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Autore: EternallyMissed92_    17/03/2016    12 recensioni
L'amore non è mai una cosa semplice, si sa. Può fare male, causare dolore e dispiaceri, ma può anche resistere a tutto: ad una malattia inaspettata, ad un tradimento adolescenziale dettato dall'egoismo, alla cattiveria di chi non accetta la diversità altrui, alla paura di ritornare sui propri passi, alla lontananza che consuma il tempo e rende ciechi di rabbia. Perché il vero amore, nonostante tutto, non conosce ostacoli.
[Questa mini-raccolta ha partecipato al Contest "Segui il sentiero dorato" sul forum di EFP indetto da Shizue Asahi - poi valutata dal Giudice sostitutivo i love ace 30 - classificandosi al Secondo Posto ed aggiudicandosi il premio speciale come Miglior Storia Per Caratterizzazione].
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Brian Kinney, Ethan Gold, Gus Kinney, Justin Taylor, Victor 'Vic' Grassi
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Disclaimers: Niente mi appartiene. Queer as Folk è di proprietà della Cowlip e della Showtime.
Titolo della shot: La morte può attendere
Rating: Arancione
Genere: Introspettivo, Malinconico
Avvertimenti: Missing Moments, Slash
Timeline: 4x07
Note dell’autrice: Questa raccolta di one-shots ha partecipato al Contest “Segui il sentiero dorato” sul Forum di EFP indetto da Shizue Asahi, valutato poi da i love ace 30, classificandosi al Secondo Posto ed aggiudicandosi il premio speciale come Miglior Storia Per Caratterizzazione. Avevamo a disposizione 10 prompt su cui poter scrivere ed io ho prenotato il seguente:

 
5. Il vero coraggio consiste nell’affrontare il pericolo quando si ha paura.

 
Considerato che vi era la possibilità di poter scegliere anche altri prompt oltre a quello prenotato, io mi sono avventurata ed ho deciso di creare questa mini-raccolta di cinque capitoli che, appunto, comprende anche gli altri quattro prompt che ho scelto oltre a quello prenotato al momento della mia iscrizione al Contest. Le shots sono autoconclusive, quindi scollegate le une dalle altre, con points of view diversi e con all’interno alcuni dei personaggi secondari che hanno gravitato intorno a Brian e Justin, protagonisti indiscussi. I titoli dei capitoli sono stati un parto trigemellare e per giunta podalico, perché io con i titoli non ci so proprio fare, soprattutto se mi impunto di scriverli in italiano. Il titolo di tutta questa mini-raccolta, invece, è preso dall’omonima canzone di Tiziano Ferro, che io ho leggermente modificato in maniera che si addicesse meglio al contenuto delle storie. Se tutto va bene, aggiornerò i capitoli ogni due giorni dall’ultima pubblicazione.
Ora non mi resta che augurarvi buona lettura, sperando che ciò che ho scritto possa piacervi! I commenti sono sempre bene accetti, naturalmente! -Martina-.

 

 

 

 LA MORTE PUÒ ATTENDERE

 

