L'amore (non) è una cosa semplice

di EternallyMissed92_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La morte può attendere ***
Capitolo 2: *** Sinfonia stonata di un amore senza fondamenta ***
Capitolo 3: *** Piccoli (anzi, grossi) problemi di cuore ***
Capitolo 4: *** Confidenze al sapore di alcool ***
Capitolo 5: *** Danni collaterali ***



Capitolo 1
*** La morte può attendere ***


Disclaimers: Niente mi appartiene. Queer as Folk è di proprietà della Cowlip e della Showtime.
Titolo della shot: La morte può attendere
Rating: Arancione
Genere: Introspettivo, Malinconico
Avvertimenti: Missing Moments, Slash
Timeline: 4x07
Note dell’autrice: Questa raccolta di one-shots ha partecipato al Contest “Segui il sentiero dorato” sul Forum di EFP indetto da Shizue Asahi, valutato poi da i love ace 30, classificandosi al Secondo Posto ed aggiudicandosi il premio speciale come Miglior Storia Per Caratterizzazione. Avevamo a disposizione 10 prompt su cui poter scrivere ed io ho prenotato il seguente:

 
5. Il vero coraggio consiste nell’affrontare il pericolo quando si ha paura.

 
Considerato che vi era la possibilità di poter scegliere anche altri prompt oltre a quello prenotato, io mi sono avventurata ed ho deciso di creare questa mini-raccolta di cinque capitoli che, appunto, comprende anche gli altri quattro prompt che ho scelto oltre a quello prenotato al momento della mia iscrizione al Contest. Le shots sono autoconclusive, quindi scollegate le une dalle altre, con points of view diversi e con all’interno alcuni dei personaggi secondari che hanno gravitato intorno a Brian e Justin, protagonisti indiscussi. I titoli dei capitoli sono stati un parto trigemellare e per giunta podalico, perché io con i titoli non ci so proprio fare, soprattutto se mi impunto di scriverli in italiano. Il titolo di tutta questa mini-raccolta, invece, è preso dall’omonima canzone di Tiziano Ferro, che io ho leggermente modificato in maniera che si addicesse meglio al contenuto delle storie. Se tutto va bene, aggiornerò i capitoli ogni due giorni dall’ultima pubblicazione.
Ora non mi resta che augurarvi buona lettura, sperando che ciò che ho scritto possa piacervi! I commenti sono sempre bene accetti, naturalmente! -Martina-.

 

 

 

 LA MORTE PUÒ ATTENDERE

 

Le luci psichedeliche del Babylon proiettano lampi di colori intensi su tutta la pista, riflettendosi nei tuoi occhi e sulla pelle del tuo viso, resa lucida da un sottile strato di sudore. La musica è assordante e tu, muovendoti in mezzo a tutta quella moltitudine di corpi, ti lasci trasportare dal ritmo. Serri le palpebre e, portando il popper sotto al naso, ne inspiri la polverina bianca con la narice. Reclini la testa all’indietro con un ansito, mentre il tuo battito cardiaco accelera ed un senso di calore pervade ogni fibra del tuo essere. Sollevi in aria le braccia, con le dita chiuse a pugno, continuando a ballare. Improvvisamente senti la mano di qualcuno tirarti per la cintola dei pantaloni. Sorridi: anche questa notte l’ennesima preda si è lasciata catturare dalla bellezza del re dei cacciatori. Riapri gli occhi, eccitato, ma ti penti immediatamente di averlo fatto. L’uomo davanti a te, il quale ti tiene ancora per la cintura, è vecchio. Un dannato, fottuto vecchio, con i capelli bianchi, le rughe a solcargli il viso e il doppio dei tuoi anni a gravargli addosso. Non te lo farebbe diventare duro neanche se fossi imbottito di viagra. Inorridito, togli la sua sudicia mano con uno scatto deciso. Ti guardi in giro e non riesci a credere ai tuoi stessi occhi. Tutti quei bei maschioni, che fino a pochi minuti prima ballavano intorno a te, sono svaniti. Ora, come nel peggiore degli incubi, ci sono solo altri vecchi decrepiti, senza più un solo briciolo di dignità e con un piede nella fossa. E sono ovunque. Ti prendi la testa fra le mani, strizzando con forza le palpebre. Quella stronza di Anita ti ha sicuramente rifilato qualche merda fatta con chissà cosa in una vasca a Tijuana perché, cazzo, devi essere completamente fatto per vedere certi reperti da museo. Ti passi una mano sul volto, ringhiando contrariato, e ti accorgi che le luci sono calate, generando un grigiore tetro all’interno della discoteca. I vecchi, tutt’ad un tratto, smettono di ballare. Si fermano e, con le braccia lungo i fianchi, chinano il capo come fossero burattini appesi ad un filo troppo sottile per reggerli. Una famosa marcia funebre, tenuta a volume piuttosto basso, sostituisce la musica dance ed un silenzio onirico scende sulla pista.
«Cos’è quel muso lungo, Brian?», una voce maschile – che ti suona piuttosto familiare – squarcia all’improvviso tutta quell’immobilità surreale. «Non ti stai divertendo?»
Nella semioscurità che ora invade il Babylon, scorgi appena quel qualcuno procedere nella tua direzione.
«Chi cazzo sei?»
«Sono la tua coscienza», la sua voce seria e profonda si distorce in una risata quasi maligna. «Sempre che tu ne abbia mai avuta una.»
Un brivido corre lungo la tua colonna vertebrale e, d’istinto, cominci ad indietreggiare finché non ti ritrovi col culo piantato contro il bancone del bar. Lui avanza lentamente, continuando a sogghignare, nefasto e gelido come un fantasma venuto apposta dall’oltretomba per vendicarsi facendosi beffe di te. La marcia funebre finisce e le luci ritornano, vive e scintillanti, a colorare tutto il locale. Lasci che la tua vista si riabitui al riverbero, poi stringi un po’ gli occhi per mettere a fuoco la faccia dell’uomo che ti sta davanti. E la tua bocca si schiude dalla sorpresa non appena lo riconosci.
«Vic?», esclami, esterrefatto. «Ma tu non eri morto?»
«Certo che sono morto», conferma, lanciandoti un’occhiata eloquente ed allargando le braccia. «Benvenuto in paradiso, Brian», sogghigna e, nel momento stesso in cui ti affianca, quei maledetti vecchiacci in pista si rianimano improvvisamente, riprendendo a ballare, scoordinati ed imbarazzanti. Li fissi con raccapriccio prima di dare loro le spalle ed appoggiare i gomiti sul bancone.
«Se questo è il paradiso, preferisco bruciare tra le fiamme dell’inferno.»
«Inferno che presto raggiungerai se non…»
«Non mi farò operare», lo interrompi, intuendo subito dove volesse arrivare. «Ho deciso di morire ancora giovane e ancora bello.»
Vic si appoggia anche lui al bancone con la schiena ed incrocia le braccia sul petto, fissandoti di traverso.
«Hai paura, non è vero?»
Lo fissi di rimando, aggrottando la fronte.
«Di che cazzo stai parlando?»
«Non fingere con me, Brian. Ti conosco da quando avevi quattordici anni, purtroppo, e so come sei fatto.»
«Cristo, mi sembra di sentire Debbie», esclami, alzando gli occhi al soffitto e roteandoli con fare scocciato.
Vic ride, sinceramente divertito.
«Dopotutto sono suo fratello. O meglio, ero», si corregge, sospirando affranto. «Non mi è stato concesso il tempo necessario per fare pace con lei. Non ho neanche potuto dirle un meritato “ti voglio bene, sorellona, grazie di tutto”… sono uscito di scena all’improvviso, in silenzio.»
Ti passi una mano sulla nuca, sollevando un angolo della bocca con fare saccente.
«Se stavi cercando un prete che potesse aiutarti ad espiare i tuoi sensi di colpa, hai decisamente sbagliato persona.»
«Eppure sono pronto a scommettere che ti piacerebbe fare il prete», sentenzia Vic, ridendo di nuovo. «Pensa a quanti bei maschioni si inginocchierebbero davanti a te.»
Nonostante tutta quella situazione sia oltremodo grottesca, ti ritrovi anche tu a ridere allegro.
«Peccato che aprirebbero la bocca solo per confessarsi e non per succhiarmelo.»
Vic ti molla una pacca leggera sulla spalla.
«Allora apri bene le orecchie, Padre Brian, perché devo confessarti un’altra cosa: volevo farla finita anche io, sai?», dice, e tu lo guardi con un’espressione interdetta dipinta sul volto. «Quando scoprii di essere sieropositivo, il mondo mi crollò addosso. Ebbi una paura tale da ponderare persino l’idea del suicidio. Pensai: “Che cazzo, se proprio devo morire preferisco farlo subito, così non passo tutto il resto della mia vita in compagnia delle medicine e con l’angoscia che questo o quest’altro possa essere il mio ultimo giorno sulla faccia della Terra!”. Ero terrorizzato… ed anche parecchio idiota», scuote la testa, ridacchiando appena, poi si lascia andare ad un profondo respiro. «Fu così che il giorno dopo provai a togliermi la vita. Ma non riuscii ad andare fino in fondo.»
«Che cosa te lo impedì?», gli chiedi, stranamente rapito dal suo racconto.
Vic pianta gli occhi dritti nei tuoi.
«Debbie», ti risponde, serio. «Mi colse in flagrante e mi riempì subito la faccia di schiaffi, urlando come una pazza ed apostrofandomi con gli epiteti più disparati… avresti dovuto vederla, era davvero furiosa. Poi si fermò di colpo e, abbracciandomi, si mise a piangere», la sua voce si rompe e vedi le sue iridi chiare rabbuiarsi. «Ricordo che mi disse che non potevo lasciarla sola, che non potevo abbandonarla e procurarle un dolore così grande… mi disse che anche lei aveva paura, ma che ci saremmo fatti coraggio, avremmo affrontato insieme i pericoli della mia malattia e avremmo vinto. Rimanemmo abbracciati per un po’ e piansi anch’io, ma mi ripresi subito perché mi mollò un altro schiaffo», conclude, ridendo e toccandosi la guancia sinistra col palmo della mano. «Fu lo schiaffo più bello della mia vita, lo schiaffo che mi fece capire che avevo ancora qualcuno per cui valeva la pena lottare.»
Rimani a guardare Vic per qualche secondo, colpito dalle sue parole, poi abbassi lo sguardo.
«Io non ho nessuno per cui ne vale la pena», sentenzi, e la tua voce, involontariamente, si incrina, assumendo un tono triste.
«Hai la persona che ami e che ti ama, Brian», ti contraddice lui e tu risollevi subito il viso. «Pensa a Justin, a come si sentirebbe se ti lasciassi morire… pensa al dolore che gli causeresti.»
Deglutisci a vuoto e ci pensi, a Justin. Pensi a lui, ai suoi occhi incredibilmente azzurri, al suo sorriso splendente, e la paura di provare a combattere per poi fallire, la paura di morire davvero e di non rivederlo mai più, ti assale come un mare in tempesta.
«Potrei non farcela…», mormori.
«Ce la farai. Qualcuno ai piani alti mi ha riferito che l’operazione andrà bene e che non morirai… non ancora, perlomeno», ti informa Vic, facendoti l’occhiolino.
«E chi te l’ha detto? Dio in persona?»
«No», sorride furbo lui, avvicinandosi ancora di più a te. «È stato James Dean», sussurra dritto nel tuo orecchio, come se fosse il vostro piccolo segreto.
Scoppi in una risatina colma di sarcasmo.
«Stronzate!», sbotti.
«I morti non possono più mentire, Brian», afferma e tu lo guardi con fare interrogativo, a sopracciglia inarcate. «So che farai la cosa giusta.»
«James Dean ti ha detto anche questo?», esclami, prendendolo bonariamente in giro.
Vic ti sorride in modo piuttosto eloquente. Lo vedi allontanarsi, mentre una pioggia di glitter e brillantini vi investe dall’alto, in piccoli coriandoli luccicanti. Svanisce in silenzio, senza il minimo rumore, esattamente come fece prima di esalare il suo ultimo respiro. La musica si interrompe, le luci si spengono, la pista si svuota e tutto ciò che ti circonda, ora, è il buio, nero come la pece. Improvvisamente, una luce bianca e abbagliante si accende in fondo al Babylon. È una luce che ti chiama, che ti invita a seguirla, che porta con sé la voce di chi ha saputo regalarti un po’ di sole nella vita. E tu, senza remora alcuna, ti incammini verso di essa.

