A Dark Future di michaelgosling (/viewuser.php?uid=182536)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'Aggressione ***
Capitolo 2: *** Scappa! ***
Capitolo 3: *** Una Vita Distrutta ***
Capitolo 4: *** Incontri Inaspettati ***
Capitolo 5: *** Ricerche e Fughe ***
Capitolo 6: *** Segreti ***
Capitolo 7: *** Andata e Ritorno ***
Capitolo 8: *** Il Muro ***
Capitolo 9: *** Tra i Ghiacci ***
Capitolo 10: *** Jim ***
Capitolo 11: *** Sotto Copertura ***
Capitolo 12: *** In Trance ***
Capitolo 13: *** Quando Tutto è Cominciato ***
Capitolo 14: *** Disperazione ***
Capitolo 15: *** Cina Libera ***
Capitolo 16: *** Sei Felice? ***
Capitolo 17: *** Rottura ***
Capitolo 18: *** Naveria ***
Capitolo 19: *** Declino ***
Capitolo 20: *** Sul Ponte ***
Capitolo 21: *** Ultime Carezze ***
Capitolo 22: *** L'Ultima Carta ***
Capitolo 23: *** Verso l'Infinito.. e Oltre! ***
Capitolo 24: *** Primo Contatto ***
Capitolo 25: *** I Naveriani ***
Capitolo 26: *** Hassral ***
Capitolo 27: *** Famiglia ***
Capitolo 28: *** Educazione ***
Capitolo 29: *** Sonak ***
Capitolo 30: *** Lavori e Fiabe ***
Capitolo 31: *** La Flotta ***
Capitolo 32: *** Teletrasporto ***
Capitolo 33: *** Le Esigenze dei Molti vengono prima delle Esigenze dei Pochi ***
Capitolo 34: *** Bambini ***
Capitolo 35: *** Vicini alla Fine ***
Capitolo 36: *** Fino ad Arrivare là, Dove Nessun Uomo è Mai Giunto Prima ***
Capitolo 1 *** L'Aggressione ***
Questi
personaggi non sono miei, ma di Gene Roddenberry etc etc
NOTA:
come avrete letto dalla trama, questa è una WHAT IF.Star
Trek è il
risultato della visione ottimistica di quel gran d'uomo di Gene ma
io, da perfetta pessimista, mi sono sempre chiesta.. E se invece le
cose fossero andate diversamente? Questo è quello che
sarebbe
successo secondo me.
E' la mia prima Fanfiction su Star Trek,
quindi abbiate pietà vi prego.
Le recensioni sono ben accette!
:D
ps: questo capitolo non è molto "fantascientifico"
né "trekkiano", ma vi assicuro che i prossimi capitoli si
fanno più interessanti!
BUONA LETTURA!
CAPITOLO
1. AGGRESSIONE
"Spazio.
Viaggi nello spazio più profondo, più oscuro,
più segreto e perché
no, più bello. Dei viaggi che non erano mai stati compiuti
prima
d'ora, dei viaggi senza una meta, dei viaggi che avrebbero portato
l'uomo proprio laggiù.." fece con entusiasmo, indicando con
la
mano il cielo stellato, sotto lo sguardo attento del bambino "..
dove nessuno è mai stato prima."
Il bambino che lo
ascoltava pazientemente aveva gli occhi che brillavano proprio come
le stelle che stava guardando, la cui visione veniva interrotta in
quei rari momenti in cui voltava lo sguardo verso il narratore di
quella storia che probabilmente aveva inventato sul momento, solo per
farlo stare più tranquillo e a proprio agio.
L'armonia venne
interrotta dall'uomo sulla porta che sbuffò, quasi
annoiato.
L'autore di quella breve storia si rese conto che il
bambino si sentiva a disagio da quell'uomo. Che ne era quasi
impaurito. E aveva ragione. Quel povero ragazzino di neanche dieci
anni era stato l'unico testimone di un'aggressione sessuale la cui
vittima era sparita dalla circolazione dopo essere stata ricoverata
in ospedale senza lasciare nessun tipo di traccia, e mentre i
colleghi cercavano di rintracciarla e di trovare almeno il suo
indirizzo, lui e il partner avrebbero dovuto parlare con il bambino.
Ma il suo collega non faceva altro che aggredirlo e spaventarlo. Non
lo poteva accettare.
"Perché non vai a farti un
giro?"
"Il capo vuole dei risultati entro la
giornata. E io non intendo essere licenziato perché tu ti
diverti a
fare il sognatore." sbuffò nuovamente, per poi lasciare la
stanza.
"Non ti preoccupare, è andato via. Non può
né
vederti né ascoltarti. Fai con calma, dimmi tutto quello che
ti
ricordi." disse gentilmente.
"Era buio..
non ho visto molto. Io ero.. ero nascosto dietro ad un cassonetto.
Mamma mi aveva mandato a buttare la spazzatura."
"Bravo. Sei bravissimo. Ricordi altro?"
"Non ho visto in faccia nessuno di loro, neanche lei. Erano in gruppo.
In quattro credo. Non mi ricordo altro." mormorò il bambino
con un tono sempre più basso "non sono stato di gran aiuto,
vero?".
"Oh no no. Ora grazie a te abbiamo degli elementi nuovi. Adesso ti
porto da mamma e papà, e non dimenticare quello che ti ho
detto."
"Dello spazio?"
"Esatto. Dello spazio. Non scordartelo mai. Me lo prometti?"
"Ok."
Uscirono dalla stanza, e andarono verso un uomo e una donna, che
abbracciarono il bambino.
"E' tutto a posto, agente? Possiamo andare a casa?" chiese la madre.
"Sì.." mormorò, lanciando un'occhiataccia al
collega qualche metro più in là "potete andare".
"Grazie, agente..?"
"Kirk. James Tiberius Kirk."
"Agente Kirk. Grazie."
Kirk vide la famiglia lasciare l'ospedale, dopodiché
tornò, a malincuore, dal collega.
"Che ti ha detto il ragazzino?"
"Non molto purtroppo. Solo che erano in gruppo."
"Meglio così."
Kirk si bloccò di colpo.
"Come sarebbe a dire meglio così?"
"Hanno chiamato dal Distretto. Hanno rintracciato la ragazza."
"Beh, fantastico. Andiamo a parlarle!"
"No, non hai capito. Il caso è chiuso."
"E perché mai?"
"E' una negra."
"Volevi dire una donna di colore." disse a denti stretti Kirk, cercando
con tutto sé stesso di controllare la rabbia.
La conversazione che aveva avuto con quel bambino
lo aveva rallegrato, e la consapevolezza di avergli dato conforto con
una piccola storia gli dava soddisfazione. Era anche per quello che era
diventato poliziotto. Ci credeva in quello che faceva. Ci credeva nel
giuramento che aveva fatto. Era solo ed ingenuo, ma ci credeva. E ora
era ritornato alla terribile, cruda realtà.
"No, volevo dire negra."
"Non insabbierò tutto."
"Non sei tu che decidi. Il capo vuole così."
"Certo. Se una donna bianca viene rapinata tutta la città si
attiva, ma se una donna di colore viene brutalmente aggredita e
stuprata si può tranquillamente chiudere un occhio
perché tanto non è stato altro che un incidente."
"Vedo che hai capito."
"Il fatto che voi vi siate dimenticati il significato che ha quel
distintivo non comporta che me lo sia dimenticato anch'io. Sono entrato
in polizia per far rispettare la legge e seguire dei determinati
valori, e niente mi fermerà."
"Non essere così ingenuo! Sei entrato in polizia da quanto?
Sette mesi? Quanti anni hai? Venti? Ventuno al massimo! Non hai ancora
capito come funziona il mondo? Quelli come te hanno solo due
possibilità: o prendere la pistola e ficcarsela in gola
perché il mondo non è perfetto come l'avevano
immaginato o farsi uccidere da qualcun altro. E tu non vuoi morire alla
tenera età di vent'anni, vero?"
"Dammi il nome e l'indirizzo."
"Ti
uccideranno."
"Il nome e l'indirizzo."
"Anche
se scoprissi chi è stato, non riuscirai mai a portarli in
tribunale."
"IL NOME E L'INDIRIZZO!"
"Non
posso."
Questa volta fu Kirk a sbuffare.
"Vorrà
dire che la troverò da solo."
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Capitolo 2 *** Scappa! ***
CAPITOLO
2. SCAPPA!
Ti uccideranno.
Farai una brutta
fine.
Quelle parole continuavano a
risuonargli nella testa, come una cantilena fastidiosa. Kirk cercava
di non pensarci, ma non poteva farci nulla, per quanto si
sforzasse.
La verità è che non era mai stato uno stupido, e
sapeva bene come girava il mondo, ma voleva.. voleva fare la
differenza. Non voleva essere uno dei tanti puntini. Forse non
avrebbe potuto trasformare la città nel paradiso che era
stata un
tempo, ma voleva comunque dare un contributo. Voleva dare speranza
alle persone, una ragione per credere nel futuro, una motivazione che
sembrava avere solo lui in quella Terra maledetta. Non voleva
piegarsi alle autorità, a leggi così sbagliate ma
così instillate
nella popolazione da essere diventate normali, ma non poteva neanche
diventare un criminale. In fondo era sempre un poliziotto, e si era
impegnato a difenderle, quelle leggi. Eppure doveva esserci una
scappatoia..
