Aleksey Romanov The Hero

di queenjane
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** In Vinculis ***
Capitolo 2: *** Lost My Mind ***
Capitolo 3: *** See You Again ***
Capitolo 4: *** Blueberries ***
Capitolo 5: *** Snowdrops, The Lion ***
Capitolo 6: *** I never give up ***
Capitolo 7: *** Shining Stars The End ***
Capitolo 8: *** I Spin Off I resti ***
Capitolo 9: *** Spin Off II The Start ***



Capitolo 1
*** In Vinculis ***


Siberia, inverno 1918.

“Cara Catherine, ti scrivo da Tolbosk, è il 15 gennaio 1918, fa tanto freddo e mi manchi, ci manchi. Come stai? Come state?Mi ha fatto tanto piacere ricevere i biglietti di Natale, sei stata carina a mandare una giacca imbottita a testa, sciarpe e guanti e berretti e calze, che la nostra roba si era rovinata ed era piena di buchi, nonostante i rattoppi e i rammendi..Abbiamo costruito una montagnola di neve nel recinto quadrato, dove lanciarci con le slitte, tranne che le guardie l’hanno spianata e ne abbiamo costruita un’altra e tanto.. Seguo le lezioni, la sera organizziamo rappresentazioni teatrali con M. Gilliard come suggeritore e Anastasia, Marie e me come attori.. Olga legge tanto come Tatiana, con Papà seghiamo tanta legna .. Riprendo ora, che abbiamo mangiato storione e bliny con i soldi che avete inviato abbiamo potuto acquistare queste squisitezze, che sennò non era possibile, il governo provvisorio ci ha dato un budget di 600 rubli a testa, 4.200 in tutto, che siamo in sette (visto, aritmetica applicata..) e non basta per tutto..Mi manchi, era bello quando mi raccontavi le storie, Achille e l’Eneide e compagnia, mi prendevi tra le braccia e facevamo volare gli aquiloni.. Spero che ci mandino presto in Inghilterra, così ci rivedremo.. Da marzo ad agosto, a Carskoe Selo è stato bello, da una parte, che eravamo tutti insieme, poi è tornato Andres, avuto il vostro bambino.. Felipe.. E so che sareste venuti anche voi, tranne che Felipe aveva solo due mesi. A proposito, che fa? Ora vado a mangiare dei pancake, se pensi che non avevo mai appetito e mi brontolavi sempre, ne rideresti..Ciao, Cat, alla prossima, un bacio ..ps mi sono preso la rosolia, faccio pendant con le mie sorelle, una forma più leggera da cui mi sto rimettendo.. mi manchi.

                                                                                                    Yours Alexei” 
 
Quello che trapelava era la disperazione, la noia, il tempo che non passava mai. Alexei teneva un diario, ove annotava brevi frasi, quello che aveva fatto. I suoi pensieri si intuivano, noia, appunto, e speranza e voglia di ridere e giocare.  In quel gennaio, lui e le sue sorelle si presero la rosolia, tanto per non farsi mancare nulla del rosario di malattie e affanni.

Gennaio ’18“Oggi è stato come ieri e domani sarà lo stesso come domani. Dio, aiutaci, abbi pietà di noi
4 gennaio 1918 “Oggi ho ancora più bolle. Giocato a scacchi con Nagorny tutta la mattina, ora anche Maria è malata. È stato ordinato a tutti i soldati di rimuovere le loro spalline, ma io e Papa non l’abbiamo fatto
1916, anno in cui finalmente aveva avuto il piacere, la gioia e la soddisfazione di vestire una vera uniforme, a prescindere da quelle onorarie, con relative mostrine di lanciere caporale, mostrine   con le sue iniziali A. N. iniziate a N. A., usanza russa, un legame tra generazioni, gli appellativi di padre e figlio che si legavano tra loro. Gli piaceva indagare sulle automobili, i meccanismi di cannoni, aerei e sommergibili. Aveva mangiato il pane nero, come i soldati, la loro zuppa, si era allenato e aveva marciato, davvero era “soldier prince, un principe soldato”
Dal diario di Alessio, 6 gennaio ’18” Alzato alle sette. Preso tè con Papa, Tatiana e Anastasia. Maria sta un poco meglio e cammina per la stanza. Alle 18 abbiamo giocato a nascondino, facendo un gran chiasso.” I giorni uno uguale all’altro, ogni cosa sempre la stessa, la noia.
 
“Caro Alexei, ti scrivo la solita lettera settimanale, come alle ragazze, se la corrispondenza arriva in ritardo o a rate..  io vi penso e vi scrivo sempre. E mi manchi, mi mancate, ci mancate. Venendo alla tua lettera del 15 gennaio, ricordati questi doni sono fatti con il cuore, stai sicuro, e ho cercato di essere pratica, che di sicuro con il freddo siberiano guanti e berretti non bastano mai.. La fantasia, la memoria, sono doti che ho avuto fin da bambina, con le tue sorelle ci divertivamo a raccontarcele, solo che come Olga è portata per il pianoforte e Tata per la danza, io avevo questo dono, che mi è valso l’appellativo di principessa Sherazade, principessa cantastorie. E per  i cavalli, come amazzone me la sono sempre cavata, esageravi tu a dire che cavalcavo il vento e che era uno spettacolo solo starmi a vedere.. Ne prendo atto, come della circostanza che come sei riuscito a esasperarmi, farmi ridere o consolare delle mie tristezze è riuscito a ben pochi. Quando eri piccolo, ti bastava un’occhiata per decifrare se avevo qualcosa, nonostante le mie allegrie apparenti.. già, gli aquiloni. Mi riviene in mente una volta in Crimea, eri sulle spalle di Nagorny, il marinaio, tenevi in mano il filo e lo facevi innalzare, abilissimo. “Vola, vola ..”dovevi compiere sette anni,  esile e abbronzato, con i pantaloni corti e una camicia da marinaio, il profumo delle rose e del mare stordiva, poi me lo aveva passato, il filo, e lo avevo fatto schizzare ancora più in alto, una rapida torsione del polso “Brava .. Catherine! Lascialo, libero, via!!”  “Facciamolo insieme.. me lo potete passare, signor Nagorny?” ero sempre gentile, con loro, chiamandogli signore, usando per favore e simili. E mi eri salito tra le braccia, ridendo, che andava sulle nuvole, magari fino in America e facendo ciao con la manina. 
“Vola, aquilone, vola per me..!!”nell’aprile 1916, tra un periplo e l’altro ero passata a trovarti, al Palazzo di Alessandro, mi ero fermata una settimana. E  correvi, estasiato, facendo una gara con quell’uccello di carta, di leggero cartone blu e azzurro, con la coda dorata, il mantello da cadetto e gli stivali da soldato, mi avevi mollato il berretto per non perderlo, due ombre, la tua per terra, l’altra che si innalzava nel vento, che ogni tanto si univano e mischiavano “Bravissimo, Zarevic.. “ “Vieni, prendimi..” E ti ripresi, dopo un poco, sollevando le gonne, ero agile, leggera. E i tuoi  occhi azzurri vibravano di gioia, avevi appena un poco di fiatone, ti buttasti tra le mie braccia, ti rimisi il cappello “Mandalo un poco tu..” “Dammi” “Uffa.. lo fai volare più alto..” “Sono più alta.. liberiamo..??” mi accoccolai sui talloni, per evitare troppa disparità tra le stature, contammo e via.. “Secondo te dove arriva?” “In Spagna..”per prendermi in giro, a bella posta, che mio marito è nato in quelle terre.. 
Il mio fighter prince, un principe combattente, che non molla mai, come Achille. Te lo detto a Carskoe Selo, te lo ripeto ora, tu sei un lottatore, non molli mai, qualunque cosa accada, come un vero principe, a prescindere da titoli o rango.. Ti voglio tanto bene, Alexei.. (..)Venendo a Felipe, ormai ha sette mesi abbondanti e gattona, gli occhi sono sempre color ardesia, come quando era appena nato e .. farfuglia qualche sillaba, il tipico bambino direbbe “ma-ma”, mamma, invece lui “Tata”, ovvero Tatiana, ho continuato a parlargli di voi, e che tua sorella era quella con cui stava più volentieri.. Tata invece che mamma, per mia soddisfazione, e tanto è, va bene uguale..Mando una foto di noi tre.. Speriamo che, giunta la primavera e con il ghiaccio sciolto, vi rechiate in Inghilterra..
Il morbillo è una grande scocciatura, per le bolle che prudono, ps manchi tanto pure a me, ribadisco
Ciao Alexei, un bacio,
                                         yours Catherine che ti vuole tanto bene” 
 