 

«Brian?»
Quella voce insistente, che sta reclamando la tua attenzione da parecchi secondi, si fa sempre più reale. I tuoi occhi verdi si aprono a fatica e la tua vista è leggermente appannata. Ti stropicci le palpebre stanche e pesanti con i polpastrelli, prima di renderti conto che sei malamente seduto davanti alla scrivania del tuo loft. Ti massaggi la nuca e sospiri, ancora un po’ intontito. Senti dei passi felpati avvicinarsi a te e, poco dopo, due braccia ti circondano da dietro le spalle.
«Ti sei addormentato?»
Guardi Justin con la coda dell’occhio.
«Credo di sì», fissi il computer su cui stavi controllando alcuni documenti per la Kinnetik. «Ho scoperto che esaminare dei noiosissimi file per l’azienda può causare sonnolenza.»
Lui ridacchia sommessamente, poi inclina la testa per poterti osservare meglio.
«Hai fatto un brutto sogno? Sembri stravolto.»
«Non ho niente, splendore», lo rassicuri, sporgendoti verso di lui per baciarlo sulla bocca. «Va tutto bene.»
Justin ti tiene stretto a sé ancora per un po’. Le sue braccia sono forti e sicure intorno alle tue spalle e il suo respiro tiepido ti solletica piacevolmente la pelle del collo. Chiudi gli occhi, beandoti del tepore del suo corpo contro la tua schiena. Un tepore a cui non rinunceresti per nulla al mondo. Ed è in quel preciso momento che decidi di fare la cosa giusta, che decidi di affrontare la paura del cancro ed il pericolo dell’intervento con coraggio e temerarietà. Perché non vuoi perdere Justin, perché, per lui, vale la pena lottare e continuare a vivere.
«Andiamo a letto?», la sua voce interrompe il filo dei tuoi pensieri. «È tardi.»
Annuisci piano e Justin posa un bacio sulla tua guancia, prima di sciogliere l’abbraccio e dirigersi verso la zona notte del loft. Spegni il computer e, stiracchiandoti la schiena, ti alzi. Lo raggiungi qualche minuto più tardi, trovandolo già addormentato tra le pieghe delle tue lenzuola blu, ormai vinto dal sonno. Gli circondi la vita con un braccio, stringendolo piano a te, e lo guardi dormire. Poi, stanco, appoggi la fronte contro la sua nuca, continuando a tenerlo stretto al tuo petto. Lui non sa che sei malato e mai lo saprà, perché non permetterai al cancro di fotterti. Sospirando, chiudi gli occhi, con la certezza che sopravvivrai all’operazione e sconfiggerai quel male terribile. Un sorriso nostalgico, quasi malinconico, ti piega le labbra. No, non morirai. Non ancora. Dopotutto, l’ha detto James Dean.

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Capitolo 2
*** Sinfonia stonata di un amore senza fondamenta ***


Disclaimers: Niente mi appartiene. Queer as Folk è di proprietà della Cowlip e della Showtime.
Titolo della shot: Sinfonia stonata di un amore senza fondamenta
Rating: Verde
Genere: Introspettivo, Romantico
Avvertimenti: Missing Moments, Slash
Timeline: Tra la 3x01 e la 3x02
Prompt utilizzato: 7. Non importa quanto grigia e squallida sia la nostra casa, noi gente di carne e ossa preferiamo abitare lì che in qualsiasi altro luogo, per bello che possa essere.
Note dell’autrice: Ebbene sì, l’ho fatto. Ho scritto su un personaggio che mi fa venire il rigurgito di bile al solo sentirne pronunciare il nome. Non so come le mie dita abbiano resistito e non siano marcite mentre scrivevo e come i miei occhi non siano usciti dalle orbite per rotolare a terra dallo schifo. Però cercate di capirmi, ho dovuto scrivere su questo personaggio per cause di forza maggiore: il prompt era azzeccatissimo – soprattutto per quanto riguarda l’aggettivo ‘squallido’ – per lui. Mi scuso in anticipo se la shot vi sembrerà piuttosto semplice, a tratti banale e scarsa di contenuti, ma quando scrivo su un personaggio che detesto, questo è il meglio che posso dare.
Non vi auguro buona lettura perché, nella seguente storia, non c’è nulla di buono. In caso ve lo stiate chiedendo: sì, potete lanciarmi quanti pomodori volete, li mangerò più che volentieri! -Martina-.

