L'amore (non) è una cosa semplice di EternallyMissed92_ (/viewuser.php?uid=116872)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La morte può attendere ***
Capitolo 2: *** Sinfonia stonata di un amore senza fondamenta ***
Capitolo 3: *** Piccoli (anzi, grossi) problemi di cuore ***
Capitolo 4: *** Confidenze al sapore di alcool ***
Capitolo 5: *** Danni collaterali ***
Capitolo 1 *** La morte può attendere ***
Disclaimers:
Niente mi appartiene. Queer as Folk è di
proprietà della Cowlip e della
Showtime.
Titolo
della shot: La morte può attendere
Rating: Arancione
Genere: Introspettivo,
Malinconico
Avvertimenti:
Missing Moments, Slash
Timeline:
4x07
Note
dell’autrice: Questa raccolta di one-shots ha partecipato
al Contest “Segui il sentiero dorato” sul Forum di EFP indetto da Shizue
Asahi, valutato poi da i love ace 30, classificandosi al Secondo Posto ed aggiudicandosi il premio speciale come Miglior Storia Per Caratterizzazione.
Avevamo a disposizione
10 prompt su cui poter scrivere ed io ho prenotato il seguente:
5. Il
vero coraggio consiste nell’affrontare il pericolo quando si
ha paura.
Considerato
che vi era la possibilità di poter scegliere anche altri
prompt oltre a quello
prenotato, io mi sono avventurata ed ho deciso di creare questa
mini-raccolta
di cinque capitoli che, appunto, comprende anche gli altri quattro
prompt che
ho scelto oltre a quello prenotato al momento della mia iscrizione al
Contest.
Le shots sono autoconclusive, quindi scollegate le une dalle altre, con
points of
view diversi
e con all’interno
alcuni dei personaggi secondari che hanno gravitato intorno a Brian e
Justin,
protagonisti indiscussi. I titoli dei capitoli sono stati un parto
trigemellare
e per giunta podalico, perché io con i titoli non ci so
proprio fare,
soprattutto se mi impunto di scriverli in italiano. Il titolo di tutta
questa
mini-raccolta, invece, è preso dall’omonima
canzone di Tiziano Ferro, che io ho
leggermente modificato in maniera che si addicesse meglio al contenuto
delle
storie. Se tutto va bene, aggiornerò i capitoli ogni due
giorni dall’ultima
pubblicazione.
Ora non
mi resta che augurarvi buona lettura, sperando che ciò che
ho scritto possa
piacervi! I commenti sono sempre bene accetti, naturalmente! -Martina-.
LA MORTE
PUÒ ATTENDERE
Le luci
psichedeliche del Babylon proiettano lampi di colori intensi su tutta
la pista,
riflettendosi nei tuoi occhi e sulla pelle del tuo viso, resa lucida da
un
sottile strato di sudore. La musica è assordante e tu,
muovendoti in mezzo a
tutta quella moltitudine di corpi, ti lasci trasportare dal ritmo.
Serri le
palpebre e, portando il popper sotto al naso, ne inspiri la polverina
bianca
con la narice. Reclini la testa all’indietro con un ansito,
mentre il tuo
battito cardiaco accelera ed un senso di calore pervade ogni fibra del
tuo
essere. Sollevi in aria le braccia, con le dita chiuse a pugno,
continuando a
ballare. Improvvisamente senti la mano di qualcuno tirarti per la
cintola dei
pantaloni. Sorridi: anche questa notte l’ennesima preda si
è lasciata catturare
dalla bellezza del re dei cacciatori. Riapri gli occhi, eccitato, ma ti
penti
immediatamente di averlo fatto. L’uomo davanti a te, il quale
ti tiene ancora
per la cintura, è vecchio.
Un
dannato, fottuto vecchio, con i capelli bianchi, le rughe a solcargli
il viso e
il doppio dei tuoi anni a gravargli addosso. Non te lo farebbe
diventare duro
neanche se fossi imbottito di viagra. Inorridito, togli la sua sudicia
mano con
uno scatto deciso. Ti guardi in giro e non riesci a credere ai tuoi
stessi occhi.
Tutti quei bei maschioni, che fino a pochi minuti prima ballavano
intorno a te,
sono svaniti. Ora, come nel peggiore degli incubi, ci sono solo altri
vecchi
decrepiti, senza più un solo briciolo di dignità
e con un piede nella fossa. E
sono ovunque. Ti prendi la testa
fra
le mani, strizzando con forza le palpebre. Quella stronza di Anita ti
ha
sicuramente rifilato qualche merda fatta con chissà cosa in
una vasca a Tijuana
perché, cazzo, devi essere completamente fatto per vedere certi reperti da museo. Ti passi una mano
sul volto, ringhiando
contrariato, e ti accorgi che le luci sono calate, generando un
grigiore tetro
all’interno della discoteca. I vecchi, tutt’ad un
tratto, smettono di ballare.
Si fermano e, con le braccia lungo i fianchi, chinano il capo come
fossero
burattini appesi ad un filo troppo sottile per reggerli. Una famosa
marcia
funebre, tenuta a volume piuttosto basso, sostituisce la musica dance
ed un
silenzio onirico scende sulla pista.
«Cos’è
quel muso lungo, Brian?», una voce maschile – che
ti suona piuttosto familiare
– squarcia all’improvviso tutta
quell’immobilità surreale. «Non ti stai
divertendo?»
Nella
semioscurità che ora invade il Babylon, scorgi appena quel qualcuno procedere nella tua direzione.
«Chi
cazzo sei?»
«Sono la
tua coscienza», la sua voce seria e profonda si distorce in
una risata quasi
maligna. «Sempre che tu ne abbia mai avuta una.»
Un
brivido corre lungo la tua colonna vertebrale e, d’istinto,
cominci ad
indietreggiare finché non ti ritrovi col culo piantato
contro il bancone del
bar. Lui avanza lentamente, continuando a sogghignare, nefasto e gelido
come un
fantasma venuto apposta dall’oltretomba per vendicarsi
facendosi beffe di te.
La marcia funebre finisce e le luci ritornano, vive e scintillanti, a
colorare
tutto il locale. Lasci che la tua vista si riabitui al riverbero, poi
stringi
un po’ gli occhi per mettere a fuoco la faccia
dell’uomo che ti sta davanti. E
la tua bocca si schiude dalla sorpresa non appena lo riconosci.
«Vic?»,
esclami, esterrefatto. «Ma tu non eri morto?»
«Certo
che sono morto», conferma, lanciandoti un’occhiata
eloquente ed allargando le
braccia. «Benvenuto in paradiso, Brian», sogghigna
e, nel momento stesso in cui
ti affianca, quei maledetti vecchiacci
in pista si rianimano improvvisamente, riprendendo a ballare,
scoordinati ed
imbarazzanti. Li fissi con raccapriccio prima di dare loro le spalle ed
appoggiare i gomiti sul bancone.
«Se
questo è il paradiso, preferisco bruciare tra le fiamme
dell’inferno.»
«Inferno
che presto raggiungerai se non…»
«Non mi
farò operare», lo interrompi, intuendo subito dove
volesse arrivare. «Ho deciso
di morire ancora giovane e ancora bello.»
Vic si
appoggia anche lui al bancone con la schiena ed incrocia le braccia sul
petto,
fissandoti di traverso.
«Hai
paura, non è vero?»
Lo fissi
di rimando, aggrottando la fronte.
«Di che
cazzo stai parlando?»
«Non
fingere con me, Brian. Ti conosco da quando avevi quattordici anni,
purtroppo,
e so come sei fatto.»
«Cristo,
mi sembra di sentire Debbie», esclami, alzando gli occhi al
soffitto e
roteandoli con fare scocciato.
Vic
ride, sinceramente divertito.
«Dopotutto
sono suo fratello. O meglio, ero»,
si
corregge, sospirando affranto. «Non mi è stato
concesso il tempo necessario per
fare pace con lei. Non ho neanche potuto dirle un meritato
“ti voglio bene, sorellona, grazie di tutto”…
sono uscito di scena
all’improvviso, in silenzio.»
Ti passi
una mano sulla nuca, sollevando un angolo della bocca con fare saccente.
«Se
stavi cercando un prete che potesse aiutarti ad espiare i tuoi sensi di
colpa,
hai decisamente sbagliato
persona.»
«Eppure
sono pronto a scommettere che ti piacerebbe fare il prete»,
sentenzia Vic,
ridendo di nuovo. «Pensa a quanti bei maschioni si
inginocchierebbero davanti a
te.»
Nonostante
tutta quella situazione sia oltremodo grottesca, ti ritrovi anche tu a
ridere
allegro.
«Peccato
che aprirebbero la bocca solo per confessarsi e non per
succhiarmelo.»