Le luci psichedeliche del Babylon proiettano lampi di colori intensi su tutta la pista, riflettendosi nei tuoi occhi e sulla pelle del tuo viso, resa lucida da un sottile strato di sudore. La musica è assordante e tu, muovendoti in mezzo a tutta quella moltitudine di corpi, ti lasci trasportare dal ritmo. Serri le palpebre e, portando il popper sotto al naso, ne inspiri la polverina bianca con la narice. Reclini la testa all’indietro con un ansito, mentre il tuo battito cardiaco accelera ed un senso di calore pervade ogni fibra del tuo essere. Sollevi in aria le braccia, con le dita chiuse a pugno, continuando a ballare. Improvvisamente senti la mano di qualcuno tirarti per la cintola dei pantaloni. Sorridi: anche questa notte l’ennesima preda si è lasciata catturare dalla bellezza del re dei cacciatori. Riapri gli occhi, eccitato, ma ti penti immediatamente di averlo fatto. L’uomo davanti a te, il quale ti tiene ancora per la cintura, è vecchio. Un dannato, fottuto vecchio, con i capelli bianchi, le rughe a solcargli il viso e il doppio dei tuoi anni a gravargli addosso. Non te lo farebbe diventare duro neanche se fossi imbottito di viagra. Inorridito, togli la sua sudicia mano con uno scatto deciso. Ti guardi in giro e non riesci a credere ai tuoi stessi occhi. Tutti quei bei maschioni, che fino a pochi minuti prima ballavano intorno a te, sono svaniti. Ora, come nel peggiore degli incubi, ci sono solo altri vecchi decrepiti, senza più un solo briciolo di dignità e con un piede nella fossa. E sono ovunque. Ti prendi la testa fra le mani, strizzando con forza le palpebre. Quella stronza di Anita ti ha sicuramente rifilato qualche merda fatta con chissà cosa in una vasca a Tijuana perché, cazzo, devi essere completamente fatto per vedere certi reperti da museo. Ti passi una mano sul volto, ringhiando contrariato, e ti accorgi che le luci sono calate, generando un grigiore tetro all’interno della discoteca. I vecchi, tutt’ad un tratto, smettono di ballare. Si fermano e, con le braccia lungo i fianchi, chinano il capo come fossero burattini appesi ad un filo troppo sottile per reggerli. Una famosa marcia funebre, tenuta a volume piuttosto basso, sostituisce la musica dance ed un silenzio onirico scende sulla pista.
«Cos’è quel muso lungo, Brian?», una voce maschile – che ti suona piuttosto familiare – squarcia all’improvviso tutta quell’immobilità surreale. «Non ti stai divertendo?»
Nella semioscurità che ora invade il Babylon, scorgi appena quel qualcuno procedere nella tua direzione.
«Chi cazzo sei?»
«Sono la tua coscienza», la sua voce seria e profonda si distorce in una risata quasi maligna. «Sempre che tu ne abbia mai avuta una.»
Un brivido corre lungo la tua colonna vertebrale e, d’istinto, cominci ad indietreggiare finché non ti ritrovi col culo piantato contro il bancone del bar. Lui avanza lentamente, continuando a sogghignare, nefasto e gelido come un fantasma venuto apposta dall’oltretomba per vendicarsi facendosi beffe di te. La marcia funebre finisce e le luci ritornano, vive e scintillanti, a colorare tutto il locale. Lasci che la tua vista si riabitui al riverbero, poi stringi un po’ gli occhi per mettere a fuoco la faccia dell’uomo che ti sta davanti. E la tua bocca si schiude dalla sorpresa non appena lo riconosci.
«Vic?», esclami, esterrefatto. «Ma tu non eri morto?»
«Certo che sono morto», conferma, lanciandoti un’occhiata eloquente ed allargando le braccia. «Benvenuto in paradiso, Brian», sogghigna e, nel momento stesso in cui ti affianca, quei maledetti vecchiacci in pista si rianimano improvvisamente, riprendendo a ballare, scoordinati ed imbarazzanti. Li fissi con raccapriccio prima di dare loro le spalle ed appoggiare i gomiti sul bancone.
«Se questo è il paradiso, preferisco bruciare tra le fiamme dell’inferno.»
«Inferno che presto raggiungerai se non…»
«Non mi farò operare», lo interrompi, intuendo subito dove volesse arrivare. «Ho deciso di morire ancora giovane e ancora bello.»
Vic si appoggia anche lui al bancone con la schiena ed incrocia le braccia sul petto, fissandoti di traverso.
«Hai paura, non è vero?»
Lo fissi di rimando, aggrottando la fronte.
«Di che cazzo stai parlando?»
«Non fingere con me, Brian. Ti conosco da quando avevi quattordici anni, purtroppo, e so come sei fatto.»
«Cristo, mi sembra di sentire Debbie», esclami, alzando gli occhi al soffitto e roteandoli con fare scocciato.
Vic ride, sinceramente divertito.
