Lost in memories.

di StewyT
(/viewuser.php?uid=198454)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** If you don’t remember who you are, who are you? ***
Capitolo 2: *** The darkness right in front of me it's calling and I won't walk away. ***
Capitolo 3: *** AVVISO. ***
Capitolo 4: *** Would you like to stay forever? ***
Capitolo 5: *** How to live with a crazy roommate and other disasters. ***
Capitolo 6: *** How can you go on if you can not escape from the truth? ***
Capitolo 7: *** It’s hard to believe that all your nightmares are real, isnt’it? ***
Capitolo 8: *** Can’t escape the flame, no matter what you do. ***
Capitolo 9: *** I was alone but you were there, with me, in my pain. ***
Capitolo 10: *** Cinque anni prima... ***
Capitolo 11: *** If you know who you love, you know who you are, because all the stories are true, love too. ***
Capitolo 12: *** Cinque anni dopo... ***



Capitolo 1
*** If you don’t remember who you are, who are you? ***


If you don’t remember who you are, who are you?
 

Aprì lentamente gli occhi, accolto dal forte profumo di disinfettante che gli faceva bruciare le narici e gli faceva venire voglia di scappare via, e un grosso mal di testa che sembrava non volesse ormai più lasciarlo; dovevano essere le undici del mattino o giù di lì, perché dalle finestre coperte dalle tendine bianche filtrava tanta luce e saliva il rumore di macchine e ambulanze che arrivavano e correvano via velocemente, e  perché sotto i suoi occhi mezzo aperti una figura alta e magra coperta completamente di bianco si muoveva attentamente per preparare chissà cosa. Per la prima volta notò al fianco di Catarina, l’infermiera dai capelli blu come il mare, un uomo molto più alto di lei, vestito decisamente strano, con degli aderenti pantaloni color bianco e una casacca bianca di lino che sembrava voler imitare la divisa dell’infermiera; il ragazzo aprì completamente gli occhi e quasi il suo cervello non lo maledisse a causa di quella forte luce che gli inondò gli occhi e poi la testa, accecandolo quasi per un attimo. Si mosse a disagio nel letto e forse mosse troppo bruscamente il braccio destro perché sentì un dolore lancinante alla pelle, girò lo sguardo e vide che un rivolo di sangue scendeva lungo il suo braccio bianco, macchiando le lenzuola ugualmente bianche; l’ago maledetto della flebo gli aveva squartato il braccio.
Alzò gli occhi al cielo: aveva sempre odiato gli ospedali e ormai in quel posto orribile ci stava da troppo tempo.
“Oh” sentì la voce di Catarina, ormai conosciuta, e alzò lo sguardo verso i suoi occhi azzurrini “Ti sei svegliata, principessa!” gli sorrise e gli si avvicinò con una sacca piena di farmaci schifosi che odiava da morire “E ti sei anche distrutto il braccio! Mag, aiutami!” ordinò e l’uomo che imitava decisamente male la figura infermieristica, prese un batuffolo di cotone dal mobiletto a cui era poggiato, per poi avvicinarsi alla donna che si fece leggermente da parte e gli disse di poggiare il cotone sul punto insanguinato e premere forte; Alec osservò attentamente l’uomo annuire e guardare il punto preciso in cui avrebbe dovuto poggiare il batuffolo: era quanto di più bello avesse mai visto in vita propria, o almeno quanto di più bello potesse ricordare.
Aveva la pelle di un color caramello caldo e avvolgente che gli faceva quasi venire voglia di allungare una mano e accarezzarla per sentire se davvero era calda come una giornata estiva, due occhi di un particolare color verde scagliato di oro, coperti da un manto di ciglia lunghe e nere proprio come i capelli neri raccolti in un mezzo toppo disordinato alla base della testa, mani grandi con dita lunghe da pianista, ma gentili e morbide. Si accorse di avere la bocca aperta solo quando Catarina rise compiaciuta sussurrando qualcosa all’orecchio di Magnus che annuì e finalmente sfiorò la sua pelle, e che fosse il sollievo di quelle dita fresche lungo la sua pelle accaldata dal dolore, o semplicemente una scossa elettrica non lo avrebbe mai saputo distinguere: quel contatto gli provocò un brivido. Gli ricordò qualcosa, una sensazione già provata in vita sua, una sensazione più forte e impressiva: quelle mani lo avevano già sfiorato in una vita passata, avevano già toccato le sue mani, il suo collo, il suo petto, le sue labbra.
Alec serrò forte gli occhi e si morse il labbro inferiore, non poteva essere; non conosceva quell’uomo, non lo aveva mai visto prima in vita sua, nessuno lo aveva mai toccato così in vita sua, quella era solo una mera illusione del suo cervello stanco e affaticato. Le dita dell’uomo si allontanarono dalla sua pelle e furono sostituite da quelle altrettanto fresche e delicate ma più sapienti di Catarina che si assicurò di medicare bene la sua ferita e passare all’altro braccio; la sentì inserire i guanti, prendere il materiale e fare quello che ormai faceva da parecchi giorni, eppure il suo sguardo era ancora concentrato sulla figura dell’uomo che ora fissava attentamente Catarina, quasi non volesse far incontrare i loro occhi: perché si ostinava a tenerli lontani?
“Ahi” Alec si lamentò leggermente quando l’ago oltrepassò tutti gli strati della sua pelle per arrivare dritto dove doveva stare “Abbiamo finito anche per oggi, Alexander” lo rassicurò la donna sorridendogli dolcemente “Sei così paziente” disse sospirando.
“Quando potrò uscire?” chiese Alec, la voce roca, il cuore che batteva veloce: voleva uscire da quel posto, voleva tornare a casa con Max, Isabelle e Jace, voleva tornare a scrivere, a guardare serie tv e film diretti da Magnus Bane, a non respirare più quell’aria pesante e odiosa.
“Hai avuto un forte trauma, Alec” rispose lei “Devono fare ancora qualche accertamento, si sospetta che tu abbia un forte trauma celebrale e che tu abbia perso buona parte della tua memoria, stiamo ancora cercando di capire quanta memoria e quanto sia recuperabile, non ti teniamo in ostaggio, lo facciamo per te, d’accordo?”. Il giovane dalla pelle pallida annuì “Ho visto solo Isabelle e Jace in questi giorni, li hai conosciuti” Catarina annuì “I tuoi fratelli, certo! Li conosco” e non disse che di certo non li aveva conosciuti in ospedale, quello lo tenne per sé.
“Ecco” Alec si morse l’interno della guancia “Sai- ecco sai - ti hanno detto come mai non portano con sé Max, mio fratello minore?”.
Catarina quasi impallidì, e girò lo sguardo preoccupato in quello dell’uomo, di cui si era quasi dimenticato la presenza, che sentendo quel nome alzò velocemente lo sguardo in quello dell’infermiera e poi lo richiuse, scuotendo il capo.
“No, Alec” rispose Catarina “Non so nulla, mi dispiace” lui annuì, preoccupato; Max non si sarebbe mai tenuto lontano da lui per tutto quel tempo se non fosse successo qualcosa, lo sapeva. Cosa gli era successo?
“Catarina?” Alec richiamò l’attenzione della donna che aveva tolto i guanti, si stava strofinando le mani lentamente e lo guardava ancora con aria critica “Da quanto tempo sono qui?” era certo di averlo chiesto già altre volte, eppure non ricordava mai la risposta; c’erano tante cose che non ricordava, di quello ne era certo: sentiva una specie di buco nero nel suo cervello, ogni volta che provava un qualche tipo di sensazione gli veniva come un flash, la percezione di averla già vissuta nella propria vita già altre volte, eppure non riusciva a ricordarlo. Era successo già la prima volta che aveva visto Catarina, sapeva di averla già vista ma non ricordava quando, e quel giorno era successo con il tocco di quell’uomo di cui ancora non sapeva il nome, ma anche nel suo caso sapeva che probabilmente era tutto solo uno strano scherzo del suo cervello.
“Due mesi, sei sveglio da quindici giorni, però” disse mettendo tutto quello che aveva usato per medicarlo e prendere un nuovo accesso sul mobiletto dritto di fronte al suo letto.
“Alec” Catarina gli diede una mano ad alzarsi leggermente e aggiustare il cuscino “Oggi con me avrai notato la presenza di quest’imbusto” voltò lo sguardo azzurro verso quello verde dell’uomo, eccome se non lo aveva notato; non era così tanto facile non notarlo.
“Sì” sussurrò “È un nuovo infermiere?” Catarina rise, seguita da un abbozzo di risata anche sul viso spettacolare dell’uomo. “Gli piacerebbe” affermò l’infermiera “Ma no, non è questo il suo lavoro. Lui è un tipo abbastanza famoso in incognito, è uno dei miei migliori amici e guardando il modo in cui lavoro ha deciso di prendere parte ad un’associazione di beneficenza volta ad aiutare gli infermi in qualsiasi modo possibile” sorrise debolmente “Quindi per oggi e se vi troverete bene assieme, per tutta la tua permanenza qui e un mese dopo la tua permanenza, questo bell’imbusto sarà al tuo fianco, se vuoi” la donna finì di parlare e Alec volse lo sguardo verso il bell’imbusto che ancora non lo guardava negli occhi e gli faceva venire voglia di prendergli con forza la testa e puntare dritto lo sguardo nel suo.
“Va bene” rispose con voce roca Alec “Anche se non ho molto voglia di compagnia” l’uomo annuì e finalmente tolse lo sguardo da Catarina per gettarlo nel suo e Alec vide il mondo girargli attorno; quello sguardo così attento, intriso di dolore e meraviglioso era proprio puntato nei suoi occhi lucidi e quella maledetta sensazione che non fosse la prima volta in cui lo aveva visto, non voleva saperne di andare via: era lì a sussurrargli nelle orecchie che quell’uomo era più di quanto potesse anche solo lontanamente immaginare.
Quello sguardo, quel viso, quelle labbra che sembravano avere la conformazione di un sorriso ma, che, eppure restavano rivolte verso il basso, gli erano dannatamente famigliari.
“Mi chiamo Magnus Bane” disse con quella voce simile ad un canto angelico, roca al punto giusta, liscia e fresca, ‘parlami per sempre’ avrebbe voluto chiedergli ‘e la mia vita diventerà perfetta’. Oh quella voce!
“Ma-Magnus Bane?” chiese, quando si rese conto di quello che le sue orecchie avevano ascoltato.
Magnus Bane. QUEL Magnus Bane? Quello di Watch MeIn the Shadow world, Fragile Rain e tutti gli altri film che amava da morire? Aveva davvero avanti il suo regista preferito? L’uomo a cui avrebbe voluto affidare i suoi manoscritti per farne un film, a cui avrebbe affidato con piacere anche la sua intera esistenza?
“Sì” rispose l’uomo sorridendogli debolmente e quel sorriso, oh Dio lo conosceva eccome!
Conosceva quegli occhi, quel sorriso, quel modo di fare, quello era Magnus Bane, l’uomo per cui aveva creato tutti i suoi profili social al solo scopo di guardare foto, anteprime ed interviste; si trovava avanti all’unico essere umano con cui credeva di poter essere compatibile e lui lo stava vedendo in quel pietoso stato? Con i capelli scompigliati, il viso bianco e le braccia piene di punture? Oh no.
“Quel Magnus Bane?” chiese, per esserne certo, al che Catarina, che improvvisamente ricordò fosse ancora nella stanza, scoppiò a ridere “Buffo, vero? Un’infermiera e un famosissimo regista migliori amici e questo deficiente ancora non ha scritto una serie tv interamente basata sulla mia vita!” Magnus rise scuotendo la vita “Non sbalordirti, non ne ho ancora scritta neanche una sul Perù e con quella, oh sì che vincerei un qualche Oscar!” risero entrambi, sotto lo sguardo ammaliato di Alec che si mosse a disagio sul letto, allungando il braccio in cui era fisso l’ago verso Magnus “Alexader” lo sgridò Catarina “hai solo questo braccio buono, vedi di non costringermi a ficcarti quell’ago nelle mani, ti prego” al che Alec annuì mortificato e si girò, rosso in viso, verso Magnus che lo guardava, di nuovo. E Alec si accorse che quello sguardo era quanto di più simile ad un’ecografia: gli stava guardando dentro, come se volesse scovare la sua anima.
“Signor Bane!” mormorò “Io- io sono Alec Lightwood e sono un suo grandissimo fan!” Catarina rise di nuovo e diede una pacca a Magnus che scosse nervoso la testa “Magnus, ti prego. Chiamami Magnus” disse, solo, passando una mano tra i capelli, sciogliendo completamente il toppo disordinato, che avvolse il suo viso di lucente chioma nera lunga fino alle orecchie.
“A quanto pare” disse Catarina “Avete fatto amicizia, quindi posso lasciarvi soli, mhm?”.
Alec annuì e Magnus si morse il labbro inferiore “Vengo un attimo fuori con te, o devi scappare dal prossimo paziente?” la donna annuì, scuotendo avanti e dietro la lunga treccia azzurra.
“Ci vediamo dopo Alec, comportati bene con il mio amico, mhm?” gli fece un occhiolino e aprì la porta uscendo fori, seguita subito dopo da Magnus.
“A dopo, signor Bane” sussurrò Alec, al che Magnus sembrò essere stato schiacciato per l’ennesima volta dalla forza di gravità verso il suolo: lo odiava. Perché?
 
Magnus guardò il proprio riflesso nello specchio nel piccolo spogliatoio del personale e scosse la testa; a cosa si era ridotto? Non si era mai visto così, prima, gli occhi senza alcuna traccia di trucco, i capelli scompigliati, il viso intriso di preoccupazione, più magro e triste, la verità era che da quella maledetta notte in cui era successo quel maledetto casino, non aveva capito più nulla; era precipitato tutto verso un vortice di guai e sofferenza che non avrebbe mai immaginato di poter riscontrare nella propria vita, non da quando aveva conosciuto Alec, non da quando aveva sposato Alec, almeno.
“Capisci che conosce Magnus Bane ma non conosce me?” aveva gli occhi ricolmi di lacrime, le mani gli tremavano e la voglia di correre in quella maledetta camera d’ospedale e gridare contro il suo uomo che lui era lì, eppure sembrava invisibile, gli corrodeva le vene. Non era colpa di Alec se non lo riconosceva, doveva fare attenzione a non fare nulla per danneggiarlo.
“Mag devi restare tranquillo!” sussurrò Catarina massaggiandosi le tempie “Ha avuto una commozione, è stato in coma per così tanti giorni, è normale, è davvero normale” “NO” la interruppe Magnus scuotendo la testa “Non è normale e lo sai, non mentirmi, Cat, almeno tu resta al mio fianco, non remare contro di me, ti prego” si accasciò contro uno degli armadietti, le guance ormai rigate di lacrime, le mani strette ai capelli “Mi sembra di essere finito all’inferno, Catarina” sussurrò, abbracciandosi le ginocchia, al che la donna si alzò e si sedette al suo fianco, tirandoselo tra le braccia “È come se gli ultimi cinque anni fossero stati vissuti solo da me, come se avessi immaginato tutti, capisci? E” sbuffò “E non ce la faccio più! Lo vedo così vuoto e freddo, così diverso, non è il mio Alexander” scosse la testa “Non dirmi che tutto andrà bene se sai che non è così, ti prego” si strinse di più tra le sue braccia, Catarina sospirava e asciugava le sue lacrime, era tutto davvero così difficile da sopportare per Magnus; si mostrava forte avanti ad Alec, si mostrava forte avanti ad Isabelle e Jace, si mostrava forte avanti a chiunque, eppure era così debole, così stanco; tutto quello che chiedeva era che Alec si ricordasse di lui. Il pensiero di non esistere nella sua mente, il pensiero che la loro storia, tutto quello che avevano dovuto affrontare, i sorrisi che si erano regalati, le lacrime che si erano asciugati, erano impressi solo nella sua, di mente, gli facevano venire voglia di piangere, piangere fino a star male.
“Magnus” deglutì Catarina “Quel colpo ha cancellato gli ultimi sei anni dalla sua memoria, non ricorda di aver perso Max, non ricorda di averti conosciuto, non ricorda di aver pubblicato un libro ed essere diventato famoso, non ricorda di averti sposato, non ricorda nulla di questi sei anni ma questo non vuol dire che non possa riprendere tutto quello che sembra perso. Il cervello è una spugna, quando si riempie puoi spremerla e farla tornare vuota, ma questo non vuol dire che perda la sua capacità di assorbire. È come una camera oscura, fino a quando non accendi una minuscola luce, non ci vedrai nulla. Buona parte del suo cervello è spento, ora, perché quella luce non funziona, ma riparandola tutto riprenderà come prima” Magnus annuì “Cosa devo fare per aiutarlo?”. La donna si morse il labbro inferiore “Quando ti ha visto è come se avesse subito capito che ti conosceva, che tu facevi parte della sua vita, l’ho visto nel suo sguardo” scosse la testa “È solo perché sono Magnus Bane, il suo regista preferito!” “È perché sei Magnus, l’uomo che ama. L’uomo che lo ha sempre sfiorato in quel modo così delicato e guardato con quegli occhi così dolci. In qualche parte nascosta del tuo cervello ti ricorda, ci sei. Devi solo illuminare quella parte!” annuì “Devo essere la sua luce” Catarina sorrise “Lo sei” rispose alzandosi per poi allungargli una mano “Fatti coraggio, Magnus” l’uomo la afferrò e la strinse tra le proprie braccia “Lo amo” sussurrò “E glielo farò capire”.
Si allontanò da Catarina, un peso sullo stomaco, la voglia di piangere eppure la felicità cucita alle sue ossa perché finalmente sarebbe riuscito a parlare con il suo Alec; dall’incidente era stato al suo fianco ogni momento, gli aveva stretto la mano mentre era in coma, si era fatto portare da lui sulla sedia a rotelle per guardarlo dormire beato, poi si era svegliato e non lo aveva riconosciuto e da quel giorno Magnus non si era più presentato in quella orribile camera d’ospedale, non fino a quando Catarina aveva inventato quella cretinata della beneficenza perché di lì a venti giorni Alec avrebbe lasciato l’ospedale e sarebbe tornato a casa, casa loro, che ormai si era trasformata solo in casa di Alec, dal momento che Magnus per prepararla al nuovo cervello di Alec aveva eliminato ogni sua traccia; dunque, secondo il piano malefico della sua amica, Magnus gli sarebbe stato vicino ventiquattro ore al giorno, e quello avrebbe aiutato suo marito a ricordarlo, a migliorare, ad andare avanti e portare con sì il suo cervello.
Non sapeva se quello sarebbe servito a qualcosa, eppure era pronto a fare di tutto, perché per il suo Alexander Magnus si sarebbe venduto persino l’anima.
 
Alec, che aveva fissato la porta da quando Magnus Bane era andato via, portò via lo sguardo velocemente, puntandolo verso la finestra, non appena il regista entrò in camera, illuminato dalla sua aura di bellezza.
Come era possibile che più lo guardava più sentiva di conoscerlo?
L’uomo andò a sedersi dritto sulla sedia al fianco del letto, accavallò le gambe e lo guardò proprio negli occhi e in quel momento Alec si chiese se era morto e quello era il paradiso.
I due si guardarono in silenzio negli occhi, tra di loro sembrava esserci un filo forte, indistruttibile ed inestensibile, che li legava stretti uno all’altro e Alec neanche sapeva spiegarsi come; nello sguardo di Magnus invece, sembrava esserci una risposta, ma a quanto pareva l’uomo non era disposto a fargliela vedere, dunque scostò lo sguardo a sua volta verso la finestra.
“C’è un bel panorama, qui, non è vero?” chiese, la voce leggermente tremante come se avesse appena terminato di piangere; perché un uomo fantastico come lui avrebbe dovuto mai piangere?
“Preferisco quello di casa mia” borbottò Alec puntando nuovamente lo sguardo su Magnus, ancora perso tra lo skyline del panorama.
“E come è quello di casa?” chiese, gli sembrava curiosità nella sua voce, e gli occhi, ora rivolti verso di lui, erano illuminati da una perla di speranza, o si sbagliava?
“Dà su un piccolo sprazzo di verde, amo l’aria fresca del mattino, che mi fa sentire l’odore di quell’erba!”.
Sul viso del regista sembrò passare un’ombra di disappunto quando annuì distrattamente e si girò verso la finestra nuovamente.
“Abiti a Brooklyn?” chiese nuovamente curioso, Magnus. Quelle domande avevano qualche secondo fine, Alec ne era certo, eppure non riusciva a scovarlo.
“No” disse, ritrovandosi a sperare che quello sguardo verse si posasse presto nuovamente nel suo.
“Non credo neanche di esserci mai stato a Brooklyn” rise leggermente, ma Magnus non fece altrettanto; annuì e finalmente ritornò a guardare nella sua direzione “Io abito lì” disse scrollando le spalle “Eh” deglutì nuovamente “E so che non lo ricordi, Alec, ma anche tu abiti a Brooklyn da un po’ di tempo, ti ci sei trasferito lì con tua sorella, Simon, tuo fratello e Clary. È successo più di cinque anni fa”.
Ecco. Ecco perché Magnus era contrariato dalle sue risposte; la sua memoria sembrava dissolta nel nulla, e lui non si sentiva più sé stesso, perché alla fine se non ricordi chi sei come fai a sapere chi sei?
“Lei come lo sa…?” sussurrò, completamente rosso.
“Chiamami Magnus, Alec. E dammi del tu, ti prego. Non abbiamo così tanti anni di differenza, mhm?” gli sorrise debolmente e Alec credette nuovamente di aver perso un paio di anni di vita, quel sorriso era così bello, seppur così triste.
“Tu come lo sai?” si corresse, allora, ridacchiando a sua volta, al che Magnus si morse il labbro inferiore, come cercando una risposta a quella domanda.
“Mi sono dovuto informare sul tuo passato e la tua vita. Sai com’è, sono il tuo operatore sanitario personale al momento e probabilmente lo sarò per un po’, no?” ridacchiò leggermente, mostrando finalmente ad Alec l’ironia per cui lo aveva tanto amato in passato.
“Come mai è qui, Signor Bane?” chiese, con voce tremante, al che Magnus gli lanciò uno sguardo infastidito, facendolo arrossire di più “Scusa. Magnus!”.
Si sentiva così dannatamente imbarazzato!
Certo, era sempre stato un tipo timido e chiuso, poco tendente ai contatti sociali; al liceo si era nascosto nell’ombra dei fratelli per tanto tempo, poi era cresciuto, aveva iniziato l’università e aveva iniziato ad aprirsi leggermente, eppure in quel momento si sentiva esattamente come quando andava al liceo.
Timido e inadatto.
Stava parlando con il suo mito! Il suo mito gli stava riservando attenzioni che neanche si sarebbe mai aspettato.
“Ho deciso di redimermi da tutti i miei peccati e come farlo meglio che aiutando il prossimo?” fece spallucce e poi si girò nella sua direzione, poggiando la schiena al sedile per poi accavallare le gambe e sorridergli.
“Redimerti? Da cosa?” Alec curioso? Non lo era mai stato così tanto in vita sua.
Vide nascere un altro sorrisino sulle labbra del suo interlocutore e una vocina nella sua testa gli disse che era inutile mentire a sé stesso, era sempre stato curioso, ci era nato curioso, e Magnus Bane lo rendeva ancora più curioso.
“Ognuno commette degli errori nella vita, ti pare?” alzò un sopracciglio al che Alec annuì; lui probabilmente non aveva commesso nessun reato ma di errori ne aveva fatti eccome.
“E credi che aiutarmi possa cambiare qualcosa?”.
“Magari può aiutarmi a cambiare me” disse, con voce profonda.
“Non c’è nulla da cambiare in te, sei perfetto” Magnus scosse la testa, parve decisamente infastidito da quell’affermazione, oh ma Alec non poteva sapere che quello sguardo accigliato e le labbra strette in una lunga linea dritta in realtà erano un modo per trattenere le lacrime; che in realtà sentirgli dire quella frase, di nuovo a distanza di così tanto tempo e in condizioni così diverse rispetto alla prima volta, gli faceva venire voglia di iniziare a piangere e morire nelle sue lacrime.
“Sembra che tu mi conosca molto bene, è così?” chiese, allora, con un velo di arroganza; perché Magnus era fatto così, quando doveva provare a nascondersi si rivestiva di insolenza e ironia.
“Ti seguo da tempo” Alec abbassò lo sguardo sulle proprie mani incrociate sul suo grembo, le guance rosse come il fuoco e il labbro inferiore torturato tra i denti.
“Mi segui?” rise amaramente Magnus.
“Amo i tuoi lavori e sono sempre stato interessato a te come persona in generale”.
Magnus rise, questa volta di gusto, al che Alec alzò lo sguardo nel suo, un punto interrogativo dipinto sul volto “Sei sempre così schietto” sussurrò scuotendo la testa; era quella una delle prime cose che lo avevano colpito di lui, la schiettezza con la quale gli aveva detto che se fosse stato per lui non lo avrebbe contattato mai, la schiettezza con la quale gli aveva detto che aveva accettato di vederlo solo perché era il suo mito ma aveva deciso di rimanere perché oltre quel nome che lo rendeva chi era, lui era molto altro, che si era innamorato di lui per la persona che era, non per il suo nome o il suo lavoro. Alec era stato così speciale.
“Sempre?” chiese, alzando un sopracciglio, al che Magnus si alzò per prendere un bicchiere d’acqua e berlo velocemente: aveva bisogno d’aria. Restare con quell’Alec che lo guardava ma non lo vedeva era talmente doloroso da diventare asfissiante.
“Le fonti di cui ti parlavo prima” disse, bevendo un sorso “Vuoi bere?”.
Alec scosse la testa e si mosse a disagio sul letto “Quali sono queste fonti?” domandò, curioso; Magnus finì il proprio bicchiere e poi gli si avvicinò, poggiandogli una mano sulla spalla. Alec si gelò sul posto, gettando lo sguardo nel suo, le dita di Magnus si fermarono sulla sua pelle e quasi non gli venne voglia di piangere: da quanto tempo non lo toccava? Da quanto tempo non lo toccava come avrebbe voluto? Gli mancava così tanto.
“Che ne dici di dormire un po’, mhm? Dovresti riposare! Alle due arriva il pranzo, alle tre avrai fisioterapia e alle cinque dovrai procedere con lo psicologo, perché non riposi un po’ ora che puoi?”.
Alec scosse la testa: non voleva dormire. Se si fosse addormentato e Magnus fosse andato via e non fosse più tornato? Magnus ci lesse smarrimento e speranza in quegli occhi, la stessa speranza che regnava nei suoi, la stessa speranza di chi desidera essere visto per davvero, di chi prima era tutto e ora è nulla.
“Dovresti, invece” sussurrò accarezzandogli la fronte per scostargli delle ciocce di capelli ribelli ricadute ovunque, al che Alec trattenne il respiro: c’era qualcosa nel suo stomaco che ogni volta che quell’uomo lo accarezzava, scoppiava facendogli sentire tante bollicine frizzanti, erano forse quelle le tanto famose farfalle? Era così strano e imbarazzante. Il tocco di Magnus gli sembrava l’unica cosa di cui avesse bisogno, tutto quello che desiderava dalla vita, e ne avrebbe voluto avere di più: avrebbe voluto spingersi verso di lui e baciarlo e no, non era la sua mente a fargli quel brutto scherzo, a spingerlo a pensare a quanto fosse bello e quanto in quel momento sembrasse fragile; era il suo corpo a fargli sentire quelle sensazioni, a volerlo spingere a farlo, perché il suo corpo sapeva qualcosa che in quel momento sfuggiva alla sua mente.
Le mani di Magnus accarezzarono delicatamente il suo collo per sollevarlo e aggiustare il morbido cuscino, per poi aiutarlo a posizionarsi meglio e rimboccargli il lenzuolo bianco.
“Mi” prese un respiro, stava per farlo, stava per rendersi ridicolo avanti all’uomo dei suoi sogni “Mi prometti che non andrai via?”.
Magnus aveva sperato di sentirgli dire quelle parole tante volte in passato quando Alec aveva fatto di tutto per rinnegare la sua sessualità e la loro relazione, e aveva quasi urlato di gioia quando lui le aveva pronunciate per la prima volta, la sera in cui avevano fatto l’amore per la prima volta.
In quel momento, però, tutto quello che voleva fare era scoppiare a piangere o scappare via, perché Alec, quell’Alec che lo stava pregando di restare non era lo stesso Alec che glielo aveva chiesto la prima volta e non lo voleva per gli stessi motivi di quell’Alec. Per questo Alec Magnus era solamente un mito, qualcuno che si è sempre amati senza neanche conoscerlo solo perché la stima per il suo genio riesce a superare ed inglobare tutto, e Magnus da Alec non aveva mai voluto quel tipo di amore.
“Sì” rispose, dunque, vedendo che il ragazzo non lasciava andare il proprio sguardo, poi si accasciò sulla sedia e lo guardò addormentarsi col sorriso dipinto sulle labbra.
Quel sorriso che era così diverso da quello che aveva imparato ad amare e che probabilmente non sarebbe mai più sorto su quelle labbra grazie a lui.
Ancora una volta, Magnus fu consapevole di aver perso Alec e di voler fare tutto per riprenderselo.
 