Tornando alla questione delle mostrine e dell’uniforme, era un affronto toglierle, che sia lo zar che suo figlio si consideravano dei soldati, vestendosi da tali dall’inizio delle ostilità. Alla fine, per evitare dimostrazioni ostili da parte delle guardie, lo zar evitava, vestendo un cappotto circasso su cui mai le aveva messe, Aleksey no, da testone quale era, quando gliele tolsero si ricordò quello che gli aveva detto Andres, mio marito nonché suo amico, a proposito di quando si godeva il mese di galera poco dopo l’abdicazione a Carskoe Selo e se lo rigirò a modo suo.
“Come è stato?”   gli aveva servito la  domanda mentre controllava un esercizio di inglese, nessuno li sentiva  “Lunga, lunghissima  ..” Andres cauto, gli occhi verdi socchiusi “Che ti hanno fatto?” riferendosi al mese di soggiorno in galera, Andres aveva valutato l’opzione più congrua, nessuna bugia e nemmeno voleva agitarlo “.. principalmente mi provocavano” lo avevano definito un traditore, un figlio di puttana e un cornuto, sputato nei piatti dove mangiava e tanto .. Non aveva reagito. “Confessa e te la cavi” “Non ho nulla da confessare..” la replica. Minacce e blandizie, si era finto idiota .. “Le spie sono punite con la morte” “Ma non hanno abolito la pena capitale..di recente, che ho perso” “Potresti testimoniare che lo zar è un traditore..” 
 “Non rispondevo, cercavo di passarci sopra”
“Ah.. “
“Pensavo a qualcosa di divertente. A una calamità naturale”
“Bella definizione per Catherine”  (Alessio!!)
“E chi dice che era lei..?” sardonico.
“Andres, chi era?” un sorriso “Io no davvero..” una pausa “Giusto?”
“Negli anni recenti sono stato a pesca, con quella persona..”
Si riferiva a lui, aveva compreso lo zarevic, ridacchiando, in effetti si erano divertiti e lo aveva fatto diventare verde, tra domande e chiacchiere, cacciandolo in imbarazzo, impresa epica che era riuscita a ben pochi, almeno a sentire Cat “Che comunque sa sempre il fatto suo, intelligente, spiritoso, con una parlantina infinita” era arrossito “E tornando al discorso di prima, se rispondevo alle provocazioni avrei fatto il loro gioco e non mi conveniva. Non che fosse facile, bada, cercavo di estraniarmi, tra virgolette, alla fine l’ho spuntata..” Erano nella stanza degli studi di Alessio, la sua classe, sulla poltrona d’angolo la zarina sferruzzava, ascoltava lì le sue lezioni come lo zar. Osservando lo spagnolo e suo figlio alle scrivanie, sopra di loro mappe geografiche, sulla Russia e l’Europa continentale. Per non tacere delle teche che contenevano le collezioni di insetti, farfalle e uccellini, per le lezioni di scienze, tutte curiosità per mantenere viva l’attenzione di Aleksey, che si annoiava spesso e facilmente, un poco come Catherine, prima che sua madre sostituisse il tradizionale percorso di studi (ricamo, economia domestica e via così) con sessioni impegnative di lingue, letteratura e storia dell’arte straniere.. E storia.. Come con Alessio, se lo interessavi si divertiva e ti faceva divertire a tua volta nello spiegare e imparare.
“Nessun errore, sicuro”
“Sicuro”e non discutevano della lezione, quanto della sostanza.
“E se uno sbaglia?”
“Si corregge”
“Tu hai mai sbagliato?”
“Spesso .. e ho cercato di imparare”
“Sarai un bravo PAPA’, fidati” che ero incinta, avrei partorito nel giugno 1917.
Aleksey voleva bene ad Andres, in un dato senso era il suo eroe, un campione da cui trarre esempio, parlavano ben poco di sentimenti, ma si apprezzavano, il cameratismo maschile, credo.
Preferiva l’eroe irruento, il picador alla serena abnegazione dello zar, era meno umiliante, per lui.  E Andres non era pirite, il luccicante ed apparente oro degli stolti, era forma E sostanza.
Come Alessio. Gliele toglievano, le mostrine,  e se le rimetteva alla prima occasione, era testardo come un mulo iberico. E la dignità, il senso di sé, non era orgoglio sterile, era arduo passarci sopra, quindi imparò, si sminuivano gli altri e non lui.  
Dal diario di Alessio” 24 gennaio 1918. Nel pomeriggio preso una botta alla mano e guardato Papa, che ha pulito il tetto dalla neve, e come portavano la legna in casa. Che noia.!!
“27 gennaio 1918, Auguri al volo Catherine, come sei diventata grande, hai ben 23 anni, come ne farà  Olga a novembre..Baci, Alexei alias monello PS Felipe somiglia davvero tanto a tuo marito, Tata si è messa a ridere della prima parola del bambino, annotando che per te non deve essere stata una grande soddisfazione” si e no, l’onere di nove mesi e del parto era toccato a me, tranne che Felipe prediligeva suo padre, quindi di cosa dovevo lamentarmi? E tanto, da una parte, ci sformavo, quando mi chiamò “MAMMA”, feci una metaforica tripla, carpiata capriola di gioia.
Dal diario di Alessio “30 gennaio 1918. Dormito male stanotte. Mi fa male la gamba. Colazione con Mama, rimasto a letto tutto il giorno”
2 febbraio 1918, una breve nota di Olga “Auguri, cumulativi, in ritardo. E’ veramente freddo in questi giorni, siamo appena tornati da una passeggiata. Nell’angolo di una finestra abbiamo inciso una “C”. Dio ti benedica, mia cara, stai bene, con amore Tua Olga ps..io propendo per l’azzurro PPS accludiamo la seguente poesia ...Un bucaneve, in inverno, colmo di grazia, bianco.. Una luna perduta, sottile, delicato il centro di bianco oro, i petali si piegano, giocando con la brina.. La perfezione e la delicatezza” Una volta, la zarina Caterina II, in una delle sue passeggiate, aveva trovato un precoce bucaneve, incantata aveva ordinato che una guardia lo vigilasse, era perfetto, fragile e fiero. Capii l’antifona, non cedevano, erano fragili solo in apparenza, si guardavano a vicenda, eravamo sia il bucaneve che la guardia.
Never give up. 

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Capitolo 2
*** Lost My Mind ***


Dai quaderni di Olga Romanov alla principessa Catherine, sua amica di infanzia e molto altro”..non vi è stato un preciso momento, di decodificazione, sai, quando il crepuscolo invade una stanza, non accendi la luce e ti trovi al buio. Era freddo, leggevo tanto, i servizi vespertini, le passeggiate, brevi eventi giornalieri.. La sopravvivenza. Costruimmo una montagna di neve, a gennaio, a marzo le nuove guardie la spianarono, che era un “divertimento”. Ci riducemmo a vedere la gente che passava dalle finestre, per avere un poco di ristoro, 22 anni, nel pieno della presunta giovinezza, avrei dovuto ballare, avrei potuto costruirmi una famiglia e invece ero con la mia, senza una vera distrazione. I miei genitori costantemente insultati, quando una volta erano semidei. La malinconia che mi abita come una vocazione, una principessa di gelo e neve, destinata a non svegliarsi in primavera. A prescindere dal fatto che la stanza dove dormivo con le mie sorelle era una vera ghiacciaia. E le cose andavano di male in peggio, sia in generale che in particolare. I bolscevichi avevano preso il potere, le notizie erano imprecise, tranne che si parlava di un armistizio tra la Russia e Germania, Austria, Bulgaria, una pace separata, l’esercito allo sbando, in dismissione, e i tedeschi avanzavano, pezzo su pezzo. Per noi, a Tolbosk, a partire dal gennaio 1918 il maggior assillo era il denaro, in cronica carenza, e il cambio delle guardie e ... “ senza mollare, la loro dignità ha resistito fino all’ultimo respiro.

In febbraio il governo smobilitò i soldati che erano appartenuto alle file imperiali, sostituendoli con giovani rivoluzionari, dalle brutali maniere. Questi ultimi prontamente incisero oscenità scurrili sulle altalene usate dai “bambini” e Alessio lo rilevò subito, tranne che lo zar tolse subito i sedili. Da allora in poi i soldati scrissero o fecero le loro caricature sulla recinzione, in alto, dove era impossibile toglierle. Il siberiano, Rasputin, che prendeva, da dietro, una posizione laida e oscena, la zarina Alessandra, la Nemka bliad, senza onore o decoro, per sicurezza vi era una corona di insulti, lo zar rappresentato con un bel paio di esplicative corna.

Alessio si prese un numero inimmaginabili di spinte quando diceva che non era vero o tentava di scancellarle, un trauma nel trauma, lui che era sempre stato trattato con i guanti di velluto, protetto, amato e coccolato. Che capisse gli insulti era pure peggio, ormai non era più un piccoletto ignorante.   E taceva, cercando di impedire alla collera di tracimare, pezzenti erano loro e non lui. Se lo ripeteva e faceva male.

Un decreto del governo provvisorio sancì per i Romanov lo stesso trattamento economico dei soldati, ovvero 600 rubli al mese, 4.200 per sette persone sarebbe stato sufficiente, peccato che la cifra doveva servire per  i membri del personale, cuochi, dame valletti e quanto altro.  “ A carico di Nicola Romanov, residente in via della libertà a Tolbosk, 7  persone, 4.200 rubli al mese
Lo zar preparò un budget, in base al quale si trovò a licenziare dieci persone. Li avrebbero serviti comunque, ma questo significava la povertà. Per grazia ricevuta, riuscirono ad arrivare 10.000 rubli, gli altri si erano smarriti lungo strada, che tamponarono un poco.  Quello era l’ennesimo invio di denaro, a quel giro erano 40.000 rubli, in quale maglia della corruzione si erano persi.
Tra ingaggi e rendite ne avevo da spendere.  Dieci vite non sarebbero bastate.

I pasti erano poco imperiali, burro e caffè erano stati considerati lussi inutili di cui i Romanov potevano fare a meno. Il pranzo era una minestra, carne o pesce, del vino, a cena, carne, verdura, alle volte pasta.  Gli abitanti di Tolbosk, saputo della situazione, inviarono  caviale, dolci, uova e pesce fresco, doni del cielo per la zarina.
Era la fede che li faceva andare avanti, giorno per giorno, potevano portare via ogni cosa, ma non le “nostre anime”, scrisse Alessandra alla sua amica Anna.  Perdonare i nemici, non cercare vendetta, trarre la forza di non cedere alle avversità, che questa vita non è nulla, a confronto dell’eternità. Olga ne scrisse in una poesia privata, cercava di capire la vita e sapeva di comprendere molto poco.
“Abbiate timore per le vostre anime, non per i vostri corpi. San Paolo”

“ Hesperia, la terra occidentale, come i romani chiamavano la Spagna,ma il nome della stella della sera è Espero. Mi sento di ghiaccio, fredda e eterna” annotò Olga, battendo tra loro le mani gelate. Non aveva fame, cedeva sempre mezza e rotta delle sue porzioni al fratello, che spazzolava tutto, la fame della adolescenza, pareva crescere da una settimana all’altra, aveva ereditato di certo l’alta statura dal nonno paterno, Alessandro III, che era stato alto circa 1.94. E si annoiava, non ne poteva più, i suoi sbuffi erano l’esternazione dei suoi e di quelli delle sorelle, la sua cantilena l’eco del loro disagio. “Voglio giocare, voglio andare in giro.. Mi annoio” E ancora “Cat ha scritto? Mi manca” “Ho fame” A 13, 14 loro erano magiche, pensava Olga, avevano condiviso il privilegio di una adolescenza e, ancora prima, di una infanzia in armonia, convivendo tanto. Si sentiva in colpa ad avere ignorato che Cat la aveva passata tra le botte e la violenza del principe Raulov, omettendo che lei non le aveva detto una sillaba, mai. Sulle ossa slogate, i lividi, gli insulti. Era già un miracolo che avesse saputo amare, non fosse diventata cattiva, più era triste e più sorrideva, Catherine dalle smaglianti apparenze, Catherine, principessa delle assenze, la signora delle favole, dai passi fatati.

Che potevo fare Olga? O resistevo o impazzivo, non avevo tante opzioni..
 