E questo non significava non avere paura. Era
coraggioso e dall'animo nobile, ma non era un pazzo. Sapeva cosa
comportava, sapeva cosa rischiava, e non c'era affatto bisogno che il
suo collega glielo ricordasse. La morte lo spaventava come chiunque
altro, ma lo spaventava di più diventare un'altra persona, e
finire
con l'arrendersi ad una società che da solo non poteva
cambiare.
Sospirò profondamente facendosi forza, e bussò.
Ad
aprire fu una bellissima ragazza bionda dagli occhi chiari che doveva
avere più o meno la sua stessa età, ma vestita in
modo molto
casual. Lo squadrò dall'alto in basso, e gli
lanciò un'occhiata
terribile non appena capì che era un poliziotto. Chiunque
fosse, non
doveva avere molta stima delle Forze dell'Ordine e Kirk, da parte
sua, non poteva fare altro che capirla. Certo, lui non era un
poliziotto come tutti gli altri, ma lei questo non poteva saperlo.
Non ancora.
"Sto cercando.. Nyota Uhura. Vive qui?"
chiese timidamente, ricordando il nome della vittima che a fatica era
riuscito a trovare.
"Perché?" chiese la biondina in
tono accusatorio.
"Dovrei parlarle.. in merito all'aggressione di cui
è stata vittima. Sono qui per aiutarla."
La ragazza soffocò una risata.
"Certo, come no. Aiutarla. Come la volevano aiutare quei pezzi grossi
che sono passati di qui qualche ora fa, ma che non hanno fatto altro
che accusarla ingiustamente."
"Chi? Chi è venuto?" chiese subito Kirk, sinceramente
sorpreso da quanto aveva scoperto ma che, ripensandoci, avrebbe dovuto
prevedere.
"Ma voi sbirri pensate davvero che noi siamo così stupide?
Se ne vada. Non permetterò che la mia amica venga aggredita
due volte in un giorno quando in realtà è stata
lei la vittima."
Kirk stava per ribattere, ma dall'interno dell'appartamento si
sentì un'altra voce femminile. Probabilmente era la ragazza
in questione.
"Fallo entrare, Leila."
La bionda sbuffò, e aprì la porta.
Kirk entrò nell'appartamento in punta di piedi, e vide in un
angolo, seduta su un divano, una giovane e bella ragazza di colore, che sarebbe
stata ancora più bella se non fosse stato per i lividi e il
sangue che aveva un po' in tutto il corpo.
L'agente si avvicinò lentamente, per poi sedersi accanto a
lei.
Si sentiva giusto un tantino a disagio: sentiva dietro di sé
la ragazza bionda che lo studiava minuziosamente, stando in piedi ad
ascoltare tutto quello che gli fosse uscito dalla bocca. E Kirk la
capiva. Si stava assicurando che alla sua amica non accadesse niente di
male.
"Mi scusi per la mia coinquilina, agente. E' così abituata
ad avere a che fare con i poliziotti senza scrupoli che si è
dimenticata che ce ne sono di buoni."
"Non ti fidare, Nyota. E tu amico, fai un solo passo falso e te la
vedrai con me." sbottò lei.
"Non dovevi andare al lavoro, Leila?" ipotizzò Nyota.
Lei a malincuore si rese conto che la coinquilina aveva ragione,
così prese la borsa e uscì, lanciando comunque
uno sguardo terribile a Kirk, come se gli avesse detto "Non la farai
franca, amico. Se le farai del male, stai pur certo che lo
scoprirò."
Quando si chiuse la porta alle spalle, Kirk tirò un
sospirò di sollievo.
"Non è cattiva, agente. Facendo la biologa, ha accumulato
una tale rabbia nei confronti delle istituzioni per via dello
sfruttamento degli animali e della natura che ormai non si fida
più di nessuno."
"Lo capisco. E' fortunata ad avere un'amica come lei."
"Cosa è venuto a fare, agente?"
"Sono qui perché voglio che i responsabili della sua
aggressione vengano puniti. E mi serve il suo aiuto per farlo."
Nyota scosse la testa.
"Lei mi sembra un bravo ragazzo agente, il che è raro al
giorno d'oggi, ma neanche con tutto l'aiuto del mondo lei riuscirebbe a
rendermi giustizia. E se pensa il contrario, è un folle. Ma
apprezzo lo sforzo, per cui le darò un consiglio: stia
attento, quelli come lei sono perennemente in pericolo. E non si
preoccupi per me. Questa non è stata la mia prima
aggressione e si fidi, non sarà
neanche l'ultima. Ci sono abituata ormai."
"Cosa dovrei fare secondo lei? Girare la testa dall'altra parte e far
finta che non sia mai successo nulla?"
Nyota aprì la bocca per dire qualcosa, ma un suono che
proveniva dalla tasca posteriore di Kirk li fece sobbalzare. Era il suo
cellulare, che Kirk si affrettò ad afferrare per rispondere
alla chiamata.
La ragazza non riuscì a capire chi fosse dall'altra parte
né la ragione della chiamata, ma non fu difficile arrivarci,
soprattutto intravedendo la preoccupazione di Kirk e il sudore che gli
rigava la fronte, per poi scendere per le guance.
Jim
avrebbe voluto mostrarsi più coraggioso, soprattutto davanti
ad una ragazza che aveva passato l'Inferno, ma quella reazione fu del
tutto istintiva.
Non era stata una conversazione lunga, quella tra lui e il suo capo, ma
era bastata a fargli capire a cosa avrebbe comportato.
Vieni subito al Distretto. Ci occorre la
tua presenza qui, prima che le cose peggiorino ulteriormente.
Prima che le cose peggiorino ulteriormente.
PRIMA CHE LE COSE PEGGIORINO ULTERIORMENTE.
Quelle dannatissime sei parole le aveva temute per
tutta la vita.
Tutti sapevano cosa significavano.
A
cosa.. comportavano.
Ricordava alla perfezione dell'episodio che si collegava a quelle
parole. Uno dei suoi primi giorni in polizia. C'era un agente, un certo
Pike, che era esattamente come lui. Credeva nella giustizia, nella
legge, nell'uguaglianza. Kirk lo guardava con orgoglio, con
ammirazione. Lo considerava un mentore, anche se lo conosceva da
qualche giorno e le volte che avevano parlato lo avevano fatto di
sfuggita, quando ne avevano avuto il tempo. Poi un giorno, quando si
trovava con lui da un ricco imprenditore che era stato rapinato, gli
squillò il cellulare. Il Capo gli disse che avevano bisogno
di lui al Distretto. Che doveva sbrigarsi ad arrivare prima che LE COSE
PEGGIORASSERO. Fu l'ultima volta che lo vide.
Da quel giorno, Kirk sentì un enorme vuoto dentro di
sé. Un vuoto che non riusciva a colmare né
guardando le stelle la sera né rimorchiando sempre ragazze
diverse.
Da quel giorno, Kirk capì il prezzo che si pagava a non
essere corrotto in quel mondo, un mondo che lui non sentiva suo.
Da quel giorno, Kirk si era ripromesso di fare il bravo, di non dare
nell'occhio.
Non voleva morire, ma era più forte di lui.
Non riusciva a far finta di niente.
Non poteva stare in silenzio.
Non poteva e non voleva.
E ora aveva finito con i giochetti.
Ora era arrivata la sua fine.
Sapeva cosa gli sarebbe successo, lo sapeva troppo bene, e se avesse
osato anche solo sperare in un destino diverso da Pike, allora
sì che era un folle.
Nyota non sapeva che erano quelle esatte parole a far scattare
l'operazione "eliminiamo chi può danneggiarci prima che sia
troppo tardi", ma sapeva che la polizia era abituata a togliere di
mezzo uno dei loro per convenienza.
Ora era il turno di Kirk.
Tutto perché voleva aiutarla.
No, non poteva permetterlo.
Doveva fare qualcosa.
Gli si avvicinò, e lo prese delicatamente per un braccio.
Lui la guardò: aveva uno sguardo perso e spento, ma
nonostante tutto riuscì a trovare il coraggio di incontrare
quello della ragazza.
"Scappa. Vai via." gli suggerì lei.
"Mi troveranno." bisbigliò lui.
"La città è grande. Se ti nascondi bene.."
"Mi troveranno. Hanno sempre trovato tutti. Troveranno anche me."
"Se indossi l'uniforme da agente, di sicuro. Aspetta, dovrei avere dei
vecchi abiti di mio padre, credo ti andranno bene. Ti conviene andare
nel bosco. E' molto fitto e forse lì non ti troveranno.."
"Se scoprono che mi hai aiutato, sarai nei guai."
"Nei guai? Mi hanno picchiata e violentata. Cos'altro possono farmi?"
"Non posso accett.."
"Non fare l'imbecille e mettiti subito questi abiti."
mormorò lei, lasciandogli una camicia a righe e un paio di
jeans, per poi lasciare la stanza per dargli un po' di privacy.
Kirk si spogliò e si mise gli indumenti, che in effetti, gli
stavano a pennello.
Nyota ritornò, e gli passò la pistola.
"Vai!" sbottò lei, spingendolo a forza verso l'uscita.
"Non so come, ma ti ripagherò. Per ogni
cosa."
"D'accordo! Ora però sparisci!"
Kirk avrebbe voluto continuare ad esprimerle gratitudine, ma aveva
ragione.