Spazio autrice.
EBBBBBBENE sono di nuovo qui, gente; lo avrete notato, è più forte di me: non riesco a stare per più di un mese senza Malec!
Ho finito di scrivere questa storia a settembre, ho deciso di postarla ora e so già che a breve inizierò a scrivere altro perchè mi mancano già troppo, mannaggia loro.
Chi mi ha già letto un pochino SA che amo l'angst e gente qui vi riempio di angst, ma amo anche il fluff e qui allo stesso tempo vi riempio di fluff.
Di una cosa dovete stare certi: non sarà la fine se non andrà tutto bene (a buon intenditore poche parole!).
Come sempre mi sono divertita con una AU questa volta Alec è uno scrittore e Magnus è un regista, chissà quanti prodigi potrebbero nascere da questi Malec, eh?
Nada, spero vi piaccia la trama, che il capitolo vi abbia incuriosite e che sia stato di vostro gradimento -e che vi abbia fatte piangere un pochino-.
Sarei felicissima di leggere cosa ne pensate (VANNO BENISSIMO ANCHE CRITICHE), quindi non siate timide, vi prego.
Vado a mangiare la pizza /e finalmente gioie!/.
A presto!
StewyT~

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** The darkness right in front of me it's calling and I won't walk away. ***


The darkness right in front of me it's calling out and I won't walk away.
 

 
Magnus scoppiò a ridere contorcendosi sotto il peso del corpo di Alec che lo sovrastava facendogli il solletico sulla pancia, e stuzzicando con la lingua il suo collo; oh, lo scrittore sapeva quanto quella lingua lo facesse impazzire e non si tirava indietro dall’usarla per fare avverare ogni suo desiderio più profondo.
“Alexander” rise Magnus aggrappando le dita alla sua schiena “Non abbiamo tutto il tempo del mondo” Alec fermò le mani e allontanò il viso dal suo collo per guardarlo dritto negli occhi, una punta di risentimento in quei pozzi blu “E invece sì” rispose abbassandosi poi a dargli un bacio sulle labbra “Tutto il tempo che vogliamo” disse sorridendo “Il tempo è nostro” e forse si sbagliava, forse no, ma quelle parole convinsero Magnus che lo tirò verso di sé per un vero grande bacio, uno di quelli che gli ricordava sempre il loro primo bacio, quello che si erano dati sotto il portico di casa sua e che si era approfondito sul divano di camera sua e poi sul tavolo di casa sua e poi sul letto di casa sua e lì era rimasto e sbocciato proprio come il loro amore.
Con velocità - perché nonostante avessero tutto il tempo del mondo, al Daniel’s, anche se aveva prenotato un’intera sala solo per loro due, non li avrebbero aspettati per sempre – posizionò Alec sotto il proprio corpo e si riprese la rivincita per essere stato spogliato qualche secondo prima, esitando sui bottoni della camicia di suo marito che lo guardava con quegli occhi languidi e pieni di desiderio che riuscivano sempre a farlo impazzire. Poggiò la lingua nell’incavo del suo collo - se c’era una cosa che avevano in comunque quella era la passione per i bacio e succhiotti sul collo, quello era il punto preferito di entrambi – e sorrise ai suoi mormorii di piacere e alle sue mani strette attorno al proprio sedere; lasciò stare il suo collo per dedicarsi con dedizione ad ogni piccolo spazio di pelle che veniva esposto da ogni bottone della camicia che saltava, sotto i sussurri estasiati di Alec che si contorceva dal piacere sotto il suo corpo, aggrappandosi sempre di più al suo sedere, fino a stringerlo completamente tra le proprie mani quando Magnus slacciò la cintura e i pantaloni scendendo sempre più in basso con i baci e la lingua “Direi” sussurrò ridendo quando vide l’espressione delusa sul viso di Alec “che potremmo fermarci qui, o la mia sorpresa fallirà” Alec amava Daniel’s, da quando Magnus lo aveva portato per la prima volta per il loro primo appuntamento era diventato il suo ristorante preferito, eppure non ci andavano spesso, solo nelle situazioni da festeggiare, anche se Daniel il proprietario amico di Magnus faceva molto molto spesso qualche eccezione alle leggi del ristorante consegnandogli cibo d’asporto.
“Vuoi dirmi che la tua sorpresa non è una infuocata notte d’amore?” si lamento Alec stringendo il bacino attorno al suo, e Magnus rise scuotendo la testa “Dopo, forse” gli sussurrò all’orecchio “Ora dovremmo proprio andare a prepararci” il giovane occhi blu sbuffò e fece leva su Magnus per alzarsi e far finta di avviarsi verso il bagno “Mi serve una mano a lavarmi la schiena” brontolò “Si è rotta la mia spugna allungabile” mise su un adorabile musino che fece ridere Magnus, ancora di più quando Alec lo prese per mano e lo spinse verso la doccia. Un’altra cosa che avevano in comune: fare l’amore sotto la doccia.
Era l’invenzione più intelligente del secolo: potevano lavarsi in due e quindi fare più in fretta e in più potevano darsi gioie a vicenda.
Magnus sorrideva, con gli occhi puntati su Alec che si massaggiava la pelle con una noce di bagnoschiuma al sandolo, ormai diventata solo schiuma, e non faceva altro che pensare a quanto fosse stato fortunato cinque anni prima a conoscere sua sorella su quel benedetto sito di incontri di cui neanche ricordava il nome; avrebbe benedetto i suoi amici e Isabelle per sempre, era grazie a loro che in quel momento stava assistendo allo spettacolo più eccitante della sua vita.
La schiuma bianca ricopriva ormai tutto il petto di Alec e le sue mani procedevano lente e circolari sul suo collo, poi nei suoi capelli, per poi posarsi sul corpo di Magnus ed iniziare a fare lo stesso: capelli, collo, schiena, braccia, petto, addome e poi “Oh Dio” gemette Magnus quando la bocca di Alec avvolse completamente il proprio membro eretto “Mhm?” chiese Alec guardandolo dritto negli occhi quando prese a muoversi lentamente in quel modo che sapeva faceva impazzire il povero regista che ancora una volta si ritrovò a nominare tutti gli angeli del paradiso. Era così fortunato ad avere qualcuno che si prendesse cura di lui in quell’adorabile modo. Magnus gemette il nome del marito quando quello aumentò la velocità dei propri movimenti ed iniziò a muovere la lingua con movimenti circolari attorno alla punta, facendolo impazzire totalmente; dopo così tanto tempo in cui stavano assieme, ormai, si conoscevano talmente bene da conoscere alla perfezione ogni punto debole, ogni zona erogena, ogni movimento preferito, gli spasmi che iniziavano ad arrivare quando il corpo si stava avvicinando all’orgasmo, e Alec come ogni altra volta capì che non mancava molto a Magnus prima di venire, dunque così velocemente come si era abbassato si alzò, lo prese in braccio e lo baciò; Magnus si aggrappò al suo collo e chiuse le gambe attorno al suo bacino, aspettando la sensazione di leggero bruciore seguita poi dall’ineguagliabile piacere che solo Alec riusciva a dargli, ma nonostante questo un piccolo gemito di piacere gli sfuggì dalle labbra quando il membro di Alec entrò completamente dentro di lui, facendolo sentire pieno e meraviglioso come sempre.
“Alexander” sussurrò Magnus prendendo a muoversi in direzione opposta assieme a lui, il viso di Alec era la cosa più bella al mondo: quelle sopracciglia scure, quella destra scalfita da una piccola cicatrice - che Alec gli aveva raccontato si era fatto in un corpo a corpo con Jace – a delineare un paio di occhi blu come l’infinito, quel nasino dritto e perfetto con la punta leggermente tendente verso la destra, quell’arco di cupido delineato che gli faceva venire voglia di morirci su, le labbra carnose e di quel naturale colore tendente al ciliegia, quegli zigomi alti e talmente affilati da fargli venire il dubbio che potessero affettargli il cuore a fettine da un momento all’altro.
Oh quel viso era la sua più grande debolezza, la sua più grande gioia: ritrovarsi quel viso così vicino al mattino quando si svegliava, era la sua più grande benedizione.
Alec era bellissimo, ma mentre faceva l’amore lo era se possibile ancora di più; gli occhi più lucidi, le guance rosse come il fuoco, le labbra dischiuse in quel cerchietto di piacere che lo faceva impazzire.
“Magnus” sussurrò Alec, gli occhi velati di piacere, le mani artigliate attorno alle sue spalle, le spinte sempre più profonde e veloci dirette verso la sua prostata e Magnus dovette soffocare le proprie urla di piacere sulle sue labbra; morse leggermente il labbro superiore delineando l’arco di cupido così come aveva desiderato fare dalla prima volta che lo aveva visto e poi scese alle labbra inferiori, mordendole e succhiandole, per poi infilare la lingua nella sua bocca per unirla con la sua in un valzer di piacere e godimento.
Magnus conosceva altrettanto bene il corpo di Alec quindi con una leggera spinta gli sussurrò all’orecchio “Aspetta” e poi gli diede un morsetto soddisfatto quando Alec annuì e uscì velocemente dal suo corpo, e altrettanto velocemente fu Magnus quella volta ad inginocchiarsi e prendere la sua erezione rossa e lucida completamente in bocca per stuzzicarla mentre Alec dava piacere anche alla sua.
E così, per la milionesima volta da quando si erano conosciuti, si amarono con così tanta passione da innamorarsi ancora di più mentre facevano l’amore.
E così, per la milionesima volta da quando si erano conosciuti, capirono quanto fossero importanti l’uno per l’altro, quanto l’aversi li facesse stare bene e contasse, quanto il loro amore sebbene fosse visto in modo cattivo da tanti occhi cattivi, fosse grande e puro.
E così, per la milionesima volta da quando si erano conosciuti e sposati, si lavarono, asciugarono e vestirono ridendo a crepapelle, guardandosi come se fosse sempre la prima volta, desiderando che restasse sempre tutto così perfetto; si baciarono e Alec gli sussurrò nell’orecchio che era bellissimo vestito e truccato in quel modo e Magnus rise chiamandolo ruffiano, poi lo spinse giù per le scale, nella macchina e poi dritti verso Daniel’s, anche se era ormai passata la mezzanotte e Daniel probabilmente lo avrebbe ucciso con le proprie mani. Ma qualcosa andò storto. Qualcosa fece scivolare le ruote della macchina che Alec guidava attentamente. Qualcosa fece girare in tondo la macchina. Qualcosa fece finire la macchina contro una vetrina con così tanta forza. Qualcosa fece sballare con così tanta forza Alec dalla macchina da finire fuori dal parabrezza e volare per quattro metri, finendo in una pozza di sangue. Qualcosa si ficcò nella gamba destra di Magnus –
“NO. ALEXANDER NO.” Urlò Magnus risvegliandosi di impatto per ritrovarsi completamente sudato sulla sediolina al fianco del letto di Alec che lo guardava con gli occhi blu dilatati e preoccupati.
“Magnus? Che succede?” chiese sporgendosi dal letto per poggiare una mano sulla sua spalla; Magnus, il viso interamente imperlato di sudore, cercò di trattenere le lacrime quando guardò suo marito e si rese conto che nonostante fosse passato ormai un mese da quando era stato lì per la prima volta, e ormai quarantacinque giorni da quando si era svegliato, Alec ancora non era suo marito.
“Ehi, Mag” il ragazzo scese dal letto, la grossa camiciona bianca che gli copriva completamente il corpo facendolo sembrare un fantasma. Il fantasma di sé stesso, pensò Magnus, dandosi subito dopo del cattivo.
Occhi blu lo strinse tra le proprie braccia e lui non si tirò indietro dal poggiare il capo sulla sua spalla e scoppiare in un mare di lacrime. Ormai era da un po’ che si conoscevano e Alec sapeva quanto Magnus fosse diverso da quello che appariva sui giornali e in tv, sapeva che era altro oltre al Bane le cui serie erano amate da tutti; sembrava forte ma in fondo era la persona più dolce e bisognosa d’affetto al mondo.
Magnus si strinse al ragazzo come se fosse stata l’unica ancora che gli restava, e forse era così, forse era proprio lui quello che lo stava facendo precipitare, forse no, fatto restava che le sue lacrime stavano inzuppando completamente la camiciona a cui era aggrappato singhiozzando come un bambino.
“Andrà tutto bene, vedrai” gli sussurrò in un orecchio e Magnus scosse la testa: no che non andava tutto bene.
Lui era lì in quella camera d’ospedale abbracciato ad un marito che non ricordava e pensava essere solo un suo amico. No che non andava bene.
“Ci sono io al tuo fianco” disse ancora Alec abbracciandolo forte; qualcosa dentro il suo corpo, dentro il suo cuore, persino nella sua mente, gli diceva che Magnus era molto di più di quello che riusciva a ricordarsi e lui si fidava di quella parte o forse semplicemente voleva fidarsi perché Magnus era l’unico uomo a cui avrebbe mai pensato di potersi legare e per pensava non avrebbe mai avuto un’occasione.
Ma stava avendo quell’occasione, lo stava abbracciando, stava piangendo tra le sue braccia e lui era lì inerme ad abbracciarlo senza poter fare nulla; ma cosa altro avrebbe potuto farlo?
Prenderlo con a forza e baciarlo assecondando così finalmente il suo corpo che gli chiedeva di farlo dal primo momento che lo aveva visto?
Gli sembrava di essere sempre più vicino ad un buco nero; quello che sentiva era un vortice nero che stava provando a risucchiarlo e lui non voleva tirarsene indietro, lui era lì, pronto, a farsi risucchiare da Magnus.
 
Quando la porta si spalancò e ne entrarono i fratelli Lightwood Alec si illuminò come il cielo quando sorge il sole e i piccoli dettagli sul suo viso – gli occhi luminosi, il sorriso più largo, quelle adorabili fossette agli angoli delle sue labbra – fecero venire da sorridere anche a Magnus, anche se a dire il vero erano ormai parecchi giorni che non trovava più alcun motivo per sorridere.
La prima volta che i fratelli – e i loro rispettivi partner- erano andati a trovarlo per Magnus era stato difficile fingere di conoscerli a malapena, ormai conosceva quei ragazzi quasi quanto le sue tasche, li aveva riacciuffati dalle peggio situazioni ed era stato al suo fianco in quelle migliori; prendere Alec era stato un po’ come prendere un pacchetto completo: Sposi Alexander Lightwood e ti ritrovi ad avere anche tu una famiglia.
Era da tanto che non ne aveva una, non che Ragnor, Catarina e Raphael non fossero all’altezza di una famiglia, e quindi ritrovarsi tra così tanta gente che lo amava e provava a stargli vicino in ogni modo lo faceva sentire così fortunato; Alec Lightwood lo aveva salvato, lo intendeva davvero la volta in cui glielo aveva detto, e lo aveva fatto in ogni modo possibile.
Amava ogni piccolo dettaglio di quei ragazzi che ormai erano diventati indispensabili quasi quanto i suoi amici; il carisma di Isabelle, la caparbietà di Clary, la forza ma anche la dolcezza – se si scavava in fondo era facile trovarla – di Jace e la simpatia di Simon, ogni singola caratteristica di quei ragazzi li rendeva speciali e unici ai suoi occhi. Purtroppo non aveva avuto la fortuna di conoscere Max, ma capiva da come ne parlavano tutti che avrebbe amato sicuramente alla follia anche lui.
Da quando era avvenuto l’incidente gli erano stati vicino davvero come una famiglia, riuscendo a non farlo sentire solo e perso neanche una volta; non era solo in quella battaglia e grazie a loro lo sapeva.
“Ehi” disse Izzy entrando come una bomba rossa dalla porta per andare dritto verso il fratello e stritolarlo tra le braccia “Ciao anche a te” rise lui dopo averla abbracciata, per poi abbracciare anche Jace “Ti trovo migliorato, sei quasi bello quanto me ora” scherzò il biondo dando poi una pacca sulla spalla a Magnus che si rifugiò subito dopo tra le braccia della bruna “Ehi” sussurrò lei al suo orecchio “È okay?” lui scosse la testa ma non disse nulla. Ci pensò Alec ad interrompere il momento di silenzio indicandoli, con un sorriso imbarazzato sul volto arrossato “Se Simon non mi avesse detto che ti ha chiesto di sposarlo, lunedì, giuro che inizierei a pensare ci sia una tresca tra voi due” Magnus sorrise distratto e Isabelle fece altrettanto, guardandolo con attenzione, mentre Jace, sedutosi sulla sedia dove prima c’era il regista scoppiò a ridere
“Magnus ha solo una persona per la testa ora. È un uomo fedele, lui” fece spallucce, al che Alec si morse il labbro inferiore “E dunque esiste una persona così speciale che io non conosco ancora? Come mai Signor Bane?” l’uomo guardò Jace fulminandolo, non sapendo cosa dire; in genere era un campione ad inventare scuse, se fosse esistito uno sport olimpionico sicuramente lui avrebbe vinto tutte le medaglie disponibili ma in quel momento aveva il vuoto più oscuro. “Non è in città” fece spallucce il biondo “Sono sicuro che appena tornerà verrà a conoscerti” Alec guardò di traverso Magnus corrugando la fronte alla sua espressione disastrata sul volto, e poi ritornò a Jace “A proposito di venire, quando mi porterete Max?”.
Silenzio assoluto. La camera fu avvolta da una nube di silenzio imbarazzante di cui sicuramente Alec si era accorto; poteva anche aver perso la memoria ma di sicuro non aveva perso le sue capacità cognitive, dunque spettò ad Isabelle, quella volta, deviare il discorso.
“A cinque minuti da qui” disse dando un pizzicotto ad Alec “Hanno aperto una deliziosa Bakery che sforna delle Red Velvet deliziose, proprio come piacciono a te. Che ne dici se io e Magnus andiamo a prendertene una fetta così gli facciamo respirare anche un po’ di aria fresca?”.
Alec era tentato dal dirle di no; non gli interessava granché della torta in quel momento, piuttosto voleva recuperare tutto quello che stava perdendo a causa della sua permanenza in ospedale, ma il viso di Magnus sembrava dicesse chiaramente ‘ho bisogno di uscire o muoio per asfissia’, dunque annuì sorridendo e li salutò sventolando la mano, venendo subito risucchiato in uno dei tanti discorsi logorroici di Jace Mille cognomi, sono biondo naturale.
 
Uscire da quell’ospedale per Magnus fu un po’ come rinascere; aveva sempre odiato gli ospedali, tutto quel bianco asettico che ingoiava ogni colore e stimolo di vita, la puzza di disinfettante, le espressioni di medici ed infermieri, il viso dei malati persino; e invece da più di un mese era obbligato ad essere costantemente a contatto con tutto quello, e non c’era sensazione più brutta, se non quella di guardare Alec e vedere quello sguardo così perso e diverso nei suoi occhi.
Il vento fresco gli scompigliava i capelli, ancora mezzi raccolti in un codino basso, e gli riempiva i polmoni di aria fresca e profumata, finalmente; Isabelle Lightwood al suo fianco lo faceva sentire in un certo senso più sicuro ma anche sotto controllo. Lo stava guardando, stava studiando minuziosamente ogni sua piccola mossa: dal modo in cui camminava, con le spalle ricurve e gli occhi bassi, al modo in cui respirava, con la bocca aperta e grosse inspirazioni quasi avesse fame d’aria; i Lightwood erano così intelligenti da non lasciarsi sfuggire alcun dettaglio, neanche quello dell’anello mancante dalle dita di Magnus, dei vestiti più logori quasi simili a quelli che metteva il fratello – quello era davvero il maglione preferito di Alec? – al viso scarno e senza trucco. Magnus aveva bisogno d’aiuto o non sarebbe uscito vivo da quella situazione.
“Magnus?” la voce dolce della ragazza si insinuò nella sua mente, risvegliandolo quasi dal torpore che si portava dietro da quando si era svegliato tra le proprie lacrime e gli sguardi spaventati del marito.
“Ho parlato con Catarina” disse Magnus, aveva bisogno di sfogarsi con qualcuno, era necessario per la sua salute mentale. “I medici dicono che potrebbe non ricordare mai più” disse fissando lo sguardo sulle proprie scarpe da ginnastica “E capisco che non sono l’unico che sta male, Izzy, davvero. So che voi state ancora più male di me per questa situazione è che… lui vi ricorda. Sa chi siete, quando vi guarda vede i suoi fratelli, quando lo guardate sapete che lui vede esattamente quello che siete e io? Quando guarda me vede solo un regista che ama e che per qualche motivo strano è venuto qui a fargli da aiutante ed è diventato suo amico. Non vede tutti i sacrifici che abbiamo fatto per stare assieme, le risate che ci siamo lasciati alle spalle, le lacrime che ancora ci perseguitano, i progetti che avevamo fatto per il futuro, quel benedetto sì che lo ha reso mio marito. Non vede tutto questo mentre io sì, io vedo l’Alexander che ho sposato. E non- non” finalmente, dopo così tanto tempo che aveva provato ad essere forte, a far finta di nulla, ad essere il solito Magnus Bane menefreghista, Magnus stava piangendo stretto tra e braccia di Isabelle che lo confortava con tutto il suo cuore. Ammirava quell’uomo per la forza che stava dimostrando di avere, ma doveva smetterla di fingere e doveva riprendere la propria vita in mano; solo in quel modo avrebbe potuto aiutare davvero Alec.
“Magnus” sussurrò “Non ti dirò che andrà tutto bene perché so che ti sei stancato di sentirtelo dire” ecco, la schiettezza dei Lightwood colpiva ancora, ed era una delle cose che più preferiva della loro famiglia.
“Ma ti dirò che devi smetterla, che non puoi andare avanti così! Non puoi fingere che vada tutto bene se dentro hai questo terremoto. Devi sfogarti! Hai noi, hai i tuoi amici, non sei solo in questa guerra contro la memoria di Alec e non puoi vincerla se ti arrendi e francamente, Magnus, ti stai arrendendo” gli prese le spalle e sebbene fosse decisamente più bassa di lui, portò gli occhi nei suoi, nero come la pece contro verde oro liquido. “Non lo sto facendo” provò a contestare lui ma entrambi sapevano che sì, lo aveva fatto dalla prima volta in cui aveva messo piede in quella camera e non era da lui: Magnus BAne non si arrende non lo avrebbe fatto neanche quella volta.
“Mio fratello si ricorderà di te e se non dovesse succedere si innamorerà nuovamente di te e so che può non sembrarti giusto ma spetterà a te parlargli di voi due e fargli rivivere tutto quello che siete stati perché solo così potrete riprendere da dove eravate rimasti. Basta deprimersi e pensare, Magnus! Ritorna l’uomo di cui mio fratello ha perso la testa! Ritorna te stesso, con i tuoi abiti scintillanti, i tuoi capelli sparati in aria, i tuoi glitter” gli accarezzò il viso e gli sorrise “Ritorna a vivere e vedi che in questo modo aiuterai anche Alec”.
Magnus la guardò a bocca aperta e poi annuì, concedendosi un momento per abbracciarla prima di ringraziarla, accompagnarla a prendere quella famosa torta dal momento che Alec di sicuro si stava chiedendo se fosse stata inghiottita da un forno, e poi la lasciò andare da suo fratello preferendo andare a casa per darsi una sistematina e guardarsi attorno.
Fece una doccia veloce, mise su i jeans più attillati che aveva con la sua viola preferita – con tanto di primi quattro bottoni aperti- lasciò i capelli sciolti e mise un filo di burrocacao; diede a Presidente Miao le attenzioni che purtroppo non stava ricevendo da tempo; si concentrò su ogni piccolo particolare della casa facendo in modo da cancellare ogni sua traccia, persino i vestiti erano stati poggiati in una valigia posizionata nella camera degli ospiti. Tutto era perfetto, quella era casa di Alec Lightwood, Magus Bane non ci aveva mai messo piede prima, ma sperava di poterci restare per sempre.
Si guardò un’ultima volta allo specchio e poi attorno, prese le chiavi della macchina e raggiunse Alec per l’ultima notte in ospedale: l’indomani sarebbero tornati a casa e da lì, sarebbe iniziata ufficialmente la missione per riprendere quanto era rimasto del suo rapporto con suo marito e aiutarlo quanto più possibile a ritornare sé stesso.
 
Perché con Alec era sempre stato in quel modo: si era sempre sentito come circondato da un buco nero, sempre in ansia, sempre sul chi va là, sempre con quell’eccitazione crescente nelle vene; quello che sentiva per Alec, da quando lo aveva conosciuto, era diventato un buco nero che provava a risucchiarlo e lui anche quella volta non se ne sarebbe tirato indietro. Amava il suo Alexander, avrebbe fatto qualsiasi cosa per lui.
 
 


Spazio autrice.
Ehilà, come va la vita?
Io sono suuuuper felice perchè ho iniziato a scrivere una nuova AU Malec, amo quando mi vengono le idee da un momento all'altro e non riesco a staccarmici fino a quando non le metto su carta.
Btw grazie per aver messo questa storia tra le seguite/preferite/ricordate e altro. Mi farebbe piacere anche leggere qualche recensione, giusto per capire se mi state odiando a causa di tutto questo angst o boh, se la storia semplicemente vi fa schifo.
A presto, spero :3

StewyT~

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** AVVISO. ***


AVVISO SOSPENSIONE
Salve gente, come va la vita?
Come avrete notato dal titolo non state per leggere un capitolo; ho deciso, infatti, di sospendere la pubblicazione della storia fino a data da destinarsi.
Purtroppo la storia non sembra stia piacendo troppo e io ho sempre meno tempo - e onestamente preferisco dedicare questo tempo alla stesura di una nuova AU Malec piuttosto che alla correzione e alla pubblicazione di capitoli che non vengono molto considerati.
Spero di tornare presto con la nuova storia che sto scrivendo, nella speranza che possa piacervi ed accattivarvi proprio come sta facendo con me.
Grazie per l'attenzione.
Baci, amore e Malec sempre e comunque!
StewyT~

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Would you like to stay forever? ***


Would you like to stay forever?