        

 

SINFONIA STONATA DI UN AMORE SENZA FONDAMENTA

 
Un tenue raggio di sole, fin troppo caldo per quella stagione rigida, filtra attraverso la finestra malandata, colpendoti in pieno viso. Apri gli occhi ancora impastati dal sonno appena interrotto, facendoti immediatamente scudo con una mano per non rimanere accecato. Ti muovi su quel materasso logoro e consunto e le assi di legno che lo sostengono scricchiolano leggermente sotto il tuo peso. Allunghi un braccio e tasti piano le coperte con le dita, accorgendoti subito che non c’è nessun corpo vicino a te.
«Ethan?», lo chiami, guardandoti intorno.
«Sono qui», ti risponde lui, spuntando con la testa da dietro la testiera malridotta del divano, i ricci bruni scompigliati sulla fronte.
«Che ci fai lì?»
«Fino a qualche minuto fa ci stavo dormendo, qui sopra.»
«Hai passato la notte sul divano?», corrughi la fronte, guardandolo senza capire. «Come mai?»
Ethan si alza, avvolgendo il corpo nudo in una coperta piena di buchi, e ridacchia.
«Quante domande di primo mattino, signorino Taylor», esclama, muovendo quei pochi passi che gli servono per raggiungerti e sedersi sul bordo di quel letto improvvisato. «Non ho passato tutta la notte sul divano, solo qualche ora. Durante l’alba ha cominciato a piovere e l’acqua è filtrata attraverso un paio di tegole rotte. Avevo una stupida goccia che continuava a cadermi sulla faccia ed infastidirmi.»
«Forse non avremmo dovuto fare l’amore sul tetto, l’altra notte», ammicchi, con un sorriso furbo. «Non deve aver retto la nostra foga.»
Ethan ride, scuotendo divertito la testa.
«Può darsi. Sta di fatto che mi sono alzato per andare in bagno e… non ci crederai mai, ma si è staccata pure la tavoletta del water!»
Rimani a fissarlo per qualche secondo, serio, in totale silenzio. Poi gonfi le guance e infine, non riuscendo più a trattenerti, scoppi in una risata piuttosto fragorosa.
«Che nottataccia!», esclami, una volta che le tue risate si sono placate.
«Già», concorda lui, prima di sorriderti con tenerezza. «Ma ne ho approfittato per guardarti dormire, quindi non è stata poi così male, come notte», mormora, sensuale, passando il pollice sul tuo labbro inferiore. «Fai delle facce buffissime e arricci spesso il naso mentre dormi. Sei veramente bellissimo.»
Senti le tue guance arrossire leggermente.
«Davvero?»
Ethan annuisce con un cenno del capo. Lascia scivolare la coperta lisa sul pavimento e si distende sul tuo petto niveo, puntellando i gomiti sul materasso per sostenersi e non gravarti troppo addosso. Intrappola la tua bocca in un bacio lungo, dolce, e quando si separa lentamente da te affonda le dita nei tuoi capelli biondi.
«Sai che ti dico? Non importa quanto grigia e squallida sia la nostra casa: io preferisco abitare in questa bettola che in qualsiasi altro luogo, per bello che possa essere, perché qui, stretto tra le mie braccia, ho tutto ciò che ho sempre desiderato», ti sfiora la punta del naso con il proprio, sorridendo. «Sei il sogno più grande della mia vita, ancor più della Filarmonica di Vienna.»
Sbuffi una risatina quasi imbarazzata e ti schernisci, coprendoti il volto con le mani.
«Adesso non esagerare», mugugni.
«Non sto esagerando», ti contraddice lui, prendendo e strattonando delicatamente i tuoi polsi per toglierli da lì. «Brian non deve averti fatto molti complimenti se arrossisci per così poco», scherza.
Scosti le dita dal tuo viso e ti rabbui nel sentir pronunciare quel nome. Il tuo corpo si fa più rigido ed Ethan, accorgendosene subito, cerca di rimediare schioccandoti un piccolo bacio sulla fronte.
«Io non ti farò soffrire come ha fatto lui, Justin. Te lo prometto», ti rassicura, fissandoti dritto negli occhi. «Io saprò renderti felice. Ogni mattina ti dedicherò serenate col mio violino per svegliarti ed ogni sera dormirò abbracciato a te dopo aver fatto l’amore. Diventerò famoso e se questo lurido appartamento non dovesse più bastarti, ti comprerò un castello, se sarà necessario.»
«Non mi serve un castello», gli dici, lasciandoti andare ad un sorriso disteso, ora più tranquillo. «Nonostante tutto, a me piace questa casa. Non importa quanto sia misera, che abbia i muri scoloriti o che cada un po’ a pezzi… mi piace perché è piccola ed accogliente. Perché è nostra
Ethan ti sorride di rimando e si protende per baciarti. Porti le braccia intorno al suo collo, stringendolo contro di te e, all’improvviso, la senti ancora, di nuovo. È una nota stonata, stridula, che senti ogni volta che ti tocca, ogni volta che ti bacia, ogni volta che fate l’amore. È quella maledetta nota di disaccordo nel tenero ritornello del vostro amore. Ed è come se percepissi un’altra presenza, invisibile quanto ingombrante, che si mette tra di voi quando siete soli. Una presenza costante e prepotente, portatrice di un nome che tu conosci perfettamente, portatrice di quel viso che tu, sin dal vostro primo, fatale incontro, hai definito come ‘il volto di Dio’.
«Devi andare a lezione, oggi?», ti chiede Ethan, curioso.
«Sì.»
«È un vero peccato», bofonchia, poi sporge in fuori il labbro inferiore e mette il broncio, cercando di farti pietà. «Volevo rapirti per un po’ e fare un bagno caldo insieme a te.»
Dai un’occhiata fugace all’orologio sgangherato appeso alla parete sopra di voi.
«C’è ancora parecchio tempo prima che comincino le lezioni», lo informi, rivolgendogli un sorriso raggiante. «Ed io ho proprio voglia di un bel bagno caldo.»
Ethan sorride anche lui e ti bacia sulla punta del naso.
«Vado subito a riempire la vasca, allora», annuncia, rimettendosi in piedi. «Spero che il tappo dello scarico regga, altrimenti ci toccherà fare un bagno a secco», ridacchia, contagiando anche te con la sua allegria. «Ti chiamo quando l’acqua è pronta.»
«Ve bene», annuisci, e lui ti scocca l’ennesimo bacio sulla bocca.
Lo segui con lo sguardo finché non sparisce dietro la porta rovinata del bagno. Sospiri, pettinandoti all’indietro i capelli con le dita, e ti volti su un fianco. Pieghi il gomito, appoggiando la guancia sul palmo aperto della mano, e fissi la rosa rossa sopra il piccolo comodino che Ethan ti ha regalato due sere prima. La guardi e, senza alcun motivo apparente, ti chiedi se l’amore che vi lega durerà quanto quel fiore bellissimo ma dalla breve esistenza o se, invece, sarà eterno. La finestra si spalanca improvvisamente, sospinta da una leggerissima folata di vento, e tu cerchi di proteggerti tirando le lenzuola fin sopra il mento. La rosa vibra ed un petalo si stacca, cadendo e andando a morire silenziosamente sul pavimento. I tuoi occhi chiari, ora, fissano quel morbido petalo rosso. Che sia la risposta ai tuoi dubbi? Che sia un segno del destino? Sbuffi sonoramente e ti lasci cadere con la schiena contro il materasso, coprendoti gli occhi con l’avambraccio.
«Justin?», la voce di Ethan ti riscuote dai tuoi pensieri amletici. «Vieni?»
«Arrivo!»
Ti tiri su a sedere e, dandoti una lieve spinta, ti alzi. Sospirando piano, ti dirigi verso il bagno, con la consapevolezza che, tra le pareti di quella casa squallida, immerso nell’acqua e tra le bolle di sapone, annegherai per un po’ la mancanza che hai di lui.