Non aveva tempo.
Avrebbe voluto correre, ma correndo si sarebbe fatto notare.
Cercò di nascondere il viso il più possibile, e a
passo svelto si diresse verso la campagna.
Stava continuando a sudare, e sembrare tranquillo non era affatto
facile, neanche per lui, ma quella era l'unica chance che aveva di
sopravvivere. Un piccolo errore ed era finito.
Camminò a lungo, per ore e ore. Camminò
così a lungo che si dimenticò la preoccupazione:
la stanchezza iniziava a crescere, e le energie iniziavano a mancare.
Alzò lo sguardo, e quando si rese conto che si trovava
già in campagna, cercò di tirare fuori tutta
l'energia che aveva rimasto per allungare il passo. Riuscì
persino a correre, ma fece solo pochi metri.
Respirò affannosamente e con le mani si appoggiò
ad un albero, ma era troppo tardi.
Sentii dietro di sé le auto volanti della polizia, il rumore
degli scarponi che indossavano gli agenti.
Erano arrivati.
Lo avevano trovato.
Come diavolo avevano fatto a trovarlo?
Che importava?
Tanto ora sarebbe morto, e sapere il come non lo avrebbe aiutato
né avrebbe reso meno inevitabile la sua morte.
"Saresti stato un gran poliziotto, James Tiberius Kirk.
E' un vero peccato che tu abbia scelto la strada
sbagliata." sbottò il suo capo in tono solenne.
Kirk continuava a guardare dall'altra parte.
Non voleva girarsi, non ne aveva l'intenzione.
Non avrebbe dato loro quella soddisfazione.
Non sarebbe morto guardando le loro uniformi, che non erano mai stati
degni di portare.
No, sarebbe morto guardando la natura e gli alberi.
Pace.
Pace e serenità.
"Sto aspettando. Sparate. SPARATE!" urlò, stringendo
l'albero vicino a sé, tremando.
Avrebbe voluto essere più coraggioso, ma
la verità era che era terrorizzato. Era solo un ragazzo,
aveva solo vent'anni, non riusciva a nascondere di avere paura.
Sentì un colpo.
Poi un altro.
E poi sentì freddo, e il rumore dei poliziotti che se ne
andavano si faceva sempre più lontano, più
confuso, più distante.
Si accasciò a terra, e chiuse gli occhi, sfinito in ogni
senso.
Quello di cui non si era accorto nessuno, né lui
né tanto meno i poliziotti, era che qualcuno aveva assistito
alla scena.
note: già, questa volta le metto in
fondo U.U
Allora, intanto ringrazio tutti quelli che hanno letto questo capitolo
per intero e che sono arrivati fin qui (eh già, forse questo
è un tantino lungo rispetto al primo, chiedo venia>
.< ) e ringrazio tutti coloro che mi hanno lasciato una
recensione per il primo capitolo, e spero recensirete anche questo!
Ora veniamo al capitolo..
Leila! Nessuno se lo aspettava che spuntasse fuori lei, eh?
L'ho voluta inserire nella storia perché è un
personaggio che mi ha sempre incuriosito: nel descriverla mi sono
trovata un po' spaesata, perché per tutto il tempo in cui
lei appare in Al di Qua del Paradiso è sotto l'effetto delle
spore, quindi non la vediamo mai com'è veramente, e secondo
me sarebbe stata così: una grintosa biologa che non ha paura
di dire ciò che pensa. E poi l'ho voluta inserire per fare
un piccolo omaggio a quel meraviglioso episodio, che amo alla follia e
che potrei rivedere 345876 volte!
E poi volevo mettere anche un po' di pepe alla storia, e mettere
qualche avvenimento, come dire, inaspettato!
E niente, grazie di tutto e ci sentiamo alla prossima! :D
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Capitolo 3 *** Una Vita Distrutta ***
CAPITOLO 3.
UNA VITA
DISTRUTTA
Non
gli era mai piaciuta quella stanza.
A nessuno sarebbe mai piaciuta
quella stanza.
Senza finestre, senza un qualcosa che gli
permettesse di vedere com'era il mondo là fuori. Sapeva che
era
brutto, ma il non poterlo vedere lo faceva stare ancora
peggio.
Quelle mura bianche.
Tutte uguali, tutte
tristi.
Quella stanza, quel luogo, era l'incubo dal quale non
riusciva più ad uscire.
Un incubo in cui era intrappolato da
quasi dieci anni.
Dieci anni passati lentamente ed
inesorabilmente, come se portasse sulle spalle un peso sempre
più
grande, un peso che non riusciva più a sopportare, un peso
troppo
forte per il suo debole corpo.
Dieci anni in cui tutti i giorni
erano uguali.
Primavera, estate, autunno, inverno.
Per lui non
faceva differenza.
Era rinchiuso lì, e lo sarebbe stato per
sempre.
Ricordò i mesi passati a piangere, fino a quando non gli
si esaurirono le lacrime.
Poi iniziò a piangere con lo sguardo,
con quegli occhi che diventavano sempre più spenti, sempre
più
malinconici, sempre più sofferenti, sempre più
azzurri.
La porta
d'acciaio chiusa dall'esterno si aprì, ma lui non si
girò
nemmeno.
"Avanti, è ora della ricreazione."
L'uomo
trattenne a fatica una risata malinconica, e si alzò per poi
seguire
l'infermiere.
Già, la ricreazione.
Una volta con quella parola
si voleva descrivere quel momento di pausa per i bambini a scuola tra
una lezione e l'altra.
Ma in quel posto, in quel luogo maledetto,
ricreazione voleva dire una cosa sola.
Un'ora a settimana di
televisione per i pazienti del manicomio criminale.
Percorse
quei corridoi che avrebbe voluto conoscere meno e, senza fare
movimenti bruschi, si diresse verso la sala "ricreativa".
Non aveva nessuna voglia di guardare la televisione, ma non aveva
scelta. In quell'ospedale funzionava così. O facevi quello
che
volevano loro, oppure ti obbligavano con le cattive. Si sarebbe
ricordato sempre di quel giorno in cui si rifiutò di
guardare la TV,
e i medici gli legarono la testa e il resto del corpo per
obbligarlo.
Non appena entrò, incrociò lo sguardo amorevole
dell'unica infermiera del manicomio che rispettava, e probabilmente
l'unica persona al mondo alla quale era affezionato. Lei non era come
gli altri. Lei era gentile, sempre disponibile per fare quattro
chiacchiere. Lei che si opponeva sempre quando i suoi colleghi
sottoponevano i pazienti a torture fisiche o psicologiche,
all'elettroshock e persino alla hertofiba, una tortura inventata una
ventina di anni prima che consisteva nel far sentire al paziente il
dolore fisico della sedia elettrica, senza però ucciderlo.
Lei era
onesta. Lei aveva iniziato a lavorare lì perché
voleva davvero
aiutare i pazzi e magari curarli, mentre tutti gli altri li
trattavano come carne da macello per divertimento, perché
tanto,
essendo matti, a nessuno sarebbe importato e nessuno avrebbe fatto
domande. Raramente arrivavano ad uccidere, ma la maggior parte dei
pazienti lo avrebbero preferito. Se non fosse stato per la sua
presenza, probabilmente si sarebbe già ucciso.
"Salve,
dottor McCoy."
L'uomo sorrise. Era così carino da parte
sua chiamarlo ancora dottore, la professione che esercitava prima che
tutto quell'incubo cominciasse e si portasse via la sua vita.
"Salve
a lei, infermiera Chapel." mormorò sorridendole leggermente,
un
sorriso che rivolgeva da anni solo a lei, e che era l'unico in grado
di fare ormai.
McCoy prese posto, e subito sentì gli altri
pazienti esultare. In molti lo salutarono, mentre altri dissero
qualche parola senza senso. C'erano dei giorni in cui McCoy avrebbe
dato qualsiasi cosa per essere come loro. Per essere davvero pazzo.
Se lo fosse stato, forse non avrebbe avuto la testa per capire come
stava procedendo la sua vita, se sempre vita la si può
chiamare.
Voleva solo urlare, lanciare mobili. Aveva una voglia di vendetta
dentro di sé che non poteva essere soddisfatta.
E pensare che
fino a dieci anni prima stava bene. Stava benissimo. Aveva la vita
che aveva sempre desiderato. Aveva un bel lavoro, una bella casa. Una
moglie che amava immensamente e dalla quale era amato. Una bellissima
bambina per cui avrebbe fatto qualsiasi cosa. E un altro bambino in
arrivo. Poi, tutto cambiò.
Dopo una lunga giornata di lavoro,
tornò a casa e vide la cosa peggiore che potesse vedere. Sua
moglie,
la sua bellissima moglie, morta, con ancora il pancione. Pancione nel
quale c'era suo figlio, il figlio che non sarebbe mai nato. E la sua
bambina. La sua Johanna, avevano ucciso la sua bambina.
Era
tutto così confuso quella sera. Ricordò solo
momenti frammentati,
come se si fosse trovato in una sorta di limbo.
E poi, le
cose peggiorarono.
Lui iniziò a delirare. Vedeva la polizia
non fare nulla. Non indagava, non faceva accertamenti, nulla.
"Ce
ne stiamo occupando." dicevano.
"Troveremo il
colpevole." dicevano.
Balle.
Lo sapevano loro e
lo sapeva lui.