Vic ti
molla una pacca leggera sulla spalla.
«Allora
apri bene le orecchie, Padre Brian,
perché devo confessarti un’altra cosa: volevo
farla finita anche io, sai?»,
dice, e tu lo guardi con un’espressione interdetta dipinta
sul volto. «Quando
scoprii di essere sieropositivo, il mondo mi crollò addosso.
Ebbi una paura
tale da ponderare persino l’idea del suicidio. Pensai:
“Che cazzo, se proprio
devo morire preferisco farlo subito, così non passo tutto il
resto della mia
vita in compagnia delle medicine e con l’angoscia che questo
o quest’altro
possa essere il mio ultimo giorno sulla faccia della Terra!”.
Ero terrorizzato…
ed anche parecchio idiota», scuote la testa, ridacchiando
appena, poi si lascia
andare ad un profondo respiro. «Fu così che il
giorno dopo provai a togliermi
la vita. Ma non riuscii ad andare fino in fondo.»
«Che
cosa te lo impedì?», gli chiedi, stranamente
rapito dal suo racconto.
Vic
pianta gli occhi dritti nei tuoi.
«Debbie»,
ti risponde, serio. «Mi colse in flagrante e mi
riempì subito la faccia di
schiaffi, urlando come una pazza ed apostrofandomi con gli epiteti
più
disparati… avresti dovuto vederla, era davvero furiosa. Poi
si fermò di colpo
e, abbracciandomi, si mise a piangere», la sua voce si rompe
e vedi le sue
iridi chiare rabbuiarsi. «Ricordo che mi disse che non potevo
lasciarla sola,
che non potevo abbandonarla e procurarle un dolore così
grande… mi disse che
anche lei aveva paura, ma che ci saremmo fatti coraggio, avremmo
affrontato
insieme i pericoli della mia malattia e avremmo vinto. Rimanemmo
abbracciati
per un po’ e piansi anch’io, ma mi ripresi subito
perché mi mollò un altro schiaffo»,
conclude, ridendo e toccandosi la guancia sinistra col palmo della
mano. «Fu lo
schiaffo più bello della mia vita, lo schiaffo che mi fece
capire che avevo
ancora qualcuno per cui valeva la pena lottare.»
Rimani a
guardare Vic per qualche secondo, colpito dalle sue parole, poi abbassi
lo
sguardo.
«Io non
ho nessuno per cui ne vale la pena», sentenzi, e la tua voce,
involontariamente, si incrina, assumendo un tono triste.
«Hai la
persona che ami e che ti ama, Brian», ti contraddice lui e tu
risollevi subito
il viso. «Pensa a Justin, a come si sentirebbe se ti
lasciassi morire… pensa al
dolore che gli causeresti.»
Deglutisci
a vuoto e ci pensi, a Justin. Pensi a lui, ai suoi occhi
incredibilmente
azzurri, al suo sorriso splendente, e la paura di provare a combattere
per poi
fallire, la paura di morire davvero
e
di non rivederlo mai più, ti assale come un mare in tempesta.
«Potrei
non farcela…», mormori.
«Ce la
farai. Qualcuno ai piani alti mi ha
riferito che l’operazione andrà bene e che non
morirai… non ancora,
perlomeno», ti informa Vic, facendoti l’occhiolino.
«E chi
te l’ha detto? Dio in persona?»
«No»,
sorride furbo lui, avvicinandosi ancora di più a te.
«È stato James Dean»,
sussurra dritto nel tuo
orecchio, come se fosse il vostro piccolo segreto.
Scoppi
in una risatina colma di sarcasmo.
«Stronzate!»,
sbotti.
«I morti
non possono più mentire, Brian», afferma e tu lo
guardi con fare interrogativo,
a sopracciglia inarcate. «So che farai la cosa
giusta.»
«James
Dean ti ha detto anche questo?», esclami, prendendolo
bonariamente in giro.
Vic ti
sorride in modo piuttosto eloquente. Lo vedi allontanarsi, mentre una
pioggia
di glitter e brillantini vi investe dall’alto, in piccoli
coriandoli
luccicanti. Svanisce in silenzio, senza il minimo rumore, esattamente
come fece
prima di esalare il suo ultimo respiro. La musica si interrompe, le
luci si
spengono, la pista si svuota e tutto ciò che ti circonda,
ora, è il buio, nero
come la pece. Improvvisamente, una luce bianca e abbagliante si accende
in fondo
al Babylon. È una luce che ti chiama,
che ti invita a seguirla, che porta con sé la voce di chi ha
saputo regalarti
un po’ di sole nella vita. E tu, senza remora alcuna, ti
incammini verso di
essa.
«Brian?»
Quella
voce insistente, che sta reclamando la tua attenzione da parecchi
secondi, si
fa sempre più reale. I tuoi occhi verdi si aprono a fatica e
la tua vista è
leggermente appannata. Ti stropicci le palpebre stanche e pesanti con i
polpastrelli, prima di renderti conto che sei malamente seduto davanti
alla
scrivania del tuo loft. Ti massaggi la nuca e sospiri, ancora un
po’ intontito.
Senti dei passi felpati avvicinarsi a te e, poco dopo, due braccia ti
circondano da dietro le spalle.
«Ti sei
addormentato?»
Guardi
Justin con la coda dell’occhio.
«Credo
di sì», fissi il computer su cui stavi
controllando alcuni documenti per la
Kinnetik. «Ho scoperto che esaminare dei noiosissimi
file per l’azienda può causare
sonnolenza.»
Lui
ridacchia sommessamente, poi inclina la testa per poterti osservare
meglio.
«Hai
fatto un brutto sogno? Sembri stravolto.»
«Non ho
niente, splendore», lo rassicuri, sporgendoti verso di lui
per baciarlo sulla
bocca. «Va tutto bene.»
Justin
ti tiene stretto a sé ancora per un po’. Le sue
braccia sono forti e sicure
intorno alle tue spalle e il suo respiro tiepido ti solletica
piacevolmente la
pelle del collo. Chiudi gli occhi, beandoti del tepore del suo corpo
contro la
tua schiena. Un tepore a cui non rinunceresti per nulla al mondo. Ed
è in quel
preciso momento che decidi di fare la
cosa giusta, che decidi di affrontare la paura del cancro ed
il pericolo
dell’intervento con coraggio e temerarietà.
Perché non vuoi perdere Justin,
perché, per lui, vale la
pena lottare
e continuare a vivere.
«Andiamo
a letto?», la sua voce interrompe il filo dei tuoi pensieri.
«È tardi.»
Annuisci
piano e Justin posa un bacio sulla tua guancia, prima di sciogliere
l’abbraccio
e dirigersi verso la zona notte del loft. Spegni il computer e,
stiracchiandoti
la schiena, ti alzi. Lo raggiungi qualche minuto più tardi,
trovandolo già
addormentato tra le pieghe delle tue lenzuola blu, ormai vinto dal
sonno. Gli
circondi la vita con un braccio, stringendolo piano a te, e lo guardi
dormire.
Poi, stanco, appoggi la fronte contro la sua nuca, continuando a
tenerlo
stretto al tuo petto. Lui non sa che sei malato e mai lo
saprà, perché non
permetterai al cancro di fotterti. Sospirando, chiudi gli occhi, con la
certezza che sopravvivrai all’operazione e sconfiggerai quel
male terribile. Un
sorriso nostalgico, quasi malinconico, ti piega le labbra. No, non
morirai. Non
ancora. Dopotutto, l’ha detto James Dean.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** Sinfonia stonata di un amore senza fondamenta ***
Disclaimers:
Niente mi appartiene. Queer as Folk è di
proprietà della Cowlip e della
Showtime.
Titolo
della shot: Sinfonia stonata di un amore senza fondamenta
Rating:
Verde
Genere:
Introspettivo, Romantico
Avvertimenti:
Missing Moments, Slash
Timeline:
Tra la 3x01 e la 3x02
Prompt
utilizzato:
7. Non importa quanto grigia
e squallida sia la nostra casa, noi gente di carne e ossa preferiamo
abitare lì
che in qualsiasi altro luogo, per bello che possa essere.
Note
dell’autrice: Ebbene sì, l’ho
fatto. Ho scritto su un personaggio che mi fa venire il rigurgito di
bile al
solo sentirne pronunciare il nome. Non so come le mie dita abbiano
resistito e
non siano marcite mentre scrivevo e come i miei occhi non siano usciti
dalle
orbite per rotolare a terra dallo schifo. Però cercate di
capirmi, ho dovuto
scrivere su questo personaggio per cause di forza maggiore: il prompt
era
azzeccatissimo – soprattutto per quanto riguarda
l’aggettivo ‘squallido’ – per
lui. Mi scuso in anticipo se la shot vi sembrerà piuttosto
semplice, a tratti
banale e scarsa di contenuti, ma quando scrivo su un personaggio che
detesto,
questo è il meglio che posso dare.