“Wow” Alec si guardò attorno meravigliato prima di togliere la giacca e lasciarla cadere su una sedia dell’isola enorme della cucina “Non ricordavo di avere una casa così bella” aveva gli occhi persi, quasi il suo cervello stesse pensando ad altro. Magnus era stato arrabbiato con quell’adorabile cervello per un po’, perché nonostante gli sforzi proprio non era capace di ritornare a ricordare, ma solo in quel momento si accorse di quanto stesse soffrendo anche Alec e a non ricordare; a quanto tutto potesse sembrargli sbagliato, improvvisamente qualcuno gli imponeva una vita che non ricordava di aver costruito, persone che non ricordava di aver amato, morti che non ricordava di aver affrontato.
Solo in quel momento, guardando la sua espressione persa Magnus si rese conto di quanto fosse stato forte Alec a far finta di nulla quando dentro il suo cervello doveva esserci una nube che lo faceva sentire offuscato e perso; gli toccò una spalla, facendolo tornare alla realtà e gli sorrise “È okay?” gli chiese stringendolo.
I loro rapporti erano diventati più ampi, in realtà a Magnus sembra di essere tornati nel periodo in cui si frequentavano e uscivano, solo senza baci e orgasmi da urlo e gli stava bene, seppur fossero tornati ad essere una coppia a tutti gli effetti, anche se il pensiero di quanto sarebbe stato ingiusto stare con una persona che non ricordava di averlo già amato gli incendiava l’anima; e se Alec non lo avesse voluto più e avesse voluto provare ad avere altro?
“È okay” gli sorrise girandosi verso di lui “È solo che è sai, come dire…”
“Strano?” chiese Magnus accarezzandogli una guancia che subito andò a fuoco facendo maledire l’uomo per quello che aveva fatto, Alec abbassò il capo quasi volesse farsi avvolgere dalla mano di occhi verdi e poi annuì “Strano, sì, è la parola giusta” rise imbarazzato alzando lo sguardo blu in quello di Magnus.
Per un momento si guardarono dritti negli occhi: blu nel verde e Alec si sentì affogare in quei due prati dorati, erano così belli e profondi, dicevano così tanto eppure lui sembrava aver perso la capacità di ascoltarli, ma sapeva bene di averla avuta in passato; sapeva che Magnus, Isabelle e Jace, tutti quelli che lo circondavano gli stavano tenendo nascosto qualcosa, perché non era possibile provare quello che lui provava per Magnus solo dopo un mese. Non era possibile sentire quella cosa nello stomaco, il cuore battere così veloce, il cervello cercare di dirgli qualcosa, e non aver conosciuto prima quell’uomo.
Non sapeva spiegarsi quelle sensazioni, non sapeva spiegarsi quella situazione e non sapeva spiegarsi il proprio comportamento; non era mai stato aperto alle novità, alle persone che arrivavano di soppiatto nella sua vita eppure per Magnus era stato così e lui si era dimostrato assolutamente pronto ad accoglierlo, a volerlo sempre di più nella propria vita come se già ci fosse una calca del posto che avrebbe dovuto assumere all’interno della sua quotidianità. Non si riconosceva e se fosse a causa di quegli anni che aveva dimenticato o a causa di quello che quell’uomo gli faceva provare non sapeva spiegarlo, sapeva solo che in quel momento non si sarebbe limitato a guardare quei meravigliosi occhi se fosse stato lui; e sapeva che quello non era proprio quello che avrebbe fatto l’Alec che ricordava di essere.
“Alexander” sussurrò Magnus così vicino, e la schiena di occhi blu fu percorsa da una scarica elettrica diretta proprio verso il suo cervello; nessuno lo chiamava mai in quel modo dall’ultima volta in cui lo avevano fatto i suoi genitori prima che andasse via di casa, e odiava quel nome. Ma pronunciato da quelle labbra, con quell’intensità, come se non ci fosse parola più bella, come se l’avesse pronunciata per i passati cinque anni come una preghiera, era la cosa più attraente e bella di sempre.
Alec deglutì e si maledisse quando Magnus si allontanò massaggiandosi le tempie, di sicuro gli era sembrato un pesce lesso, maledetto lui!”
“Ti va di- di” cosa stava per fare? “di restare?” e no, non intendeva per cena o per la notte.
Ti va di restare per sempre? Sarebbe stata la domanda giusta da fare, ma era presto, si conoscevano da troppo poco – anche se così non gli diceva il suo istinto – e Magnus non sembrava neanche granché interessato a lui, in più a quanto diceva Jace aveva già una persona nella sua vita, e sebbene la cosa gli facesse ribollire il sangue nelle vene, non poteva farci nulla.
Magnus si morse il labbro inferiore e annuì “Effettivamente non ho dove andare” rise, scompigliandosi distrattamente i capelli “Catarina mi ha cacciato di casa” scosse la testa e nascose un sorriso allo sguardo confuso di Alec “Posso chiederti come mai?” “Certo” annuì Magnus “Ho organizzato un ehm orgia a casa sua” rise all’espressione sconvolta di Alec, le guance infuocate e gli occhi sgaranti.
“Co-cosa?”.
“Era solo per divertirmi un po’” scherzò lui.
Era sempre stato bravo ad inventare scuse, certo, ma quella faceva davvero davvero pena.
“Ma Jace ha detto che tu…”
“Prima” cercò di migliorare almeno la situazione “Prima di conoscere..”
“Oh” Alec scosse la testa e si avvicinò al frigo per prenderne un bicchiere d’acqua e bere.
“Allora?” chiese poi, girandosi nuovamente verso di lui, un grosso sorriso sulle labbra.
“L’alternativa sarebbe andare all’hotel DuMort, è di Raphael e sicuro ci sarebbe una camera per me ma sono così stanco”.
In realtà desiderava dal primo momento che ci aveva messo piede restare in casa loro, lì dove era nato il loro amore anche se in quel momento non ce n’era traccia, e il fatto che Alec glielo avesse chiesto lo rendeva così felice.
“Resta, allora” aggiunse Alec come per convincerlo ulteriormente “Non mi va di restare solo” e in parte era una bugia: non gli andava di restare solo, certo, ma l’unica compagnia che desiderava era la sua.
“Per stasera…” provò a dire il regista prima di essere interrotto da occhi blu con un “Per sempre”.
Magnus nascose un risolino felice e lo guardò dritto negli occhi, Alec però abbassò lo sguardo, sembrava non riuscire a tenere il confronto e la cosa faceva impazzire Magnus; quanto avrebbe voluto alzargli il mento e baciarlo come aveva fatto il primo giorno in cui si erano visti.
“Intendevo dire…” Alec era completamente rosso in viso, aveva le mani nei capelli e stava per iniziare a balbettare, era visibilmente imbarazzato e la cosa lo faceva divertire.
“Cosa?” alzò un sopracciglio.
“Che se vuoi possiamo essere coinquilini?” ecco, così andava meglio, pensò Alec sentendo diminuire il rossore sulle proprie guance.
“Ne sei certo? Non sono il migliore dei coinquilini!” alzò le mani in aria, e Alec rise allungandogli una mano “Affare fatto. Tutto quello che non voglio è il migliore dei coinquilini, ci sono già io per quello” Magnus rise e prese la sua mano stringendola tra le proprie “C’è una cosa che…” si morse il labbro inferiore “SE accetti me saremo in tre” disse allontanandosi verso la porta di vetro che divideva l’enorme spazio giorno dallo spazio notte dove prendevano posto due camere da letto e un bagno.
“Cosa?” chiese Alec, temendo il peggio, quando lo vide aprire una porta, entrare nella camera degli ospiti e uscirne subito dopo con una palla di pelo tra le mani “Lui è Presidente Miao” disse indicandogli un gatto piccolo con il manto bianco e tigrato, due enormi occhi verdi come quelli del padrone e un’adorabile musino rosa che non appena lo vide iniziò a muoversi velocemente dalle braccia del padrone per scendere e infilarsi tra le gambe di Alec che non si fece scappare l’occasione si abbassarsi, prenderlo tra le braccia e iniziare a coccolarlo sotto lo sguardo addolcito di Magnus che si lasciò sfuggire un sospiro.
“È adorabile” disse Alec dandogli un bacio tra gli occhietti “Davvero! Può restare tutto il tempo che vuole”.
“Piaci a Presidente” osservò Magnus come la prima volta in cui lo aveva visto approcciarsi a quell’adorabile essere umano “È una cosa buona?” chiese, al che Magnus annuì “Non posso convivere con chi non piace al mio gatto anche se” allungò una mano per dare un piccolo buffetto sul musino del gatto “Presidente è un traditore! Ha subito lasciato le mie braccia per quelle più grandi e muscolose di un attraente giovane dagli occhi blu” sbuffò ridendo subito dopo “Allora siamo dei tuoi?” chiese dirigendosi verso lo sportello degli alcolici sotto lo sguardo preoccupato di Alec che annuì “Bene” batté le mani “Dobbiamo festeggiare, allora” disse sfregando le mani tra di loro per poi aprire il mobiletto e cacciarne fuori più bottiglie di quante Alec pensasse potessero starcene dentro; il giovane ancora con il gatto tra le braccia fece spallucce e andò a sedersi dritto sul divano viola che dava su un’enorme finestra da cui riusciva a vedersi tutto Brooklyn; quello era il suo angolo preferito della casa, aveva deciso.
Dopo qualche minuto Magnus tornò da lui, si sedette al suo fianco sul divano e gli cedette uno dei due bicchieri che aveva tra le mani.
“A noi due” disse il regista “Anzi, a ni tre” rise facendo scontrare i loro bicchieri; Alec guardò il bicchiere contenente un liquido scuro con diffidenza, poi osservò Magnus prenderne un sorso, leccarsi le labbra e deglutirle muovendo il pomo d’adamo e quanto avrebbe potuto fiondarsi su quel pomo e baciarlo e baciare il collo di Magnus fino a sentirlo ansi “Alexander?” grazie a Dio Magnus interruppe i suoi pensieri degenerati e lo portò alla realtà; alle loro gambe che si sfioravano, a Presidente Miao tra le proprie braccia, al bicchiere tra le mani, e dunque si decise ad assaggiarne un po’, pentendosene subito dopo quando lo colpì un attacco di tosse e un fortissimo conato di vomito “Non ti piace?” chiese Magnus divertito, posando il proprio bicchiere ormai vuoto sul tavolino di fronte al divano. “No, no, è fantastico” disse Alec con le lacrime agli occhi; che diavolo era quella roba schifosa in quel bicchiere? Doveva berlo tutto o Magnus se la sarebbe presa?
“Dà qua” rise Magnus prendendolo dalle sue mani per scolarselo in un secondo “Non sei mai stato incline agli alcolici” fece spallucce e rise, poggiando la testa sul divano.
“E tu come lo sai?” chiese Alec sedendosi più comodo, la schiena poggiata al bracciolo del divano, il corpo completamente proteso verso quello dell’amico.
“Le fonti di cui ti parlavo la prima volta che ci siamo parlati” scrollò le spalle e poi girò il viso verso il panorama.
“È bellissimo, non è così?” chiese, il fiato sospeso come ogni volta che guardava la meravigliosa città in cui aveva avuto la fortuna di crescere e vivere “Sembra un sogno” disse.
“Anche questo sogno ha i suoi demoni” aggiunse, però, Alec con voce roca; quanto avrebbe voluto spingersi un po’ più verso di lui e catturare le sue labbra, e immergersi nuovamente nei suoi occhi blu. Gli mancava.
“L’importante è non farsi affogare dai propri demoni, no? Questa città ci riesce alla grande” voltò il viso verso il suo e gli sorrise “Dovremmo stabilire delle regole per il vivere civile, non credi?” scherzò Magnus.
“Hai bisogno di regole da rispettare per non commettere guai?” continuò Alec.
“In realtà ho bisogno di regole da aggirare” rise mordendosi il labbro inferiore. “Cosa non vorresti mai dal tuo coinquilino?”.
“Che portasse estranei a casa” rispose senza pensarci due volte su Alec, e non solo perché qualche parte del suo cervello gli diceva di essere tremendamente geloso di quell’uomo.
“A proposito, Jace ha detto che hai qualcuno…”.
Magnus annuì pensando che prima o poi l’avrebbe fatta pagare amara a quel benedetto biondino.
“È una cosa seria?” chiese curioso.
“Lo è” sussurrò Magnus “Sono innamorato come poche altre volte in vita mia.”.
Occhi blu annuì, accogliendo il colpo in pieno petto “È una lei…?”.
“Ho avuto una donna importante nella mia vita. Si chiamava Camille” e si è messa parecchio tra noi due in passato, ci siamo persino lasciati a causa sua, ma questo evitò di dirlo. “È stata fondamentale per la mia uhm relazione attuale. No, è un uomo” concluse deglutendo. Alec era già pronto a fare una nuova domanda, a chiedere qualcosa come ‘perché non me ne hai parlato se è così tanto importante?’ anche avendo paura, tremendamente paura della risposta che avrebbe potuto ottenere. “E non mi va di parlane, perdonami” sorrise amaramente e Alec annuì. “Affare fatto, comunque. Giuro che non porterò nessun estraneo in casa tua”.
“Nostra” disse a quel punto lui, sorridendogli. “Tu cosa non sopporti per nulla in un coinquilino?”
“Che rubi il mio gatto” sbottò Magnus facendo ridere Alec che abbassò lo sguardo verso Presidente.
“Non è colpa mia, giuro” provò a difendersi “È che è adorabile e già non posso fare a meno di lui” scrollò le spalle e Magnus si allunò a tirare un orecchio del gatto “Sei un traditore, palla di pelo” Presidente Miao alzò la testolina solo per lanciargli uno sguardo infastidito, alzarsi, fare un giro sulle gambe del ragazzo e acciambellarsi con il sedere verso il padrone “Mi sa che è stato il mio gatto a rubare il mio coinquilino e non viceversa, giusto?” rise. Gli sembrava di essere tornato per un attimo ai vecchi tempi; alle serate passate tranquillamente sul divano a parlarsi della giornata passata, a guardarsi negli occhi e a conoscersi.
Il silenzio si insinuò tra loro due, diventando sempre più pesante ed imbarazzante; Alec guardava Magnus, Magnus guardava Alec, Presidente dormiva sulle sue gambe e una strana elettricità correva tra i loro corpi, quasi entrambi sapessero che c’era qualcosa in più tra loro due.
“Va tutto bene?” chiese Alec ad un certo punto notando l’espressione sul viso di Magnus che annuì e si mise a sedere “Dobbiamo decidere le nostre regole” incrociò le gambe e puntò i gomiti sulle ginocchia.
“Che ne dici di prenotare una pizza prima? Muoio di fame!” sbottò Alec prendendo il proprio cellulare per selezionare il numero di Taki “Che pizza prendi?”. Era da tanto che nessuno gli faceva più quella domanda; ormai i suoi gusti erano stampati nella mente di Alec proprio come se fossero propri e viceversa, e fu quello a ricordargli che stava parlando con un Alec diverso dal suo, che in quel momento non era con suo marito ma con un ragazzo per cui provava comunque qualcosa. Era tradimento quello?
“Classica con aggiunta di peperoni” e così Alec ordinò una classica e una classica con peperoni come faceva ormai da cinque anni almeno una volta a settimana; Alec amava la pizza.
“Prima cosa” Alec si aggiustò meglio sul divano al che Presidente scocciato da quei continui movimenti alzò la testa, diede ad Alec il culetto e poi scese per andare a nascondersi nella camera da letto principale “Pizza o sushi?” chiese puntando un dito contro Magnus “Da questo dipende la nostra amicizia”.
Amicizia: che gli era saltato in mente di dire? Lui non voleva essere amico di Magnus!
L’uomo dai tratti asiatici sorrise “Sushi. Mi dispiace, Alec” disse fintamente imbarazzato.
“Diamine, Magnus! Stava andando tutto così bene! Come fai a preferire del pesce crudo ad una meravigliosa pizza?”. Il regista scosse la testa “Tu cosa preferisci?” chiese divertito “Pizza, credevo fosse stato abbastanza chiaro” annuì “Cosa preferisci nel sesso?” chiese poi dal nulla, facendo scoppiare Alec in una grossa crisi di tosse dovuta ad un groppo di saliva andato storto; Magnus scoppiò a ridere e scosse la mano avanti ai suoi occhi “Scherzavo!” rise piegandosi in due “Se non ti va dirmelo…” era così divertente vederlo arrossire in quel modo, certo, ma lo aveva fatto anche per un secondo motivo; quando lo aveva conosciuto Alec a stento accettava la sua sessualità, ora?
Quando si fu ripreso, con le guance rosse e gli occhi lucidi per lo sforzo disse “Uomini” poi buttò la testa sul cuscino “E non l’ho mai detto prima ad alta voce” rise “Mi fai dire cose che non pensavo di dire” Magnus annuì “Io gioco per entrambe le squadre” si morse il labbro inferiore “Ma sono un essere estremamente fedele. Tu?” alzò un sopracciglio, divertito dalla prossima domanda che già pregustava di fargli.
“Anche io. Credo che alla base di una relazione debbano esserci fiducia e fedeltà” “E sesso” concluse Magnus “Del buon sano sesso! Sei top o bottom?” Oh sapeva bene cosa preferisse Alec a letto ed era certo che con quello il suo cervello non avesse molto a che fare, ma amava vederlo imbarazzato; vedere le sue guance rosse era, da quando lo conosceva, una delle cose che preferiva al mondo.
“Io- io” si buttò la testa tra le mani e represse un pianto disperato “Che domande mi stai facendo Mag? Davvero?” Magnus rise “È importante da sapere, sai nel caso…” “In che caso?” sbuffò Alec “Nel caso dovessi entrare e chessò, sentirti ansimare il nome di qualcuno? Vorrei sapere se il mio coinquilino si porta a letto uomini o donne, non che mi darebbe fastidio se ci portasse entrambe! E mi interessa sapere se aprendo la porta troverei il mio coinquilino sopra o sotto. Non che tu non possa stare sotto pur essendo top, certo!” Alec pensò di essere così tanto vicino all’autocombustione da morire; avrebbe ucciso Magnus prima o poi, ne era certo “Non è il caso. Non mi sentirai mai ansimare perché non verrà mai nessuno nella mia camera da letto” ‘A meno che non voglia venirci tu’, si disse mentalmente ma ovviamente quello era meglio non dirlo.
“Io sono switch, se ti fa piacere saperlo” aggiunse Magnus scrollando le spalle sempre con quel sorrisetto maledetto sulle labbra. “Ci-cioè?” chiese Alec. “Dipende dalle situazioni, insomma. E dal mio stato d’animo e da quello del mio partner” concluse ridendo “Ma forse tu ancora non sai cosa preferisci?” chiese e Alec annuì, sconfitto. L’unica cosa che la sua testa continuava a ripetere era un persistente ‘voglio morire’ diventato ormai un mantra. “Non ho molta esperienza” finì, sperando che il ragazzo lasciasse cadere l’argomento, ma Magnus non era della stessa idea. “Non hai mai fatto sesso?” chiese divertito; oh certo che lo aveva fatto e in ogni modo immaginabile; possibile che il suo corpo non lo ricordasse?
“Non che io ricordi” ammise Alec “E sarei molto contrariato se lo avessi fatto e non lo ricordassi. Vorrei ricordare la mia prima volta”.
Magnus annuì pensando che se non se la fosse mai ricordata, prima o poi gli avrebbe rinfrescato lui la memoria.
“Posso fare io una domanda, ora? Di sicuro sono meno imbarazzanti delle tue” scosse la testa “Sei pessimo a fare domande per conoscere il tuo coinquilino, davvero, Mag” Magnus scoppiò a ridere seguito da un Alec leggermente più rilassato “Domanda, allora!”.
“Genere preferito di film?”.
Magnus annuì “Le tue domande fanno schifo, Alec. Commedia romantica, comunque”.
“Horror” disse invece Alec “E soprannaturale” Magnus gli puntò un dito contro “Se ami anche gli splatter tra noi è finita!” mise su un finto muso offeso.  “TI prego, non chiudere le cose tra noi due solo per questo mio piccolo difetto, ti scongiuro!” lo prese in giro Alec aggrappandosi al suo braccio.
“Rispondi bene a questa domanda, Alexander, o uscirò immediatamente da quella porta!” gli puntò un dito contro e Alec annuì “Gelato o Red Velvet”. “Ohhhh” Alec alzò gli occhi al cielo “È difficile Magnus! Sai che amo la Red Velvet ma qualcosa sul tuo viso mi dice che vorresti sentirmi dire gelato?” Magnus annuì “Guarda il lato positivo, non ruberò mai le tue scorte di gelato dal freezer, lo giuro!”.
“Alexander” Magnus iniziò ma le loro pizze li interruppero sul più bello “Sei decisamente stato salvato in calcio d’angolo, Fiorellino”.
“Fiorellino?” fece Alec alzandosi per andare a pagare le pizze “Preferisci biscottino?” gli urlò dietro Magnus; Alec tornò con le loro pizze fumanti tra le mani e due birre prese dal frigo, posò tutto sul tavolino e Magnus lo guardò minaccioso “La mia parte?” chiese “Oh avanti Magnus siamo coinquilini, non posso offrirti neanche una pizza?”. Magnus scosse la testa “No che non puoi a meno che questo non sia un appuntamento!” Alec rise “Oh bene allora questo è un appuntamento”. Prese la propria pizza e ne assaggiò un pezzo, mormorando frasi sconnesse che fecero sorridere il regista; usava quel tipo di parole e frasi e mormorii quando era in piena fase godimento e glielo aveva sentito fare solo a letto e a tavola; quel ragazzo era oro colato.
“Smettila di fare così Alexander” Lo rimproverò ridendo Magnus “Questi mormorii mi fanno fare strani pensieri!” sbottò. “Tipo?” chiese lui leccandosi le labbra. “Tipo te nudo su questo tavolo” rise Magnus prendendo un morso dalla propria fetta. Alec rischiò ancora una volta di morire e Magnus ne fu altamente divertito “Posso spogliarmi dopo aver finito la pizza?” provò a scherzare anche lui “Posso aiutarti io, dopo” concluse Magnus bevendo un sorso di birra.
“Comunque” Alec gli puntò un dito contro “I giorni pari cucino, o meglio ordino io e tu lavi. I giorni dispari ordini tu e io lavo. Ci stai?” Magnus annuì “Oggi è un giorno dispari, però” Alec gli puntò un dito contro, ancora; quelle dita così lunghe e adorabili! “Oggi sei mio ospite” Magnus rise “Non avevi detto che questo era un appuntamento?” “Vero” acconsentì Alec “E quindi dopo mi accompagnerai alla porta di camera mia e mi darai il bacio della buonanotte?” scherzò Magnus e Alec rise ormai imparando a riconoscere le battute e a cercare di apprezzarle, in fondo scherzava. Era fidanzato, innamorato, aveva qualcuno, non era reale?
Non poteva essere reale, altrimenti non ci avrebbe pensato su due volte prima di deciderci che ci stava completamente, che era pronto ad andare oltre la loro amicizia anche se era passato così tanto poco da quando si conoscevano. Il suo cuore glielo diceva: era pronto per qualcosa con quell’uomo.
“Qualche volta” disse Alec cercando di sviare l’argomento “Voglio fare una maratona di In the shadow world con te e voglio che tu mi spieghi esattamente cosa c’è dietro quella serie tv e dietro il personaggio di Matt, è quello in cui più mi riconosco.”.
Magnus annuì, ricordando quelle parole; Alec gli aveva già detto quanto si ritrovasse in quel personaggio e lui aveva pensato che era una bella beffa del destino il fatto che invece si ritrovasse alla perfezione in Harry e che alla fine entrambi erano finiti assieme. Shumdario –quello era il nome della ship dei due personaggi della serie-  contro Malec –quello era il nome che Simon aveva affibbiato alla loro ship - .
“Io mi riconosco in Harry” disse Magnus “E ci sto quando vuoi!” gli fece un occhiolino “Io invece voglio sapere di più sui tuoi libri. Potremmo lavorare a qualcosa assieme basato su un tuo libro, no? Isabelle mi ha parlato di un progetto di nome Utopia? Mi sembra fantastico! E Anche Runaway mi intriga! Devi parlarmene”. Alec annuì e gli sorrise.
Quella sera Alec e Magnus erano tornati per un attimo i Malec che Simon amava; Magnus si sentiva come se non fosse successo nulla, come prima, quando flirtava liberamente Alec e Alec si sentiva scombussolato e confuso proprio come si era sentito le prime volte che lo aveva visto, in un’altra vita.
E che quella fosse un’altra vita o solo un’altra fase di quella vita, a Magnus non interessava.
In quel momento fu certo che tutto si sarebbe aggiustato perché per Alec valeva la pena pagare qualsiasi prezzo. Amava quella sensazione di calore che aveva nel cuore e sì, sarebbe restato per sempre al fianco di quel magnifico essere umano se glielo avesse davvero chiesto.


Spazio autrice.
E più di un anno dopo, ecco che ho deciso di riprendere la storia!
Forse mi odierete, forse no, boh: praticamente non scrivo dei Malec da un po', purtroppo, e mi mancano quindi ho deciso di riprendere a leggere qualche vecchia storiella e mi è capitata questa e siccome sono in mood angst ne sono stata ben felice e ho pensato di spargere un po' di tristezza anche qui su, sperando che siate felici di vederci ritornare :3

StewyT~
 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** How to live with a crazy roommate and other disasters. ***


How to live with a crazy roomate and other disasters.

 
I seguenti trentacinque giorni furono un esempio di pazzia e spasso totale; vivere con Magnus era la cosa più divertente e insensata di tutti i tempi. Alec ormai andava a dormire con il sorriso sulle labbra e sapeva che quando si sarebbe svegliato sarebbe stato ancora meglio perché il suo coinquilino pazzo di sicuro avrebbe trovato un modo per creare qualche disastro e farlo ridere; nonostante questo la pressione di tutto quello che aveva dimenticato lo faceva sentire senza aria nei polmoni, quasi fosse sul punto di affogare nella propria mente. Voleva tornare a ricordare. Sapeva che Magnus c’entrava qualcosa col suo passato, sapeva che c’era dell’altro da sapere sul suo passato, sapeva che c’era un motivo per cui Max non si era ancora fatto vivo – purtroppo ricordava quello per cui i suoi genitori non si erano più fatti vivi -.
Prima o poi avrebbe scoperto tutto, sarebbe riuscito a recuperare la propria memoria e sarebbe riuscito a capire perché provava qualcosa di così tanto forte per Magnus dopo solo poco più di tre mesi che si conoscevano. Per il momento se ne restava seduto sul divano a fissare Magnus in pantaloncini rosa shocking e maglia glitterata – e l’abbinamento era davvero shoccante. Magnus si lamentava del modo in cui vestiva il povero occhi blu con pantaloni larghi e maglie ingrigite senza prima guardarsi allo specchio e rendersi conto di quanto vestisse stravagante – con un sorriso sulle labbra e il pc sulle labbra; le dita che scivolavano veloci sui tasti descrivendo esattamente il meraviglioso uomo che aveva avanti.
E poi l’uomo dai tratti asiatici e gli occhi di un favoloso color verde si sporse oltre il bancone della cucina, il petto nudo coperto solo da leggeri marchi rossi, rimasuglio della notte precedente, rischiando di far venire un infarto al ragazzo dagli occhi blu che lo fissava soddisfatto; era riuscito a far innamorare di sé quell’uomo e non riusciva neanche ad immaginare come, ma non gli interessava affatto. Non gli sarebbero servite nuovamente quelle abilità speciali. Kevin, il ragazzo dagli occhi blu, aveva già tutto quello che avrebbe mai voluto avere: il cuore – e dopo la notte scorsa anche il corpo – l’anima e la testa di Gao e non gli serviva più nulla. Quello gli sarebbe bastato per la vita intera.
“Alec?” Magnus gli schioccò due dita avanti agli occhi; era completamente sudato e aveva del trucco sciolto sotto gli occhi eppure era la visione più bella che Alec avesse mai visto.
“Cosa?” rispose quest’ultimo battendo un paio di volte gli occhi; era cosciente di essersi incantato guardandolo, e per questo le guance gli si colorarono di rosso e gli venne voglia di morire.
“Tutto okay?” rise Magnus porgendogli un bicchiere di vetro contenente un liquido giallognolo non identificato che Alec rifiutò; ormai aveva imparato a rifiutare liquidi strani da Magnus, non era proprio il miglior barman esistente “È solo the alla pesca” rise lui prendendone un sorso per porgergli nuovamente il bicchiere che quella volta Alec “sicuro?” chiese, odorandone il contenuto e Magnus rise annuendo, dunque prese un sorso e gli venne da piangere: si era nuovamente fatto abbindolare dal suo maledetto coinquilino incapace nel fare drink. Quella roba che aveva in bocca sapeva di…. Schifo. Faceva schifo. E non riuscì ad ingoiarla, ecco perché dopo qualche minuto Magnus si ritrovò la maglia completamente bagnata da una grossa chiazza di liquido giallognolo non identificato.
“Non ci credo” il regista sbiancò completamente, gli venne quasi un mancamento guardandola; puntò un dito tremante contro Alec che rideva imbarazzato “Non ti rendi conto di cosa hai combinato? È una maledetta Gautier” sbottò toccandola. Alec rise “Non so neanche cosa sia una Gattier!” Magnus lo guardò di traverso e fu in quel momento che pensò di poter morire per mezzo di quelle fantastiche mani anellate “Alexander!” Magnus tolse velocemente la propria maglia per analizzarla bene e Alec per la seconda volta pensò di poter morire per mezzo di quel fantastico corpo sudato, oh quanto era ben delineato e perfetto, quelle goccioline di sudore lo rendevano più lucido: i pettorali gonfi ma non troppo, i capezzoli turgidi, l’addome piatto e definito. ‘Che l’angelo mi dia la forza’ pensò chiudendo per un secondo gli occhi: doveva smetterla di fare quei pensieri su Magnus, erano solo amici!
“Scus- scusa. Io davvero Magnus” si alzò per aggiustare le cose, il pc quasi non cadde attera, grazie a Dio Magnus lo prese con una mano e con l’altra allontanò Alec per prevenire altri guai “Non fa niente” sussurrò, quasi Alec gli avesse ucciso il gatto “Ma tra noi è finita, Alexander”.
Alec, completamente viola in volto, aprì e chiuse la bocca più volte, mortificato. Sarebbe quasi voluto diventare una Gattier o come diavolo si chiamava quella maglia per risolvere la questione.
“Io davver-“ Magnus lo fermò scuotendo una testa, poi buttò la maglia su una sedia e si sedette sul divano, il pc sulle gambe e lo sguardò fisso sul monitor “Stai scrivendo una nuova storia?” chiese, un sopracciglio alzato e il viso curioso. ‘Oh cazzo’ pensò Alec. Certo che stava scrivendo una nuova storia: una sottospecie di porno in cui loro due erano i protagonisti! Si allungò velocemente e strappò il computer dalle sue gambe “Non è nulla” disse chiudendolo con forza per poi poggiarlo sul tavolino “E davvero sono dispiaciuto! Te la ripagherò, giuro. Te ne compro due, anzi. Perdonami, ti prego”. Magnus scoppiò a ridere, si buttò una mano tra i capelli e fece scoccare la lingua sotto al palato “Scherzavo. Non me ne frega niente di quella maglia” gli fece un occhiolino e accavallò le gambe sul tavolino avanti al divano.
“Eh?” Alec si sentiva abbastanza disorientato: Magnus sembrava sul punto di ucciderlo qualche minuto prima.
“Scherzavo. Sono melodrammatico, lo sai, mi piace essere una drama queen e comunque dovresti proprio imparare chi è Gautier e Versace e Dolce e Jacobs. Oh sì, Marc Jacobs è di sicuro uno dei miei stilisti preferiti!”. Occhi blu annuì, deglutendo, poi sorrise quando vide Magnus tranquillo, le mani sotto la testa, il petto che si sollevava piano facendogli venire voglia di saltargli addosso e baciarlo centimetro per centimetro.
“Allora, di cosa parla questo nuovo capolavoro?” chiese facendogli un occhiolino.
“Ehm…”.
Alec non era mai stato bravo con le bugie, non sarebbe mai riuscito a farla franca col suo pazzo coinquilino, vero?
 
