che si aggiravano per la sua testa. «Non vedo l’ora che mi dimettano».
«Preoccupati di guarire, piuttosto» ribatté l’amico.
Harry gli rivolse un sorrisetto, e lui abbassò lo sguardo.
«A proposito… grazie».
Harry aggrottò la fronte, preso in contropiede. «E per che cosa?»
Peter lo fissò negli occhi con una certa serietà. «Lo sai. Per avermi salvato la vita».
«Ah». Harry cercò di puntellarsi sui gomiti. «Be’, immagino sia quello che si fa per gli amici».
«Non è stato solo questo, tu…»
Peter si interruppe, e dopo un istante Harry udì a sua volta la voce soffocata della presentatrice di un telegiornale. Il paziente della stanza accanto aveva la fortuna di avere una televisione a sua disposizione, e la ascoltava ad un volume esagerato.
In quel momento, stavano dando la notizia di una rapina in corso.
«Perfetto» sospirò Peter, «devo scappare».
«Sta’ attento!» gli raccomandò Mary Jane, mentre lui si dirigeva verso la porta.
Il giovane si girò un istante per sorridere e tranquillizzarla. «Sicuro».
Nel giro di cinque secondi, era già scomparso al di là della soglia.
Riportando gli occhi su Mary Jane, Harry si rese conto che l’ultima volta che era rimasto solo con lei… okay, era moribondo… ma quella prima l’aveva baciata.
Si schiarì la gola, cercando di liberarsi del ricordo delle sue labbra morbide. Aveva già causato abbastanza guai. «Tra voi due» esordì, spinto dal senso di colpa, «è tutto a posto, vero?»
Mary Jane lo guardò.
«So di aver fatto un bel danno» aggiunse Harry, a disagio, «ma…»
Lei scrollò la testa, sorridendo. «Tranquillo, Harry. Peter mi ha spiegato cos’è successo tra voi, e per quanto riguarda lui e me… stiamo risolvendo».
Harry azzardò un sorriso. «Meno male» mormorò.
La osservò, chiedendosi quando Peter le avesse spiegato ogni cosa. Quella notte, mentre lui era sotto i ferri? O quella mattina, prima che venissero a trovarlo?
Si schiarì di nuovo la gola. «E riguardo quello che ti ha detto Peter…» iniziò.
«Non importa cos’abbia fatto tuo padre, Harry» replicò la ragazza. «Noi siamo sempre amici».
Il giovane sbatté le palpebre. Avrebbe voluto riprovare a chiederle scusa per averla usata contro Peter, ma era completamente esausto. Faticava persino a dare un ordine alle proprie idee. Da dove doveva cominciare?
Dal canto suo, Mary Jane si guardò attorno. Nella stanza c’era una sedia; lei la prese e l’avvicinò al letto, accomodandosi con la giacca in grembo.
«Davvero stai bene?» indagò, prevenendo qualsiasi scusa.
«Forse “meglio” sarebbe più azzeccato» ammise Harry.
«Liz è brava?» chiese Mary Jane.
Il giovane trovò un po’ strano parlare della ragazza bionda. «Mi sembra di sì» rispose, aggrottando la fronte. «Eravate amiche?»
«Sì» sorrise Mary Jane. «Però dopo le medie lei è andata in un istituto privato, e ci siamo perse di vista».
Un istituto privato… Già, Liz aveva detto che suo padre era ricco…
«Quindi tu non sai perché abbia deciso di fare l’infermiera» dedusse Harry, ricordando di colpo l’espressione della ragazza di fronte alla domanda sul suo mestiere.
Mary Jane corrugò la fronte. «No… Perché, deve esserci un motivo particolare?»
Harry si strinse nelle spalle – movimento che gli causò una fitta al bassoventre. «No, certo, era così per chiedere».
La ragazza sorrise e guardò il proprio orologio con una smorfia. «Scusami, Harry, ma il jazz club mi aspetta».
Rialzandosi, gli strinse il polso in un gesto rapido ma affettuoso.
«Rimettiti, va bene?»
Harry fece cenno di sì, e lei – era davvero bella – gli rivolse un altro sorriso, prima di uscire dalla stanza a passo leggero.
Rimasto solo, Harry gettò uno sguardo al soffitto.
Dopo qualche istante di silenzio – il paziente della stanza accanto aveva spento la televisione, o forse aveva abbassato il volume dopo essere stato rimproverato da qualcuno –, capì che l’essere sopravvissuto non voleva dire soltanto una seconda opportunità, ma aveva anche i suoi risvolti negativi.
Adesso, lui conosceva la verità su suo padre.
Forse Peter non gli aveva detto molto, ma Harry aveva visto i notiziari e aveva letto i giornali. Sapeva cosa aveva fatto Goblin.
Nella sua smania di vendetta, aveva ignorato tutti quei delitti… Ma ora iniziavano a tornargli in mente con una precisione spaventosa.
Se fosse morto, le ultime parole di Peter – Non dovevo farti del male… Dicendoti quelle cose – gli sarebbero bastate.
Harry ricordava bene come si era sentito prima di perdere i sensi.
Ricordava il dolore, la paura, ma le lacrime che avevano versato erano state anche di sollievo.
Perché non solo aveva salvato Peter, ritrovando il suo migliore amico, ma anche perché l’altro era riuscito a cancellare dalla sua mente quel: No, lui ti disprezzava. Tu lo mettevi in imbarazzo.
E in quel momento, gli era stato sufficiente sapere che suo padre gli aveva voluto bene.
Ma adesso… Sapendo che suo padre era diventato un assassino, sapendo che aveva cercato di uccidere Peter… Come poteva perdonarlo davvero?
Harry serrò le labbra, perché d’altra parte odiare Norman gli causava un dolore intollerabile. Così come gli facevano male i dubbi che stavano emergendo dalla sua mente: era davvero certo che suo padre lo avesse amato?
E perché doveva importargli di una persona tanto orribile?
«Harry?»
Quella voce querula lo distolse dai propri pensieri, spingendolo a guardare verso la porta.
Le sue labbra si schiusero, e il ragazzo cercò d’istinto di sollevarsi. «Bernard…»

Qualche momento più tardi, passando davanti alla stanza di Harry Osborn, Liz vi guardò dentro di sfuggita… E si fermò.
Seduto accanto al letto del giovane c’era un uomo piuttosto anziano. Gli teneva una mano rugosa sul braccio, e Harry lo guardava dritto in faccia.
Anche a quella distanza, Liz riusciva a vedere che gli occhi del ragazzo erano lucidi, le sue labbra serrate.
Aveva l’espressione di chi ha un enorme groppo in gola, e Liz distolse lo sguardo con discrezione, improvvisamente turbata.
Sbatté le palpebre, si passò automaticamente una mano tra i capelli. Dopodiché, senza sapere bene cosa pensare, riprese a camminare.
Distratta, si diresse all’accettazione, dove un’altra infermiera la aspettava perché lei le desse il cambio.
Circa mezz’ora dopo, mentre stava facendo firmare dei moduli per la dimissione di una ragazzina, vide passare l’uomo che aveva visto nella stanza di Harry.
Lo seguì con lo sguardo, almeno sinché la voce dell’uomo che aveva davanti non la riportò alla realtà: «Scusi, signorina, devo firmare da qualche altra parte?»
Liz abbassò gli occhi, puntando il dito sull’angolo del foglio. «Solo qui, poi ha finito» rispose, accennando un sorriso incoraggiante.
«E potrò portare mia figlia a casa» concluse in un brontolio il suo interlocutore.
«Già» confermò Liz, senza abbandonare la propria espressione cortese.
Di lì a poco, tornò la sua collega, e la ragazza poté andare a controllare la fasciatura di Harry Osborn.
«È tutto a posto» asserì, accennando un sorriso.
Quando aveva letto la cartella clinica del giovane per controllare che non fosse allergico ad alcun farmaco, aveva visto che lui era stato ricoverato già due volte, in quel periodo: la prima in seguito a un incidente stradale, la seconda dopo quello casalingo che l’aveva sfigurato.
“Dev’essere davvero un brutto momento, per lui” le venne da pensare, con una fitta di pietà, e fu assalita dal desiderio di riuscire ad aiutarlo, in qualche modo.
«Grazie» disse Harry Osborn, inconsapevole di quello che le passava per la testa.
Liz si riscosse dai propri pensieri e scrollò le spalle. «È il mio lavoro». Tacque un attimo, pensosa, poi azzardò: «Ho visto che hai avuto visite. Quell’uomo era tuo padre?»
Harry sembrò sorpreso. Per un attimo, si rabbuiò e distolse lo sguardo, ma poi riportò gli occhi sulla ragazza. «No… Era il mio maggiordomo, Bernard. Mio padre è morto».
Liz ammutolì. «Mi dispiace» si scusò. E poi si diede della stupida: il ragazzo aveva affermato che la direzione della OsCorp era un’eredità paterna… Più chiaro di così! «E praticamente me l’hai anche già detto… Sono un’idiota».
«Macché» replicò Harry, «non fa niente. Ormai è passato tanto tempo…»
Liz sorrise con aria imbarazzata, e il ragazzo notò solo in quel momento che lei aveva gli occhi azzurri.
Di colpo, capì di non volere che la ragazza se ne andasse.
Quasi non la conosceva, ma nel suo stato debilitato, il suo animo anelava disperatamente a un po’ di sicurezza. E anche se lui non se ne rendeva conto, nel momento in cui aveva visto che Liz era competente e in grado di occuparsi di lui, in un certo senso gli era venuto istintivo affidarsi alla ragazza.
La visita di Bernard l’aveva un po’ rincuorato, ma non aveva cancellato del tutto la sua inquietudine.
Ora come ora, Harry temeva il momento in cui sarebbe stato solo, ed era una paura che superava persino il disagio di avere gli occhi di una quasi sconosciuta puntati sul viso.
«Allora» esordì, in tutta fretta, dicendo la prima cosa che gli venne in mente, «hai detto che alle medie rendevi la vita di Peter un inferno…»
Liz lo guardò, stupita. «Be’, sì. E non è che ci sia molto da aggiungere: non ero per niente gentile, e figuriamoci se trovavo pazienza per lui. Era così goffo! Adesso è cambiato molto, vero?»
“Non immagini quanto” pensò Harry, ma si limitò a rispondere: «Direi».
La ragazza lo guardò con un lieve sorriso. Un sorriso che al giovane parve quasi comprensivo.
«Tu invece eri al liceo con loro, giusto?»
Harry annuì. «Gli ultimi anni. Prima mio padre aveva cercato di farmi frequentare alcuni istituti privati».
Al pensiero di suo padre, provò la sensazione di essere sul punto di soffocare.
Fortunatamente, la voce di Liz lo distrasse. «E come mai, se posso chiedere, sei poi passato alla scuola pubblica?»
Harry sentì un’ondata di gratitudine nei suoi confronti. «Perché non c’è stato un istituto privato dal quale non mi abbiano cacciato».
Liz rise brevemente. Era in servizio da un’eternità, ma improvvisamente si sentì rilassata, quasi spensierata. Da quanto tempo non scambiava quattro chiacchiere con un suo coetaneo? Per di più, Harry aveva avuto qualche esperienza simile alle sue…
«Oh, mi sarei dovuta far cacciare anch’io» sospirò la ragazza, quasi con rimpianto.
Harry corrugò la fronte. «Non eri brava?»
«No, no, la ero abbastanza» replicò lei. «È solo che, lo sai, l’ambiente dell’istituto privato in cui sono stata non era il massimo… Avevano tutti una gran puzza sotto il naso, me compresa! Forse, se fossi stata a una scuola pubblica, sarei uscita dal mio bozzolo un po’ prima».
Rendendosi conto di aver iniziato a concentrare il dialogo su di sé, si affrettò a rivolgere un’altra domanda a Harry: «Mi sbaglio, o al Midtown c’era anche Flash Thompson?»
Il giovane la guardò. «Lo conosci?»
Lei annuì. «Eccome! Alle medie mi ero fidanzata con lui… Sempre che di fidanzamento si possa parlare a quell’età…»
Harry ne fu molto sorpreso. Liz gli sembrava una ragazza gentile, non il tipo che si metteva insieme ad un simile energumeno… D’altro canto, Mary Jane era splendida, e anche lei era stata la ragazza di Flash Thompson. Senza contare che Liz aveva detto chiaramente che ai tempi delle medie era molto diversa…
La ragazza notò la sua espressione. «Non ti stava simpatico, vero?»
«Non tanto» rispose Harry, senza sbilanciarsi.
Flash Thompson era stato il vero tormento suo e di Peter, al liceo… Però, dopo tutto quello che gli era successo in seguito, dopo tutti i mostri che aveva visto – anche dentro se stesso –, quel ragazzo gli sembrava un agnellino.
«Posso capire» mormorò Liz, laconica.
Harry la guardò, senza dirle quanto trovava strano chiacchierare di quelle banalità. «All’ultimo anno di liceo si è fidanzato con MJ».
«In effetti gli è sempre piaciuta» commentò la ragazza, in tono neutro. «Spero tanto che sia stata lei a mollarlo».
«È stata lei» confermò Harry, lasciandosi scappare un sorriso.
Non era abituato ad ascoltarle dei pettegolezzi, tantomeno a riferirli, ma quella conversazione lo divertiva.
O forse era solo che preferiva concentrarsi su quelle cose, piuttosto che sui pensieri che si aggiravano per la sua testa.
Fosse come fosse, in quel momento si sentiva genuinamente grato del fatto che Liz fosse lì.


















Spazio dell’Autrice:
Amate Bernard, è un ordine
Okay, scusatemi, ma sembra che io abbia un debole per i maggiordomi XD Vogliamo parlare della mia venerazione per Alfred in Batman? O per Watari in Death Note?
Comunque sia, grazie mille a chi ha recensito, a TheRainbowSideOfComics che ha aggiunto la storia alle preferite, e ad Angyp, Enide e ErinThe che l’hanno messa tra le seguite. Grazie anche a chi ha letto e basta, naturalmente.

A proposito di questo capitolo… Al liceo, nei fumetti, è Liz la ragazza di Flash Thompson (anche se non sembra una cosa molto seria: se non ricordo male, in un numero c’è questo scambio di battute tra Flash e Peter: “Liz è la mia ragazza”, “Davvero? Peccato che lei non la pensi così”, o qualcosa del genere).

Ah, una curiosità riguardo la data di oggi: è l’anniversario del matrimonio di Ottaviano con Livia… Mentre il 16 gennaio, ossia la data in cui ho pubblicato il primo capitolo, era l’anniversario del giorno in cui a Ottaviano è stato conferito il titolo di Augusto.
Ma in effetti non c’entra un cavolo, e probabilmente non interessa a nessuno, quindi…

Per il prossimo aggiornamento, vi do appuntamento al 6 di febbraio :D

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Capitolo 4
*** Scuse e proposte ***


Capitolo 04 – Scuse e proposte

Il menù dell’ospedale era incredibilmente monotono: minestrine acquose e purè farinosi a tutto andare.
Già dopo tre giorni, Harry non ne poteva più.
D’accordo, una volta gli diedero anche carne arrosto, ma tagliata sottile sottile, e dalla consistenza quasi gommosa – senza contare il sugo viscido e pieno di grumi.
Come si aspettavano che recuperasse le forze, se mangiava solo quelle schifezze insapori?
Harry avrebbe dato la vita, per Peter, ma quando l’amico venne a trovarlo e si lamentò del fatto di aver mangiato pizza fredda per due giorni di fila, lo avrebbe strangolato. Almeno la pizza sapeva di qualcosa, e un pizzico di energia lo dava.
E lui scalpitava, poiché l’inattività lo lasciava in balia delle sue riflessioni più cupe.
Già era sfibrante dover avere gli incubi ogni volta che si appisolava… Almeno nelle ore diurne avrebbe voluto allontanare quei pensieri infausti.
Poi, finalmente, il suo medico lo autorizzò a spostarsi per l’edificio, accordandogli anche il permesso di fare una capatina al bar dell’ospedale.
Così, Harry scese di un piano in ascensore, andando a comprare un bel pezzo di focaccia.
Non si trattenne a lungo – le altre persone lì al bar gli lanciavano fin troppe occhiate, per i suoi gusti – e quando ebbe finito di mangiare si apprestò a tornare alla sua stanza.
Purtroppo per lui, lo aspettava una brutta sorpresa: già nove persone erano in attesa dell’ascensore.
Siccome non aveva alcuna voglia di ricoprire il ruolo della sardina, Harry decise di usare le scale.
Dopotutto, erano due rampe soltanto.
Disgraziatamente, la testa iniziò a girargli già a metà della prima.
Col fiato pesante, Harry si appoggiò al muro, poi strinse i denti e riprese la salita.
Quando arrivò in cima, aveva la fronte imperlata di sudore, e si rese conto di non essere più in grado di continuare.
La vista gli si annebbiò, e il giovane indietreggiò barcollando sino a toccare la parete con la schiena… E si lasciò scivolare finché non ebbe il sedere a terra, tenendo il viso rivolto verso l’alto nel tentativo di respirare meglio.
«Harry? Harry!»
Doveva essere svenuto, poiché quando riaprì gli occhi si ritrovò a guardare la faccia di Liz, e non l’aveva sentita avvicinarsi.
La ragazza gli teneva una mano sulla spalla, e sembrava preoccupata.
Il giovane cercò di riscuotersi, mentre lei gli sollevava il braccio per sentirgli il polso.
Gli pulsavano le tempie, e macchie fosforescenti esplodevano davanti ai suoi occhi… A stento si accorse dell’infermiere corpulento che lo prendeva da sotto le ascelle e lo sollevava con qualche sforzo, mettendolo su una sedia a rotelle.
Quando si riebbe davvero, era di nuovo nel proprio letto, e Liz gli stava misurando la pressione. Vedendo il risultato, la ragazza fece una smorfia.
«Be’?» domandò Harry.
Lei lo guardò, poi scrollò le spalle. «Hai la pressione bassissima e un po’ di tachicardia… Niente di grave, comunque».
«Meglio» azzardò Harry, lisciando le coperte con una mano.
«Può darsi» replicò Liz. «Se posso chiedere, cos’hai fatto per ridurti così? Jogging nei corridoi dell’ospedale?»
Il giovane scosse la testa. «No, ma ho deciso di fare le scale… Una mossa altrettanto furba, probabilmente».
«Probabilmente» concordò Liz, caustica. «L’ascensore era troppo lento?»
Harry si sorprese nel sentire il suo tono, quindi accennò un sorriso di scuse. «Ho imparato dal mio errore, va bene? Non lo farò più».
La ragazza gli diede un’occhiata critica. «Farai meglio a mantenere la promessa, se vuoi uscire di qui al più presto».
Poi sospirò, e prese la cartella dai piedi del letto di Harry. Si accomodò sulla sedia con le gambe accavallate e, tenendo il dossier sulle ginocchia, prese a scribacchiare qualcosa in una pagina, mentre Harry osservava il soffitto.
Ormai lo conosceva a menadito.
Quando il grattare della penna si interruppe, il giovane abbassò lo sguardo su Liz… Lei era immersa in chissà quali pensieri, e aveva la fronte aggrottata. Si riscosse quasi subito e si alzò in piedi.
«Vado a dire al dottor Reed che ti sei ripreso» affermò. Un momento prima di uscire dalla stanza, tornò a girarsi verso Harry. «Comunque. Se ti capitasse di nuovo di rischiare uno svenimento, quando sarai fuori di qui… Mangia qualcosa di salato. E bevi, per reidratarti».
Poi, senza nemmeno aspettare una risposta, se ne andò con la cartella sotto braccio. Rimasto solo, Harry guardò il muro e sospirò.

Peter era all’università.
Il dottor Connors stava facendo lezione, ma il giovane trovava piuttosto difficile concentrarsi.
Da una parte, era preoccupato per Harry. Dall’altra, non riusciva a smettere di fissare la schiena rigida di Gwen Stacy, e il senso di colpa non gli dava tregua.
Ormai, aveva chiesto perdono a Mary Jane, ma non aveva ancora avuto occasione di scusarsi con la sua compagna di corso. Ripensando alla sua espressione ferita, aprì nervosamente le mani.
Finalmente, la lezione si concluse, e Peter si alzò svelto dal banco, andando a bloccare la strada alla ragazza prima che lei potesse uscire dall’aula. «Gwen!»
Lei trasalì nel ritrovarselo davanti, poi strinse i libri contro il proprio petto e puntò gli occhi sul pavimento. «Fammi passare, Peter» disse, con voce tremula.
Cercò di superarlo, ma lui la fermò. «No, aspetta… Senti, volevo solo dirti che mi dispiace».
La ragazza alzò gli occhi. «Ti dispiace?» ripeté.
Peter annuì, con la gola secca per la vergogna. «Sì, sai, per… averti usata… in quel modo».
Gwen si morse il labbro. «Capisco» disse, e lo superò senza aggiungere altro.
Il giovane la seguì con lo sguardo, un po’ deluso, e impiegò qualche istante prima di rendersi conto che il dottor Connors lo stava chiamando.
«Parker? Vorrei chiederti una cosa, se non ti dispiace».
Un po’ depresso, Peter si avvicinò alla cattedra. «Sì, professore?»
L’uomo gettò un’occhiata alla propria valigetta, poi riportò lo sguardo sul suo studente. «Tu… sei amico di Harry Osborn, giusto? Il direttore della OsCorp».
Peter sbatté le palpebre, interdetto. «Ehm… Sì» rispose quindi.
Connors si lisciò nervosamente la lunga giacca con la mano sinistra. L’unica che avesse, del resto, poiché aveva perso il braccio destro in un incidente.
«Già, Otto Octavius me l’aveva accennato» mormorò poi, rabbuiandosi al ricordo della fine del collega. «È stato Osborn a presentarvi, giusto?»
«Sì, professore» confermò Peter, che stava ancora cercando di capire dove l’uomo volesse arrivare.
«Ecco… Mi dispiace chiedertelo… Ma credi che saresti in grado di organizzarmi un incontro con lui?»
Peter lo fissò, preso alla sprovvista. «Io…»
«C’è un esperimento su cui sto lavorando» aggiunse Connors, in tono quasi nervoso. «Molto interessante, molto promettente… Ma mi servirebbero dei fondi».
Peter scoccò un’occhiata incuriosita alla valigetta dell’uomo, come se così potesse vedere i progetti di Connors.
«Glielo chiederò» disse infine. «Ma non so quando sarà in grado di riceverla, adesso è ricoverato in ospedale».
Connors aggrottò la fronte. «Mi dispiace. Non ne sapevo nulla».
«I medici dicono che si riprenderà» replicò Peter, con una scrollata di spalle. «Le farò sapere, comunque».
“Ma non prima che lo dimettano” aggiunse tra sé e sé. Harry era già smanioso a sufficienza.
L’uomo sorrise. «Ti ringrazio, Peter. Questa ricerca significa molto, per me».

Quella sera, il giovane fece un salto al jazz club.
Anche con la divisa da cameriera e i capelli fulvi arruffati, Mary Jane era splendida. Quando lo vide, gli sorrise, e Peter le fece cenno con la mano.
Poi la ragazza si avvicinò al suo tavolo, chinandosi a baciarlo su una guancia.
«Ehi» lo salutò, sedendosi di fronte a lui.
«Ehi» replicò Peter, sorridendo.
«Sei stato a trovare Harry?»
Il giovane annuì. «Sì, e gli ho anche portato una bella scatola di biscotti preparati da zia May».
Mary Jane si concesse un sorriso. «Lui come sta?»
«Credo bene» rispose Peter, accigliandosi appena. «Ti saluta. E mentre uscivo ho incrociato Liz Allen… Ti saluta anche lei».
«Bene, grazie».
A quel punto, Peter notò che la ragazza teneva gli occhi bassi e giocherellava nervosamente con l’orlo della sua camicia. «MJ?» chiamò, cautamente. «C’è qualcosa che non va? Riguarda quello che ti ho raccontato su… Norman Osborn?»
Lei lo guardò. «Cosa? No».
D’impulso, si allungò sul tavolo per prendere le mani di Peter tra le proprie.
«Davvero, Peter. Ammetto che sapere che il padre di Harry…» Le mancò la voce, poi lei scosse la testa e dichiarò, senza finire la frase: «Però sto bene».
«Allora qual è il problema?» insistette Peter. «Perché un problema c’è, non dire di no».
Mary Jane si strinse nelle spalle.
«È a causa mia?» aggiunse allora il giovane. «Mi dispiace davvero per quello che ti ho fatto passare… Per Gwen e tutto il resto».
Mary Jane, però, scosse la testa e gli posò le dita sulle labbra. «Credevo che questo argomento fosse chiuso».
«Sì, ma…» iniziò Peter.
«Ne abbiamo già parlato» lo interruppe lei. «E io ho deciso che voglio andare avanti. Con te».
Il giovane la fissò in silenzio per qualche istante, poi abbozzò un sorriso. «Sei proprio sicura?» indagò. «Non è il massimo della compagnia».
«Credo di essere abbastanza grande per scegliere i miei amici, tigre» ribatté Mary Jane, scrollando la chioma rossa. «È solo che… È l’anello che mi hai fatto vedere sul ponte, nel parco». Si fermò un istante, prima di confessare: «Non riesco a togliermelo dalla testa».
«Oh». Ricordando il suo goffo tentativo di una proposta e le lacrime versate a Central Park, Peter sentì che il calore gli saliva al volto.
«Davvero volevi chiedermi di sposarti?» aggiunse Mary Jane.
«Io…» Di colpo, il giovane si sentì goffo come prima di essere morso da un ragno geneticamente modificato. «Sì».
Stavolta fu il turno della ragazza, di arrossire.
«E poi?» chiese, in tono cauto. «Cosa ti ha fatto cambiare idea?»
«Io non ho cambiato idea» rispose il giovane, nervosamente. «Solo che… Mia zia May mi aveva detto che un uomo dev’essere in grado di pensare alla moglie prima che a se stesso… E dopo quel che ti ho fatto, onestamente… Io ne sono in grado?»
Mary Jane si raddrizzò e lo guardò in faccia. «Non lo so» replicò, serissima. «Ne sei in grado?»
Peter la fissò. «Io…»
Per un lungo attimo, non seppe come rispondere.
Poi, però, il viso di Mary Jane – quel viso che già all’età di sei anni gli era parso degno di una creatura angelica – gli mosse qualcosa dentro.
Era vero: aveva sbagliato e le aveva fatto del male.
Si erano fatti del male a vicenda, e poi erano successe tante di quelle cose… Harry era quasi morto, e loro non avevano trovato altro appoggio che l’uno nell’altra.
E Peter seppe, con assoluta sicurezza, di aver imparato dai suoi errori.
«Sì» sussurrò. «Ne sono in grado».
Il viso di Mary Jane si fece radioso, e lei gli saltò al collo. «Sì!» gridò.
«Sì?» ripeté Peter, con voce soffocata. «Sì cosa?»
Lei si scostò e lo guardò negli occhi, ridendo. «Sì ti voglio sposare, sciocco!»
Ci vollero almeno dieci secondi, affinché Peter ricordasse di dover respirare.


















Spazio dell’Autrice:
Buondì!
Solo un paio di cose (stranamente attinenti al capitolo XD):
1) il suggerimento di Liz, di mangiare qualcosa di salato e bere molto, è lo stesso che mi aveva dato un medico un bel po’ di tempo fa come rimedio alla pressione bassa u.u
2) spero ricordiate Curt Connors, il professore di Peter all’università. In Spider-Man 2 definisce Otto Octavius un suo amico…
3) Peter e Mary Jane Nah, niente, solo una curiosità: nel fumetto, la prima volta che Peter chiede ad MJ di sposarlo, lei risponde di no :D Ma dopotutto, la Mary Jane dei film di Raimi è piuttosto diversa da quella del fumetto… Quindi spero che il suo “sì” alla proposta del ragazzo non sembri troppo affrettato o che so io ^^
4) GRAZIE a tutti voi che mi seguite :’)
5) il prossimo aggiornamento sarà mercoledì prossimo (il 13 febbraio).

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Capitolo 5
*** Un paio di novità ***


Capitolo 05 – Un paio di novità

Quando Harry venne dimesso dall’ospedale, la prima cosa che fece fu indire una riunione d’urgenza alla OsCorp.
Il convegno si tenne nel solito posto: una sala ampia, con una parete interamente occupata da vetrate che lasciavano entrare la luce del sole… Il tavolo era di un legno scuro, attentamente levigato.
Erano secoli che Harry non vedeva i membri del consiglio, e si sentì fastidiosamente esposto ai loro sguardi.
La sua esperienza nel mondo degli affari, però, per quanto relativamente breve, gli aveva insegnato a indossare una maschera di impassibilità e cortesia, e recuperarla non fu affatto difficile.
Dopo un doveroso scambio di convenevoli, durante il quale loro espressero il loro sollievo per il fatto che lui stesse bene e il giovane li ringraziò per quella premura, passarono ad argomenti che premevano molto di più a tutti quanti.
Per farla breve, discussero delle misure opportune a salvare l’azienda.
Harry lasciò che fossero gli altri a parlare per primi: per quanto lui fosse il presidente, loro erano tutti più anziani di lui… E alcuni erano veri e propri squali: se non voleva avere noie, doveva mostrare sempre il più grande rispetto.
Così espose la propria proposta solo alla fine, dopo aver educatamente ascoltato il parere degli altri membri.
«Io penso che, tra le altre cose, dovremmo riaprire il reparto dei progetti speciali».
La sala fu immediatamente percorsa da mille bisbigli, e molti volti assunsero un’espressione preoccupata.
Harry lo capiva. L’ultima volta, proprio quel reparto aveva rischiato di far fallire l’azienda, quando avevano puntato tutto sulla riuscita dell’esperimento del dottor Octavius.
E ancora prima, ai tempi di suo padre – quel pensiero gli fece provare una stretta allo stomaco – c’era stato l’incidente dell’aliante.
Sebbene non se ne fosse parlato, tutti i membri del nuovo consiglio sapevano che il Goblin che aveva assassinato quelli del precedente aveva cavalcato lo stesso aliante progettato e ultimato dalla OsCorp.
«So che molti di voi hanno forti dubbi» riprese il giovane, quando l’agitazione si placò almeno in parte, «e so che le scorse esperienze sono state fallimentari e tutt’altro che incoraggianti. Ma credo anche che questo reparto, sin dalla sua nascita per mano di mio padre» – un’altra stretta, stavolta un po’ più in alto – «sia stato uno dei più innovativi e, soprattutto, che si sia posto obiettivi più che utili al fine di migliorare la vita delle persone. Il siero per l’incremento di prestazioni, la fonte d’energia basata sulla fusione…»
«Mi scusi, Mr. Osborn, ma stiamo parlando di progetti davvero fallimentari» obiettò un uomo. «Otto Octavius non si è rivelato all’altezza delle nostre aspettative, ed era lo scienziato più eminente nel suo campo, e in quanto al siero… Be’, non so neanche se è necessario parlarne…»
«Ha ragione» concesse Harry, «ma io ritengo che come settore abbia un potenziale incredibile. I progetti riusciti – perché non ci sono stati solo il siero e Otto Octavius, ricordatelo – hanno portato un profitto enorme».
Per sottolineare le proprie parole, fece scivolare una cartellina lungo il piano del tavolo.
«Per chiunque volesse controllare le cifre, sono qui dentro».
L’uomo più vicino a Harry tese una mano e prese la cartella, accigliato.
Il giovane lo osservò di sottecchi, e alla fine l’altro sollevò la testa con riluttanza. «Potrebbe essere un’idea valida» ammise, passando la cartella al collega che gli era seduto accanto.
Poco per volta, tutti i membri del consiglio presero visione dei dati, e infine uno di loro si rivolse ad Harry.
«Bene, Mr. Osborn» disse, «non ha tutti i torti a volere che quel settore continui ad essere finanziato». Sospirò. «Non appena ci sarà un progetto sul quale lavorare, naturalmente».
Harry gli rivolse un cenno del capo, riprendendo la cartella. «Ci sono sempre progetti sui quali lavorare» assicurò.
Non lo disse, ma lui una mezza idea ce l’aveva già.
Da alcune chiacchiere scambiate con Liz quand’era in ospedale, infatti, aveva capito una cosa, ovvero che la sua guarigione era stata in qualche modo straordinaria. A sentire la ragazza, al chirurgo era sembrato che alcune ferite si fossero rimarginate in maniera anomala.
Harry ci aveva pensato su, e aveva concluso che ad averlo salvato dovevano essere stati alcuni elementi curativi contenuti nella formula di Goblin.
Se era così, perché non cercare di ottenere qualcosa di buono da quel siero, tanto per cambiare?
Harry sapeva che convincere il consiglio a ritornare su quel fiasco di progetto sarebbe stato difficile… E sapeva anche – fin troppo bene – che il siero possedeva proprietà tutt’altro che positive.
Avrebbe dovuto lavorare sulla formula, migliorarla, e poi presentarla in consiglio con un altro nome.
Sì, avrebbe funzionato, si disse, con un’ondata di ottimismo.
A quel punto, però, pensò bene di concludere la riunione, poiché cominciava a sentirsi davvero esausto.

Quando entrò in casa, aveva il fiato corto e la testa gli girava.
Bernard, preoccupato, lo aiutò a sedersi su una poltrona, poi chiese: «Vuole che chiami un’ambulanza, signore?»
Harry strinse i denti. «No» rifiutò.
Erano passati soltanto due giorni da quando era uscito dall’ospedale… L’ultima cosa che voleva era rientrarci così presto.
Memore del consiglio datogli da Liz, si rivolse al maggiordomo: «Potresti portarmi del pane e del prosciutto crudo? E magari un bel bicchiere d’acqua…»
Bernard gli scoccò un’occhiata apprensiva, ma uscì dalla stanza, e dopo poco fu di ritorno con quanto Harry aveva richiesto.
Il giovane lo gratificò con un sorriso, allungandosi a prendere il panino. Ne strappò un gran morso, poi buttò giù un bel sorso d’acqua, e gli parve di sentirsi subito un po’ meglio.
Appena in tempo, d’altronde, perché poco dopo si udì il suono del citofono.
«Questi devono essere Peter e Mary Jane» commentò Harry. «Bernard, ti dispiace andare ad aprirgli? Ah, e non dire niente del mio quasi malore… Peter è un po’ paranoico».
Il vecchio maggiordomo scosse la testa, ma poi rispose: «Come desidera, signore».
Harry gli sorrise, e Bernard uscì in corridoio.
Nell’attesa, il giovane ne approfittò per tornare ad accanirsi su pane e prosciutto… Quand’ecco che il maggiordomo fu di ritorno, accompagnato da Peter e Mary Jane.
«Ehi» li salutò Harry, con un gran sorriso.
«Ehi» replicò Peter, allungandogli un pugno cameratesco sulla spalla. «Come te la passi?»
«È bello vederti fuori dall’ospedale!» aggiunse Mary Jane.
Harry annuì. «È un ottimo cambiamento» concordò.
Il suo sorriso, però, vacillò davanti all’occhiata che si scambiarono i due.
«Che succede?» chiese, aggrottando la fronte. «Devo preoccuparmi?»
«No, certo che no!» esclamò Peter, precipitosamente. «Abbiamo solo una cosa da dirti».
A dirla tutta, un po’ trepidava al pensiero di dire a Harry del loro fidanzamento. Dopotutto, conosceva bene i sentimenti che l’amico aveva provato (o ancora provava?) verso MJ.
Allo stesso tempo, però, l’idea di tenere la bocca chiusa gli sembrava peggiore. Già una volta aveva cercato di nascondergli la verità per proteggerlo, e decisamente non era finita bene.
Okay, forse c’era una bella differenza tra il dovergli dire che suo padre era un assassino e l’annunciargli le sue future nozze, ma non era quello il punto.
Non voleva più mentirgli, né omettere parte della verità.
Mary Jane prese l’iniziativa, annunciando: «Indovina un po’? Peter mi ha chiesto di sposarlo».
Mentre lo diceva, non poté fare a meno di sorridere con aria raggiante.
Harry li fissò. «E tu gli hai tirato qualcosa in testa, spero».
Preso alla sprovvista da quella battuta, Peter non poté fare a meno di protestare in tono urtato: «Ehi!»
Harry, però, gli rivolse un sorriso. «Calma, Pete, sto scherzando…» Tornò a guardare Mary Jane e si finse preoccupato. «Non gli hai tirato qualcosa in testa, vero?»
Lei rise. «Ovvio che no!»
«Bene, perché ho proprio bisogno di un po’ di svago» approvò Harry. «E da quel che ne so, i matrimoni ne offrono molto».
«Svago?» domandò Peter. «Ti sbagli, Harry, dovrai lavorare sodo…»
Il giovane aggrottò la fronte. Era l’ultima cosa che si aspettava di sentire dalla bocca di Peter – Peter, che probabilmente avrebbe voluto mettergli una camicia di forza per costringerlo a starsene buono.
«In che senso, scusa?»
Peter scambiò un’occhiata con Mary Jane, poi tornò a guardare l’amico con un gran sorriso. «Non dirmi che non ti aspettavi che ti chiedessimo di fare da testimone!»
Harry li guardò, sbalordito. In effetti, non ci aveva minimamente pensato.
«O… Okay» disse alla fine. Si rianimò. «E potrei anche essere un ottimo padrino per i marmocchi che verranno».
Peter alzò gli occhi al cielo. «Ora non esagerare» borbottò.
Harry e Mary Jane scoppiarono a ridere.
Il giovane Osborn non abbandonò il proprio sorriso, ma se doveva essere onesto sentiva un dolore sordo sul fondo dello stomaco.
Non era scemo. Ormai, aveva capito che Peter e Mary Jane erano fatti l’uno per l’altra.
Era sufficiente guardare come lei si illuminava quando posava gli occhi su Peter – Harry non era mai stato guardato in quel modo, mai.
Ora, mettersi tra loro era l’ultima delle sue intenzioni, ed era sollevato di non aver causato danni irreparabili, però… Però, vedere il loro legame che si fortificava sempre di più… Gli faceva percepire in modo più acuto la propria solitudine.
Si sentiva un egoista, ma non poteva evitarlo.
«Ah, ti va un pic-nic a Central Park, domani?» propose Peter. «MJ ha chiamato anche Liz Allen…»
Harry inarcò un sopracciglio. «Credevo foste venuti per invitarmi a un matrimonio».
L’amico arrossì. «Be’» balbettò, «non abbiamo ancora deciso la data».
Quindi parlare delle nozze lo innervosiva. Interessante.
Harry sorrise ironicamente. «MJ, vedi di insistere su questo punto. Se lasci tutto nelle mani del nostro tessiragnatele, vi sposerete nel mese del poi dell’anno del mai».
Mary Jane guardò Peter, trattenendo una risata. «Oh, insisterò eccome! Stanne pur certo!»


















