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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Appesi a un filo ***
Capitolo 2: *** Il risveglio ***
Capitolo 3: *** Visite ***
Capitolo 4: *** Scuse e proposte ***
Capitolo 5: *** Un paio di novità ***
Capitolo 6: *** Quattro amici in Central Park ***
Capitolo 7: *** Visita a domicilio ***
Capitolo 8: *** Scienza e teatro ***
Capitolo 9: *** Bloccato ***
Capitolo 10: *** Un marito ideale ***
Capitolo 11: *** Da soli insieme ***
Capitolo 12: *** Rivelazioni ***
Capitolo 13: *** Dubbi e chiarimenti ***
Capitolo 14: *** Passo dopo passo ***
Capitolo 15: *** Raccolta fondi ***
Capitolo 16: *** Qualcosa ***
Capitolo 17: *** Confusione ***
Capitolo 18: *** Tutto per un gelato ***
Capitolo 19: *** Festeggiamento a sorpresa ***
Capitolo 20: *** Lizard ***
Capitolo 21: *** Complicazioni ***
Capitolo 22: *** Un piccolo imprevisto ***
Capitolo 1 *** Appesi a un filo ***
Capitolo
01 – Appesi a un filo
Quel
corridoio d’ospedale era tutto uguale.
Sterile, asettico. Pregno
dell’odore del disinfettante.
Peter Parker aveva la nausea.
Davanti ai suoi occhi, continuava a
balenare l’espressione
stordita di Harry nel momento in cui le lame del suo aliante lo avevano
trafitto.
E poi la sofferenza, le sirene lontane
delle ambulanze. Il disfare il
suo amico della tuta di Goblin, la corsa disperata per affidarlo ad
alcuni medici. Dopodiché precipitarsi indietro, strapparsi
di dosso i brandelli del costume da Spider-Man, recuperare dei
vestiti… E via in ospedale, dove la sua corsa si era
interrotta bruscamente.
L’andare avanti e indietro gli
aveva fatto venir voglia di
vomitare, ma forse l’attesa era mille volte peggiore.
In quel momento, Harry si trovava in
sala operatoria.
La vita del suo migliore amico era
appesa ad un filo, ed era tutta
colpa sua.
Venom puntava a lui, voleva uccidere
lui. Ma Harry si era messo in
mezzo per salvarlo.
Già. Non aveva esitato un
secondo, nonostante tutto il
dolore che lui gli aveva causato.
«Peter? Peter
Parker?»
Nel sentire quella voce femminile, Peter
alzò il capo,
trovandosi a guardare una ragazza che lo fissava incredula.
Stordito com’era,
impiegò qualche momento a
raccapezzarsi.
Lei indossava una divisa da infermiera,
e teneva i capelli biondi
legati in una pratica coda di cavallo.
Peter pensò persino che si
trattasse di una delle ragazze
che aveva rimorchiato mentre era sotto l’influsso del costume
nero… Ma alla fine realizzò di conoscerla.
«Elizabeth Allen»
disse, senza riuscire ad evitare
di suonare un po’ guardingo.
Erano stati a scuola insieme, ai tempi
delle medie, e lui non serbava
ricordi esattamente piacevoli sul suo conto.
A sorpresa, la ragazza si mise a ridere
di gusto. «Non ho
nessuna intenzione di azzannarti, sta’ tranquillo!»
Peter trovò quella reazione
poco in linea col carattere
permaloso della compagna che ricordava, ma non era nelle condizioni di
stupirsene.
Dio, era normale che
l’operazione di Harry durasse tanto?
La giovane dovette notare la sua
espressione, le sue occhiaie marcate,
poiché tornò seria in un attimo e lo
fissò interrogativa… per poi sgranare gli occhi.
«Io e la mia lingua
lunga!» imprecò.
«Scusami, Parker. Non ho pensato di…»
Peter non seppe mai cosa non aveva
pensato di fare, poiché
in quel momento la ragazza notò Mary Jane.
Quest’ultima era accomodata
sulla sedia accanto a quella di
Peter, e teneva il proprio volto tra le mani.
Il giovane girò la testa
verso di lei. Vederla
così lo faceva star male, ma non sapeva come consolarla. Lui
stesso si sentiva morire, soffocato dal senso di colpa.
La ragazza bionda gli scoccò
un’occhiata, poi si
avvicinò alla rossa con aria titubante.
«MJ?» chiamò, posandole una mano sulla
spalla.
Mary Jane alzò il capo e
sgranò gli occhi
– erano arrossati, anche se lei non stava più
piangendo. «Liz!» boccheggiò,
stupefatta. «Cosa… Cosa ci fai qui?»
La ragazza si strinse nelle spalle.
«Ci lavoro»
rispose, per poi aggiungere cautamente: «Sei insieme a
Parker? Perché siete qui?»
Peter serrò i pugni sulle
proprie ginocchia.
“Siamo qui perché sono un idiota e un incapace.
Perché un mostro stava per uccidermi e il mio migliore
amico si è messo in mezzo per salvarmi”.
«Un nostro amico»
disse Mary Jane, cercando di
tener salda la voce. «È rimasto coinvolto nello
scontro tra Spider-Man e Venom».
«Oddio, mi
dispiace!» esclamò
l’altra ragazza, e sembrava sincera.
Si voltò verso Peter, e lo
fissò in volto con una
strana intensità.
«A quanto pare anche tu ci sei
rimasto in mezzo»
osservò. «Ti sei fatto vedere quei lividi e quei
tagli?»
Peter annuì, indifferente.
«Me li hanno
già disinfettati».
Era vero: non appena aveva messo piede
in ospedale, un medico aveva
notato la sua aria malconcia, e aveva voluto a tutti costi sottoporlo a
una visita veloce.
«Il vostro
amico…» azzardò la
ragazza bionda dopo qualche istante. «Lo conosco?»
Peter fece cenno di no col capo, mentre
Mary Jane si mordeva forte le
labbra.
Liz esitò un attimo, poi
domandò:
«Adesso è in sala operatoria, vero? Se vuoi, posso
andare a vedere come stanno procedendo le cose».
Nell’udire quelle parole,
Peter la guardò come un
cane randagio che si vede offrire un boccone inaspettato.
Mary Jane, invece, non sembrava credere
alle proprie orecchie.
«Davvero lo faresti?»
Liz annuì. «Certo!
Basta che mi diciate come si
chiama…»
«Harry» intervenne
Peter. «Harry
Osborn».
La ragazza bionda lo guardò.
«Tornerò
non appena saprò qualcosa» promise, avviandosi a
passo spedito lungo il corridoio.
Peter la seguì con lo sguardo.
«Saranno buone notizie,
vero?» sussurrò
Mary Jane. Aveva il viso tirato.
Peter inghiottì e le strinse
la mano. «Lo
spero».
La ragazza lo guardò. La sua
espressione era composta, ma i
suoi occhi erano colmi di tristezza… E lei, esitante,
poggiò la testa sulla spalla del giovane.
Era da molto tempo che non stavano
così vicini.
Peter la abbracciò, cercando
di farle forza.
Liz controllò il tabellone su
cui erano segnati gli
interventi del giorno.
Quello scontro nel centro di New York
aveva causato un bel
po’ di danni, così al momento le sale operatorie
erano tutte occupate. La ragazza, però, trovò
subito il nome che le interessava.
Harry Osborn. Lo stava operando il
dottor Reed. Era in Sala 2.
Liz girò sui tacchi,
precipitandosi lungo il corridoio.
Ogni sala operatoria era dotata di una
piccola galleria, dove i
chirurghi si lavavano e si preparavano e dalla quale, volendo, potevano
anche assistere alle operazioni.
Tale galleria, infatti, era separata
dalla sala vera e propria per
mezzo di una vetrata.
Quando Liz arrivò, le
bastò un’occhiata
per capire che le cose stavano andando male.
I bip dell’elettrocardiogramma
erano fin troppo rapidi, e il
dottor Reed stava giusto tendendo il guanto insanguinato verso la sua
assistente.
«Defibrillatore!» lo
sentì dire la
ragazza bionda.
Col cuore in tumulto, Liz
avvicinò il viso alla vetrata, e
per poco non vi sbatté il naso contro.
Harry Osborn era disteso sul tavolo
operatorio inondato di luce. Gran
parte del suo volto esamine era coperto, e Liz riuscì a
vederne giusto gli occhi chiusi, ma tanto bastò
perché lui le apparisse intollerabilmente indifeso.
E in quanto alle persone che cercavano
di salvargli la vita…
Sembravano fantasmi avvolti in camici verde acqua.
La ragazza strinse i pugni
così forte da farsi male.
Non vedeva Mary Jane da anni, e le erano
successe moltissime cose, ma
non aveva dimenticato la loro amicizia, e ricordava fin troppo bene
quanto l’altra le fosse apparsa disperata.
Al solo pensiero di doverle riferire
delle cattive notizie, si sentiva
morire.
Quando l’elettrocardiogramma
si ridusse a una linea piatta,
segno che il cuore del giovane si era fermato, la ragazza non
resistette.
In preda all’ansia,
s’infilò in fretta e
furia guanti, cuffia e mascherina, ed entrò nella sala
operatoria.
L’anestesista
nell’angolo la guardò
inarcando le sopracciglia, ma né il chirurgo né
la sua assistente fecero caso a lei: l’uomo stava giusto
restituendo il defibrillatore, dopodiché immerse la mano nel
torace aperto del suo paziente.
«Andiamo, ragazzo»
borbottò.
Liz riusciva quasi a vedere le mani del
dottor Reed che massaggiavano
il cuore sanguinante del suo paziente.
Finalmente, dopo qualche secondo di
agonia, il cuore del ragazzo
ripartì.
Liz emise un sospiro carico di sollievo,
ma da ciò che
vedeva capiva che era presto per considerarlo salvo.
«Garze»
ordinò il dottor Reed, tendendo
la mano. «Aspira… È una gran brutta
emorragia».
Liz sentì una fitta
d’ansia. Anche a lei appariva
chiaro che il giovane stava perdendo una quantità enorme di
sangue, ma sentirlo confermare dal medico le parve spaventoso.
Le mani del chirurgo lavoravano senza
sosta, la sua voce chiedeva
continuamente altri studenti. Ma la sua fronte, visibile tra la
mascherina e la cuffia azzurra, era aggrottata, e dopo un po’
lui iniziò a scuotere il capo.
Con un nodo alla gola, Liz
puntò gli occhi sul volto di
Harry Osborn.
In quel momento, notò che lui
aveva il lato destro del viso
sfigurato, come se fosse sfuggito appena in tempo a un incendio.
E di colpo, non si trattò
più solo di non voler
portare una cattiva notizia a MJ. Anzi, per un istante
dimenticò persino di trovarsi lì per richiesta
dell’amica.
Harry Osborn doveva avere circa la sua
età, e sembrava
così sperduto…
Liz si sentì soffocare.
“Oddio, no! Ti prego,
fa’ che vada tutto bene. Ti prego, ti prego, ti
prego…”
La voce incredula del dottor Reed
interruppe le sue preghiere:
«Non è possibile…»
«Che cosa, dottore?»
«Questi vasi. Erano andati,
come diavolo…? Non
importa. Il ragazzo è fortunato».
Liz sentì il proprio cuore
battere più forte.
Fortunato?
«Bene»
decretò il chirurgo,
«finiamo qui, e poi possiamo chiudere. Se la
caverà».
La ragazza bionda gettò un
ultimo sguardo al volto esamine
di Harry Osborn, sentendo un sorriso radioso premere contro la
mascherina.
Senza dire nulla, sgusciò
via: non le serviva sapere altro.
Note:
Se qualcuno è riuscito ad arrivare in fondo a questo
capitolo, mi congratulo con lui.
E sarei felicissima se mi facesse sapere cosa ne pensa (è il
caso di continuare o di cestinare la storia?).
Questa, comunque, è la riscrittura (molto riscritta XD) di
una storia che avevo iniziato a pubblicare il 9 ottobre del 2010.
Liz Allen
non l’ho inventata io: è un personaggio dei fumetti al pari di Peter, Harry e Mary Jane.
Io vi consiglio di non cercare altre informazioni in rete su di lei, se
volete che ciò che succederà sia una
sorpresa.
Nel banner (orrido, lo so) là in alto, è
impersonata da Reese
Witherspoon.
Ho detto tutto, perciò mi eclisso!
Ah, il prossimo capitolo dovrebbe arrivare mercoledì 30
gennaio. Contrordine: arriverà giovedì 24 ^^
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Capitolo 2 *** Il risveglio ***
Capitolo
02 – Il risveglio
Quando
Harry si svegliò, la prima cosa che vide fu il volto
di Peter.
«Ehi,
bello…» riuscì a
chiamarlo, con un fil di voce. «Hai una pessima
cera».
L’espressione
dell’altro cambiò
immediatamente, aprendosi in un sorriso colmo di sollievo.
«Farmelo dire da te è il colmo. Sei più
pallido di uno zombie».
Harry
sorrise debolmente, mentre capiva di trovarsi in ospedale.
In
quel momento, si accorse che accanto al suo letto c’era
anche Mary Jane.
La
ragazza era pallida e aveva gli occhi arrossati, ma pareva che le
sue guance stessero riprendendo un po’ di colore.
«Lo
giuro su quello che vuoi, Harry» aggiunse
Peter, con voce roca. «La prossima volta che mi fai prendere
uno spavento simile, ti uccido».
Harry
cercò di ridere, ma tacque immediatamente.
Il
petto gli faceva un male cane, e la sua testa sembrava sul punto di
esplodere.
“Be’,
se non altro sono vivo” si disse,
di colpo.
Quel
pensiero fu come un’ondata di calore che lo
investì da capo a piedi.
Già.
Era vivo, cosa sulla quale poco prima non avrebbe
scommesso nemmeno un centesimo.
«Ci
hai fatto preoccupare tantissimo»
affermò Mary Jane.
Harry
si inumidì le labbra secche. «Adesso
è tutto passato, no?» domandò,
guardando Peter.
Quest’ultimo
capì che l’amico non stava
parlando solo della morte scampata per un pelo, e accennò un
sorriso. «Già».
In
quel momento, una voce di donna iniziò a dire, in tono
scorbutico: «Questo non è orario di visita,
dovreste…»
Una
seconda voce – sempre femminile, ma più
giovane – intervenne seccata: «Il loro amico ha
rischiato di morire, Janet! Da’ loro un po’ di
tempo!»
Mary
Jane e Peter si erano girati verso la porta della stanza, e Harry
aggrottò la fronte, cercando di vedere le persone tra le
quali si era svolto quello scambio di battute.
Fece
in tempo a cogliere la schiena di un’infermiera robusta
che usciva, poi mise a fuoco una ragazza bionda in piedi sulla soglia.
Incrociando
il suo sguardo, lei gli rivolse un sorriso imbarazzato.
«Ah,
Harry» disse Mary Jane, facendo cenno alla
giovane di avvicinarsi. «Lei è Elizabeth Allen,
veniva alle medie con me e Peter».
«Piacere
di conoscerti» disse la ragazza.
Harry
le rivolse un cenno del capo, sentendosi un po’ a
disagio.
Conosceva
fin troppo bene le condizioni del proprio volto e, sebbene
non gli desse alcun fastidio la presenza di Peter e Mary Jane, davanti
a un’estranea non poteva dirsi del tutto tranquillo.
«Forse
è meglio che andiamo»
accennò Mary Jane, riluttante. Guardò
l’infermiera bionda e assunse un tono quasi supplichevole.
«Liz, ti occuperai tu di lui, vero?»
L’altra
le sorrise con fare tranquillizzante.
«Sicuro» replicò. «Non
è stato un problema farmi assegnare questo
post-operatorio».
Peter
sembrava poco convinto, e si staccò di malavoglia dal
letto dell’amico.
Harry
avrebbe voluto far notare loro che non era un invalido, ma poi
lasciò perdere. Era bello vedere i suoi amici preoccupati
per lui.
«Torniamo
nell’orario di visita» gli
promise Mary Jane.
«Ci
vediamo presto» confermò Peter.
Harry
sorrise, lasciando che il proprio corpo spossato si rilassasse
contro il materasso. «Certo».
Peter,
però, indugiò un istante, e a Mary Jane la
cosa non sfuggì.
«Io
e Liz ti aspettiamo fuori, tigre» disse al
proprio fidanzato, sfiorandogli la guancia prima di uscire in corridoio
con l’infermiera bionda.
Harry
la seguì con lo sguardo, quindi portò gli
occhi su Peter.
Per
un istante, sembrò che su di loro gravasse il peso di
mille cose non dette, ed Harry sentì il bisogno di cercare
una qualche chiarezza.
«Bernard
mi ha detto che… che la ferita di mio
padre è stata provocata dal suo aliante».
Mentre
pronunciava quelle parole, sentì una stretta allo
stomaco. Istintivamente, le sue mani corsero alla fasciatura che gli
stringeva il petto…
Peter
sbatté le palpebre.
«Sì» disse soltanto.
«E
tu hai detto la verità» aggiunse
Harry. Gli sembrava di avere la bocca piena di sabbia.
«Sì».
«Quindi…»
Il ragazzo inspirò
profondamente dal naso. «Quindi è vero. Lui aveva
cercato di ucciderti, ma non ci è riuscito. Per questo
è morto».
Peter
rimase in silenzio, ma Harry trovò la conferma nel suo
sguardo che cambiava.
«Ah».
Lasciò che la sua nuca
sprofondasse nel cuscino.
«Harry…»
iniziò Peter.
L’altro,
però, scosse appena la testa.
«Va bene così, Pete» affermò.
Si
sentiva irrealmente calmo. Forse era troppo esausto per mettersi a
rimuginare su suo padre, su Goblin, su… su tutto. Forse era
la sua mente che cercava di difendersi chiudendo fuori ogni cosa.
Harry
emise un lento sbuffo.
«Cavoli»
commentò poi, tentando di
suonare ironico. «Sono a pezzi. Forse è meglio che
tu vada, prima che MJ venga a chiamarti».
Peter
corrugò la fronte, ed Harry abbozzò un
sorriso.
«Tanto
ci vediamo dopo, no?»
L’altro
annuì lentamente. E, sebbene sembrasse
piuttosto preoccupato, riuscì a sorridere a sua volta.
«Ci vediamo dopo».
Ci
furono altri sorrisi, poi Peter uscì in corridoio.
Liz
e Mary Jane si erano fermate poco più avanti, e lui le
raggiunse in pochi passi.
Mary
Jane gli rivolse un piccolo sorriso e Liz, impegnata a sciogliersi
la coda di cavallo, lo guardò di sfuggita.
«Harry
starà bene, vero?» le chiese Mary
Jane, in tono angustiato.
L’altra
ragazza spostò la propria attenzione
sull’amica, passandosi una mano tra i capelli biondi.
Annuì, rassicurandola: «Il dottor Reed diceva che
l’operazione è andata molto bene».
Ancora
indecisa, la rossa guardò Peter. «Forse
dovremmo…» iniziò.
«MJ,
sono le cinque del mattino» la interruppe Liz,
in tono franco. «Quel che dovete fare è andare a
riposarvi. L’orario di visita inizia alle tre del pomeriggio.
Vedete di essere in forma per allora».
«E
tu?» intervenne Peter. «Cosa
farai?»
«Io
starò qui ancora per molto, temo»
replicò Liz, poi lo guardò dritto in faccia.
«E so fare bene il mio lavoro, davvero».
Peter
si chiese se era suonato troppo diffidente, dopodiché
scambiò un’occhiata con Mary Jane, mentre Liz
aggrottava la fronte.
«Va
bene» disse Mary Jane alla fine.
«Tu… prenditi cura di lui».
Liz
sorrise. «Senz’altro».
Baciò
l’amica sulla guance, rivolse un cenno al
ragazzo, e poi restò a guardarli mentre se ne andavano,
camminando tanto vicini da sfiorarsi.
Dopo
l’uscita di Peter e Mary Jane, Harry si era appisolato.
Quando
l’infermiera bionda – Elizabeth Allen, si
chiamava – arrivò a svegliarlo, lui ebbe un
sussulto.
In
un dormiveglia agitato, aveva rivissuto il momento in cui Venom
l’aveva trafitto… Impiegò qualche
secondo, prima di registrare il volto chino su di lui e di notare che
la ragazza aveva tra le mani delle bende di un bianco accecante e del
disinfettante.
«Scusami,
devo cambiarti la fasciatura» gli
spiegò lei, infilandosi un paio di guanti in lattice.
Harry
sbatté le palpebre, mentre il suo cuore riprendeva un
ritmo normale. «Fa’ pure»
mormorò.
Liz
Allen gli gettò una mezza occhiata e il giovane
sentì l’impulso di coprirsi la guancia destra con
la mano; subito dopo, però, la ragazza si chinò
su di lui, mettendosi al lavoro.
Giusto
per fare qualcosa, Harry si mise ad osservarle la nuca. La
scriminatura dei capelli biondi era tutta a zig-zag, come se la ragazza
si fosse pettinata di corsa.
«Posso
farti una domanda?» chiese Liz, alzando per
un istante gli occhi su di lui.
«Quale?»
replicò Harry, sorpreso.
«MJ
e Peter Parker» fece la ragazza, tornando a
chinarsi sul petto di lui. «Stanno insieme?»
Harry
la fissò. «Penso di sì»
disse alla fine.
Si
rendeva conto che non era il massimo delle risposte, ma
d’altronde non poteva certo spiegare ad una sconosciuta che
temeva avessero litigato a causa sua e della sua vendetta.
Liz
rise brevemente, mentre le sue dita lavoravano veloci.
«Se alle medie mi avesse detto che in futuro si sarebbe
fidanzata con Parker, le avrei dato della pazza».
Harry
aggrottò la fronte.
Lei,
concentrata sulla fasciatura, non lo guardava in faccia, ma
ciò non lo infastidiva. Anzi, lo faceva sentire
più a suo agio.
«Non
ti piace Peter?»
La
ragazza si strinse nelle spalle, mettendo da parte una benda unta e
insanguinata. «Penso di essere stata una delle persone che
alle medie gli rendevano la vita impossibile» ammise.
«Ero odiosa, a quei tempi».
«Ah»
disse Harry, e nessuno dei due aggiunse altro.
Liz
conosceva bene il suo mestiere: fu molto delicata, e solo una volta
il giovane sentì una fitta dovuta a una mossa troppo
sollecita.
Neanche
allora, però, si lasciò scappare un fiato.
Era
sopravvissuto a una ferita mortale. Non gli sembrava il caso di
lamentarsi.
Quando
Liz ebbe finito, buttò via le bende che gli aveva
tolto, poi gli domandò: «Come ti senti?»
Harry
cercò di pensarci onestamente. «Come se ieri
sera avessi partecipato a una raccolta fondi particolarmente
stressante».
La
ragazza sorrise. «Vuoi dire una di quelle serate
interminabili, da spendere facendo sorrisi a persone odiose ed
esageratamente ricche?»
Stupito,
lui la guardò come se la vedesse realmente solo in
quel momento. «Proprio così…»
«Capisco
la sensazione» affermò Liz,
scrollando la testa bionda.
Harry
inarcò un sopracciglio scuro.
«Sì?» domandò.
«Mio
padre possiede un albergo e qualche club in giro per New
York» spiegò allora la ragazza. «Il suo
patrimonio mi ha fatto trascorrere serate noiosissime».
«Be’»
mormorò Harry, cercando
con cautela di sedersi più dritto, «tutta quella
noia non ti è tornata utile?»
«A
te è tornata utile?» chiese lei di
rimando, scettica.
«Dirigo
la OsCorp» rispose Harry. «Ora le
raccolte fondi devo persino organizzarle. Tirando le somme, un
po’ di addestramento mi ha fatto bene. Sicura che a te non
sia servito proprio a niente?»
«Stai
scherzando» disse Liz. «Sono finita
a fare l’infermiera, quindi…»
Harry
non poté farne a meno. Rise. «E
perché questo mestiere, se posso chiedere?»
Anche
se la capacità visiva del suo occhio destro era stata
ridotta notevolmente dall’esplosione che lo aveva sfigurato,
si rese subito conto che non poteva.
Il
sorriso di Liz, infatti, si fece improvvisamente forzato.
«Cosa c’è di meglio
dell’aiutare il prossimo?» scherzò, ma
ora c’era una traccia di nervosismo nella sua voce.
Harry
ne fu incuriosito, ma purtroppo non aveva le energie per
continuare a indagare, così non insistette.
«Niente»
ammise invece. «Ero solo
sorpreso».
«E
tu?» incalzò Liz. «Dirigi
la OsCorp, hai detto?»
Harry
si rabbuiò. «Una scomoda eredità
paterna» disse, sorvolando sul fatto che la parte peggiore
del retaggio di Norman Osborn era stata un’altra.
«Non me la cavo troppo bene, sta fallendo».
Pensando
al tracollo dell’azienda, dovette abbassare gli
occhi.
Liz
lo osservò con discrezione. «Sta
fallendo» obiettò infine. «Non
è ancora fallita».
Harry
rialzò il capo, sorpreso. Pensò che
probabilmente lei lo aveva detto solo per essere gentile, ma si
sentì comunque incoraggiato.
«Già»
concordò, in tono
assorto. «Non è ancora fallita».
Liz
gli sorrise. «Qui ho finito» disse poi.
«Adesso ti lascio riposare…»
Note:
Allora, so di aver già risposto a chi ha recensito lo scorso
capitolo, ma li (anzi, le) ringrazio di nuovo, perché mi
hanno fatta felicissima *^*
Poi, be’, ringrazio Enide
e ErinThe
per aver aggiunto questa
storia tra le seguite.
E… non credo di aver nient’altro da dire
(c’è chi sa già che l’altro
ieri ho visto “Dead man walking”, che mi ha
lasciato un’angoscia tremenda, e forse ciò
contribuisce a limitare la mia solita parlantina XD), perciò
vi do appuntamento a mercoledì
30 gennaio ^^
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Capitolo 3 *** Visite ***
Capitolo
03 – Visite
Naturalmente,
Peter e Mary Jane mantennero la promessa e, non appena
iniziò l’orario di visita, si presentarono nella
stanza d’ospedale dell’amico.
«Come
stai?» domandò subito Mary Jane.
«Benissimo»
replicò Harry. Era
un’esagerazione fatta e finita: si sentiva più
lucido rispetto a quando si era risvegliato dopo
l’operazione, certo, ma il petto gli doleva ancora e tutti i
suoi muscoli erano indolenziti.
«Di
sicuro» ironizzò Peter, alzando gli
occhi al cielo.
«Davvero»
insistette Harry. Stava già
pensando a come fare per salvare la OsCorp: per il momento, non si
sentiva in grado di affrontare i pensieri peggiori che si aggiravano
per la sua testa. «Non vedo l’ora che mi
dimettano».
«Preoccupati
di guarire, piuttosto»
ribatté l’amico.
Harry
gli rivolse un sorrisetto, e lui abbassò lo sguardo.
«A
proposito… grazie».
Harry
aggrottò la fronte, preso in contropiede. «E
per che cosa?»
Peter
lo fissò negli occhi con una certa serietà.
«Lo sai. Per avermi salvato la vita».
«Ah».
Harry cercò di puntellarsi sui
gomiti. «Be’, immagino sia quello che si fa per gli
amici».
«Non
è stato solo questo, tu…»
Peter
si interruppe, e dopo un istante Harry udì a sua volta
la voce soffocata della presentatrice di un telegiornale. Il paziente
della stanza accanto aveva la fortuna di avere una televisione a sua
disposizione, e la ascoltava ad un volume esagerato.
In
quel momento, stavano dando la notizia di una rapina in corso.
«Perfetto»
sospirò Peter,
«devo scappare».
«Sta’
attento!» gli raccomandò
Mary Jane, mentre lui si dirigeva verso la porta.
Il
giovane si girò un istante per sorridere e
tranquillizzarla. «Sicuro».
Nel
giro di cinque secondi, era già scomparso al di
là della soglia.
Riportando
gli occhi su Mary Jane, Harry si rese conto che
l’ultima volta che era rimasto solo con lei… okay,
era moribondo… ma quella prima l’aveva baciata.
Si
schiarì la gola, cercando di liberarsi del ricordo delle
sue labbra morbide. Aveva già causato abbastanza guai.
«Tra voi due» esordì, spinto dal senso
di colpa, «è tutto a posto, vero?»
Mary
Jane lo guardò.
«So
di aver fatto un bel danno» aggiunse Harry, a
disagio, «ma…»
Lei
scrollò la testa, sorridendo. «Tranquillo,
Harry. Peter mi ha spiegato cos’è successo tra
voi, e per quanto riguarda lui e me… stiamo
risolvendo».
Harry
azzardò un sorriso. «Meno male»
mormorò.
La
osservò, chiedendosi quando Peter le avesse spiegato ogni
cosa. Quella notte, mentre lui era sotto i ferri? O quella mattina,
prima che venissero a trovarlo?
Si
schiarì di nuovo la gola. «E riguardo quello
che ti ha detto Peter…» iniziò.
«Non
importa cos’abbia fatto tuo padre,
Harry» replicò la ragazza. «Noi siamo
sempre amici».
Il
giovane sbatté le palpebre. Avrebbe voluto riprovare a
chiederle scusa per averla usata contro Peter, ma era completamente
esausto. Faticava persino a dare un ordine alle proprie idee. Da dove
doveva cominciare?
Dal
canto suo, Mary Jane si guardò attorno. Nella stanza
c’era una sedia; lei la prese e
l’avvicinò al letto, accomodandosi con la giacca
in grembo.
«Davvero
stai bene?» indagò, prevenendo
qualsiasi scusa.
«Forse
“meglio” sarebbe più
azzeccato» ammise Harry.
«Liz
è brava?» chiese Mary Jane.
Il
giovane trovò un po’ strano parlare della
ragazza bionda. «Mi sembra di sì»
rispose, aggrottando la fronte. «Eravate amiche?»
«Sì»
sorrise Mary Jane.
«Però dopo le medie lei è andata in un
istituto privato, e ci siamo perse di vista».
Un
istituto privato… Già, Liz aveva detto che suo
padre era ricco…
«Quindi
tu non sai perché abbia deciso di fare
l’infermiera» dedusse Harry, ricordando di colpo
l’espressione della ragazza di fronte alla domanda sul suo
mestiere.
Mary
Jane corrugò la fronte. «No…
Perché, deve esserci un motivo particolare?»
Harry
si strinse nelle spalle – movimento che gli
causò una fitta al bassoventre. «No, certo, era
così per chiedere».
La
ragazza sorrise e guardò il proprio orologio con una
smorfia. «Scusami, Harry, ma il jazz club mi
aspetta».
Rialzandosi,
gli strinse il polso in un gesto rapido ma affettuoso.
«Rimettiti,
va bene?»
Harry
fece cenno di sì, e lei – era davvero bella
– gli rivolse un altro sorriso, prima di uscire dalla stanza
a passo leggero.
Rimasto
solo, Harry gettò uno sguardo al soffitto.
Dopo
qualche istante di silenzio – il paziente della stanza
accanto aveva spento la televisione, o forse aveva abbassato il volume
dopo essere stato rimproverato da qualcuno –, capì
che l’essere sopravvissuto non voleva dire soltanto una
seconda opportunità, ma aveva anche i suoi risvolti negativi.
Adesso,
lui conosceva la verità su suo padre.
Forse
Peter non gli aveva detto molto, ma Harry aveva visto i notiziari
e aveva letto i giornali. Sapeva cosa aveva fatto Goblin.
Nella
sua smania di vendetta, aveva ignorato tutti quei
delitti… Ma ora iniziavano a tornargli in mente con una
precisione spaventosa.
Se
fosse morto, le ultime parole di Peter – Non dovevo farti
del male… Dicendoti quelle cose – gli
sarebbero
bastate.
Harry
ricordava bene come si era sentito prima di perdere i sensi.
Ricordava
il dolore, la paura, ma le lacrime che avevano versato erano
state anche di sollievo.
Perché
non solo aveva salvato Peter, ritrovando il suo
migliore amico, ma anche perché l’altro era
riuscito a cancellare dalla sua mente quel: No, lui ti disprezzava. Tu
lo mettevi in imbarazzo.
E
in quel momento, gli era stato sufficiente sapere che suo padre gli
aveva voluto bene.
Ma
adesso… Sapendo che suo padre era diventato un assassino,
sapendo che aveva cercato di uccidere Peter… Come poteva
perdonarlo davvero?
Harry
serrò le labbra, perché d’altra
parte odiare Norman gli causava un dolore intollerabile.
Così come gli facevano male i dubbi che stavano emergendo
dalla sua mente: era davvero certo che suo padre lo avesse amato?
E
perché doveva importargli di una persona tanto orribile?
«Harry?»
Quella
voce querula lo distolse dai propri pensieri, spingendolo a
guardare verso la porta.
Le
sue labbra si schiusero, e il ragazzo cercò
d’istinto di sollevarsi.
«Bernard…»
Qualche
momento più tardi, passando davanti alla stanza di
Harry Osborn, Liz vi guardò dentro di sfuggita… E
si fermò.
Seduto
accanto al letto del giovane c’era un uomo piuttosto
anziano. Gli teneva una mano rugosa sul braccio, e Harry lo guardava
dritto in faccia.
Anche
a quella distanza, Liz riusciva a vedere che gli occhi del
ragazzo erano lucidi, le sue labbra serrate.
Aveva
l’espressione di chi ha un enorme groppo in gola, e Liz
distolse lo sguardo con discrezione, improvvisamente turbata.
Sbatté
le palpebre, si passò automaticamente una
mano tra i capelli. Dopodiché, senza sapere bene cosa
pensare, riprese a camminare.
Distratta,
si diresse all’accettazione, dove
un’altra infermiera la aspettava perché lei le
desse il cambio.
Circa
mezz’ora dopo, mentre stava facendo firmare dei moduli
per la dimissione di una ragazzina, vide passare l’uomo che
aveva visto nella stanza di Harry.
Lo
seguì con lo sguardo, almeno sinché la voce
dell’uomo che aveva davanti non la riportò alla
realtà: «Scusi, signorina, devo firmare da qualche
altra parte?»
Liz
abbassò gli occhi, puntando il dito
sull’angolo del foglio. «Solo qui, poi ha
finito» rispose, accennando un sorriso incoraggiante.
«E
potrò portare mia figlia a casa»
concluse in un brontolio il suo interlocutore.
«Già»
confermò Liz, senza
abbandonare la propria espressione cortese.
Di
lì a poco, tornò la sua collega, e la ragazza
poté andare a controllare la fasciatura di Harry Osborn.
«È
tutto a posto» asserì,
accennando un sorriso.
Quando
aveva letto la cartella clinica del giovane per controllare che
non fosse allergico ad alcun farmaco, aveva visto che lui era stato
ricoverato già due volte, in quel periodo: la prima in
seguito a un incidente stradale, la seconda dopo quello casalingo che
l’aveva sfigurato.
“Dev’essere
davvero un brutto momento, per
lui” le venne da pensare, con una fitta di pietà,
e fu assalita dal desiderio di riuscire ad aiutarlo, in qualche modo.
«Grazie»
disse Harry Osborn, inconsapevole di
quello che le passava per la testa.
Liz
si riscosse dai propri pensieri e scrollò le spalle.
«È il mio lavoro». Tacque un attimo,
pensosa, poi azzardò: «Ho visto che hai avuto
visite. Quell’uomo era tuo padre?»
Harry
sembrò sorpreso. Per un attimo, si rabbuiò
e distolse lo sguardo, ma poi riportò gli occhi sulla
ragazza. «No… Era il mio maggiordomo, Bernard. Mio
padre è morto».
Liz
ammutolì. «Mi dispiace» si
scusò. E poi si diede della stupida: il ragazzo aveva
affermato che la direzione della OsCorp era
un’eredità paterna… Più
chiaro di così! «E praticamente me l’hai
anche già detto… Sono
un’idiota».
«Macché»
replicò Harry,
«non fa niente. Ormai è passato tanto
tempo…»
Liz
sorrise con aria imbarazzata, e il ragazzo notò solo in
quel momento che lei aveva gli occhi azzurri.
Di
colpo, capì di non volere che la ragazza se ne andasse.
Quasi
non la conosceva, ma nel suo stato debilitato, il suo animo
anelava disperatamente a un po’ di sicurezza. E anche se lui
non se ne rendeva conto, nel momento in cui aveva visto che Liz era
competente e in grado di occuparsi di lui, in un certo senso gli era
venuto istintivo affidarsi alla ragazza.
La
visita di Bernard l’aveva un po’ rincuorato, ma
non aveva cancellato del tutto la sua inquietudine.
Ora
come ora, Harry temeva il momento in cui sarebbe stato solo, ed era
una paura che superava persino il disagio di avere gli occhi di una
quasi sconosciuta puntati sul viso.
«Allora»
esordì, in tutta fretta,
dicendo la prima cosa che gli venne in mente, «hai detto che
alle medie rendevi la vita di Peter un inferno…»
Liz
lo guardò, stupita. «Be’,
sì. E non è che ci sia molto da aggiungere: non
ero per niente gentile, e figuriamoci se trovavo pazienza per lui. Era
così goffo!
Adesso è cambiato molto,
vero?»
“Non
immagini quanto” pensò Harry, ma si
limitò a rispondere: «Direi».
La
ragazza lo guardò con un lieve sorriso. Un sorriso che al
giovane parve quasi comprensivo.
«Tu
invece eri al liceo con loro, giusto?»
Harry
annuì. «Gli ultimi anni. Prima mio padre
aveva cercato di farmi frequentare alcuni istituti privati».
Al
pensiero di suo padre, provò la sensazione di essere sul
punto di soffocare.
Fortunatamente,
la voce di Liz lo distrasse. «E come mai, se
posso chiedere, sei poi passato alla scuola pubblica?»
Harry
sentì un’ondata di gratitudine nei suoi
confronti. «Perché non c’è
stato un istituto privato dal quale non mi abbiano cacciato».
Liz
rise brevemente. Era
in servizio da un’eternità, ma improvvisamente
si sentì rilassata, quasi spensierata. Da quanto tempo non
scambiava quattro chiacchiere con un suo coetaneo? Per di
più, Harry aveva avuto qualche esperienza simile alle
sue…
«Oh,
mi sarei dovuta far cacciare
anch’io» sospirò la ragazza, quasi con
rimpianto.
Harry
corrugò la fronte. «Non eri brava?»
«No,
no, la ero abbastanza» replicò lei.
«È solo che, lo sai, l’ambiente
dell’istituto privato in cui sono stata non era il
massimo… Avevano tutti una gran puzza sotto il naso, me
compresa! Forse, se fossi stata a una scuola pubblica, sarei uscita dal
mio bozzolo un po’ prima».
Rendendosi
conto di aver iniziato a concentrare il dialogo su di
sé, si affrettò a rivolgere un’altra
domanda a Harry: «Mi sbaglio, o al Midtown c’era
anche Flash Thompson?»
Il
giovane la guardò. «Lo conosci?»
Lei
annuì. «Eccome! Alle medie mi ero fidanzata
con lui… Sempre che di fidanzamento si possa parlare a
quell’età…»
Harry
ne fu molto sorpreso. Liz gli sembrava una ragazza gentile, non
il tipo che si metteva insieme ad un simile energumeno…
D’altro canto, Mary Jane era splendida, e anche lei era stata
la ragazza di Flash Thompson. Senza contare che Liz aveva detto
chiaramente che ai tempi delle medie era molto diversa…
La
ragazza notò la sua espressione. «Non ti stava
simpatico, vero?»
«Non
tanto» rispose Harry, senza sbilanciarsi.
Flash
Thompson era stato il vero tormento suo e di Peter, al
liceo… Però, dopo tutto quello che gli era
successo in seguito, dopo tutti i mostri che aveva visto –
anche dentro se stesso –, quel ragazzo gli sembrava un
agnellino.
«Posso
capire» mormorò Liz, laconica.
Harry
la guardò, senza dirle quanto trovava strano
chiacchierare di quelle banalità.
«All’ultimo anno di liceo si è fidanzato
con MJ».
«In
effetti gli è sempre piaciuta»
commentò la ragazza, in tono neutro. «Spero tanto
che sia stata lei a mollarlo».
«È
stata lei» confermò Harry,
lasciandosi scappare un sorriso.
Non
era abituato ad ascoltarle dei pettegolezzi, tantomeno a riferirli,
ma quella conversazione lo divertiva.
O
forse era solo che preferiva concentrarsi su quelle cose, piuttosto
che sui pensieri che si aggiravano per la sua testa.
Fosse
come fosse, in quel momento si sentiva genuinamente grato del
fatto che Liz fosse lì.
Spazio dell’Autrice:
Amate Bernard, è un ordine ♥
Okay, scusatemi, ma sembra che io abbia un debole per i maggiordomi XD
Vogliamo parlare della mia venerazione per Alfred in Batman? O per
Watari in Death Note?
Comunque sia, grazie mille a chi ha recensito, a TheRainbowSideOfComics
che ha aggiunto la storia alle preferite, e ad Angyp,
Enide
e ErinThe
che l’hanno messa tra le seguite. Grazie anche a chi ha letto
e basta, naturalmente.
A proposito di questo capitolo… Al liceo, nei fumetti,
è Liz la ragazza di Flash Thompson (anche se non sembra una
cosa molto seria: se non ricordo male, in un numero
c’è questo scambio di battute tra Flash e Peter:
“Liz è la mia ragazza”,
“Davvero? Peccato che lei non la pensi
così”, o qualcosa del genere).
Ah, una curiosità riguardo la data di oggi: è
l’anniversario del matrimonio di Ottaviano con
Livia… Mentre il 16 gennaio, ossia la data in cui ho
pubblicato il primo capitolo, era l’anniversario del giorno
in cui a Ottaviano è stato conferito il titolo di Augusto.
Ma in effetti non c’entra un cavolo, e probabilmente non
interessa a nessuno, quindi…
Per il prossimo aggiornamento, vi do appuntamento al 6 di febbraio :D
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Capitolo 4 *** Scuse e proposte ***
Capitolo
04 – Scuse e proposte
Il
menù dell’ospedale era incredibilmente
monotono: minestrine acquose e purè farinosi a tutto andare.
Già
dopo tre giorni, Harry non ne poteva più.
D’accordo,
una volta gli diedero anche carne arrosto, ma
tagliata sottile sottile, e dalla consistenza quasi gommosa –
senza contare il sugo viscido e pieno di grumi.
Come
si aspettavano che recuperasse le forze, se mangiava solo quelle
schifezze insapori?