*^*^*^*^*
 
Erano due mesi che ormai abitava con Alec, molti di più ne erano passati da quando ormai dormiva praticamente da solo, ma grazie a Dio ogni notte al proprio fianco c’era Presidente Miao che gli faceva compagnia. Si faceva persino abbracciare di notte, quasi avesse sentito la sofferenza del padrone e gli fosse venuta voglia di aiutarlo. C’era stato sempre e Magnus era sempre riuscito a dormire. Ma non quella notte.
Quella notte era completamente solo in un letto completamente solo che non era il suo e non riusciva a dormire. Ormai non riusciva a dormire sentendosi solo in un letto così grande: si sentiva abbandonato, quasi alla deriva, quasi come quando era piccolo e si ritrovava a dormire da solo nel lettone dei genitori sperando che tornassero in fretta, per poi scoprire, al mattino, che per l’ennesima notte aveva dormito da solo in un letto che non era il suo perché i suoi genitori non c’erano. Crescendo aveva man mano perso l’abitudine di dormire in compagnia e si era abituato alla solitudine talmente tanto da amarla. Poi erano arrivati i suoi molteplici amanti e aveva riscoperto il piacere di non dormire in un letto freddo, ma non ne era ritornato dipendente. Era arrivata Camille, che a stendo divideva il letto con lui e quasi, aveva scoperto, gli dava fastidio averla nel letto. Tutto fino a quando non era arrivato Alec nel proprio letto e in un paio di notti gli aveva fatto dimenticare cosa volesse dire sentirsi solo, persino a letto e dunque quell’ansia che aveva da piccolo quando si svegliava solo era ritornata.
Accese la piccola lucina sul comodino e si massaggiò le tempie: Presidente Miao gliel’avrebbe pagata per averlo abbandonato a quel modo. Per cosa poi? Per un corpo più giovane, atletico e degli occhi blu persino chiusi? Cosa aveva Alec in più a lui? Faceva forse grattini migliori?
Si alzò lentamente dal letto e trascinando i piedi si avviò in cucina dove si riempì un bicchiere d’acqua fresca sperando che potesse calmargli il nervoso, se non il mal di testa, ma mezz’ora dopo non era cambiato assolutamente nulla: Presidente Miao era ancora nel letto di Alec e lui aveva ancora bisogno di lui per dormire. Dalla notte dopo avrebbe chiuso la porta di camera propria a chiave per non farlo scappare.
Si avvicinò silenziosamente alla porta di Alec e lo vide, vide la maledetta palla di pelo acciambellata tra le braccia scoperte di un Alec in posizione fetale, coperto solo da un lenzuolo bianco fino alla vita.
Oh non ce l’avrebbe fatta a sopravvivere quella notte, lo sapeva.
Si massaggiò gli occhi stanchi e annuì, gli sembrava una buona idea quella che gli circolava in testa: si trattava solo di entrare quanto più silenziosamente possibile in camera di Alec, prendergli Presidente dalle braccia, portarlo in camera sua e minacciare la bestiolina demoniaca per farlo restare al proprio fianco e poi finalmente dormire. Già pregustava la tranquillità di camera propria, del cuscino soffice, delle lenzuola di seta. Sorrise. Ce la poteva fare.
Entrò in punta di piedi e si avvicinò al letto dal lato della piazza vuota, poi altrettanto silenziosamente allungò le braccia verso quelle di Alec e aggrappò il culetto di Presidente Miao: ce l’aveva quasi fatta, si trattava solo di tirarlo leggermente e finalmente sarebbe andato a dormire. Iniziò a tiralo piano, il respiro trattenuto per non fare troppo rumore, gli occhi fissi su quelli di Alec ancora chiusi e poi quel dannato gatto traditore si svegliò e miagolò forte, lamentandosi del fatto che qualcuno lo stesse portando via dal suo uomo, e subito dopo si sveglio anche Alec che non aprì neanche gli occhi quando allungò le mani verso le mani che stavano stringendo Presidente e tirandole forte, con un tonfo, fece cadere Magnus sul letto, sotto di lui.
Oh Magnus sarebbe morto in paradiso, di quel passo, ne era certo. Era sdraiato esattamente sotto di un Alec, in boxer, seduto sul proprio bacino, le braccia trattenute sopra la testa da lui, il suo sguardo blu negli occhi.
‘Cosa cazzo ho fatto’ pensò Alec chiudendo per un secondo gli occhi, eppure era immobile sul corpo di Magnus che si muoveva quasi a disagio sotto il suo, non riusciva ad allontanarsene, restando lì pensava solo a quanto sarebbe stato soddisfacente abbassarsi leggermente e baciare quelle labbra lucide.
‘Fallo’ gli disse il diavolino sulla spalla destra. ‘Non azzardarti’ sbottò invece l’angioletto.
“Scusa” sussurrò lui con voce roca, sperando vivamente di non avere l’erezione che aveva nel sogno che stava facendo; Magnus non gliel’avrebbe perdonata. “Stavo sognando e non mi sono reso conto che eri tu” si allontanò, finalmente, dal suo corpo, sedendosi a gambe incrociate per coprirsi con il lenzuolo bianco; Magnus ancora steso sul letto lo guardò di traverso, deglutì e poi si alzò a sedere “Scusa tu” disse, e per la prima volta Alec lo vide rosso. Che quello fosse imbarazzo? Oh non poteva esserlo.
“Che ci fai qui?” chiese massaggiandosi gli occhi “È l’una di notte!”.
“Io-” il regista sbuffò scuotendo la testa “non riesco a dormire da solo” deglutì a fatica e guardò Presidente, nuovamente acciambellato a dormire “È colpa di questo traditore! Dorme sempre con me ma stanotte ha deciso di abbandonarmi per te. Cattivo” scosse la testa “Mi sa che dovrei prendermi un gatto nuovo e lasciare questo a te” Presidente, quasi avesse sentito, alzo la testolina per lanciargli uno sguardo annoiato e poi ritornò al proprio posto. Alec rise “Non credo lo abbia fatto con cattiveria, dai”.
“Sì, invece” sbottò Magnus “Lo sa che non riesco a dormire da solo da quando t- da quando non c’è più il mio ragazzo” si morse l’interno della guancia, cosa stava per dire!
Alec annuì, quanto avrebbe voluto dirgli di restare, che poteva abbracciarlo e farlo sentire meno solo, ma Magnus non voleva la sua compagnia. Voleva la compagnia di un altro uomo.
“Restare da solo mi ricorda quando ero piccolo e restavo da solo nel lettone dei miei ad aspettarli per ore e ore e ore” sussurrò o a voce bassa; per Magnus non era la prima volta che lo raccontava ad Alec ma per Alec quella fu la prima volta a sentirglielo dire con quella voce così triste e gli occhi abbassati e così come la prima volta quando Magnus lo aveva detto a suo marito, il nuovo Alec si sporse e lo abbracciò stretto.
“Mi dispiace” gli sussurrò all’orecchio e Magnus sorrise: certe cose non cambiano mai.
“Resta” disse, allontanandosi leggermente, per poi guardarlo negli occhi “Resta per questa notte”.
Magnus scosse la testa: non poteva farlo. E se lo avesse abbracciato nel sonno o al mattino lo avesse trattato proprio come quando si svegliavano, prima dell’incidente?
“Non ti mangio” gli sorrise Alec e Magnus rise a sua volta, non dicendogli che probabilmente sarebbe stato lui quello mangiato. “Davvero, resta”.
Magnus guardo Presidente Maio che aveva alzato nuovamente la testa per osservare la discussione e poi la riabbassò, quasi a dire ‘Ho fatto questo per farti venire qui, ora spetta a te tenerti il posto, stupido umano!’ e così annuì sorridendo; cosa sarebbe potuto accadere di così tanto devastante?
Si misero a letto, Magnus si girò di schiena e si strinse le braccia attorno così da non rischiare di abbracciare Alec nel sonno, e Alec si girò di schiena provando a chiudere gli occhi, quanto gli sarebbe piaciuto girarsi e baciarlo, dirgli che sarebbe potuto restare il quel letto per sempre perché anche lui aveva paura di dormire da solo, come se fino a qualche settimana prima non ci fosse più stato abituato.
Ma non lo fece e Magnus non abbracciò Alec.
Fu una notte tranquilla in cui, stranamente, entrambi dormirono come non dormirono più da tempo e tutto, solamente, grazie al piccolo grande Presidente Miao.
 *^*^*^*^*^*
 
Magnus guardò ancora quella foto sul suo profilo instagram e sorrise al ricordo di quello che aveva dovuto fare per convincere Alec ad iscriversi; odiava qualsiasi cosa tecnologica, ma da quando aveva pubblicato il suo secondo libro e da quando era sposato con lui tutti richiedevano la sua presenza: twitter, facebook, persino i fan su instagram lo volevano, e sebbene lui odiasse profondamente i social, vedendoli solo come un modo per distrarsi dalla realtà e dalle vere cose importanti, per il solo gusto di ricevere cuoricini da gente sconosciuta, accettò di iscriversi dopo l’ennesima lamentela della sorella e il fantastico pomeriggio d’amore trascorso con Magnus. In realtà si era già convinto ad iscriversi prima che Magnus iniziasse la sua opera di convincimento, ma chi era lui per dirlo e fermare suo marito?
E quindi eccoli lì, Alec imbronciato e Magnus divertito come poche altre volte in vita propria.
“Quindi? Avanti, decidi un nome” gli disse Magnus dandogli un colpetto sul petto nudo.
“Okay credo che @aleclightwood possa andare, no? È il mio nome!”.
Magnus rise “Sei così banale, amore mio” scosse la testa dandogli un bacio dietro l’orecchio e rise più forte quando sullo schermo uscì scritto che non poteva scegliere quello username perché aveva già un possessore.
“Chi altro si chiama Alec Lightwood al mondo?” sbottò, scrivendo sul cellulare @alecbane per poi guardare il marito con il labbro inferiore nascosto in un sorrisino “Che ne dici?”.
“Mhm” Magnus gli diede un bacio sulla clavicola e rise “Direi che il mio cognome ti sta da Dio. SE non fossi mio marito ti richiederei di sposarmi, Fiorellino”.
Alec premette invio e sbuffò di nuovo quando anche quel nome fu respinto.
“Ce l’anno con me?” urlò, quasi “Provo con @alectheshadowhunter non credo che qualcuno possa usare il mio nome associato ad uno dei tuoi personaggi, che cavolo” ma anche quella volta Magnus rise divertito, persino quel nome era stato usato. “Ci rinuncio. Ci rinuncio, dannazione!” urlò, buttando quasi il cellulare per aria, ma Magnus lo prese e divertito scrisse @fiorellino, premette invio e vittorioso si girò verso il marito “Ecco fatto, amore mio!” e quello per la sanità mentale di Alec fu la fine.
Prima ancora di postare la foto si ritrovò centinaia di fan e cosa peggiore ritrovò le proprie foto, quelle sue con Magnus, tanti disegni di loro due pieni di hashtag come #truelove #whoisbottom #whoistop #malec e #malecistheway in bacheca. Per poco non lanciò il cellulare contro l’armadio.
“Cos’è questo inferno?” chiese, quasi con le lacrime agli occhi “E che diamine sono i MALEC?” sbottò “E soprattutto, perché diamine si chiedono chi toppa?” Magnus rise e lo abbracciò “Questo inferno è chiamato notorietà, i Malec siamo noi: Magnus e Alec, ha dato inizio a questo nome tuo cognato Simon, mi dispiace e che ne dici se gli diciamo che ci divertiamo a cambiare così non ci chiederanno più chi è top?” Alec lo guardò quasi come se fosse impazzito e scosse la testa “Non farlo se non vuoi il divorzio” sussurrò, ma Magnus, con un grosso sorriso sulle labbra cliccava tastini a caso scrivendo una descrizione alla foto che aveva fatto –senza il consenso di Alec- di loro due abbracciati, mezzi nudi, nel letto, con i capelli sconvolti, il collo pieno di succhiotti, le labbra rosse aperte su un grosso sorriso. -.
“Ecco fatto” rise, premendo invio e subito dopo il cellulare di Alec trillò, Alec lo prese e quasi gli venne voglia di svenire leggendo quello che Magnus aveva scritto #oggihotoppatoio #ierihatoppatoalec #sìsonosucchiotti #loamo #sposami #opssiamosposati #hoilmaritopiùbelloalmondo #malecistheway #amiamoanchevoi
“Ti chiedo il divorzio” sussurrò Alec, rosso in viso e Magnus per l’ennesima volta rise, per poi strappargli il telefono dalle mani e buttarlo sul comodino “Toppi tu?” gli sussurrò ad un orecchio, e poi il cellulare esplose tra mille notifiche dei fan.
“Che fai?” chiese Alec sedendosi sul divano al suo fianco e Magnus dette un’ultima occhiata veloce prima di bloccare il telefono. “Oh Dio voi persone famose e questi maledetti social! Ma perché gli esseri umani amano così tanto questa droga senza senso?”.
Magnus si girò verso di lui e sorrise: certe cose davvero non cambiano mai.
*^*^*^*^*
 
E così nella tv avanti ai suoi occhi questo ragazzo pieno di capelli e barba bionda soffriva, chiamando la madre e il regista dovette farsi forza per non piangere; non era solito guardare serie tv, aveva paura di esserne influenzato sul proprio lavoro, ma quella volta non aveva potuto farne a meno: Alec lo aveva obbligato dopo avergli fatto, qualche settimana prima, un grande discorso sui social e la tecnologia e così appena avevano avuto tempo e avevano trascorso entrambi una serata in casa lo scrittore si era fiondato su Magnus e lo aveva letteralmente legato al divano per fargli vedere quello che secondo lui era uno degli episodi meglio riusciti di una serie che lo aveva convinto ancora di più di quanto la tecnologia fosse il male: Black Mirror.
“Non dirmi che lo fanno morire, Alexander. Giuro che non ti parlo più se succede” ma ovviamente sapeva che sarebbe successo, era un regista, riusciva a capire già dopo i primi minuti di qualsiasi cosa, come sarebbe andata a finire e quella volta non sarebbe stato diverso.
“Mi dispiace” disse Alec, nascondendo un sorrisino, quando la maledetta segretaria del maledetto direttore di quella maledetta azienda, segnò sulla sceda di Cooper il motivo della sua morte - squillo del cellulare – e ultime parole dette prima di morire – mamma – poi tutto lo schermo divenne nero.
“Non ci credo” sbottò Magnus. Ci credeva, ovviamente, e sapeva che era tutto vero quello che quella serie diceva. Avrebbe chiamato Dan Trachtenberg per scusarsi di non aver visto quella piccola grande meraviglia e complimentarsi. “È così crudo e reale” sussurrò con voce roca “Aveva tutte le mie dannate paure, o quasi, Cooper! E il fatto che sia morto senza chiamare la mamma e il fatto che la mamma abbia perso lui e il padre. Non ci credo” portò una mano agli occhi e si accorse di averli completamente bagnati così come le guance sudate e scosse la testa. “Piangi?” chiese Alec, quando accese la lucina al fianco del divano e tornò finalmente a vedere. “No” rispose prontamente Magnus asciugando le guance “Sono solo sudato”.
Alec non disse nulla, semplicemente lo abbracciò stretto e Magnus inizialmente ci restò di sasso, poi provò a ricambiare la stretta ma fu troppo tardi: Alec era già lontano, impugnava il suo cellulare tra le mani e rideva “Questa foto” la indicò a Magnus “farà molto ridere Raphael e Ragnor” rideva a crepapelle il maledetto, e Magnus dovette trattenersi per non ridere a sua volta “Tu ricordi Raphael e Ragnor?” chiese, poi, fermandosi di colpo. “Ricordo? No, non li ho mai visti. Catarina ne parla spesso e sono convinta che gliela farà vedere” premette invio, posò il cellulare e poi scoppiò nuovamente a ridere “Il mio coinquilino, il cinico e stronzo Magnus Bane, è in realtà un cupcake alla panna” gli puntò un dito contro “Sai che ho un modo per ricattarti continuamente, ora, vero?”.
Magnus rise, alzandosi leggermente per mostrargli il cellulare sul cui schermo risiedeva la foto di Alec, con un libro tra le mani e le guance rigate di lacrime “Sai che Magnus Bane si prende sempre la sua rivincita, vero?” si alzò e gli diede una pacca sulla spalla “Stasera cucini tu, Alexander”.
Alec scoppiò a ridere e si avviò in cucina: aveva proprio il coinquilino più stronzo al mondo.
*^*^*^*^*^*
 
“Presidente Miao?” urlò per l’ennesima volta verso il vuoto Magnus prima di sbattersi la porta alle spalle ed accasciarvisi contro per scoppiare poi in un silenzioso disperato pianto, non tanto perché era l’ennesima sera che non trovava Presidente ma perché era l’ennesima sera che dormiva senza Alec e ormai non ci vedeva più speranza in tutta quella storia. C’era lui, il suo amore, i suoi ricordi e poi Alec, un nuovo – altrettanto meraviglioso- Alec, ma non il suo Alec e giorno dopo giorno il terrore di averlo perso definitivamente si espandeva sempre di più nel suo petto lasciandolo quasi senza aria; era asfissiante quella situazione e ancora peggio era non potersi sfogare con la persona che negli ultimi cinque anni era diventata il suo diario segreto: era arrivato alla conclusione che senza Alec, la sua vita non aveva poi più così tanto senso.
Dunque Presidente Miao nascosto chissà dove – era scomparso da tutta la mattinata e non era riuscito a trovarlo neanche nella camera dello scrittore- non era affatto il motivo principale delle sue lacrime ma di sicuro non era lì ad asciugarle e a rassicurarlo. Nessuno era lì. E sebbene Isabelle e Catarina insistessero che quella non era solo la sua battaglia, non gli andava di chiedere aiuto alcuno perché Alec era cosa sua, e quella era la sua guerra e l’avrebbe vinta ad ogni costo.
“Ehi Mag hai trovato Pres-” La porta si spalancò, lasciando entrare nella camera decorata di bordeaux un Alec in tenuta da letto, con boxer stretti bianchi e maglia a mezze maniche nera e a Magnus salì ancora di più un sapore di bile in bocca: i ricordi gli stavano inondando la mente e lui di quel passo avrebbe rischiato di annegarci dentro quei dolci momenti che non sarebbero mai più tornati.
Il ragazzo dagli occhi blu si fermò stringendo ancora la maniglia della porta quando vide Magnus poggiato all’altra anta, le ginocchia sorrette dalle mani e la testa su di esse, il corpo che si muoveva a causa di leggeri fremiti e singhiozzi. Restò per un attimo senza fiato: vedere quell’uomo all’apparenza così forte perso tra le proprie lacrime lo faceva sentire spaesato, quasi avesse perso tutte le parole che gli vagavano di solito in testa, e lui di parole ci viveva.
“Cosa è successo?” chiese con la voce tremante, abbassandosi alla sua altezza per prendere il suo viso tra le mani “Parlami, Magnus” gli sussurrò guardandolo negli occhi e l’altro scosse la testa: avrebbe voluto parlargli, sputargli addosso tutta la verità andando contro il parere degli esperti, per poi abbracciarlo e dirgli che lo amava ma non poteva, c’era qualcosa che lo frenava, il desiderio di poter riavere l’uomo di cui era innamorato.
“Non” singhiozzò ancora più forte e fu in quel momento che le braccia possenti dello scrittore gli si attorcigliarono attorno stringendolo in una morsa d’affetto e calore che lo fece sentire quasi subito a casa, come quando tornava da lavoro dopo un lungo e stressante viaggio in una città piovosa e si ritrovava Alec pronto ad avvolgerlo nella sua normalità, nel profumo della sua perfezione.
“Non è nulla” disse, in fine, stringendosi alla sua maglia.
“Certo che è qualcosa” disse Alec massaggiandogli la schiena “Non piangi per nulla. Ti conosco ormai, Mag” e quel ragazzo, oh quel ragazzo non sapeva quanto avesse ragione: era probabilmente uno dei pochi al mondo a conoscerlo quasi di più di quanto facesse lui stesso. Peccato non ricordasse nulla.
“È Presidente, non lo trovo da nessuna parte” gracchiò e Alec sorrise debolmente, sebbene sapesse che non era quello il vero motivo e la cosa lo infastidisse non poco; provò a non darlo a vedere e lo strinse più forte, facendo poi leva sulle ginocchia per alzarsi e mettere in piedi anche lui “Che ne dici se ora ce ne andiamo a dormire e domani lo cerchiamo assieme?”. Sapeva che quando il regista non voleva parlare sforzarlo era inutile e deleterio dunque non ci provò più di tanto, ma se poteva fare qualcosa per aiutarlo a stare meglio, non se ne sarebbe tirato indietro.
“No” gemette lui allontanandosi dalla sua spalla, quasi stesse tentando di riacquistare quella dignità che in realtà agli occhi di Alec non aveva mai perso. “Non posso dormire senza di lui”.
Alec gli alzò il mento con un dito “Abbracci Presidente Miao quando dormi?” chiese con serietà e Magnus annuì, prima di sorridere leggermente. Quello non era suo marito, ma era quanto gli si avvicinasse di più ed era lì con lui e per lui: lo sentiva, sentiva le sue mani, il suo cuore battere contro il proprio torace, i suoi occhi bruciarlo da capo a piedi. E forse non era più l’uomo che aveva sposato ma era sempre e comunque l’uomo che amava. Non poteva continuare a ridere avanti a lui per poi nascondersi nella prima camera libera per piangere come un bambino: non era un bambino. Era un uomo adulto e vaccinato e Alec era l’unica medicina all’insensatezza della sua vita, non poteva perderlo.
“Allora” Alec prese un grosso respiro e poi sorrise “che ne dici di abbracciare me stanotte? Sono più grande e non sono altrettanto peloso ma se vuoi posso provare a fare le fusa come lui” e quelle parole avrebbero mandato Magnus in brodo di giuggiole, prima: ci sarebbe nato un mare di doppi sensi ma in quel momento tutto quello che riuscì a fare fu annuire, seguire Alec in camera da letto stringendo la sua mano, sedersi sul letto ed essere poi guidato dal ragazzo, che gli rimboccò le coperte prima di lasciargli un bacio sulla fronte; e quel bacio, Alec, avrebbe voluto lasciarlo sulle sue labbra. Tutto il suo corpo lo voleva. La sua mente gli diceva che era la cosa giusta da fare. Che stargli vicino ed amarlo era la cosa giusta da fare.
Ma per l’ennesima volta non gli diede ascolto ed andò dunque a stendersi al suo fianco, posizionandosi di lato. Magnus fu subito sopraffatto dalla stanchezza di tutta la giornata, i suoi occhi si chiusero in un baleno e quello che successe dopo non dipese da lui; le sue mani strette attorno al bacino di Alec, il mento poggiato sulla sua spalla, una gamba tra le sue. Quella non fu affatto colpa di Magnus, e Alec, sebbene avesse dilatato gli occhi e fosse arrossito – in preda ad una crisi asmatica, tanto difficile gli era diventato respirare in quel momento- sorrise leggermente e chiuse gli occhi addormentandosi beato, sentendo che quello era esattamente come doveva essere.
Solo dopo, quando entrambi furono profondamente addormentati, Presidente Miao saltò fuori da una dalla valigia di Magnus sotto il suo letto, sgambettò velocemente fuori dalla sua camera e poi silenziosamente in quella di Alec per andare a posizionarsi tra i loro corpi proprio come faceva un tempo: gli mancavano i vecchi tempi.
 
*^*^*^*^*^*
 
Le labbra di Alec erano attaccate al suo collo e lui non riusciva a smettere di ridere “Sono stanco, ti prego” provò a dire tra un risolino e l’altro, ma l’erezione del marito premeva contro il suo gluteo destro e la sua mano era poggiata sopra i propri pantaloni di seta neri e Magnus non poteva resistere a tutto quello.
“Magnus Bane non rifiuterebbe mai suo marito” rise Alec “Cosa è successo a lavoro?”
“Niente di che” rispose Magnus a fatica “È solo che Madonna ha ingaggiato un nuovo ballerino per il prossimo tour” sbuffò e Alec gli diede un morsetto sul lobo dell’orecchio “Cosa, credevi avrebbe scelto te?” rise e poi ritornò nuovamente con le labbra sul suo collo; la mano poggiata sui pantaloni di seta risalì leggermente, per arrivare all’elastico, e poi si infilò dentro, facendo sorridere Alec per nulla sorpreso di trovare il marito senza alcuna mutanda, e sospirare di sorpresa Magnus che tra quelle mani ci sarebbe morto con piacere. “Credi non sia degno della sua troupe?” sbuffò e Alec annuì, dedicando tutte le sue attenzione ai leggeri movimenti della mano sulla punta leggermente umida del marito e alle piccole pressioni che effettuava con la propria erezione sui suoi glutei “Sei degno di qualsiasi cosa sulla faccia della terra” gli disse all’orecchio e poi aumentò il movimento della mano, facendolo gemere “Alexander” sbottò infilando una mano tra i loro corpi “Al diavolo la stanchezza” rise e lo tirò, arpionando la sua maglia a mezze maniche nere, sul suo corpo “Fa l’amore con me” e Alec non se lo fece ripetere due volte.
 