Non vi
auguro buona lettura perché, nella seguente storia, non
c’è nulla di buono. In
caso ve lo stiate chiedendo: sì, potete lanciarmi quanti
pomodori volete, li
mangerò più che volentieri! -Martina-.
SINFONIA STONATA DI UN
AMORE
SENZA FONDAMENTA
Un tenue
raggio di sole, fin troppo caldo per quella stagione rigida, filtra
attraverso
la finestra malandata, colpendoti in pieno viso. Apri gli occhi ancora
impastati dal sonno appena interrotto, facendoti immediatamente scudo
con una
mano per non rimanere accecato. Ti muovi su quel materasso logoro e
consunto e
le assi di legno che lo sostengono scricchiolano leggermente sotto il
tuo peso.
Allunghi un braccio e tasti piano le coperte con le dita, accorgendoti
subito
che non c’è nessun corpo vicino a te.
«Ethan?»,
lo
chiami, guardandoti intorno.
«Sono
qui», ti
risponde lui, spuntando con la testa da dietro la testiera malridotta
del
divano, i ricci bruni scompigliati sulla fronte.
«Che
ci fai
lì?»
«Fino
a
qualche minuto fa ci stavo dormendo, qui sopra.»
«Hai
passato
la notte sul divano?», corrughi la fronte, guardandolo senza
capire. «Come
mai?»
Ethan si
alza,
avvolgendo il corpo nudo in una coperta piena di buchi, e ridacchia.
«Quante
domande di primo mattino, signorino
Taylor»,
esclama, muovendo quei pochi passi che gli servono per raggiungerti
e sedersi sul bordo di quel letto improvvisato. «Non ho
passato tutta la notte sul
divano, solo qualche
ora. Durante l’alba ha cominciato a piovere e
l’acqua è filtrata attraverso un
paio di tegole rotte. Avevo una stupida goccia che continuava a cadermi
sulla
faccia ed infastidirmi.»
«Forse
non
avremmo dovuto fare l’amore sul tetto, l’altra
notte», ammicchi, con un sorriso
furbo. «Non deve aver retto la nostra foga.»
Ethan ride,
scuotendo divertito la testa.
«Può
darsi.
Sta di fatto che mi sono alzato per andare in bagno e… non
ci crederai mai, ma
si è staccata pure la tavoletta del water!»
Rimani a
fissarlo per qualche secondo, serio, in totale silenzio. Poi gonfi le
guance e
infine, non riuscendo più a trattenerti, scoppi in una
risata piuttosto fragorosa.
«Che
nottataccia!», esclami, una volta che le tue risate si sono
placate.
«Già»,
concorda lui, prima di sorriderti con tenerezza. «Ma ne ho
approfittato per
guardarti dormire, quindi non è stata poi così
male, come notte», mormora,
sensuale, passando il pollice sul tuo labbro inferiore. «Fai
delle facce
buffissime e arricci spesso il naso mentre dormi. Sei veramente
bellissimo.»
Senti le tue
guance arrossire leggermente.
«Davvero?»
Ethan
annuisce
con un cenno del capo. Lascia scivolare la coperta lisa sul pavimento e
si
distende sul tuo petto niveo, puntellando i gomiti sul materasso per
sostenersi
e non gravarti troppo addosso. Intrappola la tua bocca in un bacio
lungo,
dolce, e quando si separa lentamente da te affonda le dita nei tuoi
capelli
biondi.
«Sai
che ti
dico? Non importa quanto grigia e squallida sia la nostra casa: io
preferisco
abitare in questa bettola che in qualsiasi altro luogo, per bello che
possa
essere, perché qui, stretto tra le mie braccia, ho tutto
ciò che ho sempre
desiderato», ti sfiora la punta del naso con il proprio,
sorridendo. «Sei il
sogno più grande della mia vita, ancor più della
Filarmonica di Vienna.»
Sbuffi una
risatina quasi imbarazzata e ti schernisci, coprendoti il volto con le
mani.
«Adesso
non
esagerare», mugugni.
«Non
sto
esagerando», ti contraddice lui, prendendo e strattonando
delicatamente i tuoi polsi
per toglierli da lì. «Brian non deve averti fatto
molti complimenti se
arrossisci per così poco», scherza.
Scosti le
dita
dal tuo viso e ti rabbui nel sentir pronunciare quel nome. Il tuo corpo
si fa più rigido ed Ethan, accorgendosene
subito, cerca di rimediare schioccandoti un piccolo bacio sulla fronte.
«Io
non ti
farò soffrire come ha fatto lui, Justin. Te lo
prometto», ti rassicura,
fissandoti dritto negli occhi. «Io saprò renderti
felice. Ogni mattina ti
dedicherò serenate col mio violino per svegliarti ed ogni
sera dormirò
abbracciato a te dopo aver fatto l’amore.
Diventerò famoso e se questo lurido
appartamento non dovesse più bastarti, ti
comprerò un castello, se sarà
necessario.»
«Non
mi serve
un castello», gli dici, lasciandoti andare ad un sorriso
disteso, ora più
tranquillo. «Nonostante tutto, a me piace questa casa. Non
importa quanto sia
misera, che abbia i muri scoloriti o che cada un po’ a
pezzi… mi piace perché è
piccola ed accogliente. Perché è nostra.»
Ethan ti
sorride di rimando e si protende per baciarti. Porti le braccia intorno
al suo
collo, stringendolo contro di te e, all’improvviso, la senti
ancora, di nuovo.
È una nota stonata, stridula, che senti ogni volta che ti
tocca, ogni volta che
ti bacia, ogni volta che fate l’amore. È quella
maledetta nota di disaccordo
nel tenero ritornello del vostro amore. Ed è come se
percepissi un’altra
presenza, invisibile quanto ingombrante, che si mette tra di voi quando
siete
soli. Una presenza costante e prepotente, portatrice di un nome che tu
conosci
perfettamente, portatrice di quel viso che tu, sin dal vostro primo,
fatale
incontro, hai definito come ‘il volto di
Dio’.
«Devi
andare a
lezione, oggi?», ti chiede Ethan, curioso.
«Sì.»
«È
un vero
peccato», bofonchia, poi sporge in fuori il labbro inferiore
e mette il
broncio, cercando di farti pietà. «Volevo rapirti
per un po’ e fare un bagno
caldo insieme a te.»
Dai
un’occhiata fugace all’orologio sgangherato appeso
alla parete sopra di voi.
«C’è
ancora
parecchio tempo prima che comincino le lezioni», lo informi,
rivolgendogli un
sorriso raggiante. «Ed io ho proprio voglia di un bel bagno
caldo.»
Ethan
sorride
anche lui e ti bacia sulla punta del naso.
«Vado
subito a
riempire la vasca, allora», annuncia, rimettendosi in piedi.
«Spero che il
tappo dello scarico regga, altrimenti ci toccherà fare un
bagno a secco»,
ridacchia, contagiando anche te con la sua allegria. «Ti
chiamo quando l’acqua
è pronta.»
«Ve
bene»,
annuisci, e lui ti scocca l’ennesimo bacio sulla bocca.
Lo segui con
lo sguardo finché non sparisce dietro la porta rovinata del
bagno. Sospiri,
pettinandoti all’indietro i capelli con le dita, e ti volti
su un fianco.
Pieghi il gomito, appoggiando la guancia sul palmo aperto della mano, e
fissi
la rosa rossa sopra il piccolo comodino che Ethan ti ha regalato due
sere
prima. La guardi e, senza alcun motivo apparente, ti chiedi se
l’amore che vi
lega durerà quanto quel fiore bellissimo ma dalla breve
esistenza o se, invece,
sarà eterno. La finestra si spalanca improvvisamente,
sospinta da una
leggerissima folata di vento, e tu cerchi di proteggerti tirando le
lenzuola
fin sopra il mento. La rosa vibra ed un petalo si stacca, cadendo e
andando a
morire silenziosamente sul pavimento. I tuoi occhi chiari, ora, fissano
quel
morbido petalo rosso. Che sia la risposta ai tuoi dubbi? Che sia un
segno del
destino? Sbuffi sonoramente e ti lasci cadere con la schiena contro il
materasso, coprendoti gli occhi con l’avambraccio.
«Justin?»,
la
voce di Ethan ti riscuote dai tuoi pensieri amletici.
«Vieni?»
«Arrivo!»