 

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Capitolo 3
*** Piccoli (anzi, grossi) problemi di cuore ***


Disclaimers: Niente mi appartiene. Queer as Folk è di proprietà della Cowlip e della Showtime.
Titolo della shot: Piccoli (anzi, grossi) problemi di cuore
Rating: Giallo
Genere: Introspettivo, Sentimentale
Avvertimenti: Missing Moments, Slash
Timeline: (Molto) Post 5x13
Prompt utilizzato: 10. I cuori non saranno mai una cosa pratica finché non ne inventeranno di infrangibili.
Vi auguro buona lettura! -Martina-.

 

 
 
 

PICCOLI (ANZI, GROSSI) PROBLEMI DI CUORE

 
Sdraiato a pancia sotto sulla costosa moquette bianca del salotto, giocherelli con la matita che hai in mano, sovrappensiero. Fissi la pagina del libro di matematica senza vederla realmente, come se fossi in trance, e i numeri che vi sono stampati sopra, ai tuoi occhi distratti, risultano sfocati. Trattieni a stento uno sbuffo e prendi a mordicchiare nervosamente la matita, continuando a fissare quella maledetta pagina – su cui proprio non riesci a concentrarti – con sguardo vacuo, perso in chissà quale altro universo parallelo. Una mano ti afferra improvvisamente la spalla, provocandoti uno strano brivido di paura all’altezza dello stomaco. Sollevi di scatto la testa e, stringendo gli occhi in due fessure, guardi subito male la faccia della persona che ti ha causato quella sottospecie di spavento.
«Cristo santo, papà! Mi hai quasi fatto venire un infarto!», esclami, tirandoti su a sedere.
Lui ride di gusto e si siede sul divano, di fronte a te.
«Volevo accertarmi che fossi ancora vivo», alza un angolo della bocca, beffardo, e punta l’indice in direzione del tuo libro. «È da più di un quarto d’ora che sei sulla stessa pagina. Ti serve aiuto?»
«Sì. Cioè… n-no!», rettifichi, farfugliando.
Tuo padre inarca un sopracciglio, confuso e curioso al contempo, e sbuffa una risata dal naso.
«Sì o no, Gus?»
«No», scuoti la testa con poca convinzione e chiudi il libro, appoggiandolo sul Mies van der Rohe. «Quando torna Justin?», gli domandi all’improvviso, e la tua voce assume un tono piuttosto ansioso.
«Credo che sarà qui tra qualche minuto», ti risponde lui, dando un’occhiata all’orologio che porta al polso sinistro, poi ti guarda con fare sospettoso. «Hai bisogno della sua testolina da, cito, ‘millecinquecento punti al test di ammissione’ per i compiti?»
«No. Cioè… s-sì», farfugli di nuovo, impacciato, e decidi di prendere un profondo respiro per cercare di calmarti. «Sì, voglio che mi dia una mano, ma non con la matematica. Devo parlargli di un problema più… grosso.»
«Puoi parlarne anche con me, se vuoi», ti rassicura, dandoti un buffetto sulla testa e facendoti l’occhiolino, furbo. «Dopotutto, sono un esperto quando c’è di mezzo qualcosa di grosso
Cogli immediatamente il suo sottilissimo doppio senso ed alzi gli occhi al soffitto, fingendoti esasperato.
«Papà!», esclami, e ti lasci andare ad una risata divertita.
«Me l’hai servita su un piatto d’argento, figliolo», afferma, intrecciando le dita. «Allora, di che problema si tratta?», ti chiede a bruciapelo, senza la benché minima intenzione di lasciar cadere l’argomento.
«Non posso dirtelo», svii la sua domanda ed un ghigno malizioso piega le tue labbra. «Sei troppo vecchio per questo genere di cose.»
Vedi tuo padre spingere la lingua contro l’interno della guancia – in uno dei suoi tipici modi di fare che tu stesso hai ereditato – e i suoi occhi, ora leggermente assottigliati, sembrano volerti incenerire sul posto.
«Vecchio?», sbotta, e tu noti subito la punta di repulsione con cui pronuncia quella terrificante parola. «Apri bene le orecchie, piccolo moccioso arrogante: il sottoscritto ha solo quarant’anni e…»
«Quarantasei», lo correggi subito, con un sorrisetto alquanto compiaciuto. «Non affaticarti a barare sull’età, altrimenti rischi che ti vengano le rughe per lo sforzo», aggiungi, continuando a prenderlo amorevolmente in giro.
«Come vuoi, stronzetto, ne ho quarantasei…», concorda, contrariato.
«Esatto, ne hai proprio quarantasei», rimarchi il concetto, annuendo con vigore. «È la cruda e dura realtà dei fatti, mio caro vecchietto
Tuo padre accavalla una gamba sopra l’altra ed incrocia le braccia sul petto.
«Non avevo ancora finito», puntualizza, inarcando le sopracciglia. «Ne ho quaranta più sei, ma ne dimostro molti di meno e, per tua informazione, sono ancora il frocio più sexy di tutta Pittsburgh», esclama, vittorioso.
«Chi sarebbe il frocio più sexy di tutta Pittsburgh?», la voce di Justin invade improvvisamente il loft, interrompendo così il vostro ironico battibecco, e guardate subito nella sua direzione, mentre lui chiude la grossa porta di metallo dell’ingresso ed appoggia le borse della spesa sul bancone della cucina.
«Naturalmente sono io, splendore», gli risponde tuo padre. «Di chi altro credevi stessimo parlando?»
Justin ride, scuotendo il capo, e vi raggiunge in salotto.
«Ciao, marito più sexy dell’universo», lo saluta, canzonandolo e dandogli un bacio leggero sulla bocca, prima di voltarsi verso di te e scompigliarti affettuosamente i capelli. «Ciao anche a te, Gus.»
«Ciao, pa’», lo saluti di rimando e le sue labbra si distendono in un sorriso intenerito, perché sai che non si è ancora abituato a sentirsi chiamare così da te, nonostante tu abbia cominciato a farlo dall’età di otto anni. «Finalmente, e sottolineo finalmente, sei arrivato!»
Justin ti fissa un secondo, confuso, poi guarda tuo padre con cipiglio severo, le mani sui fianchi.
«Brian, che cosa hai combinato?»
«Io non ho combinato proprio un bel niente», alza le mani come per dichiararsi innocente, poi ti indica con un pollice. «Questo mocciosetto ha un problema e vuole assolutamente parlarne con te e non con me a causa della mia vecchiaia dilagante
«Credo di essermi espresso male», intervieni, schiarendoti la gola. «Ti ho detto che sei troppo vecchio per certe cose perché tu avevi già trent’anni quando ti sei innamorato… anche se, a detta di mamma Melanie, a quell’epoca eri un vero e proprio cinico bastardo senza cuore per ammettere una cosa simile e non ti meritavi un ragazzo come Justin.»
Tuo padre piega le labbra in un sorriso tirato, per niente divertito.
«La prossima volta che incontro la cara Melanie, la rispedisco a Toronto direttamente a calci nel culo, così le risparmio il biglietto aereo», dice, con fare sprezzante. «E senza possibilità di ritorno.»
Ridacchi ed incroci meglio le gambe sulla moquette, ritornando subito serio.
«Non volevo parlarne con te perché, semplicemente, non avevi diciassette anni come me e Justin quando hai scoperto l’amore», ti tormenti nervosamente le mani sudate. «Per questo volevo un suo parere. Ma la mia ragazza, o forse dovrei dire…»
«Ti sei innamorato, allora!?», ti blocca Justin, sorpreso, ed annuisci in segno di risposta, facendogli aumentare a dismisura il sorriso. «Ma è stupendo!»
«Ma è terribile!», salta su tuo padre, e tu e Justin lo guardate sbigottiti, sbattendo ripetutamente le palpebre. «Ho appena scoperto di avere un figlio etero», vi spiega, allargando le braccia come se fosse una cosa ovvia. «Dovrei forse esserne felice?»
«Brian, tu sei il peggior eterofobo, se non l’unico, che io abbia mai conosciuto.»
«Ti ringrazio per il complimento, splendore, lo apprezzo molto», si alza dal divano e vi guarda entrambi. «Ora, se volete scusarmi, vado a prendermi una bottiglia di Chivas Regal, così che io possa ubriacarmi e non pensare a mio figlio che lecca quella… cosa», annuncia, con fare teatrale, dirigendosi verso il carrello degli alcolici.