«Dopotutto sono suo fratello. O meglio, ero», si corregge, sospirando affranto. «Non mi è stato concesso il tempo necessario per fare pace con lei. Non ho neanche potuto dirle un meritato “ti voglio bene, sorellona, grazie di tutto”… sono uscito di scena all’improvviso, in silenzio.»
Ti passi una mano sulla nuca, sollevando un angolo della bocca con fare saccente.
«Se stavi cercando un prete che potesse aiutarti ad espiare i tuoi sensi di colpa, hai decisamente sbagliato persona.»
«Eppure sono pronto a scommettere che ti piacerebbe fare il prete», sentenzia Vic, ridendo di nuovo. «Pensa a quanti bei maschioni si inginocchierebbero davanti a te.»
Nonostante tutta quella situazione sia oltremodo grottesca, ti ritrovi anche tu a ridere allegro.
«Peccato che aprirebbero la bocca solo per confessarsi e non per succhiarmelo.»
Vic ti molla una pacca leggera sulla spalla.
«Allora apri bene le orecchie, Padre Brian, perché devo confessarti un’altra cosa: volevo farla finita anche io, sai?», dice, e tu lo guardi con un’espressione interdetta dipinta sul volto. «Quando scoprii di essere sieropositivo, il mondo mi crollò addosso. Ebbi una paura tale da ponderare persino l’idea del suicidio. Pensai: “Che cazzo, se proprio devo morire preferisco farlo subito, così non passo tutto il resto della mia vita in compagnia delle medicine e con l’angoscia che questo o quest’altro possa essere il mio ultimo giorno sulla faccia della Terra!”. Ero terrorizzato… ed anche parecchio idiota», scuote la testa, ridacchiando appena, poi si lascia andare ad un profondo respiro. «Fu così che il giorno dopo provai a togliermi la vita. Ma non riuscii ad andare fino in fondo.»
«Che cosa te lo impedì?», gli chiedi, stranamente rapito dal suo racconto.
Vic pianta gli occhi dritti nei tuoi.
«Debbie», ti risponde, serio. «Mi colse in flagrante e mi riempì subito la faccia di schiaffi, urlando come una pazza ed apostrofandomi con gli epiteti più disparati… avresti dovuto vederla, era davvero furiosa. Poi si fermò di colpo e, abbracciandomi, si mise a piangere», la sua voce si rompe e vedi le sue iridi chiare rabbuiarsi. «Ricordo che mi disse che non potevo lasciarla sola, che non potevo abbandonarla e procurarle un dolore così grande… mi disse che anche lei aveva paura, ma che ci saremmo fatti coraggio, avremmo affrontato insieme i pericoli della mia malattia e avremmo vinto. Rimanemmo abbracciati per un po’ e piansi anch’io, ma mi ripresi subito perché mi mollò un altro schiaffo», conclude, ridendo e toccandosi la guancia sinistra col palmo della mano. «Fu lo schiaffo più bello della mia vita, lo schiaffo che mi fece capire che avevo ancora qualcuno per cui valeva la pena lottare.»
Rimani a guardare Vic per qualche secondo, colpito dalle sue parole, poi abbassi lo sguardo.
«Io non ho nessuno per cui ne vale la pena», sentenzi, e la tua voce, involontariamente, si incrina, assumendo un tono triste.
«Hai la persona che ami e che ti ama, Brian», ti contraddice lui e tu risollevi subito il viso. «Pensa a Justin, a come si sentirebbe se ti lasciassi morire… pensa al dolore che gli causeresti.»
Deglutisci a vuoto e ci pensi, a Justin. Pensi a lui, ai suoi occhi incredibilmente azzurri, al suo sorriso splendente, e la paura di provare a combattere per poi fallire, la paura di morire davvero e di non rivederlo mai più, ti assale come un mare in tempesta.
«Potrei non farcela…», mormori.
«Ce la farai. Qualcuno ai piani alti mi ha riferito che l’operazione andrà bene e che non morirai… non ancora, perlomeno», ti informa Vic, facendoti l’occhiolino.
«E chi te l’ha detto? Dio in persona?»
«No», sorride furbo lui, avvicinandosi ancora di più a te. «È stato James Dean», sussurra dritto nel tuo orecchio, come se fosse il vostro piccolo segreto.
Scoppi in una risatina colma di sarcasmo.
«Stronzate!», sbotti.
«I morti non possono più mentire, Brian», afferma e tu lo guardi con fare interrogativo, a sopracciglia inarcate. «So che farai la cosa giusta.»
«James Dean ti ha detto anche questo?», esclami, prendendolo bonariamente in giro.
Vic ti sorride in modo piuttosto eloquente. Lo vedi allontanarsi, mentre una pioggia di glitter e brillantini vi investe dall’alto, in piccoli coriandoli luccicanti. Svanisce in silenzio, senza il minimo rumore, esattamente come fece prima di esalare il suo ultimo respiro. La musica si interrompe, le luci si spengono, la pista si svuota e tutto ciò che ti circonda, ora, è il buio, nero come la pece. Improvvisamente, una luce bianca e abbagliante si accende in fondo al Babylon. È una luce che ti chiama, che ti invita a seguirla, che porta con sé la voce di chi ha saputo regalarti un po’ di sole nella vita. E tu, senza remora alcuna, ti incammini verso di essa.