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Capitolo 3
*** See You Again ***


La situazione pareva immobile e così non era, la confraternita di San Giovanni di Tolbosk (monarchica organizzazione che cercava di salvare i Romanov) era diventata un punto di aggregazione. Suo leader tale Boris Solovev, il cui padre era stato tesoriere del Santo Sinodo, era un vanesio, vanaglorioso, tuttavia aveva sposato la figlia di Rasputin,Maria, nell’ottobre del 1917, condizione che gli tributò la cieca fiducia della  zarina. Insomma, affabulò tutti, divenne un punto di riferimento per piani di riscatto, i monarchici gli offrivano denaro. Tramite canali ufficiosi di corrispondenza, rassicurava gli zar.
Comunque, il complesso piano di riscatto, non ebbe seguito, che non vi era, in alcun modo. Quando i Romanov vennero trasferiti, nell’aprile del 1918, Solovev era opportunamente agli arresti, in guisa tale che nessuna nulla poteva imputargli. Un norvegese di nome Lied aveva lavorato nel commercio negli anni che precedettero la guerra, in Siberia,  progettando una rotta che da Tolbosk giungeva fino al mar di Kara, risalendo il fiume. Nella primavera del 1918 venne convocato a Londra, convocato dalle alte sfere, per organizzare una missione che rimase senza esito alcuno. E poi giunse una serie di tentativi di salvataggio dal Kaiser Guglielmo di Germania, vi furono lettere che offrivano aiuti. Notiamo l’ironia, nemici di guerra da quattro anni, i tedeschi offrivano aiuto, lo zar rifiutò. E il Kaiser versava lacrime amare sulla sorte delle “principesse tedesche” in Russia, Alix e le sue figlie, che non dovevano subire troppe angherie, la regina Olga di Grecia riferì che vi piangeva a notte intere, sul destino delle principesse Romanov. Le lacrime di  coccodrillo sarebbero state meno ipocrite, a partire dal 1914 Russia e Germania erano nemiche dichiarate, stante la guerra, nonostante i legami famigliari, la zarina Alessandra e il Kaiser erano in primo luogo cugini per parte di madre.

Ai primi di marzo 1918, il comitato dei soldati decise di abbattere la montagna di neve costruita nel retro della casa, uno dei pochi svaghi dei fratelli Romanov.  Per la domenica di Carnevale, la folla passava festeggiando sotto le finestre, i ragazzi si misero a guardare dalle finestre, annoiati fino alle lacrime, quello era uno spunto di svago, uno dei pochi rimasti come segare e ammucchiare legna.

Dal diario di Alessio “ 19 febbraio 1918. Passato tutto il giorno come ieri, nel pomeriggio giocato con Kolia e fatto una daga di legno con il mio pugnale. Giocato ad attaccarci.  ..(..)  11 Marzo 1918 .. Fatto male al piede, non posso mettere gli stivali. Così devo stare a casa tutto il giorno. (..) 24 marzo 1918. Sempre lo stesso, mangiato 16 pancake a pranzo. Una cerimonia religiosa alle 9. Di mattina. Il tempo è freddo e ventoso. Fatto bagno (..) 24 marzo 1918 tutto sempre uguale (..) la neve si scioglie e diventa fango (..) tirato palle di neve e con arco, l’arco che mi ha fatto Andrej F. ”

...l’esercito tedesco avanzava verso Pietrogrado, già San Pietroburgo, la capitale venne spostata a Mosca. L’esercito ormai era allo sfascio, i soldati avevano disertato a milioni.. I termini per il trattato di pace, firmato a Brest-Litovsk il 3 marzo 1918 furono umilianti. Ai tedeschi venne ceduto la maggior parte del territorio conquistato da Pietro il Grande in avanti, comprese la Polonia, la Finlandia, gli Stati Baltici, Ucraina e Crimea, buona parte del Caucaso, circa 60 milioni di persone vivevano in quei territori.. Inoltre, la Russia doveva pagare alla Germania sei miliardi di marchi, un quarto immediatamente, in oro, il resto  a rate entro l’ottobre 1918.  L’economia era finita, erano state date via un terzo delle regioni agricole, l’80%  delle miniere di carbone, l’accisa sulle estrazioni petrolifere, un terzo delle industrie tessili e un buon quarto delle ferrovie. Un triste elenco, la contabilità delle perdite, non era un trattato di pace, quanto un tradimento.
La guerra civile era dietro l’angolo. 

A Tolbosk, la notizia sconvolse Nicola e Alessandra, era “umiliante”, una disgrazia senza ritorno per la Russia.  Alix disse che avrebbe preferito morire in Russia piuttosto che essere salvata dai tedeschi.
E aprile portò un problema immane, che si aggiunse all’angoscia della prigionia.  Da quando i soldati avevano distrutto la montagna di neve, Alessio usava lanciarsi per le scale della dimora, usando una sorta di  slittino. Lo aveva sempre fatto, da anni, tranne che a quel giro, era veramente spericolato,  senza cura, come se volesse tentare la sorte. I risultati non si fecero attendere, purtroppo.

Gilliard e Nicola Romanov annotarono nei rispettivi diari che era confinato a letto, per un violento dolore all’inguine. Era stato così bene durante l’inverno, studiando, facendo le sue particine nelle commedie, giocando a palle di neve, segando il legno, divertendosi con l’arco e le frecce e il suo amico Kolia Deverenko “Mamma! Cat.. dove sei? Non no ho paura di morire, ma di quello che potrebbero farci”. La febbre altissima, delirava di un cavallo, che aveva cavalcato, lui, un sogno impossibile, un desiderio irrealizzabile.
Il dolore non gli dava un attimo di requie, urlava e gemeva, come a Spala, una crisi che lo aveva quasi ammazzato nel 1912. Era uno dei suoi peggiori attacchi di emofilia. Alla caduta si era sommata la pertosse, a forza di tossire le sue condizioni erano peggiorate.
Alix era sua, madre, da venerare, un monito, ma era troppo distante, per lui Mamma era altro
 “Mamma..” storse il viso, respingendo la zarina “MAMMAA..”
“Il cavaliere, a galoppo.. via”
Un respiro, una pausa.

“Non ho paura  di morire, ma di quello che potrebbero farci..Mamma”
 E le sue urla si sentivano finanche in strada, erano l’eco di un rimorso, di un assenza e un esilio. “CATHERINE..”
“MAMMA”

“Delirio febbrile, i dolori, lo hanno mandato fuori da ogni grazia dovete avere pazienza Maestà imperiale..39 e rotti di febbre, delira”enunciò il medico , Botkin, che seguiva Aleksej da quando era nato.
“Invoca le sue sorelle e Catherine Fuentes..” enunciò Alessandra Feodorovna. Nata Alix von Hesse, aveva preso il nome di Alessandra Feodorovna, quando si era convertita alla fede ortodossa e sposato Nicola, i suoi nemici la chiamavano con spregio la Nemka bliad, la meretrice tedesca, la cagna tedesca” Febbre o meno..” Sempre. 
“Si  riprenderà..”
E l’emofilia gliela aveva passata lei, la maledizione che si trasmetteva  di madre in figlia ai maschi, aveva amato e amava Alessio, più di ogni persona al mondo, tranne che quello smisurato affetto aveva causato, oltre la gelosia delle sue sorelle, di allontanare suo figlio. Che la amava e non si lasciava andare.
“Lei è mia madre, ma .. Non mi ha mai raccontato una favola, mai, piangeva sempre, non ha giocato con me.. Stava sempre male, come ora.. Le mie mamme vere sono Olga, Tata e Cat.. E non le posso dire nulla, no, è malata e sta male..” Quando Alessandra sentì quel dialogo smozzicato tra suo figlio e Nagorny, il marinaio infermiere, sarebbe voluta morire, desiderando di scavare un buco per terra, aveva sbagliato tutto.. a partire da subito. Rasputin era solo una illusione, cui si era aggrappata per anni, fino alla tragedia. Era malato e cercava di proteggere lei. 
Madre, non Mamma, tra quelle due parole cadeva un intero mondo, sommerso e nascosto.
“CAT..”
“… , dove sei?” un affanno, un sussurro.
Dormiva male, vomitava e.. non ne poteva più.


Alessio, amore, che fai? Come va? Scruto le foto, in una sei di lato, stringi una sega a doppia lama,  il colbacco in testa, lo sguardo annoiato, il tedio appare in tutte le pose, come nelle lettere..Anche io non vedo l'ora di ritrovarti. 
E un giorno ti rivedrò, in questa vita o in paradiso …
Cat.. tell  me a story.


La zarina scrisse alla sua amica Anna V. che Alexei era malato, confinato a letto, con una emorragia interna che lo faceva soffrire terribilmente.
Sul momento stava meglio, ma dormiva male e i dolori, per quanto meno acuti, non erano finiti. Era dimagrito terribilmente, il colorito giallastro, come a  Spala. Non aveva appetito e stare tutto il giorno sdraiato sulla schiena lo stancava, come cambiare posizione. Sua madre si alternava a vegliarlo tutto il giorno e la notte con le sue sorelle e il marinaio Nagorny e Gilliard. Ora le spalline dell’uniforme sia lui che suo padre le portavano solo al chiuso, per evitare che venissero tolte, un sommo insulto per Nicola, che aveva amato l’esercito, era stato un colonnello, Alessio aveva le sue mostrine da Caporale Lanciere, dal 1916, effettive, particolare che lo aveva riempito di gioia ed orgoglio.
Mancava una persona, Cat, la storica rompiscatole. Sempre presente.
Kitty Cat, gattina.
Cat.
Catherine de Saint Evit, in prime nozze.  Madame.
Princesa Fuentes, nelle seconde.
Mia principessa, per Olga, il suo ultimo possessivo sussurro.
Sorellina.