Harry
avrebbe dato la vita, per Peter, ma quando l’amico
venne a trovarlo e si lamentò del fatto di aver mangiato
pizza fredda per due giorni di fila, lo avrebbe strangolato. Almeno la
pizza sapeva di qualcosa, e un pizzico di energia lo dava.
E
lui scalpitava, poiché l’inattività
lo lasciava in balia delle sue riflessioni più cupe.
Già
era sfibrante dover avere gli incubi ogni volta che si
appisolava… Almeno nelle ore diurne avrebbe voluto
allontanare quei pensieri infausti.
Poi,
finalmente, il suo medico lo autorizzò a spostarsi per
l’edificio, accordandogli anche il permesso di fare una
capatina al bar dell’ospedale.
Così,
Harry scese di un piano in ascensore, andando a
comprare un bel pezzo di focaccia.
Non
si trattenne a lungo – le altre persone lì al
bar gli lanciavano fin troppe occhiate, per i suoi gusti – e
quando ebbe finito di mangiare si apprestò a tornare alla
sua stanza.
Purtroppo
per lui, lo aspettava una brutta sorpresa: già
nove persone erano in attesa dell’ascensore.
Siccome
non aveva alcuna voglia di ricoprire il ruolo della sardina,
Harry decise di usare le scale.
Dopotutto,
erano due rampe soltanto.
Disgraziatamente,
la testa iniziò a girargli già
a metà della prima.
Col
fiato pesante, Harry si appoggiò al muro, poi strinse i
denti e riprese la salita.
Quando
arrivò in cima, aveva la fronte imperlata di sudore,
e si rese conto di non essere più in grado di continuare.
La
vista gli si annebbiò, e il giovane
indietreggiò barcollando sino a toccare la parete con la
schiena… E si lasciò scivolare finché
non ebbe il sedere a terra, tenendo il viso rivolto verso
l’alto nel tentativo di respirare meglio.
«Harry?
Harry!»
Doveva
essere svenuto, poiché quando riaprì gli
occhi si ritrovò a guardare la faccia di Liz, e non
l’aveva sentita avvicinarsi.
La
ragazza gli teneva una mano sulla spalla, e sembrava preoccupata.
Il
giovane cercò di riscuotersi, mentre lei gli sollevava il
braccio per sentirgli il polso.
Gli
pulsavano le tempie, e macchie fosforescenti esplodevano davanti ai
suoi occhi… A stento si accorse dell’infermiere
corpulento che lo prendeva da sotto le ascelle e lo sollevava con
qualche sforzo, mettendolo su una sedia a rotelle.
Quando
si riebbe davvero, era di nuovo nel proprio letto, e Liz gli
stava misurando la pressione. Vedendo
il risultato, la ragazza fece una smorfia.
«Be’?»
domandò Harry.
Lei
lo guardò, poi scrollò le spalle.
«Hai la pressione bassissima e un po’ di
tachicardia… Niente di grave, comunque».
«Meglio»
azzardò Harry, lisciando le
coperte con una mano.
«Può
darsi» replicò Liz.
«Se posso chiedere, cos’hai fatto per ridurti
così? Jogging nei corridoi
dell’ospedale?»
Il
giovane scosse la testa. «No, ma ho deciso di fare le
scale… Una mossa altrettanto furba, probabilmente».
«Probabilmente»
concordò Liz, caustica.
«L’ascensore era troppo lento?»
Harry
si sorprese nel sentire il suo tono, quindi accennò un
sorriso di scuse. «Ho imparato dal mio errore, va bene? Non
lo farò più».
La
ragazza gli diede un’occhiata critica. «Farai
meglio a mantenere la promessa, se vuoi uscire di qui al più
presto».
Poi
sospirò, e prese la cartella dai piedi del letto di
Harry. Si accomodò sulla sedia con le gambe accavallate e,
tenendo il dossier sulle ginocchia, prese a scribacchiare qualcosa in
una pagina, mentre Harry osservava il soffitto.
Ormai
lo conosceva a menadito.
Quando
il grattare della penna si interruppe, il giovane
abbassò lo sguardo su Liz… Lei era immersa in
chissà quali pensieri, e aveva la fronte aggrottata. Si
riscosse quasi subito e si alzò in piedi.
«Vado
a dire al dottor Reed che ti sei ripreso»
affermò. Un momento prima di uscire dalla stanza,
tornò a girarsi verso Harry. «Comunque. Se ti
capitasse di nuovo di rischiare uno svenimento, quando sarai fuori di
qui… Mangia qualcosa di salato. E bevi, per
reidratarti».
Poi,
senza nemmeno aspettare una risposta, se ne andò con la
cartella sotto braccio. Rimasto
solo, Harry guardò il muro e sospirò.
Peter
era all’università.
Il
dottor Connors stava facendo lezione, ma il giovane trovava
piuttosto difficile concentrarsi.
Da
una parte, era preoccupato per Harry. Dall’altra, non
riusciva a smettere di fissare la schiena rigida di Gwen Stacy, e il
senso di colpa non gli dava tregua.
Ormai,
aveva chiesto perdono a Mary Jane, ma non aveva ancora avuto
occasione di scusarsi con la sua compagna di corso. Ripensando
alla sua espressione ferita, aprì nervosamente le
mani.
Finalmente,
la lezione si concluse, e Peter si alzò svelto
dal banco, andando a bloccare la strada alla ragazza prima che lei
potesse uscire dall’aula. «Gwen!»
Lei
trasalì nel ritrovarselo davanti, poi strinse i libri
contro il proprio petto e puntò gli occhi sul pavimento. «Fammi
passare, Peter» disse, con voce tremula.
Cercò
di superarlo, ma lui la fermò. «No,
aspetta… Senti, volevo solo dirti che mi
dispiace».
La
ragazza alzò gli occhi. «Ti
dispiace?» ripeté.
Peter
annuì, con la gola secca per la vergogna.
«Sì, sai, per… averti usata…
in quel modo».
Gwen
si morse il labbro. «Capisco» disse, e lo
superò senza aggiungere altro.
Il
giovane la seguì con lo sguardo, un po’ deluso,
e impiegò qualche istante prima di rendersi conto che il
dottor Connors lo stava chiamando.
«Parker?
Vorrei chiederti una cosa, se non ti
dispiace».
Un
po’ depresso, Peter si avvicinò alla cattedra.
«Sì, professore?»
L’uomo
gettò un’occhiata alla propria
valigetta, poi riportò lo sguardo sul suo studente. «Tu…
sei amico di Harry Osborn, giusto? Il
direttore della OsCorp».
Peter
sbatté le palpebre, interdetto.
«Ehm… Sì» rispose quindi.
Connors
si lisciò nervosamente la lunga giacca con la mano
sinistra. L’unica che avesse, del resto, poiché
aveva perso il braccio destro in un incidente.
«Già,
Otto Octavius me l’aveva
accennato» mormorò poi, rabbuiandosi al ricordo
della fine del collega. «È stato Osborn a
presentarvi, giusto?»
«Sì,
professore» confermò
Peter, che stava ancora cercando di capire dove l’uomo
volesse arrivare.
«Ecco…
Mi dispiace chiedertelo… Ma
credi che saresti in grado di organizzarmi un incontro con
lui?»
Peter
lo fissò, preso alla sprovvista.
«Io…»
«C’è
un esperimento su cui sto
lavorando» aggiunse Connors, in tono quasi nervoso.
«Molto interessante, molto promettente… Ma mi
servirebbero dei fondi».
Peter
scoccò un’occhiata incuriosita alla
valigetta dell’uomo, come se così potesse vedere i
progetti di Connors.
«Glielo
chiederò» disse infine.
«Ma non so quando sarà in grado di riceverla,
adesso è ricoverato in ospedale».
Connors
aggrottò la fronte. «Mi dispiace. Non ne
sapevo nulla».
«I
medici dicono che si riprenderà»
replicò Peter, con una scrollata di spalle. «Le
farò sapere, comunque».
“Ma
non prima che lo dimettano” aggiunse tra
sé e sé. Harry era già smanioso a
sufficienza.
L’uomo
sorrise. «Ti ringrazio, Peter. Questa
ricerca significa molto, per me».
Quella
sera, il giovane fece un salto al jazz club.
Anche
con la divisa da cameriera e i capelli fulvi arruffati, Mary Jane
era splendida. Quando
lo vide, gli sorrise, e Peter le fece cenno con la mano.
Poi
la ragazza si avvicinò al suo tavolo, chinandosi a
baciarlo su una guancia.
«Ehi»
lo salutò, sedendosi di fronte a
lui.
«Ehi»
replicò Peter, sorridendo.
«Sei
stato a trovare Harry?»
Il
giovane annuì. «Sì, e gli ho anche
portato una bella scatola di biscotti preparati da zia May».
Mary
Jane si concesse un sorriso. «Lui come sta?»
«Credo
bene» rispose Peter, accigliandosi appena.
«Ti saluta. E mentre uscivo ho incrociato Liz
Allen… Ti saluta anche lei».
«Bene,
grazie».
A
quel punto, Peter notò che la ragazza teneva gli occhi
bassi e giocherellava nervosamente con l’orlo della sua
camicia. «MJ?»
chiamò, cautamente.
«C’è qualcosa che non va? Riguarda
quello che ti ho raccontato su… Norman Osborn?»
Lei
lo guardò. «Cosa? No».
D’impulso,
si allungò sul tavolo per prendere le
mani di Peter tra le proprie.
«Davvero,
Peter. Ammetto che sapere che il padre di
Harry…» Le mancò la voce, poi lei
scosse la testa e dichiarò, senza finire la frase:
«Però sto bene».
«Allora
qual è il problema?» insistette
Peter. «Perché un problema
c’è, non dire di no».
Mary
Jane si strinse nelle spalle.
«È
a causa mia?» aggiunse allora il
giovane. «Mi dispiace davvero per quello che ti ho fatto
passare… Per Gwen e tutto il resto».
Mary
Jane, però, scosse la testa e gli posò le
dita sulle labbra. «Credevo che questo argomento fosse
chiuso».
«Sì,
ma…» iniziò
Peter.
«Ne
abbiamo già parlato» lo interruppe
lei. «E io ho deciso che voglio andare avanti. Con
te».
Il
giovane la fissò in silenzio per qualche istante, poi
abbozzò un sorriso. «Sei
proprio sicura?» indagò.
«Non è il massimo della compagnia».
«Credo
di essere abbastanza grande per scegliere i miei
amici, tigre» ribatté Mary Jane, scrollando la
chioma rossa. «È solo che… È
l’anello che mi hai fatto vedere sul ponte, nel
parco». Si fermò un istante, prima di confessare:
«Non riesco a togliermelo dalla testa».
«Oh».
Ricordando il suo goffo tentativo di una
proposta e le lacrime versate a Central Park, Peter sentì
che il calore gli saliva al volto.
«Davvero
volevi chiedermi di sposarti?» aggiunse
Mary Jane.
«Io…»
Di colpo, il giovane si
sentì goffo come prima di essere morso da un ragno
geneticamente modificato. «Sì».
Stavolta
fu il turno della ragazza, di arrossire.
«E
poi?» chiese, in tono cauto. «Cosa ti
ha fatto cambiare idea?»
«Io
non ho cambiato idea» rispose il giovane,
nervosamente. «Solo che… Mia zia May mi aveva
detto che un uomo dev’essere in grado di pensare alla moglie
prima che a se stesso… E dopo quel che ti ho fatto,
onestamente… Io ne sono in grado?»
Mary
Jane si raddrizzò e lo guardò in faccia.
«Non lo so» replicò, serissima.
«Ne sei in grado?»
Peter
la fissò. «Io…»
Per
un lungo attimo, non seppe come rispondere.
Poi,
però, il viso di Mary Jane – quel viso che
già all’età di sei anni gli era parso
degno di una creatura angelica – gli mosse qualcosa dentro.
Era
vero: aveva sbagliato e le aveva fatto del male.
Si
erano fatti del male a vicenda, e poi erano successe tante di quelle
cose… Harry era quasi morto, e loro non avevano trovato
altro appoggio che l’uno nell’altra.
E
Peter seppe, con assoluta sicurezza, di aver imparato dai suoi errori.
«Sì»
sussurrò. «Ne
sono in grado».
Il
viso di Mary Jane si fece radioso, e lei gli saltò al
collo. «Sì!» gridò.
«Sì?»
ripeté Peter, con voce
soffocata. «Sì cosa?»
Lei
si scostò e lo guardò negli occhi, ridendo.
«Sì ti voglio sposare, sciocco!»
Ci
vollero almeno dieci secondi, affinché Peter ricordasse
di dover respirare.
Spazio dell’Autrice:
Buondì!
Solo un paio di cose (stranamente attinenti al capitolo XD):
1) il suggerimento di Liz, di mangiare qualcosa di salato e bere molto,
è lo stesso che mi aveva dato un medico un bel po’
di tempo fa come rimedio alla pressione bassa u.u
2) spero ricordiate Curt Connors, il professore di Peter
all’università. In Spider-Man 2 definisce Otto
Octavius un suo amico…
3) Peter e Mary Jane ♥
Nah, niente, solo una
curiosità: nel fumetto, la prima volta che Peter chiede ad
MJ di sposarlo, lei risponde di no :D Ma dopotutto, la Mary Jane dei
film di Raimi è piuttosto diversa da quella del
fumetto… Quindi spero che il suo
“sì” alla proposta del ragazzo non
sembri troppo affrettato o che so io ^^
4) GRAZIE
a tutti voi che mi seguite :’)
5) il prossimo aggiornamento sarà mercoledì
prossimo (il 13 febbraio).
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Capitolo 5 *** Un paio di novità ***
Capitolo 05 – Un paio di
novità
Quando Harry venne dimesso
dall’ospedale, la prima cosa che
fece fu indire una riunione d’urgenza alla OsCorp.
Il
convegno si tenne nel solito posto: una sala ampia, con una parete
interamente occupata da vetrate che lasciavano entrare la luce del
sole… Il tavolo era di un legno scuro, attentamente levigato.
Erano
secoli che Harry non vedeva i membri del consiglio, e si
sentì fastidiosamente esposto ai loro sguardi.
La
sua esperienza nel mondo degli affari, però, per quanto
relativamente breve, gli aveva insegnato a indossare una maschera di
impassibilità e cortesia, e recuperarla non fu affatto
difficile.
Dopo
un doveroso scambio di convenevoli, durante il quale loro
espressero il loro sollievo per il fatto che lui stesse bene e il
giovane li ringraziò per quella premura, passarono ad
argomenti che premevano molto di più a tutti quanti.
Per
farla breve, discussero delle misure opportune a salvare
l’azienda.
Harry
lasciò che fossero gli altri a parlare per primi: per
quanto lui fosse il presidente, loro erano tutti più anziani
di lui… E alcuni erano veri e propri squali: se non voleva
avere noie, doveva mostrare sempre il più grande rispetto.
Così
espose la propria proposta solo alla fine, dopo aver
educatamente ascoltato il parere degli altri membri.
«Io
penso che, tra le altre cose, dovremmo riaprire il
reparto dei progetti speciali».
La
sala fu immediatamente percorsa da mille bisbigli, e molti volti
assunsero un’espressione preoccupata.
Harry
lo capiva. L’ultima
volta, proprio quel reparto aveva rischiato di far
fallire l’azienda, quando avevano puntato tutto sulla
riuscita dell’esperimento del dottor Octavius.
E
ancora prima, ai tempi di suo padre – quel pensiero gli
fece provare una stretta allo stomaco – c’era stato
l’incidente dell’aliante.
Sebbene
non se ne fosse parlato, tutti i membri del nuovo consiglio
sapevano che il Goblin che aveva assassinato quelli del precedente
aveva cavalcato lo stesso aliante progettato e ultimato dalla OsCorp.
«So
che molti di voi hanno forti dubbi» riprese il
giovane, quando l’agitazione si placò almeno in
parte, «e so che le scorse esperienze sono state fallimentari
e tutt’altro che incoraggianti. Ma credo anche che questo
reparto, sin dalla sua nascita per mano di mio padre»
– un’altra stretta, stavolta un po’
più in alto – «sia stato uno dei
più innovativi e, soprattutto, che si sia posto obiettivi
più che utili al fine di migliorare la vita delle persone.
Il siero per l’incremento di prestazioni, la fonte
d’energia basata sulla fusione…»
«Mi
scusi, Mr. Osborn, ma stiamo parlando di progetti davvero
fallimentari» obiettò un uomo. «Otto
Octavius non si è rivelato all’altezza delle
nostre aspettative, ed era lo scienziato più eminente nel
suo campo, e in quanto al siero… Be’, non so
neanche se è necessario parlarne…»
«Ha
ragione» concesse Harry, «ma io
ritengo che come settore abbia un potenziale incredibile. I progetti
riusciti – perché non ci sono stati solo il siero
e Otto Octavius, ricordatelo – hanno portato un profitto
enorme».
Per
sottolineare le proprie parole, fece scivolare una cartellina lungo
il piano del tavolo.
«Per
chiunque volesse controllare le cifre, sono qui
dentro».
L’uomo
più vicino a Harry tese una mano e prese la
cartella, accigliato.
Il
giovane lo osservò di sottecchi, e alla fine
l’altro sollevò la testa con riluttanza. «Potrebbe
essere un’idea valida» ammise,
passando la cartella al collega che gli era seduto accanto.
Poco
per volta, tutti i membri del consiglio presero visione dei dati,
e infine uno di loro si rivolse ad Harry.
«Bene,
Mr. Osborn» disse, «non ha tutti i
torti a volere che quel settore continui ad essere
finanziato». Sospirò. «Non appena ci
sarà un progetto sul quale lavorare, naturalmente».
Harry
gli rivolse un cenno del capo, riprendendo la cartella.
«Ci sono sempre progetti sui quali lavorare»
assicurò.
Non
lo disse, ma lui una mezza idea ce l’aveva già.
Da
alcune chiacchiere scambiate con Liz quand’era in
ospedale, infatti, aveva capito una cosa, ovvero che la sua guarigione
era stata in qualche modo straordinaria. A sentire la ragazza, al
chirurgo era sembrato che alcune ferite si fossero rimarginate in
maniera anomala.
Harry
ci aveva pensato su, e aveva concluso che ad averlo salvato
dovevano essere stati alcuni elementi curativi contenuti nella formula
di Goblin.
Se
era così, perché non cercare di ottenere
qualcosa di buono da quel siero, tanto per cambiare?
Harry
sapeva che convincere il consiglio a ritornare su quel fiasco di
progetto sarebbe stato difficile… E sapeva anche –
fin troppo bene – che il siero possedeva proprietà
tutt’altro che positive.
Avrebbe
dovuto lavorare sulla formula, migliorarla, e poi presentarla
in consiglio con un altro nome.
Sì,
avrebbe funzionato, si disse, con un’ondata di
ottimismo.
A
quel punto, però, pensò bene di concludere la
riunione, poiché cominciava a sentirsi davvero esausto.
Quando
entrò in casa, aveva il fiato corto e la testa gli
girava.
Bernard,
preoccupato, lo aiutò a sedersi su una poltrona,
poi chiese: «Vuole che chiami un’ambulanza,
signore?»
Harry
strinse i denti. «No» rifiutò.
Erano
passati soltanto due giorni da quando era uscito
dall’ospedale… L’ultima cosa che voleva
era rientrarci così presto.
Memore
del consiglio datogli da Liz, si rivolse al maggiordomo:
«Potresti portarmi del pane e del prosciutto crudo? E magari
un bel bicchiere d’acqua…»
Bernard
gli scoccò un’occhiata apprensiva, ma
uscì dalla stanza, e dopo poco fu di ritorno con quanto
Harry aveva richiesto.
Il
giovane lo gratificò con un sorriso, allungandosi a
prendere il panino. Ne
strappò un gran morso, poi buttò
giù un bel sorso d’acqua, e gli parve di sentirsi
subito un po’ meglio.
Appena
in tempo, d’altronde, perché poco dopo si
udì il suono del citofono.
«Questi
devono essere Peter e Mary Jane»
commentò Harry. «Bernard, ti dispiace andare ad
aprirgli? Ah, e non dire niente del mio quasi malore… Peter
è un po’ paranoico».
Il
vecchio maggiordomo scosse la testa, ma poi rispose: «Come
desidera, signore».
Harry
gli sorrise, e Bernard uscì in corridoio.
Nell’attesa,
il giovane ne approfittò per tornare
ad accanirsi su pane e prosciutto… Quand’ecco che
il maggiordomo fu di ritorno, accompagnato da Peter e Mary Jane.
«Ehi»
li salutò Harry, con un gran
sorriso.
«Ehi»
replicò Peter, allungandogli un
pugno cameratesco sulla spalla. «Come te la passi?»
«È
bello vederti fuori
dall’ospedale!» aggiunse Mary Jane.
Harry
annuì. «È un ottimo
cambiamento» concordò.
Il
suo sorriso, però, vacillò davanti
all’occhiata che si scambiarono i due.
«Che
succede?» chiese, aggrottando la fronte.
«Devo preoccuparmi?»
«No,
certo che no!» esclamò Peter,
precipitosamente. «Abbiamo solo una cosa da dirti».
A
dirla tutta, un po’ trepidava al pensiero di dire a Harry
del loro fidanzamento. Dopotutto, conosceva bene i sentimenti che
l’amico aveva provato (o ancora provava?) verso MJ.
Allo
stesso tempo, però, l’idea di tenere la bocca
chiusa gli sembrava peggiore. Già
una volta aveva cercato di nascondergli la
verità per proteggerlo, e decisamente non era finita bene.
Okay,
forse c’era una bella differenza tra il dovergli dire
che suo padre era un assassino e l’annunciargli le sue future
nozze, ma non era quello il punto.
Non
voleva più mentirgli, né omettere parte della
verità.
Mary
Jane prese l’iniziativa, annunciando:
«Indovina un po’? Peter mi ha chiesto di
sposarlo».
Mentre
lo diceva, non poté fare a meno di sorridere con aria
raggiante.
Harry
li fissò. «E
tu gli hai tirato qualcosa in testa, spero».
Preso
alla sprovvista da quella battuta, Peter non poté fare
a meno di protestare in tono urtato: «Ehi!»
Harry,
però, gli rivolse un sorriso. «Calma, Pete,
sto scherzando…» Tornò a guardare Mary
Jane e si finse preoccupato. «Non gli hai tirato qualcosa in testa,
vero?»
Lei
rise. «Ovvio che no!»
«Bene,
perché ho proprio bisogno di un
po’ di svago» approvò Harry.
«E da quel che ne so, i matrimoni ne offrono molto».
«Svago?»
domandò Peter. «Ti
sbagli, Harry, dovrai lavorare sodo…»
Il
giovane aggrottò la fronte. Era l’ultima cosa
che si aspettava di sentire dalla bocca di Peter – Peter, che
probabilmente avrebbe voluto mettergli una camicia di forza per
costringerlo a starsene buono.
«In
che senso, scusa?»
Peter
scambiò un’occhiata con Mary Jane, poi
tornò a guardare l’amico con un gran sorriso. «Non
dirmi che non ti aspettavi che ti chiedessimo di fare da
testimone!»
Harry
li guardò, sbalordito. In effetti, non ci aveva
minimamente pensato.
«O…
Okay» disse alla fine. Si
rianimò. «E potrei anche essere un ottimo padrino
per i marmocchi che verranno».
Peter
alzò gli occhi al cielo. «Ora non
esagerare» borbottò.
Harry
e Mary Jane scoppiarono a ridere.
Il
giovane Osborn non abbandonò il proprio sorriso, ma se
doveva essere onesto sentiva un dolore sordo sul fondo dello stomaco.
Non
era scemo. Ormai,
aveva capito che Peter e Mary Jane erano fatti l’uno
per l’altra.
Era
sufficiente guardare come lei si illuminava quando posava gli occhi
su Peter – Harry non era mai stato guardato in quel modo, mai.
Ora,
mettersi tra loro era l’ultima delle sue intenzioni, ed
era sollevato di non aver causato danni irreparabili,
però… Però, vedere il loro legame che
si fortificava sempre di più… Gli faceva
percepire in modo più acuto la propria solitudine.
Si
sentiva un egoista, ma non poteva evitarlo.
«Ah,
ti va un pic-nic a Central Park, domani?»
propose Peter. «MJ ha chiamato anche Liz
Allen…»
Harry
inarcò un sopracciglio. «Credevo foste
venuti per invitarmi a un matrimonio».
L’amico
arrossì.
«Be’» balbettò, «non
abbiamo ancora deciso la data».
Quindi
parlare delle nozze lo innervosiva. Interessante.
Harry
sorrise ironicamente. «MJ, vedi di insistere su questo
punto. Se lasci tutto nelle mani del nostro tessiragnatele, vi
sposerete nel mese del poi dell’anno del mai».
Mary
Jane guardò Peter, trattenendo una risata.
«Oh, insisterò eccome! Stanne pur certo!»
Spazio dell’Autrice:
Altra carne sul fuoco! Alè! *va a sbattere la testa contro
il muro più vicino*
Dunque, che dire?
Spero che la riunione non sia sembrata una cosa
patetica/inverosimile…
1) Riguardo gli elementi curativi contenuti nella formula di
Goblin che
potrebbero esser stati la causa della “guarigione
miracolosa” di Harry… Ho preso spunto dal fumetto.
Nel fumetto, infatti, Norman Osborn sopravvive dopo essere stato
impalato dal suo stesso aliante… e il merito (o la colpa?)
di ciò viene attribuito appunto ai suddetti elementi
curativi.
2) Nel fumetto, il testimone di nozze di Peter e Mary Jane
è… Flash Thompson! ZAZAZAZAN!
Ma
nell’ambito del movie!verse non mi pareva molto
plausibile…
3) Se avete sentito la mancanza di Liz (sono una povera illusa XD), non
temete! Tornerà nel prossimo capitolo!
In ogni modo, ringrazio ancora tutti quelli che recensiscono,
preferiscono, seguono o anche solo leggono questa storia!
E vi do appuntamento a mercoledì 20 febbraio
;)
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Capitolo 6 *** Quattro amici in Central Park ***
Capitolo 06 – Quattro amici
in Central Park
Central Park era una verde e assolata
culla di pace.
Peter
e Mary Jane avevano scelto bene il punto in cui stendere il telo
per il pic-nic: in un prato tranquillo, nei pressi di un vecchio
cipresso.
Giunto
per ultimo, Harry rivolse agli amici un cenno del capo. Liz lo
salutò al pari degli altri, e per il giovane fu un pugno
nello stomaco.
Fino
a quel momento, nella sua testa, Liz era stata legata unicamente
all’ambiente ospedaliero, e lui l’aveva considerata
solo come un’infermiera, come se non potesse essere
nient’altro.
Ma
lì, alla luce del sole, gli parve di rendersi
improvvisamente conto che era anche una ragazza.
Una
bella
ragazza, per di più.
Fu
un po’ a fatica che distolse lo sguardo da lei,
spostandolo su Mary Jane.
Più
radiosa che mai, la ragazza stava dicendo
all’amica delle future nozze. Dapprima, Liz fissò
Peter con aria sbalordita, ma poi il ragazzo protestò:
«Mi raccomando, non essere troppo entusiasta», e
lei sorrise e si congratulò con loro.
Quando
si accorse che Harry la stava osservando, gli rivolse un sorriso
imbarazzato, imponendosi di non fissarlo.
Era
inutile negarlo: quel giovane la incuriosiva.
Lei
ricordava bene le chiacchiere che avevano scambiato in ospedale:
Harry si era sempre mostrato distaccato, un po’ indifferente,
quasi se ne fregasse altamente di tutto ciò che gli era
successo.
Eppure,
Liz non riusciva a togliersi dalla testa
l’espressione che gli aveva visto in volto durante la visita
di Bernard… Quelle labbra serrate, quegli occhi pieni di
disperazione.
Era
più forte di lei. Avrebbe voluto capirne il
perché.
«Ah,
Harry, senti» disse Peter. «Il mio
professore… sai, il dottor Connors… mi ha detto
che vorrebbe incontrarti, proporti un progetto per la
OsCorp…»
Harry
sembrò stupito.
«D’accordo» accettò poi,
scrollando le spalle. «Fammi solo controllare la mia agenda
per vedere quando sono libero…»
Peter
alzò gli occhi al cielo. «Ma se non sei
nemmeno tornato al… Aspetta. Non sei tornato al
lavoro,
vero?»
«Certo
che no» si affrettò a dire Harry.
Una parte di lui si sentì in colpa per quella bugia, ma che
altro poteva fare? Sentiva che, se si fosse concesso una pausa, sarebbe
impazzito… E non voleva che Peter si preoccupasse
ulteriormente. «Va bene, digli che lo incontrerò
con molto piacere».
Accanto
a loro, intanto, le ragazze portavano avanti una conversazione
completamente diversa.
«I
tuoi come stanno?» stava domandando Liz a Mary
Jane. «Tuo padre è sempre…?»
La
ragazza dai capelli fulvi annuì. «Lo
è sempre» confermò. «E mia
madre non si è ancora decisa a lasciarlo. Comunque io me la
passo meglio, adesso che vivo per conto mio…»
Scrollò il capo. «E dei tuoi genitori cosa mi
dici? Come stanno?»
La
ragazza bionda fece un gesto vago. «Mah… Bene,
penso».
«Prego?»
domandò Mary Jane, sorpresa.
Era
sempre stata lei, ad aver problemi con i suoi – con suo
padre, a dire il vero. Da quel che ricordava, Liz era sempre andata
d’amore e d’accordo con i propri genitori.
«Be’,
non li vedo da un po’»
spiegò Liz, pizzicando il telone da pic-nic.
«Diciamo che abbiamo litigato…»
«Oh».
Peter
e Harry si fissarono, facendo finta di niente, ma entrambi
stavano ascoltando la conversazione delle due ragazze.
Evidentemente,
Mary Jane non intendeva impicciarsi, ma Liz le
spiegò lo stesso la situazione: «Quando ho detto
che volevo fare l’infermiera, è scoppiato il
finimondo. Non ne volevano proprio sapere. Così ho tagliato
i ponti con loro».
Probabilmente
Harry era l’emblema del fatto che le relazioni
padri e figli non erano sempre rose e fiori, ma quel racconto gli
sembrò un po’ assurdo. Non sapeva se giudicare
più eccessiva la reazione dei genitori della ragazza, o
quella di Liz.
«Wow»
commentò Mary Jane. «Non
mi sembravano i tipi da… Voglio dire, tuo padre era sempre
così disponibile… Mi ricordo quando ci ha
permesso di fare una festa nella sala da ballo del suo Avenue Dinner
Club…»
Liz
scrollò le spalle. «Lo ricordo
anch’io. Quel tontolone di Flash aveva pensato bene di
ubriacarsi».
Peter
inarcò le sopracciglia. Ai tempi delle medie
– così come al liceo, del resto –, non
veniva mai invitato a nessuna festa… Peccato. Non sarebbe
stato male, vedere Flash Thompson così giovane e
già così privo di cognizione.
«Comunque»
aggiunse Liz. «I tempi
cambiano».
E
con quel commento, la conversazione scivolò su lidi meno
impervi, facendosi più svagata, poi Mary Jane
distribuì i piattini, i bicchieri e i tovaglioli di carta, e
i ragazzi diedero inizio al pic-nic.
«MJ
mi ha detto che al liceo hai vinto il premio di
scienze» osservò Liz dopo un po’,
rivolta a Peter.
Il
ragazzo ebbe la curiosa sensazione che lei cercasse di essere
gentile per farsi perdonare tutti gli screzi dei vecchi tempi. «Eh,
già» ammise.
«Lei
lavora al jazz club in attesa di tornare alla
ribalta» aggiunse Liz, come se non avesse dubbi sul fatto che
presto l’amica sarebbe tornata a Broadway, «Harry
dirige la OsCorp… Tu fai qualcosa?»
«A
parte studiare?» replicò Peter.
«Sono un fotografo freelance».
Liz
prese una fetta di pane. «Sì?»
Il
giovane scrollò le spalle. «Per il Daily
Bugle» confermò.
«Fa
le fotografie a Spider-Man» intervenne Mary
Jane.
«Davvero?»
chiese Liz, interessata. «E lo
conosci?»
Lui
si strinse nelle spalle. «In un certo senso»
rispose.
Liz
era chiaramente incuriosita, ma non insistette. «E
hai… mmm, hai partecipato alla cerimonia…? Sai,
quella in cui hanno dato a Spider-Man le chiavi della
città».
Peter
si irrigidì e guardò in direzione di Mary
Jane. Se ripensava a quel giorno, si sentiva ancora un idiota per aver
baciato Gwen Stacy.
«Sì»
ammise cautamente.
Liz
sospirò. «Mi hanno detto che è
stata una cerimonia memorabile».
«Tu
non c’eri?» chiese Harry, in tono
discreto.
«Ero
in ospedale» rispose la ragazza, scrollando le
spalle. «Tu?»
«Ho
partecipato anch’io»
replicò lui, con un’occhiata fugace a Mary Jane.
«Soffrivo ancora dei postumi della mia botta in
testa».
Indirizzò
a Peter uno strano sorriso, a metà tra
la noncuranza e la malinconia, e l’altro ricambiò
stringendosi nelle spalle.
«Ehm,
okay» disse Liz, spostando lo sguardo
dall’uno all’altro. «Mi sono persa
qualcosa?»
Harry
si girò verso di lei e si batté il dito su
una tempia. «Perdita della memoria a breve termine. Per un
incidente».
«Amnesia?»
domandò la ragazza, sorpresa.
Non
ricordava di averlo letto, sulla sua cartella clinica…
«È
durata qualche giorno»
replicò il giovane, «poi ho recuperato tutti i
miei ricordi».
Peter
si mise a fissare un punto indeterminato del cielo, come per
rievocare un’immagine lontana.
Liz
non se ne accorse, intenta com’era a scrutare Harry con
curiosità. «E com’era?» non
poté fare a meno di chiedere.
«Mica
male» replicò il ragazzo.
«Me la sarei anche tenuta».
Peter
si schiarì la gola. «Se posso
dissentire…»
Harry
accennò un sorriso. «Dissenti,
dissenti» gli disse. «Alla fine recuperare la
memoria è stato un bene».
Peter
sembrò sollevato, e sorrise all’amico con
aria quasi grata.
Liz
aggrottò la fronte, con la netta impressione di essersi
persa qualcos’altro, ma a quanto pareva l’argomento
si era chiuso lì.
Mangiucchiando
un panino, la ragazza bionda ascoltò Peter e
Mary Jane che proponevano alcuni aneddoti sui tempi del liceo.
Harry
li osservava, e qualche volte accennava un sorriso…
Loro erano felici, scherzosi ed energici, e un paio di volte riuscirono
a far sì che il giovane contribuisse al racconto di qualche
episodio memorabile.
Liz
rise, e più volte si sorprese a guardare verso Harry.
In
un certo senso, era come se la presenza di Peter e Mary Jane
lottasse per far emergere un lato del tutto nuovo del ragazzo.
Liz
pensò che avrebbe dovuto sorridere più
spesso. Cicatrici o meno, aveva un bel sorriso.
Quando
gli aneddoti si esaurirono, Peter e Mary Jane scambiarono
qualche parola riguardo al futuro matrimonio. C’erano
molte cose da organizzare, e oltretutto pareva che MJ
non lo avesse ancora detto a suo padre. Sua madre si era offerta di
riferire la notizia, ma la ragazza aveva rifiutato. Innanzitutto, non
era sicurissima di volerlo al proprio matrimonio, e se proprio lui
doveva esserne informato… lei preferiva farlo di persona.
In
un tacito incoraggiamento, Peter cercò la mano della
ragazza sul telo, e la strinse. Mary
Jane sbatté le palpebre, poi alzò gli occhi
sul ragazzo e sorrise.
Lo
sguardo di Harry saettò un istante in direzione di quelle
dita intrecciate, ma lui lo distolse subito.
Notando
quella mossa, Liz si morse il labbro inferiore e si
accigliò appena. Poi si spostò sul telone,
avvicinandosi al giovane. «Vuoi del formaggio?» gli
chiese.
Era
la prima cosa che le fosse venuta in mente.
Harry
la fissò. «No, grazie» rispose,
mettendo una fetta di prosciutto nel proprio panino.
«Vedo
che segui le prescrizioni» notò
allora Liz.
«Già»
replicò lui, tenendo il
viso chinato. «Sono un bravo paziente. Mi chiedo come possa
essermi preso quel mancamento».
Nel
dirlo, abbassò la voce. Peter non ne sapeva niente, e
Harry riteneva fosse meglio così. Per carità, non
voleva imbrogliarlo… Ma neanche rischiare di averlo alle
costole come un mastino.
«Forse
perché ti era sfuggito che avresti dovuto
stare a riposo» osservò Liz.
Harry
sorrise. Fu un sorriso strano, come se lui fosse intimamente
divertito da qualcosa che non c’entrava affatto con le parole
della ragazza.
«Chi
ha un’azienda da salvare non può
stare a riposo» replicò.
Liz
aggrottò la fronte, confusa. «Prendere
l’ascensore equivaleva ad andare in bancarotta?»
Poi
lo fissò.
«Oddio»
capì. «Sei stato male
dopo essere uscito dall’ospedale».
Harry
lanciò un’occhiata in direzione di Peter,
che fortunatamente stava discutendo animatamente con Mary Jane. A quel
che pareva, non voleva che la ragazza sborsasse un solo centesimo.
«Ho
solo partecipato a una riunione della OsCorp».
«Stressante»
disse lei, e non era una domanda.
Harry
scrollò le spalle, e Liz si allungò sul
telo per prendere una salsa da spalmare sul pane. «Almeno
è servita?»
«Oh,
sì» assicurò Harry.
Ricordava
ancora il neanche troppo velato rimprovero che lei gli aveva
fatto in ospedale, e lo sollevava che non se la fosse presa.
Dal
canto suo, la ragazza non poté fare a meno di notare
che, mentre parlava, lui teneva il volto inclinato di lato, come a
voler nascondere le proprie cicatrici.
Provò
l’impulso di dirgli che non erano
così brutte… No, okay, non era vero, lo erano, ma
in ogni modo lei si era abituata, e non le facevano alcuna
impressione… Alla fine, però, restò in
silenzio.
«Qualsiasi
dirigente aziendale ne sarebbe stato
soddisfatto» proseguì Harry. «Ho esposto
la mia idea, lodandone gli aspetti ideali, poi ho lasciato che
facessero le loro obiezioni e le ho stroncate con argomenti
estremamente pratici. E sarò pazzo, ma per me questo
successo valeva un giramento di testa…»
Si
aspettava che Liz sorridesse, o che scuotesse la testa. Che si
congratulasse con lui o lo scrutasse con aria di rimprovero.
Invece,
contro ogni aspettativa, la ragazza lo guardò dritto
in faccia ed affermò, con sicurezza: «Tu non sei
pazzo».
Harry
la fissò, interdetto. Quando riuscì a
riprendersi, piegò le labbra in un sorriso ironico.
«Conosci molti pazzi, Liz?»
Lei
distolse lo sguardo. «Smettila» gli disse,
arrossendo.
Il
giovane scrollò le spalle, ma continuò ad
osservarla.
In
tutta sincerità, le sue parole lo avevano colpito.
Colpito e, inaspettatamente, rassicurato.
Non
lo aveva confidato a nessuno – né a Peter,
né a Mary Jane, e tantomeno a Bernard – ma tante
volte non riusciva a guardare il proprio riflesso allo specchio, per
timore di vedere il viso di suo padre.
Spazio dell’Autrice:
Per la vostra gioia, oggi le note saranno corte (ho la febbre e la
probabilità di scrivere idiozie è molto alta XD).
Dico solo che, in The Amazing Spider-Man (vol. 1) #17,
il padre di Liz
effettivamente rende disponibile tale Avenue Dinner Club per la figlia
e i suoi amici…
E be’, spero che il capitolo vi sia piaciuto.
Appuntamento a mercoledì prossimo (il 27 febbraio)!
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Capitolo 7 *** Visita a domicilio ***
Capitolo 07 – Visita a
domicilio
«Bernard?»
«Sì,
signor Osborn?»
Harry
era in piedi in mezzo alla propria stanza, con le mani sui
fianchi.
Il
legno chiaro della scrivania era interamente ricoperto di documenti
di ogni genere, le ante dell’armadio erano spalancate e non
c’era un cassetto che fosse chiuso.
«Hai
per caso visto in giro una carpetta? Marrone,
sottile…»
Il
vecchio maggiordomo scosse la testa. «Non mi sembra,
signore».
Harry
imprecò tra i denti. Era tutto il giorno che la
cercava… Quella carpetta conteneva alcuni documenti che
avrebbe dovuto presentare l’indomani in una riunione alla
OsCorp.
«Non
capisco dove posso averla messa» si
lamentò, frustrato.
«Ha
controllato…» iniziò
Bernard, per poi interrompersi.
Harry
lo guardò. «Dove?»
incalzò.
L’anziano
esitò un istante, poi rispose:
«Nello studio di suo padre».
Il
giovane si irrigidì istintivamente, ma riuscì
a replicare in tono tranquillo. «No, in effetti lì
non ho guardato».
Lo
studio di suo padre…
Dopo
la lotta tra lui e Peter, quella stanza era stata mezza
distrutta… E dopo che Harry era stato dimesso
dall’ospedale, Bernard si era occupato di assumere degli
operai che tuttora lavoravano per sistemare i danni fatti.
Era
dalla sera dello scontro con Venom che Harry non vi metteva piede.
Eppure, ora doveva riconoscere che era molto probabile che i documenti
fossero lì.
Dopotutto,
dopo la morte di suo padre, lui aveva spesso utilizzato lo
studio come se fosse stato suo.
«Se
vuole vado a controllare io, signore» si
offrì cautamente Bernard.
Harry
si morse il labbro. In
effetti, non gli sarebbe dispiaciuto delegare la ricerca a Bernard,
ma allo stesso tempo si sentiva sciocco.
Era
solo una stanza.
Senza
contare che una spiacevole vocina aveva iniziato a martellargli
in testa, obiettando che non poteva scappare per sempre. Se
non riusciva nemmeno ad entrare in quello studio, come avrebbe fatto
a recarsi nel nascondiglio di Goblin?
Fino
a quel momento, se ne era tenuto ben lontano, nonostante la voglia
di iniziare a lavorare sul siero.
«No,
Bernard, non c’è
problema» si sentì rispondere. «Faccio
da solo».
Uscì
in corridoio, sentendo lo sguardo preoccupato del
maggiordomo sulla nuca.