Ma non si arrese. Non esisteva che lasciasse
perdere e poi, prima che se ne potesse rendere conto, venne rinchiuso
in quel fottuto manicomio.
Niente avvocato, niente
processo.
Lo presero e lo spedirono lì, come se fosse un
pacco.
"E' stato lei." dicevano.
"Ha
avuto un raptus." dicevano.
"Schizofrenia."
dicevano.
Non era mai stato un poliziotto né aveva un
particolare intuito per indagini e cose simili, ma l'unica
conclusione che gli venne in mente fu che c'era qualcuno di grosso
dietro. Qualcuno di potente. Qualcuno di intaccabile.
Ma
perché la sua famiglia?
Cosa c'entrava?
Domande che lo
avrebbero tormentato per sempre, destinate a non avere mai una
risposta, e fu quasi sollevato che stesse iniziando il telegiornale,
così avrebbe smesso, anche se solo per pochi minuti, di
pensare a
tutto ciò che era andato storto nella sua vita.
"Dieci
anni fa è scomparso il giovane agente James Tiberius Kirk.
Non ci
sono novità sulla scomparsa e, sebbene non sia stato ancora
trovato
il corpo, le Forze dell'Ordine sono certi della sua morte,
definendola tragica, ma i familiari del ragazzo non si danno pace
tanto che sono arriv.."
McCoy fece una smorfia.
Un
agente di polizia non scompare così nel nulla.
Sentì ancora una
volta puzza di bruciato.
"Nella giornata di ieri,
nell'American Science Earth.."
Altra smorfia.
Doveva
finirla di fare smorfie, anche perché se un medico o un
infermiere
se ne fosse accorto, lui sarebbe finito nei guai, ma era più
forte
di lui.
L'American Peace Earth.
Con quella istituzione si era
raggiunto l'apice dell'ipocrisia che regnava da anni ormai.
Quell'istituzione
era nata con
lo scopo di raccogliere i migliori scienziati del mondo in ogni
campo, per farli lavorare insieme e fare nuove scoperte, in qualsiasi
ambito: trovare una cura per una malattia, l'invenzione di un oggetto
che avrebbe facilitato la vita di tutti o un qualcosa che avrebbe
comunque rivoluzionato per sempre la vita umana, in meglio.
Ma
poi erano passati gli anni, e la corruzione l'aveva inondata del
tutto.
Ora non era altro che un insieme di uomini potenti che
obbligavano gli scienziati ad ingegnarsi per rendere la Terra
più
potente nel settore militare e spaziale, con la costruzione di armi
più potenti e navicelle spaziali che avrebbero permesso
all'uomo di
andare nello spazio con l'unico scopo di sottomettere gli abitanti
dei pianeti che avrebbero incontrato.
McCoy non sapeva di
precisione né quali fossero questi pianeti né che
fine facessero
gli alieni che ci abitavano. Non sapeva se venivano uccisi o usati
per lavori forzati. Ma sapeva quello che bastava. Tutti sapevano.
E
la cosa peggiore era che lo Stato obbligava i cittadini a pagare una
quota mensile a questa istituzione, soldi con i quali loro non
facevano altro che seminare distruzione e dolore.
".. il
caos. A quanto pare un ingegnere ha fatto credere a tutti di aver
progettato un motore super veloce che avrebbe permesso alle navicelle
spedite nello spazio di viaggiare velocemente e al tempo stesso di
sparare colpi contro i pianeti, ma secondo le mie prime
indiscrezioni, il motore portò la navicella ad esaurire
energia
molto presto, e a quanto pare in questo momento la navicella sta
fluttuando nello spazio senza potersi muovere. L'uomo è
riuscito a
scappare grazie ad un teletrasporto che aveva progettato lui, ma di
cui nessuno era a conoscenza, e ora le Forze dell'Ordine stanno
impiegando tutti i loro mezzi per trovarlo. Il nome del fuggitivo, a
quanto si dice dai colleghi, era Montgomery Scott, che lavorava
nell'istituzione da quasi.."
Prima che McCoy potesse
domandarsi perché la TV si fosse spenta da sola,
sentì un
colpo.
Non era uno sparo, doveva essere qualcosa di più
grosso, ma meno rumoroso. Un laser o qualcosa di simile.
Non
sapeva cosa stesse succedendo, ma subito si creò il
panico.
Qualcuno, chiunque fosse, stava attaccando il
manicomio.
L'uomo sentì esplosioni, grida di panico, urla
strazianti di pazienti e infermieri che morivano a poco a poco.
Solo
in un secondo momento capì che non era il manicomio sotto
attacco,
ma la Terra.
Riusciva a sentire le esplosioni lontane di case
distrutte, le vite di innocenti spezzati.
La conclusione era una
sola: alieni.
Da quando era riuscito a navigare nello spazio
con una modesta velocità, l'uomo non aveva fatto altro che
distruggere e sottomettere tutti gli esseri viventi che incontrava,
per poi impossessarsi delle risorse del pianeta. Evidentemente
qualcuno di quegli alieni aveva deciso di dire basta, e di
ribellarsi.
McCoy non sapeva se quella sarebbe stata davvero
la fine della Terra o se si trattasse solo di un attacco ai danni di
buona parte della popolazione, ma neanche gli importava. Non temeva
la morte, non dopo quello che aveva visto.
Se fosse morto, avrebbe
voluto farlo fuori da quelle mura, nella speranza che la sua anima
avrebbe trovato finalmente la pace, ma non sarebbe uscito senza
Christine Chapel.
Mentre tutti gli altri cercavano di mettersi
in salvo, lui la cercò disperatamente, fino a quando la
trovò viva,
ma ferita e svenuta.
Aveva un masso su una gamba, e non riusciva a
muoversi.
L'ex dottore usò tutta la forza che aveva per spostare
il masso, dopodiché la scosse per svegliarla, e insieme
lasciarono
l'ormai distrutto edificio.
Lei si allontanò da lui, e gli fece
segno di andarsene, ma McCoy non si mosse.
"Vai. Sto
bene!"
"Non posso lasciarti.."
"Sei libero.
Sparisci, prima che torni l'equilibrio e la Polizia ti prenda di
nuovo. Non importa dove vai, ma fuggi!"
McCoy la
abbracciò, e poi corse via: c'era un solo posto in cui
voleva
andare.
Non gli importava se andando lì sarebbe morto, è
lì che
voleva andare: il cimitero in cui erano seppellite sua moglie e sua
figlia.
Ci mise più del previsto a raggiungerlo, e quando si
sdraiò tra le due tombe, si rannicchiò a
piangere, come un bambino
a cui era stata portata via la caramella.
Sentiva un turbinio
di emozioni dentro di sé. Si sentiva sporco ed egoista,
perché
mentre della gente moriva, lui se ne stava lì sdraiato, come
un
vigliacco.
Non gli interessava sopravvivere, voleva solo passare
il poco tempo che gli rimaneva con chi amava davvero.
Finì
con l'addormentarsi, convincendosi che non si sarebbe mai svegliato,
ma a quanto pare il Destino aveva un altro piano per lui.
Quando
il mattino seguente sorse il Sole, sentì la luce che lo
colpiva a
forza, ma lui continuava a tenere gli occhi: era ancora stanco, e non
aveva intenzione di muoversi di lì.
Poi però sentì due
voci.
Due voci maschili molto vicine a lui.
Gli sarebbe bastato
aprire gli occhi per dare un volto a quelle voci, ma lui non ne aveva
le intenzioni.
Non gli importava nulla.
"E'
morto?"
"Non credo."
"Povero, sembra
distrutto. Dovremo aiutarlo."
"Non penso sia una saggia
idea."
"Non credo sia cattivo."
"Non può
saperlo. E pretendere il contrario sarebbe illogico."
"Non
penso proprio che un cattivo si sarebbe addormentato tra due tombe..
E smettila di darmi del lei, ci conosciamo da dieci anni ormai, e che
diamine!"
Finalmente, McCoy si decise a parlare.
"Non
mi importa cosa farete di me, ma vi prego, se dovete uccidermi fatelo
qui."
Quando non sentì nessuno dei due parlare, si
decise ad aprire gli occhi.
La luce non gli permise di vederli con
chiarezza, ma i loro volti erano ben chiari.
Riconobbe uno di
loro: era l'agente di polizia scomparso.
Quel tale.. James
Tiberius Kirk.
Non
era più il ragazzo della foto del telegiornale: era
diventato un
giovane uomo. Era palese che fosse lui, eppure era così
diverso da
quella foto.. Nella foto era un ragazzo sorridente ed ottimista, come
se stesse conquistando il mondo. Quello che aveva davanti era un
giovane adulto che si era rialzato dopo una grossa caduta, che aveva
ancora speranza, ma che vedeva il mondo con occhi diversi.
Con lui
c'era un altro tizio.
Più alto, con piccoli occhi scuri, uno
sguardo severo e le dita affusolate.
Portava
un cappello, e aveva..
delle strane sopracciglia.
L'ex medico avrebbe voluto dire
qualcosa, ma aveva talmente tante domande da fare a quei due che non
sapeva proprio da quale cominciare.
Chi
diavolo siete voi due?
E perché quel tizio alto ha quella
ridicola frangia da dodicenne e mi guarda come se fossi pazzo?
E
perché stanno zitti?
E perché non dicono
nulla?
Diamine!
Qualcuno mi può spiegare qualcosa?!?