Ti tiri su a
sedere e, dandoti una lieve spinta, ti alzi. Sospirando piano, ti
dirigi verso
il bagno, con la consapevolezza che, tra le pareti di quella casa
squallida,
immerso nell’acqua e tra le bolle di sapone, annegherai per
un po’ la mancanza
che hai di lui.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** Piccoli (anzi, grossi) problemi di cuore ***
Disclaimers:
Niente mi appartiene. Queer as Folk è di
proprietà della Cowlip e della
Showtime.
Titolo
della shot: Piccoli (anzi, grossi) problemi di cuore
Rating:
Giallo
Genere:
Introspettivo, Sentimentale
Avvertimenti:
Missing Moments, Slash
Timeline:
(Molto) Post 5x13
Prompt
utilizzato:
10. I cuori non saranno mai
una cosa pratica finché non ne inventeranno di infrangibili.
Vi
auguro buona lettura! -Martina-.
PICCOLI (ANZI, GROSSI)
PROBLEMI DI CUORE
Sdraiato
a pancia sotto sulla costosa moquette bianca del salotto, giocherelli
con la
matita che hai in mano, sovrappensiero. Fissi la pagina del libro di
matematica
senza vederla realmente, come se fossi in trance, e i numeri che vi
sono
stampati sopra, ai tuoi occhi distratti, risultano sfocati. Trattieni a
stento
uno sbuffo e prendi a mordicchiare nervosamente la matita, continuando
a
fissare quella maledetta pagina – su cui proprio non riesci a
concentrarti –
con sguardo vacuo, perso in chissà quale altro universo
parallelo. Una mano ti
afferra improvvisamente la spalla, provocandoti uno strano brivido di
paura
all’altezza dello stomaco. Sollevi di scatto la testa e,
stringendo gli occhi in
due fessure, guardi subito male la faccia della persona che ti ha
causato
quella sottospecie di spavento.
«Cristo
santo, papà! Mi hai quasi fatto venire un
infarto!», esclami, tirandoti su a
sedere.
Lui ride
di gusto e si siede sul divano, di fronte a te.
«Volevo
accertarmi che fossi ancora vivo», alza un angolo della
bocca, beffardo, e
punta l’indice in direzione del tuo libro.
«È da più di un quarto d’ora
che sei
sulla stessa pagina. Ti serve aiuto?»
«Sì.
Cioè… n-no!», rettifichi, farfugliando.
Tuo
padre inarca un sopracciglio, confuso e curioso al contempo, e sbuffa
una
risata dal naso.
«Sì
o
no, Gus?»
«No»,
scuoti la testa con poca convinzione e chiudi il libro, appoggiandolo
sul Mies
van der Rohe. «Quando torna Justin?», gli domandi
all’improvviso, e la tua voce
assume un tono piuttosto ansioso.
«Credo
che sarà qui tra qualche minuto», ti risponde lui,
dando un’occhiata
all’orologio che porta al polso sinistro, poi ti guarda con
fare sospettoso.
«Hai bisogno della sua testolina da, cito, ‘millecinquecento
punti al test di ammissione’ per i
compiti?»
«No.
Cioè… s-sì», farfugli di
nuovo, impacciato, e decidi di prendere un profondo
respiro per cercare di calmarti. «Sì, voglio che
mi dia una mano, ma non con la
matematica. Devo parlargli di un problema più…
grosso.»
«Puoi
parlarne anche con me, se vuoi», ti rassicura, dandoti un
buffetto sulla testa
e facendoti l’occhiolino, furbo. «Dopotutto, sono
un esperto quando c’è di
mezzo qualcosa di grosso.»
Cogli
immediatamente il suo sottilissimo
doppio senso ed alzi gli occhi al soffitto, fingendoti esasperato.
«Papà!»,
esclami, e ti lasci andare ad una risata divertita.
«Me
l’hai servita su un piatto d’argento,
figliolo», afferma, intrecciando le dita.
«Allora, di che problema si tratta?», ti chiede a
bruciapelo, senza la benché
minima intenzione di lasciar cadere l’argomento.
«Non
posso dirtelo», svii la sua domanda ed un ghigno malizioso
piega le tue labbra.
«Sei troppo vecchio per questo genere di cose.»
Vedi tuo
padre spingere la lingua contro l’interno della guancia
– in uno dei suoi
tipici modi di fare che tu stesso hai ereditato – e i suoi
occhi, ora
leggermente assottigliati, sembrano volerti incenerire sul posto.
«Vecchio?»,
sbotta, e tu noti subito la
punta di repulsione con cui pronuncia quella terrificante parola.
«Apri bene le orecchie, piccolo moccioso
arrogante: il sottoscritto ha solo quarant’anni
e…»
«Quarantasei», lo
correggi subito, con un
sorrisetto alquanto compiaciuto. «Non affaticarti a barare
sull’età, altrimenti
rischi che ti vengano le rughe per lo sforzo», aggiungi,
continuando a
prenderlo amorevolmente in giro.
«Come
vuoi, stronzetto, ne ho
quarantasei…», concorda, contrariato.
«Esatto,
ne hai proprio quarantasei», rimarchi il concetto, annuendo
con vigore. «È la
cruda e dura realtà dei fatti, mio caro vecchietto.»
Tuo
padre accavalla una gamba sopra l’altra ed incrocia le
braccia sul petto.
«Non
avevo ancora finito», puntualizza, inarcando le sopracciglia.
«Ne ho quaranta
più sei, ma ne dimostro
molti
di meno e, per tua informazione, sono ancora il frocio più
sexy di tutta
Pittsburgh», esclama, vittorioso.
«Chi
sarebbe il frocio più sexy di tutta Pittsburgh?»,
la voce di Justin invade
improvvisamente il loft, interrompendo così il vostro
ironico battibecco, e
guardate subito nella sua direzione, mentre lui chiude la grossa porta
di
metallo dell’ingresso ed appoggia le borse della spesa sul
bancone della
cucina.
«Naturalmente
sono io, splendore», gli risponde tuo padre. «Di
chi altro credevi stessimo
parlando?»
Justin
ride, scuotendo il capo, e vi raggiunge in salotto.
«Ciao,
marito più sexy dell’universo», lo
saluta, canzonandolo e dandogli un bacio
leggero sulla bocca, prima di voltarsi verso di te e scompigliarti
affettuosamente i capelli. «Ciao anche a te, Gus.»
«Ciao,
pa’», lo
saluti di rimando e le sue
labbra si distendono in un sorriso intenerito, perché sai
che non si è ancora
abituato a sentirsi chiamare così da te, nonostante tu abbia
cominciato a farlo
dall’età di otto anni. «Finalmente, e
sottolineo finalmente, sei arrivato!»
Justin
ti fissa un secondo, confuso, poi guarda tuo padre con cipiglio severo,
le mani
sui fianchi.
«Brian,
che cosa hai combinato?»
«Io
non ho combinato proprio un bel niente», alza le
mani come per dichiararsi innocente, poi ti indica con un pollice.
«Questo
mocciosetto ha un problema e vuole assolutamente
parlarne con te e non con me a causa della mia vecchiaia dilagante.»
«Credo
di essermi espresso male», intervieni, schiarendoti la gola.
«Ti ho detto che
sei troppo vecchio per certe cose perché tu avevi
già trent’anni quando ti sei
innamorato… anche se, a detta di mamma Melanie, a
quell’epoca eri un vero e
proprio cinico bastardo senza cuore per ammettere una cosa simile e non
ti
meritavi un ragazzo come Justin.»
Tuo
padre piega le labbra in un sorriso tirato, per niente divertito.
«La
prossima volta che incontro la cara
Melanie, la rispedisco a Toronto direttamente a calci nel culo,
così le
risparmio il biglietto aereo», dice, con fare sprezzante.
«E senza possibilità
di ritorno.»
Ridacchi
ed incroci meglio le gambe sulla moquette, ritornando subito serio.
«Non
volevo parlarne con te perché, semplicemente, non avevi
diciassette anni come
me e Justin quando hai scoperto l’amore», ti
tormenti nervosamente le mani
sudate. «Per questo volevo un suo parere. Ma la mia ragazza,
o forse dovrei
dire…»
«Ti
sei
innamorato, allora!?», ti blocca Justin, sorpreso, ed
annuisci in segno di
risposta, facendogli aumentare a dismisura il sorriso. «Ma è
stupendo!»
«Ma
è
terribile!», salta su tuo padre, e tu e Justin lo guardate
sbigottiti,
sbattendo ripetutamente le palpebre. «Ho appena scoperto di
avere un figlio
etero», vi spiega, allargando le braccia come se fosse una
cosa ovvia. «Dovrei
forse esserne felice?»
«Brian,
tu sei il peggior eterofobo, se non
l’unico, che io abbia mai conosciuto.»