Justin alza gli occhi al soffitto, roteandoli, poi si siede sul divano e ti rivolge uno sguardo radioso.
«Chi è questa ragazza? La conosco?»
«No, non la conosci… e credo non lo farai mai», sospiri, afflitto.
«E perché?»
«Perché…», ti fermi, prendendo l’ennesimo profondo respiro della giornata, e decidi di partire dal principio. «Tu e papà siete i primi a sapere di lei… non ne ho mai parlato neanche alle mamme, perché non credevo potesse diventare una cosa seria, e invece…», lasci in sospeso la frase e sorridi con malinconia. «Lei si chiama Shayla. Ci siamo conosciuti a scuola... quest’anno frequenta la mia stessa classe e siamo anche compagni di banco. Era molto timida, all’inizio, ma poi abbiamo cominciato a parlare e abbiamo scoperto di avere un sacco di cose in comune. Così, dopo qualche mese, ci siamo messi insieme e… e quando ho capito di essermi davvero innamorato di lei, ho deciso di raccontarle tutto, di rivelarle che ho due mamme e due papà», abbassi lo sguardo, deglutendo a vuoto. «Lei mi ha compreso, dicendomi che non cambiava nulla fra di noi, ma… ma quando l’ha riferito ai suoi genitori, loro ne sono rimasti sconvolti, schifati, e le hanno subito proibito di continuare a vedermi prima che la mia famiglia deviata potesse infettarla e così è stata costretta a lasciarmi…», una lacrima sfugge al tuo controllo e ti copri il volto con le dita, come se ti vergognassi di star piangendo.
«Non fare così, Gus», la mano di tuo padre, che era rimasto in disparte ad ascoltare il tuo racconto, ti accarezza dolcemente la testa. «Quella gente di merda non si merita le tue lacrime e…»
«Vorrei non avere questo stupido cuore!», esordisci, a costo di sembrare un bambino che fa i capricci, rialzando di colpo il viso ed asciugandoti violentemente le guance col palmo delle mani. «Se non lo avessi, non mi sarei mai innamorato e ora non starei soffrendo!»
«Se non avessi il cuore, non saresti nemmeno vivo», ti contraddice Justin, cercando di sdrammatizzare. «Il cuore non è una cosa pratica, Gus. È irrazionale e fa un po’ quello che vuole, a discapito di ciò che dice la ragione… è lui che comanda, che decide di chi ti innamorerai, anche se è la persona sbagliata», sostiene, sorridendo amaro. «E, soprattutto, non è infrangibile. Può rompersi, spezzarsi, finire a pezzi, ma è sempre meglio…»
«… ragionare col cazzo piuttosto che col cuore», si interpone tuo padre, saccente, ritornando a sedersi sul divano.
Justin gli rifila una gomitata nel fianco.
«Brian, la vuoi smettere? Sto cercando di aiutarlo.»
«E come? Impartendogli un discorsetto da perfetta regina del dramma su quanto sia bello avere un cuore nonostante faccia male alla salute?», esclama, sarcastico, poi ti guarda dritto negli occhi. «Sai che ti dico, figliolo? Dovresti mandarla a fanculo per sempre e…»
«No!», lo interrompe immediatamente Justin. «Significherebbe mollare!»
«Significherebbe semplicemente lasciar perdere quella ragazzina», controbatte, con fare da saggio. «Ragazzina che ha preferito dare ascolto a dei genitori omofobi e che non ha pensato, neanche per un fottuto secondo, di star ferendo i sentimenti di mio figlio!»
«Ma io la amo, papà», ribadisci, mordendoti il labbro inferiore, e lui ti guarda con un’aria indecifrabile. «E vorrei poter ritornare con lei.»
«Allora fallo», ti incita Justin, scompigliandoti di nuovo i capelli.
«Sì, ma… i suoi genitori...»
«Che si fottano i suoi genitori», esclama, stringendosi nelle spalle. «Gus, ascolta: mio padre era ed è tuttora uno stronzo cronico. Non ha mai accettato la mia omosessualità e, di conseguenza, non ha mai accettato Brian, perché lo ha sempre ritenuto l’orco cattivo che mi ha portato sulla via della perdizione. Così il nostro rapporto ha cominciato ad incrinarsi e, col passare degli anni, è peggiorato… mi ha addirittura fatto arrestare», scuote la testa, rassegnato, e tu sgrani gli occhi. «Ma il suo disprezzo nei miei confronti non mi ha comunque impedito di continuare ad amare tuo padre e a combattere per noi», gli rivolge un’occhiata piena d’amore ed intreccia le dita tra le sue, ritornando subito a guardarti dritto negli occhi. «Perciò, Gus, se tieni davvero a questa ragazza, combatti per lei e per il vostro amore. Perché sono certo che anche lei, ora, sta soffrendo e non aspetta altro che tu vada a riprenderla», conclude, accarezzandoti dolcemente una guancia.
«Che parlantina inesauribile, Signor Petulanza», lo apostrofa tuo padre, la voce colma di sarcasmo. «Che ne diresti di impiegare quella bella lingua lunga in attività più produttive e piacevoli?»
Justin sospira e gli pianta un indice sul petto.
«Persino questo essere freddo, spudorato e maledettamente narcisista è provvisto di un muscolo cardiaco», ti dice, con un sorriso strafottente. «Avere un cuore, anche se non è infrangibile, non è poi così male», ti conforta, facendoti l’occhiolino.
«Grazie, pa’», gli sorridi, grato, e finalmente ti senti più sereno, tranquillo.
«Va bene, basta con tutte queste smancerie da lesbiche in amore», si lamenta tuo padre, fingendosi disgustato. «Ho sopportato in silenzio e credo proprio che, considerata la mia ormai veneranda età, mi sia appena salito il livello di diabete.»
«Se continui di questo passo, tra poco dovrai ricorrere alla pillola blu», lo scherzi, facendo ridere di gusto Justin.
«E tu, invece, stronzetto impertinente che non sei altro, dovrai ricorrere alle stampelle, perché ti avrò preso a calci nel culo talmente forte che non riuscirai più a camminare per una settimana intera», replica lui, sollevando le sopracciglia, mentre un sorriso ben poco benevolo gli increspa le labbra.
Ridacchi alla sua minaccia del tutto assurda e ti rimetti in piedi, afferrando il libro di matematica sul tavolino in vetro pregiato.
«Vado a fare una doccia.»
«Questa frase mi ricorda qualcuno quando cerca disperatamente di fuggire dalle conversazioni profonde», Justin incrocia le braccia sul petto, sorridendo furbo, e rivolge un’occhiata eloquente a tuo padre. «Vero, Brian?»
Lui, in segno di risposta, alza gli occhi al soffitto e sbuffa leggermente. Li guardi scuotendo divertito la testa e ti incammini verso la zona notte, accompagnato dai loro bisticci spiritosi ed allegri. Sali i piccoli gradini e raggiungi il letto, su cui è deposto il tuo zaino di scuola. Lo apri, infilandoci dentro il libro di quella materia che tanto detesti, e poi lo richiudi con cura. Ti massaggi la nuca, stanco, ed è in quel preciso istante che ti accorgi che nel loft è piombato un silenzio strano. Muovi qualche passo per la stanza e, appoggiandoti al bordo in legno del separé, ti sporgi in avanti con la testa. Tuo padre e Justin sono in piedi, al centro del loft, che si stanno baciando come due ragazzini alla loro prima cotta, con dolcezza e premura. Rimani lì, a guardarli di nascosto, finché non si separano. Li vedi sorridersi a vicenda prima di appoggiare la fronte contro quella dell’altro. Ti ritrovi a sorridere anche tu davanti a quella scena da film romantico e provi quasi una sorta di invidia nei loro confronti. Li osservi ancora per qualche secondo e, sentendo un senso di determinazione montarti dentro, decidi di combattere per te, per lei, per quel noi che eravate. Combatterai, desideroso di vivere un amore forte e sincero come quello che lega i tuoi due fantastici papà.