Spazio dell’Autrice:
Altra carne sul fuoco! Alè! *va a sbattere la testa contro il muro più vicino*
Dunque, che dire?
Spero che la riunione non sia sembrata una cosa patetica/inverosimile…

1) Riguardo gli elementi curativi contenuti nella formula di Goblin che potrebbero esser stati la causa della “guarigione miracolosa” di Harry… Ho preso spunto dal fumetto.
Nel fumetto, infatti, Norman Osborn sopravvive dopo essere stato impalato dal suo stesso aliante… e il merito (o la colpa?) di ciò viene attribuito appunto ai suddetti elementi curativi.

2) Nel fumetto, il testimone di nozze di Peter e Mary Jane è… Flash Thompson! ZAZAZAZAN! Ma nell’ambito del movie!verse non mi pareva molto plausibile…

3) Se avete sentito la mancanza di Liz (sono una povera illusa XD), non temete! Tornerà nel prossimo capitolo!

In ogni modo, ringrazio ancora tutti quelli che recensiscono, preferiscono, seguono o anche solo leggono questa storia!

E vi do appuntamento a mercoledì 20 febbraio ;)

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Capitolo 6
*** Quattro amici in Central Park ***


Capitolo 06 – Quattro amici in Central Park

Central Park era una verde e assolata culla di pace.
Peter e Mary Jane avevano scelto bene il punto in cui stendere il telo per il pic-nic: in un prato tranquillo, nei pressi di un vecchio cipresso.
Giunto per ultimo, Harry rivolse agli amici un cenno del capo. Liz lo salutò al pari degli altri, e per il giovane fu un pugno nello stomaco.
Fino a quel momento, nella sua testa, Liz era stata legata unicamente all’ambiente ospedaliero, e lui l’aveva considerata solo come un’infermiera, come se non potesse essere nient’altro.
Ma lì, alla luce del sole, gli parve di rendersi improvvisamente conto che era anche una ragazza.
Una bella ragazza, per di più.
Fu un po’ a fatica che distolse lo sguardo da lei, spostandolo su Mary Jane.
Più radiosa che mai, la ragazza stava dicendo all’amica delle future nozze. Dapprima, Liz fissò Peter con aria sbalordita, ma poi il ragazzo protestò: «Mi raccomando, non essere troppo entusiasta», e lei sorrise e si congratulò con loro.
Quando si accorse che Harry la stava osservando, gli rivolse un sorriso imbarazzato, imponendosi di non fissarlo.
Era inutile negarlo: quel giovane la incuriosiva.
Lei ricordava bene le chiacchiere che avevano scambiato in ospedale: Harry si era sempre mostrato distaccato, un po’ indifferente, quasi se ne fregasse altamente di tutto ciò che gli era successo.
Eppure, Liz non riusciva a togliersi dalla testa l’espressione che gli aveva visto in volto durante la visita di Bernard… Quelle labbra serrate, quegli occhi pieni di disperazione.
Era più forte di lei. Avrebbe voluto capirne il perché.
«Ah, Harry, senti» disse Peter. «Il mio professore… sai, il dottor Connors… mi ha detto che vorrebbe incontrarti, proporti un progetto per la OsCorp…»
Harry sembrò stupito. «D’accordo» accettò poi, scrollando le spalle. «Fammi solo controllare la mia agenda per vedere quando sono libero…»
Peter alzò gli occhi al cielo. «Ma se non sei nemmeno tornato al… Aspetta. Non sei tornato al lavoro, vero?»
«Certo che no» si affrettò a dire Harry. Una parte di lui si sentì in colpa per quella bugia, ma che altro poteva fare? Sentiva che, se si fosse concesso una pausa, sarebbe impazzito… E non voleva che Peter si preoccupasse ulteriormente. «Va bene, digli che lo incontrerò con molto piacere».
Accanto a loro, intanto, le ragazze portavano avanti una conversazione completamente diversa.
«I tuoi come stanno?» stava domandando Liz a Mary Jane. «Tuo padre è sempre…?»
La ragazza dai capelli fulvi annuì. «Lo è sempre» confermò. «E mia madre non si è ancora decisa a lasciarlo. Comunque io me la passo meglio, adesso che vivo per conto mio…» Scrollò il capo. «E dei tuoi genitori cosa mi dici? Come stanno?»
La ragazza bionda fece un gesto vago. «Mah… Bene, penso».
«Prego?» domandò Mary Jane, sorpresa.
Era sempre stata lei, ad aver problemi con i suoi – con suo padre, a dire il vero. Da quel che ricordava, Liz era sempre andata d’amore e d’accordo con i propri genitori.
«Be’, non li vedo da un po’» spiegò Liz, pizzicando il telone da pic-nic. «Diciamo che abbiamo litigato…»
«Oh».
Peter e Harry si fissarono, facendo finta di niente, ma entrambi stavano ascoltando la conversazione delle due ragazze.
Evidentemente, Mary Jane non intendeva impicciarsi, ma Liz le spiegò lo stesso la situazione: «Quando ho detto che volevo fare l’infermiera, è scoppiato il finimondo. Non ne volevano proprio sapere. Così ho tagliato i ponti con loro».
Probabilmente Harry era l’emblema del fatto che le relazioni padri e figli non erano sempre rose e fiori, ma quel racconto gli sembrò un po’ assurdo. Non sapeva se giudicare più eccessiva la reazione dei genitori della ragazza, o quella di Liz.
«Wow» commentò Mary Jane. «Non mi sembravano i tipi da… Voglio dire, tuo padre era sempre così disponibile… Mi ricordo quando ci ha permesso di fare una festa nella sala da ballo del suo Avenue Dinner Club…»
Liz scrollò le spalle. «Lo ricordo anch’io. Quel tontolone di Flash aveva pensato bene di ubriacarsi».
Peter inarcò le sopracciglia. Ai tempi delle medie – così come al liceo, del resto –, non veniva mai invitato a nessuna festa… Peccato. Non sarebbe stato male, vedere Flash Thompson così giovane e già così privo di cognizione.
«Comunque» aggiunse Liz. «I tempi cambiano».
E con quel commento, la conversazione scivolò su lidi meno impervi, facendosi più svagata, poi Mary Jane distribuì i piattini, i bicchieri e i tovaglioli di carta, e i ragazzi diedero inizio al pic-nic.
«MJ mi ha detto che al liceo hai vinto il premio di scienze» osservò Liz dopo un po’, rivolta a Peter.
Il ragazzo ebbe la curiosa sensazione che lei cercasse di essere gentile per farsi perdonare tutti gli screzi dei vecchi tempi. «Eh, già» ammise.
«Lei lavora al jazz club in attesa di tornare alla ribalta» aggiunse Liz, come se non avesse dubbi sul fatto che presto l’amica sarebbe tornata a Broadway, «Harry dirige la OsCorp… Tu fai qualcosa?»
«A parte studiare?» replicò Peter. «Sono un fotografo freelance».
Liz prese una fetta di pane. «Sì?»
Il giovane scrollò le spalle. «Per il Daily Bugle» confermò.
«Fa le fotografie a Spider-Man» intervenne Mary Jane.
«Davvero?» chiese Liz, interessata. «E lo conosci?»
Lui si strinse nelle spalle. «In un certo senso» rispose.
Liz era chiaramente incuriosita, ma non insistette. «E hai… mmm, hai partecipato alla cerimonia…? Sai, quella in cui hanno dato a Spider-Man le chiavi della città».
Peter si irrigidì e guardò in direzione di Mary Jane. Se ripensava a quel giorno, si sentiva ancora un idiota per aver baciato Gwen Stacy.
«Sì» ammise cautamente.
Liz sospirò. «Mi hanno detto che è stata una cerimonia memorabile».
«Tu non c’eri?» chiese Harry, in tono discreto.
«Ero in ospedale» rispose la ragazza, scrollando le spalle. «Tu?»
«Ho partecipato anch’io» replicò lui, con un’occhiata fugace a Mary Jane. «Soffrivo ancora dei postumi della mia botta in testa».
Indirizzò a Peter uno strano sorriso, a metà tra la noncuranza e la malinconia, e l’altro ricambiò stringendosi nelle spalle.
«Ehm, okay» disse Liz, spostando lo sguardo dall’uno all’altro. «Mi sono persa qualcosa?»
Harry si girò verso di lei e si batté il dito su una tempia. «Perdita della memoria a breve termine. Per un incidente».
«Amnesia?» domandò la ragazza, sorpresa.
Non ricordava di averlo letto, sulla sua cartella clinica…
«È durata qualche giorno» replicò il giovane, «poi ho recuperato tutti i miei ricordi».
Peter si mise a fissare un punto indeterminato del cielo, come per rievocare un’immagine lontana.
Liz non se ne accorse, intenta com’era a scrutare Harry con curiosità. «E com’era?» non poté fare a meno di chiedere.
«Mica male» replicò il ragazzo. «Me la sarei anche tenuta».
Peter si schiarì la gola. «Se posso dissentire…»
Harry accennò un sorriso. «Dissenti, dissenti» gli disse. «Alla fine recuperare la memoria è stato un bene».
Peter sembrò sollevato, e sorrise all’amico con aria quasi grata.
Liz aggrottò la fronte, con la netta impressione di essersi persa qualcos’altro, ma a quanto pareva l’argomento si era chiuso lì.
Mangiucchiando un panino, la ragazza bionda ascoltò Peter e Mary Jane che proponevano alcuni aneddoti sui tempi del liceo.
Harry li osservava, e qualche volte accennava un sorriso… Loro erano felici, scherzosi ed energici, e un paio di volte riuscirono a far sì che il giovane contribuisse al racconto di qualche episodio memorabile.
Liz rise, e più volte si sorprese a guardare verso Harry.
In un certo senso, era come se la presenza di Peter e Mary Jane lottasse per far emergere un lato del tutto nuovo del ragazzo.
Liz pensò che avrebbe dovuto sorridere più spesso. Cicatrici o meno, aveva un bel sorriso.
Quando gli aneddoti si esaurirono, Peter e Mary Jane scambiarono qualche parola riguardo al futuro matrimonio. C’erano molte cose da organizzare, e oltretutto pareva che MJ non lo avesse ancora detto a suo padre. Sua madre si era offerta di riferire la notizia, ma la ragazza aveva rifiutato. Innanzitutto, non era sicurissima di volerlo al proprio matrimonio, e se proprio lui doveva esserne informato… lei preferiva farlo di persona.
In un tacito incoraggiamento, Peter cercò la mano della ragazza sul telo, e la strinse. Mary Jane sbatté le palpebre, poi alzò gli occhi sul ragazzo e sorrise.
Lo sguardo di Harry saettò un istante in direzione di quelle dita intrecciate, ma lui lo distolse subito.
Notando quella mossa, Liz si morse il labbro inferiore e si accigliò appena. Poi si spostò sul telone, avvicinandosi al giovane. «Vuoi del formaggio?» gli chiese.
Era la prima cosa che le fosse venuta in mente.
Harry la fissò. «No, grazie» rispose, mettendo una fetta di prosciutto nel proprio panino.
«Vedo che segui le prescrizioni» notò allora Liz.
«Già» replicò lui, tenendo il viso chinato. «Sono un bravo paziente. Mi chiedo come possa essermi preso quel mancamento».
Nel dirlo, abbassò la voce. Peter non ne sapeva niente, e Harry riteneva fosse meglio così. Per carità, non voleva imbrogliarlo… Ma neanche rischiare di averlo alle costole come un mastino.
«Forse perché ti era sfuggito che avresti dovuto stare a riposo» osservò Liz.
Harry sorrise. Fu un sorriso strano, come se lui fosse intimamente divertito da qualcosa che non c’entrava affatto con le parole della ragazza.
«Chi ha un’azienda da salvare non può stare a riposo» replicò.
Liz aggrottò la fronte, confusa. «Prendere l’ascensore equivaleva ad andare in bancarotta?»
Poi lo fissò.
«Oddio» capì. «Sei stato male dopo essere uscito dall’ospedale».
Harry lanciò un’occhiata in direzione di Peter, che fortunatamente stava discutendo animatamente con Mary Jane. A quel che pareva, non voleva che la ragazza sborsasse un solo centesimo.
«Ho solo partecipato a una riunione della OsCorp».
«Stressante» disse lei, e non era una domanda.
Harry scrollò le spalle, e Liz si allungò sul telo per prendere una salsa da spalmare sul pane. «Almeno è servita?»
«Oh, sì» assicurò Harry.
Ricordava ancora il neanche troppo velato rimprovero che lei gli aveva fatto in ospedale, e lo sollevava che non se la fosse presa.
Dal canto suo, la ragazza non poté fare a meno di notare che, mentre parlava, lui teneva il volto inclinato di lato, come a voler nascondere le proprie cicatrici.
Provò l’impulso di dirgli che non erano così brutte… No, okay, non era vero, lo erano, ma in ogni modo lei si era abituata, e non le facevano alcuna impressione… Alla fine, però, restò in silenzio.
«Qualsiasi dirigente aziendale ne sarebbe stato soddisfatto» proseguì Harry. «Ho esposto la mia idea, lodandone gli aspetti ideali, poi ho lasciato che facessero le loro obiezioni e le ho stroncate con argomenti estremamente pratici. E sarò pazzo, ma per me questo successo valeva un giramento di testa…»
Si aspettava che Liz sorridesse, o che scuotesse la testa. Che si congratulasse con lui o lo scrutasse con aria di rimprovero.
Invece, contro ogni aspettativa, la ragazza lo guardò dritto in faccia ed affermò, con sicurezza: «Tu non sei pazzo».
Harry la fissò, interdetto. Quando riuscì a riprendersi, piegò le labbra in un sorriso ironico. «Conosci molti pazzi, Liz?»
Lei distolse lo sguardo. «Smettila» gli disse, arrossendo.
Il giovane scrollò le spalle, ma continuò ad osservarla.
In tutta sincerità, le sue parole lo avevano colpito. Colpito e, inaspettatamente, rassicurato.
Non lo aveva confidato a nessuno – né a Peter, né a Mary Jane, e tantomeno a Bernard – ma tante volte non riusciva a guardare il proprio riflesso allo specchio, per timore di vedere il viso di suo padre.


















Spazio dell’Autrice:
Per la vostra gioia, oggi le note saranno corte (ho la febbre e la probabilità di scrivere idiozie è molto alta XD).
Dico solo che, in The Amazing Spider-Man (vol. 1) #17, il padre di Liz effettivamente rende disponibile tale Avenue Dinner Club per la figlia e i suoi amici…
E be’, spero che il capitolo vi sia piaciuto.
Appuntamento a mercoledì prossimo (il 27 febbraio)!

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Capitolo 7
*** Visita a domicilio ***


Capitolo 07 – Visita a domicilio

«Bernard?»
«Sì, signor Osborn?»
Harry era in piedi in mezzo alla propria stanza, con le mani sui fianchi.
Il legno chiaro della scrivania era interamente ricoperto di documenti di ogni genere, le ante dell’armadio erano spalancate e non c’era un cassetto che fosse chiuso.
«Hai per caso visto in giro una carpetta? Marrone, sottile…»
Il vecchio maggiordomo scosse la testa. «Non mi sembra, signore».
Harry imprecò tra i denti. Era tutto il giorno che la cercava… Quella carpetta conteneva alcuni documenti che avrebbe dovuto presentare l’indomani in una riunione alla OsCorp.
«Non capisco dove posso averla messa» si lamentò, frustrato.
«Ha controllato…» iniziò Bernard, per poi interrompersi.
Harry lo guardò. «Dove?» incalzò.
L’anziano esitò un istante, poi rispose: «Nello studio di suo padre».
Il giovane si irrigidì istintivamente, ma riuscì a replicare in tono tranquillo. «No, in effetti lì non ho guardato».
Lo studio di suo padre…
Dopo la lotta tra lui e Peter, quella stanza era stata mezza distrutta… E dopo che Harry era stato dimesso dall’ospedale, Bernard si era occupato di assumere degli operai che tuttora lavoravano per sistemare i danni fatti.
Era dalla sera dello scontro con Venom che Harry non vi metteva piede. Eppure, ora doveva riconoscere che era molto probabile che i documenti fossero lì.
Dopotutto, dopo la morte di suo padre, lui aveva spesso utilizzato lo studio come se fosse stato suo.
«Se vuole vado a controllare io, signore» si offrì cautamente Bernard.
Harry si morse il labbro. In effetti, non gli sarebbe dispiaciuto delegare la ricerca a Bernard, ma allo stesso tempo si sentiva sciocco.
Era solo una stanza.
Senza contare che una spiacevole vocina aveva iniziato a martellargli in testa, obiettando che non poteva scappare per sempre. Se non riusciva nemmeno ad entrare in quello studio, come avrebbe fatto a recarsi nel nascondiglio di Goblin?
Fino a quel momento, se ne era tenuto ben lontano, nonostante la voglia di iniziare a lavorare sul siero.
«No, Bernard, non c’è problema» si sentì rispondere. «Faccio da solo».
Uscì in corridoio, sentendo lo sguardo preoccupato del maggiordomo sulla nuca.
Aveva pensato che avrebbe iniziato subito ad agitarsi, invece era stranamente calmo. Un po’ come se quella faccenda non lo riguardasse.
Come se fosse qualcun altro, non lui, a camminare lungo il corridoio.
Il giovane allungò il passo, e poco dopo varcò quella soglia che tante volte aveva oltrepassato con disinvoltura.
Come ipnotizzato, si soffermò a guardare la foto appoggiata sulla massiccia scrivania che troneggiava nella stanza. Rappresentava lui – un se stesso più disinvolto, più giovane e più innocente – in compagnia di suo padre.
Con uno sgradevole sapore sul fondo della gola, Harry si girò, trovandosi a fronteggiare l’enorme quadro appeso alla parete.
Un ritratto di suo padre che andava ben oltre la grandezza naturale.
Mentre i suoi occhi indugiavano sul volto severo di Norman, il giovane sentì il cuore iniziare a battere più forte. Aveva le mani sudate.
Scrollò la testa, cercando di riscuotersi, e si girò.
Si avvicinò alla scrivania e si abbassò, aprendo un cassetto a casaccio. La carpetta era proprio lì, neanche qualcuno ce l’avesse messa per scherzo.
Per scherzo… Già, il genere di scherzo che fa impazzire chi lo subisce… Il genere di scherzo che sarebbe tanto piaciuto a Goblin.
Disturbato dalla piega che avevano preso i suoi pensieri, Harry si raddrizzò di colpo. In quel momento, una fitta lancinante gli trafisse il ventre, e la carpetta gli sfuggì dalle dita.
Con una smorfia di dolore, il giovane si portò una mano all’altezza dello stomaco.
“Adesso passa” pensò, serrando gli occhi. “Adesso passa”.
Si spostò a fatica, dirigendosi fuori dalla stanza.
Il dolore non era più così intenso, ma ora sembrava che tutto il suo corpo si ribellasse al suo controllo.
Faceva fatica a camminare, e una forte emicrania lo costringeva a tenere gli occhi socchiusi.
Alla fine, appoggiandosi al muro e dando fondo a tutte le sue energie, riuscì ad arrivare nella propria stanza.
Bernard era ancora lì, e lo aiutò a stendersi sul letto.
Il giovane affondò la faccia nel cuscino, ansimando e sperando che tutto finisse al più presto.

«Harry, la prego. Forse questa volta sarebbe saggio chiamarla davvero, un’ambulanza».
Il giovane scosse il capo. «No, Bernard» disse, per l’ennesima volta.
In qualche modo, era riuscito a mettersi seduto sul letto. Stava decisamente meglio di qualche momento prima, ma le ginocchia gli tremavano e il petto gli doleva.
Fece vagare lo sguardo… Mentre lui era nello studio, Bernard aveva riordinato un po’ la sua stanza… E dopo averlo aiutato a coricarsi, era andato a prendergli una bottiglia d’acqua che ora era poggiata sulla scrivania.
Il giovane ne fissò il tappo bianco mentre, con una certa riluttanza, si ritrovava a considerare l’idea di seguire il consiglio del maggiordomo… Poi gli venne in mente una cosa.
Quand’era ancora in ospedale, Liz gli aveva dato il suo numero affinché lui lo passasse a Mary Jane… Quindi perché non chiamare lei? In fondo era un’infermiera.
Francamente, preferiva essere visitato dalla ragazza piuttosto che da un estraneo.
Allo stesso tempo, era anche vero che gli sarebbe sembrato di approfittare di lei. Non si conoscevano molto bene, e probabilmente era occupata a fare il suo lavoro.
Harry esitò, stringendo le dita sui propri pantaloni.
“Non posso tornare in ospedale” pensò, disperato. “Non adesso”.
Aveva così tante cose da fare… Senza contare che Peter e Mary Jane si sarebbero preoccupati come non mai.
Furono quei pensieri a fargli prendere la sua decisione.
Sotto lo sguardo angustiato di Bernard, aprì la rubrica del proprio cellulare e chiamò il numero di Liz.
Lei rispose quasi subito. «Pronto?»
Harry si chiese se dipendesse dal suo mal di testa, ma gli sembrava che la voce di lei fosse più squillante di quanto ricordava.
In ogni modo, era sollevato di sentirla. «Pronto, Liz? Sono Harry».
«Harry?» ripeté lei. Sembrava un po’ perplessa, e il giovane non poteva certo biasimarla. «Ciao».
«Senti, sei in ospedale, adesso?» le domandò lui, per poi stringere forte i denti.
«No, perché?» Adesso il tono della ragazza era curioso.
«E hai qualche impegno?» aggiunse Harry.
«No» rispose nuovamente la ragazza, prima di incalzare: «Che succede?»
«Ecco, io…» Harry si fermò un attimo per respirare. «Non mi sento un granché, e volevo chiederti se potresti…»
«Ah, ho capito!» lo interruppe lei. «Visita a domicilio?»
«Sì» replicò Harry, sorpreso. «Se non è un disturbo…»
«Nessun disturbo» gli assicurò la ragazza. «Dammi il tuo indirizzo e sono subito da te».

Fu di parola, e nel giro di dieci minuti si presentò nel lussuoso attico degli Osborn.
Bernard l’accolse sulla soglia, prendendole la giacca e conducendola sino alla stanza di Harry.
Liz era stupefatta. Quel posto era davvero enorme. Lei era cresciuta nell’agio, e l’albergo gestito da suo padre non era certo modesto, ma il corrimano di legno intagliato, i superbi lampadari, i ricchi tappeti e gli ampi corridoi la meravigliarono.
«C’è qui la signorina Liz, signore» annunciò Bernard.
Harry sollevò gli occhi. Era sempre seduto sul letto, e quando aveva sentito i passi avvicinarsi aveva raddrizzato la schiena. Ora, istintivamente, girò il viso in modo che la guancia sana fosse quella più visibile.
In quanto a Liz, dimenticò all’istante ogni ricca superficie, e provò una fitta di preoccupazione nel notare il colorito pallido del giovane.
«Ciao» la salutò lui.
«Ehi» replicò la ragazza, avvicinandosi.
Harry rivolse un’occhiata al maggiordomo. «Ti ringrazio, Bernard, ora puoi andare».
L’uomo annuì.
Quando se ne fu andato, Liz riportò lo sguardo su Harry. «Ti sei misurato la temperatura?»
«Non mi sembra di avere la febbre» replicò il giovane.
La ragazza aveva la fronte corrugata. «Fai fisioterapia, vero?» domandò. «E prendi tutto quello che ti ha prescritto il medico?»
«E cambio puntualmente le garze» confermò Harry.
Liz annuì, con aria seria. «Okay. Fammi dare una controllata, magari la ferita ha fatto infezione».
Senza dir nulla, il ragazzo sollevò la maglietta per permetterle di dare un’occhiata al suo petto. Tra sé e sé, considerò ironicamente che, ai tempi del liceo, la prospettiva di trovarsi a torso nudo davanti a una ragazza gli sarebbe parsa utopia.
Alla fine dell’esame, Liz scosse la testa. «No. Non vedo tracce di infezione».
Harry riabbassò la maglietta. «Non dovrebbe essere positivo?»
Liz lo guardò con espressione accigliata. «È positivo» ammise.
«Come mai quella faccia, allora?»
La ragazza si strinse nelle spalle. «Vuol anche dire che non sono certa al cento per cento della causa del tuo malore. Insomma, sono quasi sicura che si tratti di stress, di stanchezza, però…»
Harry la fissò. «Però?»
Liz scrollò la testa bionda. «Credo sia meglio che tu ti faccia vedere da un medico».
Il giovane distolse lo sguardo. «No».
Lei sbatté le palpebre. «Senti, capisco che tu non voglia passare altro tempo dentro l’ospedale, ma si tratterebbe soltanto di una visita di controllo…»
«Ho detto di no!»
Liz trasalì.
Harry si pentì immediatamente di quello scoppio d’ira. Con una fitta di sgomento, realizzò che quella rabbia era fin troppo simile alla collera di Goblin.
«Scusami, io…» cominciò.
Non riuscì a finire.
Gli parve che una morsa si chiudesse improvvisamente sul suo petto, mozzandogli il respiro. Serrando gli occhi, il giovane si piegò sulle proprie ginocchia con un ansito.
«Harry!»
Sentì la mano di Liz sulla schiena e s’incurvò ancor di più, come per sottrarsi a quel tocco. «Vai… via…» disse, tra i denti.
Non gli importava di essere scortese, sapeva solo che farsi vedere in quello stato era troppo umiliante.
Improvvisamente, gli parve di tornare indietro nel tempo, di sentire la voce di suo padre riecheggiare nella propria testa.
Tu sei debole. Sei sempre stato debole e sempre debole sarai, finché non assumi il controllo.
«Vattene!» ringhiò, rivolgendosi a quel ricordo fin troppo nitido.
Liz si spostò, e per un istante Harry credette di averla spaventata eccessivamente, ma poi la udì trafficare con la bottiglia dell’acqua.
Dopo qualche istante, la ragazza gli tornò accanto, e gli passò un fazzoletto bagnato sulla fronte. «Calmo» gli disse, in tono tranquillizzante. «Va tutto bene».
Harry non rispose. Gli sembrava di avere lo stomaco pieno di cenere ardente. Aveva paura, una paura folle che Goblin avesse cominciato a risvegliarsi dentro di lui.
«E il fazzoletto è pulito, tra parentesi» aggiunse Liz.
A quelle parole, il giovane socchiuse gli occhi. «Questo mi consola» affermò, rocamente.
La vide sorridere, poi lei gli inumidì con cura il collo e le guance.
Harry continuava a sentire il bruciore della vergogna, e il panico per l’eco di Goblin lo faceva rabbrividire, ma non cercò più di allontanare Liz. Quella freschezza era troppo gradevole.
Poco a poco, il dolore si attenuò, e il giovane tornò a sedersi diritto. Anche la sua confusione era diminuita.
«Va meglio?» gli chiese Liz, scrutandolo con attenzione.
Lui si schiarì la gola, imbarazzato. «Sì».
La ragazza abbozzò un sorriso. «Allora direi che la causa era davvero lo stress. Se una crisi simile si dovesse ripetere, però, io informerei il tuo medico». Fece una pausa. «Se fossi in te».
Harry trasse un respiro profondo, e Liz si alzò per buttare il fazzoletto nel cestino vicino alla scrivania.
«Mi dispiace per come sono scattato» riuscì a dire Harry.
Lei si girò a guardarlo. «Non importa» replicò, «siamo tutti più intrattabili, quando stiamo male».
«Però non avevo ragione di sfogarmi su di te».
Liz sorrise, tornando a sedersi sul letto accanto a lui. «Almeno non mi hai lanciato niente addosso» osservò. «Ti assicuro che lo apprezzo molto».
Harry aggrottò la fronte. «Ti è capitato che ti lanciassero addosso qualcosa?»
Lei annuì con vigore. «Altroché!»
«Uhm» considerò Harry, iniziando a rilassarsi, «il mestiere dell’infermiera è più rischioso di quanto sospettassi».
Liz ridacchiò, e anche quello lo fece sentire meglio. Forse, in fondo, la voce di suo padre se l’era solo immaginata…
«In ogni modo» riprese, «quanto ti devo per la visita?»
Liz sgranò gli occhi. «Cosa?» esclamò. «Niente, figurati! Sei un amico».
Harry si meravigliò nel sentirsi definire in quel modo. «E da quando ciò equivale a scroccone?» domandò, nascondendo la propria sorpresa. «Non mi sembra un buon pretesto per farti finire sul lastrico».
«Non esageriamo» lo ammonì Liz. «Sì, i miei genitori non mi passano più soldi, però me la cavo».
«Ti sei presa il disturbo…» iniziò Harry.
«Non ho fatto molto» lo interruppe lei. «Davvero, Harry. Questa visita a domicilio era gratis. Mi offenderei, se tu mi dessi dei soldi».
Il giovane fece una smorfia. «Almeno lascia che ti offra un caffè, uno di questi giorni. Ti piace il caffè, vero?»
Liz dovette sorridere. «Sono un’infermiera» replicò. «Sono dipendente dal caffè».
«È un sì?»
Lei scrollò le spalle. «Lo è».


















Spazio dell’Autrice:
Questo capitolo è stato un lavoraccio, e tutt’ora non sono molto convinta.
Spero che sia colpa del mio essere iper-critica verso tutto ciò che scrivo.
Comunque!
Rinnovo i miei ringraziamenti a chi recensisce, preferisce, ricorda o legge soltanto questa storia… Siete la luce dei miei giorni u.u
Per scusarmi per il ritardo, metto qui i link a tre video che inseriscono Liz nei tre film di Spider-Man (e chiedo scusa a TheRainbowSideOfComics, perché per Liz ho usato Reese Witherspoon XD).
Li ho ripostati di recente, ma sono vecchi di qualche anno… e me ne vergogno un po’.
Insomma, sappiate che sono impedita e non dovete aspettarvi molto… Ma se vi interessano, eccoli:
Spider-Man with Liz Allen
Spider-Man 2 with Liz Allen
Spider-Man 3 with Liz Allen
A sabato 9 marzo, coraggiosissimi lettori ;) 

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Capitolo 8
*** Scienza e teatro ***


Capitolo 08 – Scienza e teatro

La villetta in cui viveva il dottor Connors si affacciava su un giardino ben curato.
Harry la osservò per un istante attraverso il finestrino, dopodiché scese dalla limousine e sbatté la portiera alle proprie spalle.
Dopo un istante, Peter lo raggiunse. «Un bel posticino» commentò.
Harry non staccò gli occhi dalla villetta.
«Comunque» aggiunse Peter, «grazie per aver lasciato che ti accompagnassi… Sono curioso di sapere di che esperimento vuole parlarti».
«Figurati» rispose Harry, in tono indifferente.
Peter gli scoccò un’occhiata un po’ costernata, poi si schiarì la gola. «Però ora mi sento fuori luogo» disse, lisciandosi la felpa e guardando i propri jeans in modo eloquente.
Finalmente, Harry si girò verso di lui ed accennò un sorriso. «E perché mai?» lo stuzzicò. «Stai così bene…»
«Nessuno ha mai detto il contrario» rispose Peter, sorridendo. «Ma tu sei in una tenuta leggermente più elegante».
Harry incurvò le labbra. «Giacca e cravatta sono d’obbligo, quando lavoro».
«Certo…» sospirò Peter.
«In ogni modo…» aggiunse Harry. «Cos’è tutto questo interesse improvviso verso i vestiti?»
Peter scrollò le spalle. «Oh, è solo che MJ sta cercando di farmi trovare lo smoking perfetto… A me sembrano tutti uguali, ma tu questo non dirglielo».
«Manterrò il segreto» concordò Harry, e i due iniziarono ad arrancare verso la porta. «In ogni modo, lo sai cosa sarebbe forte?»
L’altro aggrottò la fronte. «Sinceramente ho paura a chiederlo: cosa?»
«Un duo di supereroi che lottano contro il crimine» rispose Harry.
Peter lo strattonò per la manica della giacca, costringendolo a fermarsi. «Stai scherzando».
«Veramente no».
«Be’, è un’idea stupida» dichiarò Peter. «Prima di tutto, Spider-Man lavora da solo. E, come seconda cosa, tu non sei un supereroe».
Tacque il motivo più importante: non voleva rischiare di perdere il suo migliore amico.
Harry fece un sorrisetto enigmatico. «E chi lo dice?»
Peter alzò gli occhi al cielo. «Harry, promettimi che non farai niente di stupido» disse poi, in tono serio. «Devi ancora riprenderti».
Per un istante, l’altro distolse lo sguardo.
Dopo un po’, però, riportò con riluttanza gli occhi sull’amico. «D’accordo» cedette, «ma non potrò stare in convalescenza per sempre».
«Peccato» sospirò Peter, mentre riprendevano a camminare. «Comunque vorrei che tu evitassi le stupidaggini anche quando sarai guarito».
Harry gli gettò un’occhiata, e notò la preoccupazione negli occhi dell’altro. «Vedrò cosa posso fare» mormorò, prima di suonare il campanello.
Ad aprire la porta fu un ragazzino che li guardò con aria quasi sospettosa. «Chi siete?»
I due amici si scambiarono un’occhiata perplessa, poi Harry esordì in tono educato: «Sono Harry Osborn, ho un appuntamento col dottor Curt Connors».
Il ragazzino annuì. Si voltò verso l’interno della casa e chiamò: «Papà! C’è il signor Osborn per te!»
Quasi subito, sentirono dei passi avvicinarsi, e Curt Connors comparve dietro il figlio. «Grazie, Billy» gli disse, arruffandogli i capelli, «torna pure a giocare».
Il bambino sgusciò via, e Connors si allungò per stringere la mano di Harry.
«Signor Osborn, è un piacere conoscerla» affermò. «La ringrazio per essere venuto».
«Nessun disturbo» replicò Harry, per poi accennare col mento al suo amico. «Spero non le dispiaccia se ho portato Peter…»
L’uomo diede una rapida occhiata al suo studente, aggrottando la fronte, ma alla fine scosse la testa. «No, certo che no» assicurò. «Se ora volete seguirmi…»
Li guidò attraverso un corridoio ampio e illuminato, sino ad uno studio piuttosto spazioso.
Il dottor Connors porse una cartellina ad Harry, quindi esordì: «Non so se Peter gliel’ha detto, ma oltre a fare il professore sono un erpetologo piuttosto rinomato…»
Harry aprì la carpetta, trovandosi davanti dei documenti e dei grafici che parlavano di DNA… E di lucertole. “Ma certo” pensò. “Erpetologia, la scienza che studia rettili e anfibi…”
«In breve» affermò Connors, «la mia idea si potrebbe riassumere come genetica di incroci tra specie».
Peter aggrottò la fronte e si tese in avanti, sbirciando i documenti che Harry stava sfogliando.
«Pensate» riprese il dottore, «una lucertola ha la capacità di rigenerare la propria coda… Se riuscissimo a passare questa capacità agli esseri umani, se gli esseri umani potessero rigenerare i propri arti…»
Harry tenne la testa china, osservando alcuni dati riguardanti l’RNA messaggero, ma per un attimo i suoi occhi balenarono verso il braccio mancante di Connors.
Alla fine, il giovane Osborn si girò e scambiò una mezza occhiata con Peter, poi tornò a guardare il professore. «Posso farle un paio di domande?»