"Sai
una cosa, Spock? Penso sia logico portarlo con
noi."
note..
Eccoci
al terzo capitolo, ancora più lungo del precedente (quindi
se
l'avete letto tutto, complimenti, grazie!)
Comunque, il
capitolo..
E' molto triste e malinconico, ma credo che un
capitolo del genere ci volesse, perché quando si scrive di
un futuro
basato su principi sbagliati, io me le immagino situazioni come
queste, con McCoy come vittima. Per allegerire un po' la cosa ho
voluto inserire altri personaggi di nostra conoscenza, anche se in
modo lieve, senza però metterli in situazioni assurde.
Scotty e la
Chapel sarebbero proprio stati così secondo me, e avrebbero
fatto
queste cose.
Per parlare di Spock è un po' presto, l'ho messo
solo alla fine infatti. Immagino che alcuni di voi ci siano rimasti
male per il salto "temporale" di 10 anni, ma ho preferito
farlo per poter, come dire, continuare quella suspence del "cosa
è successo a Kirk?" fino alla fine del capitolo e
perché sì,
fare il salto temporale lo trovo interessante U.U
Alcuni di
voi saranno dispiaciuti per non aver saputo come Kirk e Spock si sono
conosciuti, e cosa li ha tenuti uniti per dieci anni. Naturale, lo
sarei anch'io al vostro posto. Beh, non temete. Sarà tutto
raccontato nel prossimo capitolo, che appunto sarà scritto
in
corsivo perché parlerà di un fatto già
successo.
E niente,
spero vi sia piaciuto.
Le
recensioni sono sempre
gradite, voi lo sapete ^-^
Alla prossima :D
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Capitolo 4 *** Incontri Inaspettati ***
CAPITOLO
4. INCONTRI INASPETTATI
James
Tiberius Kirk era sempre stato un ottimista.
Se c'erano due modi
per vedere un problema, lui sceglieva sempre quello più
positivo.
Certo, quella società e quella corruzione avevano messo
a dura prova questo lato del suo carattere, ma c'era ancora una
piccola parte dentro di lui che ci credeva ancora, nel vedere le cose
con ottimismo.
Ma nonostante questo, mai e poi mai avrebbe pensato
di riuscire a sopravvivere dopo quell'incontro con i poliziotti nel
bosco, ma a quanto pare aveva la pelle più dura del previsto.
In
un primo momento, quando si svegliò, pensò
d'istinto che l'avessero
tenuto in vita apposta, con l'intento di spedirlo da qualche parte
dove nessuno avrebbe mai potuto trovarlo, per tenerlo rinchiuso o
farlo lavorare fino alla morte, ma scartò di getto
quell'ipotesi.
Se fosse stato davvero così, si sarebbe
trovato in un posto più oscuro, meno pulito e magari in
catene, ma
non c'era niente di tutto questo intorno a lui.
Dopo essersi
rapidamente stropicciati gli occhi, Kirk cercò di alzarsi,
ma subito
sentì una fitta ad un fianco: d'istinto vi posò
la mano, e sentì
una fasciatura sotto la camicia. Qualcuno lo aveva raccolto, portato
al sicuro e curato.
Il dolore era ancora forte, ma la sua
curiosità lo era di più, così si
alzò comunque e iniziò a
muoversi per la stanza, cercando risposte.
Dove si trovava?
E
soprattutto, chi l'aveva salvato?
Capì subito di essere in
una specie di capanna, e subito ipotizzò di trovarsi ancora
nel
bosco, dato che sentiva il rumore degli uccelli che fischiettavano e
il tipo odore della natura che si sente solo in quei luoghi.
Era
una camera davvero niente male, sebbene fosse vecchia di
chissà quanti secoli. Il letto aveva ancora il materasso e
poggiava per terra, la finestra si apriva e si chiudeva solo
manualmente e i mobili erano fatti di un legno antico, ma Kirk non
aveva ricevuto nessuna risposta e ne aveva bisogno. Aprì
l'unica porta della stanza, e si trovò nel soggiorno, che
seguiva lo stile della camera, con tanto di camino. C'erano anche dei
divani che apparivano molto comodi, ma il biondo non si sedette
perché erano così vecchi che temeva di rovinarli.
Proprio quando iniziava a tornare in sé, sentì
una voce fuori campo che lo fece sobbalzare.
"Non mi sembra nella condizione di girare come se non fosse quasi
morto."
Kirk dovette portarsi una mano sul cuore per tornare a respirare
regolarmente.
Si guardò disperatamente intorno, ma non vide nessuno.
Quella situazione lo stava inquietando e non poco.
"Chi parla? Chi è? Venga fuori, così
potrò ringraziarla di persona per avermi salvato la vita!"
Silenzio.
Kirk aspettò per minuti interi, ma nessuna risposta.
Sbuffò. Più aspettava e più la
curiosità saliva.
"Va bene. Siamo timidini, eh? Non c'è problema, non devo
andare da nessuna parte. Prima o poi dovrai rispondermi, o almeno farti
vedere. Non ho fretta." fece in tono sicuro Jim, sedendosi per terra e
appoggiando la schiena al muro, incrociando le gambe.
Jim aspettò pazientemente per ore e ore, ma la fame iniziava
a farsi sentire.
Santo Cielo, ma di cosa aveva paura?
Mica lo mangiava!
Perché non si faceva vedere?
Tanto lo sapeva che era lì, che era qualcuno di umano.
La voce non proveniva di certo da un computer.
Stremato, Kirk si alzò, sbuffando.
Se fosse rimasto in quella posizione ancora a lungo, non sarebbe stato
più in grado di rialzarsi.
"Senti, io sono stanco. Ho fame, e non credo resterò ad
aspettarti ancora per molto. Quindi, chiunque tu sia, ti prego, vieni
fuori. Non capisco di cosa tu abbia paura. Non ti farò del
male. Non ho mai fatto del male a nessuno, figurati se lo faccio a te,
che mi hai salvato la vita. Oltretutto ho bisogno di risposte, e solo
tu puoi darmele." mormorò Jim, usando il tono più
gentile possibile.
Non udendo nessuna risposta, Kirk stava per andarsene, ma non appena si
mosse, sentì di nuovo la voce.
"Non ho tutte le risposte che sta cercando."
Jim sorrise.
Era riuscito a farlo parlare di nuovo.
"Ma qualcuna sì. E qualcuna è meglio di niente."
"Se lo farò, poi lei se ne andrà via?"
Jim sgranò gli occhi, rendendosi conto solo in quel momento
che quella persona, chiunque fosse, non aveva fatto altro che parlargli
dandogli del lei.
Molto strano.
"Vuoi che vada via?"
Silenzio.
Evidentemente non sapeva cosa rispondere.
Jim aspettò pazientemente.
"Mi occorre silenzio e solitudine per realizzare ciò di cui
mi sto occupando. Un umano non farebbe altro che essermi d'ostacolo.
Non farebbe altro che rallentarmi."
Kirk sgranò ulteriormente gli occhi di nuovo.
Ma come parlava?
Sembrava un accademico o un professore, di quelli che pensano a
qualcosa, ma non aprono bocca finché non trovano il modo
più articolato e complicato per dirlo ad alta voce.
E poi.. umano?
Lo aveva chiamato umano?
Perché lui non lo era?!?
Quella conversazione non faceva altro che rendere l'ex poliziotto
sempre più confuso.
"In due le cose si fanno meglio. Magari posso aiutarti."
"Non ho bisogno dell'aiuto di nessuno."
"Non ho detto questo. Sono io ad aver più bisogno di te, e
non il contrario. Mi hanno ucciso. Per la società, io sono
morto. Non sono più nulla. Non posso tornare a casa. Io
non.. non ho un posto dove andare. Ti prego, fammi rimanere, fino a
quando non troverò un modo o un luogo per ritornare.
Farò tutto quello che vuoi. Qualunque cosa tu stia facendo,
io ti aiuterò. Sono certo che in qualche modo,
riuscirò ad esserti utile."
L'attesa per una risposta fu snervante.
Jim tenne le dita crociate, sperando di essere riuscito a convincerlo.
"Perché hanno provato ad ucciderla?"
Kirk non si aspettava una domanda simile, ma rispose comunque.
"I miei capi volevano.. volevano che insabbiassi un caso solo
perché la vittima era di colore. Io mi rifiutai e continuai
ad indagare. Dio, sono stato così stupido. Come ho potuto
pensare che avrei seriamente cambiato le cose? Non ho fatto altro che
mettermi nei casini. Ero anche stato avvisato! Dannatissimo Cielo!"
"Il
cielo non c'entra. L'unico responsabile delle sue azioni è
lei."
"Pensi che abbia fatto male?"
"Cosa penso io è irrilevante."
"Perché mi hai salvato?"
"Altro fatto irrilevante."
Jim sbuffò, ma a suo modo era divertito.
"Intendi accettare la mia proposta, o trovi anche questo irrilevante?"
mormorò Kirk, sporgendosi più del dovuto.
E poi tutto fu dannatamente rapido.
Evidentemente toccò con la mano un qualcosa che non avrebbe
dovuto toccare, e prima che potesse rendersi conto di quello che stava
succedendo, l'ex poliziotto si trovò dentro un breve tunnel,
che lo catapultò in una enorme stanza segreta sotto il
soggiorno che, al contrario del resto della baracca, era piena di
attrezzi tecnologici, molti dei quali erano del tutto nuovi per lui.