 

«Brian?»
Quella voce insistente, che sta reclamando la tua attenzione da parecchi secondi, si fa sempre più reale. I tuoi occhi verdi si aprono a fatica e la tua vista è leggermente appannata. Ti stropicci le palpebre stanche e pesanti con i polpastrelli, prima di renderti conto che sei malamente seduto davanti alla scrivania del tuo loft. Ti massaggi la nuca e sospiri, ancora un po’ intontito. Senti dei passi felpati avvicinarsi a te e, poco dopo, due braccia ti circondano da dietro le spalle.
«Ti sei addormentato?»
Guardi Justin con la coda dell’occhio.
«Credo di sì», fissi il computer su cui stavi controllando alcuni documenti per la Kinnetik. «Ho scoperto che esaminare dei noiosissimi file per l’azienda può causare sonnolenza.»
Lui ridacchia sommessamente, poi inclina la testa per poterti osservare meglio.
«Hai fatto un brutto sogno? Sembri stravolto.»
«Non ho niente, splendore», lo rassicuri, sporgendoti verso di lui per baciarlo sulla bocca. «Va tutto bene.»
Justin ti tiene stretto a sé ancora per un po’. Le sue braccia sono forti e sicure intorno alle tue spalle e il suo respiro tiepido ti solletica piacevolmente la pelle del collo. Chiudi gli occhi, beandoti del tepore del suo corpo contro la tua schiena. Un tepore a cui non rinunceresti per nulla al mondo. Ed è in quel preciso momento che decidi di fare la cosa giusta, che decidi di affrontare la paura del cancro ed il pericolo dell’intervento con coraggio e temerarietà. Perché non vuoi perdere Justin, perché, per lui, vale la pena lottare e continuare a vivere.
«Andiamo a letto?», la sua voce interrompe il filo dei tuoi pensieri. «È tardi.»
Annuisci piano e Justin posa un bacio sulla tua guancia, prima di sciogliere l’abbraccio e dirigersi verso la zona notte del loft. Spegni il computer e, stiracchiandoti la schiena, ti alzi. Lo raggiungi qualche minuto più tardi, trovandolo già addormentato tra le pieghe delle tue lenzuola blu, ormai vinto dal sonno. Gli circondi la vita con un braccio, stringendolo piano a te, e lo guardi dormire. Poi, stanco, appoggi la fronte contro la sua nuca, continuando a tenerlo stretto al tuo petto. Lui non sa che sei malato e mai lo saprà, perché non permetterai al cancro di fotterti. Sospirando, chiudi gli occhi, con la certezza che sopravvivrai all’operazione e sconfiggerai quel male terribile. Un sorriso nostalgico, quasi malinconico, ti piega le labbra. No, non morirai. Non ancora. Dopotutto, l’ha detto James Dean.

   
 
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