Da una lettera di Olga Romanov a Catherine Fuentes, suo marito era spagnolo, Andres il principe dai mille talenti,  dell’aprile 1918” ..Grazie per la lettera e i doni, uova, cartoline, la cioccolata per Alessio e… l’appunto, che avresti voluto inviare della marmellata di mirtilli, ma non hai osato, per tema che il vetro si rompesse. E libri, sempre graditissimi (..) Alessio sta un poco meglio, ma il sangue si riassorbe velocemente e ha ancora dolori. Ieri ha sorriso, ha giocato a carte e gli è riuscito a dormire un paio di ore nella giornata. È diventato magrissimo, con gli occhi enormi. Gli fa piacere che gli si legga qualcosa, qualcosa mangia ma non ha appetito, non che sia una grande novità, tranne che è vero, farebbe a meno di mangiare del tutto. Nostra madre sta con lui tutto il giorno, ogni tanto io e Tata o M. Gilliard le diamo il cambio, di notte io o Nagorny. Arrivato un gran numero di nuove truppe, dal governo bolscevico, insieme a un nuovo commissario di Mosca, un uomo chiamato Yakovlev. Speriamo di avere un servizio in casa, per Pasqua. Nevica, ma si scioglie tutto, diventando fangoso… una guardia si è premurata di distruggere sotto i tacchi degli stivali una violetta che Anastasia amava guardare, era spuntata e le piaceva vedere la progressiva geometria delle foglie e i fiori, anche questa distrazione ci viene negata” non mi raccontò che Alessio mi  invocasse, quello strazio senza  fine o ritorno, Cat, per Catherine, di un cavallo.

E un giorno ti rivedrò, in questa vita o in paradiso …
Cat.. tell  me a story.

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Capitolo 4
*** Blueberries ***


 
 
“Ci hanno mandato un vasetto di marmellata, gli abitanti di Tolbosk” disse Tatiana, detta Tata, seconda figlia di Nicola e Alessandra Romanov, cercando di sorridere, un esercizio, ormai se lo era quasi scordato, in prigionia “Indovina il gusto, Tesoro” “Non mi interessa” disse Aleksey, il viso pallido e magro, tirato verso la parete “Non ho fame, davvero” “Se ti racconto qualcosa, ti va un assaggio..?Comunque ti dovrebbe piacere.. Blu, tondi.. Mirtilli” una pausa “Come a Friburgo” sussurrò,LUI,  gli occhi spalancati, teso verso un passato felice, un luminoso soggiorno all’estero, in Germania, correva l’anno 1910, quindi tornò nella squallida stanza, ove era confinato e prigioniero. Alessio   scosse la testa “Dopo, magari”.. Allora mangiava goloso i mirtilli dalle siepi. Rideva e saltava, atterrando tra le braccia di Cat, il suo porto sicuro, la sua principessa, amica di Olga, che gli raccontava una storia dopo l’altra, lo viziava e lo amava, Cat alias principessa Sherazade, le sue storie erano quelle delle mille e una notte, ne aveva sempre una, colta e divertente giocava sempre con lui, viziandolo a rate, esasperata delle sue trovate. Tata chiuse gli occhi davanti al dolore, per non soffrire più .. Una lunga e infinita battaglia, si arrese davanti alla sua inappetenza, Alessio vinceva battaglie a iosa, spesso, ma la guerra non la spuntava quasi mai, almeno con Cat, la sua pazienza nell’impresa era leggendaria  “A me non importa quanto ci metti” rilevò Olga quella sera .  “Anche una settimana, per quello che ho da fare” gli baciò la fronte, misurando il battito, cercando di non compatirlo, non aveva troppa febbre, gli aggiustò i cuscini “Dove vuoi che vada ..” Quindi “Alessio, Catherine manca anche a me, da impazzire, ma cerchiamo di non mollare” il ragazzino voltò la testa contro la parete, ostinato, da capo “Ti leggo qualcosa..” una pausa “La storia di Emma Fuentes, la figlia del re di  Spagna, Ferdinando di Aragona.. Una principessa. Aspetta e .. Arabi e reconquista.. Granada e i cavalli, argomento che ti appassionava..trascritto da chi sai tu” “Mi appassiona, leggi, per favore..” lo aveva scosso, annotò soddisfatta, gli circondò le spalle e attaccò a leggere.  Era come se Catherine fosse con loro, rilevò, era sempre presente, immutabile come il tempo, un antico e perduto ricordo.  Sempre con loro, con Olga, dato che erano nate nello stesso anno, il 1895, lei figlia dello zar, Catherine di un amico di infanzia, avevano spartito il mondo e una vita, sorelle e amiche, amando lo zarevic fino alla feccia e  alla sovrabbondanza.

Aleksey rise “.. ti ricordi quando mi raccontava del principe di Granada? Dicembre 1915.. e lo riprendeva da loro..il principe, e invece era una principessa, che era la figlia del re, anche se i genitori non erano sposati” Olga gli allungò un boccone di pane spalmato con la marmellata di mirtilli, lui masticò per riflesso, perso nei suoi pensieri “Ha copiato questa cosa in russo, carina, eh..Trastamara “ compitò la parola, senza badare alle smorfie di suo fratello per ingurgitare qualcosa, (… io ero la bastarda dello zar, io Catherine, mia madre aveva avuto una relazione con Nicola Romanov, nonostante fosse già sposata, Raulov era un perdente, un violento e feccia. Mi concepirono per caso, appurai molto dopo le mie origini, tranne che Olga mi aveva amato a prescindere, come io lei)
Ora immobili, nessuno dei due dormiva, alla fine Alessio allungò una mano “Vieni qui, stenditi, sei stanca..” dispiaciuto, odiava essere malato, lo cambiavano come se fosse stato un infante.
Ora che il suo mondo era ridotto a una stanza e a un letto, con finestre sbarrate, che dipendeva da tutti per essere cambiato e lavato e spostato, solo  poteva ricorrere alla memoria e sognare di essere altrove, sollevandosi dal  dolore e dalla noia. Per essere libero, anche se si sentiva invalido e storpio. Peggio che mai. 
Quello era il pensiero di Alessio. 
La stagione della Stavka.

Immagini, frammenti, ricordi. Agile e snello, pareva un giovane narciso, araldo della primavera.
I treni lo affascinavano, non si stancava di chiedere il funzionamento e osservava binari e traversine e bulloni, domandando agli addetti ai lavori questo e quello. Si era poi costruito una vasta cultura sui sommergibili e gli aerei, andare nei cieli e nei mari era una sua grande aspirazione. Come e più di Anastasia odiava le nozioni obbligatorie, tuttavia era molto intelligente, se qualcosa lo interessava ti sfiniva con la curiosità e domande inopinate e sorprendenti.
La concentrazione con cui osservava un filo d’erba, una lumaca,  passando alle margherite.
.
Le passeggiate e si fermava a ascoltare un picchio, lo zirlo di un tordo.
La mano che scivolava in quella di Cat, che lo scrutava con attenzione per cogliere eventuali segni di fatica,  alle volte si fermava,  con la scusa di volere prendere il sole, le iridi scure venate dalla preoccupazione. E  scrutava il cielo, sai, mi piace pensare di tutto un poco e godermi le nuvole e il sole e la bellezza della stagione, chissà che uno di questi giorni non mi venga impedito di farlo..
Le nuotate con Andres, le ore a pescare.
E tutto il tempo che aveva passato con Catherine,  a casa sua, le torte di mele, le patatine fritte.. E studiare, senza annoiarsi.
E avevano litigato, fino alla morte, al delirio, Cat che lo aveva trattato senza riguardi, rispondendogli male, come se non fosse malato, le giravano i nervi e ne aveva fatto le spese lui, salvo poi riderne. Che bello.. non che lo avesse trattato male, ma che lo avesse trattato come un ragazzo normale, scenate comprese.
E cavalcare, finalmente, da solo, su Castore un baio di squisita bellezza su cui la principessa Fuentes aveva cavalcato il vento.
E cercava di lasciarlo fare, sempre, anche se era ben conscio che mascherava la tensione, Catherine, dietro a un sorriso,una battuta,  di non opprimerlo con i divieti e anatemi, attento, non puoi, sapeva che l’amore per lui aveva vinto l’ansia, perché poi lo amasse in quel modo era un mistero che non osava varcare (.. Mi ama come una madre, una sorella ..). “Mi sento un re, in cima al mondo”
“Sei bravissimo” era in sella, fermo, Catherine gli aveva messo la guancia sul ginocchio, le sue iridi, onice e topazio, belle come il miele lo fissavano adoranti “Lo dici per farmi contento”
“Sei portato, davvero, Aleksey..prendilo per un complimento, dalla migliore amazzone di tutte le Russie, ovvero io ” il mio amato piccolo principe.

“Modesta, eh.. tranne che è vero” Non barava, non mentiva, cercava di trattarlo da grande, senza gli anatemi della sua fragilità, l’emofilia non doveva ridurlo a una larva , a essere un povero invalido, come pensava sua madre Alessandra “Abbastanza.. “il lampo candido del suo sorriso, il solito movimento di aprire le braccia, per farlo scendere, accostandolo contro di sé, sapeva di arancia amara, rosa e lavanda, il sapone lo usava sempre, Cat sapeva sempre di pulito, annotò che lo abbracciava, una tregua contro l’ansia “.. bravissimo, zarevic”una pausa, stringendolo contro la sua pancia, un momento perfetto”Il mio campione” ancora “Ti fermi a cena? Da me e Andres, dico. Abbiamo pane nero, la zuppa dei soldati, cose che mangi, ma anche una torta di mele, quella che abbiamo fatto ieri, eh, ne è avanzata..” “Mi fai le patatine fritte?” le aveva spazzolate in un baleno “Subito” e ridevano e scherzavano, teneri.
Smontare e rimontare le armi.. Il profumo. Il senso di sicurezza.. Ti voglio tanto bene Alessio..
Stare con lei era stato un privilegio, reciproco.
Ora lo sapeva, allora lo intuiva.
Una volta  si era addormentata vicino a lui, aveva posato le dita vicino alla sua fronte, per non interrompere il miracolo, era  rilassata, in quiete, si fidava, le difese deposte “Ciao, Cat” quando si era svegliata, raccogliendola tra le braccia,  il gesto speculare e gemello dei suoi “Ciao, tesoro” soffocando uno sbadiglio e una risata,  i movimenti rilassati “Come va?””Bene” “Sei tranquilla” “Certo, sempre, Alessio .. te sei una garanzia” “Proprio. .. “Con ironia. “ E invece sì, mio caro ometto” “Mi prendi in giro” “Mai su questo, ti voglio bene, campione”
 E posso  essere re degli spazi e del cosmo infinito, in una noce, che il mio regno è questo, parafrasando Shakespeare.
Catherine .. ti prego, vieni a prendermi, portami via. Anche se so che non ti rivedrò mai più. 

Ma io Aleksey sono sempre con te, vicini o lontani, abbiamo costruito dei bei ricordi. E se mi rievochi, io sono con te, anche se ci separano chilometri e distanze, mio piccolo principe, mia stella senza cielo.