Circa un’ora più tardi, Peter e Harry uscirono dalla villetta, dirigendosi verso la Rolls Royce parcheggiata davanti al giardino.
Quando furono seduti nei sedili posteriori, Peter parlò. «Allora? Che ne pensi?»
Harry sbuffò appena, fissando la cartellina sulle sue ginocchia. «Veramente avrei voluto chiederti cosa ne pensi tu» replicò, alzando gli occhi sull’amico.
Quest’ultimo si strinse nelle spalle. «Non saprei» mormorò. «Come idea è affascinante, non posso negarlo, però… ci sono molti punti che non mi convincono».
«Ad esempio?» incalzò Harry.
«Be’, mettiamo che funzioni» rispose Peter. «Quali potrebbero essere gli effetti collaterali? E se la nuova specie innestata, la lucertola, si rivelasse quella dominante?»
Harry lo guardò, per poi rimuginare: «Come ipotesi non è per niente confortante».
«Già» mormorò Peter, voltandosi verso il finestrino.
Si sentiva in colpa per aver espresso ad alta voce i propri dubbi. Durante l’incontro, infatti, non aveva potuto fare a meno di notare quanto il dottor Connors sembrasse tenere al suo progetto…
«Oh, be’» disse Harry. «In ogni caso, gli ho detto che ne avrei dovuto parlare col consiglio. E se i rischi sono tali, dubito che approveranno…»
Peter sospirò, guardando l’amico. «Forse è meglio così. Però mi dispiace per il professor Connors. È una brava persona».
«Ma se il suo esperimento è pericoloso, allora è meglio così anche per lui» osservò Harry, in tono ragionevole. «Non credi?»
Peter annuì. «Già…»
In quel momento, Harry guardò l’orologio e aggrottò la fronte. «Pete, ti dispiace se ti mollo qui?» domandò. «Avrei un appuntamento».
L’altro lo fissò. «Con chi? Col consiglio della OsCorp?»
«Con Liz, veramente» replicò Harry.
Peter non credeva alle proprie orecchie. «Non mi stai prendendo in giro, vero?»
«Figurati se dovrei prenderti in giro» rispose il giovane. «Non è niente di straordinario. Le offro un caffè, tutto qui».
Peter guardò l’amico con aria incuriosita, poi scrollò le spalle. Si sentiva stranamente euforico. Forse perché, negli ultimi mesi, Harry si era chiuso un po’ a riccio, ed era bello vederlo uscire dal guscio.
«Be’, salutamela… e divertitevi» augurò, mentre l’autista accostava l’auto al marciapiede.
«Senz’altro» assicurò Harry, mentre Peter sgusciava fuori.
L’insospettabile alter ego di Spider-Man gli fece un ultimo saluto, poi sbatté le portiera e si allontanò a passo svelto, dopodiché l’automobile riprese a percorrere la strada trafficata. Quando Charles si fermò davanti al bar, Harry scrutò fuori dal finestrino.
Liz era già arrivata. Era seduta a uno dei tavolini all’aperto, e leggeva un libricino dalla copertina azzurra. I capelli biondi le ricadevano davanti agli occhi, ma lei non sembrava accorgersene. Teneva lo sguardo incollato alle pagine, e si mordicchiava il labbro inferiore.
Harry non indugiò oltre. Salutò l’autista e scese dalla Rolls Royce, chiudendo la portiera dietro di sé. Si avvicinò a Liz. «Ciao».
Lei alzò la testa e, come lo vide, gli rivolse un sorriso radioso. «Ehi. Accidenti, che eleganza».
Harry scrollò le spalle, slacciandosi la cravatta e infilandosela in tasca. «Vengo direttamente da un incontro di lavoro» spiegò. «Spero di non sembrare troppo fuori luogo».
«Nah, non penso sia un problema» replicò lei.
Harry accennò un sorriso. «Cosa leggi?» chiese quindi.
La ragazza fece penzolare il libro davanti ai suoi occhi. «Una donna senza importanza» rispose.
«Una commedia di Oscar Wilde?» fece Harry, tendendo la mano.
Liz gli passò il volumetto. «Hai qualcosa contro Oscar Wilde?»
Lui scorse rapidamente qualche pagina. «No, affatto» garantì. «È solo che… sai com’è… di solito le commedie vengono guardate, non lette. Hai presente il teatro?»
Liz gli indirizzò una smorfia. «Ho presente il teatro, grazie».
«E allora perché non ci vai?» insistette il ragazzo.
«Perché non ho tempo» ribatté lei, pazientemente. «E all’ospedale c’è un medico che… be’, è ossessionato dal desiderio di assicurarsi che noi infermiere abbiamo una vita privata. Così gli ho mentito, quando mi ha chiesto se sono stata a teatro di recente, Però…» – e arrossì appena – «…sono stata così furba da dirgli che avevo visto “Una donna senza importanza”. E pare che lui la conosca a menadito. Così, nei ritagli di tempo, me la leggo».
Harry la fissò, sbigottito. «Dovresti davvero andare a teatro. Risparmieresti tante di quelle energie…»
«Ti ho già detto che non ho tempo».
«Oh, andiamo!» sbottò Harry. «Senti, facciamo così: ti ci porto io. Ci sarà pure un giorno in cui stacchi a un orario umano».
«Ogni tanto capita» ammise lei, sbirciandolo con quei suoi occhi azzurri.
Harry fece un sorriso soddisfatto, sfogliando un po’ il libro. «Bene. Allora vedrai che una commedia di Oscar Wilde la troviamo. Che c’è?» aggiunse quindi.
«Mi stai invitando a teatro?» chiese Liz, stranamente cauta.
Harry inarcò un sopracciglio. «Sì» disse infine. «Devo dire che è un po’ che non vado a teatro, da quando…»
S’interruppe, abbassando gli occhi sul libro.
Liz fece finta di nulla, ma Harry sapeva che aveva capito benissimo come sarebbe dovuta finire la frase. “Da quando ho metà faccia così”.
«Be’» disse lei, «allora andiamo».
A quelle parole, Harry accennò un sorriso che si spense non appena gli cadde lo sguardo sulla battuta di una tale Mrs. Arbuthnot.
Non vi illudete, George. I figli all’inizio amano i genitori. Successivamente li giudicano. Raramente, per non dire mai, li perdonano.
«Stai bene?» chiese Liz.
Lui rialzò gli occhi, la fronte aggrottata. «Sicuro» assicurò, chiudendo il libro e restituendolo alla ragazza. «Ho solo trovato una frase in cui… mi sono riconosciuto».
Liz lo osservò, incuriosita. «E quale?»
Harry non poté fare a meno di sorridere. «Non te lo dico».
La ragazza, allora, si finse offesa e gli mostrò la lingua, ma sorrideva anche lei.
Harry girò il viso. Raramente, per non dire mai, li perdonano. Quel pensiero gli dava uno strano dolore.
«Allora» disse Liz, in tono spigliato, «vogliamo prenderlo o no, questo benedetto caffè?»
Harry si riscosse. «Vogliamo eccome».
















Spazio dell’Autrice:
Bonjour à tout le monde!
Dunque. Parliamo delle comparse.
Il figlio del dottor Connors, Billy, è davvero presente nel fumetto.
Riguardo all’autista di Harry, nel primo film, arrivando davanti al museo, il giovane chiede: “Ehm, scusa, Charles, possiamo girare l’angolo?” Quindi no, non mi sono inventata il suo nome.
Oscar Wilde è uno dei miei grandi amori, quindi non poteva che infilarsi nella storia ♥
Be’, spero che l’idea del dottor Connors non sia parsa così bislacca (incolpate il fumetto XD Okay, magari anche me, perché manco della capacità di far suonare realistiche certe cose…) e che il capitolo vi sia piaciuto!
A sabato prossimo, il 16 marzo!

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Capitolo 9
*** Bloccato ***


Capitolo 09 – Bloccato

Qualche giorno più tardi, Harry e Peter si ritrovarono a casa Osborn per guardare una partita di basket.
Come prima cosa, Peter si lasciò crollare immediatamente su una sedia della cucina. «Uff» sospirò, «adoro la tua tivù».
«Io adoro il fatto che tu abbia portato la pizza» replicò l’altro, prendendo una fetta grondante di formaggio fuso.
Mentre iniziava a mordicchiarla con cautela – era ancora calda –, riservò un’occhiata all’amico, notando che sembrava esausto. Probabilmente aveva avuto qualche impegno come Spider-Man.
«Per curiosità, tu e MJ cosa pensate di fare per l’appartamento?» domandò. «Verrà lei da te o andrai tu da lei? Dopo il matrimonio, intendo».
«Veramente stiamo cercando un appartamento nuovo di zecca» rispose Peter, con un mezzo sorriso. Allungò la mano e la fece indugiare sulla pizza, prima di scegliere una fetta. «E io cerco di mettere insieme soldi a sufficienza per permettercelo».
«Ehi!» esclamò Harry, folgorato da un’idea. «Io potrei…»
«Alt» lo fermò Peter, alzando la mano destra. «Non so se possiamo accettare un appartamento come regalo di nozze».
Harry sbuffò. «Perché no?»
L’amico scrollò le spalle. «Cerchiamo di responsabilizzarci».
Harry non disse nulla, limitandosi a scuotere la testa.
Dentro di sé, sentiva quasi il bisogno di fare ai propri amici un regalo esagerato e dispendioso.
Forse, se avesse comprato loro una casa, si sarebbe sentito più utile. Più partecipe alla loro unione. E magari sarebbe riuscito a mettere da parte la sgradevole sensazione di essere solo – solo ed escluso.
Peter e Mary Jane cercavano un appartamento? Si preparavano a nozze imminenti?
Non ci poteva essere segnale più eloquente del fatto che loro stessero portando avanti le loro vite, mentre lui… Lui si sentiva bloccato.
Inconsapevole dei pensieri che gli passavano per la testa, Peter accese la televisione.
«Ancora pubblicità» si lamentò, sporgendosi sul tavolo per prendere un’altra fetta di pizza. «Ehi, quasi dimenticavo: e l’appuntamento con Liz com’è andato?»
Harry inarcò un sopracciglio. «Come dovrebbe essere andato?» replicò. «Abbiamo scambiato due parole e abbiamo preso un caffè. Non c’è un granché da raccontare».
Peter si impegnò a fondo per non apparire deluso. Ma in fondo in che risposta aveva sperato? Non lo sapeva nemmeno lui.
«Ah. E lei è… be’… simpatica?»
«Non dovresti conoscerla meglio di me?» domandò Harry. «Siete stati alle scuole medie insieme, io l’ho incontrata per la prima volta poche settimane fa».
«Non eravamo molto amici» rispose Peter. «Lei non faceva che urlarmi contro… No, aspetta. Una volta mi ha difeso».
Fissò il soffitto con aria ispirata, cercando di ricordare.
«Avevo appena fatto una presentazione di scienze, credo… Flash mi aveva fatto il verso, e Liz se l’è presa con lui, chiamandolo “tontolone senza cervello”, o qualcosa del genere».
Harry si lasciò sfuggire un sorriso. «Caspita» commentò, prendendo una fetta di pizza. «Avrei voluto assistere alla scena».
«Sì» ammise Peter, «è stata memorabile».
Harry annuì, sgranocchiando. «Comunque» disse, quand’ebbe finito il boccone, «non penso che adesso ti urlerebbe più contro. Con me è stata molto gentile».
Peter sorrise, prendendo una fetta di pizza. «Si sa, il tempo cambia le persone».
L’altro fece per rispondere, ma a quel punto furono distratti dall’inizio della partita. Presero a seguire l’azione dei giocatori sullo schermo piatto, scambiandosi qualche gomitata esultante quando la loro squadra segnava un canestro.
A distrarli da quella lotta a colpi di lanci e rimbalzi, fu la fine della pizza.
«Oh, diavolo» commentò Harry, tastando il cartone. «Abbiamo finito il cibo».
Peter sembrava altrettanto contrariato. «Lo sapevo, avrei dovuto comprarne due».
«O tre» rincarò la dose Harry. «Aspetta! Perché non ti cali dalla finestra? Qui vicino c’è una pizzeria niente male…»
«Pfffft» fece Peter. «Sarà anche vero che adesso tanti cittadini mi apprezzano… Ma non so se esiste qualcuno disposto a vendere una pizza a Spider-Man».
«Che schifezza» commentò Harry, dandogli qualche pacca sulla spalla. «Che dici? Secondo te, qualcuno la venderebbe a New Goblin?»
Peter rabbrividì, poi scrollò la testa con aria scontenta. «Tu hai bisogno di uno psichiatra».
«Indubbiamente vero» concordò l’altro. «Ma voglio proprio vedere come trovarne uno a cui poter dire: “Il mio problema è che mio padre era Goblin”».
Nelle sue intenzioni, avrebbe dovuto essere una battuta. Eppure, quando lo disse, sentì una punta di malessere, perché si rese conto di quanto fosse vero.
Era suo padre il suo problema. Era a causa di Norman Osborn se lui ne aveva passate così tante, se lui era diventato Goblin e aveva cercato di uccidere il suo migliore amico.
Si accorse che Peter si era fatto serio in volto, e lo osservò di sottecchi.
Il suo amico non sapeva quanto aveva ragione, dicendo che lui avrebbe avuto bisogno di uno psichiatra.
Per la prima volta, Harry considerò davvero che vedere suo padre negli specchi e sentire la voce di Goblin nella propria testa potevano essere indice di pazzia.
E non era nemmeno tutta colpa del siero.
In fondo, la prima volta in cui aveva visto Norman al posto del proprio riflesso, non aveva ancora assunto la formula di Goblin.
«Tutto bene?» domandò Peter, con cautela. «Se vuoi…»
Harry, però, si affrettò a scuotere la testa. «Va tutto bene» dichiarò, spostando gli occhi sullo schermo. «Vediamo un po’ se riusciamo a battere questi schifosi una volta per tutte…»

Il giorno seguente, Harry si ritrovò spaventosamente libero da impegni.
Cercò di distrarsi prima leggendo qualcosa, poi facendo due chiacchiere con Bernard.
Purtroppo, la sua mente sembrava comportarsi come un elastico, e si allungava puntualmente verso pensieri che il giovane non avrebbe voluto affatto esaminare.
Alla fine, afferrò una copia del Daily Bugle. Il fatto che il giornale attaccasse Spider-Man non lo meravigliò più di tanto – il suo editore, J. Jonah Jameson, continuava ad essere uno dei più accaniti detrattori dell’eroe – e si chiese come Peter prendesse la cosa.
Poi scrollò il capo e diede un’occhiata alla pagina degli spettacoli. Lì, gli saltò subito all’occhio che quella sera ci sarebbe stata una commedia di Oscar Wilde.
Immediatamente, pensò a Liz.
La commedia in programma non era “Una donna senza importanza”, bensì “Un marito ideale”, ma Harry si disse che poteva andar bene lo stesso.
Dopo un momento, prese il telefono per chiamare la ragazza.
Quest’ultima, però, non rispose, e dopo un po’ Harry si arrese, mettendo giù la cornetta con un sospiro. A quanto pareva, non avrebbe avuto la distrazione del teatro.
Proprio mentre formulava tale pensiero, però, il telefono iniziò a squillare insistentemente, e il giovane rispose: «Pronto?»
«Pronto, Harry?» replicò la voce di Liz. «Hai provato a chiamarmi?»
Il giovane si sedette sul divano. «Sì. Volevo chiederti se stasera sei libera».
«Stasera?» ripeté la ragazza, in tono interrogativo. «Be’, sì…»
«Ottimo» approvò Harry, «perché danno una commedia di Oscar Wilde».
«Oh!» fece Liz, sorpresa. «Una donna senza importanza?»
«Un marito ideale, veramente» replicò lui, «però potresti sempre dire al tuo amico medico di aver sbagliato a dirgli il titolo».
La ragazza si prese un istante per pensare. «Be’, okay» disse alla fine. «Accetto l’invito… Piuttosto, sei sicuro che troveremo posto?»
Harry si concesse un breve sorriso. «Dimentichi che sono il dirigente di una delle maggiori industrie mondiali» le fece notare. «Ho un palco riservato».
«Accidenti» commentò Liz, e sembrava divertita. «Sì, ammetto che questo cambia tutto».
«Va bene, allora passo a prenderti alle otto e mezza» concluse Harry.
«D’accordo» accettò Liz, e dalla sua voce pareva proprio che stesse sorridendo. «Ci vediamo».
Harry annuì. «Ci vediamo» confermò, prima di chiudere la chiamata.
Rimase fermo per un attimo, con aria pensosa, poi chiamò: «Bernard!»
Il maggiordomo comparve quasi subito. «Sì, Mr. Osborn?»
«Ti dispiace dire a Charles di preparare la Rolls Royce per stasera?» domandò il giovane.
«Lo avverto subito» replicò Bernard. «Dove deve portarla?»
«A teatro con un’amica» replicò Harry.
«Un’amica?» ripeté il vecchio maggiordomo.
«Già» confermò Harry. «È l’infermiera che avevo chiamato quando sono stato male…»
«La signorina Elizabeth Allen…» capì Bernard.
Harry annuì. «Esatto».
L’anziano maggiordomo reclinò la testa, e per un istante Harry fu certo di vedere un accenno di sorriso sul suo volto rugoso.
«Molto bene, Harry. Vado ad avvertire Charles…»

Alle otto e mezza in punto, la lucida Rolls Royce guidata da Charles si posteggiò davanti al condominio dove abitava Liz.
Harry aspettò che l’uomo gli aprisse la portiera, dopodiché scivolò fuori dall’auto. Fece giusto in tempo a muovere qualche passo verso l’abitazione, quando il portone d’ingresso si aprì, e Liz uscì dalla casa.
Per l’occasione, si era arricciata i capelli. Indossava una gonna e una maglietta azzurre, nonché un maglioncino bianco.
«Ehi» la salutò Harry. «Sei puntuale come un orologio svizzero».
Lei gli sorrise. «Chi ha detto che le ragazze si fanno attendere secoli?»
«Io no di certo» mormorò il giovane, girandosi verso la Rolls Royce.
Charles era fermo accanto all’auto, le braccia dietro la schiena.
«Vogliamo andare?» chiese Harry, indicando la lucida macchina nera con un gesto galante.
Liz precedette il ragazzo. «Ma dai, una Rolls Royce? Avrei dovuto sapere che Mr. Miliardario non gira in bicicletta» scherzò.
«E se fossi venuto in bici dove ti avrei messo, nel cestino?» ribatté Harry, storcendo il naso.
Anche Charles sorrise. «Mr. Osborn» disse. «Signorina…»
Dopodiché, aprì la portiera, ed Harry fece segno a Liz di precederlo. «Prima le donne».
Quando la ragazza si fu trascinata sino all’altra parte dell’auto, sedendosi comoda accanto al finestrino, Harry salì a propria volta.
«Allora» esordì, schiarendosi la gola mentre Charles metteva in modo l’auto, «immagino tu sia contenta. Finalmente nei ritagli di tempo potrai dormire, invece che leggere il copione di una commedia».
«Contentissima» concesse Liz, lisciandosi distrattamente la gonna.
Azzardò anche un sorriso sfinito, e solo in quel momento Harry notò che sembrava esausta, come se quella notte non avesse chiuso occhio.
«Stai bene?» le chiese, aggrottando la fronte.
Liz sussultò. «Cosa? Oh… Oh, sì! Certo».
«Sembri sfinita» osservò Harry, ancora accigliato.
La ragazza si girò verso il finestrino, come per cercare di controllare il proprio riflesso. «Si vede così tanto?» gemette alla fine, tornando a guardare Harry.
«No» la rassicurò lui, «ci vuole un occhio allenato come il mio».
Liz lo fissò, come per capire se la stava prendendo in giro.
«In ospedale hai fatto le ore piccole?» aggiunse Harry.
Dentro di sé, si maledisse. Perché non le aveva chiesto se si sentiva di uscire, invece di limitarsi a chiederle se era libera?
«No, è che… non sono riuscita a dormire molto, stanotte» mormorò Liz. «Avevo dei pensieri».
Harry non seppe come replicare. Eppure, in quegli ultimi giorni era diventato un professionista nell’avere una marea di pensieri a tenerlo sveglio.
Improvvisamente, Liz sembrava quasi ansiosa. Harry la vide deglutire.
«Io…» iniziò la ragazza, con quello che parve un grande sforzo. «Tu… Se ci fosse qualcuno a cui vuoi bene… molto bene… E quel qualcuno avesse bisogno di te… E tu provassi ad aiutarlo, ci provassi davvero, ma non servisse a niente…»
La voce le si strozzò, e lei tacque.
Harry era ammutolito: per un istante – un istante solo, ma non gli era sfuggito – l’espressione della ragazza si era fatta quasi angosciata.
«Scusami» si affrettò a dire Liz, passandosi una mano sotto gli occhi. «Non avrei dovuto… Non volevo…»
«Non preoccuparti» replicò Harry, fermamente.
Per un istante, rimasero in silenzio, entrambi un po’ a disagio.
«Stai bene?» domandò Harry, alla fine.
Lei abbassò gli occhi, poi li rialzò sul ragazzo e annuì. «Sì, sto bene» disse, con forza.
Harry aveva dei grossi dubbi sulla veridicità di quell’affermazione, ma prima che potesse pesare a qualcosa da dire, Charles fermò l’auto davanti al teatro.
Erano arrivati.
















Spazio Autrice:
Ciao a tutti!
Dopo una settimana in Francia, eccomi qui col nuovo capitolo (mi stavo quasi dimenticando dell’aggiornamento, ahi, ahi…).
Spero vi sia piaciuto…
Il fatto che Liz sia “puntuale come un orologio svizzero” è una sottospecie (molto sotto e poco specie…) di citazione di una battuta della ragazza in Amazing Spider-Man #169. In pratica, Harry si complimenta per il fatto che arriva giusto in tempo, e lei risponde: “The last of the punctual fianceés, that’s me!”
Per il resto, niente. Vi do appuntamento a sabato prossimo, il 23 marzo!

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Capitolo 10
*** Un marito ideale ***


Capitolo 10 – Un marito ideale

Quando salirono sul palco e si accomodarono su due poltroncine di velluto, Harry aveva il cuore pieno di amarezza.
Si sfiorò le cicatrici che gli segnavano il volto, e gli sembrarono dure e terribilmente profonde. La sua guancia doveva avere l’aspetto della terra spaccata dall’arsura.
Improvvisamente, provò un’ondata di rabbia e di frustrazione. Perché non era rimasto chiuso in casa?
Come se i suoi pensieri lugubri non fossero già un bel tormento, ora i suoi nervi si sentivano logorati dal passaggio in mezzo a un mucchio di estranei.
Ormai, avrebbe dovuto aver fatto l’abitudine agli occhi che si fissavano sul suo volto… Ma non era così.
Si sentiva mostruoso, come se la pelle ustionata portasse in superficie Goblin, i crimini di suo padre e i suoi tentativi di vendetta.
«Stai bene?»
Lui si riscosse, girandosi verso Liz. La ragazza lo scrutava con attenzione… e senza la minima traccia di ripugnanza.
Il suo non era uno sguardo imbarazzato, o morboso. Era solo lo sguardo di qualcuno che è preoccupato.
Harry deglutì rapidamente. «Sì… Sì, mi sono solo distratto un attimo…»
Liz accennò un sorriso.
Il giovane la valutò in silenzio. Una parte di lui si era aspettata di vederla un po’ assonnata, di scorgere le tracce di stanchezza che aveva visto in auto… Inspiegabilmente, però, il teatro sembrava averla rivitalizzata.
«Sai cosa?» chiese la ragazza. «L’ultima volta che ho visto uno spettacolo, ero con mio padre».
Ma certo, pensò Harry. La famiglia ricca.
Liz non era affatto nuova ai palchi riservati, il giovane lo capiva dalla sua posa rilassata.
Forse, era per quello che lei sembrava quasi rinvigorita: perché si trovava in un ambiente familiare, magari collegato a ricordi piacevoli.
«MJ mi ha detto di aver recitato ne “L’importanza di chiamarsi Ernesto”» aggiunse Liz, vivacemente.
«Già» annuì Harry. «Era bravissima».
Provò una fitta al petto, pensando a Mary Jane in un candido, elegante costume di scena.
Liz picchiò due dita sulla propria guancia. «Mi ricordo che ogni volta, alle scuole medie, non vedeva l’ora di partecipare alle recite scolastiche» raccontò.
Harry dovette riconoscerglielo. Non era una che si scoraggiava facilmente. Al contrario, non si faceva abbattere né dal suo silenzio né dalle sue risposte laconiche.
«E tu?» le chiese.
Lei scrollò le spalle, e il giovane ebbe la bizzarra sensazione che preferisse parlare degli altri, piuttosto che di sé.
«Io ero più il tipo che aspettava le partite di basket per guardare i bei ragazzi» ammise Liz.
Harry sorrise. Tornò subito serio perché sentiva le cicatrici tirare, ma dentro di sé pensò che non c’era niente di male. Dopotutto, il solo motivo per cui lui e Peter avrebbero voluto entrare nella squadra di basket della scuola erano le cheerleader.
La ragazza fece per aggiungere qualcosa, ma a quel punto il sipario iniziò ad aprirsi, e in platea si fece immediatamente silenzio.
Liz si voltò verso il palcoscenico con espressione quasi sorpresa, poi congiunse le mani sotto il mento e i suoi occhi si fecero attenti.
La scena si schiuse su una stanza affollata, mostrando la padrona di casa che accoglieva un ospite dopo l’altro, ma facendo sì che l’occhio dello spettatore si focalizzasse su due donne sedute su un divano.
«Vai dagli Hartlok stasera, Margaret?» domandò la prima, ergendosi nella sua fragile bellezza con fare aristocratico.
«Credo di sì» replicò l’altra, nello stesso tono esageratamente cortese. «E tu?»
Harry si ritrovò a distogliere lo sguardo per posarlo su Liz, mentre giungeva la risposta: «Sì. Danno dei ricevimenti noiosissimi, non ti pare?»
La ragazza bionda sembrava perfettamente a proprio agio, e teneva gli occhi fissi sul palcoscenico.
«D’una noia mortale» concordò petulante Margaret.
Harry socchiuse gli occhi e si posò piano una mano sulla guancia destra. Invece di prestare la dovuta attenzione alle battute delle due attrici, si ritrovò a rimuginare su Liz.
Forse, quando era con lei, non si sentiva rilassato come con Mary Jane, con Peter, o con Bernard… Però non si sentiva nemmeno teso o sotto pressione come quando era in compagnia di colleghi o di estranei.
No, con Liz provava la bizzarra sensazione di poter essere se stesso… Anche se, come nascondeva parte del suo dolore ai propri amici, la nascondeva anche a lei.
D’altro canto, quella sera – e, ora che ci pensava, talvolta anche in ospedale – gli era parso che la ragazza avesse a sua volta qualcosa da mascherare.
Quel discorso sul cercare di aiutare una persona a cui vuoi bene… Harry ne era rimasto colpito, o forse a colpirlo era stato il modo in cui lei aveva tirato fuori quelle parole, a fatica.
Probabilmente, le teneva sepolte nel proprio cuore da molto tempo… E aveva scelto di dirle a lui. A lui, nonostante si conoscessero appena.
«Non vedo nessuno, qui, che possa diventare lo scopo d’una vita» sospirò una delle attrici, in tono enfatico.
Harry sbatté le palpebre, realizzando di essere intento a fissare Liz. Distolse lo sguardo, tornandosi a voltarsi verso il palcoscenico.
«Il mio vicino di tavola mi ha parlato di sua moglie per tutta la durata del pranzo».
Piano, Liz alzò una mano a grattarsi distrattamente una guancia. Corrugò la fronte, quindi si girò in direzione di Harry, ma il ragazzo stava seguendo lo spettacolo con aria neutra.
«Che persona volgare!»
Per quanto la giovane scorgesse il profilo sinistro dell’amico, si rese subito conto del fatto che Harry si copriva la guancia destra con una mano, in un gesto quasi inconscio per proteggerla dal resto del mondo.
«Orrendamente volgare. E il tuo cavaliere di cosa ti ha parlato?»
Liz sentì una stretta al cuore. Provò l’impulso di allungare la mano e di afferrare quella del ragazzo.
A lei faceva piacere essere lì, in teatro, ma se Harry si trovava a disagio… Avrebbe voluto proporgli di tornare a casa.
«Di me».
In quel momento, Harry si accigliò, sentendosi osservato, e dopo un istante si voltò verso la ragazza che gli sedeva accanto.
«E ha destato il tuo interesse?»
«Neanche un po’!»
Liz abbozzò un mezzo sorriso.
Harry se ne sorprese, poi ricambiò il suo sguardo.
Perché quella sera, dopotutto, lei si era fidata di lui… Sì, forse era stata una confessione criptica e stentata, ma era stata una confessione.
E quando tornarono a guardare il palcoscenico, la sua mano scivolò via dalla guancia destra.
Per il resto della commedia, si sentì molto più rilassato.
Un paio di volte, si allungò persino verso Liz per commentare a mezza voce una scena. Ed entrambe le volte lei lo guardò con aria curiosa e un sorriso aleggiante sulle labbra. Sembrava contenta di quella confidenza.
Quando il sipario calò sull’ultimo atto della commedia, Harry si alzò, sgranchendosi appena le gambe, mentre Liz si metteva in piedi a propria volta.
Quindi si avviarono verso l’uscita, camminando tra una fiumana di gente.
Ad un certo punto, Liz sfiorò il gomito di Harry. Lui sussultò, girandosi a guardarla.
«È stato meraviglioso» affermò lei, raggiante.
Il giovane non poté fare a meno di sentirsi perplesso. «Gli interpreti erano molto bravi» rispose, senza sapere cos’altro dire.
Uscirono sul marciapiede, ed Harry aguzzò lo sguardo per cercare di individuare la Rolls Royce tra le file di auto.
Quand’ecco, Liz gli afferrò la mano, per poi stampargli un bacio sulla guancia sana. Harry la fissò, preso completamente alla sprovvista da quel gesto.
«Grazie mille per avermi invitata, Harry» gli disse lei.
«Non credi che sia una reazione un po’ eccessiva?» domandò il giovane. «Era solo uno spettacolo…»
«Che cosa c’è» ribatté Liz, «non ti piace il teatro?»
«Non tanto quanto a te, probabilmente» osservò lui, scrollando le spalle.
Liz rise. Sembrava davvero rinata, rispetto a prima.
“Questa mi mancava” pensò Harry. “Dunque è un’appassionata di teatro…”
Liz non doveva aver avuto problemi, con la vita ricca… Vivere nel lusso doveva esserle piaciuto.
Eppure, per qualche motivo, si era staccata da quell’esistenza e dai suoi genitori, mettendosi a lavorare come infermiera, con dei turni allucinanti e una paga probabilmente non esorbitante.
Notando la Rolls Royce scivolare accanto al marciapiede, si riscosse da quei pensieri.
«Vieni» disse, rivolto a Liz, guidandola verso l’auto.
Fu solo quando vi arrivarono che si accorse di averle messo una mano sulla spalla.
Era la prima volta che prendeva l’iniziativa di toccarla.















Spazio dell’Autrice:
Salve a tutti!
Ovviamente, le battute citate dallo spettacolo “Un marito ideale” sono frutto del genio di Oscar Wilde…
Io spero che il capitolo vi sia piaciuto, e vi do appuntamento a sabato 30 marzo :)

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Capitolo 11
*** Da soli insieme ***


Capitolo 10 – Da soli insieme

If I lay here, if I just lay here
Would you lie with me and just forget the world?

I giorni andavano avanti, tra la fisioterapia, le riunioni all’azienda e le chiacchiere con Peter e Mary Jane.
Alla fine dei conti, la OsCorp aveva deciso di respingere il progetto del dottor Connors.
Harry non se n’era sorpreso, ma gli era dispiaciuto. Tanto più che non era nemmeno riuscito ad informare personalmente il professore, che invece aveva ricevuto una telefonata da chissà quale impiegato.
In ogni modo, il ragazzo non si lasciò il tempo di trincerarsi nel proprio rammarico: cercava di tenersi occupato il più possibile, perché non aveva mai davvero notato quanto fosse grande e vuota casa sua.
La presenza di Bernard lo rassicurava, ma sapeva di non poter pretendere che il vecchio maggiordomo stesse con lui ventiquattr’ore su ventiquattro.
E sempre più spesso, la notte, non riusciva a prendere sonno e vagava lungo i corridoi, cercando di lottare con i propri incubi.
Nel buio, vedeva suo padre che lo guardava con ira e delusione. Vedeva Goblin ridere sgangheratamente.
Un paio di volte, ebbe incubi su Venom, e si risvegliò in un bagno di sudore, coi muscoli che sussultavano orrendamente al ricordo del dolore.
La notte era la sua peggior nemica, poiché l’oscurità gli rendeva molto difficile proteggere la propria mente con la razionalità.
Di giorno, era facile dirsi che i sibili di Goblin appartenevano alla sua immaginazione.
Di notte, quei sussurri maligni sembravano riecheggiare nei corridoi, e Harry si ritrovava a prendersi la testa tra le mani, stringendo gli occhi e pregando con tutto se stesso che avessero una fine.
In seguito ad una nottata particolarmente sfibrante, il ragazzo scoprì di non aver alcun desiderio di occupare la propria giornata.
Non voleva altro che rimanere solo.
Così, si chiuse nella propria stanza, dicendo a Bernard di non disturbarlo.
Lo sguardo dolente del vecchio lo fece quasi sentire in colpa, ma non aveva la minima voglia di ritrattare le proprie disposizioni.
Stava fissando la scrivania con aria assente, quando ricordò che quel giorno aveva appuntamento con Peter e Mary Jane… Con una mezza imprecazione, recuperò il cellulare e telefonò all’amico.
Rispose Ursula, la figlia del padrone di casa di Peter.
Mentre la ragazza andava a chiamare il suo inquilino, Harry pensò che il suo migliore amico aveva decisamente bisogno di un cellulare.
Qualche istante dopo, la voce di Peter si fece sentire dall’altro capo della cornetta, ed Harry gli spiegò brevemente che preferiva rimandare il loro incontro.
L’amico non parve affatto felice dell’informazione.
Prima cercò di fargli cambiare idea, poi, in tono già più rassegnato, gli domandò se non poteva far niente per lui.
«Tranquillo, bello» replicò Harry, sentendo il fantasma di un sorriso balenare sul proprio volto. «Me la caverò».
Con molta riluttanza, Peter si arrese e lo salutò.

Liz e Mary Jane, ben strette nei loro cappotti, erano ferme davanti ad un negozio di abiti da sposa.
«Wow» commentò Liz, fissando la vetrina. «E lo ripeto: wow».
«Va bene» ammise Mary Jane, «sto iniziando a spaventarmi».
La ragazza bionda si girò verso l’amica. «Panico da matrimonio?» chiese, in tono comprensivo.
Mary Jane sorrise. «Veramente sei tu che mi spaventi, Liz. Sembra che tu non abbia mai visto un abito da sposa».
«E tu sembri averne visti troppo» rispose l’altra, tornando a guardare la vetrina.
A quell’osservazione, Mary Jane si bloccò. D’istinto, ripensò a John Jameson.
Ripensò a quando se n’era innamorata, a com’era farsi stringere nel suo saldo abbraccio… A com’era girare per boutique con la sua ex-futura suocera.
Di fronte al suo silenzio, Liz le gettò un’occhiata perplessa. «MJ?» la chiamò, preoccupata. «Va tutto bene? Ho detto qualcosa di male?»
La ragazza dai capelli fulvi si affrettò a scuotere la testa. «No, no» assicurò, «è solo che…»
«Che cosa?» incalzò Liz, una ruga tra le sopracciglia bionde.
Mary Jane sospirò, puntando lo sguardo sulla vetrina. «È solo che non è la prima volta che scelgo un abito da sposa».
Liz sbatté le palpebre. «Oh».
Mary Jane si morse il labbro. «Io… un paio di anni fa… mi ero fidanzata. Lui mi aveva chiesto di sposarlo, io avevo detto di sì, e poi… alla fine l’ho mollato all’altare».
Senza sapere cosa aggiungere, tacque e riprese a fissare i vestiti esposti.
Ce n’era uno con la gonna bianca ricamata di fiorellini candidi… Per qualche motivo, non riusciva a distoglierne lo sguardo. Forse perché tutti quei ghirigori le facevano girare la testa.
Al suo fianco, Liz era immersa nel silenzio, impegnata ad assorbire le informazioni appena apprese.
Dopo un po’, si schiarì la gola. «Perché l’hai lasciato? Avevi dei dubbi?»
Mary Jane abbassò per un istante gli occhi, poi si girò verso l’amica. «Perché ero innamorata di Peter» rispose, semplicemente.
Liz rimase senza parole.
«E quando mi ero fidanzata con John, in parte l’avevo fatto perché credevo che tra me e Peter non potesse funzionare, ma poi… Poi ho scoperto qualcosa che mi ha convinto del contrario…»
Per un istante, le due ragazze si limitarono a fissarsi… Poi Liz accennò un sorriso e prese l’amica per il braccio.
«Vieni, allora!» la spronò. «Per un amore così, bisogna trovare l’abito perfetto!»
E trovare l’abito perfetto, come scoprirono di lì a poco, non era affatto una passeggiata.
Assistita da una donna piuttosto solerte, Mary Jane provò un vestito dopo l’altro, ma ogni volta le sembrava che avesse qualcosa di sbagliato.
O il corpetto era troppo stretto, o la gonna troppo lunga, o il tessuto troppo ruvido…
Dopo un po’, mentre l’impiegata andava a cercare un altro modello, Mary Jane si rivolse a Liz.
«Forse dovresti sceglierlo tu».
L’altra ragazza la fissò come se fosse impazzita. «Prego?»
Mary Jane sospirò, andando a sedersi su un pouf poco lontano. «Non so, Liz, non mi va bene niente» mormorò. «Forse non avrei dovuto scartare l’ultimo vestito che mi ha fatto provare. Non era poi così male… non credi?»
Liz scrollò il capo. «MJ, se davvero vuoi sapere cosa credo io… Questo è il tuo matrimonio. Se un vestito non ti va bene, non ti va bene. Dovresti indossare qualcosa che ti piace, non qualcosa che non ti fa completamente schifo».
Mary Jane sembrò sorpresa da quel discorso, ma alla fine abbozzò un sorriso. «Senza dubbio sei stata molto convincente».
La ragazza bionda le sorrise di rimando. «Grazie». Le si avvicinò. «Forse oggi non sei dell’umore giusto» azzardò.
«Può darsi» ammise Mary Jane. «Ero incerta se dirtelo, ma a questo punto… Ieri ho telefonato a mia madre, e mi sono messa d’accordo per andare a pranzare da lei… Così da dire anche a mio padre del matrimonio».
«Oh» fu l’unica cosa che Liz riuscì a dire.
Sapeva fin troppo bene quanto quell’argomento fosse delicato.
Mary Jane meditò per qualche istante, fissando l’anello di fidanzamento che portava al dito.
«Okay» disse alla fine, alzandosi in piedi. «Torneremo poi».
Liz sorrise appena. «Va bene».
In quel momento, il cellulare della rossa vibrò. Lei controllò il display, quindi si rivolse a Liz: «Scusami un attimo, è Peter», e si allontanò di qualche passo per rispondere.
Mentre Mary Jane parlava col fidanzato, la ragazza bionda si guardò attorno, e non poté fare a meno di chiedersi se, un giorno, anche lei avrebbe dovuto scegliere un vestito da sposa.
Scosse la testa, scacciando quei pensieri.
A quel punto, Mary Jane tornò verso di lei, risistemando il cellulare in borsa.
«Qualcosa non va?» chiese Liz, notando la sua espressione accigliata.
Mary Jane sospirò. «Si tratta di Harry» rispose. «Dovevamo vederci… Ma lui ha telefonato a Peter per dirgli che oggi non se la sente».
Liz aggrottò la fronte. «E sei preoccupata».
L’amica le rivolse un sorriso tirato. «Tu no?»
Liz si morse il labbro inferiore. «Un po’» ammise.
E forse anche più di un po’, rettificò dentro di sé.
Mentre Mary Jane si voltava per dire alla negoziante che sarebbe tornata un’altra volta, Liz assunse un’aria pensierosa…
E quando uscirono in strada, si rivolse all’amica: «MJ? Ti dispiace se non ti accompagno sino a casa tua?»
«Figurati» replicò l’altra, per poi guardarla con curiosità. «Hai un impegno?»
Liz si strinse nelle spalle. «Credo di dover fare una visita a domicilio».