«Ti
ringrazio per il complimento, splendore, lo apprezzo molto»,
si alza dal divano
e vi guarda entrambi. «Ora, se volete scusarmi, vado a
prendermi una bottiglia
di Chivas Regal, così che io possa ubriacarmi e non pensare
a mio figlio che
lecca quella… cosa»,
annuncia, con
fare teatrale, dirigendosi verso il carrello degli alcolici.
Justin
alza gli occhi al soffitto, roteandoli, poi si siede sul divano e ti
rivolge
uno sguardo radioso.
«Chi
è
questa ragazza? La conosco?»
«No,
non
la conosci… e credo non lo farai mai», sospiri,
afflitto.
«E
perché?»
«Perché…»,
ti fermi, prendendo l’ennesimo profondo respiro della
giornata, e decidi di
partire dal principio. «Tu e papà siete i primi a
sapere di lei… non ne ho mai
parlato neanche alle mamme, perché non credevo potesse
diventare una cosa
seria, e invece…», lasci in sospeso la frase e
sorridi con malinconia. «Lei si
chiama Shayla. Ci siamo conosciuti a scuola... quest’anno
frequenta la mia
stessa classe e siamo anche compagni di banco. Era molto timida,
all’inizio, ma
poi abbiamo cominciato a parlare e abbiamo scoperto di avere un sacco
di cose
in comune. Così, dopo qualche mese, ci siamo messi insieme
e… e quando ho
capito di essermi davvero innamorato di lei, ho deciso di raccontarle
tutto, di
rivelarle che ho due mamme e due papà», abbassi lo
sguardo, deglutendo a vuoto.
«Lei mi ha compreso, dicendomi che non cambiava nulla fra di
noi, ma… ma quando
l’ha riferito ai suoi genitori, loro ne sono rimasti
sconvolti, schifati, e le hanno subito
proibito di
continuare a vedermi prima che la mia famiglia
deviata
potesse infettarla e così è stata costretta a
lasciarmi…», una
lacrima sfugge al tuo controllo e ti copri il volto con le dita, come
se ti
vergognassi di star piangendo.
«Non
fare così, Gus», la mano di tuo padre, che era
rimasto in disparte ad ascoltare
il tuo racconto, ti accarezza dolcemente la testa. «Quella
gente di merda non
si merita le tue lacrime e…»
«Vorrei
non avere questo stupido cuore!», esordisci, a costo di
sembrare un bambino che
fa i capricci, rialzando di colpo il viso ed asciugandoti violentemente le guance col palmo delle mani. «Se non lo avessi, non mi sarei mai
innamorato e ora non
starei soffrendo!»
«Se
non
avessi il cuore, non saresti nemmeno vivo», ti contraddice
Justin, cercando di
sdrammatizzare. «Il cuore non è una cosa pratica,
Gus. È irrazionale e fa un
po’ quello che vuole, a discapito di ciò che dice
la ragione… è lui che
comanda, che decide di chi ti innamorerai, anche se è la
persona sbagliata»,
sostiene, sorridendo amaro. «E, soprattutto, non è
infrangibile. Può rompersi,
spezzarsi, finire a pezzi, ma è sempre
meglio…»
«…
ragionare col cazzo piuttosto che col cuore», si interpone
tuo padre, saccente,
ritornando a sedersi sul divano.
Justin
gli rifila una gomitata nel fianco.
«Brian,
la vuoi smettere? Sto cercando di aiutarlo.»
«E
come?
Impartendogli un discorsetto da perfetta regina
del dramma su
quanto sia bello avere un cuore nonostante faccia male alla
salute?», esclama, sarcastico, poi ti guarda dritto negli
occhi. «Sai che ti
dico, figliolo? Dovresti mandarla a fanculo per sempre
e…»
«No!»,
lo interrompe immediatamente Justin.
«Significherebbe mollare!»
«Significherebbe
semplicemente lasciar perdere quella
ragazzina», controbatte, con fare da saggio.
«Ragazzina che ha preferito dare
ascolto a dei genitori omofobi e che non ha pensato, neanche per un
fottuto
secondo, di star ferendo i sentimenti di mio figlio!»
«Ma
io la amo, papà», ribadisci, mordendoti il labbro
inferiore, e lui ti guarda con un’aria indecifrabile.
«E vorrei poter ritornare
con lei.»
«Allora
fallo», ti incita Justin, scompigliandoti di
nuovo i capelli.
«Sì,
ma… i suoi genitori...»
«Che
si fottano i suoi genitori», esclama,
stringendosi nelle spalle. «Gus, ascolta: mio padre era ed
è tuttora uno
stronzo cronico. Non ha mai accettato la mia omosessualità
e, di conseguenza,
non ha mai accettato Brian, perché lo ha sempre ritenuto l’orco
cattivo
che mi ha portato sulla via della perdizione. Così
il nostro rapporto ha cominciato ad incrinarsi e, col passare degli
anni, è
peggiorato… mi ha addirittura fatto arrestare»,
scuote la testa, rassegnato, e
tu sgrani gli occhi. «Ma il suo disprezzo nei miei confronti
non mi ha comunque
impedito di continuare ad amare tuo padre e a combattere per noi», gli
rivolge un’occhiata piena
d’amore ed intreccia le dita tra le sue, ritornando subito a
guardarti dritto
negli occhi. «Perciò, Gus, se tieni davvero a
questa ragazza, combatti per lei
e per il vostro amore. Perché sono certo che anche lei, ora,
sta soffrendo e
non aspetta altro che tu vada a riprenderla», conclude,
accarezzandoti
dolcemente una guancia.
«Che
parlantina inesauribile, Signor Petulanza», lo
apostrofa tuo padre, la voce colma di
sarcasmo. «Che ne diresti di impiegare quella bella lingua
lunga in attività
più produttive e piacevoli?»
Justin
sospira e gli pianta un indice sul petto.
«Persino
questo essere freddo, spudorato e
maledettamente narcisista è provvisto di un muscolo
cardiaco», ti dice, con un
sorriso strafottente. «Avere un cuore, anche se non
è infrangibile, non è poi
così male», ti conforta, facendoti
l’occhiolino.
«Grazie,
pa’», gli sorridi, grato, e finalmente ti
senti più sereno, tranquillo.
«Va
bene, basta con tutte queste smancerie da lesbiche
in amore», si lamenta tuo padre, fingendosi disgustato.
«Ho sopportato in
silenzio e credo proprio che, considerata la mia ormai veneranda
età,
mi sia appena salito il livello di diabete.»
«Se
continui di questo passo, tra poco dovrai
ricorrere alla pillola blu», lo scherzi, facendo ridere di
gusto Justin.
«E
tu, invece, stronzetto impertinente che non sei
altro, dovrai ricorrere alle stampelle, perché ti
avrò preso a calci nel culo
talmente forte che non riuscirai più a camminare per una
settimana intera»,
replica lui, sollevando le sopracciglia, mentre un sorriso ben poco
benevolo
gli increspa le labbra.
Ridacchi
alla sua minaccia del tutto assurda e ti
rimetti in piedi, afferrando il libro di matematica sul tavolino in
vetro
pregiato.
«Vado
a fare una doccia.»
«Questa
frase mi ricorda qualcuno quando cerca
disperatamente di fuggire dalle conversazioni
profonde», Justin incrocia le braccia sul petto, sorridendo
furbo, e rivolge
un’occhiata eloquente a tuo padre. «Vero,
Brian?»
Lui, in
segno di risposta, alza gli occhi al soffitto e sbuffa leggermente. Li
guardi
scuotendo divertito la testa e ti incammini verso la zona notte,
accompagnato
dai loro bisticci spiritosi ed allegri. Sali i piccoli gradini e
raggiungi il
letto, su cui è deposto il tuo zaino di scuola. Lo apri,
infilandoci dentro il
libro di quella materia che tanto detesti, e poi lo richiudi con cura.
Ti
massaggi la nuca, stanco, ed è in quel preciso istante che
ti accorgi che nel
loft è piombato un silenzio strano. Muovi qualche passo per
la stanza e,
appoggiandoti al bordo in legno del separé, ti sporgi in
avanti con la testa.
Tuo padre e Justin sono in piedi, al centro del loft, che si stanno
baciando
come due ragazzini alla loro prima cotta, con dolcezza e premura.
Rimani lì, a
guardarli di nascosto, finché non si separano. Li vedi
sorridersi a vicenda
prima di appoggiare la fronte contro quella dell’altro. Ti
ritrovi a sorridere
anche tu davanti a quella scena da film romantico e provi quasi una
sorta di
invidia nei loro confronti. Li osservi ancora per qualche secondo e,
sentendo
un senso di determinazione montarti dentro, decidi di combattere per
te, per
lei, per quel noi che eravate.
Combatterai, desideroso di vivere un amore forte e sincero come quello
che lega
i tuoi due fantastici papà.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 4 *** Confidenze al sapore di alcool ***
Disclaimers:
Niente mi appartiene. Queer as Folk è di
proprietà della Cowlip e della
Showtime.