 Il 22 aprile 1918 un gruppo di 150 soldati  a cavallo raggiunse Tolbosk, bolscevichi, giunse in loco comandato dal commissario Yakovlev, che doveva condurre le cidevant zar e la sua famiglia a Mosca.
Appurato che Alessio era malato, impossibilitato a spostarsi, venne deciso che sarebbe rimasto a Tolbosk fino  a quando non fosse stato in grado di viaggiare, comunque  Nicola
Romanov doveva lasciare Tolbosk, per evitare fughe in primavera.
Chi voleva poteva accompagnarlo, nessuna obiezione.


Il mio secondo figlio, Leon, nacque a Livadia, in Crimea, il 23 aprile 1918, alle quindici di pomeriggio.
Pesava quattro chili e mezzo, con i capelli scuri e gli occhi verdi di suo padre, era squisito e perfetto.


Alessio non aveva idea di quegli eventi, che suo padre doveva andare per forza, la partenza era fissata senza scampo alle 3 di notte del 26 aprile. Quando, dopo pranzo, sua madre non comparve come di consueto, si sentì che chiamava “Mamma! Mamma!, la sua voce si udiva per tutta la casa. Quando apparve, lei aveva gli occhi rossi, gli spiegò che sarebbe partita con suo padre il mattino dopo, di stare tranquillo, si sarebbero ricongiunti il prima possibile. La famiglia passò tutto il pomeriggio e la sera con lui, forse poteva succedere un miracolo che ritardasse la partenza, la neve scendeva, turbinando in larghe falde.
La zarina sperava che il fiume straripasse, in una sortita di fedeli, nel genero di Rasputin..
Rien.
Nothing at all. 
 

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Capitolo 5
*** Snowdrops, The Lion ***


 
E dopo che gli zar e sua sorella Marie se ne erano andati, Alessio pianse disperatamente nella sua stanza, la testa verso la parete, come le sue sorelle rimaste con lui, era allo stremo. L’aria portava il rumore delle ruote delle slitte che si allontanavano. Olga si stese accanto a lui, prima le tirò un pugno sul braccio, non fece una piega, e lo abbracciò. E   lo tenne stretto per ore, inventando un futuro per tutti,anche se pareva impossibile, lo amava, come aveva amato Catherine Fuentes, la sua fragile e agguerrita principessa, cresciuta nelle macerie, erede di un passato in frantumi, che confondeva i fatti con le promesse, l’amore con l’infatuazione, il suo soffio vitale era quello delle stelle.
… Olga io  ti ho adorato, quando me ne sono andata,  nel settembre 1914, novella vedova, mio marito ammazzato per una vigliaccata, io reduce da un aborto, pensavo che tutto quello che toccavo diventasse rovina e feccia e disonore.  Soffrivo e ..  me ne sono andata, inventandone una e mille, quando sono tornata ..  ci siamo perdonate a vicenda, ma Alessio.. soprattutto ci ha fatto riconciliare lui.  Quando eravamo a Mogilev, al Quartiere Generale e stavamo tanto insieme, era un privilegio, mi ha fatto crescere, migliorare e diventare adulta. Il mio piccolo principe, il mio combattente, viziato e capriccioso, che ci spiazzava con le sue verità.  Variava nelle sue forme come le foglie in autunno, oro e rame e ocra con punte di miele.  Il mio miracolo.  L’ho viziato quando era piccolo, ero sempre presente, mi ha insegnato lui a non mollare, amava la vita e le sue meraviglie, mi ricordava quanto poco bastasse a essere felici. Ripeto, quando eravamo insieme mi sentivo forte, senza se e senza ma .. Lui in apparenza era fragile, per la sua  malattia maledetta, che un movimento brusco poteva farlo morire, e aveva il coraggio di un leone, come il suo segno natale, che era nato sotto le stelle del leone. A non mollare mai, ripeto e ribadisco, a spiazzarci con la sua dolcezza e i suoi capricci. Era un fighter, un eroe, un miracolo.

 
Quella prima sera, mentre vegliava suo fratello, Olga prese un quaderno e iniziò a scrivere, una sorta di lettera, una sfida, per non dimenticare, mai.
 Una sorta di lettera a Catherine.
Per non scordare, mai, il suo lato della storia.
Come Catherine aveva scritto ad Andres, quando era in galera, sua sola colpa apparente averla sposata, i suoi trascorsi da abile agente della polizia segreta mai pervenuti, come quelli di Catherine.
Catherine..
 
Il viaggio del ci-devant zar, sua moglie e sua figlia fu atroce, logorante, dalle slitte li portarono si un treno, quando Yakovlev lasciò lo zar e i suoi a Ekaterimburg,  negli Urali, ebbe la seguente ricevuta, come se avesse consegnato della merce. “1. L’ex zar, Nicola Aleksandrovic Romanov
2. L’ex zarina, Alessandra Feoddorovna Romaova.
2. L’ex granduchessa Maria Nicolaevna Romanova.
Tutti da tenere in consegna nella città di Ekaterinburg
In auto, dalla stazione li portarono alla casa di un tale Ipatiev, un mercante”Cittadino Romanov, potete entrare” fu l’annuncio per la nuova dimora.
 
A Olga vennero i brividi, tre secoli prima il primo zar della dinastia Romanov, Michele, aveva avuto l’annuncio della sua ascesa al trono al monastero Ipatiev, stava poco bene di salute come   Alessio.. No. ALFA  E OMEGA, fine e principio.. Lui aveva iniziato, loro avrebbero finito?
La casa a Ekaterimburg ove vennero alloggiati i Romanov apparteneva a un mercante, tale Ipatiev, appunto, a cui era sta requisita per “ragioni di stato” dai bolscevichi, che, presone possesso, imbiancarono tutte le finestre e eressero una palizzata in legno tutto intorno alla proprietà. Il locale Soviet la ribattezzò “casa a destinazione speciale”.

Dai quaderni di Olga Romanov a Catherine Fuentes. “ .. la mancanza di notizie era dura, come le preoccupazioni, tranne che fisicamente Alessio stava un poco meglio, il primo maggio Tata lo convinse ad alzarsi, lo rivestì lei, per poi posarlo sulla sedia a rotelle, il marinaio Nagorny lo spinse sul terrazzo. “Non ne posso più” “Ti fa male qualcosa? La gamba..” “Non ne posso più..” rilessi il tuo biglietto, che lo aspettavi, intanto ero preoccupata, tra le tante, il tempo del tuo secondo parto ormai doveva essere terminato, scaduto. Come stavi? Eri sopravissuta a quello sconquasso fisico? Io propendevo per un altro maschietto.. Mancavano lettere e notizie, pensavamo che i miei genitori e Marie fossero a Mosca, invece il colonnello K. ricevette un telegramma che erano stati mandati a Ekaterimburg. Che era successo? Una Pasqua triste, mi sentivo affondare, come in una palude, nessuna notizia, dai miei e da te, niente di specifico. Casa Ipatiev, ripeto, tre secoli prima il primo zar Romanov, Michele, aveva avuto l’annuncio della sua ascesa al trono al monastero Ipatiev, stava poco bene di salute come   Alessio.. No. ALFA  E OMEGA, fine e principio..  ”
Non poteva finire, la nostra storia. 
Da una lettera cumulativa di Olga Romanov a suo padre, dalla Siberia agli Urali, quell’anno la Pasqua ortodossa cadeva il 5 maggio” .. da un telegramma abbiamo saputo che tutto è a posto. O Dio, come state? È terribile non essere insieme, non sapere nulla, dato che non sempre ci raccontano la verità (..) Dio sia con te, Papa (..) O.  continuo la lettera, Cristo è risorto. Vorremo sapere come avete celebrato la Pasqua, Mamma cara quando saremo finalmente insiemeDio vi protegga. La messa di mezzanotte e il servizio successivo sono stati fatto bene, era tutto bello e intimo (..) Il Piccolo (Alessio) ha dormito e non ha partecipato alla cena di Pasqua, neanche si è accorto che lo abbiamo portato nella sua stanza..Oggi abbiamo distribuito le uova(..) Sentiamo le campane.. Il tempo è brutto” 

Tolbosk, 7 maggio 1918 sei di pomeriggio, scrisse Anastasia, rispondendo a una lettera di sua sorella Maria da Ekaterimburg , dopo le formule di saluto e gli auguri di Pasqua “.. Alessio è davvero dolce, mangiamo a turno con lui, glielo ricordiamo, anche se alcuni giorni non ve ne è bisogno ..(..) Mi sto abbronzando, più di Olga e Tata, resto sempre un elefante nelle dimensioni.. (.) I pensieri sono con voi, mi mancate…a me e come tutti(.. ) Un  bacio A. [nastasia]”
Le condizioni a casa Ipatiev erano barbare, manco funzionava l’acqua corrente, lavare i capelli e la biancheria una epica impresa, pensava Marie, che dormiva per terra, cercando di ignorare  le battute e le mani delle guardie. La zarina era la Nemka bliad, la puttana tedesca, suo padre, “Nicola il sanguinario” che beveva il sangue dei sudditi e godeva della  guerra. Ma il sole sorgeva, gli uccelli cantavano all’alba, non tutto andava per forza male, ripetendo quello che diceva Alessio, quando stava male e trovava sempre una consolazione.

Olga, leggendo le frammentarie notizie Yekaterinburg che dicevano che stavano bene, senza poco aggiungere, era di una calma dolcezza, leggere tra le righe era una pura agonia, una prigione, cercava di non tracimare.