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Capitolo 4
*** Confidenze al sapore di alcool ***


Disclaimers: Niente mi appartiene. Queer as Folk è di proprietà della Cowlip e della Showtime.
Titolo della shot: Confidenze al sapore di alcool
Rating: Giallo
Genere: Introspettivo, Sentimentale
Avvertimenti: Missing Moments, Slash
Timeline: Post 5x13
Prompt utilizzato: 5. Uno sciocco non saprebbe che farsene del cuore, anche se ne avesse uno.
Vi auguro buona lettura! -Martina-.

 

 

 
 
CONFIDENZE AL SAPORE DI ALCOOL

 
Comodamente seduto sulla tua poltrona in pelle nera, dai un’ultima occhiata ai documenti per la prossima campagna pubblicitaria di una famosa linea di intimo maschile. Ti massaggi le palpebre e poi, sbirciando l’ora sul tuo costosissimo orologio, decidi che per quella sera hai lavorato anche troppo. Salvi i file sul tuo computer prima di spegnerlo e ti alzi, afferrando il cappotto per indossarlo. Infili alcune cartelle nella tua ventiquattrore mentre, all’improvviso, la testa di Cynthia sbuca dalla porta del tuo ufficio.
«Che ci fai ancora qui?», ti chiede, sorpresa. «Credevo fossi fuori a festeggiare.»
Ti stringi nelle spalle e la guardi con un sorrisetto strambo.
«Non ho molta voglia di festeggiare...»
«Hai appena concluso un contratto con la Eye Conic che ti frutterà milioni e tu non vuoi festeggiare?», esclama lei, quasi sbigottita. «Sicuro di sentirti bene?»
«Sto una meraviglia», tagli corto, recuperando le chiavi della tua Corvette da un cassetto della scrivania. «Non si nota, forse?»
La vedi incrociare le braccia sul petto, con un sopracciglio inarcato.
«Bene, allora andiamo a bere qualcosa insieme, così ti distrai un po’. Pago io.»
«Che cosa?», ridacchi, ironico. «Scordatelo.»
«‘Scordatelo’ cosa?», ti domanda, con aria di sfida. «‘Scordatelo, non mi permetterei mai di far pagare tutto ad una bella fanciulla come te’, che fa decisamente poco Brian Kinney, oppure ‘Scordatelo, io non esco con una vecchia zitella inacidita’ che fa decisamente molto Brian Kinney?»
«Credo che tu ti sia già risposta da sola», le sorridi in maniera eloquente. «Ora evapora, altrimenti ti licenzio.»
«Se non esci con me, ti rigo la Corvette», continua, insistente, senza alcuna intenzione di voler demordere, e dal suo sguardo da brividi capisci che non sta affatto scherzando.
«Mi stai forse minacciando, Cynthia?»
«Può darsi.»
Alzi gli occhi al cielo e sbuffi, scocciato.
«Cristo, ma perché non esci con Theodore
«Perché lui è già impegnato con Blake. Ti sei forse dimenticato che oggi…»
«… la coppietta felice festeggia due mesi che sono ritornati insieme», completi per lei, storcendo poi la bocca in un’espressione quasi nauseata. «Non riesco a pensare a niente di più patetico.»
«Sei sempre il solito romantico», commenta Cynthia, scuotendo il capo, e si piazza dritta davanti a te. «Allora? Vieni?»
Con un sorriso impertinente, ti appoggi alla scrivania con i palmi delle mani e ti sporgi in avanti con la testa, ad un centimetro dal suo naso.
«No», la liquidi, inarcando le sopracciglia per enfatizzare al meglio il tuo rifiuto. «Non vengo.»
Lei, in tutta risposta, ti sorride. Ed è un sorriso che non ti piace per niente.

 