Titolo
della shot: Confidenze al sapore di alcool
Rating:
Giallo
Genere:
Introspettivo, Sentimentale
Avvertimenti:
Missing Moments, Slash
Timeline:
Post 5x13
Prompt
utilizzato:
5. Uno sciocco non saprebbe
che farsene del cuore, anche se ne avesse uno.
Vi
auguro buona lettura! -Martina-.
CONFIDENZE AL SAPORE DI
ALCOOL
Comodamente
seduto sulla tua poltrona in pelle nera, dai un’ultima
occhiata ai documenti
per la prossima campagna pubblicitaria di una famosa linea di intimo
maschile.
Ti massaggi le palpebre e poi, sbirciando l’ora sul tuo
costosissimo orologio,
decidi che per quella sera hai lavorato anche troppo. Salvi i file sul
tuo
computer prima di spegnerlo e ti alzi, afferrando il cappotto per
indossarlo.
Infili alcune cartelle nella tua ventiquattrore mentre,
all’improvviso, la testa
di Cynthia sbuca dalla porta del tuo ufficio.
«Che
ci
fai ancora qui?», ti chiede, sorpresa. «Credevo
fossi fuori a festeggiare.»
Ti
stringi nelle spalle e la guardi con un sorrisetto strambo.
«Non
ho
molta voglia di festeggiare...»
«Hai
appena concluso un contratto con la Eye Conic che ti
frutterà milioni e tu non
vuoi festeggiare?», esclama lei, quasi sbigottita.
«Sicuro di sentirti bene?»
«Sto
una
meraviglia», tagli corto, recuperando le chiavi della tua
Corvette da un
cassetto della scrivania. «Non si nota, forse?»
La vedi
incrociare le braccia sul petto, con un sopracciglio inarcato.
«Bene,
allora andiamo a bere qualcosa insieme, così ti distrai un
po’. Pago io.»
«Che
cosa?», ridacchi, ironico. «Scordatelo.»
«‘Scordatelo’
cosa?», ti
domanda, con aria di
sfida. «‘Scordatelo, non mi permetterei mai di far
pagare tutto ad una bella
fanciulla come te’, che fa decisamente
poco
Brian Kinney, oppure ‘Scordatelo, io non esco con una vecchia
zitella
inacidita’ che fa decisamente molto Brian
Kinney?»
«Credo
che tu ti sia già risposta da sola», le sorridi in
maniera eloquente. «Ora
evapora, altrimenti ti licenzio.»
«Se
non
esci con me, ti rigo la Corvette», continua, insistente,
senza alcuna
intenzione di voler demordere, e dal suo sguardo da brividi capisci che
non sta
affatto scherzando.
«Mi
stai
forse minacciando, Cynthia?»
«Può
darsi.»
Alzi gli
occhi al cielo e sbuffi, scocciato.
«Cristo,
ma perché non esci con Theodore?»
«Perché
lui è già impegnato con Blake. Ti sei forse
dimenticato che oggi…»
«…
la coppietta
felice
festeggia due mesi che
sono ritornati insieme», completi per lei, storcendo poi la
bocca in
un’espressione quasi nauseata. «Non riesco a
pensare a niente di più patetico.»
«Sei
sempre il solito romantico», commenta Cynthia, scuotendo il
capo, e si piazza
dritta davanti a te. «Allora? Vieni?»
Con un
sorriso impertinente, ti appoggi alla scrivania con i palmi delle mani
e ti
sporgi in avanti con la testa, ad un centimetro dal suo naso.
«No»,
la
liquidi, inarcando le sopracciglia per enfatizzare al meglio il tuo
rifiuto.
«Non vengo.»
Lei, in
tutta risposta, ti sorride. Ed è un sorriso che non ti piace
per niente.
«Sapevo
che avresti ceduto», gongola vittoriosa Cynthia, seduta
accanto a te sullo
sgabello del bar in cui siete entrati da circa un quarto
d’ora.
La fissi
di traverso, cercando di incenerirla con la sola forza dello sguardo.
«Ho
ceduto perché mi stavi esasperando e la mia Corvette stava
rischiando grosso»,
borbotti, sorseggiando la birra che hai ordinato. «Ora dammi
un buon motivo per
cui non dovrei davvero
licenziarti.»
«Perché
svolgo il mio lavoro in maniera impeccabile e sono l’unica
assistente che
riuscirebbe a sopportarti ancora per altri
vent’anni», sorride compiaciuta,
prima di immergere la punta di due patatine fritte nel ketchup ed
addentarle
con gusto.
«Ma tu
non eri a dieta?»
«Comincio
domani», ti risponde, con la bocca piena.
Ti lasci
andare ad una risata piuttosto divertita.
«Quel
‘domani’ dura da quando ti conosco», la
informi, toccandole un braccio con la
punta dell’indice. «Diventerai grassa e ti
verrà anche la cellulite.»
Cynthia
si stringe nelle spalle e, sfidandoti con lo sguardo, finisce tutte le
patatine.
«Fanculo
alla cellulite», esclama, pulendosi le mani con un tovagliolo
di carta. «E
fanculo anche tu, Brian.»
Ridi di
nuovo e, muovendoti sullo sgabello, dai le spalle al bancone in legno
del bar,
su cui appoggi i gomiti per sostenerti. La musica nel locale
è soffusa, ridicolmente romantica,
ed alcune coppiette felici si sono
alzate per
ballare un lento improvvisato vicino ai loro tavolini. Distogli lo
sguardo e
sbuffi, seccato dal mortorio che dilaga in quel locale.
«Cristo,
non credevo che i bar etero potessero essere
così… etero»,
sbotti, sconcertato, dando una leggera gomitata a Cynthia.
«Se volevamo divertirci per davvero, saremmo dovuti andare da
Woody.»
«La
prossima volta andiamo da Woody, allora, così imparo le tue
tecniche di
seduzione infallibili», acconsente lei, sorseggiando il suo
drink.
Ridacchi
e, afferrando la tua birra, ne bevi qualche sorso. Ti accorgi che due
uomini,
seduti ad un tavolino poco più in là rispetto al
bancone, guardano
insistentemente nella vostra direzione e, per la prima volta in vita
tua, le
loro attenzioni non sono rivolte a te, ma a Cynthia. Fissi di sottecchi
la tua
assistente che non si è accorta di nulla, troppo impegnata a
giocherellare con
l’ombrellino del suo cocktail.
«Quei
due ti stanno puntando», le dici allora, ridestandola, e
glieli indichi con un
cenno del capo. «Devono essere proprio disperati.»
Cynthia
si volta appena e li guarda con la coda dell’occhio,
disinteressata, poi ti
molla un pugno sul ginocchio.
«Sei
veramente uno stronzo!», esclama, fingendosi offesa.
«E comunque, se proprio
vuoi saperlo, non sono più interessata agli uomini da una
botta e via. Sono in
cerca dell’anima gemella con cui passare il resto della mia
vita.»
«Sei già
ubriaca, per caso?»
«Sono
lucidissima», incrocia le braccia sul seno e ti fissa, seria.
«Ormai non sento
più la necessità di andare a letto con un uomo
diverso ogni notte. Adesso
voglio la stabilità di un rapporto vero, basato sulla
fiducia e sull’amore.»
La
guardi ad occhi sgranati, non riuscendo a credere alle tue stesse
orecchie. Ti
chiedi che fine abbia fatto la Cynthia che conosci da anni, quella che,
da
sempre, è la tua versione al femminile e che, esattamente
come te, si scopa
chiunque, senza scuse, rimpianti o
rimorsi. Rimani a guardarla ancora per un po’, in
tralice, poi prendi
qualche altra sorsata di birra. Forse sei tu quello ubriaco.
«Voi
etero e questa stronzata dell’amore», scuoti la
testa, sbuffando una risata
intrisa di ironia. «Siete patetici.»
«Disse
colui che è arrivato ad un passo dal matrimonio con tu-sai-chi», ti rimbecca lei.
Corrughi
la fronte, facendo finta di non capire a chi si stia riferendo.
«Dovevo
sposarmi con Voldemort?», esclami, sbigottito. «Non
è neanche il mio tipo.»
Cynthia
ti fissa con sguardo rassegnato, poi finisce il suo drink tutto
d’un fiato.
«Cristo,
ma ci pensi? Tu, Brian Kinney, stavi per compiere il grande
passo!»
Ti giri
di nuovo verso il bancone e sfreghi la fronte contro la bocca della
bottiglia.
«Ma poi
tutto è andato a puttane…», sospiri.
«Già»,
mormora lei, e noti una punta di tristezza nella sua voce.