Una missiva della zarina madre, Marie, raggiunse Tolbosk, scritta verso la fine di aprile. Augurava buona Pasqua, dava notizie su Xenia e Olga, le sue figlie, chiedeva di loro e .. “..il 23 aprile è nato il secondo figlio dei principi  Fuentes, Leon, è stato battezzato secondo il rito cattolico il 25 aprile. Un bambino splendido, di quattro chili e mezzo, con i capelli scuri e gli occhi verdi. Catherine sta bene, ancora qualche giorno e partiranno per la Spagna” senza ulteriori commenti o altro.
L’ho chiamato Leon, come primo appellativo, che era un suggerimento di Aleksey, in suo onore.
Il commissario Rodiov, assieme alle imprescindibili guardie rosse, sopraggiunse da Ekaterimburg a Tolbosk, per accompagnarci alla nuova destinazione, rifletteva Tatiana. E intanto giocava a carte con Alessio e Anastasia, lui sbuffava che era annoiato, cercava di essere brillante e il suo sorriso faceva male al cuore.
“Pensavo ..” Erano a pranzo, il menu erano cotolette stoppose con patate dure“Cosa?”
“Il digiuno del venerdì” 
“Ora è salutare patire la fame?”
“Forse..per chi pesca sì. Se al venerdì tutti mangiassero pesce, le famiglie dei pescatori sarebbero a posto per tutti i giorni della settimana..”
“Giusto” Alessio lanciò uno sguardo birichino, spostò la carne “Oggi è venerdì” Inutile dire che bambini e malati erano dispensati dal digiuno, lui rientrava in entrambe le categorie e non gli piaceva.
“Per saltare i pasti sei peggio di Cat” lo redarguì poi Olga, tralasciando che se era polemico si sentiva un filino meglio “Anche no, lei e' imbattibile, almeno prima che avesse i bambini, allora mangiava SEMPRE”
“Cerca di dormire, dai, fatti abbracciare”
E la sua fragile bellezza, il suo sorriso la commossero fin nelle ossa, come Catherine quando era in sospeso, prima di combinare una delle sue epiche scemenze, famelica, assetata di vita.
Due bucaneve, fragili e delicati, vai a sapere chi guardava l’altro.

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Capitolo 6
*** I never give up ***


Un assaggio da subito, che le condizioni sarebbero peggiorate. Al peggio non vi è mai fine, pensava Alessio, nel loro caso era una cauta perifrasi.
Che situazione.
Doveva venire un sacerdote, per la messa, non venne concesso “il privilegio”.
Scrollava le spalle dinanzi agli stolti, alla stupidità degli scemi, se lo imponeva.
Ahora y por siempre, ora e per sempre, il motto dei Fuentes, antico di secoli rotolava nella mente.
I tuoi antenati spagnoli lo avevano urlato nei decenni, nelle battaglie, come il tuo avo Felipe, che visse nel 1700, forgiato dai combattimenti, eroe e pirata, adoravo le sue gesta, l’illegittimo che diventò un principe. E quel motto scandito in un dorato settembre, te sottobraccio a Andres che passavate sotto una galleria di spade tese, riso e petali di rose.
Ridevi, eri bellissima,  le zagare tra le mani e i capelli, sorridevi ed eri una tortora che prendeva il volo ..“Fino alla fine del mondo” Ti sposavi.
Il nostro m0ondo  è ormai finito Cat.
Cat.

Alle mie sorelle è stato proibito di chiudere a chiave la loro stanza, io e il mio  marinaio infermiere siamo stati serrati.
Che idiozia. Se ero malato, avevo bisogno del medico, mica di una porta chiusa.
Ed era primavera,  i fiori incorniciavano i rami e i prati, desideravo cavalcare, correre senza freni,  avrei avuto 14 anni ad agosto, me lo meritavo, forse. Tranne che ero il figlio dell’ex zar, Nicola l’ultimo, e della sua cagna tedesca. Le colpe dei padri ricadevano su noi figli, in questo caso anche della madri. Mio padre aveva abdicato per sé e per me, una lesione senza ritorno dei miei diritti, mi aveva detto che non voleva separarsi da me e che non dovevo riscontare i suoi peccati “Come se non lo facessi ora, come se non lo facessimo ora” gli avevo urlato contro a Carskoe Selo, salvo calmarmi, era più mortificato lui  di me e tanto ne resto sempre convinto. Ha sbagliato.
In treno, poi, in battello prima, il lento corteo verso gli Urali più profondi.
Che ne sarebbe stato di noi?

Pierre Gilliard raccontò nelle sue memorie l’ultima volta che vide i principi imperiali a Yekaterinburg, nel Maggio 1918, dopo che erano giunti su un treno speciale, lo avevano separato dai suoi pupilli: " Il Marinaio Nagorny, che aveva cura di Alexei Nikolaevitch, passò sotto  il mio finestrino del treno, portando il ragazzo malato tra le sue braccia, dietro di lui venivano le Granduchesse portando le valigie e i loro piccoli averi personali. Cercai di uscire per aiutarle, ma venni trattenuto bruscamente dentro la carrozza.. Tornai al finestrino,  Tatiana Nikolayevna veniva ultima e cercava di tenere in braccio il suo cagnolino e lottava contro una pesante valigia scura. Pioveva e a ogni passo affondava nel fango.”
Dai quaderni di Olga Romanov alla principessa Catherine”..ti ho già scritto che i miei genitori e Marie ci hanno preceduto a Ekaterinemburg, mentre noi siamo rimasti, che Alessio ha avuto un attacco gravissimo di emofilia, forse il peggiore dopo Spala, qui metto quello che ho omesso, non per caricarti di un peso, ma renderti partecipe. Sembrava tentare il fato di proposito,  usava scivolare per le scale di casa su una tavola di legno, come una slitta e rimase ferito, una volata, all’inguine. Sapeva che poteva morire, e non ne aveva timore, la sua paura riguardava quello che potevano fargli e farci in prigionia. . Ha avuto la febbre altissima, dolori lancinanti, delirava e  parlava di essere stato a galoppo a cavallo, di avere sparato e che non era successo nulla, di un bosco, una valle incantata piena di luce e fiori, di un cavaliere che andava incontro all’orizzonte, suo unico limite il mondo e non altro. Ha invocato per ore il tuo nome, Catherine, Cat, fino allo spasimo, ti voleva, diceva che lo avevi sempre tenuto al sicuro, che eri come la fortezza di Ahumada, che proteggeva tutto e tutti..

La nuova prigione era circondata da un alto muro, le finestre sprangate e verniciate di bianco, tranne una, le guardie e il loro comandante li insultavano in modo costante, entravano nelle stanze in ogni momento,giorno e notte, senza differenze, sempre, di sottofondo barzellette e canzoni oscene, frugando tra gli oggetti, portando via quelli che ritenevano più interessanti e di pregio. 
 Andare in bagno era un incubo, le pareti scrostate erano ornate di disegni pornografici che rappresentavano Alessandra e Rasputin, il monaco siberiano che sancivano essere stato suo amante nelle più sconce posizioni.
La colazione era dopo le preghiere, pane nero e tè, il pranzo una minestra e poco più, i guardiani non si peritavano a togliere il piatto allo zar o prendere con le mani luride dei bocconi.
A casa Ipatiev, Olga e le sue sorelle dovevano provvedere da sole a lavare la propria biancheria e impararono a fare il pane.
A turno, le ragazze facevano compagnia alla madre e al fratello, che era sempre confinato a letto e soffriva per il suo ultimo incidente, non si alzava e non camminava.
 Appena giunto nella nuova prigione si era fatto male ad un ginocchio, cadendo dal letto..come se lo avesse fatto di proposito, annotò lo zar nel suo diario, una nuova crisi che si sommava alla precedente. Quella notte non aveva dormito per il male e nemmeno i suoi, straziati dai suoi lamenti.
Per i testimoni, Olga appariva depressa e smagrita, pallida e sottile, come ebbe a dire una delle guardie, Alexander Strekotin, nelle sue memorie, e trascorreva molto tempo con il fratello, uscendo poche volte nel giardino, circondato da una alta palizzata.
Un’altra guardia annotava che quando camminava fuori, spesso il suo sguardo era tristemente fissato sulla distanza, in un passato che non poteva più tornare. Il marinaio Nagorny, che era rimasto sempre con loro, devoto ad Alessio in ogni battito e respiro, venne allontanato e messo nella locale prigione, ove fu poi fucilato, dopo che aveva protestato per il trattamento inflitto ai prigionieri e la ennesima ruberia, volevano sottrarre a un ragazzino malato una catena d'oro che reggeva  delle sacre immagini.. ( è facile essere smargiassi verso un inerme...e Alessio si era difeso sferrando calci e pugni, tre contro di lui, attaccava per difesa)
“Chi ti ha insegnato?” chiese Anastasia, allibita, ammirata “Lo sapevi fare.. i pugni, i colpi..”gli aveva fatto un occhio nero e.. bravo, Aleksey”
Mi devo difendere, devo fare da solo .. Non è giusto ..
“ E gli stavi rompendo la mascella” “Andrej.. lui era amico mio, lo sai, mi ha insegnato” guardandosi le nocche.
Era ancora amico suo, pensò, forse. Sentendo che le guardie arrestavano Nagarny, che aveva appena avuto il tempo di mormorare un “Arrivederci, Zarevic”gli era venuto voglia di piangere e non lo aveva fatto..
Era diventato paziente. Seduto, si massaggiava la gamba. “Alexei .. ti fa male?”
“No”
“Invece sì..”
“Vedete sempre il dolore, ma mica c’è” Non lo voleva dire, voleva stare bene e contro ogni logica ci sperava, in modo remoto, si confermava lui per primo che era un illuso “Pensi che ce la farò?” Una volta a sua sorella Tatiana“Certo” “Bugiarda.. allora mi aspetto di vedere Cat”Una cosa impossibile, se non improbabile,  visto che lei era in Spagna. E peraltro aveva fatto bene. Tatiana tacque, quella era una opzione irrealizzabile.
L’inappetenza continuava, mangiare era una tortura e non era un capriccio, come quando era piccolo .. Ma se non assumeva cibo si indeboliva ancora di più, lo sapeva, ci provava ma quel piatto proprio non riusciva a ingollarlo. Il cuoco propose una altra opzione, più delicata, per il prossimo pasto, pagando il tutto di tasca sua, ma Alexei non volle, non dovevano spendere per lui. Cercava di non mollare ed il compito era arduo.
Sempre in quel giugno, a padre Sergei Storozhev venne chiesto di celebrare una messa a casa Ipatiev.  Rimase allibito nel vedere Alexei, che stava sdraiato su un lettino da campo. Era pallido fino  a parere trasparente, magro, e  si intuiva che era molto alto per la sua età, la coperta che lo ricopriva dalla vita in giù non celava la  sua statura. Solo gli occhi erano vivaci e brillanti, fissarono il prelato con curiosità. Una persona nuova. Vicino a lui sua madre, seduta su una sedia, vestita di blu scuro, senza gioielli. Il sacerdote annotò che la sua postura era “maestosa”, salvo poi riferire che pareva inferma, appena in grado di gestire le sue emozioni durante la funzione. 