«Sapevo che avresti ceduto», gongola vittoriosa Cynthia, seduta accanto a te sullo sgabello del bar in cui siete entrati da circa un quarto d’ora.
La fissi di traverso, cercando di incenerirla con la sola forza dello sguardo.
«Ho ceduto perché mi stavi esasperando e la mia Corvette stava rischiando grosso», borbotti, sorseggiando la birra che hai ordinato. «Ora dammi un buon motivo per cui non dovrei davvero licenziarti.»
«Perché svolgo il mio lavoro in maniera impeccabile e sono l’unica assistente che riuscirebbe a sopportarti ancora per altri vent’anni», sorride compiaciuta, prima di immergere la punta di due patatine fritte nel ketchup ed addentarle con gusto.
«Ma tu non eri a dieta?»
«Comincio domani», ti risponde, con la bocca piena.
Ti lasci andare ad una risata piuttosto divertita.
«Quel ‘domani’ dura da quando ti conosco», la informi, toccandole un braccio con la punta dell’indice. «Diventerai grassa e ti verrà anche la cellulite.»
Cynthia si stringe nelle spalle e, sfidandoti con lo sguardo, finisce tutte le patatine.
«Fanculo alla cellulite», esclama, pulendosi le mani con un tovagliolo di carta. «E fanculo anche tu, Brian.»
Ridi di nuovo e, muovendoti sullo sgabello, dai le spalle al bancone in legno del bar, su cui appoggi i gomiti per sostenerti. La musica nel locale è soffusa, ridicolmente romantica, ed alcune coppiette felici si sono alzate per ballare un lento improvvisato vicino ai loro tavolini. Distogli lo sguardo e sbuffi, seccato dal mortorio che dilaga in quel locale.
«Cristo, non credevo che i bar etero potessero essere così… etero», sbotti, sconcertato, dando una leggera gomitata a Cynthia. «Se volevamo divertirci per davvero, saremmo dovuti andare da Woody.»
«La prossima volta andiamo da Woody, allora, così imparo le tue tecniche di seduzione infallibili», acconsente lei, sorseggiando il suo drink.
Ridacchi e, afferrando la tua birra, ne bevi qualche sorso. Ti accorgi che due uomini, seduti ad un tavolino poco più in là rispetto al bancone, guardano insistentemente nella vostra direzione e, per la prima volta in vita tua, le loro attenzioni non sono rivolte a te, ma a Cynthia. Fissi di sottecchi la tua assistente che non si è accorta di nulla, troppo impegnata a giocherellare con l’ombrellino del suo cocktail. 
«Quei due ti stanno puntando», le dici allora, ridestandola, e glieli indichi con un cenno del capo. «Devono essere proprio disperati.»
Cynthia si volta appena e li guarda con la coda dell’occhio, disinteressata, poi ti molla un pugno sul ginocchio.
«Sei veramente uno stronzo!», esclama, fingendosi offesa. «E comunque, se proprio vuoi saperlo, non sono più interessata agli uomini da una botta e via. Sono in cerca dell’anima gemella con cui passare il resto della mia vita.»
«Sei già ubriaca, per caso?»
«Sono lucidissima», incrocia le braccia sul seno e ti fissa, seria. «Ormai non sento più la necessità di andare a letto con un uomo diverso ogni notte. Adesso voglio la stabilità di un rapporto vero, basato sulla fiducia e sull’amore.»
La guardi ad occhi sgranati, non riuscendo a credere alle tue stesse orecchie. Ti chiedi che fine abbia fatto la Cynthia che conosci da anni, quella che, da sempre, è la tua versione al femminile e che, esattamente come te, si scopa chiunque, senza scuse, rimpianti o rimorsi. Rimani a guardarla ancora per un po’, in tralice, poi prendi qualche altra sorsata di birra. Forse sei tu quello ubriaco.
«Voi etero e questa stronzata dell’amore», scuoti la testa, sbuffando una risata intrisa di ironia. «Siete patetici.»
«Disse colui che è arrivato ad un passo dal matrimonio con tu-sai-chi», ti rimbecca lei.
Corrughi la fronte, facendo finta di non capire a chi si stia riferendo.
«Dovevo sposarmi con Voldemort?», esclami, sbigottito. «Non è neanche il mio tipo.»
Cynthia ti fissa con sguardo rassegnato, poi finisce il suo drink tutto d’un fiato.
«Cristo, ma ci pensi? Tu, Brian Kinney, stavi per compiere il grande passo!»
Ti giri di nuovo verso il bancone e sfreghi la fronte contro la bocca della bottiglia.
«Ma poi tutto è andato a puttane…», sospiri.
«Già», mormora lei, e noti una punta di tristezza nella sua voce. «Non credevo lo avessi sul serio, sai?», continua, prendendoti in contropiede.
«Che cosa? Un cazzo da venticinque centimetri?»
Scorgi Cynthia alzare gli occhi al cielo, esasperata.
«Ma se non te l’ho mai visto!»
«Sei proprio una donna sfortunata, allora», commenti, sollevando un angolo della bocca in un sorriso canzonatorio.
«E tu, invece, sei un idiota», ribatte lei, puntandoti contro l’indice. «Io parlavo del tuo cuore.»
«Il mio cuore?»
«Sì, il tuo cuore», ribadisce, portandosi una lunga ciocca bionda dietro l’orecchio. «Quell’organo che tutti noi abbiamo sempre pensato che tu non avessi ma che, a quanto pare, è bello grande.»
«Ti sbagli», la smentisci. «L’organo più grande che ho è…»
«Taci, per l’amor di Dio», ti interrompe, premendoti una mano sulla bocca. «Hai dimostrato di possedere un cuore immenso, a discapito di ciò che ha sempre detto la gente. E questo grazie a lui
La fissi un secondo, poi abbassi lo sguardo sul pavimento.
«Non so che farmene del cuore. È un muscolo inutile, che non serve a nulla…», sorridi amaro. «Non posso nemmeno buttarlo in un cassonetto come piace ad Emmett.»
Cynthia ti risolleva il mento con due dita.
«Solo uno sciocco non saprebbe che farsene del cuore», afferma, con una saggezza negli occhi che non le hai mai visto. «E tu non lo sei. Certo, alcune volte ti comporti da stronzo incallito, ma io ti conosco troppo bene e so per certo che non sei affatto uno sciocco», ti sorride, sincera. «Quindi, capo, ora che anche tu ti sei reso conto di avere un cuore, l’unica cosa che puoi fare è prendertene cura, farne buon uso ed aprirlo solo con chi se lo merita.»
Rimani a guardarla, stupefatto, inspiegabilmente colpito da ciò che ti ha detto. Pensi che ha ragione, maledettamente ragione. È riuscita a leggere tra le righe delle tue parole, ti ha scavato dentro ed ha colpito nel segno. Perché, in fondo, è vero: ti conosce così bene che le recite che metti in piedi per nascondere i tuoi reali sentimenti, con lei, non funzionano più ed è capace di smascherarti subito. Ormai messo alle strette, le sorridi di rimando, ironico.
«Grazie per il consiglio, mammina», la prendi bonariamente in giro, sollevando la bottiglia di birra quasi vuota come per brindare a lei. «Inizierò da te a fare buon uso del mio cuore.»
Cynthia sbatte più volte le ciglia.
«Da me? Ma io parlavo di…»
«Lo so di chi stavi parlando», la interrompi, lanciandole un’occhiata eloquente. «Ma, ancora una volta, ti sei dimostrata un’amica fedele ed onesta. Permettimi di ricambiare.»
«Paghi tu?», ti chiede subito.
«No.»
«Mi dai un aumento, allora?»
«Certo che no», esclami, e lei ti tira una pacca scherzosa sul braccio. «Si tratta di Elliot, del dipartimento artistico. So che hai una cotta per lui da anni, ormai. Quello che però tu non sai, mia cara Cynthia, è che anche lui ha palesemente una cotta per te», le rendi noto, vedendola subito sbarrare gli occhi, e prendi a giocherellare con la bottiglia. «Se cercavi una… che Dio ce ne scampi, anima gemella, credo tu l’abbia trovata.»
L’espressione che ti sta rivolgendo Cynthia è tutta un programma. Ti guarda con occhi ancora sgranati e, prima che tu possa accorgertene, si alza in piedi di scatto e ti abbraccia, stritolandoti.
«Grazie, Brian», ti sussurra all’orecchio, col mento premuto contro l’incavo della tua spalla, poi ti libera dalla sua presa soffocante e ti posa un bacio leggero sullo zigomo. «Grazie, grazie, grazie!», saltella e batte le mani, attirando l’attenzione dell’intero locale su di sé.
«Va bene, basta così. Ti stai comportando peggio di una checca isterica», la rimproveri giocosamente. «Però non credere che io l’abbia fatto per te. L’ho fatto per me», alzi le sopracciglia ed un ghigno malizioso va a piegarti le labbra. «Era davvero uno strazio vederti ogni santo giorno sbavare, con una faccia da funerale, dietro a quel povero ragazzo. Ora puoi dare libero sfogo alla tua frustrazione sessuale e scopartelo dove ti pare e piace… ma non in azienda, altrimenti vi licenzio entrambi.»
Cynthia scuote la testa, fingendosi irritata, ma poi ridacchia.
«Sottoscrivo che sei veramente uno stronzo», ribadisce, infilandosi il cappotto. «Ma sei uno stronzo dal cuore d’oro.»
Sollevi gli occhi al cielo, sbuffando.
«Ora sparisci, che questo schifosissimo bar mi ha rammollito a sufficienza», esclami e, afferrando il tuo tovagliolo, rimuovi la traccia di rossetto che quella scapestrata della tua assistente ti ha lasciato sulla guancia.
«Allora buonanotte, stronzetto», ti augura Cynthia, ridendo.
«Buonanotte anche a te, stronzetta», le rispondi per le rime.
Lei ride ancora e la segui con lo sguardo finché non sparisce oltre la porta d’ingresso del locale. Sospiri e finisci la tua birra. La conversazione con Cynthia ti ha lasciato con il cuore più leggero. Già, il cuore. Scuoti la testa e sorridi tra te e te, sornione. La tua mano corre fulminea verso la tasca dei pantaloni e tiri fuori il cellulare. Indeciso, lo fissi per un attimo, lì, stretto tra le tue dita, poi componi quel numero che ormai sai a memoria. La sua voce giunge come balsamo per le tue orecchie dopo tre squilli.
«Pronto?»
«Ciao, splendore», lo saluti, non capendo per quale diavolo di motivo quel tuo stupido cuore ti stia martellando nel petto.
«Brian», sussurra lui, con tono sorpreso ma felice. «Come… come stai?»
«Uno schifo», gli rispondi, facendo il melodrammatico. «Cynthia mi ha costretto ad uscire con lei e mi ha trascinato in un bar etero.»
Justin ride e tu chiudi gli occhi, immaginando che lui sia lì con te.
«Hai deciso di cambiare sponda?», ti prende in giro. «E io che credevo fossi fuori a rimorchiare ogni bel maschione di Pittsburgh.»
«Rimorchiare? Senza il mio compagno di giochi preferito?», esclami, e ridacchiate entrambi. «Tu che mi dici? Come vanno le cose a New York?»
«Direi bene, tutto sommato…», lo senti sospirare. «Ho venduto un paio di quadri e dopodomani ho la mia prima personale. Dovrei esserne felice, ma la verità è che… che non è bello senza di te», confessa, e la sua voce si incrina.
Il tuo dannato cuore sembra fermarsi di colpo, come se ti stesse spronando. Le tue labbra si increspano in un sorriso: adesso sai esattamente cosa farne e, per nessun motivo, vuoi sprecare un’occasione simile. Cynthia non te lo perdonerebbe.
«Prepara il tuo bel culetto sodo, splendore», gli dici, beffardo. «Dopodomani sarò a New York. Da te

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Capitolo 5
*** Danni collaterali ***


Disclaimers: Niente mi appartiene. Queer as Folk è di proprietà della Cowlip e della Showtime.
Titolo della shot: Danni collaterali
Rating: Giallo
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale
Avvertimenti: Missing Moments, Slash
Timeline: Post 5x13
Prompt utilizzato: 3. Non c’è nessun posto come la propria casa.
Eccoci qui, siamo arrivati all’ultimo capitolo di questa mia mini-raccolta di one-shots. Ne approfitto per ringraziare tutti voi che mi avete letta e, addirittura, avete speso parte del vostro tempo per lasciarmi le vostre bellissime recensioni. Quindi, un immenso GRAZIE a (in ordine alfabetico): cristina qaf, drytec, Eddygiak97, FRAMAR, Friliver, lisitella, Mizar, Nuel, plaunac, serenoa, Shizue Asahi ed i love ace 30 – che, rispettivamente, mi hanno dato la possibilità di scrivere questa raccolta per poi essere impeccabilmente valutata –, stevan, Summers84 e Wladimir. Grazie di cuore per avermi sostenuta, supportata e, soprattutto, sopportata in questa breve ma piacevole avventura! Mi scuso in anticipo con tutti voi se questo ultimo capitolo non è all'altezza dei precedenti – non che quelli fossero da mettere su di un piedistallo, sia chiaro –, ma il tempo stringeva e la scadenza del contest si avvicinava inesorabilmente. Ed io, si sa, sono la solita idiota che si mette a scrivere a tre giorni dalla scadenza, quindi mi assumo tutte le colpe della pessima riuscita di questo capitolo, mi sembra il minimo.
Vi auguro comunque buona lettura ed anche in questo caso, il lancio dei pomodori è bene accetto e pure meritato! -Martina-.