«Non credevo lo
avessi sul serio, sai?», continua, prendendoti in contropiede.
«Che
cosa? Un cazzo da venticinque centimetri?»
Scorgi
Cynthia alzare gli occhi al cielo, esasperata.
«Ma se
non te l’ho mai visto!»
«Sei
proprio una donna sfortunata, allora», commenti, sollevando
un angolo della
bocca in un sorriso canzonatorio.
«E tu,
invece, sei un idiota», ribatte lei, puntandoti contro
l’indice. «Io parlavo
del tuo cuore.»
«Il mio
cuore?»
«Sì, il
tuo cuore», ribadisce, portandosi una lunga ciocca bionda
dietro l’orecchio.
«Quell’organo che tutti noi abbiamo sempre pensato
che tu non avessi ma che,
a quanto pare, è bello grande.»
«Ti
sbagli», la smentisci. «L’organo
più grande che ho è…»
«Taci,
per l’amor di Dio», ti interrompe, premendoti una
mano sulla bocca. «Hai
dimostrato di possedere un cuore immenso, a discapito di ciò
che ha sempre
detto la gente. E questo grazie a lui.»
La fissi
un secondo, poi abbassi lo sguardo sul pavimento.
«Non so
che farmene del cuore. È un muscolo inutile, che non serve a
nulla…», sorridi
amaro. «Non posso nemmeno buttarlo in un cassonetto come
piace ad Emmett.»
Cynthia
ti risolleva il mento con due dita.
«Solo
uno sciocco non saprebbe che farsene del cuore», afferma, con
una saggezza
negli occhi che non le hai mai visto. «E tu non lo sei. Certo, alcune
volte ti comporti da stronzo incallito, ma io ti conosco troppo bene e
so per
certo che non sei affatto uno sciocco», ti sorride, sincera.
«Quindi, capo, ora che
anche tu ti sei reso conto
di avere un cuore, l’unica cosa che puoi fare è
prendertene cura, farne buon
uso ed aprirlo solo con chi se lo
merita.»
Rimani a
guardarla, stupefatto, inspiegabilmente colpito da ciò che
ti ha detto. Pensi
che ha ragione, maledettamente ragione. È riuscita a leggere
tra le righe delle
tue parole, ti ha scavato dentro ed ha colpito nel segno.
Perché, in fondo, è
vero: ti conosce così bene che le recite che metti in piedi
per nascondere i
tuoi reali sentimenti, con lei, non funzionano più ed
è capace di smascherarti
subito. Ormai messo alle strette, le sorridi di rimando, ironico.
«Grazie
per il consiglio, mammina»,
la prendi
bonariamente in giro, sollevando la bottiglia di birra quasi vuota come
per
brindare a lei. «Inizierò da te a fare buon uso
del mio cuore.»
Cynthia
sbatte più volte le ciglia.
«Da me?
Ma io parlavo di…»
«Lo so
di chi stavi parlando», la interrompi, lanciandole
un’occhiata eloquente. «Ma,
ancora una volta, ti sei dimostrata un’amica fedele ed
onesta. Permettimi di
ricambiare.»
«Paghi
tu?», ti chiede subito.
«No.»
«Mi dai
un aumento, allora?»
«Certo
che no», esclami, e lei ti tira una pacca scherzosa sul
braccio. «Si tratta di
Elliot, del dipartimento artistico. So che hai una cotta per lui da
anni, ormai.
Quello che però tu non sai, mia cara Cynthia, è
che anche lui ha palesemente una
cotta per te», le rendi
noto, vedendola subito sbarrare gli occhi, e prendi a giocherellare con
la
bottiglia. «Se cercavi una… che Dio ce ne scampi, anima gemella, credo tu l’abbia
trovata.»
L’espressione
che ti sta rivolgendo Cynthia è tutta un programma. Ti
guarda con occhi ancora
sgranati e, prima che tu possa accorgertene, si alza in piedi di
scatto e
ti abbraccia, stritolandoti.
«Grazie,
Brian», ti sussurra all’orecchio, col mento premuto
contro l’incavo della tua
spalla, poi ti libera dalla sua presa soffocante e ti posa un bacio
leggero
sullo zigomo. «Grazie, grazie, grazie!», saltella e
batte le mani, attirando
l’attenzione dell’intero locale su di sé.
«Va
bene, basta così. Ti stai comportando peggio di una checca isterica», la rimproveri
giocosamente. «Però non credere che
io l’abbia fatto per te. L’ho fatto per
me», alzi le sopracciglia ed un ghigno
malizioso va a piegarti le labbra. «Era davvero
uno strazio vederti ogni santo giorno sbavare, con una faccia da
funerale,
dietro a quel povero ragazzo. Ora puoi dare libero sfogo alla tua
frustrazione
sessuale e scopartelo dove ti pare e piace… ma non in
azienda, altrimenti vi
licenzio entrambi.»
Cynthia
scuote la testa, fingendosi irritata, ma poi ridacchia.
«Sottoscrivo
che sei veramente uno stronzo», ribadisce, infilandosi il
cappotto. «Ma sei uno
stronzo dal cuore d’oro.»
Sollevi
gli occhi al cielo, sbuffando.
«Ora
sparisci, che questo schifosissimo
bar mi ha rammollito a sufficienza», esclami e, afferrando il
tuo tovagliolo,
rimuovi la traccia di rossetto che quella scapestrata della tua
assistente ti
ha lasciato sulla guancia.
«Allora
buonanotte, stronzetto», ti augura Cynthia, ridendo.
«Buonanotte
anche a te, stronzetta», le rispondi per le rime.
Lei ride
ancora e la segui con lo sguardo finché non sparisce oltre
la porta d’ingresso
del locale. Sospiri e finisci la tua birra. La conversazione con
Cynthia ti ha
lasciato con il cuore più leggero. Già, il
cuore. Scuoti la testa e sorridi tra te e te, sornione. La
tua mano corre
fulminea verso la tasca dei pantaloni e tiri fuori il cellulare.
Indeciso, lo
fissi per un attimo, lì, stretto tra le tue dita, poi
componi quel numero che
ormai sai a memoria. La sua voce
giunge come balsamo per le tue orecchie dopo tre squilli.
«Pronto?»
«Ciao,
splendore», lo saluti, non capendo per quale diavolo di
motivo quel tuo stupido
cuore ti stia martellando nel petto.
«Brian»,
sussurra lui, con tono sorpreso ma felice. «Come…
come stai?»
«Uno
schifo», gli rispondi, facendo il melodrammatico.
«Cynthia mi ha costretto ad
uscire con lei e mi ha trascinato in un bar etero.»
Justin
ride e tu chiudi gli occhi, immaginando che lui sia lì con
te.
«Hai
deciso di cambiare sponda?», ti prende in giro. «E
io che credevo fossi fuori a
rimorchiare ogni bel maschione di Pittsburgh.»
«Rimorchiare?
Senza il mio compagno di giochi preferito?», esclami, e
ridacchiate entrambi.
«Tu che mi dici? Come vanno le cose a New York?»
«Direi
bene, tutto sommato…», lo senti sospirare.
«Ho venduto un paio di quadri e
dopodomani ho la mia prima personale. Dovrei esserne felice, ma la
verità è
che… che non è bello senza di te»,
confessa, e la sua voce si incrina.
Il tuo
dannato cuore sembra fermarsi di colpo, come se ti stesse spronando. Le
tue
labbra si increspano in un sorriso: adesso sai esattamente
cosa farne e, per nessun motivo, vuoi sprecare un’occasione
simile. Cynthia non te lo perdonerebbe.
«Prepara
il tuo bel culetto sodo, splendore», gli dici, beffardo.
«Dopodomani sarò a New
York. Da te.»
|
Ritorna all'indice
Capitolo 5 *** Danni collaterali ***
Disclaimers:
Niente mi appartiene. Queer as Folk è di
proprietà della Cowlip e della
Showtime.
Titolo
della shot: Danni collaterali
Rating:
Giallo
Genere:
Introspettivo, Romantico, Sentimentale
Avvertimenti:
Missing Moments, Slash
Timeline:
Post 5x13
Prompt
utilizzato: 3. Non c’è
nessun posto come
la propria casa.
Eccoci
qui, siamo arrivati all’ultimo capitolo di questa mia
mini-raccolta di one-shots.
Ne approfitto per ringraziare tutti voi che mi avete letta e,
addirittura,
avete speso parte del vostro tempo per lasciarmi le vostre bellissime
recensioni. Quindi, un immenso GRAZIE
a (in ordine alfabetico): cristina qaf,
drytec, Eddygiak97,
FRAMAR,
Friliver, lisitella, Mizar, Nuel,
plaunac, serenoa,
Shizue Asahi ed i love ace 30 – che, rispettivamente, mi hanno
dato la
possibilità di scrivere questa raccolta per poi essere impeccabilmente valutata –, stevan, Summers84 e Wladimir.