Aveva
pensato che avrebbe iniziato subito ad agitarsi, invece era
stranamente calmo. Un po’ come se quella faccenda non lo
riguardasse.
Come
se fosse qualcun altro, non lui, a camminare lungo il corridoio.
Il
giovane allungò il passo, e poco dopo varcò
quella soglia che tante volte aveva oltrepassato con disinvoltura.
Come
ipnotizzato, si soffermò a guardare la foto appoggiata
sulla massiccia scrivania che troneggiava nella stanza. Rappresentava
lui – un se stesso più disinvolto, più
giovane e più innocente – in compagnia di suo
padre.
Con
uno sgradevole sapore sul fondo della gola, Harry si
girò, trovandosi a fronteggiare l’enorme quadro
appeso alla parete.
Un
ritratto di suo padre che andava ben oltre la grandezza naturale.
Mentre
i suoi occhi indugiavano sul volto severo di Norman, il giovane
sentì il cuore iniziare a battere più forte.
Aveva le mani sudate.
Scrollò
la testa, cercando di riscuotersi, e si
girò.
Si
avvicinò alla scrivania e si abbassò, aprendo
un cassetto a casaccio. La
carpetta era proprio lì, neanche qualcuno ce
l’avesse messa per scherzo.
Per
scherzo… Già, il genere di scherzo che fa
impazzire chi lo subisce… Il genere di scherzo che sarebbe
tanto piaciuto a Goblin.
Disturbato
dalla piega che avevano preso i suoi pensieri, Harry si
raddrizzò di colpo. In quel momento, una fitta lancinante
gli trafisse il ventre, e la carpetta gli sfuggì dalle dita.
Con
una smorfia di dolore, il giovane si portò una mano
all’altezza dello stomaco.
“Adesso
passa” pensò, serrando gli
occhi. “Adesso passa”.
Si
spostò a fatica, dirigendosi fuori dalla stanza.
Il
dolore non era più così intenso, ma ora
sembrava che tutto il suo corpo si ribellasse al suo controllo.
Faceva
fatica a camminare, e una forte emicrania lo costringeva a
tenere gli occhi socchiusi.
Alla
fine, appoggiandosi al muro e dando fondo a tutte le sue energie,
riuscì ad arrivare nella propria stanza.
Bernard
era ancora lì, e lo aiutò a stendersi sul
letto.
Il
giovane affondò la faccia nel cuscino, ansimando e
sperando che tutto finisse al più presto.
«Harry,
la prego. Forse questa volta sarebbe saggio chiamarla
davvero, un’ambulanza».
Il
giovane scosse il capo. «No, Bernard» disse, per
l’ennesima volta.
In
qualche modo, era riuscito a mettersi seduto sul letto. Stava
decisamente meglio di qualche momento prima, ma le ginocchia gli
tremavano e il petto gli doleva.
Fece
vagare lo sguardo… Mentre lui era nello studio, Bernard
aveva riordinato un po’ la sua stanza… E dopo
averlo aiutato a coricarsi, era andato a prendergli una bottiglia
d’acqua che ora era poggiata sulla scrivania.
Il
giovane ne fissò il tappo bianco mentre, con una certa
riluttanza, si ritrovava a considerare l’idea di seguire il
consiglio del maggiordomo… Poi gli venne in mente una cosa.
Quand’era
ancora in ospedale, Liz gli aveva dato il suo
numero affinché lui lo passasse a Mary Jane…
Quindi perché non chiamare lei? In fondo era
un’infermiera.
Francamente,
preferiva essere visitato dalla ragazza piuttosto che da
un estraneo.
Allo
stesso tempo, era anche vero che gli sarebbe sembrato di
approfittare di lei. Non si conoscevano molto bene, e probabilmente era
occupata a fare il suo lavoro.
Harry
esitò, stringendo le dita sui propri pantaloni.
“Non
posso tornare in ospedale” pensò,
disperato. “Non adesso”.
Aveva
così tante cose da fare… Senza contare che
Peter e Mary Jane si sarebbero preoccupati come non mai.
Furono
quei pensieri a fargli prendere la sua decisione.
Sotto
lo sguardo angustiato di Bernard, aprì la rubrica del
proprio cellulare e chiamò il numero di Liz.
Lei
rispose quasi subito. «Pronto?»
Harry
si chiese se dipendesse dal suo mal di testa, ma gli sembrava che
la voce di lei fosse più squillante di quanto ricordava.
In
ogni modo, era sollevato di sentirla. «Pronto, Liz? Sono
Harry».
«Harry?»
ripeté lei. Sembrava un
po’ perplessa, e il giovane non poteva certo biasimarla.
«Ciao».
«Senti,
sei in ospedale, adesso?» le
domandò lui, per poi stringere forte i denti.
«No,
perché?» Adesso il tono della
ragazza era curioso.
«E
hai qualche impegno?» aggiunse Harry.
«No»
rispose nuovamente la ragazza, prima di
incalzare: «Che succede?»
«Ecco,
io…» Harry si fermò un
attimo per respirare. «Non mi sento un granché, e
volevo chiederti se potresti…»
«Ah,
ho capito!» lo interruppe lei.
«Visita a domicilio?»
«Sì»
replicò Harry, sorpreso.
«Se non è un disturbo…»
«Nessun
disturbo» gli assicurò la
ragazza. «Dammi il tuo indirizzo e sono subito da
te».
Fu
di parola, e nel giro di dieci minuti si presentò nel
lussuoso attico degli Osborn.
Bernard
l’accolse sulla soglia, prendendole la giacca e
conducendola sino alla stanza di Harry.
Liz
era stupefatta. Quel posto era davvero enorme. Lei era
cresciuta
nell’agio, e l’albergo gestito da suo padre non era
certo modesto, ma il corrimano di legno intagliato, i superbi
lampadari, i ricchi tappeti e gli ampi corridoi la meravigliarono.
«C’è
qui la signorina Liz,
signore» annunciò Bernard.
Harry
sollevò gli occhi. Era
sempre seduto sul letto, e quando aveva sentito i passi avvicinarsi
aveva raddrizzato la schiena. Ora, istintivamente, girò il
viso in modo che la guancia sana fosse quella più visibile.
In
quanto a Liz, dimenticò all’istante ogni ricca
superficie, e provò una fitta di preoccupazione nel notare
il colorito pallido del giovane.
«Ciao»
la salutò lui.
«Ehi»
replicò la ragazza, avvicinandosi.
Harry
rivolse un’occhiata al maggiordomo. «Ti
ringrazio, Bernard, ora puoi andare».
L’uomo
annuì.
Quando
se ne fu andato, Liz riportò lo sguardo su Harry.
«Ti sei misurato la temperatura?»
«Non
mi sembra di avere la febbre»
replicò il giovane.
La
ragazza aveva la fronte corrugata. «Fai fisioterapia,
vero?» domandò. «E prendi tutto quello
che ti ha prescritto il medico?»
«E
cambio puntualmente le garze»
confermò Harry.
Liz
annuì, con aria seria. «Okay. Fammi dare una
controllata, magari la ferita ha fatto infezione».
Senza
dir nulla, il ragazzo sollevò la maglietta per
permetterle di dare un’occhiata al suo petto. Tra
sé e sé, considerò ironicamente
che, ai tempi del liceo, la prospettiva di trovarsi a torso nudo
davanti a una ragazza gli sarebbe parsa utopia.
Alla
fine dell’esame, Liz scosse la testa. «No.
Non vedo tracce di infezione».
Harry
riabbassò la maglietta. «Non dovrebbe essere
positivo?»
Liz
lo guardò con espressione accigliata.
«È
positivo» ammise.
«Come
mai quella faccia, allora?»
La
ragazza si strinse nelle spalle. «Vuol anche dire che non
sono certa al cento per cento della causa del tuo malore. Insomma, sono
quasi sicura che si tratti di stress, di stanchezza,
però…»
Harry
la fissò. «Però?»
Liz
scrollò la testa bionda. «Credo sia meglio che
tu ti faccia vedere da un medico».
Il
giovane distolse lo sguardo. «No».
Lei
sbatté le palpebre. «Senti, capisco che tu non
voglia passare altro tempo dentro l’ospedale, ma si
tratterebbe soltanto di una visita di controllo…»
«Ho
detto di no!»
Liz
trasalì.
Harry
si pentì immediatamente di quello scoppio
d’ira. Con una fitta di sgomento, realizzò che
quella rabbia era fin troppo simile alla collera di Goblin.
«Scusami,
io…» cominciò.
Non
riuscì a finire.
Gli
parve che una morsa si chiudesse improvvisamente sul suo petto,
mozzandogli il respiro. Serrando
gli occhi, il giovane si piegò sulle proprie
ginocchia con un ansito.
«Harry!»
Sentì
la mano di Liz sulla schiena e
s’incurvò ancor di più, come per
sottrarsi a quel tocco. «Vai…
via…» disse, tra i
denti.
Non
gli importava di essere scortese, sapeva solo che farsi vedere in
quello stato era troppo umiliante.
Improvvisamente,
gli parve di tornare indietro nel tempo, di sentire la
voce di suo padre riecheggiare nella propria testa.
Tu sei debole. Sei sempre stato
debole e sempre debole sarai,
finché non assumi il controllo.
«Vattene!»
ringhiò, rivolgendosi a quel
ricordo fin troppo nitido.
Liz
si spostò, e per un istante Harry credette di averla
spaventata eccessivamente, ma poi la udì trafficare con la
bottiglia dell’acqua.
Dopo
qualche istante, la ragazza gli tornò accanto, e gli
passò un fazzoletto bagnato sulla fronte. «Calmo»
gli disse, in tono tranquillizzante.
«Va tutto bene».
Harry
non rispose. Gli sembrava di avere lo stomaco pieno di cenere
ardente. Aveva paura, una paura folle che Goblin avesse cominciato a
risvegliarsi dentro di lui.
«E
il fazzoletto è pulito, tra
parentesi» aggiunse Liz.
A
quelle parole, il giovane socchiuse gli occhi. «Questo mi
consola» affermò, rocamente.
La
vide sorridere, poi lei gli inumidì con cura il collo e
le guance.
Harry
continuava a sentire il bruciore della vergogna, e il panico per
l’eco di Goblin lo faceva rabbrividire, ma non
cercò più di allontanare Liz. Quella
freschezza era troppo gradevole.
Poco
a poco, il dolore si attenuò, e il giovane
tornò a sedersi diritto. Anche
la sua confusione era diminuita.
«Va
meglio?» gli chiese Liz, scrutandolo con
attenzione.
Lui
si schiarì la gola, imbarazzato.
«Sì».
La
ragazza abbozzò un sorriso. «Allora direi che
la causa era davvero lo stress. Se una crisi simile si dovesse
ripetere, però, io informerei il tuo medico». Fece
una pausa. «Se fossi in te».
Harry
trasse un respiro profondo, e Liz si alzò per buttare
il fazzoletto nel cestino vicino alla scrivania.
«Mi
dispiace per come sono scattato»
riuscì a dire Harry.
Lei
si girò a guardarlo. «Non importa»
replicò, «siamo tutti più intrattabili,
quando stiamo male».
«Però
non avevo ragione di sfogarmi su di
te».
Liz
sorrise, tornando a sedersi sul letto accanto a lui.
«Almeno non mi hai lanciato niente addosso»
osservò. «Ti assicuro che lo apprezzo
molto».
Harry
aggrottò la fronte. «Ti è
capitato che ti lanciassero addosso qualcosa?»
Lei
annuì con vigore.
«Altroché!»
«Uhm»
considerò Harry, iniziando a
rilassarsi, «il mestiere dell’infermiera
è più rischioso di quanto sospettassi».
Liz
ridacchiò, e anche quello lo fece sentire meglio. Forse,
in fondo, la voce di suo padre se l’era solo
immaginata…
«In
ogni modo» riprese, «quanto ti devo
per la visita?»
Liz
sgranò gli occhi. «Cosa?»
esclamò. «Niente, figurati! Sei un
amico».
Harry
si meravigliò nel sentirsi definire in quel modo.
«E da quando ciò equivale a scroccone?»
domandò, nascondendo la propria sorpresa. «Non mi
sembra un buon pretesto per farti finire sul lastrico».
«Non
esageriamo» lo ammonì Liz.
«Sì, i miei genitori non mi passano più
soldi, però me la cavo».
«Ti
sei presa il disturbo…»
iniziò Harry.
«Non
ho fatto molto» lo interruppe lei.
«Davvero, Harry. Questa visita a domicilio era gratis. Mi
offenderei, se tu mi dessi dei soldi».
Il
giovane fece una smorfia. «Almeno lascia che ti offra un
caffè, uno di questi giorni. Ti piace il caffè,
vero?»
Liz
dovette sorridere. «Sono
un’infermiera» replicò. «Sono
dipendente
dal caffè».
«È
un sì?»
Lei
scrollò le spalle. «Lo è».
Spazio dell’Autrice:
Questo capitolo è stato un lavoraccio, e tutt’ora
non sono molto convinta.
Spero che sia colpa del mio essere iper-critica verso tutto
ciò che scrivo.
Comunque!
Rinnovo i miei ringraziamenti a chi recensisce, preferisce, ricorda o
legge soltanto questa storia… Siete la luce dei miei giorni
u.u
Per scusarmi per il ritardo, metto qui i link a tre video che
inseriscono
Liz nei tre film di Spider-Man (e chiedo scusa a
TheRainbowSideOfComics, perché per Liz ho usato Reese
Witherspoon XD).
Li ho ripostati di recente, ma sono vecchi di qualche anno…
e me ne vergogno un po’.
Insomma, sappiate che sono impedita e non dovete aspettarvi
molto… Ma se vi interessano, eccoli:
Spider-Man
with Liz Allen
Spider-Man
2 with Liz Allen
Spider-Man
3 with Liz Allen
A sabato 9 marzo, coraggiosissimi lettori
;)
|
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Capitolo 8 *** Scienza e teatro ***
Capitolo
08 – Scienza e teatro
La
villetta in cui viveva il dottor Connors si affacciava su un
giardino ben curato.
Harry
la osservò per un istante attraverso il finestrino,
dopodiché scese dalla limousine e sbatté la
portiera alle proprie spalle.
Dopo
un istante, Peter lo raggiunse. «Un
bel posticino» commentò.
Harry
non staccò gli occhi dalla villetta.
«Comunque»
aggiunse Peter, «grazie per
aver lasciato che ti accompagnassi… Sono curioso di sapere
di che esperimento vuole parlarti».
«Figurati»
rispose Harry, in tono indifferente.
Peter
gli scoccò un’occhiata un po’
costernata, poi si schiarì la gola.
«Però ora mi sento fuori luogo» disse,
lisciandosi la felpa e guardando i propri jeans in modo eloquente.
Finalmente,
Harry si girò verso di lui ed accennò
un sorriso. «E perché mai?» lo
stuzzicò. «Stai così
bene…»
«Nessuno
ha mai detto il contrario» rispose Peter,
sorridendo. «Ma tu sei in una tenuta leggermente
più elegante».
Harry
incurvò le labbra. «Giacca e cravatta sono
d’obbligo, quando lavoro».
«Certo…»
sospirò Peter.
«In
ogni modo…» aggiunse Harry.
«Cos’è tutto questo interesse improvviso
verso i vestiti?»
Peter
scrollò le spalle. «Oh, è solo
che MJ sta cercando di farmi trovare lo smoking perfetto… A
me sembrano tutti uguali, ma tu questo non dirglielo».
«Manterrò
il segreto»
concordò Harry, e i due iniziarono ad arrancare verso la
porta. «In ogni modo, lo sai cosa sarebbe forte?»
L’altro
aggrottò la fronte.
«Sinceramente ho paura a chiederlo: cosa?»
«Un
duo di supereroi che lottano contro il crimine»
rispose Harry.
Peter
lo strattonò per la manica della giacca,
costringendolo a fermarsi. «Stai scherzando».
«Veramente
no».
«Be’,
è un’idea
stupida» dichiarò Peter. «Prima di
tutto, Spider-Man lavora da solo. E, come seconda cosa, tu non sei un
supereroe».
Tacque
il motivo più importante: non voleva rischiare di
perdere il suo migliore amico.
Harry
fece un sorrisetto enigmatico. «E chi lo
dice?»
Peter
alzò gli occhi al cielo. «Harry, promettimi
che non farai niente di stupido» disse poi, in tono serio.
«Devi ancora riprenderti».
Per
un istante, l’altro distolse lo sguardo.
Dopo
un po’, però, riportò con
riluttanza gli occhi sull’amico.
«D’accordo» cedette, «ma non
potrò stare in convalescenza per sempre».
«Peccato»
sospirò Peter, mentre
riprendevano a camminare. «Comunque vorrei che tu evitassi le
stupidaggini anche quando sarai guarito».
Harry
gli gettò un’occhiata, e notò la
preoccupazione negli occhi dell’altro. «Vedrò
cosa posso fare»
mormorò, prima di suonare il campanello.
Ad
aprire la porta fu un ragazzino che li guardò con aria
quasi sospettosa. «Chi siete?»
I
due amici si scambiarono un’occhiata perplessa, poi Harry
esordì in tono educato: «Sono Harry Osborn, ho un
appuntamento col dottor Curt Connors».
Il
ragazzino annuì. Si voltò verso
l’interno della casa e chiamò:
«Papà! C’è il signor Osborn
per te!»
Quasi
subito, sentirono dei passi avvicinarsi, e Curt Connors comparve
dietro il figlio. «Grazie, Billy» gli disse,
arruffandogli i capelli, «torna pure a giocare».
Il
bambino sgusciò via, e Connors si allungò per
stringere la mano di Harry.
«Signor
Osborn, è un piacere conoscerla»
affermò. «La ringrazio per essere
venuto».
«Nessun
disturbo» replicò Harry, per poi
accennare col mento al suo amico. «Spero non le dispiaccia se
ho portato Peter…»
L’uomo
diede una rapida occhiata al suo studente, aggrottando
la fronte, ma alla fine scosse la testa. «No,
certo che no» assicurò.
«Se ora volete seguirmi…»
Li
guidò attraverso un corridoio ampio e illuminato, sino ad
uno studio piuttosto spazioso.
Il
dottor Connors porse una cartellina ad Harry, quindi
esordì: «Non so se Peter gliel’ha detto,
ma oltre a fare il professore sono un erpetologo piuttosto
rinomato…»
Harry
aprì la carpetta, trovandosi davanti dei documenti e
dei grafici che parlavano di DNA… E di lucertole. “Ma
certo” pensò.
“Erpetologia, la scienza che studia rettili e
anfibi…”
«In
breve» affermò Connors,
«la mia idea si potrebbe riassumere come genetica di incroci
tra specie».
Peter
aggrottò la fronte e si tese in avanti, sbirciando i
documenti che Harry stava sfogliando.
«Pensate»
riprese il dottore, «una
lucertola ha la capacità di rigenerare la propria
coda… Se riuscissimo a passare questa capacità
agli esseri umani, se gli esseri umani potessero rigenerare i propri
arti…»
Harry
tenne la testa china, osservando alcuni dati riguardanti
l’RNA messaggero, ma per un attimo i suoi occhi balenarono
verso il braccio mancante di Connors.
Alla
fine, il giovane Osborn si girò e scambiò una
mezza occhiata
con Peter, poi tornò a guardare il professore. «Posso
farle un paio di domande?»
Circa
un’ora più tardi, Peter e Harry uscirono
dalla villetta, dirigendosi verso la Rolls Royce parcheggiata davanti
al giardino.
Quando
furono seduti nei sedili posteriori, Peter parlò.
«Allora? Che ne pensi?»
Harry
sbuffò appena, fissando la cartellina sulle sue
ginocchia. «Veramente avrei voluto chiederti cosa ne pensi
tu» replicò, alzando gli occhi
sull’amico.
Quest’ultimo
si strinse nelle spalle. «Non
saprei» mormorò. «Come idea è
affascinante, non posso negarlo, però… ci sono
molti punti che non mi convincono».
«Ad
esempio?» incalzò Harry.
«Be’,
mettiamo che funzioni» rispose
Peter. «Quali potrebbero essere gli effetti collaterali? E se
la nuova specie innestata, la lucertola, si rivelasse quella
dominante?»
Harry
lo guardò, per poi rimuginare: «Come ipotesi
non è per niente confortante».
«Già»
mormorò Peter,
voltandosi verso il finestrino.
Si
sentiva in colpa per aver espresso ad alta voce i propri dubbi.
Durante l’incontro, infatti, non aveva potuto fare a meno di
notare quanto il dottor Connors sembrasse tenere al suo
progetto…
«Oh,
be’» disse Harry. «In ogni
caso, gli ho detto che ne avrei dovuto parlare col consiglio. E se i
rischi sono tali, dubito che approveranno…»
Peter
sospirò, guardando l’amico. «Forse
è meglio così. Però mi dispiace per il
professor Connors. È una brava persona».
«Ma
se il suo esperimento è pericoloso, allora
è meglio così anche per lui»
osservò Harry, in tono ragionevole. «Non
credi?»
Peter
annuì. «Già…»
In
quel momento, Harry guardò l’orologio e
aggrottò la fronte. «Pete, ti dispiace se ti mollo
qui?» domandò. «Avrei un
appuntamento».
L’altro
lo fissò. «Con chi? Col
consiglio della OsCorp?»
«Con
Liz, veramente» replicò Harry.
Peter
non credeva alle proprie orecchie. «Non mi stai
prendendo in giro, vero?»
«Figurati
se dovrei prenderti in giro» rispose il
giovane. «Non è niente di straordinario. Le offro
un caffè, tutto qui».
Peter
guardò l’amico con aria incuriosita, poi
scrollò le spalle. Si
sentiva stranamente euforico. Forse perché, negli ultimi
mesi, Harry si era chiuso un po’ a riccio, ed era bello
vederlo uscire dal guscio.
«Be’,
salutamela… e
divertitevi» augurò, mentre l’autista
accostava l’auto al marciapiede.
«Senz’altro»
assicurò Harry,
mentre Peter sgusciava fuori.
L’insospettabile
alter ego di Spider-Man gli fece un ultimo
saluto, poi sbatté le portiera e si allontanò a
passo svelto, dopodiché l’automobile riprese a
percorrere la strada trafficata. Quando
Charles si fermò davanti al bar, Harry
scrutò fuori dal finestrino.
Liz
era già arrivata. Era
seduta a uno dei tavolini all’aperto, e leggeva un
libricino dalla copertina azzurra. I capelli biondi le ricadevano
davanti agli occhi, ma lei non sembrava accorgersene. Teneva
lo sguardo incollato alle pagine, e si mordicchiava il labbro
inferiore.
Harry
non indugiò oltre. Salutò
l’autista e scese dalla Rolls Royce, chiudendo la portiera
dietro di sé. Si
avvicinò a Liz. «Ciao».
Lei
alzò la testa e, come lo vide, gli rivolse un sorriso
radioso. «Ehi. Accidenti, che eleganza».
Harry
scrollò le spalle, slacciandosi la cravatta e
infilandosela in tasca. «Vengo direttamente da un incontro di
lavoro» spiegò. «Spero di non sembrare
troppo fuori luogo».
«Nah,
non penso sia un problema» replicò
lei.
Harry
accennò un sorriso. «Cosa leggi?»
chiese quindi.
La
ragazza fece penzolare il libro davanti ai suoi occhi.
«Una donna senza importanza» rispose.
«Una
commedia di Oscar Wilde?» fece Harry, tendendo
la mano.
Liz
gli passò il volumetto. «Hai qualcosa contro
Oscar Wilde?»
Lui
scorse rapidamente qualche pagina. «No,
affatto» garantì. «È solo
che… sai com’è… di solito le
commedie vengono guardate, non lette. Hai presente il teatro?»
Liz
gli indirizzò una smorfia. «Ho presente il
teatro, grazie».
«E
allora perché non ci vai?» insistette
il ragazzo.
«Perché
non ho tempo» ribatté
lei, pazientemente. «E all’ospedale
c’è un medico che… be’,
è ossessionato dal desiderio di assicurarsi che noi
infermiere abbiamo una vita privata. Così gli ho mentito,
quando mi ha chiesto se sono stata a teatro di recente,
Però…» – e arrossì
appena – «…sono stata così
furba da dirgli che avevo visto “Una donna senza
importanza”. E pare che lui la conosca a menadito.
Così, nei ritagli di tempo, me la leggo».
Harry
la fissò, sbigottito. «Dovresti davvero
andare a teatro. Risparmieresti tante di quelle
energie…»
«Ti
ho già detto che non ho tempo».
«Oh,
andiamo!» sbottò Harry.
«Senti, facciamo così: ti ci porto io. Ci
sarà pure un giorno in cui stacchi a un orario
umano».
«Ogni
tanto capita» ammise lei, sbirciandolo con
quei suoi occhi azzurri.
Harry
fece un sorriso soddisfatto, sfogliando un po’ il
libro. «Bene. Allora vedrai che una commedia di Oscar Wilde
la troviamo. Che c’è?» aggiunse quindi.
«Mi
stai invitando a teatro?» chiese Liz,
stranamente cauta.
Harry
inarcò un sopracciglio.
«Sì» disse infine. «Devo dire
che è un po’ che non vado a teatro, da
quando…»
S’interruppe,
abbassando gli occhi sul libro.
Liz
fece finta di nulla, ma Harry sapeva che aveva capito benissimo
come sarebbe dovuta finire la frase. “Da
quando ho metà faccia
così”.
«Be’»
disse lei, «allora
andiamo».
A
quelle parole, Harry accennò un sorriso che si spense non
appena gli cadde lo sguardo sulla battuta di una tale Mrs. Arbuthnot.
Non vi illudete, George. I figli
all’inizio amano i genitori.
Successivamente li giudicano. Raramente, per non dire mai, li perdonano.
«Stai
bene?» chiese Liz.
Lui
rialzò gli occhi, la fronte aggrottata.
«Sicuro» assicurò, chiudendo il libro e
restituendolo alla ragazza. «Ho solo trovato una frase in
cui… mi sono riconosciuto».
Liz
lo osservò, incuriosita. «E quale?»
Harry
non poté fare a meno di sorridere. «Non te
lo dico».
La
ragazza, allora, si finse offesa e gli mostrò la lingua,
ma sorrideva anche lei.
Harry
girò il viso. Raramente, per non dire mai, li perdonano. Quel
pensiero gli dava uno strano dolore.
«Allora»
disse Liz, in tono spigliato,
«vogliamo prenderlo o no, questo benedetto
caffè?»
Harry
si riscosse. «Vogliamo eccome».
Spazio dell’Autrice:
Bonjour à tout le monde!
Dunque. Parliamo delle comparse.
Il figlio del dottor Connors, Billy, è davvero presente nel
fumetto.
Riguardo all’autista di Harry, nel primo film, arrivando
davanti al museo, il giovane chiede: “Ehm, scusa, Charles,
possiamo girare l’angolo?” Quindi no, non mi sono
inventata il suo nome.
Oscar Wilde è uno dei miei grandi amori, quindi non poteva
che infilarsi nella storia ♥
Be’, spero che l’idea del dottor Connors non sia
parsa così bislacca (incolpate il fumetto XD Okay, magari
anche me, perché manco della capacità di far
suonare realistiche certe cose…) e che il capitolo vi sia
piaciuto!
A sabato prossimo, il 16 marzo!
|
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Capitolo 9 *** Bloccato ***
Capitolo 09 – Bloccato
Qualche giorno più tardi,
Harry e Peter si ritrovarono a
casa Osborn per guardare una partita di basket.
Come
prima cosa, Peter si lasciò crollare immediatamente su
una sedia della cucina. «Uff»
sospirò, «adoro la tua
tivù».
«Io
adoro il fatto che tu abbia portato la pizza»
replicò l’altro, prendendo una fetta grondante di
formaggio fuso.
Mentre
iniziava a mordicchiarla con cautela – era ancora
calda –, riservò un’occhiata
all’amico, notando che sembrava esausto. Probabilmente aveva
avuto qualche impegno come Spider-Man.
«Per
curiosità, tu e MJ cosa pensate di fare per
l’appartamento?» domandò.
«Verrà lei da te o andrai tu da lei? Dopo il
matrimonio, intendo».
«Veramente
stiamo cercando un appartamento nuovo di
zecca» rispose Peter, con un mezzo sorriso.
Allungò la mano e la fece indugiare sulla pizza, prima di
scegliere una fetta. «E io cerco di mettere insieme soldi a
sufficienza per permettercelo».
«Ehi!»
esclamò Harry, folgorato da
un’idea. «Io potrei…»
«Alt»
lo fermò Peter, alzando la mano
destra. «Non so se possiamo accettare un appartamento come
regalo di nozze».
Harry
sbuffò. «Perché no?»
L’amico
scrollò le spalle. «Cerchiamo di
responsabilizzarci».
Harry
non disse nulla, limitandosi a scuotere la testa.
Dentro
di sé, sentiva quasi il bisogno
di fare ai propri
amici un regalo esagerato e dispendioso.
Forse,
se avesse comprato loro una casa, si sarebbe sentito
più utile. Più partecipe alla loro unione. E
magari sarebbe riuscito a mettere da parte la sgradevole sensazione di
essere solo – solo ed escluso.
Peter
e Mary Jane cercavano un appartamento? Si preparavano a nozze
imminenti?
Non
ci poteva essere segnale più eloquente del fatto che
loro stessero portando avanti le loro vite, mentre lui… Lui
si sentiva bloccato.
Inconsapevole
dei pensieri che gli passavano per la testa, Peter accese
la televisione.
«Ancora
pubblicità» si
lamentò, sporgendosi sul tavolo per prendere
un’altra fetta di pizza. «Ehi, quasi dimenticavo: e
l’appuntamento con Liz com’è
andato?»
Harry
inarcò un sopracciglio. «Come dovrebbe
essere andato?» replicò. «Abbiamo
scambiato due parole e abbiamo preso un caffè. Non
c’è un granché da raccontare».
Peter
si impegnò a fondo per non apparire deluso. Ma in
fondo in che risposta aveva sperato? Non lo sapeva nemmeno lui.
«Ah.
E lei è… be’…
simpatica?»
«Non
dovresti conoscerla meglio di me?»
domandò Harry. «Siete stati alle scuole medie
insieme, io l’ho incontrata per la prima volta poche
settimane fa».
«Non
eravamo molto amici» rispose Peter.
«Lei non faceva che urlarmi contro… No, aspetta.
Una volta mi ha difeso».
Fissò
il soffitto con aria ispirata, cercando di ricordare.
«Avevo
appena fatto una presentazione di scienze,
credo… Flash mi aveva fatto il verso, e Liz se
l’è presa con lui, chiamandolo
“tontolone senza cervello”, o qualcosa del
genere».
Harry
si lasciò sfuggire un sorriso.
«Caspita» commentò, prendendo una fetta
di pizza. «Avrei voluto assistere alla scena».
«Sì»
ammise Peter,
«è stata memorabile».
Harry
annuì, sgranocchiando. «Comunque»
disse, quand’ebbe finito il boccone, «non penso che
adesso ti urlerebbe più contro. Con me è stata
molto gentile».
Peter
sorrise, prendendo una fetta di pizza. «Si sa, il tempo
cambia le persone».
L’altro
fece per rispondere, ma a quel punto furono distratti
dall’inizio della partita. Presero
a seguire l’azione dei giocatori sullo schermo
piatto, scambiandosi qualche gomitata esultante quando la loro squadra
segnava un canestro.
A
distrarli da quella lotta a colpi di lanci e rimbalzi, fu la fine
della pizza.
«Oh,
diavolo» commentò Harry, tastando
il cartone. «Abbiamo finito il cibo».
Peter
sembrava altrettanto contrariato. «Lo sapevo, avrei
dovuto comprarne due».
«O
tre» rincarò la dose Harry.
«Aspetta! Perché non ti cali dalla finestra? Qui
vicino c’è una pizzeria niente
male…»
«Pfffft»
fece Peter. «Sarà
anche vero che adesso tanti cittadini mi apprezzano… Ma non
so se esiste qualcuno disposto a vendere una pizza a
Spider-Man».
«Che
schifezza» commentò Harry, dandogli
qualche pacca sulla spalla. «Che dici? Secondo te, qualcuno
la venderebbe a New Goblin?»
Peter
rabbrividì, poi scrollò la testa con aria
scontenta. «Tu hai bisogno di uno psichiatra».
«Indubbiamente
vero» concordò
l’altro. «Ma voglio proprio vedere come trovarne
uno a cui poter dire: “Il mio problema è che mio
padre era Goblin”».
Nelle
sue intenzioni, avrebbe dovuto essere una battuta. Eppure, quando
lo disse, sentì una punta di malessere, perché si
rese conto di quanto fosse vero.
Era
suo padre il suo problema. Era
a causa di Norman Osborn se lui ne aveva passate così
tante, se lui era diventato Goblin e aveva cercato di uccidere il suo
migliore amico.
Si
accorse che Peter si era fatto serio in volto, e lo
osservò di sottecchi.
Il
suo amico non sapeva quanto aveva ragione, dicendo che lui avrebbe
avuto bisogno di uno psichiatra.
Per
la prima volta, Harry considerò davvero che vedere suo
padre negli specchi e sentire la voce di Goblin nella propria testa
potevano essere indice di pazzia.
E
non era nemmeno tutta colpa del siero.
In
fondo, la prima volta in cui aveva visto Norman al posto del proprio
riflesso, non aveva ancora assunto la formula di Goblin.
«Tutto
bene?» domandò Peter, con
cautela. «Se vuoi…»
Harry,
però, si affrettò a scuotere la testa.
«Va tutto bene» dichiarò, spostando gli
occhi sullo schermo. «Vediamo un po’ se riusciamo a
battere questi schifosi una volta per tutte…»
Il
giorno seguente, Harry si ritrovò spaventosamente libero
da impegni.
Cercò
di distrarsi prima leggendo qualcosa, poi facendo due
chiacchiere con Bernard.
Purtroppo,
la sua mente sembrava comportarsi come un elastico, e si
allungava puntualmente verso pensieri che il giovane non avrebbe voluto
affatto esaminare.
Alla
fine, afferrò una copia del Daily Bugle. Il fatto che
il giornale attaccasse Spider-Man non lo meravigliò
più di tanto – il suo editore, J. Jonah Jameson,
continuava ad essere uno dei più accaniti detrattori
dell’eroe – e si chiese come Peter prendesse la
cosa.
Poi
scrollò il capo e diede un’occhiata alla
pagina degli spettacoli. Lì, gli saltò subito
all’occhio che quella sera ci sarebbe stata una commedia di
Oscar Wilde.
Immediatamente,
pensò a Liz.
La
commedia in programma non era “Una donna senza
importanza”, bensì “Un marito
ideale”, ma Harry si disse che poteva andar bene lo stesso.
Dopo
un momento, prese il telefono per chiamare la ragazza.
Quest’ultima,
però, non rispose, e dopo un
po’ Harry si arrese, mettendo giù la cornetta con
un sospiro. A
quanto pareva, non avrebbe avuto la distrazione del teatro.
Proprio
mentre formulava tale pensiero, però, il telefono
iniziò a squillare insistentemente, e il giovane rispose:
«Pronto?»
«Pronto,
Harry?» replicò la voce di Liz.
«Hai provato a chiamarmi?»
Il
giovane si sedette sul divano. «Sì. Volevo
chiederti se stasera sei libera».
«Stasera?»
ripeté la ragazza, in tono
interrogativo. «Be’,
sì…»
«Ottimo»
approvò Harry,
«perché danno una commedia di Oscar
Wilde».
«Oh!»
fece Liz, sorpresa. «Una donna
senza importanza?»
«Un
marito ideale, veramente» replicò
lui, «però potresti sempre dire al tuo amico
medico di aver sbagliato a dirgli il titolo».
La
ragazza si prese un istante per pensare. «Be’,
okay» disse alla fine. «Accetto
l’invito… Piuttosto, sei sicuro che troveremo
posto?»
Harry
si concesse un breve sorriso. «Dimentichi che sono il
dirigente di una delle maggiori industrie mondiali» le fece
notare. «Ho un palco riservato».
«Accidenti»
commentò Liz, e sembrava
divertita. «Sì, ammetto che questo cambia
tutto».
«Va
bene, allora passo a prenderti alle otto e
mezza» concluse Harry.
«D’accordo»
accettò Liz, e
dalla sua voce pareva proprio che stesse sorridendo. «Ci
vediamo».
Harry
annuì. «Ci vediamo»
confermò, prima di chiudere la chiamata.
Rimase
fermo per un attimo, con aria pensosa, poi chiamò:
«Bernard!»
Il
maggiordomo comparve quasi subito. «Sì, Mr.
Osborn?»
«Ti
dispiace dire a Charles di preparare la Rolls Royce per
stasera?» domandò il giovane.
«Lo
avverto subito» replicò Bernard.
«Dove deve portarla?»
«A
teatro con un’amica»
replicò Harry.
«Un’amica?»
ripeté il vecchio
maggiordomo.
«Già»
confermò Harry.
«È l’infermiera che avevo chiamato
quando sono stato male…»
«La
signorina Elizabeth Allen…»
capì Bernard.
Harry
annuì. «Esatto».
L’anziano
maggiordomo reclinò la testa, e per un
istante Harry fu certo di vedere un accenno di sorriso sul suo volto
rugoso.
«Molto
bene, Harry. Vado ad avvertire
Charles…»
Alle
otto e mezza in punto, la lucida Rolls Royce guidata da Charles si
posteggiò davanti al condominio dove abitava Liz.
Harry
aspettò che l’uomo gli aprisse la portiera,
dopodiché scivolò fuori dall’auto. Fece
giusto in tempo a muovere qualche passo verso
l’abitazione, quando il portone d’ingresso si
aprì, e Liz uscì dalla casa.
Per
l’occasione, si era arricciata i capelli. Indossava una
gonna e una maglietta azzurre, nonché un maglioncino bianco.
«Ehi»
la salutò Harry. «Sei
puntuale come un orologio svizzero».
Lei
gli sorrise. «Chi ha detto che le ragazze si fanno
attendere secoli?»
«Io
no di certo» mormorò il giovane,
girandosi verso la Rolls Royce.
Charles
era fermo accanto all’auto, le braccia dietro la
schiena.
«Vogliamo
andare?» chiese Harry, indicando la
lucida macchina nera con un gesto galante.
Liz
precedette il ragazzo. «Ma dai, una Rolls Royce? Avrei
dovuto sapere che Mr. Miliardario non gira in bicicletta»
scherzò.
«E
se fossi venuto in bici dove ti avrei messo, nel
cestino?» ribatté Harry, storcendo il naso.
Anche
Charles sorrise. «Mr.
Osborn» disse.
«Signorina…»
Dopodiché,
aprì la portiera, ed Harry fece segno
a Liz di precederlo. «Prima le donne».
Quando
la ragazza si fu trascinata sino all’altra parte
dell’auto, sedendosi comoda accanto al finestrino, Harry
salì a propria volta.
«Allora»
esordì, schiarendosi la gola
mentre Charles metteva in modo l’auto, «immagino tu
sia contenta. Finalmente nei ritagli di tempo potrai dormire, invece
che leggere il copione di una commedia».
«Contentissima»
concesse Liz, lisciandosi
distrattamente la gonna.
Azzardò
anche un sorriso sfinito, e solo in quel momento
Harry notò che sembrava esausta, come se quella notte non
avesse chiuso occhio.
«Stai
bene?» le chiese, aggrottando la fronte.
Liz
sussultò. «Cosa? Oh… Oh,
sì! Certo».
«Sembri
sfinita» osservò Harry, ancora
accigliato.
La
ragazza si girò verso il finestrino, come per cercare di
controllare il proprio riflesso. «Si vede così
tanto?» gemette alla fine, tornando a guardare Harry.
«No»
la rassicurò lui, «ci
vuole un occhio allenato come il mio».
Liz
lo fissò, come per capire se la stava prendendo in giro.
«In
ospedale hai fatto le ore piccole?» aggiunse
Harry.
Dentro
di sé, si maledisse. Perché non le aveva
chiesto se si sentiva di uscire, invece di limitarsi a chiederle se era
libera?
«No,
è che… non sono riuscita a dormire
molto, stanotte» mormorò Liz. «Avevo dei
pensieri».
Harry
non seppe come replicare. Eppure,
in quegli ultimi giorni era diventato un professionista
nell’avere una marea di pensieri a tenerlo sveglio.
Improvvisamente,
Liz sembrava quasi ansiosa. Harry la vide deglutire.
«Io…»
iniziò la ragazza, con
quello che parve un grande sforzo. «Tu… Se ci
fosse qualcuno a cui vuoi bene… molto bene… E
quel qualcuno avesse bisogno di te… E tu provassi ad
aiutarlo, ci provassi davvero, ma non servisse a
niente…»
La
voce le si strozzò, e lei tacque.
Harry
era ammutolito: per un istante – un istante solo, ma
non gli era sfuggito – l’espressione della ragazza
si era fatta quasi angosciata.
«Scusami»
si affrettò a dire Liz,
passandosi una mano sotto gli occhi. «Non avrei
dovuto… Non volevo…»
«Non
preoccuparti» replicò Harry,
fermamente.
Per
un istante, rimasero in silenzio, entrambi un po’ a
disagio.
«Stai
bene?» domandò Harry, alla fine.
Lei
abbassò gli occhi, poi li rialzò sul ragazzo
e annuì. «Sì, sto bene»
disse, con forza.
Harry
aveva dei grossi dubbi sulla veridicità di
quell’affermazione, ma prima che potesse pesare a qualcosa da
dire, Charles fermò l’auto davanti al teatro.
Erano
arrivati.
Spazio Autrice:
Ciao a tutti!
Dopo una settimana in Francia, eccomi qui col nuovo capitolo
(mi stavo quasi dimenticando
dell’aggiornamento, ahi, ahi…).
Spero vi sia piaciuto…
Il fatto che Liz sia “puntuale come un orologio
svizzero” è una sottospecie (molto sotto e poco
specie…) di citazione di una battuta della ragazza in
Amazing Spider-Man #169. In pratica, Harry si complimenta per il fatto
che arriva giusto in tempo, e lei risponde: “The last of the
punctual fianceés, that’s me!”
Per il resto, niente. Vi do appuntamento a sabato
prossimo, il 23 marzo!
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Capitolo 10 *** Un marito ideale ***
Capitolo 10 – Un marito
ideale
Quando salirono sul palco e si
accomodarono su due poltroncine di
velluto, Harry aveva il cuore pieno di amarezza.