Sembrava ci fossero dei pezzi di astronavi, come se ne avessero
smontata una per studiarla, poi vide un computer, ma era diverso da
tutti gli altri computer che aveva visto fino a quel momento. La
struttura era completamente diversa dalla norma, e sui tasti colorati
della tastiera vi era chiaramente scritto qualcosa, ma non era
certamente inglese. Sembrava quasi una di quelle lingue antiche, quel
genere di lingua che si basa più su disegni e ghirigori
piuttosto che su singole parole. Avrebbe voluto capirne di
più, ma solo il guardaci per un po' gli fece venire il mal
di testa. C'erano molte altre cose tra cui libri sui quali c'erano quei
segni che aveva trovato anche sul computer, ma non ebbe il tempo di
controllare troppo l'arredamento perché qualcos'altro
attirò la sua attenzione.
Delle grandi, enormi orecchie a punta dell'uomo davanti a lui, che, non
aspettandosi quell'inconveniente, con una rapidità
spaventosa, prese un piccolo cappello che aveva lì a fianco
e se lo mise, per coprire quella parte del corpo che di solito tendeva
a nascondere, ma era troppo tardi. Anche se solo per un istante, Jim le
aveva viste. E non erano il genere di cose che si dimenticano di aver
visto.
L'uomo si voltò subito dalla parte opposta, probabilmente
imbarazzato da quell'intrusione.
A Jim ci vollero un paio di minuti per riprendersi, ma poi si
alzò e gli andò incontro, senza però
toccarlo.
Era molto tentato di fare una battuta su quelle orecchie, faceva parte
del suo carattere sdrammatizzare in momenti del genere, ma non gli
sembrò in caso. Se quell'uomo, sempre se un uomo era, si era
subito messo il cappello per nasconderle, doveva esserci una ragione, e
Jim non aveva la minima intenzione di farlo innervosire. Forse era per
quelle orecchie che non si era fatto vedere. Forse si vergognava o
temeva che lo avrebbe deriso o magari denunciato. Anche i bambini sanno
che se si donano soggetti con disabilità o malformazioni
fisiche alla scienza, si ottiene una ragionevole quantità di
denaro. E Jim voleva che capisse una volta per tutte che lui non era
quel genere di persona, e che non avrebbe mai fatto una cosa del genere.
"Non hai nulla di cui vergognarti. Sono solo di una forma un po'
insolita."
"La vergogna è un sentimento umano."
"Sì, presumo di sì." mormorò Jim, non
sapendo cos'altro ribattere.
A quel punto l'uomo finalmente si voltò, e Kirk si accorse
che le orecchie non erano la sua unica caratteristica insolita. Non
riuscì a trattenersi dal ridere, quando notò
delle sopracciglia piuttosto marcate e una piccola frangia nera che
sbucava dal cappello. Non appena capì di ridere, raccolse
tutto il suo autocontrollo e si fermò.
Troppo tardi. L'uomo lo guardava molto severamente e apparentemente
scocciato con due piccoli occhi neri.
"Scusa."
"Non ci trovo niente di divertente."
"No, infatti."
"Questa sua reazione è altamente illogica."
mormorò in tono seccato, sempre più irritato
dagli atteggiamenti troppo umani dell'uomo che aveva davanti.
"Lo vuoi sapere cosa è illogico? Quel taglio di capelli."
Zitto, Jim, Zitto!
Niente
battute.
"Ora che l'ha detto si sente meglio?" sbottò.
"Confesso di sì."
"Bene. Ora com'è venuto, può andarsene. Addio."
"Ehi, aspetta. Pensavo avessimo un accordo."
"Pensava male. Non ho accettato un bel niente."
Maledizione.
Non avrebbe dovuto prendersi la libertà di prenderlo in giro.
L'uomo che aveva davanti era chiaramente il genere di persona che era
sempre stata sola perché non si fidava di nessuno, e di
certo prenderlo in giro non avrebbe giovato.
Stupido, stupido Jim!
Lo guardò ancora per un po', cercando un qualcosa che
avrebbe potuto aiutarlo, una risposta che gli avrebbe permesso di
decifrare meglio quell'essere così enigmatico.
Certo, aveva la pelle abbastanza spenta e pallida, ma apparte quello e
le orecchie appariva perfettamente umano nell'aspetto, e non sembrava
essere cattivo.
E poi gli aveva salvato la vita, e Jim non se la sentiva di andarsene e
basta.
Era parecchio alto, con le dita affusolate, con una camicia e dei jeans
abbastanza vecchi, ma agli occhi di Jim era solo un burbero in
superficie. Qualcosa gli diceva, dentro di sé, che aveva un
grande cuore, ma che non era mai riuscito a mostrarlo a nessuno.
"Mi dispiace per la battuta, è più forte di me.
Era per sdrammatizzare. Lo so che posso esserti sembrato un ragazzino
infantile e ingrato, ma ti assicuro che non sono così. Ci
sarà pure un motivo se mi hai salvato. Altrimenti non lo
avresti fatto."
L'uomo guardò Jim.
Aveva ancora lo sguardo serio e c'era ancora l'oscurità nei
suoi occhi, ma non sembrava più seccato.
Le sue labbra sottili si mossero appena, ma poi si richiusero.
"Cosa sa fare?"
"Praticamente nulla. Ma imparo in fretta!"
Jim vide l'uomo davanti a lui spostarsi, per poi dargli un libro, libro
che stranamente era scritto in inglese, e che a quanto pare parlava di
formule matematiche e scienza.
Un libro davvero grosso.
"Non sarebbe più facile se tu mi spiegassi cosa devo fare?"
ipotizzò Jim che davvero, odiava i libri di fisica,
soprattutto quelli così enormi.
"E' illogico partire con la pratica quando non si conosce la teoria."
"Già.
Beh, meglio iniziare." mormorò Jim, che si
avvicinò per dargli una pacca sulla spalla, ma prontamente
l'uomo che aveva davanti si allontanò, e l'ex poliziotto
capì subito di aver sbagliato con lui. Di nuovo.
"Che succede?"
"Non mi piace essere toccato."
"D'accordo."
"Non voglio essere toccato per nessun motivo." sbottò.
L'espressione del suo viso era indifferente come lo era stata fino a
quel momento, ma nei suoi occhi e nella sua voce si leggeva tutta la
rabbia che provava nell'essere anche solo sfiorato da qualcuno.
"Lo terrò presente.. ma.. allora come diamine hai fatto a
curarmi se non.."
"Ho usato una macchina."
"Una macchina? Ma non esistono macchine che curino le persone al posto
di altre.. persone." mormorò in tono confuso Jim, non
sapendo neanche lui cosa dire esattamente.
"E' una mia invenzione. E non è un dottore. Si limita a
coprire le ferite con una sostanza che migliora la salute del soggetto."
"Oh, ma allora sei una specie di genio! Uno scienziato!"
"Non credo che questo sia il termine più appropriato."
"Comunque io sono Kirk. James Tiberius
Kirk, ma chiamami pure Jim. Tu hai un nome?"
"Spock."
Jim sorrise d'istinto.
Spock.
Gli piaceva quel nome.
Sembrava il nome del protagonista di un grande romanzo d'avventura.
"Spock come?"
"Solo Spock."
eccoci di nuovo!
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, ci ho messo tantissimo a
scriverlo. E' il primo vero capitolo riguardante Spock e racconta un
momento importante, e non volevo venisse una schifezza.
Per quanto riguarda la fissa di Spock di non farsi toccare, beh
sappiate solo che ha le sue ragioni, ragioni che saranno spiegate poi.
E niente, fatemi sapere che ne pensate :D :D Alla prossima :)
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Capitolo 5 *** Ricerche e Fughe ***
CAPITOLO
5. RICERCHE E FUGHE
Qualcosa
era andato storto.
Ma com'era possibile?
Aveva calcolato ogni
cosa.
Avevo
controllato più volte i suoi calcoli, che avrebbero dovuto
essere
impeccabili.
Eppure..
eppure era andata male lo stesso.
Certo,
poteva andare peggio, ma non era così che se l'era
immaginato.
Si
sarebbe dovuto teletrasportare nel suo amato paese natio, la bella
Scozia, ma le cose erano andate diversamente. Quel maledetto attacco
alla Terra deve aver interferito con la sua meta, riportandolo in una
zona del tutto deserta dell' America, attacco del quale lui non aveva
saputo nulla per giorni, fino a quando non era riuscito a tornare a
San Francisco a piedi e vide l'intera città distrutta.
Ciò
che provava era difficile da descrivere: gli sembrava tutto
così
irreale, e al tempo stesso così reale. I morti erano reali.
Le
macerie anche. Eppure gli sembrava tutto così strano,
così fuori
dagli schemi, così.. imprevedibile. Ma non avrebbe dovuto
esserlo a
dire il vero: avrebbero dovuto prevedere, tutti gli umani, che una
cosa del genere prima o poi sarebbe successa. Non poteva andare
avanti così per sempre: loro che distruggono. Qualcuno aveva
preso
in mano la situazione e si era ribellato.
Montgomery
Scott si rannicchiò per terra in un angolo, mettendosi le
mani tra i
capelli. Intorno a lui non c'era altro che desolazione, ma nonostante
questo non riusciva a smettere di pensare che in fondo, se l'erano
meritato. Cercò di scacciare via quel pensiero, ma tutti i
tentativi
andarono a vuoto.