«Mr. Osborn?»
Sentendo Bernard bussare alla porta, Harry sollevò la testa di malavoglia. «Che succede?»
«Posso venire dentro?»
Il ragazzo sospirò. «Fa’ pure, Bernard».
Il maggiordomo entrò e rivolse un’occhiata preoccupata al ragazzo, dopodiché annunciò: «Mr. Osborn, la signorina Allen è qui».
Liz era lì?
Harry inarcò un sopracciglio. «Dille che non voglio vedere nessuno, al momento».
«L’ho già fatto, signore» rispose però Bernard. «L’ho informata che non vuole essere disturbato, ma lei ha insistito. Dice di aver portato qualcosa che lei deve assolutamente vedere».
Harry aggrottò la fronte.
«Non sembra intenzionata ad andarsene» aggiunse Bernard, cautamente.
Harry scosse la testa, con un respiro rassegnato. «E va bene…» mormorò, riluttante. «Lasciala salire».
«Sì, signore».
Decisamente, il vecchio maggiordomo non sembrava dispiaciuto della resa del giovane, e uscì dalla stanza senza farselo ripetere due volte.
Harry rimase seduto sul proprio letto, chiuso in un silenzio accigliato. C’era poco da fare: avrebbe chiesto a Liz cosa succedeva, si sarebbe scusato e le avrebbe detto che non era proprio in vena di chiacchiere.
Un bussare lieve lo fece girare.
Bernard aveva lasciato la porta aperta, e ora Liz era sulla soglia, le nocche sollevate e un’espressione quasi di scusa dipinta sul volto.
«Ciao» gli disse.
Improvvisamente, Harry si sentì come se tutto il discorso che si era preparato andasse in mille pezzi. Non che avesse cambiato idea sul voler stare da solo, ma non aveva neanche voglia di star lì a spiegare perché.
Quindi restò in silenzio, seduto sul proprio letto. Sapeva che era un comportamento decisamente asociale, ma non gli importava.
Liz esitò, poi si fece avanti. «Harry…» iniziò.
«Senti, Liz» la interruppe lui, senza guardarla, «non so cosa ti abbia detto Bernard, ma… Non mi sento in vena di chiacchiere».
Lei tacque. Poi, dopo un istante, si fece avanti e si sedette accanto al ragazzo. Sorpreso, Harry la guardò con la coda dell’occhio.
Era seduta composta, le mani sulle ginocchia, e ricambiò lo sguardo con una certa ostinazione. Dopodiché, prese ad osservare la stanza del ragazzo senza dire nulla, come se stesse pensando ai fatti propri.
Harry aggrottò la fronte. Trovava quel comportamento decisamente assurdo.
«Scusa, Liz» esordì, schiarendosi la gola, «posso chiederti cosa stai facendo?»
Lei alzò su di lui due serissimi occhi azzurri. «Non vuoi parlare? Non parliamo. Però non me ne vado».
Harry fu talmente sorpreso da quella risposta che subito non riuscì neanche a sentirsi irritato. «Non hai niente di meglio da fare?» domandò infine.
La ragazza scrollò le spalle. «Sono tutte cose che possono aspettare» replicò, con noncuranza.
Harry inarcò un sopracciglio.
«Io voglio aiutarti» aggiunse Liz, «e se non c’è niente che posso fare, allora è quello che farò: niente. Ma non ti lascio da solo».
Lui si voltò dall’altra parte, accigliato.
Le parole dirette di Liz lo avevano colpito. Avrebbe voluto protestare che lui non aveva bisogno di aiuto, ma la sua lingua rifiutava di pronunciare una frase simile.
Così, il giovane tacque a lungo, e infine disse una cosa – una cosa sola, ma che bastò a far sì che l’angolo delle labbra di Liz si sollevasse appena: «Okay».
Per un po’, rimasero in silenzio entrambi.
Harry continuava a pensare che fosse una situazione assurda… E a forza di rigirarsi quel pensiero nella mente, cominciò a rilassarsi, mentre i ragionamenti più cupi che gli avevano tenuto compagnia dalla mattina iniziavano a dissolversi.
Alla fine, il ragazzo decise di rompere il silenzio.
Se proprio stare solo era fuori discussione, almeno preferiva non sentirsi a disagio nella propria camera.
«Bernard ha detto che dovevi farmi vedere una cosa» osservò.
Liz si girò immediatamente a guardarlo. «Oh, sì!» disse, illuminandosi.
Infilò la mano nella propria borsa, estraendone un DVD dalla copertina lucida.
«Tadan!» esclamò, e Harry non poté che meravigliarsi di fronte alla rapidità con cui cambiava umore. «Ecco un film di mio padre».
Il ragazzo corrugò la fronte, confuso. Gli era sfuggito qualcosa? Da quando il padre di Liz faceva il regista?
Allungò la mano, e Liz gli cedette il DVD.
Harry esaminò la copertina, poi alzò gli occhi sulla ragazza. «Questo è un film di Woody Allen» osservò.
Lei sorrise. «Già».
«Woody Allen non è tuo padre» aggiunse Harry.
Liz fece spallucce, riprendendo il DVD. «Ah, no? Come puoi esserne così sicuro?»
Lui scosse la testa.
«Okay» cedette Liz, «non è mio padre. Però anche mio padre è un W. Allen. Si chiama Wilson».
Se Harry non si fosse sentito così stanco, probabilmente avrebbe sorriso.
«Comunque…» riprese Liz. «Padre o non padre, ti va di vederlo?»
Harry gettò una nuova occhiata al titolo, “Basta che funzioni”.
Non lo conosceva. A quel punto, tanto valeva…
«D’accordo».
A quella risposta, Liz gli rivolse un enorme sorriso, ed Harry, riluttante, si disse che forse, in fondo, avrebbe potuto perdonarle la sua intrusione.













Note:
Okay.
La battuta: “Wow. E lo ripeto: wow”, credo venga da un qualche cartone animato (o forse era “Ahi. E lo ripeto, ahi” o qualcosa del genere >_>), ma al momento non riesco propria a fare il collegamento e a capire quale sia il suddetto cartone… Un eventuale suggerimento in proposito sarebbe graditissimo :D EDIT: Grazie mille a Enide, che mi ha illuminato: la battuta viene da Anastasia :D
Le frasi in corsivo all’inizio del capitolo sono tratte da “Chasing Cars” (canzone tristissima ;_;) degli Snow Patrol.
“Basta che funzioni”, infine, è davvero un film di Woody Allen. Film che personalmente adoro.
A sabato 6 aprile col nuovo aggiornamento! =)

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Capitolo 12
*** Rivelazioni ***


Capitolo 12 – Rivelazioni

Il giorno successivo, a pomeriggio inoltrato, Mary Jane si recò a casa di Peter, nel distretto di Chelsea.
Salì le scale con una mano sulla ringhiera, mentre i gradini scricchiolavano ad ogni suo passo.
Sul pianerottolo, trovò Ursula, intenta a mettere a posto il telefono.
Nell’udire dei passi dietro di sé, la ragazza dai codini biondo sporco si voltò, aprendosi in un sorriso emozionato.
«Oh, ciao, Mary Jane!» la salutò, col consueto ed entusiastico calore che riusciva sempre a stupire la giovane dai capelli rossi. «Sei venuta a trovare Peter?»
Mary Jane annuì.
«Ne sono contenta» asserì Ursula, con occhi brillanti, «e scommetto che Peter ne sarà ancora più felice…»
Mary Jane non poté fare a meno di sorridere. «Grazie».
Quella ragazza le piaceva: le dava sempre la sensazione di essere la benvenuta, e il genuino entusiasmo di Ursula per la storia tra lei e Peter le scaldava il cuore.
La salutò amichevolmente, quindi si diresse verso la porta della stanza di Peter e bussò con forza. «Peter? Sono MJ».
La voce del giovane giunse dall’interno dell’alloggio: «Arrivo subito!»
La ragazza si appoggiò alla porta e la forzò, ma come sospettava era ancora incastrata. Tuttavia, con un colpo secco alla maniglia, riuscì a spingerla in avanti e ad entrare, incespicando per la resistenza che era venuta improvvisamente a mancare.
Dal canto suo, Peter si stava avviando verso la porta, così Mary Jane si ritrovò subito tra le braccia del fidanzato.
«Tutto bene?» le domandò Peter, con un largo sorriso.
«Più che bene» replicò lei, strofinando per un istante il viso contro la camicia di lui.
«E questo ti farà stare ancora meglio» annunciò il ragazzo, rimettendola gentilmente in piedi. «Ho sentito Harry, ieri sera… E lui ha borbottato qualcosa su Liz, che l’avrebbe costretto a guardare una commedia di Woody Allen».
Mary Jane aggrottò la fronte, sorpresa. «Ma… come? Quando?»
«Ieri pomeriggio» rispose Peter, trionfante. «Pare che sia andata da lui e gli abbia imposto la propria presenza».
La ragazza sbatté le palpebre, cercando di assorbire la notizia.
Ripensò a quando Liz le aveva detto di dover fare una visita a domicilio… E si scoprì a scuotere la testa con un sorriso. Avrebbe dovuto immaginarlo.
«Sai» aggiunse Peter, invitandola ad accomodarsi sul suo letto, «non pensavo che l’avrei mai detto, ma… Liz Allen sta davvero iniziando a piacermi».
Mary Jane rise.
«Di sicuro» proseguì il ragazzo, «mi piace che stia facendo amicizia con Harry. Ha bisogno di un po’ di vita sociale».
«E questo è strano detto da te… Lo sai, non è vero?» commentò Mary Jane, dandogli un buffetto scherzoso sulla guancia.
Lui annuì. «Lo so, lo so».
La ragazza gli sorrise, poi tornò seria. «Comunque ne sono felice anch’io» ammise. «Credo che sia un bene per tutti e due».
Peter aggrottò la fronte. «In che senso?»
Mary Jane fece spallucce. «Non so… è che Liz mi sembra un po’… non lo so, evasiva… su quello che ha fatto in questi ultimi anni…»
«Forse l’ha morsa un ragno radioattivo» ipotizzò Peter, guadagnandosi uno scappellotto dalla sua fidanzata.
«Non credo proprio» lo ammonì Mary Jane.
«Okay, scusami» rispose il giovane. «Ma è inutile fare speculazioni…»
La ragazza si morse il labbro inferiore. «Forse».
«Ah» aggiunse Peter, «poi ti sei messa d’accordo con tua madre?»
Immediatamente, Mary Jane guardò altrove. «Perché cambi argomento?»
Peter si accigliò. «Chi è evasiva, adesso?»
La ragazza riportò gli occhi su di lui. Sapeva che non c’era motivo di evitare l’argomento, ma una vita passata a cercare di nascondere suo padre l’aveva spinta a reagire in quel modo. «Sì, l’ho chiamata» affermò. «Vado a pranzo da lei».
«MJ, lo sai che non sei obbligata a dire a tuo padre del…»
Lei passò un braccio attorno alle spalle del fidanzato. «Lo so benissimo, Peter, ma penso… penso sia una cosa che voglio fare».
Peter annuì, rassicurato.
In quel momento, la radio accesa sul comodino – sintonizzata come al solito sulle frequenze della polizia – ronzò ed annunciò che c’era una rapina in corso.
Peter si raddrizzò come se fosse stato punto da una tarantola – sensazione che, dopotutto, non gli era così estranea.
«Che dire?» domandò Mary Jane, facendogli l’occhiolino. «Falli secchi, tigre».

Dopo che il giovane si fu dileguato, Mary Jane decise di fare una telefonata a Liz.
La ragazza bionda rispose dopo qualche squillo. «Pronto?»
Mary Jane si alzò dal letto, e il pavimento di legno scricchiolò appena. «Liz? Sono MJ, ti disturbo?»
«No, non preoccuparti» replicò vivacemente l’altra. «Sto solo navigando un po’ in internet per passare il tempo…»
«Ho sentito che sei stata a trovare Harry, ieri» affermò Mary Jane, senza preamboli.
«Oh». Liz rimase in silenzio per un momento. «Come l’hai saputo?»
«Ho le mie fonti» replicò Mary Jane, per poi capitolare: «Harry l’ha detto a Peter, che l’ha detto a me».
Liz rise appena. «Forse avrei potuto arrivarci…»
«Posso chiederti com’è andata?» domandò Mary Jane.
La ragazza bionda tacque per un istante. «Be’, diciamo che all’inizio sembrava volermi gettare giù dalla finestra» disse poi, in tono onesto. «Ma alla fine credo si sia divertito… Almeno un pochino».
Mary Jane si ritrovò a fare un sorriso colmo di sollievo. «Allora sono contenta che tu sia passata da lui».
«Sì… be’… Lo sai che il tuo fidanzato ha fatto a Spider-Man delle foto niente male?» chiese Liz, in tono sin troppo innocente.
«Lo so» replicò Mary Jane. «Liz, stai per caso cercando di cambiare argomento?»
«Ovviamente» rispose Liz. «Dico sul serio, però. Sono sull’archivio online del Daily Buglie, e sto dando un’occhiata a qualche articolo con le sue fotografie. Spider-Man dovrebbe essere grato di avere un fotografo simile».
Mary Jane sorrise. «Probabilmente lo è» disse, pensando al fatto che scattarsi foto da solo era il solo mezzo che Peter aveva per guadagnarsi il pane. «Ma in fondo se lo merita».
Dall’altro capo del filo le arrivò un silenzio improvviso.
La ragazza corrugò la fronte. «Liz?» chiamò.
Si chiese se fosse caduta la linea.
«Liz?» riprovò. «Va tutto bene?»
In quel momento, udì una sorta di respiro, come se Liz si fosse riscossa di colpo.
«Io…» cominciò la ragazza bionda, prima di interrompersi. «Sì. Sì, va tutto bene… MJ, ti dispiace se ti richiamo stasera? Devo andare in ospedale».
Mary Jane sbatté le palpebre, interdetta. «D’accordo» rispose. «Ma sei sicura che vada tutto…?»
Non riuscì a finire la frase: Liz aveva riattaccato.
Un po’ perplessa, la ragazza dai capelli rossi abbassò lo sguardo sul display del proprio cellulare.

Intanto, nel suo appartamento, Liz aveva posato lentamente il telefono sulla propria scrivania.
Pallida in viso, aveva rialzato gli occhi azzurri sul computer.
Sullo schermo, un articolo del Daily Bugle pubblicato qualche anno prima dava bella mostra di sé, coronato da una foto di Norman Osborn, il padre di Harry.
Ma era stato il titolo, scritto a caratteri cubitali, a far sì che Liz raggelasse.
SPIDER-MAN UCCIDE ILLUSTRE UOMO D’AFFARI.
La ragazza deglutì a vuoto, incapace di staccare lo sguardo da quelle lettere.
Un ciuffo biondo le ricadde davanti al viso, ma lei era troppo frastornata per farci caso. Quindi il padre di Harry era stato ucciso?

Stravaccato sul divano, Harry stava dando un’occhiata ad un contratto.
Un’industria, infatti, aveva avanzato la proposta di procedere con una fusione con la OsCorp.
In tutta sincerità, il giovane dubitava che fosse un’idea vantaggiosa. Così, per poter avanzare in consiglio delle obiezioni mirate, stava cercando di avere il quadro completo della situazione.
Con un sospiro, mise da parte un foglio. In quel momento, udì un lieve colpo di tosse dalla soglia, e alzò gli occhi verso la porta.
«C’è la signorina Allen, Harry» lo informò Bernard. «Le ho già aperto il portone, sembrava abbastanza agitata».
Harry sbatté le palpebre, stupito. «Va bene, Bernard» disse. «Va’ all’ingresso, per favore…. Io ti raggiungo non appena avrò finito di riordinare questi documenti».
Bernard gli rivolse un cenno rispettoso, quindi si avviò lungo il corridoio.
Harry si alzò in piedi, raggruppando i fogli sparsi sul divano e mettendoli in ordine, per poi chiuderli in una carpetta.
Dopodiché, si diresse verso l’ingresso. Già prima di arrivare a destinazione, iniziò ad udire le voci dell’amica e del proprio maggiordomo.
«È un piacere rivederla, signorina Allen» stava dicendo Bernard, con gentilezza.
«Grazie» replicò la ragazza, in tono distratto, «ma può chiamarmi Liz».
Harry cercò di non pensare che, se aveva un udito un po’ più fine della media, lo doveva all’assunzione della Formula di Goblin.
Quando finalmente arrivò nell’atrio, che si allargava ai piedi delle scale che partivano dall’ascensore, Liz e Bernard avevano appena finito di scendere gli ultimi gradini.
Harry si avvicinò, notando che l’aspetto della ragazza non era dei migliori. Il viso di Liz, infatti, era pallido e teso, e lei sembrava piuttosto inquieta.
«Liz» esordì il giovane, sorpreso, chiedendosi cosa diavolo potesse essere accaduto. «Che succede?»
Lei lo fissò per un istante, poi deglutì. «Devo parlarti» affermò, in tono urgente.
«Ma certo» replicò Harry, perplesso, mentre Bernard si allontanava con discrezione per lasciarli soli. «Vieni…»
Inaspettatamente, lei gli afferrò la mano, stringendola forte.
Harry inarcò le sopracciglia, sempre più sorpreso, ma non disse nulla, e la guidò sino al salotto.
A quel punto, esaminò il viso della ragazza, valutando la sua espressione. «Sembri sconvolta» osservò, iniziando a sentirsi un po’ preoccupato. «È successo qualcosa?»
Automaticamente, fece un cenno verso il divano, un invito ad accomodarsi.
Liz, però, restò in piedi, e gli lanciò uno sguardo intenso e compassionevole al contempo. «Oh, Harry!» esclamò poi, senza fiato. «Scusami, io… Non avevo idea del fatto che… Se solo ci avessi pensato… se lo avessi saputo, io…»
Si interruppe e scosse la testa, sempre più agitata.
«Non so… Io vorrei poter fare qualcosa per…»
«Calma, Liz» suggerì Harry, interrompendo quel flusso di parole incoerenti. Ora si stava preoccupando sul serio. «Trai un bel respiro e comincia da capo».
Per un istante, gli occhi azzurri della ragazza esaminarono il suo volto con fare quasi disperato. Poi, pian piano, il suo sguardo si fece più controllato.
Liz inspirò a fondo come Harry le aveva suggerito, ma la sua espressione si fece impotente, come se non riuscisse proprio a riordinare le idee.
Il giovane aveva una strana impressione. Gli sembrava che Liz, da una parte, avrebbe preferito tacere, ma che dall’altra ci fosse qualcosa che la spronava a parlare.
Liz indugiò ancora per qualche momento, senza sapere da che parte cominciare. Alla fine, però, il pensiero che premeva affinché lei parlasse – qualunque fosse – parve avere la meglio.
«Harry» esordì la ragazza, titubante, «tuo padre…»
La reazione del giovane fu immediata. Un istante prima era chino verso la ragazza, un istante dopo si tirò indietro, irrigidendosi.
Liz deglutì e cercò di ricominciare. «Harry, tuo padre è…» Si interruppe, respirò profondamente e terminò la domanda: «È stato ucciso?»
Harry la fissò, con aria interdetta. Si sentì un idiota, perché in effetti non aveva considerato che l’amica volesse chiedergli una cosa del genere.
Liz sembrò fraintendere il suo silenzio. «Scusa» si affrettò a dire infatti, con aria terribilmente confusa, «ma ho trovato online alcuni articoli che parlavano della sua morte… Dicevano che era stato assassinato… E il Bugle accusava Spider-Man, ma ho pensato che non potesse essere vero, perché Peter gli fa le fotografie… E tu, lui e Mary Jane siete andati alla celebrazione in suo onore… Poi ho visto che altri giornali non davano per certo che fosse lui l’assassino… Uno diceva che la polizia sospettava che fosse coinvolto, l’Herald Star si domandava se fosse vittima o assassino, e… E…»
Harry si rese conto di non averla mai vista tanto sconvolta. Gli sembrava quasi che stesse per mettersi a piangere.
«Poi… c’erano degli articoli che dicevano che Goblin ha assassinato dei membri della OsCorp» aggiunse Liz. «E tuo padre dirigeva l’azienda, ed è morto, e tu…» Si interruppe di nuovo, guardandolo con disperazione, poi sussurrò: «Tuo padre è stato ucciso da Goblin?»
Harry sentì che un’ombra compariva sul suo viso, e abbassò lo sguardo per nasconderla a Liz.
Rimase immobile per qualche istante, poi tornò ad alzare gli occhi. «Sì» affermò, con lentezza. «Sì, è così».
Liz sussultò. «Harry, io…» disse, con un fil di voce, una pena infinita dipinta sul volto. «Io… Mi dispiace tanto».
«Non importa» replicò il ragazzo, incrociando le braccia sul proprio petto. «Non preoccuparti».
Improvvisamente, il metro scarso che c’era tra lui e Liz gli parve una distanza enorme.
«Ma perché, Harry?» domandò la ragazza, in un gemito. «Goblin ce l’ha con la OsCorp?»
A dispetto dell’aria ansiosa di Liz, Harry non provò affatto l’impulso di tentare di consolarla. Al contrario, sentì una punta di fastidio, il desiderio di scrollarsi di dosso quella situazione.
Quell’insofferenza lo colpiva spesso, quando veniva obbligato a pensare al passato.
Avrebbe voluto che Liz non insistesse.
La ragazza, però, continuava a fissarlo con apprensione, e infine si decise a dar voce alle proprie parole. «Se è così, non credi che potrebbe… giungere anche a te?»
E finalmente, Harry comprese l’inquietudine e l’insistenza della ragazza.
Non era lì per commiserarlo a causa del suo passato, realizzò, non era lì per fargli da infermiera… Era preoccupata per lui, come amica.
Di colpo, il fastidio del giovane scomparve, sostituito dalla sensazione che un grosso peso gli fosse stato tolto dal cuore.
Improvvisamente, lei non gli sembrava più così lontana.
Per un istante, Harry contemplò l’idea di risponderle che Goblin era già giunto a lui. Ma non sarebbe stata una replica comprensibile, e di certo non avrebbe rassicurato Liz.
«Non preoccuparti, Liz» disse perciò, stupendosi per il tono che gli uscì dalle labbra. «Goblin se n’è andato. Non tornerà più».
La ragazza lasciò andare un respiro. Non gli domandò come potesse esserne sicuro, limitandosi a rilassarsi visibilmente.
E fu un bene, perché Harry non ne era affatto sicuro. Ci sperava, certo, ma era uno dei suoi incubi più ricorrenti.
«Scusami se sono… piombata qui in questo modo» disse infine Liz, a disagio.
Lui alzò le spalle. «Non importa» replicò, «eri preoccupata».
Liz abbozzò un sorriso imbarazzato. Adesso che il momento di tensione era passato, iniziava a vergognarsi un po’ della propria agitazione.
Quando l’aveva colpita l’ipotesi che, da qualche parte, potesse esserci uno psicopatico assassino che prendeva di mira i dirigenti della OsCorp… Per qualche motivo, si era spaventata tanto da sentirsi mancare il fiato.
Prima di quel momento, non si era resa conto di tenere tanto ad Harry. Certo, gli voleva bene e tutto… Ma non si aspettava che l’ipotesi che il ragazzo fosse in pericolo avrebbe potuto farla andare nel panico in quel modo.
«Vuoi qualcosa da mangiare?» offrì Harry in quel momento. «O da bere?»
«Sono a posto» replicò lei. «Ma se vuoi potrei prepararti un caffè».
Il ragazzo inarcò un sopracciglio. «Vuoi avvelenarmi, per caso?»
Lei emise un risolino stentato. «Hai ragione, non sono brava a preparare i caffè… Ma scommetto che tu non sia da meno».
Lui sorrise. Fu un sorriso breve, ma spontaneo.
«Liz, se credi che io abbia un maggiordomo perché sono ricco, ti sbagli. Ho un maggiordomo perché, senza di lui, non riuscirei a sopravvivere un solo giorno».
E in fondo, era più vero di quanto Liz potesse sospettare.




















Note:
Piccoli capitoli crescono… :D
Insomma, per la mia media, questo è abbastanza lungo.
Spero che sia stato bello da leggere.
E mi scuso per il ritardo a pubblicare, ma ieri ho avuto la casa invasa da esseri quali zii e cugini, e sono stata tenuta lontana dal pc…
Bien, a sabato 13 aprile! (Speriamo…)

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Capitolo 13
*** Dubbi e chiarimenti ***


Capitolo 13 – Dubbi e chiarimenti

Nei giorni che seguirono, Harry ebbe la netta sensazione che la conversazione su suo padre avesse abbattuto un qualche genere di muro tra lui e Liz.
In un certo modo, il giovane iniziava a sentirsi più a suo agio in compagnia della ragazza… E Liz, da parte sua, sembrava essere più che grata del fatto che Harry avesse parlato con lei invece di respingerla, e lo ripagava con una confidenza allegra e sincera.
In quel periodo, iniziò a chiamarlo più volte.
Spesso erano telefonate brevi, ritagliate tra un turno ospedaliero e l’altro, ma talvolta riuscivano a fare delle vere e proprie chiacchierate.
La maggior parte delle volte era Liz a parlare: non perché fosse di natura molto loquace, ma perché sapeva che Harry preferiva ascoltare.
Così, gli raccontava gli episodi più bizzarri ai quali assisteva sul lavoro, e alcuni aneddoti sulla propria infanzia.
Il giovane si aspettava che essere cercato così spesso lo avrebbe irritato, invece scoprì che quelle telefonate non gli dispiacevano.
Poco ma sicuro, lo distraevano da pensieri ben peggiori.
Dopo un po’, gli tornò in mente la sera in cui erano andati a teatro, e l’oscura confidenza che Liz gli aveva fatto in Rolls Royce.
Tu… Se ci fosse qualcuno a cui vuoi bene… molto bene… E quel qualcuno avesse bisogno di te… E tu provassi ad aiutarlo, ci provassi davvero, ma non servisse a niente…
Quasi inconsciamente, allora, iniziò ad aspettarsi che la ragazza reintroducesse quel discorso, possibilmente per chiarirlo… Ma Liz non lo fece mai.
Qualche volta, sembrò avvicinarsi all’argomento, senza però arrivare mai ad affrontarlo davvero.
Harry poteva capirlo, poiché sapeva benissimo quanto poteva essere difficile parlare di qualcosa, specie con qualcuno che si conosceva da poco tempo.
Perciò non ne faceva una colpa alla ragazza, se lei non riusciva a introdurre il discorso.
Più che altro, aveva l’impressione che lei se ne facesse una colpa.
Come se si sentisse rea di nascondergli qualcosa quando lui si era aperto con lei… Quando quel ragionamento lo sfiorava, Harry avrebbe voluto sbattere la testa contro il muro più vicino.
Liz credeva che lui fosse stato completamente sincero con lei, ma non era affatto vero.
C’erano moltissime cose che non le aveva detto. Certo, non gli era sembrato di mentirle, quando le aveva detto che suo padre era stato ucciso da Goblin… ma era una verità a metà.
Quando quei pensieri iniziavano a turbinare nella sua testa, Harry si sentiva un idiota.
Era riuscito a trovare un’amica. Un’amica alla quale sembrava far piacere sentirlo. Un’amica che lo distraeva raccontandogli quando, da bambina, aveva lanciato giù dalla finestra un paio di scarpe nuove.
Perché, invece di ridere con lei, si faceva tanti problemi?
“Male, Osborn” si rimproverò mentalmente, sfregandosi le tempie. “Stai diventando paranoico”.
«Va tutto bene, signore?»
Al suono di quella voce, Harry alzò lo sguardo. «Mmm? Sì, Bernard, tutto bene».
Il vecchio maggiordomo lo osservò per un momento, poi si avvicinò al tavolo, tirò indietro una sedia e occupò il posto di fronte a quello del ragazzo.
«Sembra preoccupato, Harry».
Il giovane sorrise stancamente. «Non è niente».
Bernard non lo contraddisse, limitandosi ad aspettare.
Dopo qualche istante, Harry capitolò. «E va bene, è qualcosa».
Il maggiordomo annuì.
Il giovane indugiò, osservando di sottecchi l’uomo.
Non era mai stato il tipo da confidarsi, lui.
Eppure, ricordò, all’epoca in cui aveva iniziato ad uscire con Mary Jane, Benard era stato il primo a saperlo. Il primo a cui Harry aveva detto quanto lei era fantastica.
Certo, la situazione attuale era diversa e Liz non era Mary Jane. Non sarebbe mai stata quel che la ragazza coi capelli rossi era stata per lui… Però era sua amica, e forse parlare dei propri deliri mentali lo avrebbe aiutato a far chiarezza su quei pensieri.
E Bernard era sempre stato un ottimo ascoltatore.
«Ecco… Si tratta di Liz…» iniziò infine il ragazzo, ancora un po’ riluttante. «Penso che lei si senta in debito con me, in un certo senso».
Il vecchio maggiordomo non disse nulla, ma le rughe sulla sua fronte si fecero più marcate.
«Le ho parlato di mio padre» affermò allora Harry, fissando il piano del tavolo.
Stavolta, Bernard non poté rimanere in silenzio. «Di suo padre, signore?» chiese, con una certa cautela.
«Sì, ma…» Il giovane scrollò le spalle, sempre senza guardarlo. «Le ho detto che è stato ucciso da Goblin».
Nel pronunciare quell’ultima frase, la sua voce si fece inespressiva.
Seguì un silenzio quasi assordante.
«Comunque» riprese Harry alla fine, «credo che a Liz sia successo qualcosa… Prima che ci conoscessimo, intendo… E penso si senta in dovere di parlarmene perché io le ho raccontato di mio padre».
Bernard tacque un attimo, prima di domandare: «Dunque lei si sente in colpa perché crede che la signorina Liz pensi di doverle qualcosa?»
Harry annuì. «Sì, perché in realtà non mi deve niente».
Bernard lo osservò. «E di questo ne ha parlato con lei?»
«No…» Il ragazzo alzò lo sguardo e si rilassò appena sopra la sedia. «In realtà sono tutte mie supposizioni».
Il vecchio maggiordomo scosse la testa, e quasi sorrise. «Lei suppone troppo, Harry» disse, con una punta di affetto. «Ci sono già fin troppe cose che la preoccupano… Cerchi di non aggiungerne altre, se non è necessario».
Harry sbatté le palpebre.
«Se la signorina Liz vorrà parlarle di quanto le è accaduto, suppongo lo farà quando sarà pronta» concluse il maggiordomo. «Se posso darle un consiglio, le dico questo: non ci pensi».
Harry aggrottò appena la fronte. «…Capisco».
Bernard gli rivolse un sorriso e si alzò. «Signore» disse, con un cenno del capo, prima di iniziare ad allontanarsi.
«Ehi, Bernard!» lo chiamò indietro il ragazzo.
L’uomo anziano si girò verso di lui. «Sì, Mr. Osborn?»
Harry si strinse nelle spalle. «Grazie».
Quando il maggiordomo se ne fu andato, il giovane raccolse i propri pensieri, e concluse che Bernard aveva ragione. Si stava preoccupando troppo.
Lui e Liz si conoscevano da poco… Era probabile che l’esitazione della ragazza fosse dovuta a questo, e non ad un fantomatico senso di colpa.
Il ragazzo si strofinò il volto, osservando ironicamente tra sé e sé che avrebbe dovuto allenarsi duramente, se voleva imparare a godersi l’attimo.

Reduce di un turno sfiancante, Liz era accasciata sul proprio letto.
Il suono del campanello le strappò una sorta di mugolio.
«Sono stremata!» si lamentò ad alta voce, rivolta a nessuno in particolare, prima di trascinarsi giù dal letto e fino alla porta.
Immaginava si trattasse della vicina del piano di sopra, che cercava sempre di assicurarsi la sua presenza alle riunioni condominiali con settimane di anticipo…
Invece si trovò di fronte Mary Jane.
«MJ?» domandò, ogni ritrosia svanita per lasciar posto allo sconcerto. «Che ci fai qui?»
La ragazza entrò nell’appartamento dell’amica senza rispondere. Era pallida, e continuava a passarsi una mano tra i capelli arruffati.
«Hai un aspetto orribile» commentò preoccupata Liz, senza pensarci.
Mary Jane passò il proprio peso da una gamba all’altra, poi guardò l’amica dritto in faccia.
«Sto facendo uno sbaglio?» chiese, senza preamboli.
Liz credette di aver capito male. «Cosa?» domandò, mentre guidava l’altra ragazza verso il salotto.
«Sposandomi» spiegò Mary Jane, quando entrarono nella stanza. «Sto facendo uno sbaglio?»
La ragazza bionda la fissò, e sentì una fitta di agitazione. «Okay, aspetta… Credevo che avessimo chiarito che non avevi il panico da matrimonio».
Mary Jane si mise le mani tra i capelli e si sedette sul divano. «Forse mi sta venendo adesso».
«Oddio». Liz la guardò con aria preoccupata, quindi si accomodò accanto a lei. «Senti, MJ, la risposta è: no, non stai facendo uno sbaglio. Cioè, se ai tempi delle medie mi avessi manifestato il tuo desiderio di accasarti con Peter Parker, ti avrei fatta ricoverare, ma… Lo sai, ero un’idiota».
Mary Jane la fissò, inarcando un sopracciglio.
«Insomma, non lo conoscevo» rettificò Liz. «E probabilmente non lo conosco neanche adesso, però… Diavolo, MJ, dopo avermi detto che hai mollato un altro all’altare per lui, non puoi tirarti indietro!»
La ragazza abbozzò un sorriso, anche se i suoi occhi restarono stanchi. «Ne parli come se ti stessi facendo un torto personale…»
Liz assunse un’aria imbarazzata. «Be’…»
Mary Jane sospirò, e guardò verso l’alto sbattendo le palpebre. «Sono stata a pranzo da mia madre, oggi» disse alla fine.
La comprensione passò negli occhi azzurri di Liz, e lei si diede dell’idiota per non averci pensato subito. «E tuo padre non è stato ragionevole come avevi sperato» dedusse, sommessamente.
Mary Jane si girò dall’altra parte e si passò una mano sotto gli occhi in un gesto stizzito. «Non lo è stato affatto» replicò, quasi con rabbia. «E io ho pensato… ho pensato… Mia madre era felice… Era sicura, quando lo ha sposato… Ed erano giovani, e guarda com’è finita…»
Liz le posò una mano sul braccio, cercando di comunicarle un po’ di conforto.
«Anche io e Peter siamo giovani» aggiunse Mary Jane.
«Sì, ma Peter non è tuo padre e tu non sei tua madre» argomentò Liz, in tono ragionevole.
Sapeva che era la cosa più scontata da dire, ma sapeva anche che qualcuno doveva dirla.
Mary Jane tornò a guardarla. «Tu credi dovrei farlo, vero?»
«Sì» rispose Liz, senza indugio, «ma quello che credo io è meno importante di quello che credi tu. Tu credi che dovresti farlo?»
Mary Jane esitò. Quasi senza pensarci, iniziò a giocherellare con l’anello di fidanzamento. «Sì, ma…»
«Se quel ma c’entra con tuo padre, non lo voglio sentire» tagliò corto Liz. «Però, certo, se basta un pranzo per farti cambiare idea, forse non sei così innamorata come pensavo».
Un momento dopo averlo detto, avrebbe voluto rimangiarsi tutto – come affermazione era stata un po’ troppo dura.
Proprio quando aprì la bocca per ritrattare, però, Mary Jane disse con decisione: «Basta».
Liz aggrottò la fronte, confusa. «Basta cosa?»
Aveva parlato troppo?
«Devi smetterla di farmi condizionare da lui» replicò Mary Jane. «Credevo che non me ne importasse nulla di quello che diceva o pensava, e poi… Lui grida contro di me e riesce a farmi venire dei dubbi sul mio matrimonio. Non voglio più che sia così, Liz».
La ragazza bionda la fissò, impressionata dalla sua determinazione.
«E non lo voglio alle mie nozze» aggiunse Mary Jane, dopo averci pensato su un istante.
Liz annuì in silenzio.
Per qualche istante, nessuna delle due aggiunse altro.
«Quindi ti sposi?» azzardò alla fine la ragazza bionda.
Mary Jane la guardò e fece segno di sì, aprendosi in un sorriso spontaneo. «Quindi mi sposo» confermò.






