Magnus sorrise quando i raggi solari fecero capolino dalla lunga finestra della camera da letto e il sorriso si allargò ancora di più quando constatò di essere abbracciato ad Alec che dormiva, ancora, con le labbra leggermente aperte e le ciglia che gli sfioravano gli zigomi: era un angelo, il suo angelo.
Alec mugugnò come al solito quando era prossimo al destarsi e il regista sorrise, decidendo di regalare al marito uno dei migliori risvegli degli ultimi giorni; si strinse ancora di più al suo corpo accovacciato e poggiò con delicatezza la testa nell’incavo del suo collo per prendere a stuzzicare il lobo destro del suo orecchio con le labbra, infilò la mano sotto le coperte grigie e delicatamente scese lungo le lunghe gambe dell’amante per fermarsi all’altezza della sua erezione mattutina: che Alec lo avesse sognato?
Iniziò a massaggiarla lentamente al di sopra dei boxer bianchi e sentì un mugolio di piacere, Alec era sveglio.
La prima cosa che sentì prima di svegliarsi furono le labbra di Magnus al proprio orecchio e poi la sua mano attraversare le sue gambe prima di posizionarsi delicata sulla propria erezione – come gli veniva in mente di fare sogni su Magnus proprio mentre dormiva al suo fianco e svegliarsi con un’erezione? Maledetto lui!-  dopodiché pensò per un attimo di star ancora sognando, ma quando Magnus gli sussurrò all’orecchio un “Buongiorno Fiorellino” capì che non stava sognando; nei suoi sogni non lo chiamava mai con quell’orribile nomignolo. Dunque si irrigidì, diventando un unico pezzo di legno. Non che non gli piacessero quelle attenzioni – anzi erano tutto quello in cui sperava ultimamente- ma Magnus era davvero sveglio o stava ancora sognando? E quelle attenzioni erano avvero destinate a lui o al suo ragazzo? E cosa più importante, valeva la pena distruggere la loro meravigliosa amicizia per un rapporto sessuale?
“Magnus” disse, d’un tratto, allontanandosene velocemente “Cosa diavolo fai?” la sua voce acuta rimbombò in tutta la camera, svegliando persino Presidente miao che balzò all’allerta e poi scese dal letto.
“Cazzo” fu tutto quello che venne da dire a Magnus che allontanò di botta la mano sentendosi l’essere più stupido del mondo “Cazzo” Disse di nuovo allontanandosi tutto velocemente “Cazzo” disse, un’ultima volta, prima di alzarsi dal letto “HO una spiegazione, giuro” disse, in preda al panico. Alec non lo aveva mai visto in quello stato. “È okay” provò a dire Alec, e quell’ ‘okay’ era più un ‘riprendi, ti prego’ che un ‘ti perdono, l’ho già dimenticato’.
“No, Alexander, davvero. Stavo sognando” sbottò, rosso in viso “Sognavi me?” chiese con gli occhi illuminati dalla luce mattutina e forse dalla speranza, per poi scoppiare a ridere in un finto sorrisino geloso.
“No” non ci pensò due volte su, prima di dirlo, poi si alzò in fretta “Il mio ragazzo” ed in un certo senso era la verità. Che poi se il suo ragazzo – marito- e il suo attuale amico coincidevano, che colpe ne aveva lui?
“Davvero, scusami” disse, in fine, avvicinandosi velocemente alla porta “Per farmi perdonare oggi cucino io” disse, tirandosi la porta dietro.
“Che cazzo ho combinato” sussurrò al suo riflesso su uno dei mobiletti di vetro della cucina di Alec, e non era una domanda. Era una affermazione: cosa aveva avuto in mente?
Mise su il caffè e poi aprì un paio di uova in una ciotola; iniziò a montare il tutto per poi allungarsi a prendere il cioccolato da mettere sui pancakes che stava preparando, ma Alec tornò in cucina: un’espressione imbarazzata sul viso, i capelli disordinati, le guance rosse come il fuoco, i vestiti completamente coprenti: ogni piccolo pezzetto di pelle coperto, tutto tranne le mani e furono quelle a sfiorarsi mentre entrambi cercavano di prendere il barattolo di Nutella e fu quel tocco o forse la scarica elettrica che dietre ad entrambi, ad accendere ancora di più la miccia e far venire ad entrambi l’inarrestabile voglia di baciarsi.
Tra i due fu Magnus quello ad allontanarsi prima, mentre Alec lo guardava ancora imbambolato, gli occhi nei suoi e il rosso sulle guance “La colazione è pronta” fu la sua frase ad effetto e Alec lo seguì a ruota in silenzio.
Quella era stata di sicuro la mattinata più strana della sua intera esistenza e quel risveglio avrebbe battuto qualsiasi atro risveglio al mondo: Magnus era molto meglio di una sveglia.  
Avere un coinquilino pazzo poteva avere i propri pregi, effettivamente, e sebbene entrambi fossero ancora imbarazzati da morire lo sguardo blu di Alec si poggiò più volte in quello verde dell’altro, che però scappava velocemente, nascondendosi chissà chi tra quali pensieri. In fondo quella storia per Magnus Bane stava diventando davvero esasperante, quasi non ce la faceva più ad essere solo il coinquilino di Alec: era un vero disastro.


Angolo autrice.
Ebbbbbene, dopo valanghe di angst un po' di allegria e guai ci stanno bene, ma as always con me, non ci sono mai troppe gioie!
La parte finale è così dolcina ma allo stesso tempo triste che anche a rileggerla mi viene da alzarmi, mettermi avanti ad uno specchio ed insultarmi da sola /perchè me lo merito, ne sono cosciente/. 
E soprattutto, questo comporterà non pochi problemi. Cosa potrebbe accadere secondo voi? Ma soprattutto: Alec che si innamora di Magnus in ogni vita?
Mi merito un Alec.

Okay, nulla, volevo dirvi che ho controllato nella mia cartella dei racconti Malec e ho ancora un paio di racconti che non ho mai pubblicato quindi quando finirò questi, se non dovessero venirmi altre idee (spero che la serie mi ispiri E ANCORA che aprile porti gioe con il primo libro della trilogia Malec, non ci credo ancora <3) sicuramente le pubblicherò, i Malec meritano di essere lasciati liberi. Nel frattempo, non avendo altre idee sui Malec ho iniziato una originale slash (ammetto; nata inizialmente proprio come fanficion Malec, ma alla fine trasformatasi in altro perchè i protagonisti erano troppo troppo troppo OOC e la storia troppo complicata per essere una AU) e siccome sono una cattiva persona ve la spammo, magari vi va di leggerla :) Arcanum•

 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** How can you go on if you can not escape from the truth? ***


How can you go on if you can not escape from the truth?

 
“Maledetto” sbuffò Magnus rincorrendo Presidente in camera di Alec; quella palla di pelo ormai si era abituata a sgattaiolare continuamente in camera dello scrittore, non che Magnus gli desse torto, quella era stata camera sua prima di essere camera di Alec, ma purtroppo la situazione era cambiata e doveva capirlo anche lui “Giuro che appena ti prendo ti uccido” lo minacciò, conscio del fatto che appena lo avrebbe preso lo avrebbe stritolato in un forte caloroso abbraccio. Si girò attorno per cercare il gatto ma la sua attenzione fu attirata dal pc di Alec poggiato sulla scrivania di vetro vicino alle finestre – uno dei desideri del ragazzo era stato quello di avere una scrivania proprio avanti alla vetrata perché vedere lo skyline di Brooklyn lo ispirava mentre scriveva – e se c’era una cosa che proprio non riusciva a fare da quando conosceva  Alec quella era resistere alla sua scrittura: era curioso di qualsiasi cosa lo scrittore buttasse giù e Alec era profondamente fiero e felice di quella cosa, talmente tanto che ogni pagina appena scritta veniva subito spedita tra le grinfie del regista che mentre leggeva fantasticava su come sarebbe stato crearci su una serie tv. Prima o poi lo avrebbe fatto, avrebbe creato una serie tv per ogni storia di Alec – ed ecco perché i fan li amavano entrambi, si appoggiavano completamente su tutto, desideravano di essere assieme in tutto, di raggiungere la vetta assieme e quello era uno dei tanti aspetti ammirabili della loro relazione -.
Si guardò attorno – sicuramente non avrebbe dato fastidio al marito se lo avesse colto lì a leggere le sue parole ma non immaginava come avrebbe potuto prenderlo questo nuovo Alec – e una volta sentito scrosciare l’acqua nella doccia del bagno, si sedette alla scrivania e cliccò il mouse per poi ritrovarsi una pagina di word che lesse avidamente.
 
Il ragazzo non sapeva cosa gli stesse succedendo: non sapeva più nulla, neanche chi fosse.
Si sentiva un guscio vuoto, aveva perso la propria anima e come si può sopravvivere senza?
Non sapeva più cosa gli piacesse, cosa avesse fatto in passato, quali sarebbero stati i progetti per il suo futuro, sapeva solo che gli stavano mentendo, di quello ne era certo. Mentiva la sorella, mentiva il fratello, mentiva l’uomo che provava a considerare amico, il problema era: su cosa mentivano e perché?
Temeva non lo avrebbe mai scoperto e la cosa che più lo spaventava era la possibilità di poter restare per sempre ingabbiato in quel cubo semilucido che gli permetteva di vedere quello che c’era in superficie ma non di arrivare in profondità, lasciandogli una sensazione di ignoranza che lo divorava da dentro.
Quei sogni dovevano avere un senso: le urla di bambino che gli disturbavano il sonno ogni notte, quel viso dai tratti asiatici così tanto simili a quelli del coinquilino ormai amico, quella sensazione di dolore che lo faceva sentire come paralizzato.
Tutto doveva avere una spiegazione e lui doveva trovarla, perché altrimenti avrebbe rischiato la pazzia.
 
Magnus restò per un momento a bocca aperta, gli occhi ricolmi di lacrime, le mani tremanti.
Alec stava ricordando, anche se non ne era consapevole, e lui c’era in quei ricordi, eppure era a causa di quegli ultimi che la testa di suo marito rischiava sempre di più la pazzia e lui non lo avrebbe permesso, doveva fare qualcosa per aiutarlo, doveva trovare un modo per aiutarlo.
Scosse la testa e con il mouse scese più giù in cerca di altre parole gettate lì, e che quello fosse un nuovo romanzo o un diario segreto, poco faceva la differenza: Alec ci si stava gettando dentro completamente.
 
“Resta” pregarono le sue labbra e subito si sentì stupido per quello che aveva fatto; tra lui e Gao non c’era nulla, non poteva esserci nulla: Gao aveva qualcuno e non era giusto nei sui confronti e nei confronti di quel qualcuno avanzargli quella richiesta, eppure il suo cervello si era collegato alla bocca prima che potesse fare qualcosa per fermarlo, e ora si ritrovava avanti due occhi ferini sbarrati. Cosa sarebbe successo?
Provò ad aprire la bocca per rimediare all’errore che aveva appena commesso, ma non ci riusciva.
Desiderava che Gao restasse, desiderava che lo baciasse, desiderava che lo facesse suo, desiderava che lo amasse.
“Lo vuoi davvero?” chiese quell’ultimo con voce roca e tutto quello che uscì dalle labbra di Kevin fu un secondo e ancora più certo “Resta” e un attimo dopo si stavano baciando.
Le labbra intrecciate, le mani strette l’una all’altra, i corpi attaccati e Kevin seppe in quel momento che tutto andava nuovamente bene. Che non gli interessava più non sapere chi era stato, cosa fossero quei sogni che lo tormentavano di continuo, il passato non contava se aveva un presente con quell’uomo, avrebbero potuto costruire assieme un nuovo passato, un nuovo presente e un brillante nuovo futuro.
Se c’era lui al suo fianco, non aveva paura di nulla.
 
Magnus non riuscì a fare a meno di sorridere e pensare che quando Alec gli aveva chiesto di restare tutto quello che avrebbe voluto fare sarebbe stato proprio gettarsi sulle sue labbra, baciarlo per sempre, viverlo per sempre. E invece lo aveva ringraziato e forse non lo aveva neanche abbracciato perché non poteva e quello Alec, non lo avrebbe mai capito.
Sfogliò le pagine e quello che lesse non avrebbe mai immaginato di poterlo trovare tra le parole di Alec, lui non aveva mai scritto di quel genere; aveva già scritto tante volte di tanti tipi diversi di coppie ma non ci era mai andato così a fondo, non si era mai soffermato sulle loro vite, sui loro rapporti, sulle loro scene d’amore, quella volta, invece, sembrava essere il punto focale del racconto.
 
Kevin era in balia del suo amante, di quegli occhi profondi e verdi come ne aveva visti pochi in vita sua, di quelle mani morbide e delicate. “Rilassati” gli sussurrò all’orecchio prima di mordicchiarlo leggermente facendolo sorridere; dopodiché si dedicò al suo collo mentre Kevin non riusciva a capire cosa fosse il caso di fare, se ne restava lì, immobile, a sperare che quel momento non finisse mai.
“Dimmi cosa ti piace” la voce roca di Gao risuonò nella camera silenziosa, abitata solo dai loro respiri e dal dolce suono dei loro corpi che cozzavano uno sull’altro. “Tu” rispose Kevin senza pensarci su un attimo, perché era la verità: non c’era nulla che gli piacesse più di quell’uomo, che volesse più di quell’uomo, che amasse più di quell’uomo.
Gao si fermò un secondo, lo fissò negli occhi e poi scoppiò a ridere “Sei la mia rovina, Kevin” gli diede un bacio sulle labbra, stringendogli i capelli neri tra le mani e tutto quello che Kevin riusciva a pensare era che finalmente le loro labbra erano di nuovo unite, finalmente gli sembrava di avere tutto sotto controllo, di essere nel pieno delle sue facoltà. “Sono felice” rispose Kevin e Gao non ci mise molto a stringerlo tra le proprie braccia in un impeto di tenerezza “E io ti amo” gli disse di getto per poi fermarsi un secondo conscio di quello che gli aveva appena detto. Si guardarono negli occhi, blu nel verde, entrambi preoccupati, nella mente di Gao girovagava la paura di essere stato affrettato, l’ansia di poter essere respinto da un momento all’altro, in quella di Kevin la paura che fosse tutto un sogno, che Gao non fosse del tutto sincero, che non lo amasse davvero, ma bastò guardarsi negli occhi per pochi minuti per rendersi conto che non avevano nulla da temere. “Ti amo anche io” lo rassicurò, dunque, Kevin “E voglio che tu faccia l’amore con me”.
E così, quei ti amo, si fusero mentre i loro corpi affondavano uno nell’altro, le loro mani si plasmavano a vicenda e i loro cuori trovavano un modo per battere all’unisono mentre Gao si spingeva verso il corpo di Kevin e Kevin si spingeva verso il corpo di Gao, creando una sinfonia magica e perfetta.
Aveva finalmente tutto quello di cui aveva sempre avuto bisogno: qualcuno che lo amasse in quel modo.
 
Magnus si morse il labbro inferiore e si alzò, giusto un secondo prima che Alec entrasse in camera avvolto solo da un asciugamano attorno alla vita “Ehi?” chiese, completamente rosso in viso.
Magnus, arrossito a sua volta si massaggiò le tempie “Scusa” sussurrò “È colpa di Presidente, è scappato di nuovo e lo stavo cercando. Sembra adorare camera tua” ridacchiò nervoso, seguito da Alec “Ti serve una mano?” chiese alzando un sopracciglio, ma l’altro scosse la testa “Dovrebbe essere sotto il letto, è sempre lì che si nasconde in questi casi”. E di fatti, si abbassò e ritrovò la piccola palla di pelo sotto il letto, acciambellato tra i suoi sogni “Piccolo maledetto Presidente” sbuffò, alzandosi vittorioso per poi avvicinarsi alla porta “Ti prego, Alec, chiudi la porta più spesso” rise “Non vorrei farmi trovare troppo spesso in camera tua” fu il turno di Alec per ridere, imbarazzato “Mi casa es tu casa” rispose alzandogli un pollice mentre Magnus si avviava fuori dalla porta “Magari la prossima volta entro in casa tua quando sarai vestito, mhm? Vado a chiudere Presidente in camera ed esco, ho un appuntamento”.
Doveva scappare via da quella casa, doveva correre da qualcuno, doveva parlare con qualcuno o sarebbe impazzito a sua volta assieme ad Alec.
*^*^*^*^*
 
La ragazza lo guardava con gli occhi neri spalancati ed apprensivi, un velo di lucidità li copriva leggermente quasi a voler nascondere quello che stavano urlando: dolore.
“Credi davvero che stia ricordando?” chiese con voce tremante.
Aveva visto Isabelle piangere poche volte ed ogni volta era collegata ai fratelli; l’aveva vista singhiozzare tra le lacrime alla morte di Max, l’aveva vista piangere tra le sue coperte dopo il funerale e l’aveva vista piangere in bagno dopo aver saputo della memoria di Alec. Nessuna di quelle volte si era mostrata fragile avanti alle persone, lei sembrava sempre dura come il marmo ma Magnus sapeva quanto avesse bisogno d’aiuto.
“Non lo so” confessò “Ma non so spiegarlo in altro modo. Cosa sono se non ricordi?” anche la sua voce tremava, Magnus aveva letto quello che c’era nella testa di Alec e sapeva di non potergli resistere molto; se il ragazzo avesse messo in pratica quello che metteva nero su bianco, la sua sanità mentale sarebbe andata a farsi benedire. Non aveva mai saputo resistere ad Alec Lightwood e non avrebbe imparato in quell’occasione.
“Credi che dovrei dirgli di Max?” quella era stata una delle cose che gli erano saltate prima agli occhi delle confessioni che aveva letto: il pianto di bambino.
Alec era stato male per Max per così tanto tempo, ancora aveva incubi su quella perdita ogni tanto e non voleva vederlo mentre riviveva ancora una volta quel lutto: non era certo che lo avrebbe sopportato.
Era stato già abbastanza forte a superarlo una volta, ma una seconda volta?
Aveva seriamente il terrore per la sua incolumità mentale, ma d’altra parte, nascondergli quella cosa così importante del suo passato e della sua vita, non era altrettanto spaventoso e dannoso?
Chi erano loro per non dirgli qualcosa che la sua mente provava a rinnegare solo perché erano stati dei medici a dirglielo?
“Credi che non ricordi perché stia cercando di rinnegare quello che è successo in quei sette anni?” la voce di Magnus risuonò nella camera, spaventando Isabelle “No” sbottò “No che non cerca di rinnegarlo” si massaggiò le tempie “Non ti sta rinnegando, Magnus. Ti ama. Lo hai letto tra quelle parole, nonostante non ricordi di essere tuo marito, si è innamorato nuovamente di te”. Magnus era andato lì per parlare di quello, certo, ma improvvisamente non ne aveva più voglia, improvvisamente i suoi timori e le sue speranze avevano il desiderio di restare solo sue e sebbene odiasse erigere muri attorno ad Isabelle, quella volta lo fece, o almeno ci provò. “Dovresti parlargli di Max” gli disse, cercando di cambiare discorso.
“Supponi che potrebbe aiutarlo anche a ricordare te?” la voce flebile di Izzy non era un’accusa ma un desiderio; sapeva quanto Magnus fosse stato benefico per suo fratello, sapeva quanto si amassero e avessero bisogno l’uno dell’altro e vederli in quella situazione la faceva soffrire quasi in prima persona.
“No” confessò Magnus “Ma non mi interessa, non sono qui per questo”. La ragazza scosse la chioma lucente di nero, il viso distorto in un’espressione di pura preoccupazione “Non ti sto accusando” disse direttamente, non era il tipo da peli sulla lingua “Voglio aiutarlo a ricordare, Magnus e se deve ricordare le cose brutte avrà bisogno di aggrapparsi anche a qualcosa di bello e tu” lo fissò dritto negli occhi e sebbene fossero totalmente  l’opposto di quelli del fratello, il regista riuscì a leggervi dentro la stessa determinazione e la stessa forza.
“Tu sei una delle cose più belle della sua vita. Ha bisogno di te per tornare ad essere mio fratello e io ho bisogno di mio fratello” aveva le mani strette attorno alle spalle del ragazzo che la guardò, gli occhi ricolmi di lacrime, e la strinse tra le proprie braccia “Lo riavremo” disse solo, e quella volta ne fu un po’ più certo.
 
*^*^*^*^*
“Ti dispiace, allora?”.
Magnus alzò la testa da uno dei libri che stava leggendo per una nuova serie tv che gli avevano proposto e scosse la testa “È casa tua, di cosa dovrei dispiacermi?” gli sorrise leggermente e tornò a mettere il naso tra le pagine. “È casa nostra” precisò Alec sedendosi al suo fianco “È che Izzy mi ha detto che lei e Jace devono dirmi qualcosa di importante” nei suoi occhi luccicò qualcosa, forse ansia, la stessa che si riusciva a leggere negli occhi verdi ricolmi di preoccupazione. “E avevo il terrore che Izzy ci invitasse a cena. Sai che la cucina non è il suo forte” ridacchiò e Magnus lo seguì a ruota “Lo so” rispose ricordando i vari tentativi di omicidio che Isabelle gli aveva proposto sotto forma di pasta al forno, crepes al cioccolato, minestra di pollo.
Quella ragazza era un’omicida se veniva lasciata da sola in cucina per qualche minuto.
“Possiamo invitare anche Catarina, Raphael e Ragnor?” gli chiese, sorridendogli e Magnus scosse la testa “Magari Catarina, per ringraziarla delle tante attenzioni che ti riserva, ma Ragnor e Raphael? Davvero? No” rise divertito immaginando già un’ipotetica cena con loro. La prima era stata un disastro tra le battute di Ragnor, le risate di Catarina e le maniere spietate di Raphael, chissà come sarebbe stata ‘La cena, volume 2, il ritorno’. Di sicuro da sbellicarsi dal ridere.
“Volevo invitare anche la tua famiglia” fece spallucce Alec “Ci tenevo a vederti felice”.
E Magnus avrebbe benissimo potuto dirgli che per essere felice gli bastava svegliarsi sotto il suo stesso tetto – meglio ancora, sotto la sua stessa coperta – invece gli sorrise e gli disse che la felicità è troppo effimera e inconsistente per essere qualcosa che tutti desiderano.
Dunque si alzò, si mise addosso il primo cappottò che trovò all’ingresso – in realtà lo aveva preparato prima, era un normale giacchetto di ciniglia dalle sfumature del cielo al crepuscolo – e prese le chiavi della macchina, sventolandole sotto il naso del coinquilino “allora, andiamo a fare la spesa?”.
 
Il carrello fu riempito delle più svariate schifezze che non avrebbero assolutamente guardato quella sera, ma anche da verdure come melanzane, pomodori e zucchine, pasta, dolci, latte, biscotti, sale, zucchero, tutto, dal momento che in quella casa mancava ogni cosa.
E il bancone della cucina fu rivestito di tutte quelle pietanze scelte al negozio, che ora dovevano essere sbucciate e trasformate in qualcosa di – vagamente – commestibile.
E, infilatisi due camici, i due si misero all’opera, cucinando più veloce di quanto avrebbe anche solo lontanamente immaginato. Avevano già cucinato assieme svariate volte, Manus adorava svegliarsi dopo una sana serata di sesso e trasferirsi in cucina – molto spesso nudo- per provvedere ad una ricca colazione che gli ridesse le forze per iniziare un secondo round, cosa che di solito avveniva prima di mettere la torta o i biscotti in forno, o dopo, entrambe le volte con lo scarso risultato di una colazione presa al volo prima di scappare agli studios, ma ne valeva la pena. Magnus guardò di sott’occhi Alec concentrato a tagliare del cioccolato finemente per poi mischiarlo al latte caldo in un pentolino e non riuscì a non ridere ricordando cosa avevano combinato con quel pentolino ricolmo di cioccolato una volta, finendo per sconvolgere il povero Presidente e dover cambiare tutta la tappezzeria della casa;; oh, quello che era successo quel piovoso pomeriggio di un lontano novembre avrebbe fatto impallidire i lettori di Alec se quello avesse deciso di scriverci un pezzo su. Scosse la testa e tornò alla panna che stava montando, ma Alec, che aveva appena finito di sciogliere il cioccolato, gli rivolse un’occhiata indispettita “Perché ridevi?” chiese curioso e lui scosse la testa non potendo, ovviamente, dirgli qualcosa come ‘Niente, stavo ricordando le nostre sfrenate maratone di sesso tra bancone della cucina e tavolo di vetro dove potrebbe ancora esserci l’orma del tuo sedere se guardi bene, tutti rivestiti di panna e cioccolato’, dunque si limitò a spegnere il frus6ino elettrico e girarsi dal latto opposto. “Avanti, Mag!” insistette Alec “Sono sporco?” chiese, già con le guance rosse e Magnus sorrise ancora di più, perché una delle tante volte era partito tutto da quella domanda.
“Avanti!” occhi blu si lisciò il grembiule e gli si avvicinò “Ti prego” i suoi occhi erano putati dritti in quelli di Magnus che non riuscì a trovare scuse dunque immerse un dito nella panna e poi gli sporcò il naso “Ora sì” rise facendogli un occhiolino, e poi fu il turno di Alec di sporcarlo e ancora quello di Magnus e poi quello di Alec, ma quella volta Magnus dovette limitarsi: non sarebbe finito tutto con entrambi nudi.
Sebbene lo desiderasse e sapesse che Anche Alec a modo suo desiderava fare l’amore con lui, fuu suo dovere interrompere quella sottospecie di preliminari casti e puri che lo stavano facendo eccitare più del solito.
“Direi” si tolse il grembiule e si guardò divertito attorno, pur di non puntare gli occhi sulle labbra scure di cioccolato di Alec, “Che è arrivata l’ora di prepararci. Tra poco Isabelle e Jace saranno qui”.
Il viso di Alec si piegò in una quasi impercettibile espressione di disappunto prima che il giovane occhi blu annuisse scocciato “Vai tu, inforno la torta” disse rigirandosi verso il forno, e Magnus ne era certo, quella sera sul pc di Alec avrebbe trovato qualcosa riguardante quel pomeriggio. Qualcosa che finiva esattamente come entrambi avrebbero voluto far finire quel pomeriggio: con loro due sul divano a fare l’amore, cosparsi di cioccolato.
 