Come
se non bastasse, era fisicamente sfinito: non dormiva da giorni, e
aveva fame. Quando sentì la stanchezza arrivare, chiuse gli
occhi,
convinto che sarebbe stata la fine, ma non andò
così.
Qualcuno
lo scosse con forza, costringendolo a svegliarsi. Pensò si
trattasse
di un poliziotto che l'aveva riconosciuto e che lo stesse arrestando,
ma quando aprì gli occhi, si trovò davanti una
graziosa donna di
colore con l'uniforme da cameriera.
“Sono
morto?” chiese lui, spalancando gli occhi.
“Sfortunatamente
no.” disse in tono malinconico lei, aiutandolo ad alzarsi,
senza
smettere di tremare.
Scott
se ne accorse subito.
La
prese dolcemente per le braccia, e la guardò negli occhi.
“Ehy,
che succede?”
Solo
in un secondo momento capì quanto fosse fuori luogo quella
domanda.
Era
ovvio che era successo qualcosa!
Razza di idiota!
“E'
la mia amica Leila.. non riesco a trovarla! Ho paura, ho tanta
paura.”
“Hai
idea di dove possa essere?”
“Potrebbe..
potrebbe essere ovunque.. ma tu.. tu hai aspetto un orribile.
Dovresti riposare. Da quanto non mangi?”
“Sto
bene, non ti preoccupare. Andiamo a cercare la tua amica. Non deve
essere lontana.”
E
infatti lo era.
Leila
era sempre stata così: dietro quel bel faccino angelico e
quei
capelli biondi, si nascondeva una ragazza grintosa.
Quando
era avvenuto l'attacco alla Terra, lei si trovava con alcuni
animalisti a manifestare presso l'azienda che usava gli animali per
fare esperimenti.
Poi
ci fu il disastro, e lei non era così stupida da lasciarsi
scappare
una simile occasione. Aveva paura, ma anche gli animali ne avevano,
da tempo ormai. Così, mentre tutti gli altri piangevano e si
disperavano, lei superò le macerie e liberò
quanti più animali
possibili. Con tutto quel trambusto nessuno la notò, e Leila
agì
indisturbata.
Fortunatamente
non erano molti gli animali rimasti uccisi, ma purtroppo non tutti
scappavano quando lei li liberò. Alcuni erano intimoriti, e
non
riuscivano a muoversi, così Leila fu costretta a prenderli
in
braccio o trascinarli fuori con forza. Non le piaceva forzare gli
animali, ma in quella situazione non poteva fare altro.
Caricò
quelli più spaventati in un camper lì vicino, e
gettò via tutto
quello che poté per fare spazio. Quando fu pieno,
partì verso la
campagna, con una meta ben precisa.
-
- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - – – -
- - -
- - - - - - - - – - - - - - -
“Eccoci,
ce l'abbiamo fatta. Immagino tu sia stanco.”
esordì Jim, senza
smettere di aiutare l'ex paziente del manicomio tenendolo per
aiutarlo a camminare.
“Per
usare un eufemismo.” mormorò McCoy, sfinito, ma
felice di essere
libero.
Alzò
lo sguardo, ed inspirò.
Sì,
era meravigliosa, la libertà.
Una
volta notata l'estasi in cui si trovava l'ex medico, Jim lo
lasciò e
andò verso Spock.
“Non
credo affatto che sia psicologicamente stabile.”
mormorò Spock al
biondo, guardando con sguardo severo McCoy, che muoveva la testa
avanti e indietro, a destra e a sinistra, tenendo gli occhi chiusi.
“Oh
andiamo, Spock! Io ho un ottimo intuito, e qualcosa mi dice che ci
aiuterà averlo con noi.”
“Non
mi piace.”
“Era
ingiustamente rinchiuso in un manicomio da anni! Mi sembra
più che
normale che voglia godersi la libertà ritrovata.”
“Ora
la domanda più logica è.. siamo sicuri che si
trovasse lì
ingiustamente?”
“Se
fosse davvero uno psicopatico violento ci avrebbe già
ucciso.”
“Questo
non risponde affatto alla mia domanda.”
Jim
stava per ribattere, quando sia lui sia Spock sia McCoy sentirono il
rumore di una specie di macchina farsi sempre più forte.
“Che
succede?” chiese d'istinto McCoy, uscendo del tutto dalla sua
trance di contemplazione della natura.
Per
una frazione di secondo, Jim sentì il sangue gelarsi, mentre
nella
sua mente rivedeva i momenti prima dello sparo. Pregò con
tutto sé
stesso che questa volta le cose sarebbero andate diversamente.
Ma
quando si resero conto di chi avessero davanti, Spock fu il
più
sorpreso di tutti. Sgranò gli occhi, e il suo volto era
più
espressivo che mai. Rappresentava irritazione e sgomento.
Leila
gli andò incontro non notando gli altri due, ma si
fermò a due
metri di distanza dal moro, e mentre McCoy si stava chiedendo come
fosse possibile che non potesse mai avere un attimo di pace, Kirk
fissò intensamente la ragazza. Aveva un viso familiare, era
certo di
conoscerla, eppure non riusciva a collocarla nella sua mente.
“Ho
bisogno del tuo aiuto, Spock.” disse la bionda.
“Le
avevo detto di non venire più.” mormorò
a denti stretti Spock,
usando un tono che non poteva essere contra detto.
“Lo
so, me lo ricordo bene. Ma si tratta di un'emergenza e io non potevo
andare da nessun altro.”
Prima
che Spock potesse aggiungere qualcosa, Kirk riconobbe finalmente la
ragazza, e si diede dello stupido per non esserci arrivato prima.
“Tu!”
Leila
si voltò verso Kirk, e lo guardò sorpresa.
“Tu!
Non eri morto?!? No, aspetta. Significa che sono morta anch'io? Siamo
morti? Che diavolo ci fai qui?” borbottò Leila con
sgomento,
domanda dopo domanda, non sapendo come altro reagire.
“E
tu che ci fai qui? Spock, la conosci?!?”
Spock
non disse nulla, così fu Leila a spiegare brevemente la
situazione,
ma le ci vollero una decina di minuti per tornare in sé.
L'aver
visto Kirk dopo tanto tempo l'aveva destabilizzata.
“A
quindici anni ho iniziato a salvare gli animali. Quelli che riuscivo
a trovare li portavo in campagna, e così l'ho conosciuto.
Per un
paio d'anni ci vedevamo ogni tanto. Io gli portavo gli animali e lui
li accudiva, e in cambio io non lo avrei denunciato. Due anni
più
tardi abbiamo troncato ogni rapporto.” disse Leila,
mormorando
l'ultima frase con una punta di rabbia e frustrazione.
“E
perché avete smesso di vedervi?” chiese d'istinto
Kirk.
“Chiedilo
al tuo amico. E' lui che mi ha allontanato dicendo che non dovevo
tornare mai più. Senza una cazzo di ragione.”
sbottò Leila con
rabbia, non riuscendo a trattenersi.
Non
era neanche maggiorenne quando si erano separati e ora aveva
già
trent'anni quindi ne era passata di acqua sotto i ponti, ma era
ancora così dannatamente arrabbiata. Era andata oltre le
apparenze.
Era andata oltre quel suo modo di fare logico e scorbutico. Si era
fidata. E quella logica con il passare del tempo avevo reso Spock
tenero davanti ai suoi occhi così come quelle orecchie a
punta,
tanto che la sua prima infatuazione la ebbe per lui. E lui cosa aveva
fatto? Non era già abbastanza non farsi mai toccare
nonostante si
conoscessero da ben due anni, no doveva anche tagliarla fuori come se
niente fosse. E lei ne era rimasta ferita. Molto. Con gli anni
l'infatuazione era passata, ma la rabbia rimasta, però per
il bene
degli animali, era tornata.
“Spock?!?
Perché l'hai fatto?” chiese in tono allibito Kirk,
che tutto si
aspettava tranne quello.
“Non
è affatto rilevante.”
“Dici
sempre così quando non vuoi rispondere ad una
domanda.”
“Di
cosa ha bisogno, signorina?” chiese gentilmente McCoy alla
ragazza,
interrompendo Spock e Kirk.
“Sono
questi animali.. Li hanno usati come cavie, e ora sono così
traumatizzati che non si muovono. Non potevo lasciarli lì.
Hanno
bisogno di qualcuno che si prenda cura di loro.”
spiegò brevemente
Leila, sinceramente preoccupata per i suoi amici a quattro zampe.
“Spock!
Non vorrai mica dirle di no, vero?” sbottò Kirk.
Spock
mosse leggermente le labbra, e poi guardò nuovamente Leila,
sempre
seriamente.
“Loro
restano. Lei va.” disse chiaramente.
Leila
annuì.
Non
si aspettava una reazione diversa.
“Certo
che puoi rimanere. Fai come se fossi a casa tua.”
mormorò
gentilmente Kirk.
La
ragazza gli fece un gran sorriso, mentre gli occhi di Spock si
incendiarono come il fuoco.
“Le
devo parlare.” disse a denti stretti al biondo, entrando in
casa e
facendo segno a Jim di seguirlo.
La
sua voce era bassa, ma chiunque avrebbe percepito tutta la rabbia che
si nascondeva dentro.