Spazio dell’Autrice:
Buongiorno a tutti.
Scusatemi per la posticipazione dell’aggiornamento (dirò solo una cosa: studio =S).
Devo dirlo: scrivendo questo capitolo, sono quasi arrivata ad odiare Harry… Le sue seghe mentali sembravano prendere pieghe assolutamente non programmate. Spero, in ogni modo, che il risultato non sia troppo confusionario.
E lo confesso: la sua chiacchierata heart to heart con Bernard (♥) non era affatto prevista. Vado a pregare di non essere sprofondata nell’OOC u.u
Okay, non dico altro (a parte: “Non tiratemi scarpe, vi prego!”) e me ne vado.
A sabato 20 aprile!

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Capitolo 14
*** Passo dopo passo ***


Capitolo 14 – Passo dopo passo

«Hai mai rimpianto qualcosa?»
Harry fissò Peter come se l’amico fosse impazzito. «Lo stai davvero chiedendo a me?»
L’altro sbatté le palpebre. Per un istante, la sua espressione fu colma di dispiacere, poi lui accennò un sorriso di scuse. «Hai ragione» ammise.
Sospirò, sistemandosi meglio sul divano.
«Sai? Forse potremmo scriverci un’enciclopedia, sul rimpianto».
Harry sorrise appena. «Suppongo… Comunque, al momento cos’è che rimpiangi?»
«Il fatto di averti accompagnato all’incontro col dottor Connors» rispose Peter, onestamente.
L’altro aggrottò la fronte. «Perché, scusa?»
«Perché adesso mi sta evitando».
Harry credette di aver capito male. «Prego?»
«Be’, sai…» fece Peter, scrollando le spalle. «Prima, se mi fermavo dopo la lezione per fargli un paio di domande, era sempre disponibile… Adesso, non appena mi vede avvicinarmi alla cattedra, è tutto un “Scusami, Parker, devo andare”».
«Un cervellone come te ha delle domande da fare a fine lezione?» chiese Harry. «Accidenti. Il corso del professor Connors dev’essere bello tosto».
Peter gli indirizzò uno sguardo di rimprovero. «Harry».
«Sì, scusa». Il giovane Obsorn si raddrizzò, passandosi una mano sotto il mento. Le sue dita indugiarono appena sulle cicatrici che gli segnavano il lato destro del collo, ma lui era più impegnato a far capire a Peter che ora stava prendendo il problema molto seriamente. «Senti, forse ha altre cose da fare. Non è detto che ce l’abbia con te – in fondo non ne avrebbe ragione. Voglio dire, è stata la OsCorp a rifiutare il suo progetto… Tutt’al più potrebbe avercela con me».
«Già, però…» rimuginò Peter ad alta voce.
Harry fece un sorrisetto. «Lo sai che adesso sei tu a rivestire la parte del paranoico? È un interessante rovesciamento dei ruoli».
Peter gli sbatté addosso uno dei cuscini del divano, ma non poté fare a meno di sorridere a propria volta.
«Questo è un comportamento decisamente infantile» sostenne Harry. «Specie per un uomo in procinto di sposarsi».
Peter storse il naso. Se qualcuno – chiunque – gli avesse chiesto chi era più infantile tra lui ed Harry, lui avrebbe puntato senza indugio il dito sull’amico.
Dopotutto, lui non avrebbe mai saltato un appuntamento col fisioterapista perché non era “dell’umore giusto”, mentre Harry aveva trovato la maniera di farlo appena tre giorni prima.
Tuttavia, poiché aveva già ampiamente illustrato all’amico cosa pensava di quella sua bravata, Peter decise di lasciar correre.
«A proposito del matrimonio» disse invece, colto da un pensiero improvviso, «sai che MJ aveva deciso di invitare suo padre?»
Harry alzò lo sguardo e annuì. «Me l’avevate accennato, sì».
«Ecco, ha cambiato idea».
L’altro corrugò appena la fronte. «Davvero?»
«E non solo» rispose Peter, «ieri sera ha telefonato a sua madre e le ha dato una specie di ultimatum».
«A sua madre?»
Peter annuì. «Le ha detto che, se vuole venire al matrimonio, deve lasciare il marito».
Harry non cercò in alcun modo di nascondere la propria sorpresa. «MJ ha detto questo a sua madre?»
Strano.
La ragazza voleva molto bene a sua madre, sebbene la decisione della donna di non separarsi dal proprio marito l’avesse sempre fatta soffrire.
Soprattutto tramite Peter, Harry era venuto a sapere delle liti continue dei genitori di Mary Jane, ed entrambi gli amici sospettavano che il signor Watson non fosse il tipo che perdeva molto tempo prima di venire alle mani.
Non per la prima volta, Harry si chiese se Mary Jane fosse mai stata maltrattata fisicamente, da bambina.
Probabilmente no. In caso contrario, sospettava che lei – una volta cresciuta, chiaramente – non avrebbe aspettato molto, prima di denunciare il genitore alle autorità.
«Le ha detto questo» confermò Peter, distogliendo l’amico dalle proprie elucubrazioni. «Se vuoi, posso fornirti i dettagli: MJ ha voluto che fossi con lei, durante la telefonata».
Harry fece un breve cenno di diniego. «Non ce n’è bisogno» disse.
Passò le dita sul bordo ricamato del cuscino che Peter gli aveva lanciato addosso poco prima.
«E allora?» chiese quindi. «Cosa credi che farà Mrs. Watson?»
Peter sospirò. «Francamente? Non ne ho idea. Per MJ, però, spero che si decida a fare come sua figlia le ha suggerito».

Quel pomeriggio, Harry si recò in ospedale per vedere il proprio fisioterapista.
L’uomo – al contrario di Peter – non fece commenti sul fatto che il ragazzo avesse voluto rimandare il loro ultimo appuntamento.
A fisioterapia conclusa, Harry si diresse verso l’uscita dell’ospedale.
Trovava snervante l’infinita successione di corridoi e rampe di scale… Si supponeva che lui non dovesse stancarsi, giusto? Allora perché lo studio del fisioterapista non era un po’ più vicino all’ingresso?
Il suono di una voce familiare lo riscosse da quei pensieri.
Si guardò attorno, scorgendo Liz qualche passo davanti a lui, davanti alla porta di un laboratorio medico.
Si arrestò, senza rendersi conto del fatto che – sino a qualche settimana prima – avrebbe tirato dritto fingendo di non averla vista.
La ragazza stava parlando con un medico dai capelli scuri, che si teneva appoggiato con disinvoltura alla maniglia della porta.
Harry la osservò ridere col proprio collega, e si disse che probabilmente erano amici… Se non di più.
Quell’ultimo pensiero, spuntato da chissà dove, lo lasciò di stucco.
Il giovane aggrottò la fronte, realizzando che, in fondo, era possibile che Liz fosse fidanzata senza che lui ne sapesse nulla.
Davanti ai suoi occhi, il medico si congedò dalla ragazza, entrando nel laboratorio.
Quando la porta si fu chiusa alle sue spalle, Harry annullò in pochi passi la distanza tra lui e Liz.
«Ciao».
La ragazza si girò verso di lui con espressione sorpresa. «Harry!» esclamò, aprendosi in un sorriso. «È bello vederti! Che ci fai qui?»
Lui scrollò le spalle. «Fisioterapia».
Liz annuì, e il giovane accennò col mento verso la porta. «Ho notato che non ti fai pregare, se puoi divertirti sul lavoro».
«Se tu facessi l’infermiera» rispose lei, «coglieresti al volo ogni occasione di svago».
«E il dottore ti dà corda, invece di rimproverarti?»
Liz agitò una mano. «Oh, quello è il dottor Ross» disse, come se ciò spiegasse tutto. «È sempre molto gentile. Tra l’altro» proseguì, illuminandosi, «abbiamo appena realizzato che è fidanzato con un mio ex compagno di corso… Che adesso è finito a fare l’infermiere non so dove».
Harry impiegò qualche istante, prima di accorgersi di essersi bloccato a fissarla. «È fidanzato» ripeté.
Lei lo fissò, accigliandosi appena. «È quello che ho detto… Perché?»
«Niente» replicò lui, con una scrollata di spalle. «Se non fosse stato impegnato, forse avrebbe potuto essere un buon partito per te. I medici guadagnano abbastanza, o sbaglio?»
Questa volta, Liz gli diede un pugno leggero sul petto. «È molto gentile, da parte tua, insinuare che potrei fidanzarmi con qualcuno solo per i soldi che porterebbe a casa» commentò, caustica.
Harry non sorrideva spesso, perché quel gesto gli faceva sentire la durezza della propria carne e dei muscoli facciali, ma in quel momento non poté farne a meno.
«Ehi, voglio solo che tu sia felice» scherzò.
La ragazza inarcò un sopracciglio. «E per questo mi consiglio un matrimonio d’interesse e non di amore?»
Harry annotò un punto a favore della ragazza: non aveva tutti i torti. «Forse è poco logico?»
«Non è logico per niente» rispose lei, scrollando la testa bionda.
Il giovane si passò una mano tra i propri capelli scuri e arruffati. «Ti facevo più cinica».
«Oggi ti diverti proprio a farmi dei complimenti, vero?» domandò lei.
Harry si strinse nelle spalle. «Se vuoi, posso dirti che hai un bel sorriso» propose, senza pensarci.
Liz rise con aria incredula. «Okay» gli disse, «forse dovrei tornare al lavoro, prima che questa chiacchierata degeneri ulteriormente».
Il giovane scosse la testa. «Se questo è il modo in cui di solito accogli i complimenti» osservò, «non ti meravigliare se la gente non te ne fa più. O se sei ancora single».
Aggrottò la fronte. Il fatto che Liz non fosse fidanzata col dottor Ross, non implicava necessariamente che non fosse fidanzata con nessun altro.
«Perché sei ancora single, vero?»
«Nient’affatto» rispose Liz, improvvisamente molto seria. «Visto che non ho mai niente da fare, vado a una festa dopo l’altra, e una notte ho conosciuto questo affascinante buttafuori…»
Harry la fermò alzando una mano. «D’accordo, Liz, ho ricevuto il messaggio» disse, in tono divertito.
Se a risollevarlo fosse stata l’ironia della ragazza, o il realizzare che effettivamente non era fidanzata, non lo sapeva nemmeno lui.
«E tu» esordì Liz, «fammi capire… Mi stai dicendo che sono single non perché non conosco quasi nessuno, ma perché non so apprezzare i complimenti».
Harry annuì. «Esattamente».
Lei parve stupita, poi lo guardò quasi con curiosità. «Quindi eri sincero?»
«Sì, perché no?» replicò Harry, rendendosi conto – non senza un lieve stupore – che era la verità: Liz aveva davvero un bel sorriso.
Lo meravigliava il fatto che la ragazza fosse tornata al complimento che lui le aveva rivolto.
Liz, da parte sua, sembrò colpita, ma poi accennò un sorriso. «Okay, allora… Grazie».
«Figurati».
La ragazza gli sorrise più apertamente, dopodiché gettò un’occhiata alla propria sinistra. «Mi dispiace, Harry, ma adesso credo di dover davvero tornare al lavoro…»
Lui le indirizzò un gesto galante. «Prego».
Lei gli sorrise di nuovo. «È stato bello vederti» lo salutò, prima di avviarsi – quasi di corsa – lungo il corridoio.
Harry la seguì con lo sguardo, sentendo un sorriso premere all’angolo delle sue labbra.
In fondo, era stato bello anche per lui.
















Spazio dell’Autrice:
Grazie a Odino, oggi non ho un niente da dire :D
Quindi mi limito ad augurarmi che il capitolo vi sia piaciuto… E a darvi appuntamento a sabato 27 aprile!

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Capitolo 15
*** Raccolta fondi ***


Capitolo 15 – Raccolta fondi

Appollaiata su una sedia girevole, una gamba piegata sotto il sedere e l’altro piede ben ancorato al pavimento, Liz stava scartabellando una pila di moduli.
«Dove cavolo…?» imprecò, tra sé e sé.
«Liz, va tutto bene?»
La ragazza alzò gli occhi, trovandosi a ricambiare lo sguardo preoccupato di una giovane donna dai lineamenti orientali e i capelli neri lunghi e lisci.
«Sha Shan» fiatò Liz, prima di ricordarsi della domanda dell’altra. «Ah, sì, tutto bene, devo solo recuperare un modulo per il dottor Ross».
«Se mi dici di che si tratta, posso darti una mano» offrì la donna.
Liz scosse la testa. «No, ti ringrazio, ma credo di poterci riuscire. Spero».
L’altra annuì, abbozzando un sorriso. «Va bene» disse, agitando la mano e avviandosi verso il corridoio. «Ci vediamo!»
«Sì» le gridò dietro Liz, prima di riabbassare gli occhi sui moduli.
Se doveva essere sincera, Sha Shan la metteva un po’ in soggezione. Era senza dubbio una bella donna, ma erano soprattutto la sua sicurezza e la sua calma ad impressionarla.
Sapeva ben poco di lei, a parte il fatto che veniva dal Vietnam e faceva la fisioterapista.
Fisioterapista… Liz si rigirò la parola in testa, e alla fine capì che le aveva fatto tornare in mente Harry.
Be’, per fortuna Sha Shan non era la fisioterapista del ragazzo… o lei si sarebbe decisamente sentita in ansia.
Scosse la testa, cercando di scrollar via quel pensiero.
Prima che ci potesse riuscire, le capitò finalmente sottomano il modulo giusto – l’elenco dei membri del personale che negli ultimi giorni erano stati nel laboratorio del terzo piano.
Liz lo sventolò davanti al proprio volto, sollevata.
“Eccoti qui”.
Un’ulteriore gioia fu guardare l’orologio e osservare che ormai il suo turno era giunto alla conclusione.
La ragazza si alzò e si diresse spedita a consegnare il foglio al dottor Ross. Dopodiché, si liberò del proprio camice, si sciolse i capelli e si avviò verso l’uscita.
A metà strada, fu intercettata da una persona molto familiare. «Ehi, Liz!»
La ragazza si accigliò appena. «MJ? Che ci fai qui?»
Mary Jane rise. «Anch’io sono felice di vederti».
A quelle parole, Liz accennò un sorriso. «Sì, scusami… Ho appena finito al turno e sono un po’ scombussolata».
«Quanto scombussolata?» indagò l’amica.
Liz si strinse nelle spalle. «Non saprei… Non troppo, credo».
«Bene!» esclamò Mary Jane. «Perché Harry ha bisogno del nostro supporto morale».
La ragazza bionda aggrottò la fronte. «Supporto morale?» ripeté, interrogativa.
Aveva visto Harry solo il giorno prima, e le era sembrato che stesse piuttosto bene. Certo, era anche vero che il giovane sembrava capace di cambiare umore abbastanza in fretta.
«Supporto morale» confermò Mary Jane.
«Sta poco bene?»
Guidandola verso le porte dell’ospedale, Mary Jane scosse la testa. «Be’» concesse poi, «forse dipende dai punti di vista. Tra due ore ha una raccolta fondi per la OsCorp».
«Okay» mormorò Liz, confusa. «Raccoglie un po’ di soldi, questo non è… un bene?»
Mary Jane fece una lieve smorfia. «Potrebbe» rispose, «ma se conosco Harry, non dev’essere molto entusiasta… Forse possiamo tirarlo su, se andiamo da lui».
In quel momento, le due ragazze uscirono all’aria aperta, e Liz si strinse istintivamente nella propria giacca.
Il cielo di New York era di un grigio pallido. E il vento, per quanto leggero, era piuttosto freddo.
«MJ… ha senso tutto questo?» chiese Liz, affrettandosi per tenere il passo dell’amica. «Insomma, noi non siamo facoltose o qualcosa del genere…»
«Tu sì» obiettò Mary Jane, con un lieve sorriso.
«Un tempo» grugnì Liz. «Stavo dicendo, non mi sembra un’ottima idea, imbucarci in una raccolta fondi».
Mary Jane si fermò. «Liz» disse, in tono accorato, «credimi. Harry avrà bisogno del nostro sostegno. Per questo andiamo. Per tenere alto il suo morale, non il suo conto in banca».
Liz guardò l’amica, incapace di proferir parola… E alla fine capitolò. «D’accordo» disse, in un sospiro. «Viene anche Peter?»
Mary Jane scosse la testa. «No, lui è all’università…»
E fu così che, due ore più tardi, si ritrovarono alla raccolta fondi.

Se Liz avesse dovuto descrivere quel salone con una sola parola, avrebbe optato per “lucido”.
Ogni singola superficie, dalle piastrelle del pavimento, ai quadri appesi alle pareti, al tavolo dove dava mostra di sé il più ricco dei buffet, sino ai bicchieri di champagne che alcuni camerieri portavano da una parte all’altra della stanza, sembrava scintillare.
La ragazza cercò di non mettersi a fissare le persone che popolavano la sala.
I loro vestiti eleganti, le risate un po’ troppo squillanti e le chiacchiere cortesemente affettate le ricordavano alcune feste per l’inaugurazione di alberghi e club…
Senza riuscire ad evitarlo, si ritrovò a ricordare quando suo padre le aveva insegnato a ballare proprio in vista di quelle occasioni.
Si riscosse con un piccolo brivido, e sentì una lieve scossa di panico.
Per un istante, le era sembrato di riconoscere il genitore in un uomo dai capelli scuri con un paio di baffi ben curati…
“Smettila” si rimproverò. “Non è lui. Sì, è ricco, ma non avrebbe motivo di essere qui…”
Così come, a dire il vero, un motivo non ce l’aveva nemmeno lei, pensò, scoccando un’occhiata a Mary Jane.
L’amica indossava un vestito verde scuro che contrastava meravigliosamente con la sua pelle chiara e i suoi capelli fulvi, e si guardava attorno nel tentativo di individuare Harry.
Giusto. Harry.
Liz si morse il labbro. In effetti, ammise reclutante, lei ce l’aveva, un motivo per trovarsi lì.
Anche se non riusciva ancora a credere di essersi fatta convincere.
Mentre Mary Jane borbottava qualcosa sul fatto che l’amico non si vedeva da nessuna parte, Liz sorprese un paio di uomini intenti a fissarle.
Infastidita, ricambiò apertamente lo sguardo, costringendoli a distogliere gli occhi.
In quel preciso istante, la borsetta di Mary Jane iniziò a vibrare insistentemente.
La ragazza dai capelli rossi aggrottò la fronte e armeggiò sino a recuperare il proprio cellulare.
«Chi è?» chiese Liz, senza troppo interesse.
L’altra si strinse nelle spalle, rispondendo: «Pronto?»
Un istante dopo, la sua espressione distratta – ancora focalizzata sui gruppetti di gente – si fece attenta, quasi tesa. «Mamma» sussurrò lei.
Liz sbatté le palpebre e fissò l’amica.
Mary Jane si ricompose in fretta, schiarendosi la gola. «Cosa c’è?» chiese, suonando quasi fredda.
Si morse il labbro inferiore, ascoltando la risposta.
«Dove?»
Liz si accigliò, cercando di interpretare l’espressione dell’amica. Avrebbe dato qualsiasi cosa per sapere cosa stava dicendo la signora Watson.
Poi Mary Jane annuì: «Va bene. Vengo subito lì. Impiegherò cinque minuti, penso… Dieci al massimo. Sì, ci vediamo. Ciao».
Su quella nota, chiuse la chiamata.
«Allora?» domandò Liz.
«Mia madre» rispose l’altra, quasi senza fiato. «Vuole parlare con me. Credo sia per dirmi cos’ha deciso… riguardo a mio padre».
«Accidenti» commentò la ragazza bionda, a corto di altre considerazioni.
Mary Jane sembrava molto nervosa, indecisa se sperare o aspettarsi il peggio. Tuttavia, riuscì a rivolgere un lieve sorriso a Liz e a posarle una mano sulla spalla. «Allora, io vado… Mentre tu stai qui e cerchi Harry».
La ragazza bionda sgranò gli occhi. Quella era una conseguenza che non aveva considerato…
«Che cosa?» esclamò, prima di riuscire a fermarsi. «Vuoi lasciarmi qui da sola
Mary Jane la fissò, sorpresa dal suo tono stridente. Gettò una rapida occhiata ai milionari che le circondavano. «È pieno di gente, qui, Liz» osservò. «Non direi che sei sola».
Liz si morse il labbro, apparentemente imbarazzata della propria reazione. «Sì, ma… cosa dovrei fare?»
La ragazza dai capelli fulvi le rivolse un sorriso incoraggiante.
Dopo la telefonata di sua madre, si era aspettata che Liz avrebbe cercato di rassicurarla in tutti modi… E invece sembrava che il ruolo della consolatrice fosse ricaduto sulle sue spalle.
Stranamente, la cosa non le dispiaceva. La aiutava a non angustiarsi troppo al riguardo dell’incontro che la attendeva.
«Fa’ quello che avremmo fatto insieme» disse, accennando un sorriso. «Trova Harry. E dagli tutto il tuo supporto».
«Okay» rispose Liz, passando le mani sul tessuto azzurro del proprio vestito.
«Guai a te se scappi via, saresti una pessima amica» aggiunse Mary Jane, ma non riuscì a sorridere un’altra volta. Non riusciva più a cacciare il pensiero di sua madre in un angolo, e la cosa la faceva sentire molto nervosa.
«Grazie mille» fece Liz, con una smorfia.
Per poco, Mary Jane si scordò di rispondere. «Prego» disse alla fine, voltandosi verso l’uscita e iniziando ad incamminarsi.
«MJ!»
Si bloccò e si girò verso Liz.
La ragazza bionda sembrava appena essersi ricordata di una cosa, e la guardò con un sorriso di scuse. «Andrà tutto bene, vedrai».
Mary Jane si sentì rabbrividire, e mimò la replica con le labbra: «Lo spero».
Dopodiché, si voltò e si avviò con passo più sicuro.
Liz seguì MJ con lo sguardo sinché poté. Poi l’amica scomparve oltre la porta, e lei tornò a girarsi a malincuore verso il centro della sala.
Bene. Ora doveva smetterla di pensare a suo padre. E doveva smetterla anche di rimuginare con Mary Jane – per quanto l’idea di rintanarsi in un angolino e trascorrere il resto della serata a preoccuparsi per l’amica le sembrasse allettante.
Trovare Harry.
Okay. Poteva farcela.
Giocherellando con una ciocca dei propri capelli biondi, iniziò a spostarsi lungo la stanza.
Le reminescenze dei ricevimenti organizzati dai suoi genitori tornarono a galla, ricordandole come esaminare le persone che aveva attorno senza sembrare indiscreta.
E alla fine, lo trovò.
Era vicino al tavolo del buffet. Teneva in mano un calice di champagne, e annuiva con aria assente all’uomo che aveva di fronte.
Liz non perse tempo, dirigendosi verso il ragazzo.
Si fermò a qualche passo di distanza, cogliendo alcuni stralci della conversazione: «…progetto… straordinario… lo stanziamento…»
Forse, più che conversazione, sarebbe stato più corretto chiamarla monologo.
Harry, infatti, non apriva bocca, limitandosi ad annuire o a scuotere la testa ogni tanto.
Liz assottigliò i propri occhi… Quella situazione le ricordava le volte in cui si era ritrovata a dover aspettare che sua madre finisse di parlare con qualcuno, perché interrompere due adulti che chiacchieravano era estremamente maleducato.
Non appena l’interlocutore di Harry fece una pausa, Liz fu pronta ad approfittarne.
Era diventata brava, in quello.
«Mr. Osborn!» interloquì, con una vivacità che non sentiva. «Sono Elizabeth Allen, è un piacere conoscerla!»
Harry la guardò con aria stranita.
Ignorando l’occhiata in stile che-cosa-stai-facendo dell’amico, Liz si rivolse all’uomo che fino a quel momento aveva parlato con Harry.
«Interrompo qualcosa?» chiese, in tono innocente.
L’altro sbatté le palpebre. «No… no, avevamo finito».
La ragazza sorrise – era diventata brava anche nel gestire la propria espressione. «Perfetto… Allora non le dispiacerà, se le rubo il signor Osborn…»
Lui scosse la testa. «No, certo che no» disse, prima di rivolgere un cenno ad Harry: «A presto, Mr. Osborn…»
Harry ricambiò il saluto con la massima cortesia, poi inarcò le sopracciglia e guardò l’altro allontanarsi.
Infine, diede un fischio sommesso.
«Brava» commentò, rivolto a Liz. «Dove l’hai imparato?»
«Be’…» esitò lei, mentre il giovane svuotava rapidamente il proprio calice di champagne. «Sai, i genitori ricchi… Davano molte feste».
Harry si passò il dorso della mano sulle labbra, quindi aggrottò la fronte. «Certo» disse. «E posso chiederti cosa fai qui?»
Liz notò con sollievo che non sembrava seccato, ma soltanto incuriosito.
«È stata un’idea di MJ» spiegò. «Pensava che ti servisse supporto morale. Era venuta anche lei, ma poi è dovuta correre da sua madre».
«Oh». Dal modo in cui il giovane emise quel suono, e da come si accigliò, Liz capì che lui sapeva dell’ultimatum che la rossa aveva dato a Mrs. Watson.
Con un gesto veloce, gli prese di mano il calice vuoto e lo poggiò sul tavolo. «Speriamo che vada bene» sospirò.
«Sì» le fece eco Harry, con la fronte aggrottata.
«Comunque» aggiunse Liz, cercando di alleggerire l’atmosfera – in fondo, era lì per tenere alto il morale dell’amico, «ti stai divertendo?»
Lo sguardo che Harry le rivolse fu più eloquente di mille discorsi, e la ragazza si lasciò scappare un sorriso.
«Okay, domanda stupida» ammise.
Harry annuì. «Un momento prima che tu arrivassi» disse, «stavo giusto cercando il modo di andarmene…»
«Ma non puoi andartene» obiettò Liz, «è la tua raccolta fondi».
«Veramente» replicò Harry, accennando col mento ad un signore barbuto poco lontano, «è la sua raccolta fondi».
Liz aggrottò la fronte. «E lui chi sarebbe?»
Il giovane si strinse nelle spalle. «Un membro di rilievo del consiglio» rispose. «Una persona adorabile».
«Così adorabile da scusare una tua eventuale assenza?» chiese la ragazza.
Harry si incupì. «Temo di no».
Liz tacque, osservando il ragazzo. All’apparenza, Harry sembrava un po’ di malumore, forse appena annoiato… Dal modo in cui il suo sguardo continuava a spostarsi, però, Liz capì che era più inquieto di quanto desse a vedere.
La ragazza ripensò alla sua riluttanza a stare in mezzo alla gente, e si morse il labbro, iniziando a lambiccarsi il cervello.
Forse, se lei…
Harry, da parte sua, sentendo che Liz non replicava, si girò a guardarla.
E proprio in quel momento la ragazza emise come un ansito sorpreso, lasciandosi cadere sulle proprie ginocchia.
«Liz?» chiese Harry, in tono allarmato.
«Non… respiro…» boccheggiò lei, portandosi una mano al petto. «Mi gira… la testa… Mi gira la testa!»
Il giovane si chinò istintivamente su di lei, mentre con la coda dell’occhio notava che qualcuno dei presenti si era girato verso di loro.
Rapido, alzò lo sguardo. «Qualcuno può chiamare un’ambulanza?»
La mano di Liz, però, gli agguantò il braccio. «No!» esclamò lei. Poi, in tono più normale, mentre i suoi occhi saettavano verso il pubblico che aveva guadagnato: «No, credo… di aver solo… bisogno di un po’ d’aria…»
E riprese ad ansimare come se non riuscisse a riempirsi i polmoni.
Un uomo si avvicinò di qualche passo, gettando un’occhiata preoccupata alla ragazza inginocchiata a terra. «Va tutto bene, Mr. Osborn?»
Harry aiutò Liz ad alzarsi, mentre lei continuava a premersi una mano sul petto e ad emettere dei suoni strozzati. «Sì» disse il giovane, sperando fosse vero. «La accompagno fuori». Detto ciò, rivolse la propria attenzione all’amica. «Ce la fai?»
Lei annuì senza dire niente, appoggiandosi a lui.
Mentre passavano in mezzo al gruppetto di persone che si erano avvicinate per assistere, Liz premette il volto contro la spalla di Harry.
Non appena le porte del salone si furono chiuse dietro di loro, la ragazza si raddrizzò, staccandosi dal giovane.
Harry la fissò.
Liz aveva le guance paonazze, e le labbra le tremavano.
Ogni sorta di gemito, però, era cessato, e lei sembrava stare benissimo – rossore a parte.
«Oddio!» squittì la ragazza, nascondendo il volto tra le proprie mani. «Non posso credere di averlo fatto davvero!»
Davanti a una simile reazione, Harry aggrottò la fronte. «Che cosa vuoi dire?»
Liz, per tutta risposta, riemerse dalle proprie mani, e il giovane poté vedere che stava… stava ridendo.
«Aspetta» le disse, «stavi fingendo, prima?!»
Lei cercò inutilmente di controllare le proprie risate soffocate. «S…sì» riuscì a dire, con le guance sempre più scarlatte.
Harry scosse la testa, incredulo. «Tu sei completamente matta».
Liz si premette una mano sulla bocca, e dopo un po’ riuscì a smettere di ridere. «Volevi andartene, no? Ti ho fornito una scusa».
Lui non seppe cosa replicare. «Certo che sei una grande attrice» commentò alla fine.
A quelle parole, Liz si posò le mani sulle guance. «Ti prego, non dirlo» disse. «Stavo morendo di vergogna… Tutte quelle persone che ci guardavano!»
«Okay, ma forse è meglio andare a casa mia, prima che qualcuno venga a controllare come stai» osservò Harry.
Liz annuì, cercando di trattenere un sorriso. «Dopo di lei».
Il ragazzo scosse la testa. «Andiamo insieme» replicò. «Sei una testa calda, e non voglio perderti di vista un solo istante».

Nel giro di una decina di minuti, arrivarono a casa Osborn.
Liz non poté fare a meno di notare quanto le stanze sembrassero buie e vuote. «Bernard non c’è?» domandò, aggrottando la fronte.
Harry scosse la testa, guidando la ragazza verso il salotto. «Ogni tanto anche lui ha diritto a riposare» rispose, in tono neutro.
«Mi sembra giusto» mormorò Liz.
Il giovane le indirizzò un’occhiata obliqua. «Già» disse, con voce strana.
La ragazza non poté fare a meno di pensare che Harry, probabilmente, avrebbe preferito avere il suo maggiordomo sempre attorno.
D’altro canto, come biasimarlo?
Stare da solo in una casa così grande non doveva essere il massimo.
Una volta che si furono accomodati sul divano, Harry lasciò andare un gran sospiro. «Immagino di doverti ringraziare» ipotizzò.
Liz cercò di sistemare la gonna del proprio vestito azzurro. «Veramente» disse, scrollando le spalle, «l’idea del supporto morale è stata di Mary Jane».
Per qualche motivo, il nome della ragazza sembrò far sorridere Harry. «Non che io abbia niente contro il supporto morale» disse lui, «ma sgattaiolare via è ancora meglio».
Liz emise un sospiro teatrale, fingendo di asciugarsi una lacrima. «Il capo della OsCorp e il suo cuore d’oro» fece, in tono melodrammatico. «Sempre pronto a soccorrere una damigella in pericolo…»
Harry storse il naso, ma non prima che un sorriso gli attraversasse brevemente il volto. «Sembri più una fuorilegge, a dire il vero» commentò. «Lo facevi spesso, durante i ricevimenti dei tuoi genitori?»
Liz gli scoccò un’occhiata. «In realtà» puntualizzò, «non avevo mai fatto una cosa simile in vita mia… E mai la rifarò, probabilmente».
Harry sospirò. «Peccato».
«E tu?» chiese Liz. «Ce l’hai, qualche dote di attore?»
“Immagino di sì” pensò lui, “considerando New Goblin e tutto il resto…”
«Non direi» rispose invece. «Quando mio padre cercava di farmi frequentare una scuola privata, se volevo saltare una lezione non inventavo nessuna scusa. Nessun falso svenimento, nessun malore simulato. La saltavo e basta».
«E poi chiami me fuorilegge» commentò Liz. «A quanto pare anche il rampollo Osborn ha una vena ribelle…»
Harry sorrise stancamente. «Sorpresa?»
«Veramente no» rispose Liz. «Ricordo un certo paziente che, molto astutamente, decise di fare le scale invece di prendere l’ascensore».
«Stai bene con quel vestito, sai?» tentò Harry. «S’intona ai tuoi occhi».
«Ribelle e evasivo» osservò la ragazza. «Sei una miniera di pregi. Mi piaci».
Harry inarcò un sopracciglio. A differenza del tono scherzoso con cui aveva iniziato a parlare, Liz aveva pronunciato l’ultima frase con fin troppa serietà.
«Allora sei una delle poche persone che la pensa così» commentò il giovane, asciutto.
Liz poggiò il mento sul dorso della propria mano destra, piantando il gomito sulla propria gamba. «Giusto, quasi dimenticavo» mormorò, meditabonda. «L’autocommiserazione».
Harry scosse la testa. «E dire che ieri ti sei lamentata perché ti facevo troppi complimenti… Non pensi di stare esagerando?»
Liz abbozzò un sorriso. «Hai ragione. Scusami».
«E perché tu lo sappia» aggiunse Harry, «la mia non è autocommiserazione. È realismo».
Liz scosse la testa. «Sì?» chiese, raddrizzandosi. «Allora dai, senza pensarci: dimmi una persona a cui non piaci».
La risposta gli uscì dalle labbra prima che lui riuscisse a trattenerla: «Mio padre».
Subito dopo, il giovane si morse l’interno della guancia.
L’aveva detto piano, però… Forse Liz non aveva sentito.
Gli bastò un’occhiata all’amica, però, per capire che aveva sentito eccome.
Lei era raggelata – non c’era altro modo di descrivere la maniera in cui si era immobilizzata – e lo fissava ad occhi sgranati.
«Che cosa?» sussurrò.
Harry si mosse sul divano, avvertendo un certo sconforto.
Da quando era così incapace di controllare la propria lingua?
«Mio padre» rispose, con voce misurata. «Non gli piacevo molto».
«Ma Harry, non è detto che…» iniziò prevedibilmente a contraddirlo la ragazza.
«Liz» la fermò lui. «Per favore. Tu non lo conoscevi, io sì. E ti dico che avrebbe preferito mille volte avere un figlio come Peter, piuttosto che avere me».
Il suo sguardo si distolse dalla ragazza, scivolando verso la parete più vicina.
Ci fu un lungo silenzio.
Poi Liz ebbe uno scatto nervoso. «Be’, forse…» iniziò, ma si bloccò subito.
Aggrottando la fronte, Harry riportò gli occhi su di lei. «Cosa?»
La ragazza si morse il labbro. «Forse non vuol dire» mormorò alla fine. «Insomma, io… io piacevo un sacco ai miei genitori, davvero».
Harry sollevò le sopracciglia, ma non disse nulla.
«Voglio dire, per mio padre ero una sorta di principessa, e mia madre non mi adorava meno di lui» aggiunse Liz.
La sua mano si strinse sul bracciolo del divano.
«Ed è finita lo stessa» concluse lei.
Harry non poteva negare di sentirsi un po’ a disagio, ma allo stesso tempo preferiva mille volte parlare di Liz, che non di se stesso.
Improvvisamente, realizzò una cosa.
Nei suoi aneddoti sulla propria infanzia, Liz non gli aveva mai parlato dei suoi genitori.
Non davvero, almeno… Li aveva nominati un paio di volte, come figure marginali, distanti. Così distanti…
«Vuoi parlarne?» le chiese, quietamente.
Lei lo fissò. «Io… be’, sì» disse. «Il fatto è che sono così… arrabbiata. Voglio dire, avevo un ottimo motivo per fare l’infermiera, non è stato uno stupido colpo di testa o qualcosa del genere… Ma credi che a loro sia importato?»
Harry non disse nulla – in fondo, Liz non aveva davvero bisogno di una risposta.
«Non gli è importato affatto, e invece mi hanno posto le loro belle condizioni… “Se lo fai, Elizabeth, puoi anche scordarti di noi”…»
Quando incrociarono quelli di Harry, gli occhi azzurri della ragazza sembravano bruciare d’indignazione, di rabbia repressa.
«Non è giusto» concluse Liz, con voce strozzata.
Il giovane lasciò andare un respiro. «Immagino di no».
Lei, allora, si strinse debolmente nelle spalle, come per cercare di sminuire il proprio sfogo. «Quindi, vedi, anche dei genitori che vanno pazzi di te possono deluderti».
«È dura» si sentì dire Harry, e nemmeno lui sapeva se si stava riferendo alla propria condizione o a quella di Liz.
La ragazza annuì. «Non c’è niente di peggio che essere deluso da chi ami».
Harry sentì un brivido lungo la spina dorsale. Per un istante, sentì una forte empatia nei confronti della ragazza… E d’istinto, mentre la sua anima sembrava protendersi verso di lei, lui si ritrasse.
Era così abituato a distaccarsi da chi lo circondava… Quella sensazione non lo aveva soltanto colto di sorpresa: lo aveva fatto sentire come se qualcosa gli avesse fatto perdere l’equilibrio.
A quel punto, Liz stirò le labbra in un sorriso tirato. «Okay» disse, «ora che si fa, affinché la serata non si blocchi in uno stallo di letale imbarazzo?»
Harry prese la palla al balzo. «Si inizia a parlare di stupidaggini, è ovvio» rispose.
Liz si sistemò un ciuffo biondo dietro l’orecchio. «È ovvio» concordò. «Il difficile, immagino, sarà trovare un argomento».
Dentro di sé, il giovane concordava. Per certi versi, lo sfogo di Liz gli aveva dato la sensazione che la sua mente si fosse congelata di colpo.
«Vuoi che ti racconti di quella volta in cui ho mandato Bernard a una raccolta fondi al posto mio?» propose infine.
Liz si sistemò più comodamente sul divano, e il suo sorriso si fece più genuino. «Sei un disastro» commentò lei, scuotendo la testa. «Sì, dai, racconta. Questa la devo sapere!»
