*^*^*^*^*
Magnus aveva quasi dimenticato quanto stancanti potessero essere le cene con la famiglia di Alec, tra JAce con le sue solite battutine sarcastiche che riuscivano a graffiarti più degli artigli di una tigre della malesia, e quelle nerd di Simon, comprensibili solo da un nerdo come lui e di conseguenza poco simpatiche –in genere- per lui, che invece come durante ogni altra cena di famiglia era impegnato in discorsi sulle unghie, su i migliori stilisti, sugli ultimi libri e le ultime serie uscite, con quelle due sante di Isabelle e Clary, anche se quella sera Izzy era diversa dal solito: aveva l’aria di una che stava per uccidere suo fratello e non aveva per nulla voglia di farlo. Magnus si guardò attorno notando che quell’espressione un po’ ansiosa e nervosa si era impossessata di tutti i commensali al tavolo – a parte Alec. Erano tutti a conoscenza di un segreto di cui occhi blu era ignaro e tutti sapevano di doverglielo dire anche se quella sarebbe stata l’ultima cosa al mondo che avrebbero voluto confessargli. Se l’erano vista tutti brutta, avevano vissuto tutti la morte di Max per mano del fratello di Clary, finito in galera, persino Magnus che era arrivato anni dopo, in un certo senso, aveva vissuto quel lutto sulle proprie spalle. Quando era arrivato nella vita di Alec aveva trovato un ragazzo vuoto, l’involucro di quello che avrebbe potuto essere, un ragazzo svuotato, pieno solo di rabbia e tristezza che non riusciva a sfogare in nessun modo. Più volte Alec gli aveva confessato che in fondo era stata colpa sua: se non avesse lasciato soli Isabelle e Max, ne era convinto, Jonathan non avrebbe provato a violentare la ragazza ed uccidere il bambino, o almeno sarebbe finita diversamente. Ma non era finita in quel modo e tutti a quel tavolo, temevano quello che sarebbe successo dicendolo ancora una volta ad alta voce.
La cena finì in fretta, forse troppo in fretta, e Magnus assieme a Clary e Simon si stavano trasferendo in cucina per iniziare a rassettare mentre Alec, Isabelle e Jace parlavano di quello di cui dovevano parlare, ma Alec seguì Magnus nel corridoio, un po’ come ai vecchi tempi. L’unica differenza era che ai vecchi tempi Alec lo avrebbe baciato, gli avrebe sorriso e poi lo avrebbe lasciato andare via. In quel momento il suo sguardo lo supplicava di restare.
“Sono cose vostre, Alec. Tue e dei tuoi fratelli, persino i loro fidanzati sono andati via, perché dovrei restare?” sussurrò piano il regista “Non voglio entrare in queste dinamiche di famiglia”.
Alec però era un tipo testardo quando ci si metteva e in quell’occasione non si sarebbe arreso facilmente: aveva bisogno di Magnus al suo fianco. Sentiva che quello di cui stavano per parlargli in un modo o nell’altro lo avrebbe ferito o almeno gli avrebbe ricordato qualcosa che non avrebbe voluto ricordare: lo sentiva nel centro esatto nel petto. E dunque aveva bisogno di aiuto e voleva che quell’aiuto fosse quello di Magnus, ecco perché dieci minuti dopo anche Magnus era seduto sul divano, di fianco ad Alec, che cercava già con le dita le sue mani. Isabelle e Jace, seduti sul divano opposto, si guardavano cercando un modo per dire qualcosa che non poteva essere detto altrimenti se non in quello più diretto esistente.
“Ho letto delle cose sul tuo pc, stamattina” iniziò il discorso Magnus, gli occhi bassi e mortificati; Alec subito divenne rosso come un peperone, le mani si irrigidirono come il resto del suo corpo e il suo sguardo sfuggì lontano da quello dei presenti “Che tipo di cose?” chiese con voce tremante.
“Cose che riguardano un ragazzo che sa di non sapere” disse veloce, rendendosi conto poi di quello che aveva detto: un ammasso di parole insensate. “Ho letto di Kevin che sa di non ricordare tutto, di essersi perso un tassello del puzzle, che sa di aver dimenticato qualcosa.” Magnus alzò lo sguardo in quello del giovane che ancora lo sfuggiva, dunque aggiunse un “Ho letto solo quello” quasi volesse tranquillizzarlo, ed in effetti funzionò: lo sguardo di Alec subito ritornò nel suo. “Davvero?” chiese, rosso in viso. “Davvero” rispose Magnus sentendo lo sguardo bollente di Isabelle su di sè. Stava mentendo ma una bugia a fin di bene non poteva fare più male di una caramella senza zucchero. “È quello che provi tu, Alexander?” chiese con voce più insicura, le mani che gli tremavano, lo sguardo che cercava l’approvazione di Isabelle e Jace, che per l’occasione sembrava essere diventato muto. “State per dirmi che mi sono perso qualcosa per strada, vero?” chiese, questa volta preoccupato. “Più che qualcosa” intervenne Jace alzando per la prima volta lo sguardo nel suo. “Quando ti sei svegliato ti sei sbalordito di essere nel 2017” sussurrò con voce calma Magnus “È perché sei rimasto parecchi anni indietro” concluse Jace con poca delicatezza, ma forse in quel caso la delicatezza poteva solo peggiorare le cose. “Intende dire” Magnus riprese parola “Che hai avuto un incidente e hai avuto un forte trauma cranico che ti ha provocato dei vuoti di memoria. Hai perso, secondo i medici e secondo quello che ci dici, all’incirca sette anni di memoria” e la voce incrinata di Magnus quasi non si spezzò in un pianto amaro, perché ‘circa sette anni di memoria’ equivalevano esattamente a ‘circa tutta la nostra vita assieme’. “Lo immaginavo” rispose, calmo, sebbene si aspettasse altro, si vedeva dallo sguardo spiritato che ripassava i fratelli da uno ad uno; Isabelle che non aveva ancora parlato lo fuggiva velocemente, guardando Magnus. “Ci sono tante cose che vorremmo dirti” iniziò Magnus “Ma i medici ce lo hanno proibito. Dovresti arrivarci da solo” Jace face un sorriso sarcastico “Ma ci sono cose” sbuffò “A cui non puoi arrivare tanto facilmente” si massaggiò le tempie: si vedeva ala grande che avrebbe preferito essere ovunque, ovunque ma non lì. “Di cosa si tratta precisamente?” la sua voce tremava così come le mani di Isabelle che si sporse dal divano per intrappolare quelle di occhi blu, farselo più vicino e guardarlo dritto negli occhi.
“Non vorremmo farti rivivere tutto questo, Alec. Non vorremmo essere qui a parlare di quello che è stato per noi Lightwood uno dei peggiori momenti di sempre. Ma dobbiamo. E questa volta non sei solo, hai Magnus, ci sarà lui al tuo fianco” deglutì. “Cosa riguarda?” chiese il giovane quasi a volersi preparare.
“Il pianto di bambino” disse Jace e da quel momento in poi Magnus si fece un po’ più piccolo sul divano. La verità stava per arrivare e lui non era pronto a vedere Alec andare in mille pezzi.
“Max….“ sussurrò piano Alec “Perché Max non è venuto a trovarmi mai? Perché non è qui?” Magnus poteva sentirgli la voce impastata di lacrime. Era sempre stato così dannatamente intelligente, come aveva fatto a non aspettarsi che capisse tutto al primo colpo?
Gli occhi di Isabelle erano ricolmi di lacrime, quelli di Jace erano strategicamente coperti da un lungo ciuffo di capelli biondi e quelli azzurri di Alec sembravano essere sul punto di spegnersi, Magnus sentì il bisogno di spingersi verso di lui e abbracciarlo ma non fece nulla: restò lì, muto.
“Ecco…” la voce di Izzy era ormai talmente tanto distrutta dalle lacrime da essere diventata roca e spezzata, Jace non sembrava intenzionato a parlare.
“Circa sette anni fa è successo un… casino” provò a dire Isabelle, cercando di non piangere, non poteva spezzarsi avanti a tutti, non in quel momento. “Max è…”.
Alec scosse la testa, le lacrime che gli rigavano le guance “Non sono sogni i miei, quindi? Quella bara bianca, quel mucchio di persone in bianco, la statua dell’angelo, tu inginocchiata accanto ad una tomba….”.
Isabelle si ritrovò ad annuire e Jace si ritrovò a stringerla tra le proprie braccia.
“Abbiamo perso Max” disse, solo, la voce dura come quando cercava di non mostrare le sue emozioni.
E quello fu come un colpo al petto: non sapeva quanto bene lo avesse sentito la prima volta che aveva recepito quelle parole, ma in quel momento fu come ricevere una pallottola esattamente nel quarto spazio intercostale. Si sentiva senza aria nei polmoni, il cuore battere velocemente, la testa scoppiare.
Era la verità? Non potevano di certo scherzare su qualcosa di così pesante, non poteva certo aspettarti che da un momento all’altro entrasse Max dalla porta, con uno degli zainetti pieni di Manga che si portava sempre dietro, no?
“Come?” chiese Alec, tra tutto quello che gli frullava nella mente. Come se quella fosse stata una cosa importante, come se il fatto che Max non ci fosse più non sarebbe migliorato se avesse scoperto che almeno era morto senza soffrire.
“È stato ucciso” disse Izzy “Da Jonathan Morgenstern, ora è in carcere” era meglio non scendere troppo nei dettagli, forse un giorno li avrebbe ricordati da solo, forse no; non erano necessari al fine, dunque almeno quelli potevano essergli risparmiati.
“Morgenstern” la sua voce bassa e roca precedette un veloce movimento della testa che si girò verso la cucina “Clary…..?”. Jace annuì “Suo fratello” disse a bassa voce, sentendosi quasi in colpa come un tempo, per aver permesso a quell’essere di entrare nelle loro vite. “Mi dispiace” fu tutto quello che disse, e poi la camera cadde in un pesante silenzio; lo scrittore si sentì sprofondare nel nulla, in un abisso di silenzio e solitudine, nella dura consapevolezza dell’ignoranza. E lui non era mai stato un granché a nuotare e in quel momento non aveva per nulla voglia di annegare. Non con i suoi fratelli avanti.
Alec cercò le mani di Magnus, le strinse per un istante e poi velocemente si alzò dal divano “Scusate” disse solo, la voce rotta dalle lacrime, gli occhi lucidi e il viso già imperlato di piccole goccioline, e scappò via.
 
*^*^*^*
Si sentiva confuso, un mare di informazioni gli giravano la testa facendogli sperare che potesse scoppiare da un momento all’altro: continuava a vedere le stesse scene e in più il viso di Magnus, di qualche anno più giovane, come se anche quello fosse un ricordo. Quindi non aveva conosciuto l’uomo quell’anno? E tutte le altre cose che vedeva? Entrambi vestiti di blu ed oro, Isabelle vestita di oro al suo fianco, Clary abbracciata a Jace vicino ad un altare, Simon con due anelli tra le mani, una folla di persone.
Che senso aveva tutto quello che stava vedendo? Erano ricordi, sogni, speranze, cosa?
Si stropicciò gli occhi, volendoli quasi cavare dalle orbite, così magari si sarebbe sentito più leggero.
Sentiva il silenzio al di là della porta: erano andati tutti via, eppure nel suo cervello c’era più rumore di quanto avesse sentito in tutta la sua intera esistenza – a parte gli ultimi sette anni dimenticati.
Come aveva fatto? Come era riuscito a non capire che gli mancasse così tanto?
Che fosse stato svuotato fino a quel punto?
E come diavolo era successo? Un incidente non è una buona spiegazione. Un cognome non è una buona spiegazione: doveva sapere di più. Doveva sapere tutto quello che aveva dimenticato. E che fosse pronto o meno per i medici, non gli interessava. Sentiva il bisogno di ritornare a prendere la propria vita con le mani.
Un leggero tocco contro la porta lo fece ritornare al presente, con Magnus infilato solo per metà nella sua camera. “Tu lo sapevi?” chiese Alec, serio, e Magnus annuì, aprendo del tutto la porta per entrare in camera e sedersi al suo fianco anche se non era stato invitato. “Mi dispiace” disse, mortificato.
“Perché tutti continuate a ripeterlo? Tu, Jace, Izzy. Non riesco a crederci” sussurrò spingendosi la testa tra le mani “Cosa mi è successo? Come faccio a non ricordare tutto? Io-io-” un’altra lacrima gli ricadde giù dagli occhi e Magnus la raccolse velocemente, sapeva quanto anche Alec odiasse piangere avanti a qualcuno, quello sembrava essere un segno distintivo dei Lightwood.
“Vedo anche te nei miei sogni” mormorò, sperando che Magnus potesse dirgli qualcosa in più, ma quello non disse nulla e continuò a guardarlo “Ci conosciamo da più tempo di quanto io ricordi, vero?” chiese, la voce tremante ma ricca di speranza. Magnus tacque.
“Ti prego” sussurrò lo scrittore stringendo le sue mani “Ti prego, aiutami a ritornare a galla. La mia mente sta cercando di annegarmi e non voglio, Mag”. Ma lui scosse la testa “Vorrei aiutarti a ricordare parlandoti di tutto ma non posso, Alexander. Me lo hanno vietato. Sei strettamente seguito da medici, psicologi, infermieri e tanti altre persone che fanno parte di una ricca e competente equipe, non posso andare contro quello che mi dicono” ma quelle non erano esattamente le parole che avrebbe voluto dirgli.
“Cosa vuoi, invece?” chiese e le labbra di Magnus si incresparono in un leggero sorriso.
“Che tu possa ricordare” si spinse leggermente e lo prese tra le proprie braccia “Che tu possa ricordare” ma Alec stava già piangendo, gli occhi chiusi, le immagini di un bambino dai vivaci occhi blu nascosti dietro un grosso paio di occhiali da nerd, scorrevano veloci per poi essere rimpiazzate da quelle di un funerale, di tante lacrime, di una tomba.
Gli venne voglia di urlare: di farlo contro chi aveva tolto la vita a Max, contro chi lo aveva ridotto in quello stato con l’incidente, contro il proprio cervello, contro i medici e gli psicologi che non volevano fargli dire nulla, contro l’inutile sofferenza che gli esseri umani devono crearsi da soli uccidendosi a vicenda.
Aveva la testa vuota di ricordi ma ricca di dolore ed informazioni mescolate e non riusciva a distinguerle per poter creare qualcosa di anche solo vagamente comprensibile.
Si sentiva come una bomba: da un momento all’altro sarebbe esploso.
Se quello voleva dire ricordare, non era poi tanto certo di volerlo fare, ma cosa altro poteva fare se non restare? Non poteva mica scappare dalla realtà.


Spazio autrice.
Ebbbbbene prima di tutto: 3x12 COSA VOGLIAMO DIRE? No perchè io sto guardando tutte le scene malec in loop e sto male, davvero. Mi hanno uccisa.
Sono felicissima. Non sono mai stata così tanto felice di morire. + SIZZY IS RISING OMG I NEED THEM. + QUANTO CAZZO È BRAVO LUKE? QUANTO?
È colpa della 3x12 se mi è nata una nuova malsana idea e ve la lascio qui, se vi va di passarci: 


Tornando a Lost in Memories: RAGA INIZIA LA TORTURA. Alec inizia a ricordare qualcosa, sebbene inconsciamente, e Gao e Kevin /vi ricordano qualcuno questi nomi?/ ne sono a dimostrazione! Magnus porello, non sa dove buttare la testa! E finalmente Alec che viene a sapere di Max..
Pensate sia stata positiva questa rivelazione o sarebbe stato meglio continuare a tacere?
Let me know!
Grazie per aver letto.
StewyT~

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** It’s hard to believe that all your nightmares are real, isnt’it? ***


It’s hard to believe that all your nightmares are real, isnt’it?
 
Le urla di Alec arrivarono dritte alle orecchie di Magnus ch non riusciva a dormire e continuava a rotolarsi nel suo letto vuoto; inizialmente credette si trattasse del ricordo della notte precedente, ma al secondo urlo disperato fu certo che quella voce appartenesse ad Alec e che per la ventesima volta negli ultimi venti giorni, Alec stava sognando qualcosa che lo spaventava talmente tanto da fargli urlare di continuo ‘No’ e ‘ti prego’.
Non ci pensò due volte su prima di scattare all’in piedi, con Presidente ancora tra le braccia e il corpo coperto solo da dei leggeri pantaloni di liscia seta verde, e precipitarsi in camera di Alec dove, ancora addormentato, giaceva tra le coperte il ragazzo completamente sudato, i capelli incollati alla fronte, le mani strette attorno al copriletto bianco e un’espressione di puro orrore sul viso; non si poteva continuare in quel modo, erano venti giorni che Alec continuava ad avere quegli incubi e continuava a non riuscire a dormire e doveva mettere fine a quella situazione.
“Alec” gli sussurrò all’orecchio stringendo le mani attorno alle sue spalle “Alec” lo stritolò più forte ma lui continuava a non voler aprire gli occhi “Al-” quella volta Magnus fu interrotto da Alec stesso che urlò un disperato ‘Magnus’ prima di aprire velocemente gli occhi, ricolmi di lacrime, alzarsi a sedere e stringersi alle spalle del regista, continuando a sussurrare un ‘no’.
Il più anziano dei due aveva uno sguardo di puro terrore sul viso, guardare il suo Alexander così bianco, sconvolto e impaurito faceva stare male anche lui: se avesse potuto dare la vita per farlo stare bene non si sarebbe tirato indietro.
“Alexander” disse stringendo le loro mani “Va tutto bene, va tutto bene” ma Alec scosse la testa e si fiondò tra le sue braccia stringendosi talmente forte da fargli mancare il fiato “È stato orribile” sussurrò tra i singhiozzi anche se, in quel momento, non avrebbe saputo spiegare quello che aveva sognato: era stato tutto così scuro ed indistinto da non riuscire ad avvertire altro se non ombre che sembravano volerlo divorare senza dargli tregua.
“Magnus” sussurrò tra i singhiozzi e un brivido percorse la schiena di Magnus, il modo in cui aveva urlato il suo nome nel sogno, gli aveva fatto arricciare i capelli alla base del collo dallo spavento: era stato il grido più spaventoso che avesse mai sentito.
“Cosa hai sognato?” chiese allontanandosi leggermente per guardarlo negli occhi, senza interrompere il contatto fisico così come gli era stato consigliato dagli psicologi.
“Non lo so” disse, in preda ad un attacco isterico “Ma non voglio più farlo”.
Era così piccolo e fragile in quel momento che Magnus non avrebbe voluto fare altro che stringerlo per sempre.
“Okay” sospirò “Sei completamente bagnato, che ne dici di fare una doccia mentre io preparo una cioccolata calda?” gli sorrise dolcemente ma Alec in risposta prese le mani tra le sue e le strinse con forza “Ti prego no, non lasciarmi solo, Magnus. Resta al mio fianco, ti prego” e Magnus ci sarebbe rimasto per sempre al suo fianco, se solo glielo avesse chiesto. Eppure era davvero completamente bagnato e doveva cambiarsi se non voleva rischiare di ammalarsi, dunque si alzò dal letto giusto il tempo di prendere un asciugamano ed una nuova t-shirt dall’armadio e ritornare al suo posto sorridendo “Non vorrai fare la doccia ma devi almeno cambiarti, cacciatore” gli fece un occhiolino, sebbene non riuscisse a scherzare davvero con un Alec così spento, ombra di sé stesso. Alec restava immobile, gli occhi spalancati, la bocca chiusa in un’unica linea dritta, le mani strette lungo alle lenzuola; Magnus si sedette al suo fianco e visto che lui non sembrava avere l’aria di uno pronto a spogliarsi per cambiarsi, agganciò la maglia nera scolorita che portava al posto del pigiama e con lentezza la alzò aiutandolo a sfilare prima le mani e poi la testa; gli occhi caddero sul corpo scolpito e tonico del marito e mille immagini di tutte le altre volte in cui lo aveva spogliato per motivi diversi, gli affiorarono alla mente; voleva baciarlo. In quel momento. Voleva abbassarsi leggermente, giusto lo spazio per e alla sua altezza, e baciarlo fino a non avere più aria nei polmoni.
Invece lo stava asciugando, delicatamente, passando con estrema calma l’asciugamano su tutto il corpo mentre lo sguardo di Alec si alzava sempre più lentamente nel suo, fino a posarvisi dentro completamente.
“Io e te ci conoscevamo già prima, vero?” chiese quando Magnus era arrivato con l’asciugamano all’altezza del cuore; passò l’asciugamano velocemente sul braccio sinistro e poi lo mise di lato, porgendogli la maglia “La metti tu?” chiese alzandosi per andare a posare maglia e asciugamano in bagno, tornare e sedersi al suo fianco.
“Magnus” sbuffò Alec, gli occhi lucidi di sonno, due grosse occhiaie attorno agli occhi “Non evitarmi”.
Magnus sospirò e scosse la testa, il ragazzo proprio non capiva l’orribile situazione in cui si trovava, volendogli dire tutto ma non potendolo fare.
“Eri il fidanzato di Isabelle? Conoscevi Jace? Eravamo migliori amici?” la confusione nuotava nei suoi occhi ed era evidente anche sul suo viso chiaro.
“Rispondimi” supplicò e a lui scoppiò una guerra dentro, e Alec con i suoi occhi blu, le mani strette alle sue, lo sguardo implorante e l’aria confusa, la stavano vincendo, ma lo amava, amava davvero Alec.
Lo amava al punto di mettere la sua salute al primo posto, persino prima della loro vita matrimoniale, e Catarina glielo aveva detto chiaramente: i medici credevano che alterandogli le memorie con dei racconti, le cose sarebbero potute peggiorare sempre di più, fino ad impedirgli totalmente di poter riavere tutti i sui veri ricordi.
“Non” deglutì a fatica, girandosi verso di lui “Non costringermi a mentirti, ti prego” lo implorò prendendo il suo viso tra le mani “Se continuerai così” e la sua voce provò a sembrare più dura “Dovrò andare via e non voglio farlo, voglio restarti vicino” scosse la testa, demoralizzato, “Spero che almeno la mia presenza…”.
“Lo faccio per te, Alexander. Per noi. Non chiedermi nulla, cerca di ricordare da solo” e fu la tristezza o il dolore nella sua voce, il suo sguardo pregante, la sua dolce stretta, non sapeva cosa fu, ma Alec si sentì piccolo piccolo come se gli avesse appena chiesto di commettere un crimine immorale.
“Perdonami” rispose “Non ti farò più domande simili” portò le mani all’altezza delle sue, le strinse e poi le lasciò cadere sui loro grembi “Solo, ti prego, non lasciarmi solo”.
Magnus annuì – e dovette fare davvero fatica a non baciarlo – e gli sorrise “Mai” e quella era davvero l’unica promessa che avrebbe mantenuto per l’eternità.
 
*^*^*^*^*
 
Dopo giorni e giorni di sperimentazione avevano scoperto che Alec si rilassava talmente tanto se scarrozzato avanti e dietro in auto da riuscire a dormire – dopo essere stato stancato a sufficienza da non poter davvero pensare a nulla che lo portasse sulla via dei sogni – bene per quasi tutta la notte; c’era sempre qualche eccezione, ma il più delle volte dopo un buon giro in auto durato qualche ora, arrivava a casa talmente stanco da addormentarsi sul colpo e svegliarsi il giorno dopo senza ricordare nulla di quello che aveva sognato o almeno nulla di tanto spiacevole.
E quella sera dopo Jace, Isabelle, Clary e Simon, era toccato a Magnus accompagnare occhi blu in giro per la città; erano andati a cena in un ristorante – Il Daniel’s ed era stato difficile ed imbarazzante spiegare a Daniel e tutti i dipendenti quello che gli era successo e pregarli di far finta di non conoscere il ragazzo – e dopo il tanto cibo mangiato – che aveva lasciato Alec a bocca aperta, a tal punto da spingerlo ad avvicinarsi al proprietario e cuoco e fargli le migliori congratulazioni con gli occhi brillanti e lo stomaco pieno come non mai – e il buon vino bevuto, erano saliti in auto in cerca del nulla.
Alec aveva sempre detto a Magnus di amare guidare perché riusciva a stimolargli la mente e fargli venire un mucchio di idee ma a quanto pareva la macchina poteva avere anche altri effetti su di lui.
Erano quindi chiusi assieme nell’abitacolo della costosa macchina del regista che guidava con una sola mano sul volante e l’altra fuori dal finestrino; Alec era attento ad ogni minimo particolare, ad esempio la camicia blu scuro tirata fin sopra l’avambraccio – come piaceva a lui – che mostrava non solo dei muscoli virili ed eleganti ma anche un’elegante forma tutta curve  e linee dritte nere all’altezza della fossa cubitale, lì dove c’era un intreccio di arterie e vene che arrivavano dritte dal cuore e andavano dritte verso il cervello, e in quel segno Alec riconobbe lo stesso segno nero che aveva tatuato sul petto.
“Abbiamo lo stesso tatuaggio” sbottò nel silenzio più assurdo della macchina; Magnus che credeva Alec ormai addormentato, scostò di scatto lo sguardo dalla strada giusto per guardarlo un secondo negli occhi, e poi altrettanto velocemente lo riportò sul percorso buio che stavano percorrendo.
“Non devo fare domande” disse titubante Alec e Magnus annuì “In un’altra vita ci siamo fatti quel tatuaggio assieme” sospirò Magnus ricordando il momento in cui Alec gli aveva chiesto di sposarlo, sebbene per loro non fosse ancora possibile procedere in un vero e proprio matrimonio e quindi si erano accontentati di una cerimonia a Malibu solo loro due e un tatuatore che aveva disegnato sui loro corpi una runa d’amore, uno dei tanti simboli che popolavano la fantasia di Magnus e le sue serie tv; quella usata per unire in matrimonio anche Matthew ed Harry, i personaggi della serie che Alec tanto amava e venerava.
Ma quella era un’altra vita; in quel momento quella runa, non significava nulla.
Deglutì guardando con la coda dell’occhio un Alec tutto imbronciato che guardava avanti con gli occhi già velati di sonno e si maledisse mentalmente; quella runa, sebbene fosse di un’altra vita, significava più di quanto avrebbe mai potuto pensare in vita propria.
“Mi piacerebbe” sussurrò Alec portando nuovamente lo sguardo sulla figura alta e dinoccolata che guidava “Se in un’altra vita o un altro universo Magnus e Alec fossero innamorati e felicemente sposati, lo sai? Magari Magnus potrebbe portare ad Alec la colazione a letto tutte le mattine e Alec potrebbe tirare Magnus sul proprio corpo e baciarlo per poi dirgli che lo ama e bere il proprio caffè senza latte e con poco zucchero.” nel momento stesso in cui quelle parole ruzzolarono via dalla sua bocca, si sentì andare a fuoco; era uno che rifletteva tanto prima di parlare eppure era spontaneo da morire e quella volta era stato troppo spontaneo e troppo poco riflessivo ma Magnus sembrò non notarlo; sebbene, però, mostrasse uno sguardo di ghiaccio e un viso impassibile sentiva un fuoco che gli ardeva dentro e pezzo dopo pezzo lo divorava lentamente trasformandolo in un cumulo di cenere. Il suo Alec desiderava esattamente la sua vita.
Ed effettivamente anche lui non avrebbe desiderato vita diversa dalla loro.
“Che musica ti piace ascoltare, Alexander?” chiese scostandosi quanto più possibile dall’argomento trattato dallo scrittore che scosse la testa contrariato “Rock” sbottò “hai una band preferita?” inserì la quarta ed accelerò facendo andare la macchina a 140 km/h e ad Alec piaceva il brivido che gli saliva per la schiena ogni volta che la macchina scivolava sull’asfalto più velocemente facendogli arrivare vagonate di vento nei capelli. “I Queen” rispose guardando fuori dal finestrino dove tutto ormai era una macchia indistinta di foglie, cielo e asfalto grigio. “Premi play, allora” consigliò Magnus facendogli un occhiolino; e Alec lo fece, premette play e l’abitacolo si riempì della calda e sensuale voce di Mercury che fece nascere un enorme sorriso sulle labbra dello scrittore “Ovviamente lo sapevi. Te lo avevo già detto nella nostra vita passata, vero?” un sopracciglio inarcato e un grosso sorriso erano dipinti sul suo viso “Amo anche io i queen” Alec finse un’espressione sorpresa “E ovviamente Don’t stop me now è la tua preferita?” Magnus rise sonoramente “Mi immagino nelle migliori posizioni possibili ascoltando questa canzone. Scatena il pervertito che è in me” Alec scoppiò a ridere “Perché ovviamente tu vedi del perverso ovunque, Magnus Bane” il regista annuì “E sai cosa? Sono stato un groupie dei Queen in una delle mie tante vite del passato” gli fece un occhiolino e Alec rise di gusto “Oh quanto ti immagino in abitini succinti, codini e rossetto rosso mentre cerchi di attirare su di te l’attenzione di Mercury!” ridacchiò beccandosi uno sguardo di disapprovazione “Gonna e reggiseno? No, grazie. Meglio pantaloni di pelle e petto nudo. Anche tu mi preferisci così, lo so”. Alec scosse la testa divertito “Ti preferisco vestito di blu ed oro a dire il vero. L’oro fa risaltare i tuoi occhi e il blu la tua carnagione” gli fece un occhiolino ma Magnus ormai era già perso in mondi in cui Alec aveva dimenticato di essere esistito.
“Non mi hai mai visto vestito di blu ed oro, però” si morse il labbro inferiore e cercò di concentrarsi di più sulla strada stringendo entrambe le mani sul volante con così tanta forza che Alec pensò che da un momento all’altro si sarebbe staccato o forse a staccarsi sarebbero state le sue mani; decelerò leggermente, scalò di marcia e prese una curva strettissima che lo rimetteva dalla statale alle strade di città, segno che stavano per avvicinarsi di più a casa. “Ti ho visto nei miei sogni stanotte. Eri vestito di blu ed oro, lo ero anche io e ci stavamo… baciando” deglutì con forza al ricordo del sogno che aveva fatto e dell’allegria che gli aveva attaccato e si era portato dietro anche durante tutta la giornata. “Eri bellissimo e avevi una fede alla mano; anche io ne avevo una. Tutti ci stavano applaudendo. Simon ci ha detto qualcosa come ‘Auguri e figli maschi’ e io mi sono rivolta scocciato verso Izzy e le ho chiesto ‘chi ha invitato il nerd?’ e mi sono beccato una gomitata da te, nello stomaco”. Non sapeva se quello fosse un sogno o un ricordo; ultimamente i ricordi gli si mostravano solo sotto forma di incubi, però, quindi sospettava fosse solo un semplice sogno che stava cercando di dirgli qualcosa su lui e Magnus. Qualcosa che forse non avrebbe scoperto mai.
Magnus accelerò di nuovo e restò in silenzio: la mascella serrata, gli occhi duri rivolti alla strada e il corpo più teso di un filo interdentale in azione.
“Ehi?” chiamò Alec guardandolo fisso “Ho detto qualcosa che non va? Se- se- se ti danno fastidio questi miei sogni posso anche evitare di raccontarteli, ecco.” Sospirò e Magnus gli si rivolse sorridendogli.
“Credi ai tuoi sogni?” chiese, invece di rispondere alla sua domanda. “Ci credo” rispose fermamente Alec “Ma ultimamente i sogni si sono trasformati in incubi e quegli incubi sembrano essere proprio la vita che ho dimenticato di aver vissuto..” sbuffò.
“E questo è stato un incubo?” chiese curioso Magnus; Alec quasi come a volerne la conferma pensò dettaglio per dettaglio al sogno e scosse la testa “Il vero incubo è stato svegliarmi e non trovarti al mio fianco”.
Ecco. Quella cosa l’Alec di prima non lo avrebbe mai e poi mai detto. Alec era timido, introverso, faceva fatica ad esporsi e invece con Magnus stava avvenendo l’opposto proprio come se lo avesse conosciuto da tempo e dirgli quelle cose fosse stato naturale; non stava dicendo nulla di strano, solo i propri pensieri ad un uomo a cui voleva bene – se ci rifletteva quel bene, alla fine, si allontanava decisamente dal bene fraterno e si avvicinava più all’amore tra due amanti.
Magnus annuì, sospirò e ritornò a guardare avanti accelerando sempre di più, quasi volesse tornare presto a casa per liberarsi di Alec, dei suoi ricordi e dei suoi sproloqui.
“Sei stanco?” chiese per spezzare il silenzio imbarazzante, anche se era una domanda tremendamente stupida.
Stanco di cosa? Di dover mentire per rispondere alle sue domande?
Stanco di vivere in un mondo senza suo marito?
Stanco di essere imprigionato in quella specie di universo parallelo in cu Alec cercava di ricordare cose e metterle assieme come pezzi di un puzzle?
Lo era.
“No” rispose solamente, invece, concentrato e serio come poche altre volte Alec lo aveva visto in vita sua.
“Tu?” Alec annuì, ma si rese conto che Magnus era talmente tanto concentrato da non averlo minimamente guardato “La macchina mi ispira” svelò “E mi fa venire anche sonno. Sono stanco, sì” rispose, la voce impastata da sonno e gli occhi difficili da mantenere aperti anche se riconosceva la strada e si ripeteva che non valeva la pena addormentarsi visto che da un momento all’altro sarebbero tornati a casa.
“E sei ispirato ora?”. Riuscì a rispondere solo un flebile ‘ sì’ prima di sprofondare nei meandri del sonno, la testa poggiata al seggiolino, le mani strette in grembo e la bocca chiusa su un mezzo sospiro.
Magnus sorrise e lo guardò distrattamente rivolgendosi solo alla strada che ormai divorava come se fosse la migliore tra le sue torte preferite, fino a quando non si ritrovò a Brooklyn, di fronte al loro piccolo ma lussuoso palazzo. Scese il più silenziosamente possibile dall’auto, fece il giro e prese Alec tra le braccia –con grande difficoltà; Alec era leggermente più basso di lui, certo, ma aveva molto più muscoli, aveva il fisico di un sexy arciere con una schiena talmente sexy da poterci morire sopra. Alec, stretto tra le braccia di Magnus, gli si attorniò completamente stringendogli il collo “Mag-nus” sospirò ancora con gli occhi chiusi e lui sorrise; aveva sempre amato il modo in cui sussurrava il suo nome quando dormiva o era sul punto di farlo “Shhh, dormi” gli sussurrò accarezzandogli i capelli. Aprire la porta del loft fu un’impresa considerato che un solo braccio – sebbene infinitamente lungo- fosse difficile da usare per non far cadere un corpo di più di un metro e ottanta, ma ce la fece e presto furono in camera da letto, e presto Alec fu poggiato sul letto dove Magnus con una pazienza infinita, che neanche una madre in pena per il figlio avrebbe potuto avere, slacciò ad uno ad uno i bottoni della sua camicia nera, lasciandolo a petto scoperto, e poi si dedicò ai pantaloni facendogli fare la stessa fine della maglia: tra le grinfie del Presidente Miao che aveva seguito il suo padrone fino al letto. Magnus infilò Alec sotto le coperte lasciando però una gamba completamente scoperta  - aveva ormai imparato anche i più piccoli dettagli di come riusciva persino a dormire -.
E quello che successe dopo Alec non avrebbe saputo spiegare se fosse stato un incredibile bellissimo sogno, un ricordo dolce ed elettrizzante, la realtà. Gli sarebbe piaciuto se fosse stata la realtà, ma non poteva esserne certo: le labbra di Magnus si posarono dolci e leggere sulle sue, pressandoci su solo leggermente come a dirgli ‘Ehi, io sono qui e ti aspetto. Quando vorrai tornare sarò pronto a te”.
E poi tutto finì: un misero bacio a stampo che gli sarebbe rimasto nelle ossa per sempre; se restare sveglio tutta la notte lo portava poi a sognare i baci di Magnus in modo così reale, avrebbe rinunciato a tutte le ore di sonno possibili.
E lui? Magnus credeva che quello di rivedere Alec forte e in salute fosse solo un sogno o una vana speranza?
 