Si
sfiorò le cicatrici che gli segnavano il volto, e gli
sembrarono dure e terribilmente profonde. La sua guancia doveva avere
l’aspetto della terra spaccata dall’arsura.
Improvvisamente,
provò un’ondata di rabbia e di
frustrazione. Perché non era rimasto chiuso in casa?
Come
se i suoi pensieri lugubri non fossero già un bel
tormento, ora i suoi nervi si sentivano logorati dal passaggio in mezzo
a un mucchio di estranei.
Ormai,
avrebbe dovuto aver fatto l’abitudine agli occhi che
si fissavano sul suo volto… Ma non era così.
Si
sentiva mostruoso, come se la pelle ustionata portasse in superficie
Goblin, i crimini di suo padre e i suoi tentativi di vendetta.
«Stai
bene?»
Lui
si riscosse, girandosi verso Liz. La
ragazza lo scrutava con attenzione… e senza la minima
traccia di ripugnanza.
Il
suo non era uno sguardo imbarazzato, o morboso. Era solo lo sguardo
di qualcuno che è preoccupato.
Harry
deglutì rapidamente.
«Sì… Sì, mi sono solo
distratto un attimo…»
Liz
accennò un sorriso.
Il
giovane la valutò in silenzio. Una parte di lui si era
aspettata di vederla un po’ assonnata, di scorgere le tracce
di stanchezza che aveva visto in auto… Inspiegabilmente,
però, il teatro sembrava averla rivitalizzata.
«Sai
cosa?» chiese la ragazza.
«L’ultima volta che ho visto uno spettacolo, ero
con mio padre».
Ma
certo, pensò Harry. La famiglia ricca.
Liz
non era affatto nuova ai palchi riservati, il giovane lo capiva
dalla sua posa rilassata.
Forse,
era per quello che lei sembrava quasi rinvigorita:
perché si trovava in un ambiente familiare, magari collegato
a ricordi piacevoli.
«MJ
mi ha detto di aver recitato ne
“L’importanza di chiamarsi
Ernesto”» aggiunse Liz, vivacemente.
«Già»
annuì Harry.
«Era bravissima».
Provò
una fitta al petto, pensando a Mary Jane in un
candido, elegante costume di scena.
Liz
picchiò due dita sulla propria guancia. «Mi
ricordo che ogni volta, alle scuole medie, non vedeva l’ora
di partecipare alle recite scolastiche» raccontò.
Harry
dovette riconoscerglielo. Non era una che si scoraggiava
facilmente. Al contrario, non si faceva abbattere né dal suo
silenzio né dalle sue risposte laconiche.
«E
tu?» le chiese.
Lei
scrollò le spalle, e il giovane ebbe la bizzarra
sensazione che preferisse parlare degli altri, piuttosto che di
sé.
«Io
ero più il tipo che aspettava le partite di
basket per guardare i bei ragazzi» ammise Liz.
Harry
sorrise. Tornò subito serio perché sentiva
le cicatrici tirare, ma dentro di sé pensò che
non c’era niente di male. Dopotutto, il solo motivo per cui
lui e Peter avrebbero voluto entrare nella squadra di basket della
scuola erano le cheerleader.
La
ragazza fece per aggiungere qualcosa, ma a quel punto il sipario
iniziò ad aprirsi, e in platea si fece immediatamente
silenzio.
Liz
si voltò verso il palcoscenico con espressione quasi
sorpresa, poi congiunse le mani sotto il mento e i suoi occhi si fecero
attenti.
La
scena si schiuse su una stanza affollata, mostrando la padrona di
casa che accoglieva un ospite dopo l’altro, ma facendo
sì che l’occhio dello spettatore si focalizzasse
su due donne sedute su un divano.
«Vai
dagli Hartlok stasera, Margaret?»
domandò la prima, ergendosi nella sua fragile bellezza con
fare aristocratico.
«Credo
di sì» replicò
l’altra, nello stesso tono esageratamente cortese.
«E tu?»
Harry
si ritrovò a distogliere lo sguardo per posarlo su
Liz, mentre giungeva la risposta: «Sì. Danno dei
ricevimenti noiosissimi, non ti pare?»
La
ragazza bionda sembrava perfettamente a proprio agio, e teneva gli
occhi fissi sul palcoscenico.
«D’una
noia mortale» concordò
petulante Margaret.
Harry
socchiuse gli occhi e si posò piano una mano sulla
guancia destra. Invece di prestare la dovuta attenzione alle battute
delle due attrici, si ritrovò a rimuginare su Liz.
Forse,
quando era con lei, non si sentiva rilassato come con Mary Jane,
con Peter, o con Bernard… Però non si sentiva
nemmeno teso o sotto pressione come quando era in compagnia di colleghi
o di estranei.
No,
con Liz provava la bizzarra sensazione di poter essere se
stesso… Anche se, come nascondeva parte del suo dolore ai
propri amici, la nascondeva anche a lei.
D’altro
canto, quella sera – e, ora che ci pensava,
talvolta anche in ospedale – gli era parso che la ragazza
avesse a sua volta qualcosa da mascherare.
Quel
discorso sul cercare di aiutare una persona a cui vuoi
bene… Harry
ne era rimasto colpito, o forse a colpirlo era stato il modo in
cui lei aveva tirato fuori quelle parole, a fatica.
Probabilmente,
le teneva sepolte nel proprio cuore da molto
tempo… E aveva scelto di dirle a lui. A lui, nonostante si
conoscessero appena.
«Non
vedo nessuno, qui, che possa diventare lo scopo
d’una vita» sospirò una delle attrici,
in tono enfatico.
Harry
sbatté le palpebre, realizzando di essere intento a
fissare Liz. Distolse
lo sguardo, tornandosi a voltarsi verso il palcoscenico.
«Il
mio vicino di tavola mi ha parlato di sua moglie per
tutta la durata del pranzo».
Piano,
Liz alzò una mano a grattarsi distrattamente una
guancia. Corrugò la fronte, quindi si girò in
direzione di Harry, ma il ragazzo stava seguendo lo spettacolo con aria
neutra.
«Che
persona volgare!»
Per
quanto la giovane scorgesse il profilo sinistro
dell’amico, si rese subito conto del fatto che Harry si
copriva la guancia destra con una mano, in un gesto quasi inconscio per
proteggerla dal resto del mondo.
«Orrendamente
volgare. E il tuo cavaliere di cosa ti ha
parlato?»
Liz
sentì una stretta al cuore. Provò
l’impulso di allungare la mano e di
afferrare quella del ragazzo.
A
lei faceva piacere essere lì, in teatro, ma se Harry si
trovava a disagio… Avrebbe voluto proporgli di tornare a
casa.
«Di
me».
In
quel momento, Harry si accigliò, sentendosi osservato, e
dopo un istante si voltò verso la ragazza che gli sedeva
accanto.
«E
ha destato il tuo interesse?»
«Neanche
un po’!»
Liz
abbozzò un mezzo sorriso.
Harry
se ne sorprese, poi ricambiò il suo sguardo.
Perché
quella sera, dopotutto, lei si era fidata di
lui… Sì, forse era stata una confessione criptica
e stentata, ma era stata una confessione.
E
quando tornarono a guardare il palcoscenico, la sua mano
scivolò via dalla guancia destra.
Per
il resto della commedia, si sentì molto più
rilassato.
Un
paio di volte, si allungò persino verso Liz per
commentare a mezza voce una scena. Ed entrambe le volte lei lo
guardò con aria curiosa e un sorriso aleggiante sulle
labbra. Sembrava contenta di quella confidenza.
Quando
il sipario calò sull’ultimo atto della
commedia, Harry si alzò, sgranchendosi appena le gambe,
mentre Liz si metteva in piedi a propria volta.
Quindi
si avviarono verso l’uscita, camminando tra una
fiumana di gente.
Ad
un certo punto, Liz sfiorò il gomito di Harry. Lui
sussultò, girandosi a guardarla.
«È
stato meraviglioso»
affermò lei, raggiante.
Il
giovane non poté fare a meno di sentirsi perplesso.
«Gli interpreti erano molto bravi» rispose, senza
sapere cos’altro dire.
Uscirono
sul marciapiede, ed Harry aguzzò lo sguardo per
cercare di individuare la Rolls Royce tra le file di auto.
Quand’ecco,
Liz gli afferrò la mano, per poi
stampargli un bacio sulla guancia sana. Harry
la fissò, preso completamente alla sprovvista da quel
gesto.
«Grazie
mille per avermi invitata, Harry» gli disse
lei.
«Non
credi che sia una reazione un po’
eccessiva?» domandò il giovane. «Era
solo uno spettacolo…»
«Che
cosa c’è»
ribatté Liz, «non ti piace il teatro?»
«Non
tanto quanto a te, probabilmente»
osservò lui, scrollando le spalle.
Liz
rise. Sembrava
davvero rinata, rispetto a prima.
“Questa
mi mancava” pensò Harry.
“Dunque è un’appassionata di
teatro…”
Liz
non doveva aver avuto problemi, con la vita ricca…
Vivere nel lusso doveva esserle piaciuto.
Eppure,
per qualche motivo, si era staccata da
quell’esistenza e dai suoi genitori, mettendosi a lavorare
come infermiera, con dei turni allucinanti e una paga probabilmente non
esorbitante.
Notando
la Rolls Royce scivolare accanto al marciapiede, si riscosse da
quei pensieri.
«Vieni»
disse, rivolto a Liz, guidandola verso
l’auto.
Fu
solo quando vi arrivarono che si accorse di averle messo una mano
sulla spalla.
Era
la prima volta che prendeva l’iniziativa di toccarla.
Spazio dell’Autrice:
Salve a tutti!
Ovviamente, le battute citate dallo spettacolo “Un marito
ideale” sono frutto del genio di Oscar Wilde…
Io spero che il capitolo vi sia piaciuto, e vi do appuntamento a sabato
30 marzo :)
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Capitolo 11 *** Da soli insieme ***
Capitolo 10 – Da soli
insieme
If
I lay here, if I just lay here
Would you lie with me and just
forget the world?
I giorni andavano avanti, tra la
fisioterapia, le riunioni
all’azienda e le chiacchiere con Peter e Mary Jane.
Alla
fine dei conti, la OsCorp aveva deciso di respingere il progetto
del dottor Connors.
Harry
non se n’era sorpreso, ma gli era dispiaciuto. Tanto
più che non era nemmeno riuscito ad informare personalmente
il professore, che invece aveva ricevuto una telefonata da
chissà quale impiegato.
In
ogni modo, il ragazzo non si lasciò il tempo di
trincerarsi nel proprio rammarico: cercava di tenersi occupato il
più possibile, perché non aveva mai davvero
notato quanto fosse grande e vuota casa sua.
La
presenza di Bernard lo rassicurava, ma sapeva di non poter
pretendere che il vecchio maggiordomo stesse con lui
ventiquattr’ore su ventiquattro.
E
sempre più spesso, la notte, non riusciva a prendere sonno
e vagava lungo i corridoi, cercando di lottare con i propri incubi.
Nel
buio, vedeva suo padre che lo guardava con ira e delusione. Vedeva
Goblin ridere sgangheratamente.
Un
paio di volte, ebbe incubi su Venom, e si risvegliò in un
bagno di sudore, coi muscoli che sussultavano orrendamente al ricordo
del dolore.
La
notte era la sua peggior nemica, poiché
l’oscurità gli rendeva molto difficile proteggere
la propria mente con la razionalità.
Di
giorno, era facile dirsi che i sibili di Goblin appartenevano alla
sua immaginazione.
Di
notte, quei sussurri maligni sembravano riecheggiare nei corridoi, e
Harry si ritrovava a prendersi la testa tra le mani, stringendo gli
occhi e pregando con tutto se stesso che avessero una fine.
In
seguito ad una nottata particolarmente sfibrante, il ragazzo
scoprì di non aver alcun desiderio di occupare la propria
giornata.
Non
voleva altro che rimanere solo.
Così,
si chiuse nella propria stanza, dicendo a Bernard di
non disturbarlo.
Lo
sguardo dolente del vecchio lo fece quasi sentire in colpa, ma non
aveva la minima voglia di ritrattare le proprie disposizioni.
Stava
fissando la scrivania con aria assente, quando ricordò
che quel giorno aveva appuntamento con Peter e Mary Jane…
Con una mezza imprecazione, recuperò il cellulare e
telefonò all’amico.
Rispose
Ursula, la figlia del padrone di casa di Peter.
Mentre
la ragazza andava a chiamare il suo inquilino, Harry
pensò che il suo migliore amico aveva decisamente bisogno di
un cellulare.
Qualche
istante dopo, la voce di Peter si fece sentire
dall’altro capo della cornetta, ed Harry gli
spiegò brevemente che preferiva rimandare il loro incontro.
L’amico
non parve affatto felice dell’informazione.
Prima
cercò di fargli cambiare idea, poi, in tono
già più rassegnato, gli domandò se non
poteva far niente per lui.
«Tranquillo,
bello» replicò Harry,
sentendo il fantasma di un sorriso balenare sul proprio volto.
«Me la caverò».
Con
molta riluttanza, Peter si arrese e lo salutò.
Liz
e Mary Jane, ben strette nei loro cappotti, erano ferme davanti ad
un negozio di abiti da sposa.
«Wow»
commentò Liz, fissando la vetrina.
«E lo ripeto: wow».
«Va
bene» ammise Mary Jane, «sto
iniziando a spaventarmi».
La
ragazza bionda si girò verso l’amica.
«Panico da matrimonio?» chiese, in tono comprensivo.
Mary
Jane sorrise. «Veramente sei tu che mi spaventi, Liz.
Sembra che tu non abbia mai visto un abito da sposa».
«E
tu sembri averne visti troppo» rispose
l’altra, tornando a guardare la vetrina.
A
quell’osservazione, Mary Jane si bloccò. D’istinto,
ripensò a John Jameson.
Ripensò
a quando se n’era innamorata, a
com’era farsi stringere nel suo saldo abbraccio… A
com’era girare per boutique con la sua ex-futura suocera.
Di
fronte al suo silenzio, Liz le gettò
un’occhiata perplessa. «MJ?» la
chiamò, preoccupata. «Va tutto bene? Ho detto
qualcosa di male?»
La
ragazza dai capelli fulvi si affrettò a scuotere la
testa. «No, no» assicurò,
«è solo che…»
«Che
cosa?» incalzò Liz, una ruga tra le
sopracciglia bionde.
Mary
Jane sospirò, puntando lo sguardo sulla vetrina.
«È solo che non è la prima volta che
scelgo un abito da sposa».
Liz
sbatté le palpebre. «Oh».
Mary
Jane si morse il labbro. «Io… un paio di anni
fa… mi ero fidanzata. Lui mi aveva chiesto di sposarlo, io
avevo detto di sì, e poi… alla fine
l’ho mollato all’altare».
Senza
sapere cosa aggiungere, tacque e riprese a fissare i vestiti
esposti.
Ce
n’era uno con la gonna bianca ricamata di fiorellini
candidi… Per qualche motivo, non riusciva a distoglierne lo
sguardo. Forse
perché tutti quei ghirigori le facevano girare la
testa.
Al
suo fianco, Liz era immersa nel silenzio, impegnata ad assorbire le
informazioni appena apprese.
Dopo
un po’, si schiarì la gola.
«Perché l’hai lasciato? Avevi dei
dubbi?»
Mary
Jane abbassò per un istante gli occhi, poi si
girò verso l’amica. «Perché
ero innamorata di Peter» rispose, semplicemente.
Liz
rimase senza parole.
«E
quando mi ero fidanzata con John, in parte
l’avevo fatto perché credevo che tra me e Peter
non potesse funzionare, ma poi… Poi ho scoperto qualcosa che
mi ha convinto del contrario…»
Per
un istante, le due ragazze si limitarono a fissarsi… Poi
Liz accennò un sorriso e prese l’amica per il
braccio.
«Vieni,
allora!» la spronò.
«Per un amore così, bisogna trovare
l’abito perfetto!»
E
trovare l’abito perfetto, come scoprirono di lì
a poco, non era affatto una passeggiata.
Assistita
da una donna piuttosto solerte, Mary Jane provò un
vestito dopo l’altro, ma ogni volta le sembrava che avesse
qualcosa di sbagliato.
O
il corpetto era troppo stretto, o la gonna troppo lunga, o il tessuto
troppo ruvido…
Dopo
un po’, mentre l’impiegata andava a cercare un
altro modello, Mary Jane si rivolse a Liz.
«Forse
dovresti sceglierlo tu».
L’altra
ragazza la fissò come se fosse impazzita.
«Prego?»
Mary
Jane sospirò, andando a sedersi su un pouf poco
lontano. «Non so, Liz, non mi va bene niente»
mormorò. «Forse non avrei dovuto scartare
l’ultimo vestito che mi ha fatto provare. Non era poi
così male… non credi?»
Liz
scrollò il capo. «MJ, se davvero vuoi sapere
cosa credo io… Questo è il tuo matrimonio. Se un
vestito non ti va bene, non ti va bene. Dovresti indossare qualcosa che
ti piace, non qualcosa che non ti fa completamente schifo».
Mary
Jane sembrò sorpresa da quel discorso, ma alla fine
abbozzò un sorriso. «Senza dubbio sei stata molto
convincente».
La
ragazza bionda le sorrise di rimando. «Grazie».
Le si avvicinò. «Forse oggi non sei
dell’umore giusto» azzardò.
«Può
darsi» ammise Mary Jane.
«Ero incerta se dirtelo, ma a questo punto… Ieri
ho telefonato a mia madre, e mi sono messa d’accordo per
andare a pranzare da lei… Così da dire anche a
mio padre del matrimonio».
«Oh»
fu l’unica cosa che Liz
riuscì a dire.
Sapeva
fin troppo bene quanto quell’argomento fosse delicato.
Mary
Jane meditò per qualche istante, fissando
l’anello di fidanzamento che portava al dito.
«Okay»
disse alla fine, alzandosi in piedi.
«Torneremo poi».
Liz
sorrise appena. «Va bene».
In
quel momento, il cellulare della rossa vibrò. Lei
controllò il display, quindi si rivolse a Liz:
«Scusami un attimo, è Peter», e si
allontanò di qualche passo per rispondere.
Mentre
Mary Jane parlava col fidanzato, la ragazza bionda si
guardò attorno, e non poté fare a meno di
chiedersi se, un giorno, anche lei avrebbe dovuto scegliere un vestito
da sposa.
Scosse
la testa, scacciando quei pensieri.
A
quel punto, Mary Jane tornò verso di lei, risistemando il
cellulare in borsa.
«Qualcosa
non va?» chiese Liz, notando la sua
espressione accigliata.
Mary
Jane sospirò. «Si tratta di Harry»
rispose. «Dovevamo vederci… Ma lui ha telefonato a
Peter per dirgli che oggi non se la sente».
Liz
aggrottò la fronte. «E sei
preoccupata».
L’amica
le rivolse un sorriso tirato. «Tu
no?»
Liz
si morse il labbro inferiore. «Un
po’» ammise.
E
forse anche più di un po’, rettificò
dentro di sé.
Mentre
Mary Jane si voltava per dire alla negoziante che sarebbe
tornata un’altra volta, Liz assunse un’aria
pensierosa…
E
quando uscirono in strada, si rivolse all’amica:
«MJ? Ti dispiace se non ti accompagno sino a casa
tua?»
«Figurati»
replicò l’altra,
per poi guardarla con curiosità. «Hai un
impegno?»
Liz
si strinse nelle spalle. «Credo di dover fare una visita
a domicilio».
«Mr.
Osborn?»
Sentendo
Bernard bussare alla porta, Harry sollevò la testa
di malavoglia. «Che succede?»
«Posso
venire dentro?»
Il
ragazzo sospirò. «Fa’ pure,
Bernard».
Il
maggiordomo entrò e rivolse un’occhiata
preoccupata al ragazzo, dopodiché annunciò:
«Mr. Osborn, la signorina Allen è qui».
Liz
era lì?
Harry
inarcò un sopracciglio. «Dille che non
voglio vedere nessuno, al momento».
«L’ho
già fatto, signore»
rispose però Bernard. «L’ho informata
che non vuole essere disturbato, ma lei ha insistito. Dice di aver
portato qualcosa che lei deve assolutamente vedere».
Harry
aggrottò la fronte.
«Non
sembra intenzionata ad andarsene» aggiunse
Bernard, cautamente.
Harry
scosse la testa, con un respiro rassegnato. «E va
bene…» mormorò, riluttante.
«Lasciala salire».
«Sì,
signore».
Decisamente,
il vecchio maggiordomo non sembrava dispiaciuto della resa
del giovane, e uscì dalla stanza senza farselo ripetere due
volte.
Harry
rimase seduto sul proprio letto, chiuso in un silenzio accigliato. C’era
poco da fare: avrebbe chiesto a Liz cosa succedeva, si
sarebbe scusato e le avrebbe detto che non era proprio in vena di
chiacchiere.
Un
bussare lieve lo fece girare.
Bernard
aveva lasciato la porta aperta, e ora Liz era sulla soglia, le
nocche sollevate e un’espressione quasi di scusa dipinta sul
volto.
«Ciao»
gli disse.
Improvvisamente,
Harry si sentì come se tutto il discorso
che si era preparato andasse in mille pezzi. Non che avesse cambiato
idea sul voler stare da solo, ma non aveva neanche voglia di star
lì a spiegare perché.
Quindi
restò in silenzio, seduto sul proprio letto. Sapeva
che era un comportamento decisamente asociale, ma non gli
importava.
Liz
esitò, poi si fece avanti.
«Harry…» iniziò.
«Senti,
Liz» la interruppe lui, senza guardarla,
«non so cosa ti abbia detto Bernard, ma… Non mi
sento in vena di chiacchiere».
Lei
tacque. Poi, dopo un istante, si fece avanti e si sedette accanto
al ragazzo. Sorpreso,
Harry la guardò con la coda dell’occhio.
Era
seduta composta, le mani sulle ginocchia, e ricambiò lo
sguardo con una certa ostinazione. Dopodiché,
prese ad osservare la stanza del ragazzo senza
dire nulla, come se stesse pensando ai fatti propri.
Harry
aggrottò la fronte. Trovava quel comportamento
decisamente assurdo.
«Scusa,
Liz» esordì, schiarendosi la
gola, «posso chiederti cosa stai facendo?»
Lei
alzò su di lui due serissimi occhi azzurri.
«Non vuoi parlare? Non parliamo. Però non me ne
vado».
Harry
fu talmente sorpreso da quella risposta che subito non
riuscì neanche a sentirsi irritato. «Non
hai niente di meglio da fare?»
domandò infine.
La
ragazza scrollò le spalle. «Sono tutte cose che
possono aspettare» replicò, con noncuranza.
Harry
inarcò un sopracciglio.
«Io
voglio aiutarti» aggiunse Liz, «e se
non c’è niente che posso fare, allora è
quello che farò: niente. Ma non ti lascio da solo».
Lui
si voltò dall’altra parte, accigliato.
Le
parole dirette di Liz lo avevano colpito. Avrebbe voluto protestare
che lui non aveva bisogno di aiuto, ma la sua lingua rifiutava di
pronunciare una frase simile.
Così,
il giovane tacque a lungo, e infine disse una cosa
– una cosa sola, ma che bastò a far sì
che l’angolo delle labbra di Liz si sollevasse appena:
«Okay».
Per
un po’, rimasero in silenzio entrambi.
Harry
continuava a pensare che fosse una situazione assurda…
E a forza di rigirarsi quel pensiero nella mente, cominciò a
rilassarsi, mentre i ragionamenti più cupi che gli avevano
tenuto compagnia dalla mattina iniziavano a dissolversi.
Alla
fine, il ragazzo decise di rompere il silenzio.
Se
proprio stare solo era fuori discussione, almeno preferiva non
sentirsi a disagio nella propria camera.
«Bernard
ha detto che dovevi farmi vedere una cosa»
osservò.
Liz
si girò immediatamente a guardarlo. «Oh,
sì!» disse, illuminandosi.
Infilò
la mano nella propria borsa, estraendone un DVD dalla
copertina lucida.
«Tadan!»
esclamò, e Harry non
poté che meravigliarsi di fronte alla rapidità
con cui cambiava umore. «Ecco un film di mio padre».
Il
ragazzo corrugò la fronte, confuso. Gli era sfuggito
qualcosa? Da quando il padre di Liz faceva il regista?
Allungò
la mano, e Liz gli cedette il DVD.
Harry
esaminò la copertina, poi alzò gli occhi
sulla ragazza. «Questo è un film di Woody
Allen» osservò.
Lei
sorrise. «Già».
«Woody
Allen non
è tuo padre» aggiunse
Harry.
Liz
fece spallucce, riprendendo il DVD. «Ah, no? Come puoi
esserne così sicuro?»
Lui
scosse la testa.
«Okay»
cedette Liz, «non è mio
padre. Però anche mio padre è un W. Allen. Si
chiama Wilson».
Se
Harry non si fosse sentito così stanco, probabilmente
avrebbe sorriso.
«Comunque…»
riprese Liz.
«Padre o non padre, ti va di vederlo?»
Harry
gettò una nuova occhiata al titolo, “Basta
che funzioni”.
Non
lo conosceva. A quel punto, tanto valeva…
«D’accordo».
A
quella risposta, Liz gli rivolse un enorme sorriso, ed Harry,
riluttante, si disse che forse, in fondo, avrebbe potuto perdonarle la
sua intrusione.
Note:
Okay.
La battuta: “Wow. E lo ripeto: wow”, credo venga da
un qualche cartone animato (o forse era “Ahi. E
lo ripeto, ahi” o qualcosa del genere >_>), ma
al momento non riesco propria a fare il collegamento e a capire quale
sia il suddetto cartone… Un eventuale suggerimento in
proposito sarebbe graditissimo :D EDIT: Grazie mille a Enide, che mi ha illuminato: la battuta viene da Anastasia :D
Le frasi in corsivo all’inizio del capitolo sono tratte da
“Chasing Cars” (canzone tristissima ;_;) degli Snow
Patrol.
“Basta che funzioni”, infine, è davvero
un film di Woody Allen. Film che personalmente adoro.
A sabato 6 aprile col nuovo aggiornamento! =)
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Capitolo 12 *** Rivelazioni ***
Capitolo
12 – Rivelazioni
Il giorno
successivo, a pomeriggio inoltrato, Mary Jane si
recò a casa di Peter, nel distretto di Chelsea.
Salì
le scale con una mano sulla ringhiera, mentre i gradini
scricchiolavano ad ogni suo passo.
Sul
pianerottolo, trovò Ursula, intenta a mettere a posto il
telefono.
Nell’udire
dei passi dietro di sé, la ragazza dai
codini biondo sporco si voltò, aprendosi in un sorriso
emozionato.
«Oh,
ciao, Mary Jane!» la salutò, col
consueto ed entusiastico calore che riusciva sempre a stupire la
giovane dai capelli rossi. «Sei venuta a trovare
Peter?»
Mary
Jane annuì.
«Ne
sono contenta» asserì Ursula, con
occhi brillanti, «e scommetto che Peter ne sarà
ancora più felice…»
Mary
Jane non poté fare a meno di sorridere.
«Grazie».
Quella
ragazza le piaceva: le dava sempre la sensazione di essere la
benvenuta, e il genuino entusiasmo di Ursula per la storia tra lei e
Peter le scaldava il cuore.
La
salutò amichevolmente, quindi si diresse verso la porta
della stanza di Peter e bussò con forza. «Peter?
Sono MJ».
La
voce del giovane giunse dall’interno
dell’alloggio: «Arrivo subito!»
La
ragazza si appoggiò alla porta e la forzò, ma
come sospettava era ancora incastrata. Tuttavia, con un colpo secco
alla maniglia, riuscì a spingerla in avanti e ad entrare,
incespicando per la resistenza che era venuta improvvisamente a mancare.
Dal
canto suo, Peter si stava avviando verso la porta, così
Mary Jane si ritrovò subito tra le braccia del fidanzato.
«Tutto
bene?» le domandò Peter, con un
largo sorriso.
«Più
che bene» replicò lei,
strofinando per un istante il viso contro la camicia di lui.
«E
questo ti farà stare ancora meglio»
annunciò il ragazzo, rimettendola gentilmente in piedi.
«Ho sentito Harry, ieri sera… E lui ha borbottato
qualcosa su Liz, che l’avrebbe costretto a guardare una
commedia di Woody Allen».
Mary
Jane aggrottò la fronte, sorpresa.
«Ma… come? Quando?»
«Ieri
pomeriggio» rispose Peter, trionfante.
«Pare che sia andata da lui e gli abbia imposto la propria
presenza».
La
ragazza sbatté le palpebre, cercando di assorbire la
notizia.
Ripensò
a quando Liz le aveva detto di dover fare una visita
a domicilio… E si scoprì a scuotere la testa con
un sorriso. Avrebbe
dovuto immaginarlo.
«Sai»
aggiunse Peter, invitandola ad accomodarsi
sul suo letto, «non pensavo che l’avrei mai detto,
ma… Liz Allen sta davvero iniziando a piacermi».
Mary
Jane rise.
«Di
sicuro» proseguì il ragazzo,
«mi piace che stia facendo amicizia con Harry. Ha bisogno di
un po’ di vita sociale».
«E
questo è strano detto da te… Lo sai,
non è vero?» commentò Mary Jane,
dandogli un buffetto scherzoso sulla guancia.
Lui
annuì. «Lo so, lo so».
La
ragazza gli sorrise, poi tornò seria. «Comunque
ne sono felice anch’io» ammise. «Credo
che sia un bene per tutti e due».
Peter
aggrottò la fronte. «In che senso?»
Mary
Jane fece spallucce. «Non so… è
che Liz mi sembra un po’… non lo so,
evasiva… su quello che ha fatto in questi ultimi
anni…»
«Forse
l’ha morsa un ragno radioattivo»
ipotizzò Peter, guadagnandosi uno scappellotto dalla sua
fidanzata.
«Non
credo proprio» lo ammonì Mary Jane.
«Okay,
scusami» rispose il giovane. «Ma
è inutile fare speculazioni…»
La
ragazza si morse il labbro inferiore. «Forse».
«Ah»
aggiunse Peter, «poi ti sei messa
d’accordo con tua madre?»
Immediatamente,
Mary Jane guardò altrove.
«Perché cambi argomento?»
Peter
si accigliò. «Chi è evasiva,
adesso?»
La
ragazza riportò gli occhi su di lui. Sapeva che non
c’era motivo di evitare l’argomento, ma una vita
passata a cercare di nascondere suo padre l’aveva spinta a
reagire in quel modo. «Sì, l’ho
chiamata» affermò. «Vado a pranzo da
lei».
«MJ,
lo sai che non sei obbligata a dire a tuo padre
del…»
Lei
passò un braccio attorno alle spalle del fidanzato.
«Lo so benissimo, Peter, ma penso… penso sia una
cosa che voglio fare».
Peter
annuì, rassicurato.
In
quel momento, la radio accesa sul comodino – sintonizzata
come al solito sulle frequenze della polizia –
ronzò ed annunciò che c’era una rapina
in corso.
Peter
si raddrizzò come se fosse stato punto da una
tarantola – sensazione che, dopotutto, non gli era
così estranea.
«Che
dire?» domandò Mary Jane,
facendogli l’occhiolino. «Falli secchi,
tigre».
Dopo
che il giovane si fu dileguato, Mary Jane decise di fare una
telefonata a Liz.
La
ragazza bionda rispose dopo qualche squillo.
«Pronto?»
Mary
Jane si alzò dal letto, e il pavimento di legno
scricchiolò appena. «Liz? Sono MJ, ti
disturbo?»
«No,
non preoccuparti» replicò
vivacemente l’altra. «Sto solo navigando un
po’ in internet per passare il tempo…»
«Ho
sentito che sei stata a trovare Harry, ieri»
affermò Mary Jane, senza preamboli.
«Oh».
Liz rimase in silenzio per un momento.
«Come l’hai saputo?»
«Ho
le mie fonti» replicò Mary Jane, per
poi capitolare: «Harry l’ha detto a Peter, che
l’ha detto a me».
Liz
rise appena. «Forse avrei potuto
arrivarci…»
«Posso
chiederti com’è
andata?» domandò Mary Jane.
La
ragazza bionda tacque per un istante. «Be’,
diciamo che all’inizio sembrava volermi gettare
giù dalla finestra» disse poi, in tono onesto.
«Ma alla fine credo si sia divertito… Almeno un
pochino».
Mary
Jane si ritrovò a fare un sorriso colmo di sollievo.
«Allora sono contenta che tu sia passata da lui».
«Sì…
be’… Lo sai
che il tuo fidanzato ha fatto a Spider-Man delle foto niente
male?» chiese Liz, in tono sin troppo innocente.
«Lo
so» replicò Mary Jane.
«Liz, stai per caso cercando di cambiare argomento?»
«Ovviamente»
rispose Liz. «Dico sul
serio, però. Sono sull’archivio online del Daily
Buglie, e sto dando un’occhiata a qualche articolo con le sue
fotografie. Spider-Man dovrebbe essere grato di avere un fotografo
simile».
Mary
Jane sorrise. «Probabilmente lo è»
disse, pensando al fatto che scattarsi foto da solo era il solo mezzo
che Peter aveva per guadagnarsi il pane. «Ma in fondo se lo
merita».
Dall’altro
capo del filo le arrivò un silenzio
improvviso.
La
ragazza corrugò la fronte. «Liz?»
chiamò.
Si
chiese se fosse caduta la linea.
«Liz?»
riprovò. «Va tutto
bene?»
In
quel momento, udì una sorta di respiro, come se Liz si
fosse riscossa di colpo.
«Io…»
cominciò la ragazza
bionda, prima di interrompersi. «Sì.
Sì, va tutto bene… MJ, ti dispiace se ti richiamo
stasera? Devo andare in ospedale».
Mary
Jane sbatté le palpebre, interdetta.
«D’accordo» rispose. «Ma sei
sicura che vada tutto…?»
Non
riuscì a finire la frase: Liz aveva riattaccato.
Un
po’ perplessa, la ragazza dai capelli rossi
abbassò lo sguardo sul display del proprio cellulare.
Intanto,
nel suo appartamento, Liz aveva posato lentamente il telefono
sulla propria scrivania.
Pallida
in viso, aveva rialzato gli occhi azzurri sul computer.
Sullo
schermo, un articolo del Daily Bugle pubblicato qualche anno
prima dava bella mostra di sé, coronato da una foto di
Norman Osborn, il padre di Harry.
Ma
era stato il titolo, scritto a caratteri cubitali, a far
sì che Liz raggelasse.
SPIDER-MAN UCCIDE ILLUSTRE UOMO
D’AFFARI.
La
ragazza deglutì a vuoto, incapace di staccare lo sguardo
da quelle lettere.
Un
ciuffo biondo le ricadde davanti al viso, ma lei era troppo
frastornata per farci caso. Quindi
il padre di Harry era stato ucciso?
Stravaccato
sul divano, Harry stava dando un’occhiata ad un
contratto.
Un’industria,
infatti, aveva avanzato la proposta di
procedere con una fusione con la OsCorp.
In
tutta sincerità, il giovane dubitava che fosse
un’idea vantaggiosa. Così, per poter avanzare in
consiglio delle obiezioni mirate, stava cercando di avere il quadro
completo della situazione.
Con
un sospiro, mise da parte un foglio. In quel momento,
udì un lieve colpo di tosse dalla soglia, e alzò
gli occhi verso la porta.
«C’è
la signorina Allen,
Harry» lo informò Bernard. «Le ho
già aperto il portone, sembrava abbastanza
agitata».
Harry
sbatté le palpebre, stupito. «Va bene,
Bernard» disse. «Va’
all’ingresso, per favore…. Io ti raggiungo non
appena avrò finito di riordinare questi documenti».
Bernard
gli rivolse un cenno rispettoso, quindi si avviò
lungo il corridoio.
Harry
si alzò in piedi, raggruppando i fogli sparsi sul
divano e mettendoli in ordine, per poi chiuderli in una carpetta.
Dopodiché,
si diresse verso l’ingresso.
Già prima di arrivare a destinazione, iniziò ad
udire le voci dell’amica e del proprio maggiordomo.
«È
un piacere rivederla, signorina
Allen» stava dicendo Bernard, con gentilezza.
«Grazie»
replicò la ragazza, in tono
distratto, «ma può chiamarmi Liz».
Harry
cercò di non pensare che, se aveva un udito un
po’ più fine della media, lo doveva
all’assunzione della Formula di Goblin.
Quando
finalmente arrivò nell’atrio, che si
allargava ai piedi delle scale che partivano dall’ascensore,
Liz e Bernard avevano appena finito di scendere gli ultimi gradini.
Harry
si avvicinò, notando che l’aspetto della
ragazza non era dei migliori. Il viso di Liz, infatti, era pallido e
teso, e lei sembrava piuttosto inquieta.
«Liz»
esordì il giovane, sorpreso,
chiedendosi cosa diavolo potesse essere accaduto. «Che
succede?»
Lei
lo fissò per un istante, poi deglutì.
«Devo parlarti» affermò, in tono urgente.
«Ma
certo» replicò Harry, perplesso,
mentre Bernard si allontanava con discrezione per lasciarli soli.
«Vieni…»
Inaspettatamente,
lei gli afferrò la mano, stringendola
forte.
Harry
inarcò le sopracciglia, sempre più
sorpreso, ma non disse nulla, e la guidò sino al salotto.
A
quel punto, esaminò il viso della ragazza, valutando la
sua espressione. «Sembri sconvolta»
osservò, iniziando a sentirsi un po’ preoccupato.
«È successo qualcosa?»
Automaticamente,
fece un cenno verso il divano, un invito ad
accomodarsi.
Liz,
però, restò in piedi, e gli
lanciò uno sguardo intenso e compassionevole al contempo. «Oh,
Harry!» esclamò poi, senza fiato.
«Scusami, io… Non avevo idea del fatto
che… Se solo ci avessi pensato… se lo avessi
saputo, io…»
Si
interruppe e scosse la testa, sempre più agitata.
«Non
so… Io vorrei poter fare qualcosa
per…»
«Calma,
Liz» suggerì Harry,
interrompendo quel flusso di parole incoerenti. Ora si stava
preoccupando sul serio. «Trai un bel respiro e comincia da
capo».
Per
un istante, gli occhi azzurri della ragazza esaminarono il suo
volto con fare quasi disperato. Poi, pian piano, il suo sguardo si fece
più controllato.
Liz
inspirò a fondo come Harry le aveva suggerito, ma la sua
espressione si fece impotente, come se non riuscisse proprio a
riordinare le idee.
Il
giovane aveva una strana impressione. Gli
sembrava che Liz, da una parte, avrebbe preferito tacere, ma che
dall’altra ci fosse qualcosa che la spronava a parlare.
Liz
indugiò ancora per qualche momento, senza sapere da che
parte cominciare. Alla
fine, però, il pensiero che premeva affinché
lei parlasse – qualunque fosse – parve avere la
meglio.
«Harry»
esordì la ragazza, titubante,
«tuo padre…»
La
reazione del giovane fu immediata. Un istante prima era chino verso
la ragazza, un istante dopo si tirò indietro, irrigidendosi.
Liz
deglutì e cercò di ricominciare.
«Harry, tuo padre è…» Si
interruppe, respirò profondamente e terminò la
domanda: «È stato ucciso?»
Harry
la fissò, con aria interdetta. Si
sentì un idiota, perché in effetti non aveva
considerato che l’amica volesse chiedergli una cosa del
genere.
Liz
sembrò fraintendere il suo silenzio.
«Scusa» si affrettò a dire infatti, con
aria terribilmente confusa, «ma ho trovato online alcuni
articoli che parlavano della sua morte… Dicevano che era
stato assassinato… E il Bugle accusava Spider-Man, ma ho
pensato che non potesse essere vero, perché Peter gli fa le
fotografie… E tu, lui e Mary Jane siete andati alla
celebrazione in suo onore… Poi ho visto che altri giornali
non davano per certo che fosse lui l’assassino…
Uno diceva che la polizia sospettava che fosse coinvolto,
l’Herald Star si domandava se fosse vittima o assassino,
e… E…»
Harry
si rese conto di non averla mai vista tanto sconvolta. Gli
sembrava quasi che stesse per mettersi a piangere.
«Poi…
c’erano degli articoli che
dicevano che Goblin ha assassinato dei membri della OsCorp»
aggiunse Liz. «E tuo padre dirigeva l’azienda, ed
è morto, e tu…» Si interruppe di nuovo,
guardandolo con disperazione, poi sussurrò: «Tuo
padre è stato ucciso da Goblin?»
Harry
sentì che un’ombra compariva sul suo viso, e
abbassò lo sguardo per nasconderla a Liz.
Rimase
immobile per qualche istante, poi tornò ad alzare gli
occhi. «Sì»
affermò, con lentezza.
«Sì, è così».
Liz
sussultò. «Harry, io…»
disse, con un fil di voce, una pena infinita dipinta sul volto.
«Io… Mi dispiace tanto».
«Non
importa» replicò il ragazzo,
incrociando le braccia sul proprio petto. «Non
preoccuparti».
Improvvisamente,
il metro scarso che c’era tra lui e Liz gli
parve una distanza enorme.
«Ma
perché, Harry?» domandò
la ragazza, in un gemito. «Goblin ce l’ha con la
OsCorp?»
A
dispetto dell’aria ansiosa di Liz, Harry non
provò affatto l’impulso di tentare di consolarla.
Al contrario, sentì una punta di fastidio, il desiderio di
scrollarsi di dosso quella situazione.
Quell’insofferenza
lo colpiva spesso, quando veniva obbligato
a pensare al passato.
Avrebbe
voluto che Liz non insistesse.
La
ragazza, però, continuava a fissarlo con apprensione, e
infine si decise a dar voce alle proprie parole. «Se
è così, non credi che potrebbe…
giungere anche a te?»
E
finalmente, Harry comprese l’inquietudine e
l’insistenza della ragazza.
Non
era lì per commiserarlo a causa del suo passato,
realizzò, non era lì per fargli da
infermiera… Era preoccupata per lui, come amica.
Di
colpo, il fastidio del giovane scomparve, sostituito dalla
sensazione che un grosso peso gli fosse stato tolto dal cuore.
Improvvisamente,
lei non gli sembrava più così
lontana.
Per
un istante, Harry contemplò l’idea di
risponderle che Goblin era già giunto a lui. Ma non sarebbe
stata una replica comprensibile, e di certo non avrebbe rassicurato Liz.
«Non
preoccuparti, Liz» disse perciò,
stupendosi per il tono che gli uscì dalle labbra.