Note:
Eccomi! =)
Allora: Sha Shan è un personaggio dei fumetti di Spider-Man. Una ragazza che Flash Thompson incontra in Vietnam durante il servizio militare.
In un numero abbastanza recente del fumetto (di uno o due anni fa), è riapparsa in una storia come fisioterapista.
Da lì, l’idea di farle fare una comparsa in questa fanfiction.
Per il resto, spero che il capitolo vi sia piaciuto!
A sabato 4 maggio!
P. S. Quasi dimenticavo: ho modificato un po’ l’inizio della seconda parte dello scorso capitolo… Niente di drastico, gli avvenimenti restano identici, ho solo sistemato un po’ di passaggi che mi sembravano poco scorrevoli ^^

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Capitolo 16
*** Qualcosa ***


Capitolo 16 – Qualcosa

Harry era in camera sua, seduto alla propria scrivania.
Forse era strano, ma in passato aveva utilizzato quel tavolo molto raramente…
Ai tempi della scuola, aveva iniziato a studiare seriamente dopo aver conosciuto Peter… E la maggior parte delle volte, quando doveva prepararsi per interrogazioni e simili, si recava nella casa dell’amico a Forest Hills.
Poi si era trasferito in un appartamento con Peter, e quand’era tornato permanentemente a casa Osborn dopo la morte di suo padre, aveva preso l’abitudine di utilizzare l’ex studio del genitore…
Ora, tuttavia, eccolo lì.
Davanti a lui, non c’erano contratti della OsCorp, né tantomeno compiti scolastici.
C’era solo un foglio, dov’era stampata la Formula di Goblin – così come in origine era stata scritta da suo padre e dal suo collega, Mendell Stromm.
Per quanto detestasse ammetterlo, Harry non sapeva proprio da che parte iniziare per correggerla.
Non aveva la più pallida idea di dove fosse l’errore.
A cosa erano dovuti gli effetti collaterali della Formula?
Dov’era la pecca?
E come se i suoi dubbi non bastassero, non riusciva a concentrarsi come avrebbe voluto.
Gli sembrava che, invece di quel foglietto, fosse ben altro a ballargli davanti agli occhi: le immagini del giorno in cui aveva trovato suo padre sul pavimento del proprio studio…
Ricordava il lieve gemito che era sfuggito all’uomo mentre lui lo aiutava ad appoggiarsi al pouf lì vicino… Ricordava la voce della donna che si era precipitata nella stanza, annunciando che Stromm era stato ucciso, e che la tuta da volo e l’aliante erano stati rubati.
Lo spettro improvviso di una risata, lieve come un fruscio ma spaventosamente reale, gli fece accapponare la pelle.
Il ragazzo alzò di scatto il capo, e guardò alle proprie spalle.
Non c’era nessuno, naturalmente.
Se Goblin era presente da qualche parte, non era certo nella sua stanza… Ma nella sua testa.
Harry cercò di rilassarsi, ma era più facile a dirsi che a farsi.
Aveva i muscoli tutti tesi, e…
L’improvviso squillare del proprio cellulare gli strappò un violento sussulto.
«Calmati» sibilò a se stesso, battendo una mano sulla propria guancia destra, per poi afferrare il proprio telefonino. «Pronto?»
Dall’altro capo, gli rispose l’ormai familiare voce di Liz. «Ehi, Harry».
Harry sentì un’irrazionale ondata di fastidio nei confronti della ragazza. «Che c’è?» sbottò.
Il momento dopo, trasalì a causa del tono che gli era uscito dalle labbra.
Per un istante, Liz ammutolì. «Va… va tutto bene?» chiese alla fine.
La sua voce non aveva più la nota ottimista di poco prima. Sembrava esitante, incerta.
Harry si impose di inspirare profondamente. Quei ricordi dovevano averlo scosso più di quanto pensasse…
«Sì, è tutto a posto» si costrinse a dire. «Mi hai solo sorpreso in un momento di… frustrazione».
«Frustrazione?» ripeté Liz, come se non fosse del tutto sicura di poter chiedere un chiarimento in proposito.
“Ottimo lavoro, Osborn” si disse Harry, tetro. “Tu sì che sai come mettere i tuoi amici a loro agio”.
«Nulla di ché, un lavoro per la OsCorp» affermò, cercando di assumere un tono più leggero. «Non riesco a far quadrare le cose».
«Oh».
Quando Liz non aggiunse altro, Harry strinse la presa sul cellulare e si schiarì la gola. «Devi dirmi qualcosa?»
«Sì, si tratta di MJ… Io, te e Peter Parker siamo invitati a casa sua» rispose Liz. «Sai, no, che l’altro giorno ha parlato con sua madre? Credo ci voglia aggiornare in proposito».
Harry inarcò le sopracciglia. «E vuole dircelo di persona?»
Non sapeva decidere se si trattasse o meno di un buon segno.
«A quanto pare» fu la quieta risposta di Liz.
Il giovane si inumidì le labbra. «Okay. Quando dobbiamo trovarci a casa sua?»
«Tra mezz’ora circa» replicò la voce della ragazza bionda.
Lo sguardo di Harry cadde sul foglio che aveva davanti.
Di colpo, il giovane si chiese perché Mary Jane non l’avesse invitato di persona, affidando invece quel compito a Liz.
«Va bene, vedrò di essere puntuale» sospirò infine.
«Okay» disse Liz, «allora ci vediamo lì».
«Ci vediamo lì» confermò il giovane, prima di chiudere la chiamata.
Per qualche istante, restò a fissare la Formula di Goblin, tamburellando le dita sul bordo del tavolo… Alla fine, però, mise il foglio da parte.
Mary Jane, si disse, pensando al sorriso della ragazza. Mary Jane aveva la precedenza.

Quando Harry bussò all’appartamento dell’amica, fu Liz ad aprire la porta.
La ragazza bionda gli rivolse un sorriso, ma sembrava un po’ preoccupata. «Eccoti» lo accolse, con voce piena di sollievo. «Vieni, MJ ha voluto aspettare che arrivassi tu, prima di dirci qualcosa…»
E, senza troppi complimenti, lo afferrò per il braccio e lo tirò dentro.
L’appartamento di Mary Jane, anche se non molto sofisticato, era certamente più spazioso di quello di Peter.
Consisteva in un’ampia stanza, nella quale era compreso l’angolo cucina, un tavolo, una scrivania, alcuni scaffali, più un divanetto e una televisione.
Su suddetta stanza, poi, si affacciavano due porte, che portavano rispettivamente al bagno e alla camera da letto della ragazza.
Guardandosi attorno, Harry sentì un piccolo brivido.
L’ultima volta che era stato lì, l’aveva guidato la sua vendetta contro Peter.
Si era nascosto nell’ombra, attendendo il rientro della ragazza… E quando Mary Jane era arrivata, l’aveva afferrata per il collo, sbattendola contro il muro…
Rammentava fin troppo bene lo sgomento negli occhi dell’amica.
Fortunatamente, quell’immagine si dileguò quando Liz lo spinse verso il divanetto su cui già era seduto Peter.
Harry si accomodò accanto all’amico, e Liz prese posto vicino a lui.
Fu solo a quel punto che, finalmente, Harry riuscì ad alzare gli occhi su Mary Jane, che stava in piedi di fronte al sofà.
La ragazza aveva i capelli sciolti sulle spalle, e aveva un’espressione seria. «Ciao, Harry».
«MJ…»
«Allora?» domandò ansiosamente Liz.
Harry sbatté le palpebre, e valutò il viso di Mary Jane. Sembrava abbastanza tranquilla… o no?
Per avere un altro indizio, scoccò un’occhiata verso Peter. Il ragazzo non pareva molto turbato… Ma era così perché era già al corrente di com’erano andate le cose, o perché si stava imponendo di non angustiarsi prima del tempo?
Mary Jane buttò fuori tutto d’un fiato, come se non potesse più trattenersi dal condividere quell’informazione: «Mia madre ha deciso di lasciare mio padre».
Harry si rilassò di colpo contro il divano. Alla sua sinistra, Liz ruppe in un sospiro colmo di sollievo, mentre alla sua destra Peter si apriva in un gran sorriso.
«Per questo vi ho fatto venire qui» aggiunse la ragazza dai capelli rossi, prima che uno dei tre potesse dire qualsiasi cosa, «per festeggiare».
Solo in quel momento, Harry lanciò un’occhiata in tralice verso il tavolo e notò la presenza di una ciotola colma di pop-corn e di una bottiglia di Coca-Cola.
Liz si alzò d’impeto dal divano per abbracciare l’amica. «Direi che festeggiare è d’obbligo!»
Adesso, il sollievo di Mary Jane era evidente: continuava a sorridere, e gli occhi chiari le brillavano…
Senza aspettare gli altri due, le ragazze si avvicinarono al tavolo.
Harry e Peter, dal canto loro, si scambiarono un’occhiata e si alzarono dal divano, per poi raggiungerle.
«Ha una sistemazione?» s’informò Harry, prendendo una manciata di pop-corn. «Tua madre, intendo».
In caso contrario, pensò, avrebbe potuto provvedere lui ad arrangiare qualcosa.
«Sì» rispose però Mary Jane, «si è trasferita da mia zia Anna».
Quel nome fece drizzare la testa a Peter. «Anna?» domandò lui. «Anna Watson?»
«Quante zia Anna credi che io abbia?» replicò Mary Jane.
«Anna Watson è… la sorella di tuo padre?» azzardò Liz, con la fronte aggrottata.
Mary Jane annuì. «Sì, ma lei è a posto».
In quel momento, Liz ricordò che, in passato, l’amica le aveva spesso accennato a questa zia, dalla quale andava quando l’atmosfera casalinga si faceva troppo pesante.
«E tu come la conosci?» aggiunse Harry, rivolto a Peter.
Il giovane scrollò le spalle. «Mia zia May» disse, a mo’ di spiegazione. «Lei e Anna Watson sono amiche».
Liz diede a Mary Jane un secondo, rapido abbraccio. «Sono contenta per te».
L’amica le rivolse un sorriso. «Grazie».
Dopodiché, la festicciola fu definitivamente inaugurata. Seguendo l’esempio di Harry, che aveva già provveduto a servirsi, anche gli altri iniziarono a mangiare pop-corn e a bere Coca-Cola, col sottofondo di un rilassato chiacchierio.
Harry non poté fare a meno di notare che, quando si rivolgeva a Peter, Liz assumeva un’aria un po’ cauta e colpevole… e forse anche un po’ incredula.
Personalmente, lo trovava quasi divertente.
Ad un certo punto, lui e Peter iniziarono a lanciarsi pop-corn da una parte all’altra della tavola, cercando l’uno di far centro nella bocca dell’altro, e scatenando prima la costernazione e poi le risate delle due ragazze.
Quando la cosa iniziò a degenerare, e i pop-corn che atterravano sul pavimento si fecero decisamente troppi, Mary Jane si sporse sul tavolo: «Okay, bambini, adesso basta!»
Nella sua veemenza, però, urtò la bottiglia di Coca-Cola… Liz, che era la più vicina, fu rapida a rimetterla in piedi, ma una macchia marrone e frizzante si stava già allargando sul tavolo.
Peter e Harry, dal canto loro, avevano dato un taglio alla loro battaglia.
«MJ…»
«È tutto sotto controllo» asserì la ragazza coi capelli fulvi. «Vado a prendere il canovaccio… Peter, ti dispiace venire a darmi una mano? L’ultima volta l’ho lanciato sul mobiletto del bagno, ed è un po’ in alto per me…»
«Nessun problema» replicò lui, seguendola verso il bagno.
Ormai sulla soglia, Mary Jane si batté una mano sulla fronte e guardò indietro: «Ah, Liz, dentro al frigo c’è un vassoio con alcune paste… Ti dispiace tirarle fuori?»
«Detto fatto» disse la ragazza bionda, guadagnandosi un bel sorriso.
Quando Mary Jane e Peter furono scomparsi in bagno, Harry si avvicinò a Liz per osservare: «Anche le paste… Caspita».
«Vuole festeggiare per bene» disse Liz, aprendo il frigo.
Trovò subito il vassoio in questione, e lo tirò fuori con cautela. Poi, reggendolo tra le mani, richiuse il frigorifero con una spalla… A quel punto, però, rischiò di perdere l’equilibrio, e il vassoio traballò pericolosamente.
Se nessuna delle paste andò a spiattellarsi sul pavimento, fu per merito di Harry, che fu rapido a posare le mani su quelle dell’amica, immobilizzando il portavivande.
Liz fissò i pasticcini ad occhi sgranati, quindi sollevò la testa per guardare Harry: «Grazie. Non so cosa mi abbia…»
Si interruppe con un respiro brusco, notando quanto il suo volto e quello del ragazzo fossero vicini; poteva sentire il suo fiato sulla propria pelle.
Immediatamente, il cuore iniziò a martellarle nel petto.
Harry, dal canto suo, non rispose neanche.
Aveva ancora le mani sopra a quelle di Liz, e un lieve formicolio gli stava risalendo lungo le braccia.
Gli occhi azzurri della ragazza – era troppo vicina – erano puntati nei suoi, ed Harry non riusciva a distogliere lo sguardo.
Non riusciva nemmeno a pensare al fatto che, in quell’istante, Liz doveva vedere con assoluta chiarezza le pieghe e le cicatrici che gli sfiguravano il volto.
Sarebbe bastato così poco, per annullare la distanza tra loro… Così poco…
Non senza gentilezza, Harry premette le mani su quelle di Liz, spingendo indietro la ragazza, quindi si allontanò di qualche passo da lei.
Liz parve riscuotersi di colpo.
Girò la testa dall’altra parte, mentre un lieve rossore le strisciava sulle guance.
Harry esitò. Doveva dire qualcosa? E se sì, cosa, esattamente?
A salvarli dall’imbarazzo fu il ritorno di Peter e Mary Jane.
«Ecco il canovaccio» annunciò il giovane, brandendo lo straccio nella mano destra.
«Peter ha salvato la situazione» scherzò Mary Jane.
Lui la guardò con aria un po’ ferita, ma lei sorrise, e cercò il volto di Liz per scambiare un’occhiata complice con lei.
La ragazza bionda, però, sembrava non essersi minimamente accorta di quello scambio di battute.
Mary Jane aggrottò la fronte, scoccando un’occhiata ad Harry.
Quest’ultimo era intento a spostare i bicchieri lontani dalla pozza di Coca-Cola, e sembrava che quell’occupazione assorbisse tutta la sua attenzione.
Mary Jane sbatté le palpebre.
Era successo qualcosa?
«È successo qualcosa?» domandò, perplessa.
Liz sembrò cadere dalle nuvole. «Cosa?» chiese. «No, è tutto a posto…» Si girò rapida verso Harry: «Vero?»
Lui annuì. «Sì, certo» confermò, e la ragazza bionda parve sinceramente sollevata.
Mary Jane cercò gli occhi di Peter, ma lui si era avvicinato al tavolo per asciugare la pozza di Coca-Cola, e non sembrava essersi accorto di nulla.
“Uomini” pensò Mary Jane, un po’ ironicamente.
In silenzio, riportò lo sguardo su Liz ed Harry. A meno che la sua immaginazione non stesse correndo a briglia sciolta, lì doveva essere successo qualcosa.

















Spazio dell’Autrice:
Eccomi qui! Aggiornamento in corner…
Anna Watson – inutile dirlo – viene dritta dal fumetto…
E riguardo il fatto che Liz e Harry abbiano finito per NON baciarsi (l’avvenimento verrà preso in esame più approfonditamente nel prossimo capitolo, comunque)… non mi odia nessuno, vero? XD
(Per il titolo... no, non sono riuscita a farmi venire in mente niente di meglio XD)
Sia come sia, appuntamento a sabato 11 maggio!


















AVVISO DEL 19/05/13:
Niente aggiornamento.
Sono davvero desolata, ma per adesso il capitolo è scritto solo a metà, e tra lo studio e la mancanza di ispirazione (sgrunt), sto avendo non poche difficoltà a finirlo.
Vi chiedo scusa, e spero che sia pronto per giovedì 23 maggio >_>
EDIT del 23 maggio:: Sééé, troppa grazia. Adesso vediamo se riesco per sabato 25 *incrocia le dita*

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Capitolo 17
*** Confusione ***


Capitolo 17 – Confusione

Liz fu la prima a doversene andare.
«Quando l’ospedale chiama…» sospirò, abbracciando brevemente Mary Jane.
«…tu rispondi…» completò l’altra, separandosi dall’amica quasi a malincuore.
Liz poteva essere anche diventata più riservata, nel corso degli anni, ma era abbastanza incline a dispensare gesti d’affetto come quello… Ed era un lato del suo carattere che a Mary Jane piaceva molto.
La ragazza bionda sorrise. «Mi hai tolto le parole di bocca».
Poi i suoi occhi si spostarono su Harry, e il sorriso le scivolò via dalle labbra. Per un istante, la sua espressione parve dire chiaramente: “A questo punto non so cosa diavolo fare”.
Dal canto suo, Harry pensò che, nonostante la scena alla raccolta fondi, Liz non era poi così brava a recitare… e tantomeno a nascondere le proprie reazioni.
«Ci vediamo» le disse, forse un po’ troppo velocemente.
La ragazza esitò, poi annuì e fece per uscire… Solo all’ultimo momento, si ricordò di Peter e si bloccò, salutando anche lui.
Quando se ne fu andata, l’alter ego di Spider-Man gettò un’occhiata interrogativa alla propria fidanzata. «Stava bene?» chiese. «So che probabilmente non sono la sua persona preferita, qui dentro, ma… Sembrava un po’ distratta».
Mary Jane aggrottò la fronte. Anche lei aveva trovato il comportamento di Liz un po’ insolito. Gettò un’occhiata rapida ad Harry, quindi rispose: «Non lo so… Forse in ospedale lavora troppo. Harry, tu che ne pensi?»
L’interpellato, fino a quel momento impegnato a rimuginare tra sé e sé, alzò di colpo gli occhi sull’amica. «Di cosa?»
«Di Liz» replicò Mary Jane.
Harry la fissò con l’aria di chi è rimasto senza parole.
«Dicevamo che sembra un po’ distratta» spiegò allora Peter, «e a quanto pare non è la sola…»
Harry gli indirizzò una smorfia, poi si voltò verso Mary Jane: «Sono sicuro che sta bene».
La ragazza dai capelli rossi lo guardò con aria scettica, ma non disse nulla.
«Ah, MJ, vuoi che ti diamo una mano a pulire questo pasticcio?» aggiunse il giovane, accennando a tutti i pop-corn disseminati sul pavimento.
Lei sospirò. «Forse sarebbe il caso, visto che è opera vostra».
Peter assunse un’aria colpevole. Lui ed Harry si scambiarono un’occhiata, ed un istante dopo erano già armati di scopa e paletta, e intenti a spazzare il pavimento.
Mary Jane quasi sorrise. Li aveva addestrati bene…
Harry, dal canto suo, avrebbe voluto che quei pop-corn fossero abbastanza interessanti da assorbire tutti i suoi pensieri. Purtroppo per lui, pretendeva troppo da degli ex chicchi di mais.
Con una sensazione indefinita – a metà tra il rimorso e il disappunto – pensò al momento in cui Liz l’aveva salutato.
La ragazza era visibilmente a disagio, e lui si augurava che quel comportamento non durasse a lungo.
Ultimamente, aveva iniziato ad apprezzare la compagnia della ragazza più di quanto volesse ammettere.
E ora? Avrebbero perso la confidenza che avevano guadagnato per colpa di un… il giovane non era sicuro di come definirlo… un incidente?
A quel pensiero, Harry strinse le labbra. Non voleva pensare di non riuscire più a chiacchierare con Liz.
Forse le persone impiegavano un po’, prima di entrargli nel cuore… Ma una volta che erano lì, lui detestava l’idea di doverle perdere (perderle… come aveva perso suo padre).
Insomma, che cosa diavolo era successo?
Quel momento di immobilità, di vuoto mentale… Non era il genere di cosa che sperimentava di fronte a chiunque.
Proprio per questo, però, non aveva senso.
Stava per baciare Liz?
Perché?
Per quel che ne sapeva lui, il proprio cuore era ancora fermo a Mary Jane.
Anche se ormai si era abituato al pensiero di non poterla avere. Anche se ormai si era abituato all’idea che lei amasse il suo migliore amico.
Gettò un’occhiata alla ragazza, che stava dicendo qualcosa a Peter con un sorriso.
Ma Liz?
Era difficile capire che cosa l’avesse immobilizzato quando se l’era trovata così vicina, anche perché in quel momento non aveva pensato a un accidente.
Ancora adesso, ricordava dei dettagli con chiarezza quasi assurda… L’ombra delle ciglia di Liz sulla guancia della ragazza… Il profumo del suo shampoo… Diavolo, era persino arrivato a vedersi riflesso nelle pupille di lei.
Forse, si disse, tentando di razionalizzare la cosa, si era trattato solo di attrazione fisica… In fondo, Liz era carina.
«MJ» chiamò Peter in quel momento, «la bottiglia della Coca-Cola è vuota. Dove devo metterla?»
Harry rivolse un’occhiata verso l’amico.
Mary Jane, da parte sua, indicò un sacchetto trasparente attaccato vicino al frigorifero. «Le cose di plastica le metto là…»
«Bene» disse Peter, con approvazione. «Raccolta differenziata».
Harry scosse impercettibilmente la testa, scaricando i pop-corn nella pattumiera.
A quel punto, fu colpito da un pensiero improvviso, che prima non aveva nemmeno considerato. Se lui… se lui non fosse riuscito a ritornare in sé quel che bastava per allontanare Liz… lei avrebbe… lo avrebbe baciato?
Così, senza allontanarlo?
Si sfiorò il viso con le dita.
“Assurdo” pensò.
Di sicuro, entrambi avevano di meglio di cui occuparsi: una mossa del genere era stata del tutto insensata.
Strappandosi da quelle riflessioni, Harry si avvicinò a Peter e a Mary Jane.

Qualche giorno più tardi, Mary Jane e Liz scesero al bar dell’ospedale per fare una merenda in compagnia.
«Accidenti» fu il commento della ragazza bionda, quando si sedettero ad un tavolino bianco e tondo, «devi volermi davvero bene, se accetti di mangiare quello che vendono qui».
Mary Jane aggrottò la fronte. «È davvero così terribile?»
«Abbastanza».
«Cosa devo dirti» replicò allora la ragazza dai capelli rossi, «il mio cuore è pieno di compassione…»
Iniziò ad armeggiare per aprire il suo pacchetto di patatine.
«Ma come diavolo…?»
«Ah, sì» disse Liz, sporgendosi in avanti, «quei pacchetti sono insopportabili… Da’ qui».
Mary Jane cedette il pacchetto alla mano tesa dell’amica. «Grazie».
«Mmm» fece Liz.
Dovette fare qualche sforzo, ma alla fine la confezione si aprì con uno strappo.
«Ecco qui» annunciò la ragazza bionda, restituendo il pacchetto a Mary Jane.
La ragazza coi capelli rossi le rivolse un sorriso riconoscente, raccogliendo un paio di patatine tra due dita.
Liz, da parte sua, succhiò un po’ della bibita che aveva comprato. «Cosa stavi iniziando a dirmi, prima?» chiese poi.
«Oh, sì» fece Mary Jane. «C’è questa mia amica, Juliet Gelfman, che hai dei cugini… E loro stanno mettendo su uno spettacolo, così lei mi ha proposto di fare un provino».
L’espressione di Liz si fece prima sorpresa, poi radiosa. «MJ, è fantastico! Sono sicura che sarai perfetta!»
L’altra sbuffò una risata. «Non sai nemmeno che ruolo dovrei impersonare…»
Liz arrossì appena, ma non si fece scoraggiare. «Perché? Ha davvero importanza?»
«Direi di sì» rispose Mary Jane. «Potrei non essere adatta, alla fine dei conti».
Liz agitò una mano come se fosse un discorso privo di fondamento. «Sia come sia» disse, «è inutile fasciarsi la testa prima di essersela rotta… Dico bene? Quindi tanto vale pensare positivo».
Mary Jane abbozzò un sorriso. «Forse però è meglio non cantar vittoria prima di aver vinto…»
Liz aggrottò la fronte. «Questo non è un proverbio».
L’altra quasi si mise a ridere, poi aggrottò la fronte e si sfilò di tasca il cellulare. «Scusa» disse, velocemente, «mi è arrivato un messaggio, e potrebbe ess…» Si interruppe di colpo, fissando il display. «No» sibilò. «Non posso crederci!»
Sorpresa dal tono dell’amica, Liz la guardò. «Che succede?»
Mary Jane serrò le labbra. «Mio padre» rispose, irritata. «Da quando mia madre l’ha lasciato, mi manda un messaggio dopo l’altro – tutti per insultarmi, naturalmente. Credi che io possa denunciarlo per stalking?»
Liz corrugò le sopracciglia. «Intasarti il cellulare di messaggi è un’azione da stalker?» domandò, insicura.
«Non ne ho idea» ammise Mary Jane, «però dovrebbe, così potrei…»
I suoi occhi scorsero il messaggio, e il suo fastidio parve aumentare.
«Qui arriva ad insultare Peter… Non posso crederci: l’avrà visto sì e no un paio di volte, di sfuggita, quando eravamo ancora vicini di casa…»
Ora era vera e propria rabbia: non una rabbia ferita, certo, ma una rabbia colma di sdegno.
«“Almeno i tuoi ultimi fidanzati erano ricchi”» citò, disgustata. «Come se sapesse qualcosa della situazione economica di Peter, senza contare che John non l’ha mai incontrato, mentre Harry…»
Si interruppe bruscamente.
Liz drizzò la testa per fissarla. «Harry?» ripeté, interrogando l’amica con lo sguardo. «Harry Osborn?»
Non sapeva perché, ma le sembrava di sentire un improvviso vuoto allo stomaco.
Mary Jane accavallò le gambe sotto il tavolo, un po’ a disagio. Annuì. «Siamo stati fidanzati per un po’ di tempo, dopo la fine del liceo…»
Liz era rimasta senza parole. «Ah» fu tutto ciò che riuscì a dire.
La sensazione nel suo stomaco si stava ramificando: ora aveva l’impressione di avere una radice sul fondo della pancia.
Mary Jane abbassò gli occhi sul cellulare, e un silenzio stranamente teso aleggiò tra loro due.
Liz tentò di chiarirsi le idee. Automaticamente, ripensò a qualche giorno prima, quando lei ed Harry…
Aveva cercato di non ragionarci troppo, finora… Di non chiedersi, per esempio, come sarebbe stato se lui non l’avesse fermata…
Adesso, però, il ricordo si era materializzato nel suo petto, e pretendeva di essere riesaminato.
In tutta onestà, se il ragazzo non si fosse tirato indietro… Lei non l’avrebbe fatto di certo.
Era insicura sul perché. Non era stupida, e ormai aveva capito di tenere molto a quel ragazzo, ma sinceramente non sapeva se ne era innamorata o meno.
Forse… forse…
Forse sì.
Allo stesso tempo, però, una parte di lei pensava che era meglio che fosse finita così, con un niente di fatto.
Per un non-bacio, il disagio che era serpeggiato tra lei ed Harry era stato fortissimo… Non osava immaginare cosa sarebbe successo nel caso di un bacio vero.
E se doveva scegliere tra il tenersi la loro amicizia e l’avventurarsi in un qualcosa di più per il quale Harry non era ancora pronto, in un qualcosa di più del quale lei non era del tutto sicura… Optava per l’amicizia senza pensarci nemmeno una volta.
L’aver scoperto che Harry e Mary Jane erano stati fidanzati, però…
Non sapeva bene cosa pensarne.
“Cavolo” gemette interiormente, “è tutto così confuso”.
Forse, la sua reazione di fronte a quella notizia era in parte dovuta al fatto che, dopo aver sentito Mary Jane parlare di Peter, si era figurata un amore nato subito dopo la rottura con Flash e interrotto solo – brevemente – da John Jameson.
Riportando gli occhi su Mary Jane, si schiarì la gola. «Direi che è meglio non pensare ai messaggi di tuo padre» disse, cercando di suonare disinvolta. «Impegnati a pensare positivo per il provino, piuttosto».
Mary Jane le scoccò un’occhiata a quel forzato cambio d’argomento. Lei si sentiva ancora un po’ a disagio, nel ricordare la propria relazione con Harry, specialmente perché sapeva di aver ferito il ragazzo… Ma perché Liz avrebbe dovuto reagire così?
Alla fine, decise di far finta di nulla. «Hai ragione» affermò, abbozzando un sorriso. «Posso farcela, in fondo».
Il cuore le batté un po’ più forte a quel pensiero.
In realtà, non voleva permettersi di sperare troppo, perché recitare a teatro… Era sempre stato il suo sogno, e non avrebbe mai dimenticato come si era sentita quando l’avevano eliminata dallo spettacolo.
Quell’umiliazione, quella delusione, quello sconforto… Non erano decisamente emozioni che era ansiosa di sperimentare di nuovo.
«Forse questa è la volta buona…» azzardò debolmente.
Liz le sorrise con fare incoraggiante.
«Deve esserlo» aggiunse Mary Jane, a mezza voce.
























Spazio dell’Autrice:
Eccomi! :D
Che dire? Questo era uno di quei capitoli a proposito dei quali ti chiedi: “E adesso come cavolo lo intitolo?”
E il risultato di tanto rimuginare è Confusione.
Okay. Be’, direi che è un’emozione che sicuramente provano sia Harry che Liz (e se sono così confusi per un non-bacio, immaginate il casino che sarebbe derivato da un bacio effettivo! XD)… E magari un po’ anche Peter e Mary Jane (il primo per il comportamento strano di Liz, la seconda per la reazione dell’amica nell’ultima parte del capitolo u.u).
Va bene, va bene, basta parlare di titoli.
A proposito di Juliet Gelfman, la ragazza di cui parla MJ... l’ho tirata fuori dal terzo film.
Mi spiego: quando Mary Jane, poco dopo essersi fatta assumere come cameriera del jazz club, decide di chiamare Harry… E mentre scorre la rubrica del suo cellulare, uno dei nomi che si può vedere è, appunto, Juliet Gelfman ^^
In ogni modo, arrivederci al primo di giugno!
(Queste note sono sempre chilometriche O.O)

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Capitolo 18
*** Tutto per un gelato ***


Capitolo 18 – Tutto per un gelato

La gelateria “Da Joseph” avrebbe dovuto essere una gelateria italiana.
Tra sé e sé, Liz si domandava in quale mondo Joseph fosse un nome italiano.
O almeno, se lo domandava di solito.
Al momento, seduta su uno dei tavolini bianchi sistemati all’aperto, era più occupata a scrutare ansiosamente il viavai di gente lungo il marciapiede.
Inizialmente, dopo ciò che era successo a casa di Mary Jane, aveva pensato di non vedere Harry per un po’, perché temeva che si sarebbe fatta di nuovo prendere dall’imbarazzo.
Meglio aspettare, si era detta.
Non aveva messo in conto, però, che il suo desiderio di vedere il ragazzo e assicurarsi che fosse tutto a posto sarebbe diventato tanto forte.
Aveva resistito tre giorni – tre giorni contati – prima di capitolare e telefonare ad Harry, invitandolo ad andare a prendere un gelato.
Una parte di lei, sinceramente, si era aspettata che lui declinasse. E invece il giovane aveva accettato.
Così ora eccola qui, ad attendere che l’amico si facesse vivo.
Quando lo vide arrivare, il cuore le balzò nel petto.
Lui indossava jeans e maglietta, e si teneva una mano sulla guancia destra.
Notando quel gesto, Liz si sentì un po’ male. Anzi, più che altro si sentì una brava scema.
Sapeva che Harry si sentiva a disagio in mezzo alla gente. Perché lo aveva invitato proprio in gelateria, e non a casa propria?
Per rassicurarlo del fatto che non avrebbe tentato di baciarlo?
Fosse come fosse, ormai la frittata era fatta.
La ragazza si alzò in piedi, così da richiamare l’attenzione di Harry.
Non appena la vide, il giovane andò dritto verso di lei. «Ehi».
«Ciao» replicò la ragazza, un po’ cautamente.
Scoprì, però, che non si sentiva a disagio. Era solo felice di vederlo.
Si sedettero al tavolino, l’uno di fronte all’altra.
Liz si schiarì la gola. «Come va?»
Lui scrollò le spalle. «Tutto okay» rispose. «Tu?»
Aveva parlato in tono noncurante. Forse troppo?
“Smettila” si disse Liz. “Stai diventando paranoica”.
«Tutto okay» affermò. Preoccupata che potessero sprofondare in un silenzio teso, cercò di pensare a qualcosa da dire. «Tu che gelato vuoi?»
Molto originale, di sicuro.
Harry non batté ciglio. «Cioccolato e panna, immagino».
«Mmm» commentò Liz. «Più classico di così si muore».
Il momento dopo, avrebbe voluto trovare un muro contro cui sbattere la testa. Che razza di osservazione aveva appena fatto?
Harry si limitò ad inarcare un sopracciglio. «Tu che gusto prendi?»
«Nocciola e crema, penso» rispose lei, sperando di non essere arrossita, poi propose: «Se mi dai i soldi, entro io ad ordinare per tutti e due».
«Non sarebbe maschilista, da parte mia, far lavorare te?»
Liz fece un cenno di diniego. «Se vuoi proprio saperlo» disse, sforzandosi di assumere un tono grave, «il mio è un diabolico piano per rubarti il resto».
In realtà, era un diabolico piano per far sì che Harry non entrasse con lei. Liz, infatti, sapeva che lui non ne aveva voglia, e sapeva anche che non lo avrebbe mai ammesso.
Harry scosse la testa. «Era molto più diabolico prima che tu me lo dicessi. Ora penso che ti darò i soldi giusti».
Liz allungò la mano, simulando un sospiro. «Fa’ pure… Però è meglio se rimani qui in ogni caso, così nessuno ci ruba il posto».
Lui la guardò, e la ragazza pensò che avesse intuito le sue vere motivazioni.
Comunque fosse, Harry si limitò a scrollare le spalle e ad allungarle qualche soldo.
«Grazie mille». Liz gli sorrise, prima di correre dentro alla gelateria.
Prima di lei, c’erano solo due persone, così poté tornare al tavolo poco dopo, reggendo due coppette.
«Ecco a te» disse, allungando ad Harry quella con la panna e il cioccolato.
«Grazie» rispose lui, tenendo gli occhi bassi.
Liz cercò di non dare troppo peso al fatto che lui non l’avesse guardata.
Tornò a sedersi, scherzando: «Sono un’ottima cameriera, non trovi?»
Lui scavò il cioccolato con la punta del cucchiaio. «Sì. Effettivamente, credo che tu sia sprecata, come infermiera».
A quelle parole, Liz sussultò, e Harry alzò finalmente lo sguardo.
«Scherzavo» chiarì, aggrottando la fronte.
Lei sorrise, ma sembrava un po’ tesa. «Sì, scusa, lo so…»
Il ragazzo inclinò la testa. «Era una battuta così brutta?»
A quella domanda, il sorriso di lei si fece un po’ più sincero. «No» gli assicurò, «è solo che…»
Abbassò lo sguardo e rimestò un po’ il gelato nella coppetta.
«È solo che mio padre mi aveva detto la stessa cosa».
Harry si sarebbe messo volentieri le mani nei capelli. “La tua fortuna torna a colpire, Osborn”.
«Solo che lui non scherzava».
Gli occhi azzurri di Liz si alzarono, e incrociarono lo sguardo del ragazzo. «Solo che lui non scherzava» concordò, sommessamente.
Per un istante, rimasero in silenzio.
«Ne vuoi parlare?» chiese Harry.
Lei scrollò le spalle. «È solo che… ci credeva davvero, quando l’ha detto».
«Immagino sia frustrante, quando le persone ti feriscono pensando di farlo per il tuo bene».
Lo sguardo che Liz gli lanciò fu abbastanza penetrante. Quando la ragazza parlò, la sua voce era tranquilla. «Lo immagini o lo sai?»
Harry non rispose. Raccolse un po’ di panna e cioccolato sul cucchiaino e lo assaggiò. «Questo gelato è molto buono» constatò, in tono distaccato.
Liz assottigliò gli occhi, ma evitò di commentare. «È vero» disse invece. «Forse è davvero gelato italiano».
Harry la guardò. «Perché, hai dei dubbi in proposito?»
«Be’» replicò Liz, «da quando Joseph è un nome italiano?»
A quelle parole, finalmente, il giovane sorrise appena. «Dubbi fondati».
Liz si aprì in un sorriso. «Già…»
Entrambi si chinarono sui loro gelati.
Dopo qualche cucchiaiata, però, Liz emise una sorta di mugolio.
Harry la guardò. «Stai bene?»
Lei lo fissò con aria un po’ contrita, arricciando le labbra. «Mi si è congelato il cervello!»
«I rischi del gelato» replicò lui, riportando l’attenzione sulla propria coppetta.
Liz si morse il labbro, esitante. «Harry, riguardo quello che è successo a casa di MJ…»
Lui alzò immediatamente gli occhi. «Sì?» chiese, in tono guardingo.
«Amici come prima?» domandò lei.
Per un istante, lui non rispose, e la ragazza si accorse di star trattenendo il fiato.
Alla fine, però, Harry si rilassò sulla sedia ed annuì. «Certo».