*^*^*^*^*^*
 
“Davvero è proprio necessario che io venga in quel posto?” la voce roca di Alec era in pendant con l’espressione scocciata che aleggiava sul suo viso e faceva ridere di gusto Magnus.
‘Quel posto’ di cui parlava era il Pandemonium, uno dei locali più famosi di New York il cui proprietario era Ragnor, nonché migliore amico di Magnus- e il cui gestore era Magnus stesso, capace di organizzare serate meravigliose seppur impegnato costantemente con il suo lavoro.
“Non sei neanche un po’ curioso di vedere quello che sono riuscito a creare?” gli fece un occhiolino e gli sorrise “Giuro che ne varrà la pena”. Alec sbuffò “Dammi un solo motivo per venirci!”.
Il regista fece finta di pensarci su un momento mentre scavava nell’armadio dello scrittore in ricerca di qualcosa di vagamente elegante di adatto per la serata.
“Uno, devi stancarti e quale migliore modo di farlo ballando? Due, se vado io, resterai sicuramente solo tutta la notte. Tre, voglio presentarti i miei amici. Quattro, per non farti sentire solo ho invitato anche i tuoi amici” e quasi a conferma di quello che aveva appena detto il cellulare di Alec trillò avvisandolo che gli era arrivato un messaggio da Jace: “Wow, il tuo coinquilino è capace di creare magie. Ci vediamo tra poco ;) “.
“Allora, cosa ti dice Jace?” chiese guardandolo da sopra la spalla.
“Come facevi a sapere che era Jace?” lui rise scuotendo la testa.
“So tutto. Ad esempio ora so anche quanto scarso sia il tuo guardaroba, Alexander”.
Ne tirò fuori un paio di jeans neri stretti ed una camicia bianca, il massimo che aveva potuto ottenere; in tanti anni spesi con Alec non era riuscito a farlo cambiare neanche un po’ in fatto di moda, ma comunque il risultato era sempre il migliore possibile: quel ragazzo avrebbe potuto indossare anche un cartone rubato ad un barbone di Central Park che sarebbe rimasto comunque un dio greco.
“Allora, farai questo sforzo per me, Alec?” gli sorrise a trentadue denti e lo scrittore non riuscì a non farsi incantare – ancora una volta- da quegli enormi occhi verde oro e quel sorriso sexy, dunque si alzò, gli strappò gli abiti da mano e si richiuse in bagno, uscendone appena dieci minuti dopo.
Magnus, steso sul divano, lo guardò e fischiò: era bellissimo. Altissimo, le gambe perfettamente fasciate dal nero, la camicia bianca con le braccia scoperte. Alec arrossì quando Magnus si alzò dal divano per avvicinarglisi, tirarlo a sé e sbottonare i primi tre bottoni della camicia lasciandolo a petto quasi scoperto “Ecco, così sei perfetto” gli fece un occhiolino e Alec represse la voglia di tirargli la mano, spingerlo su di sé, avvolgerlo tra le proprie braccia e baciarlo dicendogli che solo in quel momento grazie a lui era perfetto.
Ovviamente non lo fece, lo seguì oltre la porta, in macchina, verso il Pandemonium, nel Pandemonium dove fu accolto da una nube di fumo bianco dall’odore di vaniglia che lo fece leggermente tossire.
Non si fece distrarre da Magnus che gli mise una spalla sulla mano, per concentrarsi sul locale che gli si presentava avanti: un ampio luogo illuminato da luci soffuse viola e blu, con il soffitto mezzo coperto da capannoni bianchi che sembravano cadere direttamente dal centro della sala - come quelli di un tendone da circo – per riversarsi sulla folla già in pista a ballare, e stringersi a delle grosse colonne di granito lucido piazzate strategicamente. Il soffitto del locale era completamente nero con tante minuscole lucine bianche sparse qui e lì a formare le costellazioni mezze nascoste dai capannoni e dallo stesso soffitto cadevano grosse strisce di cotone bianco a cui erano attaccati ballerini e ballerine che sembravano volare in aria, scendendo poco sopra la testa di chi si divertiva bevendo, ballando e osservando lo spettacolo che lo circondava.
Attorno alla pista –già piena- prendevano posto una moltitudine di divanetti bianchi dall’aspetto soffice, ricoperti da cuscini bianchi e neri sparsi qui e lì, persino a terra, al posto delle sedie, vicino a dei bassi tavolini di vetro su cui erano già poggiate enormi quantità di bicchieri vuoti; poco distante dal bancone nero illuminato solo da lucine che partivano dal pavimento, c’era una scala a chioccia di vetro che portava poi ad un privè dove Magnus lo spinse; salì le scale una ad una – mettendoci tantissima attenzione per non ritrovarsi a terra, essendo i gradini trasparenti- scoprendo poi un piccolo soppalchetto con una modesta quantità di tavoli di vetro accerchiati da sedie dall’aspetto tremendamente comodo, bianche e nere.
Ad uno di quei tavolini Alec ci vide seduto Jace intento a baciare una Clary sorridente, una Isabelle intenta ad indicare i ballerini che le ricadevano sulla testa ad un Simon che sembrava borbottare qualcosa come ‘saprei farlo anche io’ e poi Catarina con i lunghi capelli azzurri sciolti in tante onde leggere e soffici concentrata a parlare con un uomo dall’aspetto burbero ma elegante, dai grossi occhi verdi in concomitanza con una folta chioma di capelli ugualmente verdi – che sarebbero risultati strani su chiunque altro e invece su di lui sembravano la cosa più naturale al mondo. Alec pensò fosse Ragnor e ne ebbe la conferma quando si avvicinarono al tavolino, salutò tutti e Magnus lo presentò come Ragnor, il suo migliore amico nonché proprietario di quel posto splendido. Si sedettero, ordinarono da bere – per Alec un Angelo azzurro e per Magnus un Manatthan – e iniziarono a parlare l’un con l’altro. Alec si sentiva a proprio agio come se avesse speso in quel posto molte altre serate della propria vita, come se conoscesse persino alla perfezione tutto il personale e l’idea dei ballerini danzanti dal cielo fosse stata sua. Magnus sorrise tra sé e sé guardandolo così tanto a suo agio in quel posto e sperò che quello, almeno, potesse aiutarlo a ricordare qualcosa.
L’ultimo arrivato alla riunione fu Raphael, un attraente ragazzo alto e dinoccolato, sebbene non quanto Magnus, con riccioli eleganti che gli ricadevano sulla testa, profondi occhi nocciola, labbra marcate e sensuali, avvolto in una giacca blu scuro stretta che poteva quasi fare invidia al completo viola scuro di Magnus – anche se Alec lo avrebbe con piacere tolto per lasciare spazio a quello che la sua immaginazione creava da più giorni.
Raphael si sedette al posto libero accanto a Catarina sbuffando qualcosa come “Quel maledetto hotel mi dà solo grattacapi” fu Simon a salutarlo per primo, ricordandogli che era in luogo pubblico assieme a degli amici e che forse avrebbe anche potuto salutare. Raphael scosse la testa uscendosene con un “Chi ha invitato il deficiente?” che fece ridere Alec – che a sua volta aveva indicato Simon chiedendosi chi lo avesse invitato tante volte in passato -. Raphael lo guardo e gli fece un occhiolino, Alec gli sorrise di nuovo e gli allungò una mano “Piacere, comunque. Sono Alec”. Il giovane dal viso pallido alzò un sopracciglio in direzione di Ragnor e annuì, quasi Alec fosse un pazzo che gli stava rivolgendo la parola; fu solo quando si beccò una gomitata nel costato da parte di Catatina e uno sguardo scocciato da Jace -che finalmente si era staccato da Clary- che ricordò dell’incidente di Alec e allungò nuovamente una mano verso di lui “Sono stato un cafone, perdonami, amigo. Sono Raphael” Alec la strinse, Raphael la ritrasse e poi urlò un “Bloody Mary, Kaelie” Alec pensò che Kaelie fosse la cameriera quindi non si preoccupò più di tanto, ma quando vide cadere dal cielo una ragazza dai lunghi capelli neri, aggrappata ad un nastro bianco solo grazie alla gamba destra, con la testa verso il basso ed un bicchiere rosso tra le mani, quasi non rischiò l’infarto.
“Ti avevo detto che Magnus è magico” rise Jace, facendogli un occhiolino.
Il giovane scrittore passò quasi mezza serata alternando lo sguardo da Magnus a Catarina a Ragnor a Raphael continuando a chiedersi come fosse possibile che quattro persone così diverse potessero essere amiche, ma forse era proprio quello il segreto: essere diversi.
Magnus era così aperto e sarcastico, Catarina così seria e responsabile, Raphael così scostante e cinico, Ragor così burbero ed elegante, eppure assieme formavano un trio intelligente e quasi comico, quasi quanto il trio che lui creava con Jace e Simon: il nerd, il bello e l’intellettuale. Ovviamente lui era l’intellettuale.
“Allora” Magnus gli sussurrò all’orecchio nel bel mezzo della serata, facendolo quasi saltare sul posto “che ne dici del mio lavoro?” Alec sorrise “Ne è valsa la pena” prese un sorso del suo secondo cocktail e si guardò attorno “Anche se le cameriere che scendono dai cieli mi mettono un attimo di panico. Ho l’ansia di ritrovarmi dell’alcool tra i capelli” Magnus rise “Tranquillo, quando avremo finito con te avrai l’alcool fin sopra il cervello. Gli fece un occhiolino e poi lo invitò ad alzarsi ma Alec scosse la testa “Non c’è un posto un po’ più intimo?” chiese, e quello scatenò i migliori ricordi al povero Magnus che si sentì sprofondare come mai prima d’ora, nella disperazione più assoluta. Era circondato da suoi amici e amici di Alec eppure non poteva chiedere aiuto a nessuno, in quel momento. Poteva solo lasciarsi andare ai ricordi fino a quando Alec non si sarebbe accorto della sua momentanea assenza e lo avesse richiamato all’ordine.
Si alzò quasi a fargli strada ma il suo cervello era annebbiato dal ricordo dello stesso uomo, che in condizioni diverse, gli sussurrava quelle parole all’orecchio; fu quasi come vedersi tra la pista attaccato ad Alec, quando lo condusse giù dalla scala di vetro. Si fermò per un istante e lì dove vedeva tanti ragazzi ballare aggrappati, si sciolse nel ricordo del corpo di suo marito attaccato al suo, delle sue mani che scorrevano calde e leggere lungo tutta la sua schiena, delle labbra che gli si posavano sul collo facendolo fremere dal piacere, della musica che amplificava tutto e nascondeva i suoi sospiri di approvazione.
Eccolo lì mentre iniziava a sua volta a muoversi con ritmo contro il corpo di Alec facendo scontrare i loro bacini già svegli mentre gli faceva scivolare le dita lungo il collo, il torace, l’addome, per poi arrivare alla cintura e deviare il percorso, infilando la mano nella camicia bianca –forse la stessa camicia che indossava al momento- e la faceva risalire lungo la schiena: poteva quasi sentirne le vertebre, le coste, le scapole, la clavicola. E poi sostituì le mani con la bocca, poggiandola proprio dove sapeva che avrebbe fatto impazzire suo marito che infatti iniziò a contorcersi contro il suo corpo, a stringerglisi di più addosso e chiedergli di più muovendo il bacino verso il suo.
La musica scorreva veloce attorno a loro, le persone luccicavano come stelle in un cielo buio eppure erano loro due le stelle principali del loro pianeta personale: Alec non vedeva nessuno all’infuori di Magnus e Magnus non vedeva nessuno all’infuori di Alec, e neanche avrebbero voluto farlo.
Tutto quello che Alec voleva al momento, a dire il vero, era poter trascinare Magnus altrove, spogliarlo completamente e farci l’amore; non gli interessava dove fossero, gli bastava solo essere da soli.
Magnus sentì le labbra carnose di Alec salire dal suo collo al suo orecchio destro, mordicchiarlo leggermente e poi sorridere, sussurrandogli un: “Non c’è un posto un po’ più intimo?”.
E la risposta non ci mise molto ad arrivare: Magnus lo prese per mano e lo trascinò tra la folla verso le scale e poi sopra, nella zona che prima era dedicata solo a lui e al suo gruppo ristretto di persone, che non appena lo videro si alzarono con rispetto e si allontanarono scendendo in pista; il soppalco era riempito di divani e cuscinetti buttati a terra, era tutto ricoperto da lunghi veli viola scuro che non permettevano a nessuno di poter vedere cosa stesse succedendo nel privè, dunque Magnus con un veloce tocco delle mani fece riscendere tutti i veli ritrovandosi subito in una camera appartata all’interno del locale. La musica continuava ad arrivare eppure nessuno poteva vedere come erano avvinghiati su uno dei divanetti di pelle nera: come Magnus, seduto sotto di Alec, muovesse freneticamente le mani per staccare un bottone alla volta e poi dedicarsi a lasciare passionali baci e morsetti dal collo al petto, fermandosi poi sui capezzoli turgidi, sapendo che la sensazione della lingua bagnata avrebbe mandato Alec in paradiso, e così fu: il ragazzo gli si aggrappò con una tale forza ai capelli da farlo quasi gemere di dolore se non fosse stato che contemporaneamente aveva anche spinto il bacino verso il suo facendo piagnucolare entrambi in preda all’urgenza; Magnus così, con la grazia di un leone, ribaltò la situazione facendo stendere Alec sul divanetto in modo da poterlo spogliare più velocemente, anche se farlo mentre lui cercava di togliere i bottoni della sua camicia nera dall’asola era leggermente complicato. Alla fine entrambi furono più o meno nudi ed entrambi erano completamente sudati ed eccitati, anche se l’idea di farlo in un posto così poco privato metteva ansia ad Alec; in egual misura l’idea di farlo in un posto così poco privato faceva crescere l’eccitazione in Magnus che aveva un sorriso che andava da un orecchio all’altro.
“Vuoi fermarti?” gli chiese prima di proseguire e denudarlo completamente; Alec sembrò pensarci un attimo pesando gli aspetti positivi e gli aspetti negativi della situazione: di positivo sembrava esserci il fatto che essendo Magnus il gestore ogni chiave di quel posto apparteneva a lui e solo lui poteva muoversi da un posto all’altro; di negativo sicuramente c’era il fatto che bastava spostare leggermente una di quelle tende di spesso velluto viola per coglierli sul fatto.
Eppure tutto quello che gli uscì dalle labbra fu un “no” deciso, prima che si spingesse verso di lui, lo aggrappasse per i capelli e se lo trascinasse ulteriormente addosso, facendogli scorrere le mani ovunque, mentre i loro corpi cercavano il modo per diventare tutt’uno.
“C’è qualcosa che non va?” gli chiese invece l’Alec del presente, con sguardo apprensivo.
“No” rispose lui sorridendogli, poi lo prese per mano e lo spinse avanti, in una piccola isoletta di stanzette appartate; Magnus avvicinò il dito ad un piccolo dispositivo elettronico che registrò la sua impronta prima di virare verso un colore verde ed aprirsi, rendendo possibile ai due entrare in una camera completamente nera, eccezione fatta per la luce che entrava da una parete di vetro oscurata all’esterno – loro potevano vedere tutti ma nessuno poteva vedere loro -. Eppure anche in quel caso la musica era chiaramente udibile.
I just want to spend the night with you, doing all the thinks your mother said not to do.
Diceva la canzone e la mente di Magnus volava ancora di più a tutte le altre volte che ad ore improponibili della giornata si erano ritrovati al Pandemonium ed erano finiti per fare l’amore su qualche superficie del locale; probabilmente in quel momento qualcuno si stava baciando su uno dei tanti divanetti su cui avevano fatto l’amore, o stavano bevendo al bancone su cui avevano fatto l’amore, o stavano guardando dall’enorme balconata del privè, in cui avevano fatto l’amore.
Praticamente il Pandemonium era stato completamente battezzato dai loro ansimi.
Magnus non ebbe neanche il tempo di girarsi a chiudere la porta che due mani furono subito attaccate al suo collo: Alec era così vicino da poter sentire perfettamente la sua acqua di colonia, da poter distinguere le pagliuzze nere nei suoi occhi, da poter notare quella piccola ruga d’espressione tra i due occhi.
“Alexander…” la voce gli uscì roca e calda, troppo bassa per i suoi standard e anche Alec se ne accorse e la cosa gli fece venire ancora più voglia di continuare con il suo piano suicida, dunque prese a muoversi contro il suo corpo oscillando i fianchi che tendevano a cozzare contro quelli dell’altro che dovette chiudere gli occhi e abbassare –disperatamente-la fronte contro la sua spalla – quella che aveva morso, quella notte di parecchio tempo prima, mentre facevano l’amore per la prima volta in quel privè appena costruito.
“Voglio solo divertirmi” pronunciò Alec prendendo le mani di Magnus per farle scorrere lungo il suo corpo e chiuderle all’altezza del suo bacino “Eppure pensavo fossi tu quello più tendente al divertimento” Magnus scosse la testa “Essere bisessuale non significa andare con cani e porci” c’era forse un po’ di risentimento nella sua voce ma fu subito scacciata via dalla mano di Alec che lo accarezzò con dolcezza “Dunque sarei cani e porci?” chiese, scocciato, e Magnus si ritrovò a scuotere la testa mentre Alec abbassava nuovamente la bocca all’altezza del suo orecchio destro “Ogni volta che ti vedo provo continuamente la stessa identica cosa: incontrollabile voglia di baciarti. È come se il mio corpo sapesse che è una cosa naturale, che è normale che io e te ci baciamo, che non sarebbe diverso da altre volte. Ma non ricordo nessun’altra volta. Non so se questa sensazione è dovuta al fatto che ci conoscessimo prima o beh, semplicemente al fatto che credo che tu mi piaccia. Che io lo fossi già” quella volta i loro occhi stavano combattendo tra loro una guerra e quelli di Magnus la stavano decisamente perdendo rischiando di annegare in quell’oceano blu che si ritrovavano avanti. Magnus era senza parole, la bocca leggermente spalancata: Alec era riuscito a diventare più aperto negli ultimi anni, ma prima di sposarsi non era mai stato così sfacciato, non aveva mai provato così semplice dire quello che provava, eppure quello che aveva avanti in quel momento lo stava guardando negli occhi e gli stava confessando cose che l’altro Alec avrebbe portato nella tomba.
“O lo sono diventato da quando mi sono svegliato dal coma” gli sorrise leggermente “Mi sto innamorando di te, Magnus Bane” concluse e Magnus fu certo di una cosa: quello non era il suo Alexander.
Staccò immediatamente le mani dal suo bacino e saltò indietro, quasi il ragazzo che aveva avanti fosse diventato improvvisamente di fuoco; lo guardò con gli occhi sbarrati che gli gridavano contro di averlo tradito, di avergli fatto quello che gli aveva giurato non avrebbe mai fatto: abbandonarlo.
Ma non poteva rinfacciarglielo, non dipendeva da lui, non era colpa sua.
Tutto quello che poteva fare era scappare via da quel bellissimo ragazzo che gli ricordava solo vagamente l’uomo di cui era innamorato, in quel momento. Dunque lo fece. Pronunciò un roco “Mi dispiace” e corse velocemente via, verso l’uscita. Aveva bisogno di aria fresca, di ossigeno, di qualcosa che lo facesse pensare e riflettere su quello che era appena avvenuto: aveva lasciato da solo Alec, dopo avergli promesso che non lo avrebbe mai fatto – proprio come Alec aveva lasciato lui- ed era scappato via dopo aver sentito che anche quell’Alec era innamorato di lui. Era scappato come un codardo.
Ma cosa poteva mai dirgli? ‘Ehi sono tuo marito, ecco perché hai voglia di baciarmi, ma i medici mi hanno ordinato di non dirti nulla perché altrimenti rischieresti di perdere qualche ricordo e io non voglio che succeda. E per la cronaca, sono innamorato di te anche io’.
No, non avrebbe potuto.
Lungo la via verso la libertà, due mani delicate ma allo stesso tempo forti lo afferrarono voltandolo verso di sé e avanti si ritrovò Isabelle Lightwood in tutto il suo splendore, avvolta da un seducente abito color crema che faceva risaltare le sue curve; lo guardava con un sopracciglio alzato, l’ansia negli occhi; tutto quello che riuscì a fare fu scuotere la testa e sussurrare un ‘mi dispiace ma non posso. Lui non è il mio Alexander’ e correre ancora una volta via, fino a quando non si ritrovò sui gradini del locale e l’aria fresca gli invase completamente i polmoni rendendogli nuovamente possibile la respirazione. Poco dopo al suo fianco non ci fu più il nulla ma Catarina che con i suoi enormi occhi azzurri lo scrutava seria “Vuoi parlarne?” Ma lui non voleva; voleva solo andare via, bere fino a dimenticarsi persino il suo nome e in quello Raphael, Ragnor e Catarina sarebbero rimasti per sempre i migliori, dunque mentre Magnus si avviava a casa dell’infermiera seguita dai due manager, Alec usciva sconvolto, con il viso bianco ma colorato da due febbrili schiocche sulle guance e si gettava tra le braccia della sorella, piangendo per la prima volta. Si sentì quasi come un bambino a cui era stata strappata via la caramella, ma in effetti, non voleva solo quello da Magnus; gli bastava averlo al suo fianco come amico, poteva resistergli.
“Non posso” sussurrò, invece, stringendo le braccia attorno ad Isabelle che a sua volta lo abbracciò, poggiando la testa sulla sua spalla.
Quello era davvero un incubo e non sapeva come scapparne: tutte le sue convinzioni stavano crollando come un castello di sabbia, persino la sua famiglia era crollata perdendo ancora una volta Max. Cosa gli spettava più? Quanto doveva avere paura se tutto quello che gli stava capitando lo faceva sentire come se fosse entrato in uno dei suoi più grandi incubi?

 

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Can’t escape the flame, no matter what you do. ***


Can’t escape the flame, no matter what you do.
 
Alexander <3 [05.37]
Avevi promesso che non mi avresti mai lasciato solo. Perché lo hai fatto?
 