«Goblin se n’è andato. Non
tornerà più».
La
ragazza lasciò andare un respiro. Non
gli domandò come potesse esserne sicuro, limitandosi a
rilassarsi visibilmente.
E
fu un bene, perché Harry non ne era affatto sicuro. Ci
sperava, certo, ma era uno dei suoi incubi più ricorrenti.
«Scusami
se sono… piombata qui in questo
modo» disse infine Liz, a disagio.
Lui
alzò le spalle. «Non importa»
replicò, «eri preoccupata».
Liz
abbozzò un sorriso imbarazzato. Adesso
che il momento di tensione era passato, iniziava a vergognarsi
un po’ della propria agitazione.
Quando
l’aveva colpita l’ipotesi che, da qualche
parte, potesse esserci uno psicopatico assassino che prendeva di mira i
dirigenti della OsCorp… Per qualche motivo, si era
spaventata tanto da sentirsi mancare il fiato.
Prima
di quel momento, non si era resa conto di tenere tanto ad Harry.
Certo, gli voleva bene e tutto… Ma non si aspettava che
l’ipotesi che il ragazzo fosse in pericolo avrebbe potuto
farla andare nel panico in quel modo.
«Vuoi
qualcosa da mangiare?» offrì Harry
in quel momento. «O da bere?»
«Sono
a posto» replicò lei.
«Ma se vuoi potrei prepararti un caffè».
Il
ragazzo inarcò un sopracciglio. «Vuoi
avvelenarmi, per caso?»
Lei
emise un risolino stentato. «Hai ragione, non sono brava
a preparare i caffè… Ma scommetto che tu non sia
da meno».
Lui
sorrise. Fu un sorriso breve, ma spontaneo.
«Liz,
se credi che io abbia un maggiordomo perché
sono ricco, ti sbagli. Ho un maggiordomo perché, senza di
lui, non riuscirei a sopravvivere un solo giorno».
E
in fondo, era più vero di quanto Liz potesse sospettare.
Note:
Piccoli capitoli crescono… :D
Insomma, per la mia media, questo è abbastanza lungo.
Spero che sia stato bello da leggere.
E mi scuso per il ritardo a pubblicare, ma ieri ho avuto la casa invasa
da esseri quali zii e cugini, e sono stata tenuta lontana dal
pc…
Bien, a sabato 13 aprile! (Speriamo…)
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Capitolo 13 *** Dubbi e chiarimenti ***
Capitolo 13 – Dubbi e
chiarimenti
Nei giorni che seguirono, Harry ebbe
la netta sensazione che la
conversazione su suo padre avesse abbattuto un qualche genere di muro
tra lui e Liz.
In
un certo modo, il giovane iniziava a sentirsi più a suo
agio in compagnia della ragazza… E Liz, da parte sua,
sembrava essere più che grata del fatto che Harry avesse
parlato con lei invece di respingerla, e lo ripagava con una confidenza
allegra e sincera.
In
quel periodo, iniziò a chiamarlo più volte.
Spesso
erano telefonate brevi, ritagliate tra un turno ospedaliero e
l’altro, ma talvolta riuscivano a fare delle vere e proprie
chiacchierate.
La
maggior parte delle volte era Liz a parlare: non perché
fosse di natura molto loquace, ma perché sapeva che Harry
preferiva ascoltare.
Così,
gli raccontava gli episodi più bizzarri ai
quali assisteva sul lavoro, e alcuni aneddoti sulla propria infanzia.
Il
giovane si aspettava che essere cercato così spesso lo
avrebbe irritato, invece scoprì che quelle telefonate non
gli dispiacevano.
Poco
ma sicuro, lo distraevano da pensieri ben peggiori.
Dopo
un po’, gli tornò in mente la sera in cui
erano andati a teatro, e l’oscura confidenza che Liz gli
aveva fatto in Rolls Royce.
Tu… Se ci fosse qualcuno a
cui vuoi bene… molto
bene… E quel qualcuno avesse bisogno di te… E tu
provassi ad aiutarlo, ci provassi davvero, ma non servisse a
niente…
Quasi
inconsciamente, allora, iniziò ad aspettarsi che la
ragazza reintroducesse quel discorso, possibilmente per
chiarirlo… Ma Liz non lo fece mai.
Qualche
volta, sembrò avvicinarsi all’argomento,
senza però arrivare mai ad affrontarlo davvero.
Harry
poteva capirlo, poiché sapeva benissimo quanto poteva
essere difficile parlare di qualcosa, specie con qualcuno che si
conosceva da poco tempo.
Perciò
non ne faceva una colpa alla ragazza, se lei non
riusciva a introdurre il discorso.
Più
che altro, aveva l’impressione che lei se ne
facesse una colpa.
Come
se si sentisse rea di nascondergli qualcosa quando lui si era
aperto con lei… Quando quel ragionamento lo sfiorava, Harry
avrebbe voluto sbattere la testa contro il muro più vicino.
Liz
credeva che lui fosse stato completamente sincero con lei, ma non
era affatto vero.
C’erano
moltissime cose che non le aveva detto. Certo, non
gli era sembrato di mentirle, quando le aveva detto che suo padre era
stato ucciso da Goblin… ma era una verità a
metà.
Quando
quei pensieri iniziavano a turbinare nella sua testa, Harry si
sentiva un idiota.
Era
riuscito a trovare un’amica. Un’amica alla
quale sembrava far piacere sentirlo. Un’amica che lo
distraeva raccontandogli quando, da bambina, aveva lanciato
giù dalla finestra un paio di scarpe nuove.
Perché,
invece di ridere con lei, si faceva tanti problemi?
“Male,
Osborn” si rimproverò
mentalmente, sfregandosi le tempie. “Stai diventando
paranoico”.
«Va
tutto bene, signore?»
Al
suono di quella voce, Harry alzò lo sguardo.
«Mmm? Sì, Bernard, tutto bene».
Il
vecchio maggiordomo lo osservò per un momento, poi si
avvicinò al tavolo, tirò indietro una sedia e
occupò il posto di fronte a quello del ragazzo.
«Sembra
preoccupato, Harry».
Il
giovane sorrise stancamente. «Non è
niente».
Bernard
non lo contraddisse, limitandosi ad aspettare.
Dopo
qualche istante, Harry capitolò. «E va bene,
è qualcosa».
Il
maggiordomo annuì.
Il
giovane indugiò, osservando di sottecchi l’uomo.
Non
era mai stato il tipo da confidarsi, lui.
Eppure,
ricordò, all’epoca in cui aveva iniziato
ad uscire con Mary Jane, Benard era stato il primo a saperlo. Il primo
a cui Harry aveva detto quanto lei era fantastica.
Certo,
la situazione attuale era diversa e Liz non era Mary Jane. Non
sarebbe mai stata quel che la ragazza coi capelli rossi era stata per
lui… Però era sua amica, e forse parlare dei
propri deliri mentali lo avrebbe aiutato a far chiarezza su quei
pensieri.
E
Bernard era sempre stato un ottimo ascoltatore.
«Ecco…
Si tratta di Liz…»
iniziò infine il ragazzo, ancora un po’
riluttante. «Penso che lei si senta in debito con me, in un
certo senso».
Il
vecchio maggiordomo non disse nulla, ma le rughe sulla sua fronte si
fecero più marcate.
«Le
ho parlato di mio padre» affermò
allora Harry, fissando il piano del tavolo.
Stavolta,
Bernard non poté rimanere in silenzio.
«Di suo padre, signore?» chiese, con una certa
cautela.
«Sì,
ma…» Il giovane
scrollò le spalle, sempre senza guardarlo. «Le ho
detto che è stato ucciso da Goblin».
Nel
pronunciare quell’ultima frase, la sua voce si fece
inespressiva.
Seguì
un silenzio quasi assordante.
«Comunque»
riprese Harry alla fine,
«credo che a Liz sia successo qualcosa… Prima che
ci conoscessimo, intendo… E penso si senta in dovere di
parlarmene perché io le ho raccontato di mio
padre».
Bernard
tacque un attimo, prima di domandare: «Dunque lei si
sente in colpa perché crede che la signorina Liz pensi di
doverle qualcosa?»
Harry
annuì. «Sì, perché in
realtà non mi deve niente».
Bernard
lo osservò. «E di questo ne ha parlato con
lei?»
«No…»
Il ragazzo alzò lo
sguardo e si rilassò appena sopra la sedia. «In
realtà sono tutte mie supposizioni».
Il
vecchio maggiordomo scosse la testa, e quasi sorrise. «Lei
suppone troppo, Harry» disse, con una punta di affetto.
«Ci sono già fin troppe cose che la
preoccupano… Cerchi di non aggiungerne altre, se non
è necessario».
Harry
sbatté le palpebre.
«Se
la signorina Liz vorrà parlarle di quanto le
è accaduto, suppongo lo farà quando
sarà pronta» concluse il maggiordomo.
«Se posso darle un consiglio, le dico questo: non ci
pensi».
Harry
aggrottò appena la fronte.
«…Capisco».
Bernard
gli rivolse un sorriso e si alzò.
«Signore» disse, con un cenno del capo, prima di
iniziare ad allontanarsi.
«Ehi,
Bernard!» lo chiamò indietro il
ragazzo.
L’uomo
anziano si girò verso di lui.
«Sì, Mr. Osborn?»
Harry
si strinse nelle spalle. «Grazie».
Quando
il maggiordomo se ne fu andato, il giovane raccolse i propri
pensieri, e concluse che Bernard aveva ragione. Si stava preoccupando
troppo.
Lui
e Liz si conoscevano da poco… Era probabile che
l’esitazione della ragazza fosse dovuta a questo, e non ad un
fantomatico senso di colpa.
Il
ragazzo si strofinò il volto, osservando ironicamente tra
sé e sé che avrebbe dovuto allenarsi duramente,
se voleva imparare a godersi l’attimo.
Reduce
di un turno sfiancante, Liz era accasciata sul proprio letto.
Il
suono del campanello le strappò una sorta di mugolio.
«Sono
stremata!» si lamentò ad alta
voce, rivolta a nessuno in particolare, prima di trascinarsi
giù dal letto e fino alla porta.
Immaginava
si trattasse della vicina del piano di sopra, che cercava
sempre di assicurarsi la sua presenza alle riunioni condominiali con
settimane di anticipo…
Invece
si trovò di fronte Mary Jane.
«MJ?»
domandò, ogni ritrosia svanita per
lasciar posto allo sconcerto. «Che ci fai qui?»
La
ragazza entrò nell’appartamento
dell’amica senza rispondere. Era pallida, e continuava a
passarsi una mano tra i capelli arruffati.
«Hai
un aspetto orribile» commentò
preoccupata Liz, senza pensarci.
Mary
Jane passò il proprio peso da una gamba
all’altra, poi guardò l’amica dritto in
faccia.
«Sto
facendo uno sbaglio?» chiese, senza preamboli.
Liz
credette di aver capito male. «Cosa?»
domandò, mentre guidava l’altra ragazza verso il
salotto.
«Sposandomi»
spiegò Mary Jane, quando
entrarono nella stanza. «Sto facendo uno sbaglio?»
La
ragazza bionda la fissò, e sentì una fitta di
agitazione. «Okay, aspetta… Credevo che avessimo
chiarito che non avevi il panico da matrimonio».
Mary
Jane si mise le mani tra i capelli e si sedette sul divano.
«Forse mi sta venendo adesso».
«Oddio».
Liz la guardò con aria
preoccupata, quindi si accomodò accanto a lei.
«Senti, MJ, la risposta è: no, non stai facendo
uno sbaglio. Cioè, se ai tempi delle medie mi avessi
manifestato il tuo desiderio di accasarti con Peter Parker, ti avrei
fatta ricoverare, ma… Lo sai, ero
un’idiota».
Mary
Jane la fissò, inarcando un sopracciglio.
«Insomma,
non lo conoscevo» rettificò
Liz. «E probabilmente non lo conosco neanche adesso,
però… Diavolo, MJ, dopo avermi detto che hai
mollato un altro all’altare per lui, non puoi tirarti
indietro!»
La
ragazza abbozzò un sorriso, anche se i suoi occhi
restarono stanchi. «Ne parli come se ti stessi facendo un
torto personale…»
Liz
assunse un’aria imbarazzata.
«Be’…»
Mary
Jane sospirò, e guardò verso
l’alto sbattendo le palpebre. «Sono stata a pranzo
da mia madre, oggi» disse alla fine.
La
comprensione passò negli occhi azzurri di Liz, e lei si
diede dell’idiota per non averci pensato subito. «E
tuo padre non è stato ragionevole come avevi
sperato» dedusse, sommessamente.
Mary
Jane si girò dall’altra parte e si
passò una mano sotto gli occhi in un gesto stizzito.
«Non lo è stato affatto»
replicò, quasi con rabbia. «E io ho
pensato… ho pensato… Mia madre era
felice… Era sicura, quando lo ha sposato… Ed
erano giovani, e guarda com’è
finita…»
Liz
le posò una mano sul braccio, cercando di comunicarle un
po’ di conforto.
«Anche
io e Peter siamo giovani» aggiunse Mary Jane.
«Sì,
ma Peter non è tuo padre e tu non
sei tua madre» argomentò Liz, in tono ragionevole.
Sapeva
che era la cosa più scontata da dire, ma sapeva anche
che qualcuno doveva dirla.
Mary
Jane tornò a guardarla. «Tu credi dovrei
farlo, vero?»
«Sì»
rispose Liz, senza indugio,
«ma quello che credo io è meno importante di
quello che credi tu. Tu credi che dovresti farlo?»
Mary
Jane esitò. Quasi senza pensarci, iniziò a
giocherellare con l’anello di fidanzamento.
«Sì, ma…»
«Se
quel ma c’entra con tuo padre, non lo voglio
sentire» tagliò corto Liz.
«Però, certo, se basta un pranzo per farti
cambiare idea, forse non sei così innamorata come
pensavo».
Un
momento dopo averlo detto, avrebbe voluto rimangiarsi tutto
– come affermazione era stata un po’ troppo dura.
Proprio
quando aprì la bocca per ritrattare,
però, Mary Jane disse con decisione:
«Basta».
Liz
aggrottò la fronte, confusa. «Basta
cosa?»
Aveva
parlato troppo?
«Devi
smetterla di farmi condizionare da lui»
replicò Mary Jane. «Credevo che non me ne
importasse nulla di quello che diceva o pensava, e poi… Lui
grida contro di me e riesce a farmi venire dei dubbi sul mio
matrimonio. Non voglio più che sia così,
Liz».
La
ragazza bionda la fissò, impressionata dalla sua
determinazione.
«E
non lo voglio alle mie nozze» aggiunse Mary
Jane, dopo averci pensato su un istante.
Liz
annuì in silenzio.
Per
qualche istante, nessuna delle due aggiunse altro.
«Quindi
ti sposi?» azzardò alla fine la
ragazza bionda.
Mary
Jane la guardò e fece segno di sì, aprendosi
in un sorriso spontaneo. «Quindi mi sposo»
confermò.
Spazio dell’Autrice:
Buongiorno a tutti.
Scusatemi per la posticipazione dell’aggiornamento
(dirò solo una cosa: studio =S).
Devo dirlo: scrivendo questo capitolo, sono quasi arrivata ad odiare
Harry… Le sue seghe mentali sembravano prendere pieghe
assolutamente non programmate. Spero, in ogni modo, che il risultato
non sia troppo confusionario.
E lo confesso: la sua chiacchierata heart to heart con Bernard
(♥) non era affatto prevista. Vado a pregare di non essere
sprofondata nell’OOC u.u
Okay, non dico altro (a parte: “Non tiratemi scarpe, vi
prego!”) e me ne vado.
A sabato 20 aprile!
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Capitolo 14 *** Passo dopo passo ***
Capitolo 14 – Passo dopo
passo
«Hai mai rimpianto
qualcosa?»
Harry
fissò Peter come se l’amico fosse impazzito.
«Lo stai davvero chiedendo a me?»
L’altro
sbatté le palpebre. Per un istante, la sua
espressione fu colma di dispiacere, poi lui accennò un
sorriso di scuse. «Hai ragione» ammise.
Sospirò,
sistemandosi meglio sul divano.
«Sai?
Forse potremmo scriverci un’enciclopedia, sul
rimpianto».
Harry
sorrise appena. «Suppongo… Comunque, al
momento cos’è che rimpiangi?»
«Il
fatto di averti accompagnato all’incontro col
dottor Connors» rispose Peter, onestamente.
L’altro
aggrottò la fronte.
«Perché, scusa?»
«Perché
adesso mi sta evitando».
Harry
credette di aver capito male. «Prego?»
«Be’,
sai…» fece Peter,
scrollando le spalle. «Prima, se mi fermavo dopo la lezione
per fargli un paio di domande, era sempre disponibile…
Adesso, non appena mi vede avvicinarmi alla cattedra, è
tutto un “Scusami, Parker, devo andare”».
«Un
cervellone come te ha delle domande da fare a fine
lezione?» chiese Harry. «Accidenti. Il corso del
professor Connors dev’essere bello tosto».
Peter
gli indirizzò uno sguardo di rimprovero.
«Harry».
«Sì,
scusa». Il giovane Obsorn si
raddrizzò, passandosi una mano sotto il mento. Le sue dita
indugiarono appena sulle cicatrici che gli segnavano il lato destro del
collo, ma lui era più impegnato a far capire a Peter che ora
stava prendendo il problema molto seriamente. «Senti, forse
ha altre cose da fare. Non è detto che ce l’abbia
con te – in fondo non ne avrebbe ragione. Voglio dire,
è stata la OsCorp a rifiutare il suo progetto…
Tutt’al più potrebbe avercela con me».
«Già,
però…»
rimuginò Peter ad alta voce.
Harry
fece un sorrisetto. «Lo sai che adesso sei tu a
rivestire la parte del paranoico? È un interessante
rovesciamento dei ruoli».
Peter
gli sbatté addosso uno dei cuscini del divano, ma non
poté fare a meno di sorridere a propria volta.
«Questo
è un comportamento decisamente
infantile» sostenne Harry. «Specie per un uomo in
procinto di sposarsi».
Peter
storse il naso. Se qualcuno – chiunque – gli
avesse chiesto chi era più infantile tra lui ed Harry, lui
avrebbe puntato senza indugio il dito sull’amico.
Dopotutto,
lui non avrebbe mai saltato un appuntamento col
fisioterapista perché non era
“dell’umore giusto”, mentre Harry aveva
trovato la maniera di farlo appena tre giorni prima.
Tuttavia,
poiché aveva già ampiamente illustrato
all’amico cosa pensava di quella sua bravata, Peter decise di
lasciar correre.
«A
proposito del matrimonio» disse invece, colto da
un pensiero improvviso, «sai che MJ aveva deciso di invitare
suo padre?»
Harry
alzò lo sguardo e annuì. «Me
l’avevate accennato, sì».
«Ecco,
ha cambiato idea».
L’altro
corrugò appena la fronte.
«Davvero?»
«E
non solo» rispose Peter, «ieri sera ha
telefonato a sua madre e le ha dato una specie di ultimatum».
«A
sua madre?»
Peter
annuì. «Le ha detto che, se vuole venire al
matrimonio, deve lasciare il marito».
Harry
non cercò in alcun modo di nascondere la propria
sorpresa. «MJ ha detto questo a sua madre?»
Strano.
La
ragazza voleva molto bene a sua madre, sebbene la decisione della
donna di non separarsi dal proprio marito l’avesse sempre
fatta soffrire.
Soprattutto
tramite Peter, Harry era venuto a sapere delle liti
continue dei genitori di Mary Jane, ed entrambi gli amici sospettavano
che il signor Watson non fosse il tipo che perdeva molto tempo prima di
venire alle mani.
Non
per la prima volta, Harry si chiese se Mary Jane fosse mai stata
maltrattata fisicamente, da bambina.
Probabilmente
no. In caso contrario, sospettava che lei – una
volta cresciuta, chiaramente – non avrebbe aspettato molto,
prima di denunciare il genitore alle autorità.
«Le
ha detto questo» confermò Peter,
distogliendo l’amico dalle proprie elucubrazioni.
«Se vuoi, posso fornirti i dettagli: MJ ha voluto che fossi
con lei, durante la telefonata».
Harry
fece un breve cenno di diniego. «Non ce
n’è bisogno» disse.
Passò
le dita sul bordo ricamato del cuscino che Peter gli
aveva lanciato addosso poco prima.
«E
allora?» chiese quindi. «Cosa credi
che farà Mrs. Watson?»
Peter
sospirò. «Francamente? Non ne ho idea. Per
MJ, però, spero che si decida a fare come sua figlia le ha
suggerito».
Quel
pomeriggio, Harry si recò in ospedale per vedere il
proprio fisioterapista.
L’uomo
– al contrario di Peter – non fece
commenti sul fatto che il ragazzo avesse voluto rimandare il loro
ultimo appuntamento.
A
fisioterapia conclusa, Harry si diresse verso l’uscita
dell’ospedale.
Trovava
snervante l’infinita successione di corridoi e rampe
di scale… Si supponeva che lui non dovesse stancarsi,
giusto? Allora perché lo studio del fisioterapista non era
un po’ più vicino all’ingresso?
Il
suono di una voce familiare lo riscosse da quei pensieri.
Si
guardò attorno, scorgendo Liz qualche passo davanti a
lui, davanti alla porta di un laboratorio medico.
Si
arrestò, senza rendersi conto del fatto che –
sino a qualche settimana prima – avrebbe tirato dritto
fingendo di non averla vista.
La
ragazza stava parlando con un medico dai capelli scuri, che si
teneva appoggiato con disinvoltura alla maniglia della porta.
Harry
la osservò ridere col proprio collega, e si disse che
probabilmente erano amici… Se non di più.
Quell’ultimo
pensiero, spuntato da chissà dove, lo
lasciò di stucco.
Il
giovane aggrottò la fronte, realizzando che, in fondo,
era possibile che Liz fosse fidanzata senza che lui ne sapesse nulla.
Davanti
ai suoi occhi, il medico si congedò dalla ragazza,
entrando nel laboratorio.
Quando
la porta si fu chiusa alle sue spalle, Harry annullò
in pochi passi la distanza tra lui e Liz.
«Ciao».
La
ragazza si girò verso di lui con espressione sorpresa.
«Harry!» esclamò, aprendosi in un
sorriso. «È bello vederti! Che ci fai
qui?»
Lui
scrollò le spalle. «Fisioterapia».
Liz
annuì, e il giovane accennò col mento verso
la porta. «Ho notato che non ti fai pregare, se puoi
divertirti sul lavoro».
«Se
tu facessi l’infermiera» rispose lei,
«coglieresti al volo ogni occasione di svago».
«E
il dottore ti dà corda, invece di
rimproverarti?»
Liz
agitò una mano. «Oh, quello è il
dottor Ross» disse, come se ciò spiegasse tutto.
«È sempre molto gentile. Tra
l’altro» proseguì, illuminandosi,
«abbiamo appena realizzato che è fidanzato con un
mio ex compagno di corso… Che adesso è finito a
fare l’infermiere non so dove».
Harry
impiegò qualche istante, prima di accorgersi di
essersi bloccato a fissarla. «È
fidanzato» ripeté.
Lei
lo fissò, accigliandosi appena. «È
quello che ho detto… Perché?»
«Niente»
replicò lui, con una scrollata
di spalle. «Se non fosse stato impegnato, forse avrebbe
potuto essere un buon partito per te. I medici guadagnano abbastanza, o
sbaglio?»
Questa
volta, Liz gli diede un pugno leggero sul petto.
«È molto gentile, da parte tua, insinuare che
potrei fidanzarmi con qualcuno solo per i soldi che porterebbe a
casa» commentò, caustica.
Harry
non sorrideva spesso, perché quel gesto gli faceva
sentire la durezza della propria carne e dei muscoli facciali, ma in
quel momento non poté farne a meno.
«Ehi,
voglio solo che tu sia felice»
scherzò.
La
ragazza inarcò un sopracciglio. «E per questo
mi consiglio un matrimonio d’interesse e non di
amore?»
Harry
annotò un punto a favore della ragazza: non aveva
tutti i torti. «Forse è poco logico?»
«Non
è logico per niente» rispose lei,
scrollando la testa bionda.
Il
giovane si passò una mano tra i propri capelli scuri e
arruffati. «Ti facevo più cinica».
«Oggi
ti diverti proprio a farmi dei complimenti,
vero?» domandò lei.
Harry
si strinse nelle spalle. «Se vuoi, posso dirti che hai
un bel sorriso» propose, senza pensarci.
Liz
rise con aria incredula. «Okay» gli disse,
«forse dovrei tornare al lavoro, prima che questa
chiacchierata degeneri ulteriormente».
Il
giovane scosse la testa. «Se questo è il modo
in cui di solito accogli i complimenti» osservò,
«non ti meravigliare se la gente non te ne fa più.
O se sei ancora single».
Aggrottò
la fronte. Il fatto che Liz non fosse fidanzata col
dottor Ross, non implicava necessariamente che non fosse fidanzata con
nessun altro.
«Perché
sei ancora single, vero?»
«Nient’affatto»
rispose Liz,
improvvisamente molto seria. «Visto che non ho mai niente da
fare, vado a una festa dopo l’altra, e una notte ho
conosciuto questo affascinante buttafuori…»
Harry
la fermò alzando una mano.
«D’accordo, Liz, ho ricevuto il
messaggio» disse, in tono divertito.
Se
a risollevarlo fosse stata l’ironia della ragazza, o il
realizzare che effettivamente non era fidanzata, non lo sapeva nemmeno
lui.
«E
tu» esordì Liz, «fammi
capire… Mi stai dicendo che sono single non
perché non conosco quasi nessuno, ma perché non
so apprezzare i complimenti».
Harry
annuì. «Esattamente».
Lei
parve stupita, poi lo guardò quasi con
curiosità. «Quindi eri sincero?»
«Sì,
perché no?»
replicò Harry, rendendosi conto – non senza un
lieve stupore – che era la verità: Liz aveva
davvero un bel sorriso.
Lo
meravigliava il fatto che la ragazza fosse tornata al complimento
che lui le aveva rivolto.
Liz,
da parte sua, sembrò colpita, ma poi accennò
un sorriso. «Okay, allora… Grazie».
«Figurati».
La
ragazza gli sorrise più apertamente, dopodiché
gettò un’occhiata alla propria sinistra.
«Mi dispiace, Harry, ma adesso credo di dover davvero tornare
al lavoro…»
Lui
le indirizzò un gesto galante.
«Prego».
Lei
gli sorrise di nuovo. «È stato bello
vederti» lo salutò, prima di avviarsi –
quasi di corsa – lungo il corridoio.
Harry
la seguì con lo sguardo, sentendo un sorriso premere
all’angolo delle sue labbra.
In
fondo, era stato bello anche per lui.
Spazio dell’Autrice:
Grazie a Odino, oggi non ho un niente da dire :D
Quindi mi limito ad augurarmi che il capitolo vi sia
piaciuto… E a darvi appuntamento a sabato 27 aprile!
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Capitolo 15 *** Raccolta fondi ***
Capitolo 15 – Raccolta fondi
Appollaiata su una sedia girevole,
una gamba piegata sotto il sedere e
l’altro piede ben ancorato al pavimento, Liz stava
scartabellando una pila di moduli.
«Dove
cavolo…?» imprecò, tra
sé e sé.
«Liz,
va tutto bene?»
La
ragazza alzò gli occhi, trovandosi a ricambiare lo
sguardo preoccupato di una giovane donna dai lineamenti orientali e i
capelli neri lunghi e lisci.
«Sha
Shan» fiatò Liz, prima di
ricordarsi della domanda dell’altra. «Ah,
sì, tutto bene, devo solo recuperare un modulo per il dottor
Ross».
«Se
mi dici di che si tratta, posso darti una mano»
offrì la donna.
Liz
scosse la testa. «No, ti ringrazio, ma credo di poterci
riuscire. Spero».
L’altra
annuì, abbozzando un sorriso.
«Va bene» disse, agitando la mano e avviandosi
verso il corridoio. «Ci vediamo!»
«Sì»
le gridò dietro Liz,
prima di riabbassare gli occhi sui moduli.
Se
doveva essere sincera, Sha Shan la metteva un po’ in
soggezione. Era senza dubbio una bella donna, ma erano soprattutto la
sua sicurezza e la sua calma ad impressionarla.
Sapeva
ben poco di lei, a parte il fatto che veniva dal Vietnam e
faceva la fisioterapista.
Fisioterapista…
Liz si rigirò la parola in testa,
e alla fine capì che le aveva fatto tornare in mente Harry.
Be’,
per fortuna Sha Shan non era la fisioterapista del
ragazzo… o lei si sarebbe decisamente sentita in ansia.
Scosse
la testa, cercando di scrollar via quel pensiero.
Prima
che ci potesse riuscire, le capitò finalmente
sottomano il modulo giusto – l’elenco dei membri
del personale che negli ultimi giorni erano stati nel laboratorio del
terzo piano.
Liz
lo sventolò davanti al proprio volto, sollevata.
“Eccoti
qui”.
Un’ulteriore
gioia fu guardare l’orologio e
osservare che ormai il suo turno era giunto alla conclusione.
La
ragazza si alzò e si diresse spedita a consegnare il
foglio al dottor Ross. Dopodiché, si liberò del
proprio camice, si sciolse i capelli e si avviò verso
l’uscita.
A
metà strada, fu intercettata da una persona molto
familiare. «Ehi, Liz!»
La
ragazza si accigliò appena. «MJ? Che ci fai
qui?»
Mary
Jane rise. «Anch’io sono felice di
vederti».
A
quelle parole, Liz accennò un sorriso.
«Sì, scusami… Ho appena finito al turno
e sono un po’ scombussolata».
«Quanto
scombussolata?» indagò
l’amica.
Liz
si strinse nelle spalle. «Non saprei… Non
troppo, credo».
«Bene!»
esclamò Mary Jane.
«Perché Harry ha bisogno del nostro supporto
morale».
La
ragazza bionda aggrottò la fronte. «Supporto
morale?» ripeté, interrogativa.
Aveva
visto Harry solo il giorno prima, e le era sembrato che stesse
piuttosto bene. Certo, era anche vero che il giovane sembrava capace di
cambiare umore abbastanza in fretta.
«Supporto
morale» confermò Mary Jane.
«Sta
poco bene?»
Guidandola
verso le porte dell’ospedale, Mary Jane scosse la
testa. «Be’» concesse poi,
«forse dipende dai punti di vista. Tra due ore ha una
raccolta fondi per la OsCorp».
«Okay»
mormorò Liz, confusa.
«Raccoglie un po’ di soldi, questo non
è… un bene?»
Mary
Jane fece una lieve smorfia. «Potrebbe»
rispose, «ma se conosco Harry, non dev’essere molto
entusiasta… Forse possiamo tirarlo su, se andiamo da
lui».
In
quel momento, le due ragazze uscirono all’aria aperta, e
Liz si strinse istintivamente nella propria giacca.
Il
cielo di New York era di un grigio pallido. E il vento, per quanto
leggero, era piuttosto freddo.
«MJ…
ha senso tutto questo?» chiese Liz,
affrettandosi per tenere il passo dell’amica.
«Insomma, noi non siamo facoltose o qualcosa del
genere…»
«Tu
sì» obiettò Mary Jane,
con un lieve sorriso.
«Un
tempo» grugnì Liz. «Stavo
dicendo, non mi sembra un’ottima idea, imbucarci in una
raccolta fondi».
Mary
Jane si fermò. «Liz» disse, in tono
accorato, «credimi. Harry avrà bisogno del nostro
sostegno. Per questo andiamo. Per tenere alto il suo morale, non il suo
conto in banca».
Liz
guardò l’amica, incapace di proferir
parola… E alla fine capitolò.
«D’accordo» disse, in un sospiro.
«Viene anche Peter?»
Mary
Jane scosse la testa. «No, lui è
all’università…»
E
fu così che, due ore più tardi, si ritrovarono
alla raccolta fondi.
Se
Liz avesse dovuto descrivere quel salone con una sola parola,
avrebbe optato per “lucido”.
Ogni
singola superficie, dalle piastrelle del pavimento, ai quadri
appesi alle pareti, al tavolo dove dava mostra di sé il
più ricco dei buffet, sino ai bicchieri di champagne che
alcuni camerieri portavano da una parte all’altra della
stanza, sembrava scintillare.
La
ragazza cercò di non mettersi a fissare le persone che
popolavano la sala.
I
loro vestiti eleganti, le risate un po’ troppo squillanti e
le chiacchiere cortesemente affettate le ricordavano alcune feste per
l’inaugurazione di alberghi e club…
Senza
riuscire ad evitarlo, si ritrovò a ricordare quando
suo padre le aveva insegnato a ballare proprio in vista di quelle
occasioni.
Si
riscosse con un piccolo brivido, e sentì una lieve scossa
di panico.
Per
un istante, le era sembrato di riconoscere il genitore in un uomo
dai capelli scuri con un paio di baffi ben curati…
“Smettila”
si rimproverò. “Non
è lui. Sì, è ricco, ma non avrebbe
motivo di essere qui…”
Così
come, a dire il vero, un motivo non ce
l’aveva nemmeno lei, pensò, scoccando
un’occhiata a Mary Jane.
L’amica
indossava un vestito verde scuro che contrastava
meravigliosamente con la sua pelle chiara e i suoi capelli fulvi, e si
guardava attorno nel tentativo di individuare Harry.
Giusto.
Harry.
Liz
si morse il labbro. In effetti, ammise reclutante, lei ce
l’aveva, un motivo per trovarsi lì.
Anche
se non riusciva ancora a credere di essersi fatta convincere.
Mentre
Mary Jane borbottava qualcosa sul fatto che l’amico
non si vedeva da nessuna parte, Liz sorprese un paio di uomini intenti
a fissarle.
Infastidita,
ricambiò apertamente lo sguardo, costringendoli
a distogliere gli occhi.
In
quel preciso istante, la borsetta di Mary Jane iniziò a
vibrare insistentemente.
La
ragazza dai capelli rossi aggrottò la fronte e
armeggiò sino a recuperare il proprio cellulare.
«Chi
è?» chiese Liz, senza troppo
interesse.
L’altra
si strinse nelle spalle, rispondendo:
«Pronto?»
Un
istante dopo, la sua espressione distratta – ancora
focalizzata sui gruppetti di gente – si fece attenta, quasi
tesa. «Mamma» sussurrò lei.
Liz
sbatté le palpebre e fissò l’amica.
Mary
Jane si ricompose in fretta, schiarendosi la gola. «Cosa
c’è?» chiese, suonando quasi fredda.
Si
morse il labbro inferiore, ascoltando la risposta.
«Dove?»
Liz
si accigliò, cercando di interpretare
l’espressione dell’amica. Avrebbe dato qualsiasi
cosa per sapere cosa stava dicendo la signora Watson.
Poi
Mary Jane annuì: «Va bene. Vengo subito
lì. Impiegherò cinque minuti, penso…
Dieci al massimo. Sì, ci vediamo. Ciao».
Su
quella nota, chiuse la chiamata.
«Allora?»
domandò Liz.
«Mia
madre» rispose l’altra, quasi senza
fiato. «Vuole parlare con me. Credo sia per dirmi
cos’ha deciso… riguardo a mio padre».
«Accidenti»
commentò la ragazza bionda,
a corto di altre considerazioni.
Mary
Jane sembrava molto nervosa, indecisa se sperare o aspettarsi il
peggio. Tuttavia, riuscì a rivolgere un lieve sorriso a Liz
e a posarle una mano sulla spalla. «Allora, io
vado… Mentre tu stai qui e cerchi Harry».
La
ragazza bionda sgranò gli occhi. Quella era una
conseguenza che non aveva considerato…
«Che
cosa?» esclamò, prima di riuscire a
fermarsi. «Vuoi lasciarmi qui da sola?»
Mary
Jane la fissò, sorpresa dal suo tono stridente.
Gettò una rapida occhiata ai milionari che le circondavano.
«È pieno di gente, qui, Liz»
osservò. «Non direi che sei sola».
Liz
si morse il labbro, apparentemente imbarazzata della propria
reazione. «Sì, ma… cosa dovrei
fare?»
La
ragazza dai capelli fulvi le rivolse un sorriso incoraggiante.
Dopo
la telefonata di sua madre, si era aspettata che Liz avrebbe
cercato di rassicurarla in tutti modi… E invece sembrava che
il ruolo della consolatrice fosse ricaduto sulle sue spalle.
Stranamente,
la cosa non le dispiaceva. La aiutava a non angustiarsi
troppo al riguardo dell’incontro che la attendeva.
«Fa’
quello che avremmo fatto insieme»
disse, accennando un sorriso. «Trova Harry. E dagli tutto il
tuo supporto».
«Okay»
rispose Liz, passando le mani sul tessuto
azzurro del proprio vestito.
«Guai
a te se scappi via, saresti una pessima
amica» aggiunse Mary Jane, ma non riuscì a
sorridere un’altra volta. Non riusciva più a
cacciare il pensiero di sua madre in un angolo, e la cosa la faceva
sentire molto nervosa.
«Grazie
mille» fece Liz, con una smorfia.
Per
poco, Mary Jane si scordò di rispondere.
«Prego» disse alla fine, voltandosi verso
l’uscita e iniziando ad incamminarsi.
«MJ!»
Si
bloccò e si girò verso Liz.
La
ragazza bionda sembrava appena essersi ricordata di una cosa, e la
guardò con un sorriso di scuse. «Andrà
tutto bene, vedrai».
Mary
Jane si sentì rabbrividire, e mimò la
replica con le labbra: «Lo spero».
Dopodiché,
si voltò e si avviò con
passo più sicuro.
Liz
seguì MJ con lo sguardo sinché
poté. Poi l’amica scomparve oltre la porta, e lei
tornò a girarsi a malincuore verso il centro della sala.
Bene.
Ora doveva smetterla di pensare a suo padre. E doveva smetterla
anche di rimuginare con Mary Jane – per quanto
l’idea di rintanarsi in un angolino e trascorrere il resto
della serata a preoccuparsi per l’amica le sembrasse
allettante.
Trovare
Harry.
Okay.
Poteva farcela.
Giocherellando
con una ciocca dei propri capelli biondi,
iniziò a spostarsi lungo la stanza.
Le
reminescenze dei ricevimenti organizzati dai suoi genitori tornarono
a galla, ricordandole come esaminare le persone che aveva attorno senza
sembrare indiscreta.
E
alla fine, lo trovò.
Era
vicino al tavolo del buffet. Teneva in mano un calice di champagne,
e annuiva con aria assente all’uomo che aveva di fronte.
Liz
non perse tempo, dirigendosi verso il ragazzo.
Si
fermò a qualche passo di distanza, cogliendo alcuni
stralci della conversazione:
«…progetto… straordinario…
lo stanziamento…»
Forse,
più che conversazione, sarebbe stato più
corretto chiamarla monologo.
Harry,
infatti, non apriva bocca, limitandosi ad annuire o a scuotere
la testa ogni tanto.
Liz
assottigliò i propri occhi… Quella situazione
le ricordava le volte in cui si era ritrovata a dover aspettare che sua
madre finisse di parlare con qualcuno, perché interrompere
due adulti che chiacchieravano era estremamente maleducato.
Non
appena l’interlocutore di Harry fece una pausa, Liz fu
pronta ad approfittarne.
Era
diventata brava, in quello.
«Mr.
Osborn!» interloquì, con una
vivacità che non sentiva. «Sono Elizabeth Allen,
è un piacere conoscerla!»
Harry
la guardò con aria stranita.
Ignorando
l’occhiata in stile che-cosa-stai-facendo
dell’amico, Liz si rivolse all’uomo che fino a quel
momento aveva parlato con Harry.
«Interrompo
qualcosa?» chiese, in tono innocente.
L’altro
sbatté le palpebre.
«No… no, avevamo finito».
La
ragazza sorrise – era diventata brava anche nel gestire la
propria espressione. «Perfetto… Allora non le
dispiacerà, se le rubo il signor
Osborn…»
Lui
scosse la testa. «No, certo che no» disse,
prima di rivolgere un cenno ad Harry: «A presto, Mr.
Osborn…»
Harry
ricambiò il saluto con la massima cortesia, poi
inarcò le sopracciglia e guardò l’altro
allontanarsi.
Infine,
diede un fischio sommesso.
«Brava»
commentò, rivolto a Liz.
«Dove l’hai imparato?»
«Be’…»
esitò lei,
mentre il giovane svuotava rapidamente il proprio calice di champagne.
«Sai, i genitori ricchi… Davano molte
feste».
Harry
si passò il dorso della mano sulle labbra, quindi
aggrottò la fronte. «Certo» disse.
«E posso chiederti cosa fai qui?»
Liz
notò con sollievo che non sembrava seccato, ma soltanto
incuriosito.
«È
stata un’idea di MJ»
spiegò. «Pensava che ti servisse supporto morale.
Era venuta anche lei, ma poi è dovuta correre da sua
madre».
«Oh».
Dal modo in cui il giovane emise quel suono,
e da come si accigliò, Liz capì che lui sapeva
dell’ultimatum che la rossa aveva dato a Mrs. Watson.
Con
un gesto veloce, gli prese di mano il calice vuoto e lo
poggiò sul tavolo. «Speriamo che vada
bene» sospirò.
«Sì»
le fece eco Harry, con la fronte
aggrottata.
«Comunque»
aggiunse Liz, cercando di alleggerire
l’atmosfera – in fondo, era lì per
tenere alto il morale dell’amico, «ti stai
divertendo?»
Lo
sguardo che Harry le rivolse fu più eloquente di mille
discorsi, e la ragazza si lasciò scappare un sorriso.
«Okay,
domanda stupida» ammise.
Harry
annuì. «Un momento prima che tu
arrivassi» disse, «stavo giusto cercando il modo di
andarmene…»
«Ma
non puoi andartene» obiettò Liz,
«è la tua raccolta fondi».
«Veramente»
replicò Harry, accennando
col mento ad un signore barbuto poco lontano, «è
la sua raccolta fondi».
Liz
aggrottò la fronte. «E lui chi
sarebbe?»
Il
giovane si strinse nelle spalle. «Un membro di rilievo del
consiglio» rispose. «Una persona
adorabile».
«Così
adorabile da scusare una tua eventuale
assenza?» chiese la ragazza.
Harry
si incupì. «Temo di no».