Il giorno successivo, in ospedale, Liz si stava dedicando al tedioso compito di riordinare alcune cartelle cliniche.
Sentendo dei passi che si avvicinavano, e pensando che fosse Martha – un’altra infermiera che era di turno con lei – chiese in tono esasperato: «Ma perché nessuno scrive che la signora Toddleston è allergica al cioccolato?»
«Non lo so» rispose un’altra voce femminile.
Non era Martha, però.
Liz alzò di scatto gli occhi, trovandosi di fronte Sha Shan.
«Oh» disse, mentre le sue guance si facevano bollenti. «Pensavo fossi Martha».
La donna le rivolse un lieve sorriso. Aveva una rivista di gossip in mano, e la teneva con la punta delle dita come se ne fosse disgustata.
«Chi sarebbe la signora Toddleston?» chiese, in tono di conversazione.
«Oh, un’ottantenne decisamente arzilla» rispose Liz. «Negli ultimi giorni ha avuto due shock anafilattici perché continua a chiedere di portarle della cioccolata… E visto che nella sua cartella non c’è scritto che ha un’allergia, chi non la conosce continua a portargliela». Scosse la testa. «Hai una penna, per caso?»
Ovviamente sì.
Sha Shan si tolse una biro nera dal taschino del camice e la passò a Liz.
Appoggiando la cartella clinica al muro, la ragazza bionda aggiunse l’allergia alla cioccolata a caratteri cubitali.
In quel momento, fece la sua entrata un’altra infermiera.
«Oh, ciao, Martha» disse Liz.
«È vero?» domandò l’altra, senza preamboli.
La ragazza bionda le riservò un’occhiata interrogativa. «Che cosa?»
«Sono affari di Liz» intervenne Sha Shan, in tono quasi glaciale. «E non dovresti fidarti di tutto ciò che leggi».
Martha sbatté le palpebre, e allora la fisioterapista le mostrò la rivista di gossip.
«Questa è tua, immagino».
Liz era decisamente perplessa.
Martha, da parte sua, parve imbarazzata. «Sì…» Spostò gli occhi su Liz con aria colpevole. «Scusa, Liz, non dovevo chiedertelo».
E se ne andò.
Completamente sconcertata, Liz si girò a guardare Sha Shan. «Ma cosa…?»
Per tutta risposta, la fisioterapista le allungò la rivista di gossip.
Liz la prese con aria confusa. La copertina lucida sfoggiava la fotografia di un’attrice in bikini, e la ragazza bionda la fissò senza capire.
«Va’ a pagina… ottanta, credo».
Liz eseguì, sfogliando la rivista tanto in fretta da rischiare di farla cadere sul pavimento.
A pagina ottantatre, si trovò davanti una foto di lei ed Harry, seduti a prendere un gelato.
Il titolo in rosso recitava: UNA FIAMMA PER IL RAMPOLLO OSBORN?
Liz rimase a bocca aperta. «Ma che…?!»
Sha Shan le rivolse uno sguardo solidale. «Giornalisti» sospirò.
«Harry è un mio amico!» esclamò Liz. «Nulla di più!»
Sì, insomma… più o meno.
Arrossendo, la ragazza sperò che lui non vedesse mai quella rivista.

A mostrare la foto ad Harry, fu Peter.
Arrivato a casa dell’amico per passare un pomeriggio insieme, lo trovò seduto alla propria scrivania, e gli piazzò davanti la rivista con l’aria di chi fa una gran fatica a rimanere serio.
«Avresti dovuto dirmelo, Osborn» osservò, in tono di rimprovero.
Harry lo fissò. «Di che cosa stai parlando?»
«Trovi una fiamma nella ragazza che mi maltrattava alle medie e nemmeno pensi di informarmi?» domandò di rimando Peter, con fare melodrammatico.
Harry scosse la testa e si passò una mano tra i capelli. «Lo ripeto: di che cosa stai parlando?»
Per tutta risposta, Peter si protese per aprire la rivista nella pagina della foto con Liz.
Harry rimase a bocca aperta. «Non è possibile» disse.
«A quanto pare sì» rispose Peter, decisamente di buonumore.
L’altro lo guardò male. «Sei un bambino».
Peter non parve molto turbato da quell’accusa. «Quindi ora ti rendi conto di quanto sia irritante cercare di parlare con qualcuno che si comporta in maniera infantile».
Con un gemito, Harry appoggiò la fronte al piano del tavolo. «Svegliami quando non esisteranno più i paparazzi».
«Allora temo che dovrai dormire a lungo, bello» replicò Peter. «Te lo dice Spider-Man in persona… Uno dei loro target preferiti. Io vado a fare rifornimento in cucina, tu vuoi qualcosa?»
Harry emise una specie di ringhio, ma Peter si limitò a ridere e ad uscire dalla stanza.
















Spazio dell’Autrice:
Questo capitolo non mi convince ;_;
Spero solo di sbagliarmi…
(Se vi chiedete cosa ci faceva Peter con una rivista di gossip, si scoprirà più avanti XD Ma non è nulla di eclatante XD)
Innanzitutto, vi chiedo perdono per le posticipazioni… Poi vi ringrazio tantissimo per le vostre recensioni ♥
A lunedì 17 giugno!

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Capitolo 19
*** Festeggiamento a sorpresa ***


Capitolo 19 – Festeggiamento a sorpresa

Rimasto solo, Harry alzò la testa dalla scrivania.
Tirò la rivista sotto i propri occhi, e guardò in silenzio la fotografia di lui e Liz.
Era un po’ sfocata ed era stata scattata da lontano, ma lui riuscì ad identificare senza problemi il momento immortalato.
Liz stava sorridendo, quindi doveva essere stata fatta dopo che erano riusciti a rompere il ghiaccio.
E adesso? Dopo questo articolo, il ghiaccio sarebbe tornato?
Harry non era sicuro della risposta.
In quel momento, armato di pane e formaggio, Peter rientrò nella camera da letto.
Con la coda dell’occhio, Harry lo guardò accostarsi alla scrivania.
«Va tutto bene?» domandò Peter, dopo aver inghiottito il boccone che stava masticando.
L’altro sospirò, girandosi verso l’amico. «Stavo pensando».
«Oh» disse Peter, aggrottando appena la fronte. «Allora è grave».
Harry non gradì particolarmente l’ironia, e lo incenerì con un’occhiataccia.
Peter gli rivolse subito un’espressione contrita. «Scusami. Di cosa si tratta?»
«Non è niente» sbuffò Harry, appoggiandosi pesantemente contro lo schienale della sedia.  «Ho solo pensato a chi leggerà questo articolo… È probabile che penserà che io mi sia guadagnato questa…» – lanciò un’occhiata al titolo – «…fiamma… grazie ai miei soldi».
Peter scosse la testa. «E perché questo dovrebbe turbarti?» domandò, con calma. «Se non sbaglio, non hai mai avuto problemi al pensiero di guadagnare una fidanzata grazie ai tuoi soldi».
“Sì, ma allora immaginavo una stupidella con un bel viso e un corpo favoloso” pensò Harry. “Liz è un’altra cosa… è…”
Bella domanda. Cos’era Liz?
Harry non era certo di voler rispondere, e risolse la questione tornando a guardar male Peter.
Stavolta, però, l’amico ignorò la sua espressione torva. «Tutt’al più» disse, «è Liz che dovrebbe preoccuparsi. Una fama da arrampicatrice sociale. Poverina».
Harry sbuffò con aria contrariata.
«Ah, no, hai proprio ragione» si corresse Peter. «Direi che una cosa verosimile: l’unico motivo per cui ha fatto amicizia con te sono i tuoi soldi. Sì. Sì, certo, mi sembra proprio il tipo».
Infastidito dal sarcasmo e dall’esasperazione dell’amico, Harry cambiò argomento: «Per curiosità, tu cosa ci facevi con una rivista di gossip?»
«Betty» rispose Peter, come se fosse una spiegazione più che sufficiente.
Non la era, ed Harry inarcò un sopracciglio.
«Sì, Betty Brant, la segretaria di Jameson… Sa che ti conosco, così mi ha chiesto delucidazioni in proposito».
Harry lo guardò in modo strano. «E tu cosa le hai detto?»
Peter sembrò perplesso. «La verità, no? Che siete amici».
L’altro annuì. «Giusto» ripeté, meccanicamente. «Che siamo amici».
«A proposito di amici» aggiunse Peter. «MJ ha avuto un provino, oggi, ed ho organizzato una sorta di festeggiamento a sorpresa. Vuoi partecipare?»
Harry lo guardò con un certo sospetto. «Lei lo sa?»
«Certo che no» replicò Peter, fissandolo, «per questo l’ho definito un festeggiamento a sorpresa».
«Sei sicuro che lo apprezzerà?» chiese Harry, con voce riluttante.
«Ne sono sicuro» tagliò corto Peter.
L’altro giovane sospirò. A dir la verità, non aveva molta voglia di uscire, ma poi trasse un profondo sospiro.
“Per MJ” pensò, e disse: «Allora andiamo».

Mary Jane conosceva bene Liz.
Anche se avevano passato molti anni senza vedersi, sapeva ancora distinguere quando l’entusiasmo dell’amica era forzato.
E in quel momento, mentre le raccontava un aneddoto sulla sua vita di infermiera… era forzato.
«E così» stava dicendo, «ho finito di medicare il taglio di questo bambino, e sua madre mi ha chiesto per l’ennesima volta se ero sicura che bastasse…»
Mary Jane si chiese se era il caso di interromperla, ma poi decise di no, e lasciò che l’amica la guidasse lungo quel viale di Central Park.
«Io le ho detto di sì, e a quel punto lei mi ha squadrato dalla testa ai piedi, e mi ha chiesto se potevo mandarle un vero medico».
«E tu cos’hai fatto?» domandò Mary Jane.
Liz sembrò un po’ perplessa. «Ho chiamato un vero medico. Cos’avrei dovuto fare?»
Il viale era affiancato da alberi rigogliosi. Le loro chiome erano come una galleria sulle testa delle due amiche, e creavano giochi di luce ed ombra sulla loro pelle.
Mary Jane scosse la testa e passò un braccio sulle spalle dell’altra. «Sei troppo buona, Liz» le disse con affetto. «Questo è il tuo problema».
La ragazza bionda la fissò, interdetta, poi tirò fuori una risata un po’ stentata. «Bene. Mi fa piacere saperlo».
«E ora vuoi dirmi cosa c’è che non va, o dobbiamo continuare ad evitare l’argomento che ti importa davvero?» chiese Mary Jane, schiettamente.
Forse un po’ troppo, data l’espressione scioccata che comparve sul volto di Liz.
«Scusa» si affrettò a dire Mary Jane, portandosi una mano davanti al viso. «Non volevo chiedertelo così. Sono nervosa per il provino… devono vedere altri attori, prima di dirmi com’è andata…»
«Esatto» la interruppe Liz, un po’ troppo vivacemente. «Il tuo provino. È di questo che dobbiamo parlare, mi sembra…»
«Liz» protestò Mary Jane, mentre la ragazza bionda la sospingeva verso l’interno del prato, «che stai…?»
Poi vide chi le stava aspettando all’ombra di un vecchio cipresso, e tacque di colpo.
Anche Liz smise di spingerla.
“Cavolo” pensò la ragazza bionda, fissando il giovane accanto a Peter.
Harry. Certo.
Quando Peter Parker si era presentato in ospedale, e le aveva chiesto di parlare, Liz era rimasta alquanto sbalordita. Dati i loro trascorsi, non se lo sarebbe mai aspettato…
Nel momento in cui lui le aveva chiesto di trascinare MJ a Central Park, così da poter fare un piccolo festeggiamento, Liz aveva accattonato qualsiasi altra cosa, accettando immediatamente.
Ovviamente, sapeva che ci sarebbe stato Harry.
In fondo, era il miglior amico di Peter ed MJ… Con Mary Jane – come una parte della sua testa rimarcò senza alcun tatto – era stato addirittura fidanzato.
Allo stesso tempo, però, Liz non aveva elaborato appieno la cosa.
Non si era aspettata di impietrirsi così.
Poi Mary Jane si avvicinò a Peter, domandando con un sorriso incerto: «Che sta succedendo?», e Liz si riscosse.
Cercando di non fissare Harry, seguì l’amica verso il cipresso.
Era lo stesso posto in cui avevano fatto il pic-nic…
«Siamo qui per festeggiare, MJ» replicò Peter, disinvolto.
La ragazza dai capelli rossi inarcò un sopracciglio. «Festeggiare cosa?»
Stavolta fu la voce di Harry ad intervenire: «Il tuo provino, naturalmente».
Mary Jane alzò gli occhi al cielo. «Ragazzi, non so nemmeno se sia andato bene…»
«Ha detto che festeggiamo il provino, non il fatto che tu abbia ottenuto una parte nello spettacolo» le fece notare Peter.
Lei gli rivolse uno sguardo di rimprovero.
«Anche se è probabile che tu l’abbia ottenuta» puntualizzò Liz.
Mary Jane scosse la testa, ma stava sorridendo. «Okay. A quanto vedo, vi siete coalizzati tutti contro di me, quindi… Come vogliamo festeggiare?»
Peter accennò al borsone che aveva abbandonato ai piedi dell’albero. «Se vuoi uno spuntino…»
La ragazza gli si avvicinò. «Molto volentieri, signor Parker».
«E auguriamoci» disse Peter, sobriamente, «che i paparazzi del signor Osborn si tengano alla larga da noi».
Harry non sembrò molto contento del commento, e Liz trasalì.
«Paparazzi?» ripeté Mary Jane, confusa. «Mi sono persa qualcosa?»
«Non è niente» disse Harry, con un’occhiataccia a Peter.
Liz, dal canto suo, ebbe la netta sensazione che le stesse per cadere la mascella. “L’ha vista” pensò. “Ha visto quella stupida foto”.
Sperando di non essere arrossita, si avvicinò in tutta fretta al borsone. «Qualcuno vuole dell’acqua?» chiese, aprendo la cerniera.
«Io, grazie» rispose la voce di Harry.
Liz sussultò e si raddrizzò, girandosi di scatto verso di lui.
Erano pericolosamente vicini, e per un istante si osservarono a vicenda, prima che Harry facesse un passo indietro.
«Tu… leggi riviste di gossip?» domandò cautamente il ragazzo, mentre Liz gli passava un bicchiere di carta.
Lei gemette interiormente. “L’ha vista davvero”.
«Io no, una mia amica sì» rispose. Negare la realtà sarebbe stato inutile.
«Capisco» disse Harry, in tono neutro.
Lei gli versò un po’ d’acqua. Con la coda dell’occhio, controllò Peter e Mary Jane: la rossa stava raccontando al suo fidanzato com’era andato il provino.
Liz riportò l’attenzione su Harry. «E tu? Leggi riviste di gossip?»
Lui fece cenno di no. «Ma le amiche di Peter sì» aggiunse, quasi con insofferenza.
Il suo tono di voce strappò un sorriso alla ragazza. «Comunque» disse lei, «sei più fotogenico di quanto credessi».
Harry le riservò un’occhiata di avvertimento. «In quanto mia fiamma» sostenne, «penso che dovresti evitare di prenderti gioco di me».
Liz non poté fare a meno di ridere. «Ma così non ci divertiremmo più…»
«Tu non ti divertiresti più» ribatté il giovane, prendendo un sorso d’acqua. «Io starei alla grande».
«E poni il tuo benessere davanti alla mia spensieratezza?» domandò Liz.
«Esatto» disse Harry, pigramente.
Liz indugiò per qualche istante, poi chiese: «Credi che potrei denunciarli per violazione della privacy?»
«Non saprei. Non è che ti si riconoscesse al volo».
«Sì, però chi mi conosce mi ha riconosciuta» ribatté la ragazza.
«Conosce… riconosciuta…» mormorò Harry.
Lei gli scoccò un’occhiata. «Il gioco di parole non era intenzionale» disse, asciutta.
Harry fece spallucce. «Tornando al problema della privacy… Dovresti chiedere ad un avvocato, non a me».
Liz gli rivolse un sorriso incerto. Per un istante, si domandò come sarebbe stato trovare quell’articolo, se lei ed Harry fossero stati più che amici.
Si sarebbero imbarazzati di più? O avrebbero riso con più disinvoltura?
Il giovane fraintese il suo silenzio. «Non preoccuparti…» le disse, sommessamente. «Sono ricco sfondato, è vero, ma i dirigenti di un’azienda sono sempre meno interessanti degli attori, o dei modelli».
Liz si morse le labbra per non lasciarsi sfuggire un’osservazione di cui poi si sarebbe pentita. Per esempio: “Però tu saresti abbastanza bello sia per fare l’attore che per fare il modello”.
Sapeva che, se lo avesse detto ad alta voce, Harry l’avrebbe preso come un commento ironico, così si limitò a pensarlo.
«Dubito che succederà ancora» concluse il giovane.
Liz lo guardò con fare pensoso. «Vuol dire che non prenderemo più un gelato da Joseph?»
Harry aggrottò la fronte. «Be’, se è la mancanza di gelato che ti turba… Bernard potrebbe comprarne una vaschetta, e noi potremmo mangiarlo sul mio divano».
La proposta era un po’ cauta.
Liz gli sorrise. «Credo che mi piacerebbe molto, mangiare del gelato sul tuo divano, ma…»
«Ma?» incalzò Harry, e sembrava quasi essere sulle spine.
«Bernard» disse la ragazza. «Non lo sfrutti un po’ troppo?»
Il giovane si accigliò, e per un momento Liz temette di aver toccato un nervo scoperto. Era semplice fare le mosse sbagliate, con Harry.
Poi, però, lui rispose lentamente: «Non più di quanto un qualsiasi adolescente sfrutti i suoi genitori».
Liz fece per ribattere, ma a quel punto si avvicinarono Peter e Mary Jane. «Chi è l’adolescente?»
La ragazza bionda indicò prontamente Harry. «Il signor Osborn».
Peter sembrò soddisfatto dalla risposta. «Dunque io non sono l’unico ad averlo notato».
Harry si rivolse a Mary Jane. «MJ, scusa se prima mi sono alleato con loro due contro di te. Ora capisco cosa si prova».
La ragazza dai capelli rossi rise. «Dai, ragazzi, lasciatelo in pace».
Peter e Liz si scambiarono un’occhiata. «Noi?» chiese il primo, innocentemente. «Noi non abbiamo fatto nulla».
Harry mugugnò qualcosa di inintelligibile, che però non somigliava ad una gentilezza, e si avvicinò a Mary Jane.
Il sorriso non cadde dalle labbra di Liz, ma lei distolse automaticamente gli occhi.















Spazio dell’Autrice:
Sono vivaaaaaaa! (Credo.)
Qui c’è un gran caldo, soprattutto vicino al pc (ahi), e sia il mio cervello che il computer ne hanno risentito… Auguro a tutti dell’arietta fresca!
E vi do appuntamento a giovedì 27 giugno!
P. S. Per scusarmi del ritardo, eccovi una vignetta con Peter e Mary Jane che mi liquefa il cuore ogni volta:
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Avviso del 5/07/2013

And here I go again…
Ebbene, so esattamente cosa voglio scrivere nel prossimo capitolo, ma non riesco a scriverlo in maniera decente, e la cosa mi irrita davvero molto.
Chiedo umilmente scusa, e rimando l’aggiornamento ad una data che ancora non so… Non appena mi sbloccherò, la inserirò in grassetto nell’introduzione.
Scusate ancora ;_;

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Capitolo 20
*** Lizard ***


Capitolo 20 – Lizard

Peter era in ritardo per la lezione del dottor Connors. Di nuovo.
Mentre correva a rotta di collo verso il blocco universitario dove avrebbe dovuto trovarsi già da una buona mezz’ora, si strattonava la felpa davanti al petto per nascondere completamente il suo costume rosso e blu.
Per sfortuna e per la sua esasperazione, una testa calda aveva avuto la brillante idea di rapinare una gioielleria dall’altro capo della città alle dieci e mezza del mattino. Oltretutto, quella notte era rientrato dalle sue ronde alle quattro passate, e dopo essersi gettato a peso morto sul letto aveva dormito come un sasso sino alle nove. Tra una cosa e l’altra, non era nemmeno riuscito a fare colazione.
L’unica cosa positiva era che il dottor Connors non gli avrebbe fatto domande; l’avrebbe guardato con una disapprovazione terribile, certo, ma per lo meno Peter non avrebbe dovuto giustificare il proprio ritardo.
Al liceo sarebbe stata più dura: i professori l’avrebbero certamente subissato di domande, e lui – dopo aver scartato scuse trite e ritrite come sono stato male o l’autobus era in ritardo – si sarebbe probabilmente limitato ad un misero mi dispiace.
Proprio mentre la meta iniziava a profilarsi davanti a lui, con la sua forma rettangolare e il suo colore a metà tra il grigio e il beige, Peter notò che alcuni suoi compagni di corso stavano uscendo nel cortile, e rallentò automaticamente la propria corsa.
Quando i primi studenti lo raggiunsero e lo oltrepassarono, lui stava ormai camminando, e poi si fermò per tentare di fermare qualcuno ed informarsi su cosa fosse successo.
Nel vedere Gwen uscire dalla porta, con una giacca verde chiaro e qualche libro stretto al petto, Peter si mosse verso di lei senza pensare. «Gwen!»
La ragazza parve stupita di vederlo.
«Che succede?» domandò lui. «La lezione è già finita?»
Lei fece un cenno di diniego. «Il professor Connors è assente» spiegò. «Pare che si senta poco bene».
«Oh» disse Peter.
«Già».
Per un istante, rimasero l’uno di fronte all’altra, immersi in un silenzio imbarazzato.
«Senti, Peter» iniziò poi Gwen, guardando con decisione da tutt’altra parte, «ho deciso di accettare le tue scuse».
Peter la fissò, preso alla sprovvista, ma poi si sentì sommergere dal sollievo. «Davvero? Gwen, questo è… Grazie».
«Immagino che tutti possano fare degli sbagli» concesse la ragazza, sempre guardando altrove.
«Sì» disse Peter, sentendo le proprie guance andare a fuoco al ricordo di come si era comportato.
Gwen lo inchiodò con uno sguardo serissimo. «Ma una cosa è farne uno, un’altra è farne due».
L’avvertimento era più che chiaro, e Peter si affrettò ad annuire. «Già» concordò. «Hai ragione. Certo che hai ragione. Errare è umano, ma perseverare è diabolico, lo so…»
La ragazza parve rilassarsi appena. «D’accordo» disse, accennando un piccolo sorriso.
Peter le sorrise di rimando, grato per quella seconda chance. Gli pareva di averne ricevute più di quanto ne avrebbe meritate, ultimamente. Con MJ, con Harry…
«È mezzogiorno, ormai» commentò la ragazza. «Ti va di andare a prendere qualcosa al bar dell’università?»
Peter si affrettò ad annuire, mentre il suo stomaco gorgogliava. «Volentieri».

«Signor Osborn?»
Harry si voltò verso la soglia del salotto. «Sì, Bernard?»
«La signorina Allen è qui sotto. Dice che deve consegnarle qualcosa».
Il giovane sbatté le palpebre e diede un’occhiata al proprio cellulare. Aveva trascorso gran parte della mattina scambiando messaggi con Mary Jane… Poi, ad un certo punto, gli aveva scritto Liz, chiedendogli se era a casa e se aveva qualcosa da fare. Lui aveva risposto di sì alla prima domanda e di no alla seconda, ma a quel punto dalla ragazza non era più arrivato alcun SMS.
Forse adesso avrebbe scoperto cosa aveva in mente.
«Va bene, Bernard» disse, raddrizzandosi – sino a quel momento, era stato mezzo stravaccato sul divano. «Falla salire».
L’uomo annuì, e si allontanò in corridoio.
Harry abbassò lo sguardo sulla camicia bianca e un po’ larga che indossava. Siccome aveva in programma di rimanere a casa tutta la mattina, non l’aveva abbottonata da cima a fondo, e l’aveva lasciata un po’ aperta sotto il proprio mento.
Ora la abbottonò completamente aggrottando la fronte, dopodiché si alzò e si diresse nell’ingresso.
Arrivò in tempo per accogliere Liz sulla soglia di casa. «Ehi» la salutò, «che ci fai qui?»
Per tutta risposta, lei gli aprì sotto il naso il sacchetto di plastica che reggeva, mostrandogli una vaschetta di polistirolo. «Ti ho portato un po’ di gelato da mangiare sul tuo divano» annunciò.
Lui alzò lo sguardo sulla ragazza. «Oh».
Il sorriso un po’ impacciato di Liz svanì subito. «Certo, se ne hai voglia» si affrettò a dire lei. «Insomma, potresti anche tenerlo in congelatore e mangiarlo un altro giorno, e non per forza sul tuo divano. Io posso anche andare…» Aggrottò la fronte. «Ora che ci penso, mi sono praticamente autoinvitata a casa tua, e questo non è molto educato. Non voglio che credi…»
«Liz» disse Harry, interrompendo quel torrente di parole. «È tutto okay. Mi va un po’ di gelato in compagnia».
La ragazza respirò, evidentemente sollevata. «Davvero?»
«Ma certo» replicò lui. «In fondo è quasi ora di pranzo, e cosa c’è di meglio che guastarsi l’appetito con un’intera vaschetta di gelato?»
Credeva che questo l’avrebbe fatta ridere, ma Liz lo fissò con una punta di orrore. «Hai ragione» iniziò. «Anche l’orario è…»
«Ehi, stavo scherzando» disse Henry, mettendole d’impulso le mani sulle spalle.
La ragazza sbatté le palpebre e lo fissò, e lui la lasciò andare immediatamente.
Invece, fece un gesto galante in direzione del soggiorno. «Se vuole seguirmi, signorina…»

«Non pensavo che la torta fosse così pessima».
Gwen sorrise. «Ti avevo avvertito».
«E avrei dovuto ascoltarti» replicò Peter, portandosi una mano al collo come per strangolarsi da solo.
La ragazza scosse la testa. «Ma non sei mai stato al bar dell’università?»
«Uhm, di solito non ho tempo per fermarmi a fare uno spuntino».
Gwen aprì la bocca per replicare, ma a quel punto udirono delle grida provenire dal fondo del corridoio. Si fermarono entrambi, e la ragazza balbettò: «Ma cosa…?»
Subito dopo, degli studenti arrivarono correndo nella loro direzione. Uno inciampò e cadde sulle proprie ginocchia, ma si rialzò subito e riprese la propria fuga.
«Via! Via di qui!» urlò un altro, superandoli di gran carriera.
Gwen rivolse a Peter uno sguardo sgomento, e lui si portò istintivamente una mano al petto. Quegli studenti stavano scappando da qualcosa… e quel qualcosa sembrava richiedere l’intervento di Spider-Man.
Il giovane si voltò verso l’amica. «Tu va’».
Gwen lo fissò con aria incredula. «Peter!» esclamò, allarmata, quando lui mosse un passo verso il punto da cui arrivavano le grida. «Che cosa stai facendo?!»
«Devo… uhm… devo contattare Spider-Man» le disse lui, in fretta. «Fargli delle fotografie per il Bugle, se ci riesco».
«Ma non sai cosa ci sia laggiù!» protestò Gwen. «Potrebbe essere pericoloso!»
Lui annuì, girandosi verso di lei ma iniziando a camminare all’indietro. «Lo so, per questo ti ho chiesto di andar via da qui».
La ragazza scosse la testa, fissandolo negli occhi.
Peter capiva che doveva essere terrorizzata, ma non aveva tempo di rassicurarla. «Sta’ attenta» le raccomandò soltanto, un’ultima volta, prima di voltarsi ed iniziare a correre verso il luogo da cui provenivano gli studenti terrorizzati.
«Peter!»
Per il suo sollievo, Gwen non lo seguì. Non appena ebbe svoltato l’angolo, Peter si infilò in un’aula vuota e si tolse i vestiti in fretta e furia. Siccome un posto migliore non era disponibile, li ficcò nei cassetti della cattedra, quindi uscì e riprese la corsa, stavolta come Uomo Ragno.
Il frastuono proveniva da uno dei laboratori, una lunga stanza che ospitava dei tavoli sopra i quali erano posati telescopi e innumerevoli campioni da esaminare.
Sul fondo dell’aula, erano rannicchiati alcuni studenti terrorizzati. E tra loro e la porta si trovava… si trovava…
«Ma che diavolo?» fiatò Peter.
Sembrava una lucertola, però era molto, molto più grande. Era delle dimensioni di un essere umano, con grandi squame verde scuro, un muso allungato, occhietti neri e lucidi, ed una lunga coda.
Modestia a parte, Peter si riteneva una persona piuttosto intelligente. La fatidica puntura di un ragno, poi, gli aveva conferito una serie di incredibili abilità.
Nonostante tutto questo, però, rimase per un momento raggelato sulla soglia, senza avere la più pallida idea di cosa fare.
Si riscosse quasi subito, mentre il lucertolone capovolgeva un tavolo con un colpo di coda ed uno degli studenti soffocava un grido di terrore.
Peter si disse che attirare l’attenzione della creatura sarebbe stato un buon primo passo. Si girò verso la sedia più vicina e la afferrò con un fiotto di ragnatele, per poi scaraventarla contro il dorso scaglioso del suo avversario.
«Ehi, amico!» lo chiamò. «Guardami, sono qui!»
Il rettile si girò con un sibilo, e i suoi occhi scuri si fissarono su di lui. Una lingua biforcuta guizzò tra le fauci. «Sssspider-Man!»
Peter strabuzzò gli occhi. Il lucertolone poteva parlare? Questo non se l’aspettava.
Be’, forse se poteva parlare era possibile ragionare con lui…
Il giovane tese le braccia in avanti. «Ehi, amico… che ne dici se ci allontaniamo di qui? Possiamo andare in un posto più tranquillo».
Per tutta risposta, il lucertolone sbatté la propria coda contro un tavolo, mandando gambe all’aria in un frastuono di provette che s’infrangevano.
«Lo prendo come un no».
Peter balzò in alto per evitare un colpo di coda che sembrava diretto proprio alla sua faccia, dopodiché indietreggiò con un salto.
«Vieni!» chiamò. «Vieni, vieni qui!»
Siccome le parole non sembravano sortire l’effetto desiderato, il giovane sospirò ed afferrò un’altra sedia con una nuova ragnatela, mandando anche questa ad abbattersi contro la lucertolona.
L’attacco strappò un sibilo furioso alla creatura, che si voltò nuovamente verso di lui.
Peter ebbe la netta impressione di essersi finalmente guadagnato tutta la sua attenzione. Indietreggiò nel corridoio, lanciando un’occhiata sfuggente agli studenti intrappolati nel laboratorio.
«Sai cosa mi chiedo?» gridò poi, rivolto al suo squamoso avversario. «Tu… sei una lucertola molto grossa… o un T-Rex molto piccolo? In ogni caso, sei davvero molto verde».
“Molto verde?” si chiese subito dopo.
Era una situazione critica, però. Nessuno avrebbe potuto biasimarlo se non era riuscito a tirar fuori qualcosa di meglio. Ma avrebbe dovuto evitare di raccontarlo a Harry, o era probabile che l’amico l’avrebbe preso in giro per l’eternità.
Riusciva quasi a sentirlo… E questo è il leggendario senso dell’umorismo di Spider-Man? Si vede che il sarcasmo dei ragni e quello degli esseri umani non si somigliano proprio!
Peter continuò ad indietreggiare con gli occhi puntati sul lucertolone. Quest’ultimo arrancava verso di lui e, sebbene non fosse molto agile, era abbastanza veloce.
«Seguimi! Seguimi!»
Mentre lo guidava lungo il corridoio, cercò di pensare ad un modo per metterlo K.O. Era probabile che avrebbe dovuto colpirlo con qualcosa di duro… Dubitava che la sua forza – per quanto superiore alla media – sarebbe bastata.
Dopotutto era una lucertola, però… Se l’avesse tenuta al freddo e lontana dal sole sarebbe svenuta o qualcosa del genere?
Effettivamente… Peter non ne sapeva molto di animali del genere.
Non ebbe neanche il tempo di riflettervi sopra, però.
Il suo sesto senso gli scampanellò un avvertimento nella testa. Un pericolo, proveniente non dal mostro che aveva davanti… ma da qualcosa alle sue spalle.
Peter si voltò di scatto, appena in tempo per vedere un gruppo di poliziotti armati emergere dal fondo del corridoio. Gli agenti presero quasi subito a sparare nella loro direzione, ed il giovane si lanciò sul soffitto con uno squittio indignato ed assai poco dignitoso.
La lucertola emise uno strano verso, poi indietreggiò e si diede alla fuga.
«Oh, diamine» gemette Peter. Sperava solo che non fosse tornata al laboratorio… Fece per spostarsi… e poi il suo istinto gli urlò di saltare di lato.
Il giovane eseguì, ma non fu abbastanza rapido. Un dolore lancinante gli perforò il braccio sinistro, e lui diede un’occhiata sopra la propria spalla in tempo per vedere un poliziotto abbassare la pistola con mani tremanti.
L’aveva colpito di striscio, ma bruciava da morire, ed alcune gocce di sangue avevano iniziato a raccogliersi sulla ferita.
Per un momento, il dolore gli annebbiò la vista e gli fece girare la testa. Peter perse la presa sul soffitto e cadde pesantemente sul pavimento.
Restò disteso lì per qualche secondo, mentre un gemito gli sfuggiva dalle labbra. Poi sentì alcuni passi che si avvicinavano… e fu rapido a balzare in piedi.
Faceva proprio male.
Peter non riuscì a non domandarsi se era questo che aveva provato lo zio Ben… Questo, certo… solo mille volte peggio.
Il respiro gli si bloccò in gola e, quando si voltò e si mise a correre con una mano contro la ferita, non lo fece per andare a cercare il lucertolone gigante, ma per scappare da lì.

«Non so cosa mi abbia preso, MJ».
La ragazza, intenta a disinfettargli la spalla, sollevò un istante gli occhi. Aveva il viso pallido, segnato dalla preoccupazione.
Peter non ricordava chiaramente la propria fuga dall’università. Sapeva solo che ad un certo punto si era ritrovato davanti all’appartamento della sua fidanzata, e che ora era seduto sul tavolo nella sua cucina mentre lei si prendeva cura di lui.
«Voglio dire, quel mostro potrebbe aver fatto del male a…» Si interruppe con un sibilo di dolore.
Mary Jane buttò sul tavolo i batuffoli di cotone che aveva utilizzato per pulire il taglio. Erano sporchi di sangue. «Ti ho già detto che è scappato» gli disse. «L’ho sentito alla radio».
«Sì, ma adesso dove può essere? In giro per la città a spaventare degli innocenti?»
Mary Jane aggrottò la fronte e sollevò lo sguardo su di lui. «Non puoi incolparti di questo».
Peter si premette un pugno sulla fronte. «Avrei dovuto metterlo K.O., avrei…»
«Peter, ti hanno sparato!» esclamò la ragazza. «Semmai è quel poliziotto che dovrebbe sentirsi responsabile».
Lui scrollò le spalle – pessima idea, lo informò una fitta di dolore. «Be’, sai com’è. Sono una minaccia eccetera».
Mary Jane lo incenerì con un’occhiata. «Questo è assurdo» ribatté. «Ti hanno persino consegnato le chiavi della città!»
«MJ…»
«La gente ti adora, sa che può contare su di te, ma deve saltare fuori uno sbirro deficiente…»
«MJ…»
«…che decide di spararti per qualche stupida ragione, in un momento in cui chiaramente non sei la minaccia più grave… ammettendo che tu sia una minaccia, cosa di cui…»
«MJ!» Peter le premette un dito sulle labbra, e lei tacque. «Sto bene, davvero. O meglio… e sono onesto perché non voglio trasformarmi in un Harry 2.0… sono un po’ dolorante, ma mi passerà. Sono tutto intero».
Le labbra di Mary Jane tremarono. Senza dire nulla, lei lo circondò con le braccia, ed appoggiò la testa sulla sua spalla sana.
Peter la cinse con gentilezza, sfiorandole i capelli rossi. «Sto bene» ripeté, ed era vero.
Adesso era vero.
