Ti aspetto, so che ti rivedrò, almeno una ultima volta. 
O in questa vita o in paradiso

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Capitolo 7
*** Shining Stars The End ***


Dai quaderni di Olga Romanov alla principessa Catherine “.. la fiducia, ecco, ogni volta che ti vedeva il suo visetto si illuminava di gioia, gli piaceva stare con te, eravate due chiacchieroni inesauribili, con i vostri botta e risposta sareste andati avanti le ore, lo calmavi sempre, cercando di distrarlo. Gli sarebbe piaciuto avere una bicicletta, aveva un triciclo speciale costruito per lui,  pattinare, andare su un cavallino vivace e non su miti pony o lenti asinelli.. Già, tutte attività potenzialmente lesive e quindi pericolose. E ci piangeva, non era giusto, in fondo, amaro, rabbioso,a nulla valeva che fosse amato, coccolato e viziato, con una stanza piena di giocattoli costosi, mancandogli la salute .. E invece di proibirgli questo e quello cercavi di insistere su quello che poteva fare.. Per istinto. E ne avevi di pazienza, con lui ne serviva sempre in dosi elevate

Eravamo nel parco imperiale, nell’anno di grazia 1908, tra le splendide aiuole curate e le fontane, sorgeva intenso il profumo di rose, lillà, caprifoglio e gelsomino, osservai una farfalla che danzava davanti a noi.
Lo zarevic mi passò un braccio sul collo, incantato, gli feci cenno di zittirsi “Bella.. a cosa giochiamo? Al silenzio no, che poi mi addormento” ce lo potevo fregare quando era piccolo, rilevai, divertita, ORA no. “A guardare le nuvole e trovare le forme..” che potevano essere vascelli, aeroplani come cartine geografiche per trovare i tesori e buffi animali. Si lanciò in un elenco, salvo osservare, saggio, che un tesoro poteva essere una cosa bella, come un fiore, a proposito a me quale piaceva? Le rose bianche, gli baciai una guancia abbronzata, lo tenevo stretto contro lo sterno,profumo di rose e infanzia, baci e carezze, io non ero nessuno tranne me stessa e mi amava lo stesso, insieme ero possessiva verso di lui e per lui fino allo spasimo. “Bene”
“Cosa? Lascia stare i boccioli, monello, sono più carini sulle piante” in verità ci mancava solo che si pungesse per regalarmi un fiore.
“E che pensi.. tieni” si cacciò una mano in tasca e mi porse un foglio ripiegato in quattro
“Guarda, Cat” aveva disegnato un mazzo di fiori, allegro e colorato, nel mezzo ecco una rosa bianca, e la data e Alexis. “Questo è in francese, Cat..”
“Grazie, sei una meraviglia”
 Lo conservo ancora …

Nel 1918, il 5 luglio la guardia era mutata, il giorno avanti era giunto un nuovo comandante Jurovskij, che aumentò le misure di sicurezza, ordinò di collocare una nuova mitragliatrice e di mettere delle sbarre alla finestra da cui dovevamo calarci, la  sola che era aperta per cambiare l’aria.
Ci erano giunte in segreto tre lettere che promettevano di liberarci, in segreto, firmate da un misterioso ufficiale..  
La prima missiva pervenne all’inizio di giugno, che enunciava che gli amici non dormivano, attendevano l’ora della liberazione, la rivolta dei cechi scuoteva il potere dei bolscevichi .. Stare attenti e vegliare, ecco le istruzioni, seguì una risposta con la pianta della casa e la nota che  ero sempre a letto, che non mi potevo muovere.  La seconda lettera si diffondeva a descrivere un piano di salvataggio, era necessario che una finestra fosse senza sigilli, per poter calare tutti..
La terza lettera giunse nel delirio, la guardia era stata rafforzata.

Era scostante e gelido,  il nuovo comandante, pignolo fino alla nausea, fece inventariare i gioielli che la famiglia aveva addosso, facendo quindi apporre dei sigilli. Ignorando che mia madre e le mie sorelle avevano i corsetti imbottiti di pietre preziose.
Insieme a Jurovskij giunsero dieci uomini, indicati genericamente come soldati lettoni e prigionieri di guerra ungheresi, che sostituirono le guardie precedenti. Cenavano con J. e il suo assistente, creando malcontento con chi vi era stato in precedenza.
Poco dopo giunse una quarta lettera che prometteva soccorso.  Furbescamente non fornivano nomi e informazioni precise su chi fossero, l’ora della liberazione era vicina ..


Al principio dell’estate 1918, come già ripetuto,  la guerra tra l’armata rossa dei bolscevichi e i bianchi favorevoli alla monarchia aveva coinvolto tutto il paese, la pace di Brest-Litonsk aveva consegnato la Crimea, l’Ucraina e molto altro ai tedeschi, che avevano prontamente occupato quei territori. In parallelo, in Siberia era scoppiata la rivolta dei cecoslovacchi, vi erano circa tra i 40.000 e 50.000 prigionieri che i rossi avevano cercato di arruolare con scarso esito, la maggior parte voleva andarsene.  Il 14 maggio 1918 era scoppiato a Celjabinsk uno scontro tra cechi  e ungheresi, i bolscevichi arrestarono i cechi. Tempo di tre giorni, l’esercito ceco aveva invaso la città, liberato i prigionieri e scacciato i rossi. Si unirono all’armata bianca, iniziò l’offensiva in Siberia, il sette e l’otto di giugno i cechi avevano occupato importanti centri bolscevichi, come Omsk e Samara.
I rossi persero  il controllo della ferrovia Transiberiana,  del Volga e di tutte le linee ferroviarie dagli Urali dirette a est. Ekaterinburg  rimase in contatto con Mosca solo con le linee telegrafiche.
Si combatteva, una battaglia senza regole o lealtà.
Lenin, il cui fratello maggiore era stato assassinato per avere tentato di uccidere lo zar Alessandro III, era della linea di pensiero che, ove si fosse presentata l’occasione, era basilare per la politica sterminare la famiglia imperiale.
La prima, reale azione fu la fucilazione del granduca Michele, il fratello dello zar, che venne prelevato il 12 giugno a Perm, ove era agli arresti domiciliari in un albergo. Preso assieme al suo segretario, furono condotti in un angolo isolato di una foresta alla periferia cittadina, fucilati e i corpi distrutti nella fornace di una fabbrica.  Dissero poi che era scomparso, una tecnica di confondere le acque. In parallelo circolarono voci che lo zar e i suoi erano stati uccisi, per saggiare la eventuale reazione della Russia e dei governi stranieri dinanzi a questa ipotesi. La risposta fu il SILENZIO.  
Emblematico quando venne scritto sul giornale “The Times” di Londra il 3 luglio, in ogni occasione in cui veniva fuori l’ipotesi di cui sopra, le persone ritenevano che fosse successo qualcosa  di grave, i bolscevichi erano impazienti, vi era la questione “dell’opportunità di definire il destino dei Romanov, in modo da liberarsi di loro una volta per tutte”.
 

Domenica 14 luglio venne detta la messa a casa Ipatiev, dopo la funzione tutti i Romanov baciarono la croce.
Il tempo era estivo, caldo e afoso fin dal mattino. Il 16 luglio 1918  passarono la giornata come di consueto, uscirono in giardino nel pomeriggio. La zarina lesse il Vecchio Testamento con sua figlia Tatiana, i libri dei profeti Amos e Abdia. “In questo giorno – oracolo del Signore Dio- farò tramontare il sole a mezzodì e oscurerò la terra in pieno giorno. Cambierò la vostra festa in un lutto e tutti i vostri canti in lamenti .. ne farò come un lutto per un figlio unico e la sua fine sarà come un giorno di amarezza” [8,9-10]
E la sera, dopo cena,  giocarono a carte, andando a letto verso le dieci e trenta.
Gli spari di una vicina postazione di artiglieria ruppero il silenzio, appena scese la notte.


Il 17 luglio, molto presto, un contadino che abitava in viale Voznenskij nelle  stanze a pianterreno di una dimora che sorgeva dinanzi a casa Ipatiev uscì in giardino per un bisogno.  Sentì  degli spari soffocati che provenivano dalla cantina della dimora di cui sopra, il rumore di un furgone Ford in moto, tornò dentro subito. Il suo compagno di stanza gli chiese se avesse sentito, lui rispose che aveva udito delle detonazioni, entrambi avevano capito. Non parlarono oltre, poco tempo dopo i cancelli di casa Ipatiev si aprirono e un furgone  piombò fuori a gran velocità.
Non voleva morire, scrissero poi, gli esecutori, Aleksey strisciava nel sangue dei suoi genitori, si proteggeva la testa con le braccia. Gli abbiamo sparato alla testa e .. ancora non voleva morire.
Cat ..
Tell  me a story.
Once upon a time, an Empress gave birth to a little prince, he was delicate, with sapphire eyes, a precious little one. His name’s Aleksey..
The fighter.
The Prince..
The Hero.
I don’t want to say goodbye.
Aleksey, you’re my hero.

The stars shine above you.

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Capitolo 8
*** I Spin Off I resti ***


,. il 25 luglio 1918, l’esercito controrivoluzionario, i Bianchi, conquistò  Ekaterinburg. Il precettore di francese delle granduchesse e dello zarevic, Gilliard, visitò casa Ipatiev, le stanze e la cantina.
Scorse la svastica, il simbolo di buon augurio della zarina Alessandra, su una finestra, una icona che pendeva sul letto da malato di Aleksey, la sua sedia a rotelle.
Oggetti commoventi.
In attesa, come il cagnolino di Alessio, Joy.
Scorse  i muri crivellati di proiettili e sangue, le scritte oscene, un verso che Baldassarre fu ucciso nella notte dai suoi servi ..raccolsero i mormorii di chi raccontava di un viaggio, un furgone Fiat nella notte e di roghi e ..
Misteriosi fuochi nella notte. 
Comprese e dentro si aprì il vuoto .. Il giurista S. condusse una accurata indagine, prima che i rossi riprendessero la città, concludeva che la famiglia imperiale era stata fucilata in quella cantina, insieme ai pochi fedeli rimasti con loro, undici persone in tutto.
 
Cat quando ti rivedo?
 
Una vita tragica, una fine da martire, nel 1981 la zarina Alessandra  venne canonizzata a New York, dalla Chiesa Russa ortodossa in esilio, come martire della fede, appunto, insieme ai suoi famigliari. Le ossa furono infine trovate in una fossa anonima.
Furono poi sepolti nella cattedrale dei Santi Pietro e Paolo nel 1998, 80 anni dopo l’eccidio, tra l’altro alla presenza del presidente Boris Eltsin, che ebbe a dire che un giorno storico per la Russia,che per anni era stato mantenuto il segreto su quel crimine mostruoso ma infine la verità era stata rivelata.
Nicola, Alessandra, tre delle loro figlie ebbero i solenni funerali di cui sopra, i resti di Aleksey e di una delle sue sorelle mancavano all’appello.
Nota il capitolo si riferisce all'anno 1998.