Liz
tacque, osservando il ragazzo. All’apparenza, Harry
sembrava un po’ di malumore, forse appena
annoiato… Dal modo in cui il suo sguardo continuava a
spostarsi, però, Liz capì che era più
inquieto di quanto desse a vedere.
La
ragazza ripensò alla sua riluttanza a stare in mezzo alla
gente, e si morse il labbro, iniziando a lambiccarsi il cervello.
Forse,
se lei…
Harry,
da parte sua, sentendo che Liz non replicava, si girò
a guardarla.
E
proprio in quel momento la ragazza emise come un ansito sorpreso,
lasciandosi cadere sulle proprie ginocchia.
«Liz?»
chiese Harry, in tono allarmato.
«Non…
respiro…»
boccheggiò lei, portandosi una mano al petto. «Mi
gira… la testa… Mi gira la testa!»
Il
giovane si chinò istintivamente su di lei, mentre con la
coda dell’occhio notava che qualcuno dei presenti si era
girato verso di loro.
Rapido,
alzò lo sguardo. «Qualcuno può
chiamare un’ambulanza?»
La
mano di Liz, però, gli agguantò il braccio.
«No!» esclamò lei. Poi, in tono
più normale, mentre i suoi occhi saettavano verso il
pubblico che aveva guadagnato: «No, credo… di aver
solo… bisogno di un po’
d’aria…»
E
riprese ad ansimare come se non riuscisse a riempirsi i polmoni.
Un
uomo si avvicinò di qualche passo, gettando
un’occhiata preoccupata alla ragazza inginocchiata a terra.
«Va tutto bene, Mr. Osborn?»
Harry
aiutò Liz ad alzarsi, mentre lei continuava a premersi
una mano sul petto e ad emettere dei suoni strozzati.
«Sì» disse il giovane, sperando fosse
vero. «La accompagno fuori». Detto ciò,
rivolse la propria attenzione all’amica. «Ce la
fai?»
Lei
annuì senza dire niente, appoggiandosi a lui.
Mentre
passavano in mezzo al gruppetto di persone che si erano
avvicinate per assistere, Liz premette il volto contro la spalla di
Harry.
Non
appena le porte del salone si furono chiuse dietro di loro, la
ragazza si raddrizzò, staccandosi dal giovane.
Harry
la fissò.
Liz
aveva le guance paonazze, e le labbra le tremavano.
Ogni
sorta di gemito, però, era cessato, e lei sembrava
stare benissimo – rossore a parte.
«Oddio!»
squittì la ragazza, nascondendo
il volto tra le proprie mani. «Non posso credere di averlo
fatto davvero!»
Davanti
a una simile reazione, Harry aggrottò la fronte.
«Che cosa vuoi dire?»
Liz,
per tutta risposta, riemerse dalle proprie mani, e il giovane
poté vedere che stava… stava ridendo.
«Aspetta»
le disse, «stavi fingendo,
prima?!»
Lei
cercò inutilmente di controllare le proprie risate
soffocate. «S…sì»
riuscì a dire, con le guance sempre più scarlatte.
Harry
scosse la testa, incredulo. «Tu sei completamente
matta».
Liz
si premette una mano sulla bocca, e dopo un po’
riuscì a smettere di ridere. «Volevi andartene,
no? Ti ho fornito una scusa».
Lui
non seppe cosa replicare. «Certo che sei una grande
attrice» commentò alla fine.
A
quelle parole, Liz si posò le mani sulle guance.
«Ti prego, non dirlo» disse. «Stavo
morendo di vergogna… Tutte quelle persone che ci
guardavano!»
«Okay,
ma forse è meglio andare a casa mia, prima
che qualcuno venga a controllare come stai»
osservò Harry.
Liz
annuì, cercando di trattenere un sorriso.
«Dopo di lei».
Il
ragazzo scosse la testa. «Andiamo insieme»
replicò. «Sei una testa calda, e non voglio
perderti di vista un solo istante».
Nel
giro di una decina di minuti, arrivarono a casa Osborn.
Liz
non poté fare a meno di notare quanto le stanze
sembrassero buie e vuote. «Bernard non
c’è?» domandò, aggrottando la
fronte.
Harry
scosse la testa, guidando la ragazza verso il salotto.
«Ogni tanto anche lui ha diritto a riposare»
rispose, in tono neutro.
«Mi
sembra giusto» mormorò Liz.
Il
giovane le indirizzò un’occhiata obliqua.
«Già» disse, con voce strana.
La
ragazza non poté fare a meno di pensare che Harry,
probabilmente, avrebbe preferito avere il suo maggiordomo sempre
attorno.
D’altro
canto, come biasimarlo?
Stare
da solo in una casa così grande non doveva essere il
massimo.
Una
volta che si furono accomodati sul divano, Harry lasciò
andare un gran sospiro. «Immagino di doverti
ringraziare» ipotizzò.
Liz
cercò di sistemare la gonna del proprio vestito azzurro.
«Veramente» disse, scrollando le spalle,
«l’idea del supporto morale è stata di
Mary Jane».
Per
qualche motivo, il nome della ragazza sembrò far
sorridere Harry. «Non che io abbia niente contro il supporto
morale» disse lui, «ma sgattaiolare via
è ancora meglio».
Liz
emise un sospiro teatrale, fingendo di asciugarsi una lacrima.
«Il capo della OsCorp e il suo cuore
d’oro» fece, in tono melodrammatico.
«Sempre pronto a soccorrere una damigella in
pericolo…»
Harry
storse il naso, ma non prima che un sorriso gli attraversasse
brevemente il volto. «Sembri più una fuorilegge, a
dire il vero» commentò. «Lo facevi
spesso, durante i ricevimenti dei tuoi genitori?»
Liz
gli scoccò un’occhiata. «In
realtà» puntualizzò, «non
avevo mai fatto una cosa simile in vita mia… E mai la
rifarò, probabilmente».
Harry
sospirò. «Peccato».
«E
tu?» chiese Liz. «Ce l’hai,
qualche dote di attore?»
“Immagino
di sì” pensò lui,
“considerando New Goblin e tutto il
resto…”
«Non
direi» rispose invece. «Quando mio
padre cercava di farmi frequentare una scuola privata, se volevo
saltare una lezione non inventavo nessuna scusa. Nessun falso
svenimento, nessun malore simulato. La saltavo e basta».
«E
poi chiami me fuorilegge» commentò
Liz. «A quanto pare anche il rampollo Osborn ha una vena
ribelle…»
Harry
sorrise stancamente. «Sorpresa?»
«Veramente
no» rispose Liz. «Ricordo un
certo paziente che, molto astutamente, decise di fare le scale invece
di prendere l’ascensore».
«Stai
bene con quel vestito, sai?» tentò
Harry. «S’intona ai tuoi occhi».
«Ribelle
e evasivo» osservò la ragazza.
«Sei una miniera di pregi. Mi piaci».
Harry
inarcò un sopracciglio. A differenza del tono
scherzoso con cui aveva iniziato a parlare, Liz aveva pronunciato
l’ultima frase con fin troppa serietà.
«Allora
sei una delle poche persone che la pensa
così» commentò il giovane, asciutto.
Liz
poggiò il mento sul dorso della propria mano destra,
piantando il gomito sulla propria gamba. «Giusto, quasi
dimenticavo» mormorò, meditabonda.
«L’autocommiserazione».
Harry
scosse la testa. «E dire che ieri ti sei lamentata
perché ti facevo troppi complimenti… Non pensi di
stare esagerando?»
Liz
abbozzò un sorriso. «Hai ragione.
Scusami».
«E
perché tu lo sappia» aggiunse Harry,
«la mia non è autocommiserazione. È
realismo».
Liz
scosse la testa. «Sì?» chiese,
raddrizzandosi. «Allora dai, senza pensarci: dimmi una
persona a cui non piaci».
La
risposta gli uscì dalle labbra prima che lui riuscisse a
trattenerla: «Mio padre».
Subito
dopo, il giovane si morse l’interno della guancia.
L’aveva
detto piano, però… Forse Liz
non aveva sentito.
Gli
bastò un’occhiata all’amica,
però, per capire che aveva sentito eccome.
Lei
era raggelata – non c’era altro modo di
descrivere la maniera in cui si era immobilizzata – e lo
fissava ad occhi sgranati.
«Che
cosa?» sussurrò.
Harry
si mosse sul divano, avvertendo un certo sconforto.
Da
quando era così incapace di controllare la propria lingua?
«Mio
padre» rispose, con voce misurata.
«Non gli piacevo molto».
«Ma
Harry, non è detto che…»
iniziò prevedibilmente a contraddirlo la ragazza.
«Liz»
la fermò lui. «Per
favore. Tu non lo conoscevi, io sì. E ti dico che avrebbe
preferito mille volte avere un figlio come Peter, piuttosto che avere
me».
Il
suo sguardo si distolse dalla ragazza, scivolando verso la parete
più vicina.
Ci
fu un lungo silenzio.
Poi
Liz ebbe uno scatto nervoso. «Be’,
forse…» iniziò, ma si bloccò
subito.
Aggrottando
la fronte, Harry riportò gli occhi su di lei.
«Cosa?»
La
ragazza si morse il labbro. «Forse non vuol
dire» mormorò alla fine. «Insomma,
io… io piacevo un sacco ai miei genitori, davvero».
Harry
sollevò le sopracciglia, ma non disse nulla.
«Voglio
dire, per mio padre ero una sorta di principessa, e
mia madre non mi adorava meno di lui» aggiunse Liz.
La
sua mano si strinse sul bracciolo del divano.
«Ed
è finita lo stessa» concluse lei.
Harry
non poteva negare di sentirsi un po’ a disagio, ma allo
stesso tempo preferiva mille volte parlare di Liz, che non di se stesso.
Improvvisamente,
realizzò una cosa.
Nei
suoi aneddoti sulla propria infanzia, Liz non gli aveva mai parlato
dei suoi genitori.
Non
davvero, almeno… Li aveva nominati un paio di volte,
come figure marginali, distanti. Così distanti…
«Vuoi
parlarne?» le chiese, quietamente.
Lei
lo fissò. «Io… be’,
sì» disse. «Il fatto è che
sono così… arrabbiata.
Voglio dire, avevo un
ottimo motivo per fare l’infermiera, non è stato
uno stupido colpo di testa o qualcosa del genere… Ma credi
che a loro sia importato?»
Harry
non disse nulla – in fondo, Liz non aveva davvero
bisogno di una risposta.
«Non
gli è importato affatto, e invece mi hanno
posto le loro belle condizioni… “Se lo fai,
Elizabeth, puoi anche scordarti di noi”…»
Quando
incrociarono quelli di Harry, gli occhi azzurri della ragazza
sembravano bruciare d’indignazione, di rabbia repressa.
«Non
è giusto» concluse Liz, con voce
strozzata.
Il
giovane lasciò andare un respiro. «Immagino di
no».
Lei,
allora, si strinse debolmente nelle spalle, come per cercare di
sminuire il proprio sfogo. «Quindi, vedi, anche dei genitori
che vanno pazzi di te possono deluderti».
«È
dura» si sentì dire Harry,
e nemmeno lui sapeva se si stava riferendo alla propria condizione o a
quella di Liz.
La
ragazza annuì. «Non c’è
niente di peggio che essere deluso da chi ami».
Harry
sentì un brivido lungo la spina dorsale. Per un
istante, sentì una forte empatia nei confronti della
ragazza… E d’istinto, mentre la sua anima sembrava
protendersi verso di lei, lui si ritrasse.
Era
così abituato a distaccarsi da chi lo
circondava… Quella sensazione non lo aveva soltanto colto di
sorpresa: lo aveva fatto sentire come se qualcosa gli avesse fatto
perdere l’equilibrio.
A
quel punto, Liz stirò le labbra in un sorriso tirato.
«Okay» disse, «ora che si fa,
affinché la serata non si blocchi in uno stallo di letale
imbarazzo?»
Harry
prese la palla al balzo. «Si inizia a parlare di
stupidaggini, è ovvio» rispose.
Liz
si sistemò un ciuffo biondo dietro l’orecchio.
«È ovvio» concordò.
«Il difficile, immagino, sarà trovare un
argomento».
Dentro
di sé, il giovane concordava. Per certi versi, lo
sfogo di Liz gli aveva dato la sensazione che la sua mente si fosse
congelata di colpo.
«Vuoi
che ti racconti di quella volta in cui ho mandato
Bernard a una raccolta fondi al posto mio?» propose infine.
Liz
si sistemò più comodamente sul divano, e il
suo sorriso si fece più genuino. «Sei un
disastro» commentò lei, scuotendo la testa.
«Sì, dai, racconta. Questa la devo
sapere!»
Note:
Eccomi! =)
Allora: Sha Shan è un personaggio dei
fumetti di Spider-Man.
Una ragazza che Flash Thompson incontra in Vietnam durante il servizio
militare.
In un numero abbastanza recente del fumetto (di uno o due anni fa),
è riapparsa in una storia come fisioterapista.
Da lì, l’idea di farle fare una comparsa in questa
fanfiction.
Per il resto, spero che il capitolo vi sia piaciuto!
A sabato 4 maggio!
P. S. Quasi dimenticavo: ho modificato un po’
l’inizio della seconda parte dello scorso
capitolo… Niente di drastico, gli avvenimenti restano
identici, ho solo sistemato un po’ di passaggi che mi
sembravano poco scorrevoli ^^
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Capitolo 16 *** Qualcosa ***
Capitolo
16 – Qualcosa
Harry era in camera sua, seduto alla
propria scrivania.
Forse
era strano, ma in passato aveva utilizzato quel tavolo molto
raramente…
Ai
tempi della scuola, aveva iniziato a studiare seriamente dopo aver
conosciuto Peter… E la maggior parte delle volte, quando
doveva prepararsi per interrogazioni e simili, si recava nella casa
dell’amico a Forest Hills.
Poi
si era trasferito in un appartamento con Peter, e
quand’era tornato permanentemente a casa Osborn dopo la morte
di suo padre, aveva preso l’abitudine di utilizzare
l’ex studio del genitore…
Ora,
tuttavia, eccolo lì.
Davanti
a lui, non c’erano contratti della OsCorp,
né tantomeno compiti scolastici.
C’era
solo un foglio, dov’era stampata la Formula
di Goblin – così come in origine era stata scritta
da suo padre e dal suo collega, Mendell Stromm.
Per
quanto detestasse ammetterlo, Harry non sapeva proprio da che parte
iniziare per correggerla.
Non
aveva la più pallida idea di dove fosse
l’errore.
A
cosa erano dovuti gli effetti collaterali della Formula?
Dov’era
la pecca?
E
come se i suoi dubbi non bastassero, non riusciva a concentrarsi come
avrebbe voluto.
Gli
sembrava che, invece di quel foglietto, fosse ben altro a ballargli
davanti agli occhi: le immagini del giorno in cui aveva trovato suo
padre sul pavimento del proprio studio…
Ricordava
il lieve gemito che era sfuggito all’uomo mentre
lui lo aiutava ad appoggiarsi al pouf lì vicino…
Ricordava la voce della donna che si era precipitata nella stanza,
annunciando che Stromm era stato ucciso, e che la tuta da volo e
l’aliante erano stati rubati.
Lo
spettro improvviso di una risata, lieve come un fruscio ma
spaventosamente reale, gli fece accapponare la pelle.
Il
ragazzo alzò di scatto il capo, e guardò alle
proprie spalle.
Non
c’era nessuno, naturalmente.
Se
Goblin era presente da qualche parte, non era certo nella sua
stanza… Ma nella sua testa.
Harry
cercò di rilassarsi, ma era più facile a
dirsi che a farsi.
Aveva
i muscoli tutti tesi, e…
L’improvviso
squillare del proprio cellulare gli
strappò un violento sussulto.
«Calmati»
sibilò a se stesso, battendo
una mano sulla propria guancia destra, per poi afferrare il proprio
telefonino. «Pronto?»
Dall’altro
capo, gli rispose l’ormai familiare voce
di Liz. «Ehi, Harry».
Harry
sentì un’irrazionale ondata di fastidio nei
confronti della ragazza. «Che
c’è?» sbottò.
Il
momento dopo, trasalì a causa del tono che gli era uscito
dalle labbra.
Per
un istante, Liz ammutolì. «Va… va
tutto bene?» chiese alla fine.
La
sua voce non aveva più la nota ottimista di poco prima.
Sembrava esitante, incerta.
Harry
si impose di inspirare profondamente. Quei ricordi dovevano
averlo scosso più di quanto pensasse…
«Sì,
è tutto a posto» si
costrinse a dire. «Mi hai solo sorpreso in un momento
di… frustrazione».
«Frustrazione?»
ripeté Liz, come se non
fosse del tutto sicura di poter chiedere un chiarimento in proposito.
“Ottimo
lavoro, Osborn” si disse Harry, tetro.
“Tu sì che sai come mettere i tuoi amici a loro
agio”.
«Nulla
di ché, un lavoro per la OsCorp»
affermò, cercando di assumere un tono più
leggero. «Non riesco a far quadrare le cose».
«Oh».
Quando
Liz non aggiunse altro, Harry strinse la presa sul cellulare e
si schiarì la gola. «Devi dirmi
qualcosa?»
«Sì,
si tratta di MJ… Io, te e Peter
Parker siamo invitati a casa sua» rispose Liz.
«Sai, no, che l’altro giorno ha parlato con sua
madre? Credo ci voglia aggiornare in proposito».
Harry
inarcò le sopracciglia. «E vuole dircelo di
persona?»
Non
sapeva decidere se si trattasse o meno di un buon segno.
«A
quanto pare» fu la quieta risposta di Liz.
Il
giovane si inumidì le labbra. «Okay. Quando
dobbiamo trovarci a casa sua?»
«Tra
mezz’ora circa» replicò
la voce della ragazza bionda.
Lo
sguardo di Harry cadde sul foglio che aveva davanti.
Di
colpo, il giovane si chiese perché Mary Jane non
l’avesse invitato di persona, affidando invece quel compito a
Liz.
«Va
bene, vedrò di essere puntuale»
sospirò infine.
«Okay»
disse Liz, «allora ci vediamo
lì».
«Ci
vediamo lì» confermò il
giovane, prima di chiudere la chiamata.
Per
qualche istante, restò a fissare la Formula di Goblin,
tamburellando le dita sul bordo del tavolo… Alla fine,
però, mise il foglio da parte.
Mary
Jane, si disse, pensando al sorriso della ragazza. Mary Jane aveva
la precedenza.
Quando
Harry bussò all’appartamento
dell’amica, fu Liz ad aprire la porta.
La
ragazza bionda gli rivolse un sorriso, ma sembrava un po’
preoccupata. «Eccoti» lo accolse, con voce piena di
sollievo. «Vieni, MJ ha voluto aspettare che arrivassi tu,
prima di dirci qualcosa…»
E,
senza troppi complimenti, lo afferrò per il braccio e lo
tirò dentro.
L’appartamento
di Mary Jane, anche se non molto sofisticato,
era certamente più spazioso di quello di Peter.
Consisteva
in un’ampia stanza, nella quale era compreso
l’angolo cucina, un tavolo, una scrivania, alcuni scaffali,
più un divanetto e una televisione.
Su
suddetta stanza, poi, si affacciavano due porte, che portavano
rispettivamente al bagno e alla camera da letto della ragazza.
Guardandosi
attorno, Harry sentì un piccolo brivido.
L’ultima
volta che era stato lì, l’aveva
guidato la sua vendetta contro Peter.
Si era nascosto nell’ombra,
attendendo il rientro della ragazza… E quando Mary Jane era
arrivata, l’aveva afferrata per il collo, sbattendola contro
il muro…
Rammentava
fin troppo bene lo sgomento negli occhi dell’amica.
Fortunatamente,
quell’immagine si dileguò quando
Liz lo spinse verso il divanetto su cui già era seduto Peter.
Harry
si accomodò accanto all’amico, e Liz prese
posto vicino a lui.
Fu
solo a quel punto che, finalmente, Harry riuscì ad alzare
gli occhi su Mary Jane, che stava in piedi di fronte al sofà.
La
ragazza aveva i capelli sciolti sulle spalle, e aveva
un’espressione seria. «Ciao, Harry».
«MJ…»
«Allora?»
domandò ansiosamente Liz.
Harry
sbatté le palpebre, e valutò il viso di
Mary Jane. Sembrava abbastanza tranquilla… o no?
Per
avere un altro indizio, scoccò un’occhiata
verso Peter. Il ragazzo non pareva molto turbato… Ma era
così perché era già al corrente di
com’erano andate le cose, o perché si stava
imponendo di non angustiarsi prima del tempo?
Mary
Jane buttò fuori tutto d’un fiato, come se
non potesse più trattenersi dal condividere
quell’informazione: «Mia madre ha deciso di
lasciare mio padre».
Harry
si rilassò di colpo contro il divano. Alla sua
sinistra, Liz ruppe in un sospiro colmo di sollievo, mentre alla sua
destra Peter si apriva in un gran sorriso.
«Per
questo vi ho fatto venire qui» aggiunse la
ragazza dai capelli rossi, prima che uno dei tre potesse dire qualsiasi
cosa, «per festeggiare».
Solo
in quel momento, Harry lanciò un’occhiata in
tralice verso il tavolo e notò la presenza di una ciotola
colma di pop-corn e di una bottiglia di Coca-Cola.
Liz
si alzò d’impeto dal divano per abbracciare
l’amica. «Direi che festeggiare è
d’obbligo!»
Adesso,
il sollievo di Mary Jane era evidente: continuava a sorridere,
e gli occhi chiari le brillavano…
Senza
aspettare gli altri due, le ragazze si avvicinarono al tavolo.
Harry
e Peter, dal canto loro, si scambiarono un’occhiata e
si alzarono dal divano, per poi raggiungerle.
«Ha
una sistemazione?»
s’informò Harry, prendendo una manciata di
pop-corn. «Tua madre, intendo».
In
caso contrario, pensò, avrebbe potuto provvedere lui ad
arrangiare qualcosa.
«Sì»
rispose però Mary Jane,
«si è trasferita da mia zia Anna».
Quel
nome fece drizzare la testa a Peter. «Anna?»
domandò lui. «Anna Watson?»
«Quante
zia Anna credi che io abbia?»
replicò Mary Jane.
«Anna
Watson è… la sorella di tuo
padre?» azzardò Liz, con la fronte aggrottata.
Mary
Jane annuì. «Sì, ma lei
è a posto».
In
quel momento, Liz ricordò che, in passato,
l’amica le aveva spesso accennato a questa zia, dalla quale
andava quando l’atmosfera casalinga si faceva troppo pesante.
«E
tu come la conosci?» aggiunse Harry, rivolto a
Peter.
Il
giovane scrollò le spalle. «Mia zia
May» disse, a mo’ di spiegazione. «Lei e
Anna Watson sono amiche».
Liz
diede a Mary Jane un secondo, rapido abbraccio. «Sono
contenta per te».
L’amica
le rivolse un sorriso. «Grazie».
Dopodiché,
la festicciola fu definitivamente inaugurata.
Seguendo l’esempio di Harry, che aveva già
provveduto a servirsi, anche gli altri iniziarono a mangiare pop-corn e
a bere Coca-Cola, col sottofondo di un rilassato chiacchierio.
Harry
non poté fare a meno di notare che, quando si
rivolgeva a Peter, Liz assumeva un’aria un po’
cauta e colpevole… e forse anche un po’ incredula.
Personalmente,
lo trovava quasi divertente.
Ad
un certo punto, lui e Peter iniziarono a lanciarsi pop-corn da una
parte all’altra della tavola, cercando l’uno di far
centro nella bocca dell’altro, e scatenando prima la
costernazione e poi le risate delle due ragazze.
Quando
la cosa iniziò a degenerare, e i pop-corn che
atterravano sul pavimento si fecero decisamente troppi, Mary Jane si
sporse sul tavolo: «Okay, bambini, adesso
basta!»
Nella
sua veemenza, però, urtò la bottiglia di
Coca-Cola… Liz, che era la più vicina, fu rapida
a rimetterla in piedi, ma una macchia marrone e frizzante si stava
già allargando sul tavolo.
Peter
e Harry, dal canto loro, avevano dato un taglio alla loro
battaglia.
«MJ…»
«È
tutto sotto controllo»
asserì la ragazza coi capelli fulvi. «Vado a
prendere il canovaccio… Peter, ti dispiace venire a darmi
una mano? L’ultima volta l’ho lanciato sul
mobiletto del bagno, ed è un po’ in alto per
me…»
«Nessun
problema» replicò lui,
seguendola verso il bagno.
Ormai
sulla soglia, Mary Jane si batté una mano sulla fronte
e guardò indietro: «Ah, Liz, dentro al frigo
c’è un vassoio con alcune paste… Ti
dispiace tirarle fuori?»
«Detto
fatto» disse la ragazza bionda,
guadagnandosi un bel sorriso.
Quando
Mary Jane e Peter furono scomparsi in bagno, Harry si
avvicinò a Liz per osservare: «Anche le
paste… Caspita».
«Vuole
festeggiare per bene» disse Liz, aprendo il
frigo.
Trovò
subito il vassoio in questione, e lo tirò
fuori con cautela. Poi, reggendolo tra le mani, richiuse il frigorifero
con una spalla… A quel punto, però,
rischiò di perdere l’equilibrio, e il vassoio
traballò pericolosamente.
Se
nessuna delle paste andò a spiattellarsi sul pavimento,
fu per merito di Harry, che fu rapido a posare le mani su quelle
dell’amica, immobilizzando il portavivande.
Liz
fissò i pasticcini ad occhi sgranati, quindi
sollevò la testa per guardare Harry: «Grazie. Non
so cosa mi abbia…»
Si
interruppe con un respiro brusco, notando quanto il suo volto e
quello del ragazzo fossero vicini; poteva sentire il suo fiato sulla
propria pelle.
Immediatamente,
il cuore iniziò a martellarle nel petto.
Harry,
dal canto suo, non rispose neanche.
Aveva
ancora le mani sopra a quelle di Liz, e un lieve formicolio gli
stava risalendo lungo le braccia.
Gli
occhi azzurri della ragazza – era troppo vicina
– erano puntati nei suoi, ed Harry non riusciva a
distogliere lo sguardo.
Non
riusciva nemmeno a pensare al fatto che, in
quell’istante, Liz doveva vedere con assoluta chiarezza le
pieghe e le cicatrici che gli sfiguravano il volto.
Sarebbe
bastato così poco, per annullare la distanza tra
loro… Così poco…
Non
senza gentilezza, Harry premette le mani su quelle di Liz,
spingendo indietro la ragazza, quindi si allontanò di
qualche passo da lei.
Liz
parve riscuotersi di colpo.
Girò
la testa dall’altra parte, mentre un lieve
rossore le strisciava sulle guance.
Harry
esitò. Doveva dire qualcosa? E se sì, cosa,
esattamente?
A
salvarli dall’imbarazzo fu il ritorno di Peter e Mary Jane.
«Ecco
il canovaccio» annunciò il
giovane, brandendo lo straccio nella mano destra.
«Peter
ha salvato la situazione» scherzò
Mary Jane.
Lui
la guardò con aria un po’ ferita, ma lei
sorrise, e cercò il volto di Liz per scambiare
un’occhiata complice con lei.
La
ragazza bionda, però, sembrava non essersi minimamente
accorta di quello scambio di battute.
Mary
Jane aggrottò la fronte, scoccando
un’occhiata ad Harry.
Quest’ultimo
era intento a spostare i bicchieri lontani dalla
pozza di Coca-Cola, e sembrava che quell’occupazione
assorbisse tutta la sua attenzione.
Mary
Jane sbatté le palpebre.
Era
successo qualcosa?
«È
successo qualcosa?»
domandò, perplessa.
Liz
sembrò cadere dalle nuvole. «Cosa?»
chiese. «No, è tutto a
posto…» Si girò rapida verso Harry:
«Vero?»
Lui
annuì. «Sì, certo»
confermò, e la ragazza bionda parve sinceramente sollevata.
Mary
Jane cercò gli occhi di Peter, ma lui si era avvicinato
al tavolo per asciugare la pozza di Coca-Cola, e non sembrava essersi
accorto di nulla.
“Uomini”
pensò Mary Jane, un
po’ ironicamente.
In
silenzio, riportò lo sguardo su Liz ed Harry. A meno che
la sua immaginazione non stesse correndo a briglia sciolta,
lì doveva essere successo qualcosa.
Spazio dell’Autrice:
Eccomi qui! Aggiornamento in corner…
Anna Watson – inutile dirlo – viene dritta dal
fumetto…
E riguardo il fatto che Liz e Harry abbiano finito per NON
baciarsi (l’avvenimento
verrà preso in esame più approfonditamente nel
prossimo capitolo, comunque)… non mi odia nessuno,
vero? XD
(Per il titolo... no, non sono riuscita a farmi venire in mente niente
di meglio XD)
Sia come sia, appuntamento a sabato 11 maggio!
AVVISO DEL 19/05/13:
Niente aggiornamento.
Sono davvero desolata, ma per adesso il capitolo è scritto solo a metà, e tra lo studio e la mancanza di ispirazione (sgrunt), sto avendo non poche difficoltà a finirlo.
Vi chiedo scusa, e spero che sia pronto per giovedì 23 maggio >_>
EDIT del 23 maggio:: Sééé, troppa grazia. Adesso vediamo se riesco per sabato 25 *incrocia le dita* |
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Capitolo 17 *** Confusione ***
Capitolo
17 – Confusione
Liz fu la prima a doversene andare.
«Quando
l’ospedale chiama…»
sospirò, abbracciando brevemente Mary Jane.
«…tu
rispondi…»
completò l’altra, separandosi dall’amica
quasi a malincuore.
Liz
poteva essere anche diventata più riservata, nel corso
degli anni, ma era abbastanza incline a dispensare gesti
d’affetto come quello… Ed era un lato del suo
carattere che a Mary Jane piaceva molto.
La
ragazza bionda sorrise. «Mi hai tolto le parole di
bocca».
Poi
i suoi occhi si spostarono su Harry, e il sorriso le
scivolò via dalle labbra. Per un istante, la sua espressione
parve dire chiaramente: “A questo punto non so cosa diavolo
fare”.
Dal
canto suo, Harry pensò che, nonostante la scena alla
raccolta fondi, Liz non era poi così brava a
recitare… e tantomeno a nascondere le proprie reazioni.
«Ci
vediamo» le disse, forse un po’
troppo velocemente.
La
ragazza esitò, poi annuì e fece per
uscire… Solo all’ultimo momento, si
ricordò di Peter e si bloccò, salutando anche lui.
Quando
se ne fu andata, l’alter ego di Spider-Man
gettò un’occhiata interrogativa alla propria
fidanzata. «Stava bene?» chiese. «So che
probabilmente non sono la sua persona preferita, qui dentro,
ma… Sembrava un po’ distratta».
Mary
Jane aggrottò la fronte. Anche lei aveva trovato il
comportamento di Liz un po’ insolito. Gettò
un’occhiata rapida ad Harry, quindi rispose: «Non
lo so… Forse in ospedale lavora troppo. Harry, tu che ne
pensi?»
L’interpellato,
fino a quel momento impegnato a rimuginare
tra sé e sé, alzò di colpo gli occhi
sull’amica. «Di cosa?»
«Di
Liz» replicò Mary Jane.
Harry
la fissò con l’aria di chi è
rimasto senza parole.
«Dicevamo
che sembra un po’ distratta»
spiegò allora Peter, «e a quanto pare non
è la sola…»
Harry
gli indirizzò una smorfia, poi si voltò
verso Mary Jane: «Sono sicuro che sta bene».
La
ragazza dai capelli rossi lo guardò con aria scettica, ma
non disse nulla.
«Ah,
MJ, vuoi che ti diamo una mano a pulire questo
pasticcio?» aggiunse il giovane, accennando a tutti i
pop-corn disseminati sul pavimento.
Lei
sospirò. «Forse sarebbe il caso, visto che
è opera vostra».
Peter
assunse un’aria colpevole. Lui ed Harry si scambiarono
un’occhiata, ed un istante dopo erano già armati
di scopa e paletta, e intenti a spazzare il pavimento.
Mary
Jane quasi sorrise. Li aveva addestrati bene…
Harry,
dal canto suo, avrebbe voluto che quei pop-corn fossero
abbastanza interessanti da assorbire tutti i suoi pensieri. Purtroppo
per lui, pretendeva troppo da degli ex chicchi di mais.
Con
una sensazione indefinita – a metà tra il
rimorso e il disappunto – pensò al momento in cui
Liz l’aveva salutato.
La
ragazza era visibilmente a disagio, e lui si augurava che quel
comportamento non durasse a lungo.
Ultimamente,
aveva iniziato ad apprezzare la compagnia della ragazza
più di quanto volesse ammettere.
E
ora? Avrebbero perso la confidenza che avevano guadagnato per colpa
di un… il giovane non era sicuro di come
definirlo… un incidente?
A
quel pensiero, Harry strinse le labbra. Non voleva pensare di non
riuscire più a chiacchierare con Liz.
Forse
le persone impiegavano un po’, prima di entrargli nel
cuore… Ma una volta che erano lì, lui detestava
l’idea di doverle perdere (perderle… come aveva
perso suo padre).
Insomma,
che cosa diavolo era successo?
Quel
momento di immobilità, di vuoto mentale… Non
era il genere di cosa che sperimentava di fronte a chiunque.
Proprio
per questo, però, non aveva senso.
Stava
per baciare
Liz?
Perché?
Per quel che ne sapeva lui, il
proprio cuore era ancora fermo a Mary
Jane.
Anche
se ormai si era abituato al pensiero di non poterla avere. Anche
se ormai si era abituato all’idea che lei amasse il suo
migliore amico.
Gettò
un’occhiata alla ragazza, che stava dicendo
qualcosa a Peter con un sorriso.
Ma
Liz?
Era
difficile capire che cosa l’avesse immobilizzato quando
se l’era trovata così vicina, anche
perché in quel momento non aveva pensato a un accidente.
Ancora
adesso, ricordava dei dettagli con chiarezza quasi
assurda… L’ombra delle ciglia di Liz sulla guancia
della ragazza… Il profumo del suo shampoo…
Diavolo, era persino arrivato a vedersi riflesso nelle pupille di lei.
Forse,
si disse, tentando di razionalizzare la cosa, si era trattato
solo di attrazione fisica… In fondo, Liz era carina.
«MJ»
chiamò Peter in quel momento,
«la bottiglia della Coca-Cola è vuota. Dove devo
metterla?»
Harry
rivolse un’occhiata verso l’amico.
Mary
Jane, da parte sua, indicò un sacchetto trasparente
attaccato vicino al frigorifero. «Le cose di plastica le
metto là…»
«Bene»
disse Peter, con approvazione.
«Raccolta differenziata».
Harry
scosse impercettibilmente la testa, scaricando i pop-corn nella
pattumiera.
A
quel punto, fu colpito da un pensiero improvviso, che prima non aveva
nemmeno considerato. Se lui… se lui non fosse riuscito a
ritornare in sé quel che bastava per allontanare
Liz… lei avrebbe… lo avrebbe baciato?
Così,
senza allontanarlo?
Si
sfiorò il viso con le dita.
“Assurdo”
pensò.
Di
sicuro, entrambi avevano di meglio di cui occuparsi: una mossa del
genere era stata del tutto insensata.
Strappandosi
da quelle riflessioni, Harry si avvicinò a Peter e a
Mary Jane.
Qualche
giorno più tardi, Mary Jane e Liz scesero al bar
dell’ospedale per fare una merenda in compagnia.
«Accidenti»
fu il commento della ragazza bionda,
quando si sedettero ad un tavolino bianco e tondo, «devi
volermi davvero bene, se accetti di mangiare quello che vendono
qui».
Mary
Jane aggrottò la fronte. «È
davvero così terribile?»
«Abbastanza».
«Cosa
devo dirti» replicò allora la
ragazza dai capelli rossi, «il mio cuore è pieno
di compassione…»
Iniziò
ad armeggiare per aprire il suo pacchetto di patatine.
«Ma
come diavolo…?»
«Ah,
sì» disse Liz, sporgendosi in
avanti, «quei pacchetti sono insopportabili…
Da’ qui».
Mary
Jane cedette il pacchetto alla mano tesa dell’amica.
«Grazie».
«Mmm»
fece Liz.
Dovette
fare qualche sforzo, ma alla fine la confezione si
aprì con uno strappo.
«Ecco
qui» annunciò la ragazza bionda,
restituendo il pacchetto a Mary Jane.
La
ragazza coi capelli rossi le rivolse un sorriso riconoscente,
raccogliendo un paio di patatine tra due dita.
Liz,
da parte sua, succhiò un po’ della bibita che
aveva comprato. «Cosa stavi iniziando a dirmi,
prima?» chiese poi.
«Oh,
sì» fece Mary Jane.
«C’è questa mia amica, Juliet Gelfman,
che hai dei cugini… E loro stanno mettendo su uno
spettacolo, così lei mi ha proposto di fare un
provino».
L’espressione
di Liz si fece prima sorpresa, poi radiosa.
«MJ, è fantastico! Sono sicura che sarai
perfetta!»
L’altra
sbuffò una risata. «Non sai
nemmeno che ruolo dovrei impersonare…»
Liz
arrossì appena, ma non si fece scoraggiare.
«Perché? Ha davvero importanza?»
«Direi
di sì» rispose Mary Jane.
«Potrei non essere adatta, alla fine dei conti».
Liz
agitò una mano come se fosse un discorso privo di
fondamento. «Sia come sia» disse,
«è inutile fasciarsi la testa prima di essersela
rotta… Dico bene? Quindi tanto vale pensare
positivo».
Mary
Jane abbozzò un sorriso. «Forse
però è meglio non cantar vittoria prima di aver
vinto…»
Liz
aggrottò la fronte. «Questo non è
un proverbio».
L’altra
quasi si mise a ridere, poi aggrottò la
fronte e si sfilò di tasca il cellulare.
«Scusa» disse, velocemente, «mi
è arrivato un messaggio, e potrebbe
ess…» Si interruppe di colpo, fissando il display.
«No»
sibilò. «Non posso
crederci!»
Sorpresa
dal tono dell’amica, Liz la guardò.
«Che succede?»
Mary
Jane serrò le labbra. «Mio padre»
rispose, irritata. «Da quando mia madre l’ha
lasciato, mi manda un messaggio dopo l’altro –
tutti per insultarmi, naturalmente. Credi che io possa denunciarlo per
stalking?»
Liz
corrugò le sopracciglia. «Intasarti il
cellulare di messaggi è un’azione da
stalker?» domandò, insicura.
«Non
ne ho idea» ammise Mary Jane,
«però dovrebbe, così
potrei…»
I
suoi occhi scorsero il messaggio, e il suo fastidio parve aumentare.
«Qui
arriva ad insultare Peter… Non posso
crederci: l’avrà visto sì e no un paio
di volte, di sfuggita, quando eravamo ancora vicini di
casa…»
Ora
era vera e propria rabbia: non una rabbia ferita, certo, ma una
rabbia colma di sdegno.
«“Almeno
i tuoi ultimi fidanzati erano
ricchi”» citò, disgustata.
«Come se sapesse qualcosa della situazione economica di
Peter, senza contare che John non l’ha mai incontrato, mentre
Harry…»
Si
interruppe bruscamente.
Liz
drizzò la testa per fissarla.
«Harry?» ripeté, interrogando
l’amica con lo sguardo. «Harry Osborn?»
Non
sapeva perché, ma le sembrava di sentire un improvviso
vuoto allo stomaco.
Mary
Jane accavallò le gambe sotto il tavolo, un
po’ a disagio. Annuì. «Siamo stati
fidanzati per un po’ di tempo, dopo la fine del
liceo…»
Liz
era rimasta senza parole. «Ah» fu tutto
ciò che riuscì a dire.
La
sensazione nel suo stomaco si stava ramificando: ora aveva
l’impressione di avere una radice sul fondo della pancia.
Mary
Jane abbassò gli occhi sul cellulare, e un silenzio
stranamente teso aleggiò tra loro due.
Liz
tentò di chiarirsi le idee. Automaticamente,
ripensò a qualche giorno prima, quando lei ed
Harry…
Aveva
cercato di non ragionarci troppo, finora… Di non
chiedersi, per esempio, come sarebbe stato se lui non
l’avesse fermata…
Adesso,
però, il ricordo si era materializzato nel suo
petto, e pretendeva
di essere riesaminato.
In
tutta onestà, se il ragazzo non si fosse tirato
indietro… Lei non l’avrebbe fatto di certo.
Era
insicura sul perché. Non era stupida, e ormai aveva
capito di tenere molto a quel ragazzo, ma sinceramente non sapeva se ne
era innamorata o meno.
Forse…
forse…
Forse
sì.
Allo
stesso tempo, però, una parte di lei pensava che era
meglio che fosse finita così, con un niente di fatto.
Per
un non-bacio, il disagio che era serpeggiato tra lei ed Harry era
stato fortissimo… Non osava immaginare cosa sarebbe successo
nel caso di un bacio vero.
E
se doveva scegliere tra il tenersi la loro amicizia e
l’avventurarsi in un qualcosa di più per il quale
Harry non era ancora pronto, in un qualcosa di più del quale
lei non era del tutto sicura… Optava per
l’amicizia senza pensarci nemmeno una volta.
L’aver
scoperto che Harry e Mary Jane erano stati fidanzati,
però…
Non
sapeva bene cosa pensarne.
“Cavolo”
gemette interiormente,
“è tutto così confuso”.
Forse,
la sua reazione di fronte a quella notizia era in parte dovuta
al fatto che, dopo aver sentito Mary Jane parlare di Peter, si era
figurata un amore nato subito dopo la rottura con Flash e interrotto
solo – brevemente – da John Jameson.
Riportando
gli occhi su Mary Jane, si schiarì la gola.
«Direi che è meglio non pensare ai messaggi di tuo
padre» disse, cercando di suonare disinvolta.
«Impegnati a pensare positivo per il provino,
piuttosto».
Mary
Jane le scoccò un’occhiata a quel forzato
cambio d’argomento. Lei si sentiva ancora un po’ a
disagio, nel ricordare la propria relazione con Harry, specialmente
perché sapeva di aver ferito il ragazzo… Ma
perché Liz avrebbe dovuto reagire così?
Alla
fine, decise di far finta di nulla. «Hai
ragione» affermò, abbozzando un sorriso.
«Posso farcela, in fondo».
Il
cuore le batté un po’ più forte a
quel pensiero.
In
realtà, non voleva permettersi di sperare troppo,
perché recitare a teatro… Era sempre stato il suo
sogno, e non avrebbe mai dimenticato come si era sentita quando
l’avevano eliminata dallo spettacolo.