Note:
Ebbene sì, sono tornata.
Mi scuso immensamente per l’enorme, mostruoso ritardo, e spero che questo capitolo non sia noioso, e di riuscire a riprendere un ritmo di aggiornamento quantomeno decente.
Intanto, vi do appuntamento a domenica 18 gennaio per il prossimo capitolo!

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Capitolo 21
*** Complicazioni ***


Capitolo 21 – Complicazioni

«Toglimi una curiosità, oh impiegato sottopagato del Bugle».
Peter, seduto al tavolo della cucina di casa Osborn, gettò ad Harry un’occhiata esasperata. Forse passare a trovare l’amico non era stata un’idea geniale.
«Chi è che inventa i nomi per i criminali di New York? Con l’ultimo non ha avuto molta fantasia».
Peter si portò automaticamente una mano alla benda che – ben nascosta dalla maglietta – gli fasciava la spalla. Subito dopo, riabbassò il braccio, ricordando a se stesso che era meglio non andar troppo accanto alla ferita.
Da parte sua, Harry gli sventolò l’ultima edizione del Bugle sotto il naso.
Peter colse solo un frammento del titolo in prima pagina – LIZARD, il nome scelto per la spaventosa creatura – e gettò uno sguardo infastidito all’amico.
«Non so chi decida i nomi» disse, con voce pesante. «Di sicuro non sono io».
Harry fece un breve sorriso. «Be’, questo è un sollievo». Mise da parte il giornale, e prese posto di fronte a Peter. «Allora? Cosa pensi di fare?»
L’altro aggrottò la fronte. «Il solito» sospirò. «Tenere le orecchie e gli occhi aperti, e se quel mostro dovesse ripresentarsi…»
Harry intrecciò le dita sotto il proprio mento. «Quindi sei certo che non ti serva un aiuto? Da parte di New Goblin, per esempio?»
«Harry» sibilò Peter, «ti ho già detto che è fuori discussione».
«Sicuro? Anche dopo che ti hanno sparato?»
«Mi hanno colpito di striscio».
A quelle parole, Harry emise uno sbuffo divertito. «Oh, okay, allora è tutto a posto…»
Peter evitò di replicare. A dire il vero, la ferita stava guarendo in fretta, probabilmente grazie ai cambiamenti che il suo organismo aveva subito in seguito al morso del ragno. Più che altro, a turbarlo, era stato il modo prepotente in cui il ricordo della morte di suo zio era riemerso nella sua mente.
«Sia come sia» brontolò, «non mi serve l’aiuto di una testa calda come te. Tutt’al più mi farebbe comodo parlare con qualcuno che s’intenda di lucertole».
Harry tornò serio. «Quindi pensi che sia una specie di lucertola? Non era qualcosa come un costume?»
«Non lo era» affermò Peter. «Forse è una lucertola geneticamente modificata, non ne sono sicuro. Mi ha parlato».
«Prego?» domandò l’amico, sorpreso.
«Quando mi ha guardato, ha detto “Spider-Man”».
«Oh». Harry sbatté le palpebre. «Caspita».
Per qualche istante, entrambi rimasero in silenzio.
«Perché non chiedi l’aiuto del professor Connors?»
Peter fissò l’amico. «Cosa?»
Harry scrollò le spalle. «Non hai detto che è un erpetologo? Potrebbe avere un’ipotesi su cosa sia quel lucertolone, o su come neutralizzarlo».
«Uh» disse Peter, senza riuscire a nascondere la propria meraviglia, «in effetti non è una cattiva idea».
Harry roteò gli occhi. «Non suonare così sbalordito, ti prego».
L’altro non poté fare a meno di sorridere. «Volevo dire, grazie, lo farò». Si accigliò. «L’unico problema è che non so quando lo vedrò. L’altro giorno era assente, e in più ora hanno chiuso l’università per fare alcuni accertamenti».
Questo era stato un problema quando si era trattato di recuperare i suoi vestiti. Non lo avevano lasciato passare, ma poi Mary Jane era andata in avanscoperta e Peter era rimasto sbigottito nel vederla tornare con i suoi abiti.
«Va’ a casa sua» suggerì Harry, riscuotendolo da quei ricordi. «In fondo sai dove abita».
«Sì, ma… sarebbe un po’ irrispettoso, non trovi? Non mi ha invitato».
L’altro lo fissò. «Ti preoccupi di questo, davvero? In una situazione simile?»
Peter allargò appena le braccia.
«Okay» fece Harry. «Allora potresti andare da lui travestito da Spider-Man, no? O il dottor Connors lo odia?»
«Non che mi risulti».
«Allora è perfetto» concluse Harry. «Chi rifiuterebbe mai di prestare aiuto ad un leggendario supereroe?»
Peter inarcò un sopracciglio. «Qualche agente di polizia, a quanto pare».
«Ottima osservazione» concesse l’amico, trattenendo un sorriso.
«Ci penserò più tardi» affermò Peter. «Piuttosto, tu hai qualcosa da fare?»
Harry scrollò le spalle. «Vado a casa di Liz».
«Davvero?» chiese Peter, cercando di non suonare troppo interessato.
Il cipiglio dell’amico lo informò che aveva fallito miseramente. «Sì, davvero» confermò Harry, un po’ piccato.
«Per caso è…?»
«Non è un appuntamento».
«Io non sono mai stato a casa sua» mormorò Peter.
«Non vuol dir niente, non ci vediamo in un lussuoso ristorante» replicò Harry. «È solo che lei è stata qui molte volte, e a quanto pare ha voluto ricambiare l’ospitalità».
A dirla tutta, lui aveva provato a declinare l’invito, ma la ragazza era stata irremovibile. Pensandoci, Harry aveva qualche difficoltà a ricordare anche solo una volta in cui fosse riuscito ad averla vinta con lei. Avrebbe dovuto preoccuparsi?
«È stata qui molte volte?» Peter era del tutto incapace di suonare disinteressato. «Sul serio?»
«Non più di te o Bernard» ribatté Harry. «Siamo amici. Caso chiuso».

Nel tragitto dalla propria casa a quella di Liz, il giovane si trovò a desiderare di poter zittire i propri pensieri come aveva zittito Peter.
Purtroppo, non sembrava possibile.
E se Liz avesse avuto un doppio fine e lui non se ne fosse nemmeno accorto?
Sfiorandosi la guancia sfigurata, si disse che quell’ipotesi era da escludere.
D’altra parte, lui aveva iniziato ad informarsi sui chirurghi plastici di New York… Non che ne avesse parlato con Liz – né con nessun altro ad eccezione di Bernard, se era per questo – ma lei era un’infermiera, e sapeva quanti soldi avesse l’amico. Probabilmente dava per scontato che lui, prima o poi, potesse sottoporsi ad un’operazione al viso.
Harry si sentì immediatamente un idiota per quel pensiero.
Non solo implicava che la decisione di Liz di stare o non stare con lui potesse dipendere unicamente dal suo aspetto fisico, e la ragazza non era così superficiale… Ma oltretutto, viso sfigurato o meno, quello che lui era non cambiava.
Fosse anche stato bello come un attore hollywoodiano, Harry dubitava che una ragazza avrebbe mai potuto innamorarsi di lui.
Arrivato di fronte al condominio dove abitava Liz, il giovane suonò il citofono e lei gli aprì quasi subito. Harry entrò nella palazzina e, dopo aver salito qualche rampa di scale, arrivò al pianerottolo dove viveva la ragazza.
Lei era già sulla soglia, vestita con un paio di jeans e una maglietta rosa, e lo accolse con un accenno di sorriso. «Allora quello di non prendere l’ascensore è un tuo vizio».
«Preferisco fare un po’ di moto» replicò Harry. La verità era che salire a piedi gli aveva dato il tempo di spingere da parte i propri pensieri. «Da dove credi che venga il mio fisico sportivo?»
Liz fece mostra di alzare gli occhi al cielo. «Smettila e vieni dentro» lo invitò, facendosi da parte per lasciarlo entrare.
Harry si sfilò la giacca nell’ingresso, guardandosi attorno mentre lei chiudeva la porta.
«Ebbene, signor Osborn» disse infine la ragazza. «Benvenuto nella mia umile dimora».
Gli fece fare un rapido tour dell’appartamento, che sembrava essere stato riordinato in gran fretta in occasione dell’arrivo dell’ospite. Non era molto grande: una sola stanza fungeva sia da cucina che da sala da pranzo, il salotto non conteneva più di un divano e una tivù, e infine c’erano un bagno ed una camera da letto.
«Be’» si lasciò sfuggire Harry, quando giunsero all’ultima tappa, «è davvero piccolo».
Un istante dopo avrebbe voluto mordersi la lingua. Adesso, infatti, riconosceva che erano proprio commenti come quello ad aver allontanato Mary Jane all’epoca in cui erano fidanzati.
Fortunatamente, Liz non parve prendersela. «Lo so» si limitò a dire, «non è certo il lusso a cui sei abituato».
Harry non seppe replicare.
«Io mi sono messa a piangere, quando ho capito che senza i soldi dei miei genitori questo era il massimo che potevo permettermi» confidò allora la ragazza.
Lui la guardò ed arrischiò un sorriso. «Non sembra così terribile».
Liz fece un gesto strano, come se avesse avuto la mezza idea di pungolarlo con un dito e poi ci avesse ripensato. «Ah, sì?» disse invece. «Vorrei sapere cosa avresti fatto tu, signor riccone. Considera anche che era un periodo movimentato, ero già sfinita per il lavoro, e questo… diciamo che è stato il colpo di grazia».
«Okay, posso capirlo» disse Harry, avanzando di qualche passo.
Un armadio, un letto adornato da un buon numero di cuscini e una scrivania ingombra erano tutto il mobilio presente.
Ad un esame più attento, il giovane notò un libro abbandonato sul letto e le ciabatte di Liz – una si trovava sotto la scrivania, l’altra sulla sedia lì davanti.
«Alla fine mi ci sono abituata, però» aggiunse la ragazza, con una scrollata di spalle. «E non è così male… perlomeno è un posto mio».
Quella considerazione colpì Harry. Casa sua non era solo casa sua, era anche casa di suo padre, nonché il posto dove Goblin aveva iniziato a manifestarsi. Si sarebbe sentito meglio, in un posto nuovo?
Accattonò in fretta quel pensiero. Non era certo il momento di mettersi a progettare un trasloco.
«E come va il lavoro?» chiese, per non lasciar cadere la conversazione.
«Tutto bene» assicurò lei. «E tu cosa mi combini? Fai sempre lo stacanovista?»
«Ci sono molte cose da decidere, alla OsCorp» rispose Harry, forse un po’ sulla difensiva.
«Senza dubbio». Liz sorrise. «Ma fa’ attenzione a non svenire da qualche parte».
«Lo terrò in conto» replicò lui, asciutto.
La ragazza ridacchiò. «Oh, dimmi quando ti viene fame, ho preparato qualcosa per la merenda».
«Per ora sono a posto».
Cercando di non sembrare troppo indiscreto, si avvicinò alla portafinestra che dava su un piccolo balconcino. «Com’è la vista?»
«Grandiosa» rispose Liz. «Puoi vedere una strada e dei tetti, degli altri tetti… e altri tetti ancora. Ma forse una delle case che vedi da qui dà su un panorama interessante».
Harry contrasse le labbra in un sorriso divertito e scostò la tenda, solo per scoprire che la descrizione di Liz era stata piuttosto accurata. Distolse lo sguardo, spostandolo sulla scrivania della ragazza.
Accanto ad un portatile chiuso, si trovava qualche portamatite pieno di penne, un quaderno, e una considerevole pila di libri. Di medicina, per lo più, e da molti di essi spuntavano i bordi di alcuni fogli ricoperti di una grafia fitta e frettolosa.
Al muro sopra la scrivania era appesa una tabella. Avvicinandosi appena, Harry poté vedere che vi erano segnati i turni di Liz all’ospedale.
«Vedo che sei molto occupata» commentò, prima di abbassare lo sguardo e notare una fotografia.
Non era incorniciata, ma era appoggiata sul piano del tavolo come se Liz l’avesse tirata fuori da un cassetto per guardarla e poi se ne fosse dimenticata.
La foto sembrava risalire a qualche anno prima. Ritraeva Liz con un sorriso radioso e un taglio a caschetto, e un ragazzo più grande di lei. Lui aveva i capelli color cenere e gli occhi castani, una mascella decisa, e teneva un braccio attorno alle spalle di Liz in modo quasi protettivo.
Per qualche motivo, Harry si sentì seccare la gola.
«Che cosa stai…?»
La voce di Liz per poco non lo fece sussultare – la ragazza gli era arrivata alle spalle senza che lui se ne rendesse conto. Si girò a guardarla.
Quando lei vide la foto, i suoi occhi azzurri si dilatarono appena, ed un piccolo «oh» le uscì dalle labbra.
«Lui chi è?» domandò Harry.
Liz spostò il proprio peso da una gamba all’altra, fissando la fotografia. «Lui?»
Harry inarcò un sopracciglio. «Sì, lui».
«Be’, è… È un amico» disse la ragazza, mettendo una mano sulla foto come per nasconderla ai loro occhi.
Harry aveva la netta sensazione che ci fosse qualcosa di più. «Un ex compagno di classe?» si informò.
Liz non rispose alla sua domanda. «Non importa» disse invece, frettolosamente, «comunque è un po’ che non lo vedo».
Harry la osservò mentre faceva scivolare la fotografia nel cassetto della scrivania. Sembrava decisamente nervosa. Lui pensò velocemente a qualcosa da dire. «Non mi dispiacerebbe fare merenda, adesso».
Gli occhi azzurri di Liz guizzarono sul suo viso. «Oh… sì, ma certo» disse lei, sollevata. «Vieni, andiamo in cucina».
Aveva preparato alcune focaccine con la mortadella, ed una macedonia.
«Lo so che non è il massimo» gli disse, una traccia di nervosismo ancora presente nella voce, «ma non sono un granché come cuoca».
«Va benissimo» le assicurò Harry, addentando una delle focaccine per dissimulare il fatto che non sapeva cos’altro dire.
Anche Liz si servì, e il giovane la scrutò di sottecchi.
In realtà, una parte di lui avrebbe voluto insistere a proposito dell’identità del ragazzo nella fotografia… Era abbastanza sicuro che Liz avesse mentito, dicendo che era solo un amico.
Ma perché dire una bugia? Harry non se lo spiegava.
Liz aveva detto che se n’era andato… Forse era quello il punto. Che si trattasse di un ex ragazzo? Forse l’aveva lasciata, ma lei non l’aveva dimenticato?
Gli sembrava la spiegazione più plausibile, e non gli piaceva affatto.
«Avevo visto degli stuzzicadenti con delle bandierine» disse Liz in quel momento, cercando di suonare disinvolta. «Li volevo comprare e usarli per dare più un’atmosfera di festa, ma me ne sono dimenticata».
Harry scrollò le spalle, mandando giù un boccone. «Non penso sarebbero degli stuzzicadenti simili a fare la differenza».
«No» concordò Liz, «ma erano carini».
Il giovane la guardò mentre si serviva di un’altra focaccina con la mortadella.
Improvvisamente, gli tornò in mente la sera in cui erano andati a teatro. Liz aveva parlato di una persona, qualcuno che lei aveva cercato di aiutare senza riuscirci… Forse il collegamento era un po’ forzato, ma… e se si fosse trattato di quel ragazzo?
Harry ricordò il modo in cui le parole le si erano bloccate in gola, e provò l’impulso di tendere una mano ad afferrarle il polso. Invece, cercò di concentrarsi sul proprio cibo.
Se il ragazzo sconosciuto l’aveva davvero lasciata dopo che lei aveva cercato di aiutarla, Liz non avrebbe più dovuto pensare a lui.
Lei si meritava di meglio, meritava…
«Oh, porca miseria!»
Harry alzò di scatto gli occhi: Liz stava guardando dentro la ciotola della macedonia con aria a dir poco inorridita.
«Che succede?» domandò lui.
La ragazza lo fissò. «Credo di averci lasciato dentro il nocciolo delle albicocche».
Harry non poté fare a meno di mettersi a ridere.
«Sono un disastro» si commiserò Liz ad alta voce. «Lo sapevo che non avrei dovuto prepararla dopo il turno di notte».
«Non mi sembra così grave» replicò Harry.
Per tutta risposta, lei gli spinse la ciotola sotto gli occhi. «Come no?»
«Dai, passami le tazze che faccio le parti. Starò attento a non strangolarmi con nessun nocciolo, te lo prometto».
Liz gli gettò un’occhiata imbarazzata, ma fece come aveva chiesto il ragazzo.
Se non altro, quell’incidente servì ad alleggerire la tensione tra loro, e ben presto tornarono a chiacchierare con disinvoltura.
Quando per Harry giunse il momento di andarsene, Liz lo accompagnò alla porta. «Allora ci sentiamo» lo salutò, mentre lui usciva sul pianerottolo.
«Certo» confermò il giovane, chiudendosi la giacca.
Liz sorrise, poi parve avere un ripensamento. «Harry, mi dispiace…»
Lui aggrottò la fronte, alzando lo sguardo. «E per cosa?»
«Be’, per…» La ragazza si morse il labbro. «Per i noccioli nella macedonia» concluse poi, cercando di buttarla sullo scherzo.
«Oh» disse Harry. La fotografia. Era piuttosto sicuro che Liz si riferisse alla fotografia. «Non fa niente. Come vedi, sono sopravvissuto. E la macedonia era buona».
La ragazza abbozzò un sorriso. «Va bene... Ciao, allora».
«Ciao».
Harry iniziò a scendere le scale, e sentì la porta dell’appartamento che veniva chiusa.

Con addosso il proprio costume da Spider-Man, Peter scese lungo il muro di casa Connors a testa in giù.
Non era sicuro del perché avesse seguito il consiglio di Harry persino a quel proposito.
Dopotutto, però, sarebbe stato più veloce chiedere aiuto nelle vesti di supereroe, anziché perdere tempo a spiegare che lui conosceva Spider-Man ed era lì per conto suo.
Si affacciò alla prima finestra che trovò, ritrovandosi a guardare un salottino che trovò abbastanza grazioso.
Una poltrona ed un divano color lillà si trovavano da una parte, separati da un tavolino su cui era posato un vaso di fiori… e di fronte ad essi si trovava una televisione a schermo piatto.
Ciò che attirò la sua attenzione, però, fu la donna seduta sul sofà. Aveva capelli biondo scuro, tagliati abbastanza corti, ed un vestito blu. Si teneva una mano sulle labbra e, qualsiasi fossero i suoi pensieri, non dovevano essere molto gradevoli.
Peter allungò una mano e bussò sul vetro.
La donna sobbalzò e guardò verso la finestra, lasciandosi scappare un grido di sorpresa.
Un momento dopo, si alzò e andò ad aprire le imposte. «Spider-Man?» chiese, alzando lo sguardo su di lui.
«In persona» rispose Peter, facendo dondolare appena la testa. «Lei è la signora Connors?»
«Martha Connors» annuì lei.
«Suo marito è in casa?»
A quella domanda, i pugni della donna si strinsero in una morsa nervosa. «Cerchi Curt? Perché?»
A Peter il suo tono di voce sembrò strano, ma forse gli stava solo andando troppo sangue alla testa. «Be’, non so se ha letto i giornali…» iniziò.
La signora Connors lo interruppe. «Si tratta di Lizard, non è vero?»
«Sì» disse Peter, stupito, «come lo sa?»
Per tutta risposta, lei si fece indietro. «Entra» lo invitò.
Peter lo fece con un certo sollievo. Quando ebbe i piedi ben piantati sul pavimento, tornò a rivolgersi alla donna: «So che suo marito è un esperto di erpetologia».
«Sì» confermò Martha Connors, abbassando mestamente gli occhi.
Il giovane si sentì un po’ perplesso di fronte a quel comportamento. Forse si era già pentita di avergli permesso di entrare?
Un improvviso nodo allo stomaco, però, gli suggerì che si trattasse di qualcos’altro.
«Be’, sì, okay» riprese lui, un po’ incerto. «Quindi volevo chiedergli se per caso…» Si interruppe. «Mi scusi, ma suo marito è in casa?»
Lei lo guardò, sbattendo le palpebre. «Allora non lo sai».
Il brutto presentimento di Peter si rafforzò. Una frase simile non prometteva mai nulla di buono. «Che cosa non so?»
La donna si posò una mano sugli occhi. Sembrava quasi combattuta.
«Si… si sente bene?» chiese Peter, sentendosi un po’ a disagio. «Posso fare qualcosa?»
Lei abbassò la mano e lo guardò. «Mio marito… mio marito è Lizard».
Dietro la maschera, Peter aprì la bocca e la richiuse, sentendosi come se fosse stato investito da un treno in piena corsa.
Il professor Connors era Lizard? Quel mostro? Ma com’era possibile?
A meno che…
«Oddio» si lasciò sfuggire.
La ricerca! Quella per la quale Connors aveva chiesto dei finanziamenti ad Harry! Il professore voleva mescolare il DNA delle lucertole a quello umano…
Con una fitta di sgomento, Peter ricordò la conversazione che aveva avuto con l’amico a proposito di quel progetto.
Come idea è affascinante, non posso negarlo, però… ci sono molti punti che non mi convincono.
Ad esempio?
Be’, mettiamo che funzioni. Quali potrebbero essere gli effetti collaterali? E se la nuova specie innestata, la lucertola, si rivelasse quella dominante?
“Oh, diavolo” pensò. A quanto pareva, la sua ipotesi si era rivelata corretta…
Ma credeva che il professor Connors avesse rinunciato alla sua ricerca. E invece, invece… pareva che avesse solo deciso di sperimentarla su di sé.
«Lo so». La voce della signora Connors lo riscosse. «Mio marito stava svolgendo alcuni esperimenti… e il risultato non è stato quello che si aspettava».
Peter si morse la lingua. «Capisco» disse. «Per caso… per caso può dirmi qualcosa di più sugli esperimenti del professore?»
Martha Connors strinse le labbra in una piega decisa. «Seguimi» lo invitò.
Peter obbedì, e la donna lo guidò sino allo studio di Connors. Il tavolo da lavoro era stato spaccato in due, e sul pavimento era sparpagliata una caterva di oggetti. Libri, per lo più, con tutta l’aria di essere stati gettati a terra, ma anche numerose scartoffie, fogli accartocciati, e i pezzi di vetro di alcune provette infrante.
«Ha lavorato qui» affermò la donna. «È stato qui che… che è successo. Non so come, deve essere stato un incidente. Io ero in cucina, quando ho sentito degli strani rumori. L’ho chiamato, ma lui non mi rispondeva, perciò sono corsa qui, ho aperto la porta… e mi sono trovata davanti quel… quel…»
«Lizard» suggerì Peter.
Martha Connors annuì. «Subito non ho capito. Perché come poteva quel mostro essere mio marito?»
Il giovane inclinò la testa. «Ma ora ne è certa».
«Mi ha attaccato» continuò la donna, e il suo tono sembrava una conferma. «Ho cercato di scappare, ma ad un certo punto mi sono ritrovata sul pavimento, con quella… con Lizard che incombeva su di me. Poi ho sentito Billy urlare».
Billy. Il figlio del professore.
«È stato quello a fermarlo» aggiunse Martha Connors. «L’ho sentito sibilare il nome di nostro figlio, poi è tornato a fissarmi e ha sibilato anche il mio… E subito dopo è fuggito».
Ci fu un momento di silenzio.
«Da allora, non l’ho più rivisto» concluse la donna, con una certa stanchezza.
«Mi dispiace» offrì il giovane. «Posso… posso vedere se riesco a trovare qualcosa di utile nel suo studio?»
Lei lo guardò aggrottando la fronte.
«Sa, io sono… sono una specie di scienziato» disse allora Peter. «Sa, quando non… thwip, thwip. Vorrei cercare un modo di aiutare suo marito».
Gli occhi della donna parvero riaccendersi. «Credi di poterlo fare?»
«Lo spero».
Lei trasse un respiro. «Prenditi tutto il tempo che vuoi».
















Note:
Prima di tutto, vi ringrazio per il bentornato che avete dato a questa storia.
Sul serio, non me lo aspettavo (e direi che non lo meritavo neanche), e mi ha reso felicissima.
Questo capitolo è abbastanza lunghetto, ma spero che non sia risultato pesante da leggere. La battuta di Peter, “sono una specie di scienziato. Sa, quando non… thwip, thwip”, è una sorta di citazione non programmata da Sensational Spider-Man (vol. 2) Annual #1, che adoro. (La battuta originale è: I’m kind of a scientist, believe it or not. When I’m not—you know. Thwip-twhip.)
Detto ciò, il prossimo aggiornamento va a domenica 8 febbraio (molto avanti, lo so, ma c’ho degli esami di mezzo e non so se riuscirei a preparare prima il nuovo capitolo).
Alla prossima!

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Capitolo 22
*** Un piccolo imprevisto ***


Capitolo 22 – Un piccolo imprevisto

Harry si trovava nel proprio ufficio alla OsCorp. Non stava facendo un granché, a parte dondolarsi a destra e a sinistra sulla sua sedia girevole.
Quella mattina, avevano chiuso un contratto con una casa farmaceutica. Forse, l’occasione di modificare la formula di Goblin si stava avvicinando…
Harry lo sperava. Voleva che da quel siero venisse qualcosa di buono.
Senza smettere di far girare la sedia, si guardò attorno.
Quell’ufficio era abbastanza spoglio, e non era molto ampio. Quello che era stato di suo padre era grande almeno il doppio, ma Harry aveva preferito trasferirsi. Certi ricordi dovevano rimanere sepolti.
Spostò una pila di documenti, raddrizzò un paio di penne… E improvvisamente gli parve di udire dei rumori provenienti dal corridoio.
Ancorò i piedi al pavimento, fermando di colpo la sedia.
Gli sembrava di sentire i passi di qualcuno che correva. E delle urla, forse?
Fece appena in tempo ad alzarsi, quando la porta del suo ufficio venne scardinata a forza e crollò sul pavimento con un botto assordante.
Un muso verde fece capolino, seguito da un torso squamoso.
Harry incespicò all’indietro, e per poco non cadde sulla sedia.
Gli occhi piccoli e lucenti del gigantesco rettile che aveva davanti si puntarono su di lui, ed una lingua biforcuta serpeggiò tra le sue fauci. «Osssborn».
Peter lo aveva informato che quel mostro era in grado di parlare, ma udirlo in prima persona fu comunque uno shock. Forse avrebbe trovato divertente il modo in cui strascicava le s, se solo non avesse avuto la spiacevole sensazione che Lizard avrebbe potuto staccargli la testa con un colpo di mascelle.
La creatura avanzò, la coda che oscillava.
Harry si chiese dove fossero finite le guardie di sicurezza della OsCorp. Quel mostro le aveva già messe tutte K.O.?
«Osssborn» sibilò nuovamente il lucertolone, facendosi più vicino.
Harry agì d’istinto, afferrando il tavolo e ribaltandolo addosso a Lizard. Approfittando dell’istante di confusione – forse di rabbia e dolore – della creatura, cercò di guadagnare l’uscita…
La coda di Lizard sembrò apparire dal nulla, e lo colpì in pieno petto, scaraventandolo contro la parete più vicina.
Harry crollò a terra, boccheggiando.
Lizard si girò verso di lui con un sibilo. Tirandosi faticosamente a sedere, il giovane incontrò gli occhi neri del rettile… Un momento dopo, un registro volò a colpire la testa di Lizard.
Harry si ritrasse contro il muro mentre il lucertolone si girava verso la porta con un sibilo inferocito.
«Signor Osborn» iniziò una voce maschile, con un accento straniero, «sta…?»
«Via!» urlò Harry.
Troppo tardi. Lizard si era già scagliato contro l’uomo fuori dalla soglia.
Da dove si trovava, Harry non riusciva a vedere cosa stesse succedendo nel corridoio, ma era sicuro che gli scalpiccii frenetici ed il tonfo che seguì non promettevano niente di buono.
Si guardò freneticamente attorno. Un piano, un piano, gli serviva un piano…
Un istante dopo, un urlo gli fece rizzare i capelli sulla nuca.
Oh, al diavolo.
Senza aver messo insieme neanche il tre per cento di un piano, Harry afferrò il registro dal pavimento e si precipitò fuori dall’ufficio.
Le urla provenivano dall’uomo che gli aveva probabilmente salvato la vita – un tipo robusto, dalla pelle scura e la testa rasata. Lizard lo aveva inchiodato sul pavimento, e torreggiava minacciosamente su di lui.
Harry sapeva che per certi versi ciò che si stava apprestando a fare era una pessima idea, ma in mancanza di alternative migliori scagliò il registro contro la testa del mostro.
Probabilmente in passato lo avrebbe mancato, ma con tutte le cose orribili che il siero di Goblin gli aveva causato aveva per lo meno migliorato i suoi riflessi e la sua mira.
Lizard si girò di scatto verso di lui, ed Harry mise in atto la seconda e ultima parte del suo embrione di piano: si diede alla fuga.
Per lo meno il lucertolone lo stava seguendo, segno del fatto che aveva lasciato perdere l’altro uomo.
Harry svoltò l’angolo e continuò a correre. In fondo al corridoio, si trovava un’ampia vetrata, e il cuore del giovane ebbe un balzo quando vide arrivare Spider-Man.
Non era il genere di finestra che si potesse aprire, ma il supereroe non parve trovarlo un problema: con un pugno ben assestato, spaccò il vetro e passò dal buco con una mossa sinuosa.
Harry non era mai stato tanto felice di vedere il suo migliore amico.
Giungendogli di fronte, rallentò e si girò: Lizard stava arrivando, e sembrava che tutto l’edificio traballasse al ritmo delle sue zampe che atterravano pesantemente sul pavimento.
Peter protese le braccia in avanti, lanciando delle ragnatele che avvilupparono il lucertolone, dopodiché lo scaraventò fuori dalla finestra.
Harry si abbassò, portandosi le braccia sopra la testa per proteggersi dalla pioggia di schegge di vetro.
Peter era in piedi di fianco a lui, rivolto verso l’esterno.
Harry si tirò su e guardò fuori, accorgendosi che – anziché lasciare che il mostro si schiantasse al suolo – l’amico utilizzò le ragnatele per rallentarne la caduta… Una volta a terra, Lizard riuscì a liberarsi e si rialzò, dandosi alla fuga.
Peter lo osservò dall’alto col fiatone, quindi si girò verso Harry. «Stai bene?»
Il giovane annuì. «Sono ancora tutto intero».
«Ho sentito dell’attacco alla OsCorp sulla frequenza della polizia. Ho fatto più in fretta che ho potuto».
Harry si girò verso il corridoio. «Sai per caso che fine ha fatto la sicurezza?»
Peter lo stava osservando come per assicurarsi che stesse bene per davvero. «Li avrà stesi».
Dalla strada, si udì in lontananza il suono delle sirene della polizia.
«Come mai Lizard è venuto qui?» chiese Harry, accigliandosi.
Che la OsCorp attirasse i mostri e gli psicopatici come il miele attirava le mosche?
Peter tacque un istante, e a causa della maschera Harry non poté nemmeno cercare di decifrare la sua espressione. «Credo che ce l’abbia con te».
A quella notizia, il giovane sbatté le palpebre, preso in contropiede. «Cosa? Ma… perché? Io non l’ho mai visto prima d’ora! O… o sì…?»
«Lo hai visto» affermò Peter, «e hai anche rifiutato di fornirgli dei fondi per le sue ricerche».
Harry fissò l’amico senza capire.
«Il dottor Connors» spiegò allora Peter. «Lizard è il dottor Connors».
«Che cosa?!» esclamò Harry, esterrefatto, mentre alcune auto della polizia si fermavano davanti alla OsCorp con uno stridio di freni.
«Già» confermò Peter, «l’esperimento è finito male. Ora però è meglio che io me la svigni, prima che uno dei poliziotti mi veda e decida di arrestarmi. O di spararmi». Fece una pausa. «Mi dispiace per il vetro».
Harry abbozzò un sorriso, scuotendo la testa, e guardò l’amico che si slanciava fuori dall’edificio.
Chinò il capo e spostò alcuni frammenti di vetro con la punta della scarpa. Poi sollevò il mento di scatto, ricordando l’uomo che aveva lanciato il registro in testa a Lizard.
Si affrettò a correre verso il corridoio dove l’aveva lasciato, e lo trovò seduto con la schiena pesantemente poggiata contro il muro.
«Signor Osborn» lo salutò l’uomo, apparendo decisamente sollevato nel vederlo vivo.
Il ragazzo gli si avvicinò, abbassandosi di fianco a lui. «Sta bene?» chiese, aggrottando la fronte.
Aveva notato, infatti, che l’uomo si teneva le mani sulla gamba destra.
L’altro fece una smorfia. «Credo che quel coso mi abbia spaccato qualche osso».
Harry si rimise in piedi. «Chiamo un’ambulanza».
Mentre entrava nel proprio ufficio e recuperava il cordless dal pavimento, gli venne in mente che non aveva chiesto a Peter come si poteva organizzare un piano su due piedi in una situazione di pericolo.
Forse, se glielo avesse domandato, avrebbe scoperto che spesso neanche il suo amico escogitava piani tanto elaborati, e talvolta non riusciva a seguirli.
Quando Peter aveva sentito dell’irruzione di Lizard alla OsCorp e si era precipitato sul posto, aveva ben chiaro quello che avrebbe dovuto fare. Salvare Harry era la sua priorità assoluta, dopodiché avrebbe seguito Lizard per scoprire dove si nascondeva.
Una volta compiuto il primo passo, però, non era riuscito ad allontanarsi dall’amico. Aveva voluto chiacchierare un po’, osservarlo, assicurarsi che stesse davvero bene come affermava.
Quando alla fine se n’era andato dalla OsCorp, aveva percorso la zona cercando tracce dell’enorme lucertolone, ma senza successo. Lizard si era già volatilizzato.
Peter trovava la cosa stressante. Com’era possibile che un mostro simile riuscisse a sparire nel nulla in quel modo?!
Borbottando tra i denti qualche insulto rivolto alla propria persona, aveva interrotto la ricerca ed era tornato al proprio appartamento. Una volta arrivato, si era cambiato d’abito, quindi aveva telefonato ad Harry per assicurarsi che fosse arrivato a casa sano e salvo. Bernard, però, gli aveva detto che il giovane non era ancora rientrato.
Peter per poco non aveva ceduto al panico, poi aveva provato a contattare l’amico sul cellulare.
Grazie al cielo, Harry gli aveva risposto, e gli aveva detto che si trovava all’ospedale – a quanto pareva, aveva accompagnato lì un suo dipendente che era rimasto ferito da Lizard.
A quel punto, Peter decise di far visita a Mary Jane.
La ragazza sapeva già che Lizard era il dottor Connors, che sua moglie aveva messo a disposizione di Peter i dati degli esperimenti del marito, e che lui stava tentando di studiare la sostanza che aveva trasformato il professore in un mostro.
Supponeva fosse il caso di informarla anche dell’attacco alla OsCorp – oltretutto, parlare con la sua fidanzata era sempre un toccasana.
Quando fu davanti alla porta del suo appartamento, trasse un respiro e bussò. Mary Jane impiegò un po’ di tempo in più del solito per venire ad aprire, e sgranò gli occhi nel vederlo.
«Peter» disse, sorpresa, facendosi istintivamente da parte per lasciarlo passare.
Lui entrò, affermando: «Devo sbrigarmi a trovare un antidoto. Lizard ce l’ha con Harry, e…»
Si interruppe bruscamente, notando che Mary Jane gli stava facendo furiosamente segno di no con la testa.
«Va tutto bene?» le chiese, aggrottando la fronte.
Un momento dopo, notò un movimento, e i suoi occhi guizzarono verso la porta della camera da letto di Mary Jane. Liz ne era appena uscita, e ora lo fissava, pallida come un lenzuolo. «Chi è che ce l’ha con Harry?»










Note:
Prima di tutto, scusate l’attesa. Chiedo venia anche per questo sputo di capitolo, spero che perlomeno sia stato piacevole da leggere (tenterò di rifarmi con la lunghezza del prossimo)…
Cercherò di aggiornare domenica 1 Marzo (anche se, considerato il fatto che ho ripreso le lezioni, potrei dover rimandare alla settimana dopo… chiaramente spero di no, vedremo come andranno le cose).

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