Kirk
lo seguì, e non appena entrò anche lui, Spock
sbatté violentemente
la porta.
Fuori
rimasero solo McCoy e Leila, che stettero in silenzio fino a quando
l'ex medico non ruppe il silenzio.
“Andiamo.
Ti aiuto a farli scendere. Spero solo che non mordano!”
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Capitolo 6 *** Segreti ***
CAPITOLO
6. SEGRETI
“Perché
l'ha fatto?” sbottò Spock, evidentemente seccato.
“Perché?
Perché quella ragazza è sopravvissuta ad un
disastro e ha bisogno
di un posto in cui stare. Ecco perché.”
“Non
è un nostro problema.”
“Non
vorrai mica lasciarla per strada!”
“Prima
quell'ex medico emotivamente instabile e fin troppo umano e ora lei.
Questo non è un rifugio per i senzatetto.”
“Spock..”
“Quello
che sto facendo richiede tranquillità e soprattutto
solitudine. Lo
sapevo che non avrei dovuto farla rimanere! Stavo benissimo da
solo!”
“Non
è possibile. Dieci anni che ci conosciamo e ancora non ti
fidi di
me! E piantala di darmi del lei!”
“Lei
non resterà.” sbottò Spock riferendosi
a Leila, usando quel
genere di tono che si usa quando si vuole porre fine ad una
conversazione.
“Cosa
diavolo ti è successo per avere così paura di chi
ti sta intorno?
Lo so lo so, c'è un sacco di merda là fuori, ma
c'è anche chi
merita di essere ascoltato e..”
“La
paura è un sentimento umano.”
“Io
mi sono aperto con te, Spock. Ti ho raccontato tutto di me. Ti ho
raccontato della mia infanzia, della mia vita, di quello che sono
stato e di quello che sono diventato. E l'ho fatto perché mi
fidavo
di te..” esclamò Kirk, un po' esasperato e un po'
arrabbiato. Poi
respirò a fondo, e con voce più calma
continuò “.. e mi fido
ancora. So che sei una persona riservata, ma sfogarti con me ti
farà
bene. Su qualsiasi cosa. E io mi sento uno stupido. Mi sento uno
stupido perché il mio migliore amico sa tutto di me, ma io
non so
assolutamente nulla di lui, tranne che sotto tutta quella scorza si
nasconde qualcuno molto buono che vuole uscire, e che ha solo bisogno
di qualcuno che gli curi le ferite.”
“Le
mie ferite non possono essere curate. In nessun modo. Non andranno
mai via.” mormorò Spock a bassa voce, continuando
però a dare le
spalle a Kirk.
“Non
puoi saperlo con certezza. E se proprio non vanno via, possiamo
chiedere aiuto a McCoy. E' un medico!” mormorò Jim
in tono
scherzoso.
Jim,
e la sua capacità di scherzare e sdrammatizzare nei momenti
più
assurdi. Spock non riuscì a trattenere un sorriso, e il
fatto che
fosse girato e che Kirk non lo potesse vedere gli permise di
accettare con più facilità quell'attimo umano.
Notando
che l'amico non rispondeva, Jim continuò.
“E'
quella ragazza? E' lei che ti ha fatto male? Per questo non la
vuoi?”
“No.
E' stato molto tempo prima di Leila.”
“Allora
perché non la vuoi qui? Insomma, se vi siete visti per un
paio
d'anni, significa che apprezzavi la sua presenza.”
Il
silenzio di Spock continuò, così Jim
iniziò ad azzardare qualche
ipotesi.
Un
sorriso si dipinse sul suo volto.
“Oh
mio Dio, lei ti piace!”
Spock
si decise a voltarsi, e guardò Jim confuso.
“Come?”
“Tu
sei cotto di lei!”
“Non
capisco di cosa parla.”
“Dio,
come ho fatto a non arrivarci prima, era tutto così ovvio!
Sono così
abituato a vederti senza un emozione che mi ero dimenticato che tu
avessi il pene!” esclamò Kirk entusiasta, ridendo
come un matto.
“Quello
che dice è illogico.” sbottò Spock
evidentemente seccato,
sgranando gli occhi.
“Non
c'è niente di male, Spock! E' il ciclo della vita! Un uomo
incontra
una donna e il gioco è fatto!”
“Non
sa di cosa parla.”
“Siete
andati a letto, vero? Mandrillone che non sei altro!”
“Quello
che dice non ha senso.”
“E'
l'amore, Spock!”
“Il
significato di quella parola mi è sconosciuto.”
Jim
si stupì di quella domanda, ma avrebbe dovuto aspettarselo
in fondo.
“L'amore
è.. è.. quando tu incontri qualcuno che diventa
il centro del tuo
mondo. Qualcuno per cui sacrificheresti la vita. Qualcuno con cui
vuoi stare in ogni momento, qualcuno per cui ti preoccupi anche per
delle sciocchezze, qualcuno con cui vuoi invecchiare. E' qualcuno
senza il quale non puoi vivere.”
“Non
ho mai sentito tanti discorsi illogici in così poco
tempo.”
“Andiamo,
Spock!”
“”E'
qualcuno senza il quale non puoi vivere”. Non si rende conto
dell'illogicità di questa frase? Un uomo non può
vivere senza cibo
e senza aria. Non si è mai sentito di qualcuno morto
perché non
aveva chi desiderasse al proprio fianco. E non si sentirà
mai.
Perché è impossibile.”
“E'
solo una frase, Spock. Non devi analizzare ogni frase che dico sotto
il punto di vista della logica. L'amore è illogico. Ed
è proprio
questo il bello.”
“Non
c'è niente di bello nell'illogicità.”
“Sai
cosa penso, Spock? Penso che tu anni fa hai deciso di allontanarla
perché ti piaceva. Perché eri attratto da lei. E
ora lo stai
facendo di nuovo. Tutto perché non vuoi essere
felice.”
Spock
sospirò.
E'
vero. Quando aveva conosciuto Leila aveva provato dell'attrazione per
lei. Non gli era mai successo, e ne era spaventato. Spaventato di
quello che avrebbe potuto fare se quella cosa sarebbe continuata.
Così l'aveva allontanata, e non se ne era mai pentito. Tutte
quelle
cose che Kirk gli aveva detto sull'amore... Che senza quella persona
si stava male, che non si poteva vivere senza, beh, lui non le aveva
mai provate, tanto meno quando aveva allontanato la ragazza. Sapeva
che in fondo un po' gli era dispiaciuto, ma niente più di
quello. E
ora che l'aveva vista, non aveva provato nulla se non una leggera
rabbia nel vedere un ricordo del suo passato che voleva rimuovere.
Era stata solo una flebile attrazione di anni prima, niente di serio.
Per fortuna, perché se si fosse trattato davvero di amore,
non
avrebbe proprio saputo come affrontarlo o gestirlo.
Quindi
sì, le piaceva, ma non più. Era tutto un lontano
ricordo.
“Resterà
solo per il tempo che le serve per rimettersi.” disse infine.
“Quindi
hai deciso di farla restare perché vuoi dare una chance alla
tua
fidanzatina e alla vostra storia? Ottima scelta, Spock.”
“Non
ho affatto detto questo.”
“Hai
proprio buon gusto, Spock. E' molto bella, molto più di
quanto mi
ricordassi. Se non piacesse a te, la corteggerei io.”
“Lo
faccia.” disse semplicemente Spock.
“Fare
cosa?”
“Le
mostri l'interesse che prova per lei. C'è un alta
possibilità che
ricambi.” continuò Spock con voce neutra.
“Ma
lei è la tua donna!”
“Illogico.
Una donna non è un oggetto, l'aggettivo possessivo non
è corretto.
Non è di mia proprietà. E poi gliel'ho
già detto. Non nutro nessun
interesse né attrazione per lei. ”
“Ma
cosa..”
“Lei
ha detto che non la voglio far restare perché provo
dell'attrazione
per lei. Il che è logico, perché nella remota
ipotesi in cui io mi
trovassi ad avere a che fare con un'emozione che non voglio seguire,
non la vorrei qui, perché così facendo la mia
emozione non farebbe
altro che crescere, e quindi diventerebbe sempre più
difficile da
controllare. Ma dato che io non provo nulla di tutto questo per lei,
posso acconsentire alla proposta di farla rimanere qui, per il tempo
che le serve per aiutare quegli animali, possibilmente lontano da me
che ho bisogno di silenzio per il mio lavoro.”
A
Jim gli ci vollero un paio di secondi per metabolizzare quanto aveva
sentito, ma quando ci riuscì i due furono interrotti da
McCoy, che
aprì la porta.
“La
ragazza. E' andata via.”
“Andata?
Andata dove?” chiese Kirk.
“Non
ne ho idea. Ha borbottato qualcosa di una sua amica e poi è
andata
via di corsa.”
Jim
capì immediatamente dove era diretta, e soprattutto chi
stava
cercando.
Nyota.
salveeeeeeeee :D :D
Sìsì lo so non è un capitolo
particolarmente "succulento" ma mi serviva per la storia!
Spero ad ogni modo che vi sia piaciuto, e soprattutto spero di
continuare a rendere i personaggi non eccessivamente diversi da
com'erano in Star Trek... spero di riuscirci!
Come al solito grazie a chi legge e ormai sapere che i commentini per
me sono sempre graditi!
Ci
si sente! Alla prossima ^.^
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