Quell’umiliazione,
quella delusione, quello
sconforto… Non erano decisamente emozioni che era ansiosa di
sperimentare di nuovo.
«Forse
questa è la volta
buona…» azzardò debolmente.
Liz
le sorrise con fare incoraggiante.
«Deve
esserlo» aggiunse Mary Jane, a mezza voce.
Spazio dell’Autrice:
Eccomi! :D
Che dire? Questo era uno di quei capitoli a proposito dei quali ti
chiedi: “E adesso come cavolo lo intitolo?”
E il risultato di tanto rimuginare è Confusione.
Okay. Be’, direi che è un’emozione che
sicuramente provano sia Harry che Liz (e se sono così
confusi per un non-bacio, immaginate il casino che sarebbe derivato da
un bacio effettivo! XD)… E magari un po’ anche
Peter e Mary Jane (il primo per il comportamento strano di Liz, la
seconda per la reazione dell’amica nell’ultima
parte del capitolo u.u).
Va bene, va bene, basta parlare di titoli.
A proposito di Juliet Gelfman, la ragazza di cui
parla MJ...
l’ho tirata fuori dal terzo film.
Mi spiego: quando Mary Jane, poco dopo essersi fatta assumere come
cameriera del jazz club, decide di chiamare Harry… E mentre
scorre la rubrica del suo cellulare, uno dei nomi che si può
vedere è, appunto, Juliet Gelfman ^^
In ogni modo, arrivederci al primo di giugno!
(Queste note sono sempre chilometriche O.O)
|
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Capitolo 18 *** Tutto per un gelato ***
Capitolo
18 – Tutto per un gelato
La
gelateria “Da Joseph” avrebbe dovuto essere una
gelateria italiana.
Tra
sé e sé, Liz si domandava in quale mondo
Joseph fosse un nome italiano.
O
almeno, se lo domandava di solito.
Al
momento, seduta su uno dei tavolini bianchi sistemati
all’aperto, era più occupata a scrutare
ansiosamente il viavai di gente lungo il marciapiede.
Inizialmente,
dopo ciò che era successo a casa di Mary Jane,
aveva pensato di non vedere Harry per un po’,
perché temeva che si sarebbe fatta di nuovo prendere
dall’imbarazzo.
Meglio
aspettare, si era detta.
Non
aveva messo in conto, però, che il suo desiderio di
vedere il ragazzo e assicurarsi che fosse tutto a posto sarebbe
diventato tanto forte.
Aveva
resistito tre giorni – tre giorni contati –
prima di capitolare e telefonare ad Harry, invitandolo ad andare a
prendere un gelato.
Una
parte di lei, sinceramente, si era aspettata che lui declinasse. E
invece il giovane aveva accettato.
Così
ora eccola qui, ad attendere che l’amico si
facesse vivo.
Quando
lo vide arrivare, il cuore le balzò nel petto.
Lui
indossava jeans e maglietta, e si teneva una mano sulla guancia
destra.
Notando
quel gesto, Liz si sentì un po’ male.
Anzi, più che altro si sentì una brava scema.
Sapeva
che Harry si sentiva a disagio in mezzo alla gente.
Perché lo aveva invitato proprio in gelateria, e non a casa
propria?
Per
rassicurarlo del fatto che non avrebbe tentato di baciarlo?
Fosse
come fosse, ormai la frittata era fatta.
La
ragazza si alzò in piedi, così da richiamare
l’attenzione di Harry.
Non
appena la vide, il giovane andò dritto verso di lei.
«Ehi».
«Ciao»
replicò la ragazza, un
po’ cautamente.
Scoprì,
però, che non si sentiva a disagio. Era
solo felice di vederlo.
Si
sedettero al tavolino, l’uno di fronte all’altra.
Liz
si schiarì la gola. «Come va?»
Lui
scrollò le spalle. «Tutto okay»
rispose. «Tu?»
Aveva
parlato in tono noncurante. Forse troppo?
“Smettila”
si disse Liz. “Stai diventando
paranoica”.
«Tutto
okay» affermò. Preoccupata che
potessero sprofondare in un silenzio teso, cercò di pensare
a qualcosa da dire. «Tu che gelato vuoi?»
Molto
originale, di sicuro.
Harry
non batté ciglio. «Cioccolato e panna,
immagino».
«Mmm»
commentò Liz.
«Più classico di così si
muore».
Il
momento dopo, avrebbe voluto trovare un muro contro cui sbattere la
testa. Che razza di osservazione aveva appena fatto?
Harry
si limitò ad inarcare un sopracciglio. «Tu
che gusto prendi?»
«Nocciola
e crema, penso» rispose lei, sperando di
non essere arrossita, poi propose: «Se mi dai i soldi, entro
io ad ordinare per tutti e due».
«Non
sarebbe maschilista, da parte mia, far lavorare
te?»
Liz
fece un cenno di diniego. «Se vuoi proprio
saperlo» disse, sforzandosi di assumere un tono grave,
«il mio è un diabolico piano per rubarti il
resto».
In
realtà, era un diabolico piano per far sì che
Harry non entrasse con lei. Liz, infatti, sapeva che lui non ne aveva
voglia, e sapeva anche che non lo avrebbe mai ammesso.
Harry
scosse la testa. «Era molto più diabolico
prima che tu me lo dicessi. Ora penso che ti darò i soldi
giusti».
Liz
allungò la mano, simulando un sospiro.
«Fa’ pure… Però è
meglio se rimani qui in ogni caso, così nessuno ci ruba il
posto».
Lui
la guardò, e la ragazza pensò che avesse
intuito le sue vere motivazioni.
Comunque
fosse, Harry si limitò a scrollare le spalle e ad
allungarle qualche soldo.
«Grazie
mille». Liz gli sorrise, prima di correre
dentro alla gelateria.
Prima
di lei, c’erano solo due persone, così
poté tornare al tavolo poco dopo, reggendo due coppette.
«Ecco
a te» disse, allungando ad Harry quella con
la panna e il cioccolato.
«Grazie»
rispose lui, tenendo gli occhi bassi.
Liz
cercò di non dare troppo peso al fatto che lui non
l’avesse guardata.
Tornò
a sedersi, scherzando: «Sono
un’ottima cameriera, non trovi?»
Lui
scavò il cioccolato con la punta del cucchiaio.
«Sì. Effettivamente, credo che tu sia sprecata,
come infermiera».
A
quelle parole, Liz sussultò, e Harry alzò
finalmente lo sguardo.
«Scherzavo»
chiarì, aggrottando la
fronte.
Lei
sorrise, ma sembrava un po’ tesa.
«Sì, scusa, lo so…»
Il
ragazzo inclinò la testa. «Era una battuta
così brutta?»
A
quella domanda, il sorriso di lei si fece un po’
più sincero. «No» gli
assicurò, «è solo
che…»
Abbassò
lo sguardo e rimestò un po’ il
gelato nella coppetta.
«È
solo che mio padre mi aveva detto la stessa
cosa».
Harry
si sarebbe messo volentieri le mani nei capelli. “La
tua fortuna torna a colpire, Osborn”.
«Solo
che lui non scherzava».
Gli
occhi azzurri di Liz si alzarono, e incrociarono lo sguardo del
ragazzo. «Solo che lui non scherzava»
concordò, sommessamente.
Per
un istante, rimasero in silenzio.
«Ne
vuoi parlare?» chiese Harry.
Lei
scrollò le spalle. «È solo
che… ci credeva davvero, quando l’ha
detto».
«Immagino
sia frustrante, quando le persone ti feriscono
pensando di farlo per il tuo bene».
Lo
sguardo che Liz gli lanciò fu abbastanza penetrante.
Quando la ragazza parlò, la sua voce era tranquilla.
«Lo immagini o lo sai?»
Harry
non rispose. Raccolse un po’ di panna e cioccolato sul
cucchiaino e lo assaggiò. «Questo gelato
è molto buono» constatò, in tono
distaccato.
Liz
assottigliò gli occhi, ma evitò di
commentare. «È vero» disse invece.
«Forse è davvero gelato italiano».
Harry
la guardò. «Perché, hai dei dubbi
in proposito?»
«Be’»
replicò Liz,
«da quando Joseph è un nome italiano?»
A
quelle parole, finalmente, il giovane sorrise appena.
«Dubbi fondati».
Liz
si aprì in un sorriso.
«Già…»
Entrambi
si chinarono sui loro gelati.
Dopo
qualche cucchiaiata, però, Liz emise una sorta di
mugolio.
Harry
la guardò. «Stai bene?»
Lei
lo fissò con aria un po’ contrita, arricciando
le labbra. «Mi si è congelato il
cervello!»
«I
rischi del gelato» replicò lui,
riportando l’attenzione sulla propria coppetta.
Liz
si morse il labbro, esitante. «Harry, riguardo quello che
è successo a casa di MJ…»
Lui
alzò immediatamente gli occhi.
«Sì?» chiese, in tono guardingo.
«Amici
come prima?» domandò lei.
Per
un istante, lui non rispose, e la ragazza si accorse di star
trattenendo il fiato.
Alla
fine, però, Harry si rilassò sulla sedia ed
annuì. «Certo».
Il
giorno successivo, in ospedale, Liz si stava dedicando al tedioso
compito di riordinare alcune cartelle cliniche.
Sentendo
dei passi che si avvicinavano, e pensando che fosse Martha
– un’altra infermiera che era di turno con lei
– chiese in tono esasperato: «Ma perché
nessuno scrive che la signora Toddleston è allergica al
cioccolato?»
«Non
lo so» rispose un’altra voce
femminile.
Non
era Martha, però.
Liz
alzò di scatto gli occhi, trovandosi di fronte Sha Shan.
«Oh»
disse, mentre le sue guance si facevano
bollenti. «Pensavo fossi Martha».
La
donna le rivolse un lieve sorriso. Aveva una rivista di gossip in
mano, e la teneva con la punta delle dita come se ne fosse disgustata.
«Chi
sarebbe la signora Toddleston?» chiese, in
tono di conversazione.
«Oh,
un’ottantenne decisamente arzilla»
rispose Liz. «Negli ultimi giorni ha avuto due shock
anafilattici perché continua a chiedere di portarle della
cioccolata… E visto che nella sua cartella non
c’è scritto che ha un’allergia, chi non
la conosce continua a portargliela». Scosse la testa.
«Hai una penna, per caso?»
Ovviamente
sì.
Sha
Shan si tolse una biro nera dal taschino del camice e la
passò a Liz.
Appoggiando
la cartella clinica al muro, la ragazza bionda aggiunse
l’allergia alla cioccolata a caratteri cubitali.
In
quel momento, fece la sua entrata un’altra infermiera.
«Oh,
ciao, Martha» disse Liz.
«È
vero?» domandò
l’altra, senza preamboli.
La
ragazza bionda le riservò un’occhiata
interrogativa. «Che cosa?»
«Sono
affari di Liz» intervenne Sha Shan, in tono
quasi glaciale. «E non dovresti fidarti di tutto
ciò che leggi».
Martha
sbatté le palpebre, e allora la fisioterapista le
mostrò la rivista di gossip.
«Questa
è tua, immagino».
Liz
era decisamente perplessa.
Martha,
da parte sua, parve imbarazzata.
«Sì…» Spostò gli
occhi su Liz con aria colpevole. «Scusa, Liz, non dovevo
chiedertelo».
E
se ne andò.
Completamente
sconcertata, Liz si girò a guardare Sha Shan.
«Ma cosa…?»
Per
tutta risposta, la fisioterapista le allungò la rivista
di gossip.
Liz
la prese con aria confusa. La copertina lucida sfoggiava la
fotografia di un’attrice in bikini, e la ragazza bionda la
fissò senza capire.
«Va’
a pagina… ottanta, credo».
Liz
eseguì, sfogliando la rivista tanto in fretta da
rischiare di farla cadere sul pavimento.
A
pagina ottantatre, si trovò davanti una foto di lei ed
Harry, seduti a prendere un gelato.
Il
titolo in rosso recitava: UNA
FIAMMA PER IL RAMPOLLO OSBORN?
Liz
rimase a bocca aperta. «Ma che…?!»
Sha
Shan le rivolse uno sguardo solidale.
«Giornalisti» sospirò.
«Harry
è un mio amico!»
esclamò Liz. «Nulla di più!»
Sì,
insomma… più o meno.
Arrossendo,
la ragazza sperò che lui non vedesse mai quella
rivista.
A
mostrare la foto ad Harry, fu Peter.
Arrivato
a casa dell’amico per passare un pomeriggio insieme,
lo trovò seduto alla propria scrivania, e gli
piazzò davanti la rivista con l’aria di chi fa una
gran fatica a rimanere serio.
«Avresti
dovuto dirmelo, Osborn»
osservò, in tono di rimprovero.
Harry
lo fissò. «Di che cosa stai
parlando?»
«Trovi
una fiamma nella ragazza che mi maltrattava alle medie
e nemmeno pensi di informarmi?» domandò di rimando
Peter, con fare melodrammatico.
Harry
scosse la testa e si passò una mano tra i capelli.
«Lo ripeto: di che cosa stai parlando?»
Per
tutta risposta, Peter si protese per aprire la rivista nella pagina
della foto con Liz.
Harry
rimase a bocca aperta. «Non è
possibile» disse.
«A
quanto pare sì» rispose Peter,
decisamente di buonumore.
L’altro
lo guardò male. «Sei un
bambino».
Peter
non parve molto turbato da quell’accusa.
«Quindi ora ti rendi conto di quanto sia irritante cercare di
parlare con qualcuno che si comporta in maniera infantile».
Con
un gemito, Harry appoggiò la fronte al piano del tavolo.
«Svegliami quando non esisteranno più i
paparazzi».
«Allora
temo che dovrai dormire a lungo, bello»
replicò Peter. «Te lo dice Spider-Man in
persona… Uno dei loro target preferiti. Io vado a fare
rifornimento in cucina, tu vuoi qualcosa?»
Harry
emise una specie di ringhio, ma Peter si limitò a
ridere e ad uscire dalla stanza.
Spazio dell’Autrice:
Questo capitolo non mi convince ;_;
Spero solo di sbagliarmi…
(Se vi chiedete cosa ci faceva Peter con una rivista di gossip, si
scoprirà più avanti XD Ma non è nulla
di eclatante XD)
Innanzitutto, vi chiedo perdono per le posticipazioni… Poi
vi ringrazio tantissimo per le vostre recensioni ♥
A lunedì 17 giugno!
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Capitolo 19 *** Festeggiamento a sorpresa ***
Capitolo
19 – Festeggiamento a sorpresa
Rimasto solo, Harry alzò
la testa dalla scrivania.
Tirò
la rivista sotto i propri occhi, e guardò in
silenzio la fotografia di lui e Liz.
Era
un po’ sfocata ed era stata scattata da lontano, ma lui
riuscì ad identificare senza problemi il momento immortalato.
Liz
stava sorridendo, quindi doveva essere stata fatta dopo che erano
riusciti a rompere il ghiaccio.
E
adesso? Dopo questo articolo, il ghiaccio sarebbe tornato?
Harry
non era sicuro della risposta.
In
quel momento, armato di pane e formaggio, Peter rientrò
nella camera da letto.
Con
la coda dell’occhio, Harry lo guardò
accostarsi alla scrivania.
«Va
tutto bene?» domandò Peter, dopo
aver inghiottito il boccone che stava masticando.
L’altro
sospirò, girandosi verso
l’amico. «Stavo pensando».
«Oh»
disse Peter, aggrottando appena la fronte.
«Allora è grave».
Harry
non gradì particolarmente l’ironia, e lo
incenerì con un’occhiataccia.
Peter
gli rivolse subito un’espressione contrita.
«Scusami. Di cosa si tratta?»
«Non
è niente» sbuffò Harry,
appoggiandosi pesantemente contro lo schienale della sedia.
«Ho solo pensato a chi leggerà questo
articolo… È probabile che penserà che
io mi sia guadagnato questa…» –
lanciò un’occhiata al titolo –
«…fiamma… grazie ai miei
soldi».
Peter
scosse la testa. «E perché questo dovrebbe
turbarti?» domandò, con calma. «Se non
sbaglio, non hai mai avuto problemi al pensiero di guadagnare una
fidanzata grazie ai tuoi soldi».
“Sì,
ma allora immaginavo una stupidella con un
bel viso e un corpo favoloso” pensò Harry.
“Liz è un’altra cosa…
è…”
Bella
domanda. Cos’era Liz?
Harry
non era certo di voler rispondere, e risolse la questione
tornando a guardar male Peter.
Stavolta,
però, l’amico ignorò la sua
espressione torva. «Tutt’al
più» disse, «è Liz che
dovrebbe preoccuparsi. Una fama da arrampicatrice sociale.
Poverina».
Harry
sbuffò con aria contrariata.
«Ah,
no, hai proprio ragione» si corresse Peter.
«Direi che una cosa verosimile: l’unico motivo per
cui ha fatto amicizia con te sono i tuoi soldi. Sì.
Sì, certo, mi sembra proprio il tipo».
Infastidito
dal sarcasmo e dall’esasperazione
dell’amico, Harry cambiò argomento: «Per
curiosità, tu cosa ci facevi con una rivista di
gossip?»
«Betty»
rispose Peter, come se fosse una
spiegazione più che sufficiente.
Non
la era, ed Harry inarcò un sopracciglio.
«Sì,
Betty Brant, la segretaria di
Jameson… Sa che ti conosco, così mi ha chiesto
delucidazioni in proposito».
Harry
lo guardò in modo strano. «E tu cosa le hai
detto?»
Peter
sembrò perplesso. «La verità, no?
Che siete amici».
L’altro
annuì. «Giusto»
ripeté, meccanicamente. «Che siamo
amici».
«A
proposito di amici» aggiunse Peter.
«MJ ha avuto un provino, oggi, ed ho organizzato una sorta di
festeggiamento a sorpresa. Vuoi partecipare?»
Harry
lo guardò con un certo sospetto. «Lei lo
sa?»
«Certo
che no» replicò Peter,
fissandolo, «per questo l’ho definito un
festeggiamento a sorpresa».
«Sei
sicuro che lo apprezzerà?» chiese
Harry, con voce riluttante.
«Ne
sono sicuro» tagliò corto Peter.
L’altro
giovane sospirò. A dir la
verità, non aveva molta voglia di uscire, ma poi trasse un
profondo sospiro.
“Per
MJ” pensò, e disse:
«Allora andiamo».
Mary
Jane conosceva bene Liz.
Anche
se avevano passato molti anni senza vedersi, sapeva ancora
distinguere quando l’entusiasmo dell’amica era
forzato.
E
in quel momento, mentre le raccontava un aneddoto sulla sua vita di
infermiera… era forzato.
«E
così» stava dicendo, «ho
finito di medicare il taglio di questo bambino, e sua madre mi ha
chiesto per l’ennesima volta se ero sicura che
bastasse…»
Mary
Jane si chiese se era il caso di interromperla, ma poi decise di
no, e lasciò che l’amica la guidasse lungo quel
viale di Central Park.
«Io
le ho detto di sì, e a quel punto lei mi ha
squadrato dalla testa ai piedi, e mi ha chiesto se potevo mandarle un
vero medico».
«E
tu cos’hai fatto?» domandò
Mary Jane.
Liz
sembrò un po’ perplessa. «Ho
chiamato un vero medico. Cos’avrei dovuto fare?»
Il
viale era affiancato da alberi rigogliosi. Le loro chiome erano come
una galleria sulle testa delle due amiche, e creavano giochi di luce ed
ombra sulla loro pelle.
Mary
Jane scosse la testa e passò un braccio sulle spalle
dell’altra. «Sei troppo buona, Liz» le
disse con affetto. «Questo è il tuo
problema».
La
ragazza bionda la fissò, interdetta, poi tirò
fuori una risata un po’ stentata. «Bene. Mi fa
piacere saperlo».
«E
ora vuoi dirmi cosa c’è che non va, o
dobbiamo continuare ad evitare l’argomento che ti importa
davvero?» chiese Mary Jane, schiettamente.
Forse
un po’ troppo, data l’espressione scioccata
che comparve sul volto di Liz.
«Scusa»
si affrettò a dire Mary Jane,
portandosi una mano davanti al viso. «Non volevo chiedertelo
così. Sono nervosa per il provino… devono vedere
altri attori, prima di dirmi com’è
andata…»
«Esatto»
la interruppe Liz, un po’ troppo
vivacemente. «Il tuo provino. È di questo che
dobbiamo parlare, mi sembra…»
«Liz»
protestò Mary Jane, mentre la
ragazza bionda la sospingeva verso l’interno del prato,
«che stai…?»
Poi
vide chi le stava aspettando all’ombra di un vecchio
cipresso, e tacque di colpo.
Anche
Liz smise di spingerla.
“Cavolo”
pensò la ragazza bionda,
fissando il giovane accanto a Peter.
Harry.
Certo.
Quando
Peter Parker si era presentato in ospedale, e le aveva chiesto
di parlare, Liz era rimasta alquanto sbalordita. Dati i loro trascorsi,
non se lo sarebbe mai aspettato…
Nel
momento in cui lui le aveva chiesto di trascinare MJ a Central
Park, così da poter fare un piccolo festeggiamento, Liz
aveva accattonato qualsiasi altra cosa, accettando immediatamente.
Ovviamente,
sapeva che ci sarebbe stato Harry.
In
fondo, era il miglior amico di Peter ed MJ… Con Mary Jane
– come una parte della sua testa rimarcò senza
alcun tatto – era stato addirittura fidanzato.
Allo
stesso tempo, però, Liz non aveva elaborato appieno la
cosa.
Non
si era aspettata di impietrirsi così.
Poi
Mary Jane si avvicinò a Peter, domandando con un sorriso
incerto: «Che sta succedendo?», e Liz si riscosse.
Cercando
di non fissare Harry, seguì l’amica verso
il cipresso.
Era
lo stesso posto in cui avevano fatto il pic-nic…
«Siamo
qui per festeggiare, MJ» replicò
Peter, disinvolto.
La
ragazza dai capelli rossi inarcò un sopracciglio.
«Festeggiare cosa?»
Stavolta
fu la voce di Harry ad intervenire: «Il tuo provino,
naturalmente».
Mary
Jane alzò gli occhi al cielo. «Ragazzi, non
so nemmeno se sia andato bene…»
«Ha
detto che festeggiamo il provino, non il fatto che tu
abbia ottenuto una parte nello spettacolo» le fece notare
Peter.
Lei
gli rivolse uno sguardo di rimprovero.
«Anche
se è probabile che tu l’abbia
ottenuta» puntualizzò Liz.
Mary
Jane scosse la testa, ma stava sorridendo. «Okay. A
quanto vedo, vi siete coalizzati tutti contro di me, quindi…
Come vogliamo festeggiare?»
Peter
accennò al borsone che aveva abbandonato ai piedi
dell’albero. «Se vuoi uno
spuntino…»
La
ragazza gli si avvicinò. «Molto volentieri,
signor Parker».
«E
auguriamoci» disse Peter, sobriamente,
«che i paparazzi del signor Osborn si tengano alla larga da
noi».
Harry
non sembrò molto contento del commento, e Liz
trasalì.
«Paparazzi?»
ripeté Mary Jane, confusa.
«Mi sono persa qualcosa?»
«Non
è niente» disse Harry, con
un’occhiataccia a Peter.
Liz,
dal canto suo, ebbe la netta sensazione che le stesse per cadere
la mascella. “L’ha vista”
pensò. “Ha visto quella stupida foto”.
Sperando
di non essere arrossita, si avvicinò in tutta
fretta al borsone. «Qualcuno vuole
dell’acqua?» chiese, aprendo la cerniera.
«Io,
grazie» rispose la voce di Harry.
Liz
sussultò e si raddrizzò, girandosi di scatto
verso di lui.
Erano
pericolosamente vicini, e per un istante si osservarono a
vicenda, prima che Harry facesse un passo indietro.
«Tu…
leggi riviste di gossip?»
domandò cautamente il ragazzo, mentre Liz gli passava un
bicchiere di carta.
Lei
gemette interiormente. “L’ha vista
davvero”.
«Io
no, una mia amica sì» rispose.
Negare la realtà sarebbe stato inutile.
«Capisco»
disse Harry, in tono neutro.
Lei
gli versò un po’ d’acqua. Con la
coda dell’occhio, controllò Peter e Mary Jane: la
rossa stava raccontando al suo fidanzato com’era andato il
provino.
Liz
riportò l’attenzione su Harry. «E
tu? Leggi riviste di gossip?»
Lui
fece cenno di no. «Ma le amiche di Peter
sì» aggiunse, quasi con insofferenza.
Il
suo tono di voce strappò un sorriso alla ragazza.
«Comunque» disse lei, «sei più
fotogenico di quanto credessi».
Harry
le riservò un’occhiata di avvertimento.
«In quanto mia fiamma» sostenne, «penso
che dovresti evitare di prenderti gioco di me».
Liz
non poté fare a meno di ridere. «Ma
così non ci divertiremmo
più…»
«Tu
non ti divertiresti più»
ribatté il giovane, prendendo un sorso d’acqua.
«Io starei alla grande».
«E
poni il tuo benessere davanti alla mia
spensieratezza?» domandò Liz.
«Esatto»
disse Harry, pigramente.
Liz
indugiò per qualche istante, poi chiese:
«Credi che potrei denunciarli per violazione della
privacy?»
«Non
saprei. Non è che ti si riconoscesse al
volo».
«Sì,
però chi mi conosce mi ha
riconosciuta» ribatté la ragazza.
«Conosce…
riconosciuta…»
mormorò Harry.
Lei
gli scoccò un’occhiata. «Il gioco di
parole non era intenzionale» disse, asciutta.
Harry
fece spallucce. «Tornando al problema della
privacy… Dovresti chiedere ad un avvocato, non a
me».
Liz
gli rivolse un sorriso incerto. Per un istante, si
domandò come sarebbe stato trovare quell’articolo,
se lei ed Harry fossero stati più che amici.
Si
sarebbero imbarazzati di più? O avrebbero riso con
più disinvoltura?
Il
giovane fraintese il suo silenzio. «Non
preoccuparti…» le disse, sommessamente.
«Sono ricco sfondato, è vero, ma i dirigenti di
un’azienda sono sempre meno interessanti degli attori, o dei
modelli».
Liz
si morse le labbra per non lasciarsi sfuggire
un’osservazione di cui poi si sarebbe pentita. Per esempio:
“Però tu saresti abbastanza bello sia per fare
l’attore che per fare il modello”.
Sapeva
che, se lo avesse detto ad alta voce, Harry l’avrebbe
preso come un commento ironico, così si limitò a
pensarlo.
«Dubito
che succederà ancora» concluse
il giovane.
Liz
lo guardò con fare pensoso. «Vuol dire che non
prenderemo più un gelato da Joseph?»
Harry
aggrottò la fronte. «Be’, se
è la mancanza di gelato che ti turba… Bernard
potrebbe comprarne una vaschetta, e noi potremmo mangiarlo sul mio
divano».
La
proposta era un po’ cauta.
Liz
gli sorrise. «Credo che mi piacerebbe molto, mangiare del
gelato sul tuo divano, ma…»
«Ma?»
incalzò Harry, e sembrava quasi
essere sulle spine.
«Bernard»
disse la ragazza. «Non lo
sfrutti un po’ troppo?»
Il
giovane si accigliò, e per un momento Liz temette di aver
toccato un nervo scoperto. Era semplice fare le mosse sbagliate, con
Harry.
Poi,
però, lui rispose lentamente: «Non
più di quanto un qualsiasi adolescente sfrutti i suoi
genitori».
Liz
fece per ribattere, ma a quel punto si avvicinarono Peter e Mary
Jane. «Chi è l’adolescente?»
La
ragazza bionda indicò prontamente Harry. «Il
signor Osborn».
Peter
sembrò soddisfatto dalla risposta. «Dunque
io non sono l’unico ad averlo notato».
Harry
si rivolse a Mary Jane. «MJ, scusa se prima mi sono
alleato con loro due contro di te. Ora capisco cosa si prova».
La
ragazza dai capelli rossi rise. «Dai, ragazzi, lasciatelo
in pace».
Peter
e Liz si scambiarono un’occhiata.
«Noi?» chiese il primo, innocentemente.
«Noi non abbiamo fatto nulla».
Harry
mugugnò qualcosa di inintelligibile, che
però non somigliava ad una gentilezza, e si
avvicinò a Mary Jane.
Il
sorriso non cadde dalle labbra di Liz, ma lei distolse
automaticamente gli occhi.
Spazio dell’Autrice:
Sono vivaaaaaaa! (Credo.)
Qui c’è un gran caldo, soprattutto vicino al pc
(ahi), e sia il mio cervello che il computer ne hanno
risentito… Auguro a tutti dell’arietta fresca!
E vi do appuntamento a giovedì 27 giugno!
P. S. Per scusarmi del ritardo, eccovi una vignetta con Peter e Mary
Jane che mi liquefa il cuore ogni volta:
Avviso del 5/07/2013
And here I go again…
Ebbene, so esattamente cosa voglio scrivere nel prossimo capitolo, ma non riesco a scriverlo in maniera decente, e la cosa mi irrita davvero molto.
Chiedo umilmente scusa, e rimando l’aggiornamento ad una data che ancora non so… Non appena mi sbloccherò, la inserirò in grassetto nell’introduzione.
Scusate ancora ;_; |
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Capitolo 20 *** Lizard ***
Capitolo 20 – Lizard
Peter era in ritardo per la lezione
del dottor Connors. Di nuovo.
Mentre
correva a rotta di collo verso il blocco universitario dove
avrebbe dovuto trovarsi già da una buona mezz’ora,
si strattonava la felpa davanti al petto per nascondere completamente
il suo costume rosso e blu.
Per
sfortuna e per la sua esasperazione, una testa calda aveva avuto la
brillante idea di rapinare una gioielleria dall’altro capo
della città alle dieci e mezza del mattino. Oltretutto,
quella notte era rientrato dalle sue ronde alle quattro passate, e dopo
essersi gettato a peso morto sul letto aveva dormito come un sasso sino
alle nove. Tra una cosa e l’altra, non era nemmeno riuscito a
fare colazione.
L’unica
cosa positiva era che il dottor Connors non gli
avrebbe fatto domande; l’avrebbe guardato con una
disapprovazione terribile, certo, ma per lo meno Peter non avrebbe
dovuto giustificare il proprio ritardo.
Al
liceo sarebbe stata più dura: i professori
l’avrebbero certamente subissato di domande, e lui
– dopo aver scartato scuse trite e ritrite come sono stato
male o l’autobus
era in ritardo – si sarebbe
probabilmente limitato ad un misero mi dispiace.
Proprio
mentre la meta iniziava a profilarsi davanti a lui, con la sua
forma rettangolare e il suo colore a metà tra il grigio e il
beige, Peter notò che alcuni suoi compagni di corso stavano
uscendo nel cortile, e rallentò automaticamente la propria
corsa.
Quando
i primi studenti lo raggiunsero e lo oltrepassarono, lui stava
ormai camminando, e poi si fermò per tentare di fermare
qualcuno ed informarsi su cosa fosse successo.
Nel
vedere Gwen uscire dalla porta, con una giacca verde chiaro e
qualche libro stretto al petto, Peter si mosse verso di lei senza
pensare. «Gwen!»
La
ragazza parve stupita di vederlo.
«Che
succede?» domandò lui.
«La lezione è già finita?»
Lei
fece un cenno di diniego. «Il professor Connors
è assente» spiegò. «Pare che
si senta poco bene».
«Oh»
disse Peter.
«Già».
Per
un istante, rimasero l’uno di fronte all’altra,
immersi in un silenzio imbarazzato.
«Senti,
Peter» iniziò poi Gwen,
guardando con decisione da tutt’altra parte, «ho
deciso di accettare le tue scuse».
Peter
la fissò, preso alla sprovvista, ma poi si
sentì sommergere dal sollievo. «Davvero? Gwen,
questo è… Grazie».
«Immagino
che tutti possano fare degli sbagli»
concesse la ragazza, sempre guardando altrove.
«Sì»
disse Peter, sentendo le proprie
guance andare a fuoco al ricordo di come si era comportato.
Gwen
lo inchiodò con uno sguardo serissimo. «Ma
una cosa è farne uno, un’altra è farne
due».
L’avvertimento
era più che chiaro, e Peter si
affrettò ad annuire. «Già»
concordò. «Hai ragione. Certo che hai ragione.
Errare è umano, ma perseverare è diabolico, lo
so…»
La
ragazza parve rilassarsi appena.
«D’accordo» disse, accennando un piccolo
sorriso.
Peter
le sorrise di rimando, grato per quella seconda chance. Gli
pareva di averne ricevute più di quanto ne avrebbe meritate,
ultimamente. Con MJ, con Harry…
«È
mezzogiorno, ormai»
commentò la ragazza. «Ti va di andare a prendere
qualcosa al bar dell’università?»
Peter
si affrettò ad annuire, mentre il suo stomaco
gorgogliava. «Volentieri».
«Signor
Osborn?»
Harry
si voltò verso la soglia del salotto.
«Sì, Bernard?»
«La
signorina Allen è qui sotto. Dice che deve
consegnarle qualcosa».
Il
giovane sbatté le palpebre e diede un’occhiata
al proprio cellulare. Aveva trascorso gran parte della mattina
scambiando messaggi con Mary Jane… Poi, ad un certo punto,
gli aveva scritto Liz, chiedendogli se era a casa e se aveva qualcosa
da fare. Lui aveva risposto di sì alla prima domanda e di no
alla seconda, ma a quel punto dalla ragazza non era più
arrivato alcun SMS.
Forse
adesso avrebbe scoperto cosa aveva in mente.
«Va
bene, Bernard» disse, raddrizzandosi
– sino a quel momento, era stato mezzo stravaccato sul
divano. «Falla salire».
L’uomo
annuì, e si allontanò in
corridoio.
Harry
abbassò lo sguardo sulla camicia bianca e un
po’ larga che indossava. Siccome aveva in programma di
rimanere a casa tutta la mattina, non l’aveva abbottonata da
cima a fondo, e l’aveva lasciata un po’ aperta
sotto il proprio mento.
Ora
la abbottonò completamente aggrottando la fronte,
dopodiché si alzò e si diresse
nell’ingresso.
Arrivò
in tempo per accogliere Liz sulla soglia di casa.
«Ehi» la salutò, «che ci fai
qui?»
Per
tutta risposta, lei gli aprì sotto il naso il sacchetto
di plastica che reggeva, mostrandogli una vaschetta di polistirolo.
«Ti ho portato un po’ di gelato da mangiare sul tuo
divano» annunciò.
Lui
alzò lo sguardo sulla ragazza. «Oh».
Il
sorriso un po’ impacciato di Liz svanì subito.
«Certo, se ne hai voglia» si affrettò a
dire lei. «Insomma, potresti anche tenerlo in congelatore e
mangiarlo un altro giorno, e non per forza sul tuo divano. Io posso
anche andare…» Aggrottò la fronte.
«Ora che ci penso, mi sono praticamente autoinvitata a casa
tua, e questo non è molto educato. Non voglio che
credi…»
«Liz»
disse Harry, interrompendo quel torrente di
parole. «È tutto okay. Mi va un po’ di
gelato in compagnia».
La
ragazza respirò, evidentemente sollevata.
«Davvero?»
«Ma
certo» replicò lui. «In
fondo è quasi ora di pranzo, e cosa c’è
di meglio che guastarsi l’appetito con un’intera
vaschetta di gelato?»
Credeva
che questo l’avrebbe fatta ridere, ma Liz lo
fissò con una punta di orrore. «Hai
ragione» iniziò. «Anche
l’orario è…»
«Ehi,
stavo scherzando» disse Henry, mettendole
d’impulso le mani sulle spalle.
La
ragazza sbatté le palpebre e lo fissò, e lui
la lasciò andare immediatamente.
Invece,
fece un gesto galante in direzione del soggiorno. «Se
vuole seguirmi, signorina…»
«Non
pensavo che la torta fosse così
pessima».
Gwen
sorrise. «Ti avevo avvertito».
«E
avrei dovuto ascoltarti» replicò
Peter, portandosi una mano al collo come per strangolarsi da solo.
La
ragazza scosse la testa. «Ma non sei mai stato al bar
dell’università?»
«Uhm,
di solito non ho tempo per fermarmi a fare uno
spuntino».
Gwen
aprì la bocca per replicare, ma a quel punto udirono
delle grida provenire dal fondo del corridoio. Si fermarono entrambi, e
la ragazza balbettò: «Ma
cosa…?»
Subito
dopo, degli studenti arrivarono correndo nella loro direzione.
Uno inciampò e cadde sulle proprie ginocchia, ma si
rialzò subito e riprese la propria fuga.
«Via!
Via di qui!» urlò un altro,
superandoli di gran carriera.
Gwen
rivolse a Peter uno sguardo sgomento, e lui si portò
istintivamente una mano al petto. Quegli studenti stavano scappando da
qualcosa… e quel qualcosa sembrava richiedere
l’intervento di Spider-Man.
Il
giovane si voltò verso l’amica. «Tu
va’».
Gwen
lo fissò con aria incredula.
«Peter!» esclamò, allarmata, quando lui
mosse un passo verso il punto da cui arrivavano le grida.
«Che cosa stai facendo?!»
«Devo…
uhm… devo contattare
Spider-Man» le disse lui, in fretta. «Fargli delle
fotografie per il Bugle, se ci riesco».
«Ma
non sai cosa ci sia laggiù!»
protestò Gwen. «Potrebbe essere
pericoloso!»
Lui
annuì, girandosi verso di lei ma iniziando a camminare
all’indietro. «Lo so, per questo ti ho chiesto di
andar via da qui».
La
ragazza scosse la testa, fissandolo negli occhi.
Peter
capiva che doveva essere terrorizzata, ma non aveva tempo di
rassicurarla. «Sta’ attenta» le
raccomandò soltanto, un’ultima volta, prima di
voltarsi ed iniziare a correre verso il luogo da cui provenivano gli
studenti terrorizzati.
«Peter!»
Per
il suo sollievo, Gwen non lo seguì. Non appena ebbe
svoltato l’angolo, Peter si infilò in
un’aula vuota e si tolse i vestiti in fretta e furia. Siccome
un posto migliore non era disponibile, li ficcò nei cassetti
della cattedra, quindi uscì e riprese la corsa, stavolta
come Uomo Ragno.
Il
frastuono proveniva da uno dei laboratori, una lunga stanza che
ospitava dei tavoli sopra i quali erano posati telescopi e innumerevoli
campioni da esaminare.
Sul
fondo dell’aula, erano rannicchiati alcuni studenti
terrorizzati. E tra loro e la porta si trovava… si
trovava…
«Ma
che diavolo?» fiatò Peter.
Sembrava
una lucertola, però era molto, molto più
grande. Era delle dimensioni di un essere umano, con grandi squame
verde scuro, un muso allungato, occhietti neri e lucidi, ed una lunga
coda.
Modestia
a parte, Peter si riteneva una persona piuttosto intelligente.
La fatidica puntura di un ragno, poi, gli aveva conferito una serie di
incredibili abilità.
Nonostante
tutto questo, però, rimase per un momento
raggelato sulla soglia, senza avere la più pallida idea di
cosa fare.
Si
riscosse quasi subito, mentre il lucertolone capovolgeva un tavolo
con un colpo di coda ed uno degli studenti soffocava un grido di
terrore.
Peter
si disse che attirare l’attenzione della creatura
sarebbe stato un buon primo passo. Si girò verso la sedia
più vicina e la afferrò con un fiotto di
ragnatele, per poi scaraventarla contro il dorso scaglioso del suo
avversario.
«Ehi,
amico!» lo chiamò.
«Guardami, sono qui!»
Il
rettile si girò con un sibilo, e i suoi occhi scuri si
fissarono su di lui. Una lingua biforcuta guizzò tra le
fauci. «Sssspider-Man!»
Peter
strabuzzò gli occhi. Il lucertolone poteva parlare?
Questo non se l’aspettava.
Be’,
forse se poteva parlare era possibile ragionare con
lui…
Il
giovane tese le braccia in avanti. «Ehi, amico…
che ne dici se ci allontaniamo di qui? Possiamo andare in un posto
più tranquillo».
Per
tutta risposta, il lucertolone sbatté la propria coda
contro un tavolo, mandando gambe all’aria in un frastuono di
provette che s’infrangevano.
«Lo
prendo come un no».
Peter
balzò in alto per evitare un colpo di coda che
sembrava diretto proprio alla sua faccia, dopodiché
indietreggiò con un salto.
«Vieni!»
chiamò. «Vieni, vieni
qui!»
Siccome
le parole non sembravano sortire l’effetto
desiderato, il giovane sospirò ed afferrò
un’altra sedia con una nuova ragnatela, mandando anche questa
ad abbattersi contro la lucertolona.
L’attacco
strappò un sibilo furioso alla creatura,
che si voltò nuovamente verso di lui.
Peter
ebbe la netta impressione di essersi finalmente guadagnato tutta
la sua attenzione. Indietreggiò nel corridoio, lanciando
un’occhiata sfuggente agli studenti intrappolati nel
laboratorio.
«Sai
cosa mi chiedo?» gridò poi, rivolto
al suo squamoso avversario. «Tu… sei una lucertola
molto grossa… o un T-Rex molto piccolo? In ogni caso, sei
davvero molto verde».
“Molto
verde?” si chiese subito dopo.
Era
una situazione critica, però. Nessuno avrebbe potuto
biasimarlo se non era riuscito a tirar fuori qualcosa di meglio. Ma
avrebbe dovuto evitare di raccontarlo a Harry, o era probabile che
l’amico l’avrebbe preso in giro per
l’eternità.
Riusciva
quasi a sentirlo… E
questo è il
leggendario senso dell’umorismo di Spider-Man? Si vede che il
sarcasmo dei ragni e quello degli esseri umani non si somigliano
proprio!
Peter
continuò ad indietreggiare con gli occhi puntati sul
lucertolone. Quest’ultimo arrancava verso di lui e, sebbene
non fosse molto agile, era abbastanza veloce.
«Seguimi!
Seguimi!»
Mentre
lo guidava lungo il corridoio, cercò di pensare ad un
modo per metterlo K.O. Era probabile che avrebbe dovuto colpirlo con
qualcosa di duro… Dubitava che la sua forza – per
quanto superiore alla media – sarebbe bastata.
Dopotutto
era una lucertola, però… Se
l’avesse tenuta al freddo e lontana dal sole sarebbe svenuta
o qualcosa del genere?