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Capitolo 9
*** Spin Off II The Start ***


Nel 1904, la notizia dell’attacco giapponese giunse per telegramma, senza dichiarazioni di guerra o altro.
Pleve, ministro degli esteri, ne fu lieto, riteneva che una piccola guerra vittoriosa fosse l’ideale per distogliere l’attenzione dai problemi interni, stimolando i patrioti e stroncando gli oppositori.
Santa Madre Russia aveva interesse a espandersi in Asia e il barbaro, pagano Giappone sarebbe stato stritolato dal gigantesco impero russo..
Mio zio Sasha Rostov-Raulov, era perplesso. Cresciuto insieme allo zar Nicola II e a mio padre Petr, era parte dell’esercito ed era molto attivo, conosceva segreti rapporti che parlavano di deficienze e falle,avendoli stilati lui stesso, in ricognizione, oltre che persone di sua fiducia.
Era cosciente che Port Arthur, avamposto russo nelle terre d’Asia, aveva una scarna guarnigione, con poche scorte ed era mal collegato.
Con lo zar erano amici fin dall’infanzia e io avevo perpetuato la tradizione, nata nel gennaio 1895, mi dividevano dieci scarsi mesi da Olga Nicolaevna, primogenita della coppia imperiale, eravamo cresciute insieme, amiche e sorelle, come Nicola II e Sasha, che rimanevano sempre legatissimi, pure se ben di rado uno seguiva i consigli dell’altro, come per me e Olga.
Aspettate, Maestà, non siamo pronti, e fu inutile..



Fu guerra, comunque, devastante, sanguinaria e rovinosa, un conflitto che acuì i problemi interni, portando scioperi e rivolte e sedizione, i giapponesi sconfiggevano i russi senza rimedio.


Era il 12 agosto 1904, la zarina sedeva sul suo divano, ingrossata e oppressa da emicrania e cattivi presagi, pochi giorni avanti si era rotto uno specchio in mille frammenti senza che nessuno lo avesse sfiorato, si era staccato mentre lei vi passava davanti, toccandosi protettiva il ventre ormai enorme.

Cose che capitano, peccato che i russi fossero molto superstiziosi, era certo un cattivo segno, per il bimbo. Era mal fissato, osservai io, figurati se deve succedere qualcosa.

Si sperava in un maschio, dopo Olga erano giunte Tatiana, Marie e Anastasia, le mie sorelline putative, peccato che fossero dinasticamente inutili, come osservava la loro nonna paterna, che, per la legge salica, solo un maschio poteva ereditare il trono. Come se una donna non potesse regnare, la mia replica, io che mi chiamavo Catherine, come la grande Caterina II, cioè il mio nome era Ekaterina Petrovna Raulov, principessa, tranne che io e Olga adoravamo il francese, come la zarina di cui sopra, così che lei (Olga) mi appellava sempre Catherine.
O Cat, quando imparava a parlare, per economia, che nome e patronimico erano troppo lunghi per quella solenne e paffuta bambina, che adorava i gatti e alle volte mi diceva addirittura Kitty Kat, gattina, e guai a me se non facevo le fusa.
Comunque, fusa o meno, verso le 12 mattutine la zarina percepì i noti dolori del parto, il quinto, dopo una oretta giunse il tanto atteso bambino, un maschio, desiderato e cercato.
Alle una lo Zar si inchinò dinanzi a lei, che ancora non sapeva l’esito, appariva così debilitata che nessuno aveva osato darle la bella notizia e la lesse sul viso del marito.
“Non può essere, è davvero un maschio?”
“Sì..” Parole frantumate “ Sarà Aleksej..” come il padre di Pietro il Grande, il sovrano preferito dello Zar, fin qui nulla di male, tranne che era stato il nome del figlio di Pietro il grande, che aveva complottato contro suo padre, morendo poi per suo ordine.


Aleksej Nicolaevic Romanov, lo Zarevic, atamano di tutti i cosacchi e.. una infinita lista di appellativi, considerai vedendolo nella grande culla dorata, pareva troppo piccolo per quelle responsabilità, ed era splendido, pesava cinque chili e aveva un buffo nasino e le sopracciglia chiare, la bocca pareva un bocciolo di rosa, mentre orecchie erano buffe e tenere, come una conchiglia. Cacciò uno sbadiglio e mosse le mani
“ Lo puoi toccare, Cat, se vuoi, non si rompe” mi disse Olga, esperta, io ero figlia unica e di bimbi piccoli ne sapevo il giusto.
“Non me la sento”
“E dai..Non ti morde o manco si rompe..hai paura, allora”
“NO”
“E allora toccalo”mi sfidò, inchiodandomi.
Sporsi una mano vicina alle sue, osservando incantata le minuscole dita, fornite addirittura di unghiette, sfiorai un pugnetto con il pollice e mi ritrassi subito dopo.

Telegrammi di congratulazioni piovevano a ritmo serrato, padrino onorario era ogni soldato e ufficiale dell’esercito, oltre all’imperatore tedesco e al principe di Galles, lo zarevic ebbe il titolo onorario di colonnello di molti reggimenti, e nastri e decorazioni. E i doni e i regali .. Addirittura un elefante.
Il battesimo venne celebrato il 3 settembre, un piovoso martedì a Peter Hof, io fremevo di eccitazione, che, come le granduchesse indossavo una versione in piccolo formato del gran vestito di corte, con annessa tiara di brillanti, e facevamo un figurone, i ragazzi una uniforme militare in miniatura, Eravamo adulti, solenni, buffissimi. Ci sentivamo investiti da una grande responsabilità, pomposi come pochi. Allora, per la snellezza e la statura superiore alla media, parevo un giovane salice, regale quando volevo al pari di un giovane sultano, pomposa e ossequiosa e solenne. E aspettavamo come tutti la carrozza dorata che, scortata da un drappello di soldati di cavalleria lo avrebbe condotto al fonte battesimale.
Lo portava tra le braccia la principessa G., guardarobiera imperiale, su un cuscino d’oro, assicurato alle spalle della madrina da una fascia dorata, e per precauzione aveva delle suole antiscivolo. Era avvolto in un mantello d’oro, ricamato di ermellino, come era uso, per l’erede al trono.. Che pianse forte, come un bambino comune, quando venne immerso nell’acqua battesimale.
Lo mangiammo con gli occhi, dopo esserci coperte la bocca, con una mano, per discrezione, onde evitare che le nostre risate, mentre Alessio scalciava sul cuscino con vigore,si sentissero fino in fondo alla navata..

Per tradizione russa, i genitori erano assenti al battesimo, tuttavia, finita la cerimonia, l’imperatore giunse in chiesa. Sia lui che l’imperatrice erano nervosi, che temevano che la principessa G. potesse far cadere l’infante o che l’anziano sacerdote affogasse il bimbo nel fonte battesimale.

“Pare una bambola” annotai dopo, mentre Olga lo cullava, era una delle madrine, come la sottoscritta, compito che la riempiva di gioia e orgoglio.
“Siediti, ora lo prendi in braccio..Muori dalla voglia Catherine, ci scommetto, e fidati, se la guardarobiera non l’ha buttato per terra, tu non potrai fare peggio”
“Sempre gentile, eh”
Me lo passò, delicata, spiegando che era bene che gli tenessi la testolina con il gomito, poi eccolo tra le mie braccia, un gesto che avrei ripetuto in un numero infinito di volte, sempre con amore.
“Ciao Aleksej”confrontandolo con le bambole meccaniche con cui giocavamo, lui non aveva bulloni, solo era tenero e magico, e odorava di pipì e borotalco, latte e acqua di rose, avvolto nelle fasce e nei pannolini.

Mi rispose con uno sbadiglio, io con un bacio. “Ciao tesoro.. Piacere mio” In inglese, francese e russo, affettuosa e poliglotta, sempre. Il giovane sultano si sciolse, adorante, con una manina sfiorò una ciocca dei miei capelli castani, nel sole erano lucidi come rame. Ero sempre a svolazzare nella nursery, un farfalla impazzita verso una lanterna. Il mio Aleksey. Il mio piccolo principe. Ricordo che in principio gli zar, orgogliosi, non trascuravano occasione per mostrarlo. Quando Nicola incontrò Aleksander Mosolov, capo della cancelleria di corte, gli disse “Non credo che abbiate visto ancora il mio caro piccolo zarevic, ora ve lo mostro” Entrarono, raccontò poi Mosolov, stavano facendo il solito bagno quotidiano al bimbo, che tirava calci nell’acqua. Lo zar prese il piccolino dall’accappatoio, i suoi piedini nel cavo di una mano, reggendolo con l’altro braccio. Era nudo, colorito, paffutello, uno splendore, una bellezza, dopo lo zar informò sua moglie che aveva fatto sfilare lo zarevic.
“Principessa Raulov” “Sì Maestà” “Qualcuno vuole stare con te” Mi ero tesa, prendendolo. “Sei bellissimo, sai” Un piccolo sussurro. “Aleksej..sei bellissimo” lui gorgogliò, beato, un piccolo rigurgito di saliva fiorì sulla spalla dove lo tenevo raccolto, ora lo prendevo spesso in braccio, meravigliandomi di come fosse leggero, lo adoravo, ero rapita e estasiata dai suoi movimenti delle mani, i mormorii, non vedevo l’ora che cominciasse a sorridere. Tutto il pacchetto, insomma. Piccoli miracoli, così scontati da non parere possibili e tanto era. Aleksey.
Amore. 
 
 
A sei settimane, cominciò a sanguinargli l’ombelico, il flusso continuò per ore e il sangue non coagulava.
Era la sua prima emorragia.
Era emofiliaco.
 
 
 
Riprendo dal  primo capitolo del mio racconto “Once and Again”, oltre che da “Phoenix- The Tsar’s Secret Daugher”, mi pareva giusto chiudere con la narrazione della nascita del piccolo principe, nato sotto il segno del  Leone.
Sit tibi terra levis.
Riposa in pace Aleksey.
Grazie a chi ha letto, ha commentato, anche dopo 100 anni questa storia merita di essere di nuovo raccontata. 
Jane 

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