 

 

DANNI COLLATERALI

La grossa porta di metallo si chiude dietro le tue spalle con uno scatto, provocando lo stesso identico suono che hai imparato a conoscere ed amare. Ti guardi intorno e, con un sorriso, ti accorgi che niente è cambiato. Il tuo sguardo vaga per il loft come se non lo vedessi da secoli, posandosi su ogni mobile, accarezzando ogni cosa. Osservi il bancone della cucina, gli sgabelli che lo circondano, il tavolo, poi la scrivania, il Mies van der Rohe, il divano bianco ed infine, seminascosto dal separé, vedi il letto. Quel letto morbido, dalle candide lenzuola blu, che è stato testimone di tutte le vostre notti d’amore, delle vostre gambe intrecciate, del vostro sudore, dei vostri sospiri. Guardi fuori dalla grande vetrata del salotto, rimirando da lontano le luci scintillanti della città, ora preda della neve e del freddo invernale. I tuoi occhi azzurri si inumidiscono, gonfi di gioia: finalmente, dopo mesi che sono sembrati durare un’eternità, sei di nuovo a casa.
«Che ci fai lì impalato, splendore?», ti chiede Brian, fermo sui gradini della zona notte, con un sorriso canzonatore stampato sulla bocca. «Non vieni a salutarmi?»
Ridacchi e, sistemandoti la tracolla – ormai logorata dal tuo uso assiduo – sulla spalla, raccogli il bagaglio che avevi appoggiato sul parquet. Cerchi di non correre per la felicità come un bambino, evitando così di renderti ridicolo ai suoi occhi, benché il tuo volto tradisca l’emozione. Senti il cuore battere a mille quando lo raggiungi e, alzandoti in punta di piedi, posi un bacio sulle sue labbra.
Lui ti sorride di nuovo, questa volta con una dolcezza che riesce appena a celare.
«Bentornato, splendore», ti dice, sfregando la punta del naso contro il tuo.
Gli regali un altro bacio, prima di allontanarti da lui per mettere la valigia sul letto e cominciare a disfarla. Le braccia di Brian ti cingono all’improvviso da dietro e il suo petto è caldo contro la tua schiena.
«Com’è andata a Parigi?», ti chiede, il mento appoggiato sulla tua spalla.
«Ho venduto quasi tutto ed alcuni critici d’arte hanno voluto conoscermi di persona per congratularsi», tagli corto e lo guardi con la coda dell’occhio, furbo. «Parigi è stupenda, sai? La prossima volta dovresti venire anche tu e…»
«No, grazie», ti liquida subito e tu ridi di gusto, aspettandoti quella risposta. «Il ricordo del viaggio di Mikey col dottorino è ancora vivido nella mia mente e duro da cancellare», ti rigira nel suo abbraccio per poterti voltare verso di lui e guardarti, malizioso. «Anche se, adesso, ho qualcos’altro che mi sta diventando duro.»
Sbuffi una risata, alzando gli occhi al soffitto.
«Non cambierai mai», commenti, fingendoti rassegnato. «Sei sempre il solito.»
«E per fortuna, aggiungerei», esclama, afferrandoti il viso e baciandoti con foga.
Tu non obbietti alla sua veemenza e lo segui in quel bacio irruento e bagnato. Brian affonda subito le dita nei tuoi capelli biondi, mentre scende con le labbra sul tuo collo, lasciandoti una scia di baci umidi. Chiudi gli occhi, reclinando la testa all’indietro, e sospiri di piacere. Lo senti risalire e la sua bocca è di nuovo sulla tua, affamata e violenta. Vi separate solo quando il bisogno di respirare si fa impellente. Ansimate entrambi e lui appoggia la fronte contro la tua, le palpebre socchiuse.
«Mi sei mancato», ti rivela, in un sussurro.
Non puoi fare a meno di sorridere a quella dolce ammissione.
«Mi sei mancato anche tu.»
Brian si scosta di qualche centimetro per guardarti ed i suoi occhi verdi sembrano preoccupati. Sospiri: sai che è già arrivato quel dannato momento in cui, ogni volta che ritorni, siete costretti ad affrontare la realtà.
«Quanto resterai qui a Pittsburgh?»
«Potrò rimanere solo per le vacanze di Natale», sospiri, ed il consueto nodo ti chiude la gola in una morsa. «Poi dovrò ritornare a New York e...»
«Quanto resterai?», insiste lui.
«Cinque giorni.»
Brian abbassa lo sguardo, sbuffando dal naso una risatina amara.
«Cinque giorni…», ripete, scuotendo la testa. «Non è quello che mi avevi detto al telefono una settimana fa.»
«Lo so, Brian, mi dispiace. Ma il mio manager…»
«Il tuo manager è un coglione che non ti lascia in pace neanche durante le vacanze», ti interrompe, risollevando il viso, e lo sguardo che leggi nei suoi occhi ti fa morire.
«Non era così che immaginavo sarebbero andate le cose», gli dici, in tono di scuse.
«Nemmeno io.»
Rimani a fissarlo e i sensi di colpa cominciano a gravarti addosso, schiacciandoti sotto il loro peso. Perché sì, ti senti in colpa per tutto. Per le promesse non mantenute, per i rientri sempre più brevi, per il dolore che gli stai – e vi state – causando, per quanto diventi difficile ogni volta andare via e lasciarlo solo. Gli accarezzi una guancia con i polpastrelli, cercando di mitigare un po’ il suo dispiacere.
«Vorrei non essere capace di dipingere», sputi fuori, senza quasi rendertene conto. «Vorrei che la mia mano smettesse di funzionare per sempre e…»
«Non dirlo neanche per scherzo, Justin», ti interrompe, e la sua voce è seria. «Tu hai un talento incredibile. E devi sfruttarlo.»
«Anche se mi allontana continuamente da te?»
Brian piega le labbra in un sorriso malinconico.
«È il prezzo che devi pagare per essere diventato un artista famoso.»
«È un prezzo piuttosto caro», dichiari, cercando di sdrammatizzare.
«L’avevamo messo in preventivo, splendore», ti dice lui, semplicemente, e fa per allontanarsi, ma tu lo blocchi subito per un polso.
«Io ritornerò sempre qui da te», lo rassicuri, prendendogli il volto tra le mani ed inchiodando gli occhi dritti nei suoi. «Non importa come andrà avanti la mia carriera e quanto lontano proverà a spingermi: io ritornerò sempre a Pittsburgh, perché è qui che si trova la mia casa… ed è qui che ci sei tu», ribadisci, sorridendogli con dolcezza. «Ritornerò sempre perché ti amo.»
Brian sovrappone le sue mani al dorso delle tue, sostenendo il tuo sguardo. Poi le sue labbra si increspano in un sorriso beffardo.
«Lo sai, splendore? Sei davvero…»
«… ‘patetico’, lo so.»
«Ed ora…»
«… ‘lasciati scopare’
Lui ti guarda con fare scocciato e, premendoti una mano sullo sterno, ti spinge sul letto.
«E non…»
«… ‘completare le mie frasi’, va bene», lo scimmiotti, ridendo.
Brian alza gli occhi al cielo, sbuffando divertito, e ride anche lui quando si distende sopra di te, finalmente più sereno. Gli circondi il collo e sorridi con la bocca premuta contro la sua, pensando che non c’è niente come la propria casa. Perché la tua casa è lì, fra le sue braccia. E non c’è posto più bello al mondo.

 

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