Grazie di cuore per avermi sostenuta, supportata e, soprattutto, sopportata in questa breve ma piacevole
avventura! Mi scuso in anticipo con tutti voi se questo ultimo capitolo
non è all'altezza dei precedenti – non che quelli
fossero da mettere su di un piedistallo, sia chiaro –, ma il
tempo stringeva e la scadenza del contest si avvicinava
inesorabilmente. Ed io, si sa, sono la solita idiota che si mette a
scrivere a tre giorni dalla scadenza, quindi mi assumo tutte le colpe
della pessima riuscita di questo capitolo, mi sembra il minimo. Vi auguro comunque buona
lettura ed anche in questo caso, il lancio dei pomodori è
bene accetto e pure meritato! -Martina-.
DANNI COLLATERALI
La
grossa porta di metallo si chiude dietro le tue spalle con uno scatto,
provocando lo stesso identico suono che hai imparato a conoscere ed
amare. Ti
guardi intorno e, con un sorriso, ti accorgi che niente è
cambiato. Il tuo
sguardo vaga per il loft come se non lo vedessi da secoli, posandosi su
ogni
mobile, accarezzando ogni cosa. Osservi il bancone della cucina, gli
sgabelli
che lo circondano, il tavolo, poi la scrivania, il Mies van der Rohe,
il divano
bianco ed infine, seminascosto dal separé, vedi il letto.
Quel letto morbido,
dalle candide lenzuola blu, che è stato testimone di tutte
le vostre notti
d’amore, delle vostre gambe intrecciate, del vostro sudore,
dei vostri sospiri.
Guardi fuori dalla grande vetrata del salotto, rimirando da lontano le
luci
scintillanti della città, ora preda della neve e del freddo
invernale. I tuoi
occhi azzurri si inumidiscono, gonfi di gioia: finalmente, dopo mesi
che sono
sembrati durare un’eternità, sei di nuovo
a casa.
«Che
ci
fai lì impalato, splendore?», ti chiede Brian,
fermo sui gradini della zona
notte, con un sorriso canzonatore stampato sulla bocca. «Non
vieni a
salutarmi?»
Ridacchi
e, sistemandoti la tracolla – ormai logorata dal tuo uso
assiduo – sulla
spalla, raccogli il bagaglio che avevi appoggiato sul parquet. Cerchi
di non
correre per la felicità come un bambino, evitando
così di renderti ridicolo ai
suoi occhi, benché il tuo volto tradisca
l’emozione. Senti il cuore battere a
mille quando lo raggiungi e, alzandoti in punta di piedi, posi un bacio
sulle
sue labbra.
Lui ti
sorride di nuovo, questa volta con una dolcezza che riesce appena a
celare.
«Bentornato,
splendore», ti dice, sfregando la punta del naso contro il
tuo.
Gli
regali un altro bacio, prima di allontanarti da lui per mettere la
valigia sul
letto e cominciare a disfarla. Le braccia di Brian ti cingono
all’improvviso da
dietro e il suo petto è caldo contro la tua schiena.
«Com’è
andata a Parigi?», ti chiede, il mento appoggiato sulla tua
spalla.
«Ho
venduto quasi tutto ed alcuni critici d’arte hanno voluto
conoscermi di persona
per congratularsi», tagli corto e lo guardi con la coda
dell’occhio, furbo.
«Parigi è stupenda, sai? La prossima volta
dovresti venire anche tu e…»
«No,
grazie», ti liquida subito e tu ridi di gusto,
aspettandoti quella risposta. «Il ricordo del viaggio di
Mikey col dottorino è ancora
vivido nella mia
mente e duro da cancellare», ti rigira nel suo abbraccio per
poterti voltare
verso di lui e guardarti, malizioso. «Anche se, adesso, ho qualcos’altro che mi sta
diventando duro.»
Sbuffi
una risata, alzando gli occhi al soffitto.
«Non
cambierai mai», commenti, fingendoti rassegnato.
«Sei sempre il solito.»
«E
per
fortuna, aggiungerei», esclama, afferrandoti il viso e
baciandoti con foga.
Tu non
obbietti alla sua veemenza e lo segui in quel bacio irruento e bagnato.
Brian
affonda subito le dita nei tuoi capelli biondi, mentre scende con le
labbra sul
tuo collo, lasciandoti una scia di baci umidi. Chiudi gli occhi,
reclinando la
testa all’indietro, e sospiri di piacere. Lo senti risalire e
la sua bocca è di
nuovo sulla tua, affamata e violenta. Vi separate solo quando il
bisogno di
respirare si fa impellente. Ansimate entrambi e lui appoggia la fronte
contro
la tua, le palpebre socchiuse.
«Mi
sei
mancato», ti rivela, in un sussurro.
Non puoi
fare a meno di sorridere a quella dolce ammissione.
«Mi
sei
mancato anche tu.»
Brian si
scosta di qualche centimetro per guardarti ed i suoi occhi verdi
sembrano
preoccupati. Sospiri: sai che è già arrivato quel
dannato momento in cui, ogni
volta che ritorni, siete costretti ad affrontare la realtà.
«Quanto
resterai qui a Pittsburgh?»
«Potrò
rimanere solo per le vacanze di Natale», sospiri, ed il
consueto nodo ti chiude
la gola in una morsa. «Poi dovrò ritornare a New
York e...»
«Quanto
resterai?»,
insiste lui.
«Cinque
giorni.»
Brian
abbassa lo sguardo, sbuffando dal naso una risatina amara.
«Cinque
giorni…», ripete, scuotendo la testa.
«Non è quello che mi avevi detto al
telefono una settimana fa.»
«Lo
so,
Brian, mi dispiace. Ma il mio manager…»
«Il
tuo
manager è un coglione che non ti lascia in pace neanche
durante le vacanze», ti
interrompe, risollevando il viso, e lo sguardo che leggi nei suoi occhi
ti fa
morire.
«Non
era
così che immaginavo sarebbero andate le cose», gli
dici, in tono di scuse.
«Nemmeno
io.»
Rimani a
fissarlo e i sensi di colpa cominciano a gravarti addosso,
schiacciandoti sotto
il loro peso. Perché sì, ti senti in colpa per tutto. Per le promesse
non mantenute, per i rientri sempre più
brevi, per il dolore che gli stai – e vi
state
– causando, per quanto diventi difficile ogni volta andare
via e
lasciarlo solo. Gli accarezzi una guancia con i polpastrelli, cercando
di
mitigare un po’ il suo dispiacere.
«Vorrei
non essere capace di dipingere», sputi fuori, senza quasi
rendertene conto.
«Vorrei che la mia mano smettesse di funzionare per sempre
e…»
«Non
dirlo neanche per scherzo, Justin», ti interrompe, e la sua
voce è seria. «Tu
hai un talento incredibile. E devi sfruttarlo.»
«Anche
se mi allontana continuamente da te?»
Brian
piega le labbra in un sorriso malinconico.
«È
il
prezzo che devi pagare per essere diventato un artista
famoso.»
«È
un
prezzo piuttosto caro», dichiari, cercando di sdrammatizzare.
«L’avevamo
messo in preventivo, splendore», ti dice lui, semplicemente,
e fa per
allontanarsi, ma tu lo blocchi subito per un polso.
«Io
ritornerò sempre qui da te», lo rassicuri,
prendendogli il volto tra le mani ed
inchiodando gli occhi dritti nei suoi. «Non importa come
andrà avanti la mia
carriera e quanto lontano proverà a spingermi: io
ritornerò sempre a
Pittsburgh, perché è qui che si trova
la mia casa… ed è qui che ci sei tu»,
ribadisci, sorridendogli con dolcezza. «Ritornerò
sempre perché ti amo.»
Brian
sovrappone le sue mani al dorso delle tue, sostenendo il tuo sguardo.
Poi le
sue labbra si increspano in un sorriso beffardo.
«Lo
sai,
splendore? Sei davvero…»
«…
‘patetico’, lo
so.»
«Ed
ora…»
«…
‘lasciati
scopare’.»
Lui ti
guarda con fare scocciato e, premendoti una mano sullo sterno, ti
spinge sul
letto.
«E
non…»
«…
‘completare
le mie frasi’, va
bene», lo
scimmiotti, ridendo.
Brian
alza gli occhi al cielo, sbuffando divertito, e ride anche lui quando
si
distende sopra di te, finalmente più sereno. Gli circondi il
collo e sorridi
con la bocca premuta contro la sua, pensando che non
c’è niente come la propria
casa. Perché la tua casa è lì, fra le
sue braccia. E non c’è posto più bello
al
mondo.
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=3407959
|