Effettivamente…
Peter non ne sapeva molto di animali del
genere.
Non
ebbe neanche il tempo di riflettervi sopra, però.
Il
suo sesto senso gli scampanellò un avvertimento nella
testa. Un pericolo, proveniente non dal mostro che aveva
davanti… ma da qualcosa alle sue spalle.
Peter
si voltò di scatto, appena in tempo per vedere un
gruppo di poliziotti armati emergere dal fondo del corridoio. Gli
agenti presero quasi subito a sparare nella loro direzione, ed il
giovane si lanciò sul soffitto con uno squittio indignato ed
assai poco dignitoso.
La
lucertola emise uno strano verso, poi indietreggiò e si
diede alla fuga.
«Oh,
diamine» gemette Peter. Sperava solo che non
fosse tornata al laboratorio… Fece per spostarsi…
e poi il suo istinto gli urlò di saltare di lato.
Il
giovane eseguì, ma non fu abbastanza rapido. Un dolore
lancinante gli perforò il braccio sinistro, e lui diede
un’occhiata sopra la propria spalla in tempo per vedere un
poliziotto abbassare la pistola con mani tremanti.
L’aveva
colpito di striscio, ma bruciava da morire, ed alcune
gocce di sangue avevano iniziato a raccogliersi sulla ferita.
Per
un momento, il dolore gli annebbiò la vista e gli fece
girare la testa. Peter perse la presa sul soffitto e cadde pesantemente
sul pavimento.
Restò
disteso lì per qualche secondo, mentre un
gemito gli sfuggiva dalle labbra. Poi sentì alcuni passi che
si avvicinavano… e fu rapido a balzare in piedi.
Faceva
proprio male.
Peter
non riuscì a non domandarsi se era questo che aveva
provato lo zio Ben… Questo, certo… solo mille
volte peggio.
Il
respiro gli si bloccò in gola e, quando si
voltò e si mise a correre con una mano contro la ferita, non
lo fece per andare a cercare il lucertolone gigante, ma per scappare da
lì.
«Non
so cosa mi abbia preso, MJ».
La
ragazza, intenta a disinfettargli la spalla, sollevò un
istante gli occhi. Aveva il viso pallido, segnato dalla preoccupazione.
Peter
non ricordava chiaramente la propria fuga
dall’università. Sapeva solo che ad un certo punto
si era ritrovato davanti all’appartamento della sua
fidanzata, e che ora era seduto sul tavolo nella sua cucina mentre lei
si prendeva cura di lui.
«Voglio
dire, quel mostro potrebbe aver fatto del male
a…» Si interruppe con un sibilo di dolore.
Mary
Jane buttò sul tavolo i batuffoli di cotone che aveva
utilizzato per pulire il taglio. Erano sporchi di sangue. «Ti
ho già detto che è scappato» gli disse.
«L’ho sentito alla radio».
«Sì,
ma adesso dove può essere? In giro
per la città a spaventare degli innocenti?»
Mary
Jane aggrottò la fronte e sollevò lo sguardo
su di lui. «Non puoi incolparti di questo».
Peter
si premette un pugno sulla fronte. «Avrei dovuto
metterlo K.O., avrei…»
«Peter,
ti hanno sparato!» esclamò la
ragazza. «Semmai è quel poliziotto che dovrebbe
sentirsi responsabile».
Lui
scrollò le spalle – pessima idea, lo
informò una fitta di dolore. «Be’, sai
com’è. Sono una minaccia eccetera».
Mary
Jane lo incenerì con un’occhiata.
«Questo è assurdo» ribatté.
«Ti hanno persino consegnato le chiavi della
città!»
«MJ…»
«La
gente ti adora, sa che può contare su di te,
ma deve saltare fuori uno sbirro deficiente…»
«MJ…»
«…che
decide di spararti per qualche stupida
ragione, in un momento in cui chiaramente non sei la minaccia
più grave… ammettendo che tu sia una minaccia,
cosa di cui…»
«MJ!»
Peter le premette un dito sulle labbra, e lei
tacque. «Sto bene, davvero. O meglio… e sono
onesto perché non voglio trasformarmi in un Harry
2.0… sono un po’ dolorante, ma mi
passerà. Sono tutto intero».
Le
labbra di Mary Jane tremarono. Senza dire nulla, lei lo
circondò con le braccia, ed appoggiò la testa
sulla sua spalla sana.
Peter
la cinse con gentilezza, sfiorandole i capelli rossi.
«Sto bene» ripeté, ed era vero.
Adesso era vero.
Note:
Ebbene sì, sono tornata.
Mi scuso immensamente per l’enorme, mostruoso ritardo, e
spero che questo capitolo non sia noioso, e di riuscire a riprendere un
ritmo di aggiornamento quantomeno decente.
Intanto, vi do appuntamento a domenica 18 gennaio
per il prossimo
capitolo!
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Capitolo 21 *** Complicazioni ***
Capitolo 21 – Complicazioni
«Toglimi una
curiosità, oh impiegato sottopagato
del Bugle».
Peter,
seduto al tavolo della cucina di casa Osborn, gettò
ad Harry un’occhiata esasperata. Forse passare a trovare
l’amico non era stata un’idea geniale.
«Chi
è che inventa i nomi per i criminali di New
York? Con l’ultimo non ha avuto molta fantasia».
Peter
si portò automaticamente una mano alla benda che
– ben nascosta dalla maglietta – gli fasciava la
spalla. Subito dopo, riabbassò il braccio, ricordando a se
stesso che era meglio non andar troppo accanto alla ferita.
Da
parte sua, Harry gli sventolò l’ultima edizione
del Bugle sotto il naso.
Peter
colse solo un frammento del titolo in prima pagina –
LIZARD, il
nome scelto per la spaventosa creatura – e
gettò uno sguardo infastidito all’amico.
«Non
so chi decida i nomi» disse, con voce pesante.
«Di sicuro non sono io».
Harry
fece un breve sorriso. «Be’, questo
è un sollievo». Mise da parte il giornale, e prese
posto di fronte a Peter. «Allora? Cosa pensi di
fare?»
L’altro
aggrottò la fronte. «Il
solito» sospirò. «Tenere le orecchie e
gli occhi aperti, e se quel mostro dovesse
ripresentarsi…»
Harry
intrecciò le dita sotto il proprio mento.
«Quindi sei certo che non ti serva un aiuto? Da parte di New
Goblin, per esempio?»
«Harry»
sibilò Peter, «ti ho
già detto che è fuori discussione».
«Sicuro?
Anche dopo che ti hanno sparato?»
«Mi
hanno colpito di striscio».
A
quelle parole, Harry emise uno sbuffo divertito. «Oh, okay,
allora è tutto a posto…»
Peter
evitò di replicare. A dire il vero, la ferita stava
guarendo in fretta, probabilmente grazie ai cambiamenti che il suo
organismo aveva subito in seguito al morso del ragno. Più
che altro, a turbarlo, era stato il modo prepotente in cui il ricordo
della morte di suo zio era riemerso nella sua mente.
«Sia
come sia» brontolò, «non
mi serve l’aiuto di una testa calda come te.
Tutt’al più mi farebbe comodo parlare con qualcuno
che s’intenda di lucertole».
Harry
tornò serio. «Quindi pensi che sia una
specie di lucertola? Non era qualcosa come un costume?»
«Non
lo era» affermò Peter.
«Forse è una lucertola geneticamente modificata,
non ne sono sicuro. Mi ha parlato».
«Prego?»
domandò l’amico,
sorpreso.
«Quando
mi ha guardato, ha detto
“Spider-Man”».
«Oh».
Harry sbatté le palpebre.
«Caspita».
Per
qualche istante, entrambi rimasero in silenzio.
«Perché
non chiedi l’aiuto del professor
Connors?»
Peter
fissò l’amico. «Cosa?»
Harry
scrollò le spalle. «Non hai detto che
è un erpetologo? Potrebbe avere un’ipotesi su cosa
sia quel lucertolone, o su come neutralizzarlo».
«Uh»
disse Peter, senza riuscire a nascondere la
propria meraviglia, «in effetti non è una cattiva
idea».
Harry
roteò gli occhi. «Non suonare
così sbalordito, ti prego».
L’altro
non poté fare a meno di sorridere.
«Volevo dire, grazie, lo farò». Si
accigliò. «L’unico problema è
che non so quando lo vedrò. L’altro giorno era
assente, e in più ora hanno chiuso
l’università per fare alcuni
accertamenti».
Questo
era stato un problema quando si era trattato di recuperare i
suoi vestiti. Non lo avevano lasciato passare, ma poi Mary Jane era
andata in avanscoperta e Peter era rimasto sbigottito nel vederla
tornare con i suoi abiti.
«Va’
a casa sua» suggerì
Harry, riscuotendolo da quei ricordi. «In fondo sai dove
abita».
«Sì,
ma… sarebbe un po’
irrispettoso, non trovi? Non mi ha invitato».
L’altro
lo fissò. «Ti preoccupi di
questo, davvero? In una situazione simile?»
Peter
allargò appena le braccia.
«Okay»
fece Harry. «Allora potresti
andare da lui travestito da Spider-Man, no? O il dottor Connors lo
odia?»
«Non
che mi risulti».
«Allora
è perfetto» concluse Harry.
«Chi rifiuterebbe mai di prestare aiuto ad un leggendario
supereroe?»
Peter
inarcò un sopracciglio. «Qualche agente di
polizia, a quanto pare».
«Ottima
osservazione» concesse l’amico,
trattenendo un sorriso.
«Ci
penserò più tardi»
affermò Peter. «Piuttosto, tu hai qualcosa da
fare?»
Harry
scrollò le spalle. «Vado a casa di
Liz».
«Davvero?»
chiese Peter, cercando di non suonare
troppo interessato.
Il
cipiglio dell’amico lo informò che aveva
fallito miseramente. «Sì, davvero»
confermò Harry, un po’ piccato.
«Per
caso è…?»
«Non
è un appuntamento».
«Io
non sono mai stato a casa sua»
mormorò Peter.
«Non
vuol dir niente, non ci vediamo in un lussuoso
ristorante» replicò Harry. «È
solo che lei è stata qui molte volte, e a quanto pare ha
voluto ricambiare l’ospitalità».
A
dirla tutta, lui aveva provato a declinare l’invito, ma la
ragazza era stata irremovibile. Pensandoci, Harry aveva qualche
difficoltà a ricordare anche solo una volta in cui fosse
riuscito ad averla vinta con lei. Avrebbe dovuto preoccuparsi?
«È
stata qui molte volte?» Peter era del
tutto incapace di suonare disinteressato. «Sul
serio?»
«Non
più di te o Bernard»
ribatté Harry. «Siamo amici. Caso
chiuso».
Nel
tragitto dalla propria casa a quella di Liz, il giovane si
trovò a desiderare di poter zittire i propri pensieri come
aveva zittito Peter.
Purtroppo,
non sembrava possibile.
E
se Liz avesse avuto un doppio fine e lui non se ne fosse nemmeno
accorto?
Sfiorandosi
la guancia sfigurata, si disse che quell’ipotesi
era da escludere.
D’altra
parte, lui aveva iniziato ad informarsi sui chirurghi
plastici di New York… Non che ne avesse parlato con Liz
– né con nessun altro ad eccezione di Bernard, se
era per questo – ma lei era un’infermiera, e sapeva
quanti soldi avesse l’amico. Probabilmente dava per scontato
che lui, prima o poi, potesse sottoporsi ad un’operazione al
viso.
Harry
si sentì immediatamente un idiota per quel pensiero.
Non
solo implicava che la decisione di Liz di stare o non stare con lui
potesse dipendere unicamente dal suo aspetto fisico, e la ragazza non
era così superficiale… Ma oltretutto, viso
sfigurato o meno, quello che lui era non cambiava.
Fosse
anche stato bello come un attore hollywoodiano, Harry dubitava
che una ragazza avrebbe mai potuto innamorarsi di lui.
Arrivato
di fronte al condominio dove abitava Liz, il giovane
suonò il citofono e lei gli aprì quasi subito.
Harry entrò nella palazzina e, dopo aver salito qualche
rampa di scale, arrivò al pianerottolo dove viveva la
ragazza.
Lei
era già sulla soglia, vestita con un paio di jeans e una
maglietta rosa, e lo accolse con un accenno di sorriso.
«Allora quello di non prendere l’ascensore
è un tuo vizio».
«Preferisco
fare un po’ di moto»
replicò Harry. La verità era che salire a piedi
gli aveva dato il tempo di spingere da parte i propri pensieri.
«Da dove credi che venga il mio fisico sportivo?»
Liz
fece mostra di alzare gli occhi al cielo. «Smettila e
vieni dentro» lo invitò, facendosi da parte per
lasciarlo entrare.
Harry
si sfilò la giacca nell’ingresso,
guardandosi attorno mentre lei chiudeva la porta.
«Ebbene,
signor Osborn» disse infine la ragazza.
«Benvenuto nella mia umile dimora».
Gli
fece fare un rapido tour dell’appartamento, che sembrava
essere stato riordinato in gran fretta in occasione
dell’arrivo dell’ospite. Non era molto grande: una
sola stanza fungeva sia da cucina che da sala da pranzo, il salotto non
conteneva più di un divano e una tivù, e infine
c’erano un bagno ed una camera da letto.
«Be’»
si lasciò sfuggire
Harry, quando giunsero all’ultima tappa,
«è davvero piccolo».
Un
istante dopo avrebbe voluto mordersi la lingua. Adesso, infatti,
riconosceva che erano proprio commenti come quello ad aver
allontanato Mary Jane all’epoca in cui erano fidanzati.
Fortunatamente,
Liz non parve prendersela. «Lo so»
si limitò a dire, «non è certo il lusso
a cui sei abituato».
Harry
non seppe replicare.
«Io
mi sono messa a piangere, quando ho capito che senza i
soldi dei miei genitori questo era il massimo che potevo
permettermi» confidò allora la ragazza.
Lui
la guardò ed arrischiò un sorriso.
«Non sembra così terribile».
Liz
fece un gesto strano, come se avesse avuto la mezza idea di
pungolarlo con un dito e poi ci avesse ripensato. «Ah,
sì?» disse invece. «Vorrei sapere cosa
avresti fatto tu, signor riccone. Considera anche che era un periodo
movimentato, ero già sfinita per il lavoro, e
questo… diciamo che è stato il colpo di
grazia».
«Okay,
posso capirlo» disse Harry, avanzando di
qualche passo.
Un
armadio, un letto adornato da un buon numero di cuscini e una
scrivania ingombra erano tutto il mobilio presente.
Ad
un esame più attento, il giovane notò un libro
abbandonato sul letto e le ciabatte di Liz – una si trovava
sotto la scrivania, l’altra sulla sedia lì davanti.
«Alla
fine mi ci sono abituata, però»
aggiunse la ragazza, con una scrollata di spalle. «E non
è così male… perlomeno è un
posto mio».
Quella
considerazione colpì Harry. Casa sua non era solo
casa sua, era anche casa di suo padre, nonché il posto dove
Goblin aveva iniziato a manifestarsi. Si sarebbe sentito meglio, in un
posto nuovo?
Accattonò
in fretta quel pensiero. Non era certo il momento
di mettersi a progettare un trasloco.
«E
come va il lavoro?» chiese, per non lasciar
cadere la conversazione.
«Tutto
bene» assicurò lei. «E
tu cosa mi combini? Fai sempre lo stacanovista?»
«Ci
sono molte cose da decidere, alla OsCorp»
rispose Harry, forse un po’ sulla difensiva.
«Senza
dubbio». Liz sorrise. «Ma
fa’ attenzione a non svenire da qualche parte».
«Lo
terrò in conto» replicò
lui, asciutto.
La
ragazza ridacchiò. «Oh, dimmi quando ti viene
fame, ho preparato qualcosa per la merenda».
«Per
ora sono a posto».
Cercando
di non sembrare troppo indiscreto, si avvicinò alla
portafinestra che dava su un piccolo balconcino.
«Com’è la vista?»
«Grandiosa»
rispose Liz. «Puoi vedere una
strada e dei tetti, degli altri tetti… e altri tetti ancora.
Ma forse una delle case che vedi da qui dà su un panorama
interessante».
Harry
contrasse le labbra in un sorriso divertito e scostò
la tenda, solo per scoprire che la descrizione di Liz era stata
piuttosto accurata. Distolse lo sguardo, spostandolo sulla scrivania
della ragazza.
Accanto
ad un portatile chiuso, si trovava qualche portamatite pieno di
penne, un quaderno, e una considerevole pila di libri. Di medicina, per
lo più, e da molti di essi spuntavano i bordi di alcuni
fogli ricoperti di una grafia fitta e frettolosa.
Al
muro sopra la scrivania era appesa una tabella. Avvicinandosi
appena, Harry poté vedere che vi erano segnati i turni di
Liz all’ospedale.
«Vedo
che sei molto occupata» commentò,
prima di abbassare lo sguardo e notare una fotografia.
Non
era incorniciata, ma era appoggiata sul piano del tavolo come se
Liz l’avesse tirata fuori da un cassetto per guardarla e poi
se ne fosse dimenticata.
La
foto sembrava risalire a qualche anno prima. Ritraeva Liz con un
sorriso radioso e un taglio a caschetto, e un ragazzo più
grande di lei. Lui aveva i capelli color cenere e gli occhi castani,
una mascella decisa, e teneva un braccio attorno alle spalle di Liz in
modo quasi protettivo.
Per
qualche motivo, Harry si sentì seccare la gola.
«Che
cosa stai…?»
La
voce di Liz per poco non lo fece sussultare – la ragazza
gli era arrivata alle spalle senza che lui se ne rendesse conto. Si
girò a guardarla.
Quando
lei vide la foto, i suoi occhi azzurri si dilatarono appena, ed
un piccolo «oh» le uscì dalle labbra.
«Lui
chi è?» domandò Harry.
Liz
spostò il proprio peso da una gamba all’altra,
fissando la fotografia. «Lui?»
Harry
inarcò un sopracciglio. «Sì,
lui».
«Be’,
è… È un
amico» disse la ragazza, mettendo una mano sulla foto come
per nasconderla ai loro occhi.
Harry
aveva la netta sensazione che ci fosse qualcosa di
più. «Un ex compagno di classe?» si
informò.
Liz non rispose alla sua domanda. «Non
importa» disse invece, frettolosamente,
«comunque è un po’ che non lo
vedo».
Harry
la osservò mentre faceva scivolare la fotografia nel
cassetto della scrivania. Sembrava decisamente nervosa. Lui
pensò velocemente a qualcosa da dire. «Non mi
dispiacerebbe fare merenda, adesso».
Gli
occhi azzurri di Liz guizzarono sul suo viso.
«Oh… sì, ma certo» disse lei,
sollevata. «Vieni, andiamo in cucina».
Aveva
preparato alcune focaccine con la mortadella, ed una macedonia.
«Lo
so che non è il massimo» gli disse,
una traccia di nervosismo ancora presente nella voce, «ma non
sono un granché come cuoca».
«Va
benissimo» le assicurò Harry,
addentando una delle focaccine per dissimulare il fatto che non sapeva
cos’altro dire.
Anche
Liz si servì, e il giovane la scrutò di
sottecchi.
In
realtà, una parte di lui avrebbe voluto insistere a
proposito dell’identità del ragazzo nella
fotografia… Era abbastanza sicuro che Liz avesse mentito,
dicendo che era solo un amico.
Ma
perché dire una bugia? Harry non se lo spiegava.
Liz
aveva detto che se n’era andato… Forse era
quello il punto. Che si trattasse di un ex ragazzo? Forse
l’aveva lasciata, ma lei non l’aveva dimenticato?
Gli
sembrava la spiegazione più plausibile, e non gli
piaceva affatto.
«Avevo
visto degli stuzzicadenti con delle
bandierine» disse Liz in quel momento, cercando di suonare
disinvolta. «Li volevo comprare e usarli per dare
più un’atmosfera di festa, ma me ne sono
dimenticata».
Harry
scrollò le spalle, mandando giù un boccone.
«Non penso sarebbero degli stuzzicadenti simili a fare la
differenza».
«No»
concordò Liz, «ma erano
carini».
Il
giovane la guardò mentre si serviva di un’altra
focaccina con la mortadella.
Improvvisamente,
gli tornò in mente la sera in cui erano
andati a teatro. Liz aveva parlato di una persona, qualcuno che lei
aveva cercato di aiutare senza riuscirci… Forse il
collegamento era un po’ forzato, ma… e se si fosse
trattato di quel ragazzo?
Harry
ricordò il modo in cui le parole le si erano bloccate
in gola, e provò l’impulso di tendere una mano ad
afferrarle il polso. Invece, cercò di concentrarsi sul
proprio cibo.
Se
il ragazzo sconosciuto l’aveva davvero lasciata dopo che
lei aveva cercato di aiutarla, Liz non avrebbe più dovuto
pensare a lui.
Lei
si meritava di meglio, meritava…
«Oh,
porca miseria!»
Harry
alzò di scatto gli occhi: Liz stava guardando dentro
la ciotola della macedonia con aria a dir poco inorridita.
«Che
succede?» domandò lui.
La
ragazza lo fissò. «Credo di averci lasciato
dentro il nocciolo delle albicocche».
Harry
non poté fare a meno di mettersi a ridere.
«Sono
un disastro» si commiserò Liz ad
alta voce. «Lo sapevo che non avrei dovuto prepararla dopo il
turno di notte».
«Non
mi sembra così grave»
replicò Harry.
Per
tutta risposta, lei gli spinse la ciotola sotto gli occhi.
«Come no?»
«Dai,
passami le tazze che faccio le parti. Starò
attento a non strangolarmi con nessun nocciolo, te lo
prometto».
Liz
gli gettò un’occhiata imbarazzata, ma fece
come aveva chiesto il ragazzo.
Se
non altro, quell’incidente servì ad alleggerire
la tensione tra loro, e ben presto tornarono a chiacchierare con
disinvoltura.
Quando
per Harry giunse il momento di andarsene, Liz lo
accompagnò alla porta. «Allora ci
sentiamo» lo salutò, mentre lui usciva sul
pianerottolo.
«Certo»
confermò il giovane, chiudendosi
la giacca.
Liz
sorrise, poi parve avere un ripensamento. «Harry, mi
dispiace…»
Lui
aggrottò la fronte, alzando lo sguardo. «E per
cosa?»
«Be’,
per…» La ragazza si
morse il labbro. «Per i noccioli nella macedonia»
concluse poi, cercando di buttarla sullo scherzo.
«Oh»
disse Harry. La fotografia. Era piuttosto
sicuro che Liz si riferisse alla fotografia. «Non fa niente.
Come vedi, sono sopravvissuto. E la macedonia era buona».
La
ragazza abbozzò un sorriso. «Va bene... Ciao,
allora».
«Ciao».
Harry
iniziò a scendere le scale, e sentì la
porta dell’appartamento che veniva chiusa.
Con
addosso il proprio costume da Spider-Man, Peter scese lungo il muro
di casa Connors a testa in giù.
Non
era sicuro del perché avesse seguito il consiglio di
Harry persino a quel proposito.
Dopotutto,
però, sarebbe stato più veloce
chiedere aiuto nelle vesti di supereroe, anziché perdere
tempo a spiegare che lui conosceva Spider-Man ed era lì per
conto suo.
Si
affacciò alla prima finestra che trovò,
ritrovandosi a guardare un salottino che trovò abbastanza
grazioso.
Una
poltrona ed un divano color lillà si trovavano da una
parte, separati da un tavolino su cui era posato un vaso di
fiori… e di fronte ad essi si trovava una televisione a
schermo piatto.
Ciò
che attirò la sua attenzione,
però, fu la donna seduta sul sofà. Aveva capelli
biondo scuro, tagliati abbastanza corti, ed un vestito blu. Si teneva
una mano sulle labbra e, qualsiasi fossero i suoi pensieri, non
dovevano essere molto gradevoli.
Peter
allungò una mano e bussò sul vetro.
La
donna sobbalzò e guardò verso la finestra,
lasciandosi scappare un grido di sorpresa.
Un
momento dopo, si alzò e andò ad aprire le
imposte. «Spider-Man?» chiese, alzando lo sguardo
su di lui.
«In
persona» rispose Peter, facendo dondolare
appena la testa. «Lei è la signora
Connors?»
«Martha
Connors» annuì lei.
«Suo
marito è in casa?»
A
quella domanda, i pugni della donna si strinsero in una morsa
nervosa. «Cerchi Curt? Perché?»
A
Peter il suo tono di voce sembrò strano, ma forse gli
stava solo andando troppo sangue alla testa. «Be’,
non so se ha letto i giornali…» iniziò.
La
signora Connors lo interruppe. «Si tratta di Lizard, non
è vero?»
«Sì»
disse Peter, stupito,
«come lo sa?»
Per
tutta risposta, lei si fece indietro. «Entra»
lo invitò.
Peter
lo fece con un certo sollievo. Quando ebbe i piedi ben piantati
sul pavimento, tornò a rivolgersi alla donna: «So
che suo marito è un esperto di erpetologia».
«Sì»
confermò Martha Connors,
abbassando mestamente gli occhi.
Il
giovane si sentì un po’ perplesso di fronte a
quel comportamento. Forse si era già pentita di avergli
permesso di entrare?
Un
improvviso nodo allo stomaco, però, gli
suggerì che si trattasse di qualcos’altro.
«Be’,
sì, okay» riprese lui,
un po’ incerto. «Quindi volevo chiedergli se per
caso…» Si interruppe. «Mi scusi, ma suo
marito è in casa?»
Lei
lo guardò, sbattendo le palpebre. «Allora non
lo sai».
Il
brutto presentimento di Peter si rafforzò. Una frase
simile non prometteva mai nulla di buono. «Che cosa non
so?»
La
donna si posò una mano sugli occhi. Sembrava quasi
combattuta.
«Si…
si sente bene?» chiese Peter,
sentendosi un po’ a disagio. «Posso fare
qualcosa?»
Lei
abbassò la mano e lo guardò. «Mio
marito… mio marito è Lizard».
Dietro
la maschera, Peter aprì la bocca e la richiuse,
sentendosi come se fosse stato investito da un treno in piena corsa.
Il
professor Connors era Lizard? Quel mostro? Ma com’era
possibile?
A
meno che…
«Oddio»
si lasciò sfuggire.
La
ricerca! Quella per la quale Connors aveva chiesto dei finanziamenti
ad Harry! Il professore voleva mescolare il DNA delle lucertole a
quello umano…
Con
una fitta di sgomento, Peter ricordò la conversazione
che aveva avuto con l’amico a proposito di quel progetto.
Come idea è affascinante,
non posso negarlo,
però… ci sono molti punti che non mi convincono.
Ad esempio?
Be’, mettiamo che funzioni.
Quali potrebbero essere gli
effetti collaterali? E se la nuova specie innestata, la lucertola, si
rivelasse quella dominante?
“Oh,
diavolo” pensò. A quanto pareva, la
sua ipotesi si era rivelata corretta…
Ma
credeva che il professor Connors avesse rinunciato alla sua ricerca.
E invece, invece… pareva che avesse solo deciso di
sperimentarla su di sé.
«Lo
so». La voce della signora Connors lo riscosse.
«Mio marito stava svolgendo alcuni esperimenti… e
il risultato non è stato quello che si aspettava».
Peter
si morse la lingua. «Capisco» disse.
«Per caso… per caso può dirmi qualcosa
di più sugli esperimenti del professore?»
Martha
Connors strinse le labbra in una piega decisa.
«Seguimi» lo invitò.
Peter
obbedì, e la donna lo guidò sino allo
studio di Connors. Il tavolo da lavoro era stato spaccato in due, e sul
pavimento era sparpagliata una caterva di oggetti. Libri, per lo
più, con tutta l’aria di essere stati gettati a
terra, ma anche numerose scartoffie, fogli accartocciati, e i pezzi di
vetro di alcune provette infrante.
«Ha
lavorato qui» affermò la donna.
«È stato qui che… che è
successo. Non so come, deve essere stato un incidente. Io ero in
cucina, quando ho sentito degli strani rumori. L’ho chiamato,
ma lui non mi rispondeva, perciò sono corsa qui, ho aperto
la porta… e mi sono trovata davanti quel…
quel…»
«Lizard»
suggerì Peter.
Martha
Connors annuì. «Subito non ho capito.
Perché come poteva quel mostro essere mio marito?»
Il
giovane inclinò la testa. «Ma ora ne
è certa».
«Mi
ha attaccato» continuò la donna, e
il suo tono sembrava una conferma. «Ho cercato di scappare,
ma ad un certo punto mi sono ritrovata sul pavimento, con
quella… con Lizard che incombeva su di me. Poi ho sentito
Billy urlare».
Billy.
Il figlio del professore.
«È
stato quello a fermarlo» aggiunse
Martha Connors. «L’ho sentito sibilare il nome di
nostro figlio, poi è tornato a fissarmi e ha sibilato anche
il mio… E subito dopo è fuggito».
Ci
fu un momento di silenzio.
«Da
allora, non l’ho più
rivisto» concluse la donna, con una certa stanchezza.
«Mi
dispiace» offrì il giovane.
«Posso… posso vedere se riesco a trovare qualcosa
di utile nel suo studio?»
Lei
lo guardò aggrottando la fronte.
«Sa,
io sono… sono una specie di
scienziato» disse allora Peter. «Sa, quando
non… thwip, thwip. Vorrei cercare un modo di aiutare suo
marito».
Gli
occhi della donna parvero riaccendersi. «Credi di poterlo
fare?»
«Lo
spero».
Lei
trasse un respiro. «Prenditi tutto il tempo che
vuoi».
Note:
Prima di tutto, vi ringrazio per il bentornato che avete dato a questa
storia.
Sul serio, non me lo aspettavo (e direi che non lo meritavo neanche), e
mi ha reso felicissima.
Questo capitolo è abbastanza lunghetto, ma spero che non sia
risultato pesante da leggere. La battuta di Peter, “sono una
specie di scienziato. Sa, quando non… thwip,
thwip”, è una sorta di citazione non programmata
da Sensational Spider-Man (vol. 2) Annual #1, che
adoro. (La battuta
originale è: I’m kind of a scientist,
believe it
or not. When I’m not—you know. Thwip-twhip.)
Detto ciò, il prossimo aggiornamento va a domenica
8
febbraio (molto avanti, lo so, ma c’ho degli esami
di mezzo e
non so se riuscirei a preparare prima il nuovo capitolo).
Alla prossima!
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Capitolo 22 *** Un piccolo imprevisto ***
Capitolo 22 – Un piccolo
imprevisto
Harry si trovava nel proprio ufficio
alla OsCorp. Non stava facendo un
granché, a parte dondolarsi a destra e a sinistra sulla sua
sedia girevole.
Quella
mattina, avevano chiuso un contratto con una casa farmaceutica.
Forse, l’occasione di modificare la formula di Goblin si
stava avvicinando…
Harry
lo sperava. Voleva che da quel siero venisse qualcosa di buono.
Senza
smettere di far girare la sedia, si guardò attorno.
Quell’ufficio
era abbastanza spoglio, e non era molto ampio.
Quello che era stato di suo padre era grande almeno il doppio, ma Harry
aveva preferito trasferirsi. Certi ricordi dovevano rimanere sepolti.
Spostò
una pila di documenti, raddrizzò un paio
di penne… E improvvisamente gli parve di udire dei rumori
provenienti dal corridoio.
Ancorò
i piedi al pavimento, fermando di colpo la sedia.
Gli
sembrava di sentire i passi di qualcuno che correva. E delle urla,
forse?
Fece
appena in tempo ad alzarsi, quando la porta del suo ufficio venne
scardinata a forza e crollò sul pavimento con un botto
assordante.
Un
muso verde fece capolino, seguito da un torso squamoso.
Harry
incespicò all’indietro, e per poco non cadde
sulla sedia.
Gli
occhi piccoli e lucenti del gigantesco rettile che aveva davanti si
puntarono su di lui, ed una lingua biforcuta serpeggiò tra
le sue fauci. «Osssborn».
Peter
lo aveva informato che quel mostro era in grado di parlare, ma
udirlo in prima persona fu comunque uno shock. Forse avrebbe trovato
divertente il modo in cui strascicava le s, se solo non avesse avuto la
spiacevole sensazione che Lizard avrebbe potuto staccargli la testa con
un colpo di mascelle.
La
creatura avanzò, la coda che oscillava.
Harry
si chiese dove fossero finite le guardie di sicurezza della
OsCorp. Quel mostro le aveva già messe tutte K.O.?
«Osssborn»
sibilò nuovamente il
lucertolone, facendosi più vicino.
Harry
agì d’istinto, afferrando il tavolo e
ribaltandolo addosso a Lizard. Approfittando dell’istante di
confusione – forse di rabbia e dolore – della
creatura, cercò di guadagnare l’uscita…
La
coda di Lizard sembrò apparire dal nulla, e lo
colpì in pieno petto, scaraventandolo contro la parete
più vicina.
Harry
crollò a terra, boccheggiando.
Lizard
si girò verso di lui con un sibilo. Tirandosi
faticosamente a sedere, il giovane incontrò gli occhi neri
del rettile… Un momento dopo, un registro volò a
colpire la testa di Lizard.
Harry
si ritrasse contro il muro mentre il lucertolone si girava verso
la porta con un sibilo inferocito.
«Signor
Osborn» iniziò una voce
maschile, con un accento straniero,
«sta…?»
«Via!»
urlò Harry.
Troppo
tardi. Lizard si era già scagliato contro
l’uomo fuori dalla soglia.
Da
dove si trovava, Harry non riusciva a vedere cosa stesse succedendo
nel corridoio, ma era sicuro che gli scalpiccii frenetici ed il tonfo
che seguì non promettevano niente di buono.
Si
guardò freneticamente attorno. Un piano, un piano, gli
serviva un piano…
Un
istante dopo, un urlo gli fece rizzare i capelli sulla nuca.
Oh,
al diavolo.
Senza
aver messo insieme neanche il tre per cento di un piano, Harry
afferrò il registro dal pavimento e si precipitò
fuori dall’ufficio.
Le
urla provenivano dall’uomo che gli aveva probabilmente
salvato la vita – un tipo robusto, dalla pelle scura e la
testa rasata. Lizard lo aveva inchiodato sul pavimento, e torreggiava
minacciosamente su di lui.
Harry
sapeva che per certi versi ciò che si stava
apprestando a fare era una pessima idea, ma in mancanza di alternative
migliori scagliò il registro contro la testa del mostro.
Probabilmente
in passato lo avrebbe mancato, ma con tutte le cose
orribili che il siero di Goblin gli aveva causato aveva per lo meno
migliorato i suoi riflessi e la sua mira.
Lizard
si girò di scatto verso di lui, ed Harry mise in atto
la seconda e ultima parte del suo embrione di piano: si diede alla fuga.
Per
lo meno il lucertolone lo stava seguendo, segno del fatto che aveva
lasciato perdere l’altro uomo.
Harry
svoltò l’angolo e continuò a
correre. In fondo al corridoio, si trovava un’ampia vetrata,
e il cuore del giovane ebbe un balzo quando vide arrivare Spider-Man.
Non
era il genere di finestra che si potesse aprire, ma il supereroe
non parve trovarlo un problema: con un pugno ben assestato,
spaccò il vetro e passò dal buco con una mossa
sinuosa.
Harry
non era mai stato tanto felice di vedere il suo migliore amico.
Giungendogli
di fronte, rallentò e si girò:
Lizard stava arrivando, e sembrava che tutto l’edificio
traballasse al ritmo delle sue zampe che atterravano pesantemente sul
pavimento.
Peter
protese le braccia in avanti, lanciando delle ragnatele che
avvilupparono il lucertolone, dopodiché lo
scaraventò fuori dalla finestra.
Harry
si abbassò, portandosi le braccia sopra la testa per
proteggersi dalla pioggia di schegge di vetro.
Peter
era in piedi di fianco a lui, rivolto verso l’esterno.
Harry
si tirò su e guardò fuori, accorgendosi che
– anziché lasciare che il mostro si schiantasse al
suolo – l’amico utilizzò le ragnatele
per rallentarne la caduta… Una volta a terra, Lizard
riuscì a liberarsi e si rialzò, dandosi alla fuga.
Peter
lo osservò dall’alto col fiatone, quindi si
girò verso Harry. «Stai bene?»
Il
giovane annuì. «Sono ancora tutto
intero».
«Ho
sentito dell’attacco alla OsCorp sulla
frequenza della polizia. Ho fatto più in fretta che ho
potuto».
Harry
si girò verso il corridoio. «Sai per caso
che fine ha fatto la sicurezza?»
Peter
lo stava osservando come per assicurarsi che stesse bene per
davvero. «Li avrà stesi».
Dalla
strada, si udì in lontananza il suono delle sirene
della polizia.
«Come
mai Lizard è venuto qui?» chiese
Harry, accigliandosi.
Che
la OsCorp attirasse i mostri e gli psicopatici come il miele
attirava le mosche?
Peter
tacque un istante, e a causa della maschera Harry non
poté nemmeno cercare di decifrare la sua espressione.
«Credo che ce l’abbia con te».
A
quella notizia, il giovane sbatté le palpebre, preso in
contropiede. «Cosa? Ma… perché? Io non
l’ho mai visto prima d’ora! O… o
sì…?»
«Lo
hai visto» affermò Peter,
«e hai anche rifiutato di fornirgli dei fondi per le sue
ricerche».
Harry
fissò l’amico senza capire.
«Il
dottor Connors» spiegò allora Peter.
«Lizard è il dottor Connors».
«Che
cosa?!» esclamò Harry,
esterrefatto, mentre alcune auto della polizia si fermavano davanti
alla OsCorp con uno stridio di freni.
«Già»
confermò Peter,
«l’esperimento è finito male. Ora
però è meglio che io me la svigni, prima che uno
dei poliziotti mi veda e decida di arrestarmi. O di
spararmi». Fece una pausa. «Mi dispiace per il
vetro».
Harry
abbozzò un sorriso, scuotendo la testa, e
guardò l’amico che si slanciava fuori
dall’edificio.
Chinò
il capo e spostò alcuni frammenti di vetro
con la punta della scarpa. Poi sollevò il mento di scatto,
ricordando l’uomo che aveva lanciato il registro in testa a
Lizard.
Si
affrettò a correre verso il corridoio dove
l’aveva lasciato, e lo trovò seduto con la schiena
pesantemente poggiata contro il muro.
«Signor
Osborn» lo salutò
l’uomo, apparendo decisamente sollevato nel vederlo vivo.
Il
ragazzo gli si avvicinò, abbassandosi di fianco a lui.
«Sta bene?» chiese, aggrottando la fronte.
Aveva
notato, infatti, che l’uomo si teneva le mani sulla
gamba destra.
L’altro
fece una smorfia. «Credo che quel coso mi
abbia spaccato qualche osso».
Harry
si rimise in piedi. «Chiamo
un’ambulanza».
Mentre
entrava nel proprio ufficio e recuperava il cordless dal
pavimento, gli venne in mente che non aveva chiesto a Peter come si
poteva organizzare un piano su due piedi in una situazione di pericolo.
Forse,
se glielo avesse domandato, avrebbe scoperto che spesso neanche
il suo amico escogitava piani tanto elaborati, e talvolta non riusciva
a seguirli.
Quando
Peter aveva sentito dell’irruzione di Lizard alla
OsCorp e si era precipitato sul posto, aveva ben chiaro quello che
avrebbe dovuto fare. Salvare Harry era la sua priorità
assoluta, dopodiché avrebbe seguito Lizard per scoprire dove
si nascondeva.
Una
volta compiuto il primo passo, però, non era riuscito ad
allontanarsi dall’amico. Aveva voluto chiacchierare un
po’, osservarlo, assicurarsi che stesse davvero bene come
affermava.
Quando
alla fine se n’era andato dalla OsCorp, aveva percorso
la zona cercando tracce dell’enorme lucertolone, ma senza
successo. Lizard si era già volatilizzato.
Peter
trovava la cosa stressante. Com’era possibile che un
mostro simile riuscisse a sparire nel nulla in quel modo?!
Borbottando
tra i denti qualche insulto rivolto alla propria persona,
aveva interrotto la ricerca ed era tornato al proprio appartamento. Una
volta arrivato, si era cambiato d’abito, quindi aveva
telefonato ad Harry per assicurarsi che fosse arrivato a casa sano e
salvo. Bernard, però, gli aveva detto che il giovane non era
ancora rientrato.
Peter
per poco non aveva ceduto al panico, poi aveva provato a
contattare l’amico sul cellulare.
Grazie
al cielo, Harry gli aveva risposto, e gli aveva detto che si
trovava all’ospedale – a quanto pareva, aveva
accompagnato lì un suo dipendente che era rimasto ferito da
Lizard.
A
quel punto, Peter decise di far visita a Mary Jane.
La
ragazza sapeva già che Lizard era il dottor Connors, che
sua moglie aveva messo a disposizione di Peter i dati degli esperimenti
del marito, e che lui stava tentando di studiare la sostanza che aveva
trasformato il professore in un mostro.
Supponeva
fosse il caso di informarla anche dell’attacco alla
OsCorp – oltretutto, parlare con la sua fidanzata era sempre
un toccasana.
Quando
fu davanti alla porta del suo appartamento, trasse un respiro e
bussò. Mary Jane impiegò un po’ di
tempo in più del solito per venire ad aprire, e
sgranò gli occhi nel vederlo.
«Peter»
disse, sorpresa, facendosi istintivamente
da parte per lasciarlo passare.
Lui
entrò, affermando: «Devo sbrigarmi a trovare
un antidoto. Lizard ce l’ha con Harry,
e…»
Si
interruppe bruscamente, notando che Mary Jane gli stava facendo
furiosamente segno di no con la testa.
«Va
tutto bene?» le chiese, aggrottando la fronte.
Un
momento dopo, notò un movimento, e i suoi occhi
guizzarono verso la porta della camera da letto di Mary Jane. Liz ne
era appena uscita, e ora lo fissava, pallida come un lenzuolo.
«Chi è che ce l’ha con Harry?»
Note:
Prima di tutto, scusate l’attesa. Chiedo venia anche per
questo sputo di capitolo, spero che perlomeno sia stato piacevole da
leggere (tenterò di rifarmi con la lunghezza del
prossimo)…
Cercherò di aggiornare domenica 1 Marzo
(anche se,
considerato il fatto che ho ripreso le lezioni, potrei dover rimandare
alla settimana dopo… chiaramente spero di no, vedremo come
andranno le cose).
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