Erano ormai le undici del mattino e Magnus, che aveva passato la notte in bianco bevendo tra le parole di conforto di Catarina e quelle più dure ma altrettanto importanti di Raphael e Ragnor, mnetre nella sua mente scorrevano varie immagini che mischiavano Alec del passato e Alec del futuro facendogli venire un gran mal di testa. Il regista continuava a leggere e rileggere il messaggio che lo scrittore – che a sua volta non aveva dormito per tutta la notte aspettando di sentire la chiave di Magnus girare nella toppa della porta di casa – gli aveva mandato piangendo abbracciato a Presidente Miao.
Alec si era sentito come se fosse stato investito da un camion da migliaia di tonnellate: sfracellato, senza più un briciolo di forza per alzarsi e andare avanti ed era esclusivamente colpa sua. Se la sera prima non si fosse spinto a dire quelle cose, a cercare un contatto con Magnus a pensare che forse anche lui non volesse essergli solo amico, forse a quell’ora sarebbe stato nel suo stesso letto a guardarlo dormire come faceva ormai ogni volta che si svegliava da un brutto sogno e si ritrovava il regista a dormire, al suo fianco, con il viso contratto in un’espressione di disappunto quasi stesse facendo anche lui un incubo, i capelli sparsi sul cuscino disordinatamente e le mani sotto la testa. Se forse non gli si fosse insinuata nella mente l’idea di voler avere di più da lui, di poter pretendere che anche lui si fosse innamorato e lo ricambiasse dopo solo quattro mesi che si conoscevano, forse, avrebbe potuto vedere in Magnus solo un amico e sarebbe riuscito ad accettare la realtà: erano solo due semplici amici.
Magnus si massaggiava le tempie osservando attentamente lo schermo del cellulare, quasi si sentisse che da un momento all’altro si sarebbe illuminato con un altro messaggio di Alec, forse un ‘Vieni a prendere le tue cose’ che però non arrivava mai.
“Guardi quel telefono come se contenesse la risoluzione a tutti i tuoi problemi” sbottò Ragnor scuotendo la testa. Catarina li aveva lasciati soli alle sei e trenta per attaccare il turno in ospedale e da allora Ragnor e Raphael erano seduti al suo fianco, in silenzio, alzandosi regolarmente per andare a preparare una tazza di caffè – rigorosamente coretto – e fumare una sigaretta fuori la finestra dal momento che Catarina gli aveva vietato di farlo in casa.
“Non ti manderà altri messaggi, Magnus” sbuffò Raphael “E francamente credo che dovresti smetterla di stare qui a contemplare quanto schifo faccia la tua vita in questo momento”.
Magnus alzò il viso dal cellulare, un filo di barba che gli ricopriva la mascella, due grosse occhiaie sotto gli occhi, i capelli scompigliati e un’espressione disastrata ad adornargli il viso.
“E sentiamo, cosa credi che dovrei fare, mio Guru del cazzo?” lo guardò con le fiamme negli occhi e Raphael sbuffò  alzandosi per avvicinarglisi e puntargli un dito contro“Prima di tutto non dovresti prendertela con chi è rimasto tutta la notte la tuo fianco a sentirti lagnare” Ragnor allungò una mano e gli strinse il braccio, quasi a chiedergli di calmarsi e Raphael gli diede ascolto capendo che in una situazione normale in cui Magnus non fosse stato così arrabbiato e disgustato dal mondo intero, non avrebbe mai osato parlare ad un suo amico in quel modo “E poi dovresti andare a farti una doccia, vestirti e andare dritto da Alec. Non puoi abbandonarlo proprio ora”. Di solito era Catarina la donna dai consigli seri, Ragnor era raramente l’uomo dai consigli utili e Raphael era quello dai consigli deficienti che andavano sempre nella direzione di divano e alcool, eppure quella volta gli stava parlando col cuore e stava provando ad essere più serio possibile: riusciva a leggere il dolore di Magnus oltre la sua coltre di cinismo e il muro di cattiveria che si era costruito attorno come al solito.
“Magnus” si intromise Ragnor schiarendosi la voce “Sappiamo quanto tu stia soffrendo, lo vediamo con i nostri occhi. Non ti abbiamo mai visto così e lo capiamo, davvero. Ma tra i due quello che ha bisogno più di aiuto in questo momento è Alec. Se starai al suo fianco ci saranno più possibilità di…”
“Cosa?” sbottò Magnus “Di ritornare come prima? Non credo sia possibile. Non esiste più il mio Alexander, tanto vale smetterla di fare sforzi e soffrire ulteriormente”.
“Porco cazzo ma che fine ha fatto il mio amico Magnus Bane?” urlò Raphael rivolgendosi a Ragnor per poi ritornare con lo sguardo su Magnus “Alzati da quel fottuto divano!” scosse la testa e si buttò, contrariato, su una poltroncina. Capiva la sofferenza di Magnus ma non riusciva ad accettare che l’uomo che gli aveva salvato la vita durante il suo forte periodo di depressione dopo la morte di tutta la famiglia in un incidente mentre andavano a trovarlo, si stesse abbattendo così tanto.
Magnus sospirò “Non siete obbligati a restare oltre qui” fu tutto quello che disse prima di alzarsi dal divano e dirigersi verso il bagno. Raphael bestemmiò in spagnolo e si alzò, pronto ad andare via, ma Ragnor lo fermò scuotendo la testa “Dove credi di andare?”. Negli occhi verdi come un prato c’era uno sguardo di dura disapprovazione, quasi stessero gridando contro Raphael di essere un traditore.
“Non ci vuole qui” disse a denti stretti “Lo conosciamo, Ragnor. Quando sta così deve restare da solo, diventa come una lama capace di colpire e trafiggere tutti con la sua lingua appuntita e io non voglio essere ferito, so che dopo non riuscirei a far finta di nulla” e mentre Ragnor apriva la bocca per rispondere il cellulare di Magnus squillò indicando il nome ‘Catarina’ dunque il ragazzo dai capelli verdi si sporse per prenderlo e rispondere.
“Male” fu tutto quello che rispose alla domanda dell’amica “Raphael sta per mandarlo affanculo. Sì, sai come è fatto quando sta così. Certo, non ci muoveremo di qui. Sì lo so. No. Te lo passo” Raphael prese il cellulare e sbuffò “Non riesco a rispondere delle mie azioni quando lo vedo in questo stato, lo sai. Maldición, Catarina! Está bien, está bien. Me quedo aquí. Deja de hablar ahora.” Sbottò in spagnolo come ogni volta in cui si arrabbiava talmente tanto da non riuscire a parlare in inglese, dunque attaccò e spinse il cellulare sul divano “Resto, ma non azzardarti a parlarmi, Ragnor. O saranno cazzi tuoi” gli diede una leggera spinta e si allontanò verso il piccolo terrazzo che dava sui grandi grattacieli della città.
Ragnor sospirò e si avviò in bagno dove Magnus giaceva ancora vestito, seduto nella vasca –senza acqua-.
“Allora?” gli poggiò una mano sulla spalla “Sei riuscito a far incazzare Raphael” ridacchiò e Magnus lo seguì a ruota “Mi dispiace” si massaggiò le tempie e l’amico annuì “Raphael è più o meno ragionevole, dopotutto. Capirà” gli diede una pacca “Tu, piuttosto. Che fine ha fatto la tua ragionevolezza? Buttata nel cesso? Sono uno dei tuoi migliori amici, Mag. Ti dico questo, così come hanno fatto Raphael e Cat perché ci teniamo a te, perché sappiamo quanto quel ragazzo conti per te, perché non è un semplice ragazzo ma tuo marito e confidiamo nel fatto che con la tua forza esplosiva riuscirai a riprendertelo” scosse la testa “Il problema, e parlo soprattutto a nome di Raphael, è che non siamo abituati a vederti così abbattuto. Tu sei sempre stato al nostro fianco. Hai salvato Raphael dalla depressione, me dalla solitudine e Catarina dalle sue grandi incertezze e ora tutti e tre vediamo l’uomo che ci ha salvati e in cui abbiamo riposto tutte le nostre fiducie ricadere dal piedistallo d’oro su cui lo avevamo messo. Se persino tu puoi cadere da quel piedistallo, che fine possiamo fare noi?”. Dagli occhi ricolmi di lacrime di Magnus ne cadde una piccola solitaria che scese lungo la sua guancia fermandosi per un secondo sulla mascella, prima che Ragnor la tirasse via.
“Ti preghiamo per il tuo bene ma anche per la fiducia che abbiamo riposto in te, di farti avanti. Di riprovarci ancora e ancora e ancora. Hai detto di aver letto delle cose scritte da Alec, di aver saputo che ti ha sognato più di una volta, che ha persino visto il vostro matrimonio; sta ricordando, Mag, e gli devi stare vicino in questo processo. Solo in questo modo saprà che sta ricordando e non sognando”.
Forse furono quelle parole o lo sguardo verde e sicuro o la stretta di mano, fatto sta che Magnus gli sorrise, si alzò in fretta e iniziò a sbottonare la camicia ormai zuppa di alcool e gli fece un occhiolino “Vuoi restare con me mentre faccio la doccia? Alec potrebbe non esserne molto felice” Ragnor sorre e scosse la testa “Preferirei non doverti rivedere mai più nudo” Magnus alzò un sopracciglio “Oh, avanti. SO che è stata la cosa migliore di quel viaggio in Perù” il proprietario del Pandemonium rise scuotendo la testa “Meglio dimenticare quella vacanza, ti prego” si chiuse la porta alle spalle e Magnus si guardò allo specchio:
era davvero tutto quello per i suoi amici?
 
Alec scosse la testa e ingoiò un urlo: stava provando per l’ennesima volta a scrivere ma tutto quello che gli usciva fuori era una serie di insulti e parole insensate, tutto quello che riusciva a scrivere era di un Kevin abbattuto che guardandosi allo specchio cercava un modo per non odiarsi, non riuscendo a trovarlo.
Se sentiva come qualcuno gettato improvvisamente in oceano aperto: qualcuno che non sa come nuotare e si vede andare in contro uno squalo. Morirà, sicuramente, ma non ha neanche la possibilità di poter sperare altrimenti, e peggiore della mancanza di forza, c’è solo la mancanza di speranza.
La speranza è l’ultima a morire, se lei già è finita, quante possibilità hai tu?
Presidente Miao acciambellato ai suoi piedi lo guardava scocciato, quasi lo stesse giudicando, e Alec non riusciva a sopportare quello sguardo. Guardò il proprio cellulare ancora una volta ma zero, non c’erano messaggi da Magnus se non uno da Isabelle ‘Se non rispondi immediatamente alle mie chiamate, sarò lì tra cinque minuti e Alexander Gideon Lightwood, il tuo culo non ne sarà felice’ e uno da Jace ‘Alec, uomo avvisato mezzo salvato. Sono il tuo Parabatai, ti sto avvisando unicamente per questo. Chiama tua sorella o me. Chiama qualcuno. Perché Izzy ha appena scelto gli stivali più appuntiti che ha, e ho paura per il tuo culo. Mi sa che dopo non potrai usarlo per un bel po’. Chiama. Siamo preoccupati’.
Ma lui non aveva richiamato, dunque quando sentì qualcuno bussare alla porta non si sorpresa; soppesò l’idea di non alzarsi ma alla fine lo fece e svogliatamente si trascinò verso la porta, la aprì e restò senza parole né respiro, quasi gli si fosse presentato qualcuno, avanti, con una pistola magica capace di tirargli tutta l’aria da dentro e lasciarlo afflosciato come un palloncino sgonfio.
“Buongiorno”.
Magnus, in pantaloni di pelle e maglione pesante bianco, lo guardava dal suo metro e novanta, con un sorriso stampato sulle labbra e due caschi tra le mani.
“Tu- tu” Alec sospirò scuotendo la testa e si fece da parte, facendolo entrare.
“Ho pensato” disse Magnus dandogli una pacca sulla spalla – una pacca? Dopo che gli aveva confessato di essere innamorato di lui? Perché? – “che potrei portarti in giro per la città. So che non hai ispirazione, magari uscire un po’ di casa potrebbe aiutarti, no? E poi hai decisamente bisogno di qualche camicia nuova” gli fece un sorrisino complice e gli mise uno dei due caschi tra le mani “Sei pronto?”.
Alec, rimasto a bocca aperta, abbassò lo sguardo verso il casco che aveva tra le mani e poi lo alzò nel suo, per poi riportarlo sul casco “Io non…” “Oh no” lo interruppe l’altro “Non accetterò un no come risposta” “No” rispose Alec “Non capisco cosa stia succedendo, a dire il vero” scosse la testa “Sono leggermente confuso” Magnus rise “la confusione fa parte del gioco. Ho la moto accesa, fa presto” gli scoccò un occhiolino e dopo aver dato un bacio tra le orecchie a Presidente, si avviò fuori dalla porta, lasciandolo solo con il suo carico di domande e la sua confusione, quindi Alec non potette fare altro che mettersi il giaccone, il casco e seguirlo fuori sulla sua Harley Davidson nera scintillante.
“Ti presento la mia bambina” rise Magnus quando lo vide uscire dalla porta “E bambina, ti presento Alec Lightwood” diede al fianco un piccolo buffetto, poi si rivolse al ragazzo “Hai mica paura di correre?” Alec non ebbe il tempo di rispondere, che non appena si fu seduto, Magnus partì a tutta birra verso luoghi a lui sconosciuti e non potette fare altro, ancora una volta, che aggrapparsi forte alla sua schiena.
E se fosse piaciuto più a lui o a Magnus, sarebbe difficile dirlo.
 
Quando Alec si ritrovò circondato da negozi e persone con borse piene, non si sarebbe mai aspettato che Magnus intendesse davvero quello per ‘prendere aria e farti venire l’ispirazione’ perché in quel momento davvero non gli arrivava aria e le uniche ispirazioni che gli stavano venendo riguardavano pistole, spilli, lame e catene più diecimila modi per uccidere il suo tanto amato coinquilino.
Fifth Avenue non gli era mai sembrata così tanto orribile in vita sua, dal momento che non ci stava passando per scambio ma per seguire quel folle da negozio in negozio e nulla, oh nulla, nella sua vita gli era mai sembrato così difficile.
“Cosa ti ho fatto di male?” chiese ad un punto, dando un pugno sulla spalla a Magnus che distolse lo sguardo da una delle vetrine – e aveva già le mani piene di buste, come poteva mai sopportare tutto quello shopping? Era disumano!- e gli sorrise “Nulla?” inarcò un sopracciglio “Perché?” Alec deglutì “Perché questo” indicò con l’indice in avanti “È una tortura”. Magnus scoppiò a ridere e gli strinse una mano “Non hai ancora visto nulla” gli sussurrò all’orecchio spingendolo in un negozietto più piccolo rispetto agli altri, ma ancora più pieno di vestiti. “Oh no” piagnucolò lui guardandolo avvicinarsi ad una delle commesse.
“Elodie!” esordì Magnus abbracciando una ragazza alta, dalla pelle chiare e un carré di capelli neri e lucenti come boccoli di carbone “Da quanto tempo” Disse lei stringendolo a sua volta. “Sei venuto per la tua dolce metà?”. Magnus deglutì e scosse la testa, le aveva mandato un messaggio quella mattina avvisandola che sarebbe passata a trovarla con Alec ma che doveva fingere di non conoscerlo perché aveva perso la memoria, eppure Elodie sembrava essersene scordata. Quando si avvicinò ad occhi blu, Magnus temette che potesse compromettere qualcosa e invece allungò una mano verso la sua “Piacere, sono Elodie. Mi piace definirmi una delle tante adepte del Re Stile” si girò e gli fece un occhiolino. Alec la guardò a bocca aperta e poi allungò uno sguardo a Magnus che rise, soddisfatto. Elodie era oro colato. “Io- ehm sono Alec” disse lui, rosso in viso, stringendole a sua volta la mano. “E sai di cosa hai bisogno?” Alec scosse la testa “Di conoscere il grande Re Stile” gli fece un occhiolino, un altro, e lo spinse su una poltroncina blu al centro del locale, con decine di persone che gli passavano accanto per muoversi da uno scompartimento all’altro, e si allontanò con Magnus sotto braccetto.
Di cosa avessero parlato –lui- e di quanto Magnus fosse stato male parlandone con l’ennesima persona –una delle poche all’infuori della sua stretta cerchia di amici di cui si fidasse- non poteva saperlo, ma circa venti minuti dopo vide entrambi ritornare. Ed entrambi con le braccia piene di vestiti. E quella fu la sua fine.
 
Dopo aver riempito anche le mani di Alec di buste e di aver continuato ancora fino a quando Alec non aveva minacciato di salire all’ultimo piano dell’Empire state building e gettarsi di sotto, finalmente Magnus acconsentì a prendersi una pausa e così si ritrovarono ormai al tramonto, a sorseggiare una cioccolata calda di Starbucks a Central Park, circondato da piccoli pezzetti di ghiaccio mischiati a neve e bambini che urlavano a destra e sinistra.
“Allora” Magnus prese un sorso dalla sua tazza di cartone sorridendo “Ti è tornata l’ispirazione?” Alec scosse la testa “Per far suicidare qualche mio personaggio sì” rise, facendo ridere anche l’amico “Avanti, è stato così orribile?” “Oh peggio. Tra te ed Elodie non so chi ho odiato di più” Magnus rise divertito e scostò lo sguardo da quello di Alec, fisso nel suo, al cielo ormai bruno.
“Magnus mi dispiace” disse quest’ultimo dopo qualche minuto di imbarazzante silenzio; da quando si erano visti Magnus aveva iniziato a parlare come un uragano, senza dargli alcuna possibilità di poter parlare, quasi non volesse stare a sentirlo.
“Anche a me” disse, continuando a non guardarlo “Non sarei dovuto andare via dopo averti promesso di restare sempre. È che…”
“E io” Lo interruppe occhi blu, con il naso arrossato e le mani fredde attorno al suo bicchiere di cioccolato “Non avrei dovuto bere così tanto e farmi coinvolgere in quel modo dai sogni che sto facendo. Sogno ogni notte di baciarti, di fare l’amore con te, di sposarti. Ma solo perché il sogno di Max era reale non vuol dire che anche questi debbano esserlo; non vuol dire che siano ricordi e invece io mi sto facendo coinvolgere perché lo spero” Ecco, non aveva proprio intenzione di dirgli quello, ma le parole gli stavano uscendo senza controllo e non poteva esattamente farci molto. Gli occhi di Magnus, ricolmi di lacrime, quella volta erano tornati nei suoi. E che fosse il freddo pungente a spingerlo verso di lui per cercare calore o il freddo che si portava nel cuore, dovette farsi forza per tenere le mani attorno al suo bicchiere.
“Posso dare la colpa all’alcool perché non ci sono abituato o ai miei sogni. Non cambia nulla” deglutì Alec “HO sbagliato a dirti quelle cose. Soprattutto perché non sei un uomo libero. Ho agito da sconsiderato”.
Magnus deglutì, voleva dirgli la verità, sentiva le parole premere per uscire dalla sua bocca, e invece sbuffò.
“Alexander..” Fece per dire Magnus ma lui scosse la testa “Il problema fondamentale è che non sento sia giusto esserti solo amico. Voglio essere qualcosa in più. Non è una mia fissa, Magnus. So che tra noi potrebbe esserci una storia d’amore che farebbe impallidire quella dei personaggi di cui scrivo ma so che non puoi e non vuoi. Devo solo riuscire ad esserti amico e non cercare altro” rise scuotendo la testa “Ci sono riuscito con Jace per venti anni, ci riuscirò anche con te” Magnus scosse la testa e cercò di prendergli la mano ma Alec si alzò “Sempre se per te vale la pena essermi amico”. Magnus avrebbe voluto dirgli di no, che non valeva la pena essergli amico perché voleva essere qualcosa in più, invece annuì e si alzò a sua volta. “Giuro che non ti lascerò mai più”. Alec annuì “A meno che io non cerchi nuovamente di baciarti” disse bevendo l’ultimo sorso della sua cioccolata per poi buttare il bicchiere nei contenitori “E lo capisco. Capisco che in quel caso ti perderei e faresti bene ad andare via” si infilò le mani nelle tasche “Proverò a distinguere i miei sogni dalla realtà”. Magnus provò a dire qualcosa ma Alec lo interruppe avvicinandosi velocemente alla sua moto, dunque capì che l’argomento era cessato lì.
Andarono a casa e continuarono ad essere coinquilino come se nulla fosse.
In fondo fino a quando non sarebbe scoppiato un incendio, sarebbero sempre riusciti a scappare in qualche modo.
 
*^*^*^*^*
 
Magnus entrò in bagno coperto solo dai propri boxer viola glitterati, chiuse la porta a chiave e si avviò verso il mobiletto con lo specchio; tolse le mutande e poi le cuffie dall’ipod, ripose tutto sul ripiano di marmo e si avviò verso la doccia, fu in quel momento, con la mano mezza sospesa verso le grosse vetrate scure della doccia che si accorse dello scrosciare dell’acqua, delle goccioline attaccate al vetro e di chi poteva esserci in quella doccia: Alec.
Fece per aprire la porta e scappare, senza neanche mettere su le mutande, ma gli venne da piangere: fu come se gli fosse caduto un secchio d’acqua fredda addosso o forse era solo qualche gocciolina caduta dall’anta della porta della cabina doccia che Alec aveva appena aperto.
In quel momento ebbe solo poche consapevolezze: era completamente nudo, Alec era completamente nudo, aveva entrambe le mani sulla maniglia della porta per cercare di aprirla, lui stava guardando verso il cavallo di Alec e Alec stava guardando il suo. Le cose si stavano mettendo male.
“Che- che- diavolo! Mag-Magnus” sbottò occhi blu rosso fin sopra i capelli, la voglia di piangere.
“Non si usa più bussare?” alzò le mani in aria e poi in fretta si allungò oltre la doccia per prendere un asciugamano e avvolgerselo attorno ai fianchi. In quel momento Magnus si ricordò di respirare e di aprire la porta. “Non si usa più chiudere a chiave?” urlò a sua volta il regista, che ancora nudo, si girò completamente verso la porta “No da quando la toppa si è rotta” sospirò Alec “Dimmi che non hai chiuso a chiave…”.
Magnus alzò un sopracciglio e si girò, bianco in viso “Sì…?” chiese, titubante, al che vide Alec diventare prima di tutti i colori del mondo e poi assestarsi su un bianco cadavere che gli donava da Dio.
“Che vuol dire precisamente che la toppa si è rotta?” chiese Magnus provando a girare ancora la chiave ma forse aveva ragione lo scrittore: la chiave era incastrata e non ne voleva sapere di girarsi per permettergli di aprire la porta. “Vuol dire” Fece Alec massaggiandosi le tempie “Che la chiave si incastra e ora grazie a te la chiava è incastrata e noi non usciremo mai più vivi da questo bagno” si lamentò scuotendo la testa.
Magnus alzò le mani verso il suo viso “Sì che usciremo” disse solo girandosi di nuovo verso la porta per fare più forza sulla chiave che sentì muoversi leggermente sotto le proprie mani “Si sta muovendo, basta metterci solo un po’ più di forza”. Da quando la porta del bagno non si chiudeva? Effettivamente non ne aveva mai avuto davvero bisogno, forse era per quello che non lo aveva mai scoperto.
“Dannazione” sbuffò Alec, Magnus non si fece prendere dall’ansia, però; con tutta la calma che aveva in corpo – e in quel momento era davvero davvero poca – si massaggiò le mani, poi con la destra afferrò la chiave, con la sinistra mantenne la porta e tirò, con tutta la forza che aveva e quella sfortunatamente era tanta, talmente tanta da far finire Magnus steso a terra con la chiave nella mano destra e la maniglia in quella sinistra. “Oh cazzo” sussurrò solo, buttando la testa sul pavimento freddo “Voglio morire”.
Alec, che si era seduto pazientemente sul water scattò in piedi, quasi volesse buttarglisi addosso per ucciderlo “E io vorrei accontentarti se non ci fosse la galera” gli urlò contro “Avanti, Magnus!” gli diede un leggero calciò alla gamba e poi un pugno forte sulla porta che però non produsse miglioramenti.
“Io ti uccido, davvero, Magnus Bane! Come ti è venuto in mente di entrare senza bussare e di chiudere persino a chiave? Vivi in questa casa da cinque mesi, perché diavolo hai avuto il bisogno di chiudere la porta proprio ora?”.
‘Perché per la prima volta da quando viviamo sotto lo stesso tetto e tu non ti ricordi di me ho deciso di fare la doccia con te in casa?’ avrebbe voluto rispondere, anche in modo poco gentile, ma non lo fece; in fondo era pur sempre steso nudo ai suoi piedi e si stava pur sempre godendo lo spettacolo di vedere Alec bello e statuario come sempre quasi nudo; con gli addominali bianchi scolpiti dove qualche gocciolina solitaria ancora si faceva strada tra i peletti addominali verso il basso per arrivare poi ad inzuppare l’asciugamano in vita e fargli rimpiangere di essere entrato in quel bagno.
“Alzati! Fa qualcosa per risolvere questo guaio che hai combinato, e per l’amor del cielo, copriti” gli urlò contro l’angelo vendicatore che aveva avanti tirandosi via l’asciugamano dalla vita per buttarlo tra le sue gambe. Magnus dovette ingoiare un sorrisino per non fargli notare che in quel momento era lui quello nudo; d’altronde non gli dava fastidio vederlo completamente nudo. Certo, gli creava altri tipi di problemi, ma aveva pur sempre una doccia fredda a disposizione.
“Cosa hai da ridere?” sbottò, ancora, nervoso, dandogli una mano ad alzarsi.
Magnus scosse la testa ridendo “Mi piace quello che vedo” fece spallucce “E a te?”.
Alec divenne rosso quasi quanto le rose finte poggiate in un angolo del piccolo mobiletto sotto lo specchio e il regista davvero dovette sopprimere la voglia di spingerglisi addosso e baciarlo.
Niente complicazioni, si erano promessi. Non avrebbe distrutto per primo quella promessa.
Lo sguardo blu dello scrittore si lasciò andare un attimo per percorrerlo tutto, da testa a piedi: i capelli scompigliati, un filo di matita sciolto sotto gli occhi, le labbra inarcate su un sorriso bianco, il collo liscio e perfetto, i pettorali gonfi, gli addominali scolpiti ma non troppo, l’asciugamano bianco in vita che lasciava visibile la v e i primi peletti pubici, quella pelle caramello che gli faceva venire voglia di baciarlo centimetro per centimetro. ‘Oh Dio’ pensò. ‘Non ora, non ora, non ora’ dovette costringersi a pensare a quello che si erano detti su quella panchina a Central Park qualche settimana prima, a ricordarsi che aveva già un ragazzo, che non poteva fare quello che avrebbe voluto, e come se si fosse immerso sotto un getto d’acqua freddo sentì il sangue tornare al proprio posto. Ringraziò il cielo con tutte le forze che aveva.
“Dammi quell’asciugamano” fu tutto quello che disse, invece di gettarglisi tra le braccia e fare quello che avrebbe voluto. Magnus non oppose resistenza quando gli si spinse contro e con forza strappò l’asciugamano bianco di spugna per legarlo attorno ai propri fianchi, di nuovo, evitandogli di morire per autocombustione.
“Copriti” sbuffò Alec ritornando a dare un pugno verso la porta, che ancora una volta non si aprì.
Si rigirò verso il regista, che finalmente si era tirato su degli imbarazzanti boxer viola brillantinati con tanto di bordo decorato dalla scritta ‘Magnus Bane’. “Davvero?” Alec li indicò “Forse era meno imbarazzante vederti nudo”. Magnus rise e alzò gli occhi al cielo. “Aspetta!” Alec indicò qualcosa sul mobiletto “Davvero hai portato il tuo iphone con te? Ti amo, Magnus Bane! Questo vuol dire che siamo liberi! Chiama qualcuno e facci venire ad aiutare, ti prego”.
Magnus dovette farsi coraggio e forza per far finta di non sentire quel ‘ti amo’, e ci riuscì solo canalizzando tutte le proprie energie su una risata isterica e disperata “È l’ipod” disse, quasi piangendo, mentre dei violenti spasmi gli colpivano il petto che si alzava e abbassava in violente risate “Io…”.
Alec si passò una mano sugli occhi e annuì “Troveremo il modo. In fondo l’appuntamento con Jace è solo tra mezz’ora” quasi non piangeva anche lui, mentre dava un ultimo spintone alla porta e iniziava girare su sé stesso.
“Se chiamassimo qualcuno dalla finestra?” propose Alec indicando la grande finestra luminosa che dava direttamente sulla porta di casa. Magnus scosse la testa “Non direi mai ad un estraneo dove si trovano le mie chiavi di riserva!” Alec lo guadò esasperato, Magnus ringraziò tutte le divinità perché non aveva notato quel ‘mie chiavi di riserva’ che sarebbe dovuto essere un ‘tue chiavi di riserva’.
“Trova una soluzione, ti prego” Alec si lasciò cadere lungo la porta, le mani attorno alla fronte “Jace mi prenderà per il culo a vita!”.
Magnus ingoiò una risatina e sbuffò “Dobbiamo solo sperare che passi qualcuno di qui? Catarina, magari?” buttò la testa contro lo specchio della finestra e chiuse gli occhi.
Il tempo sembrò passare talmente tanto lentamente che quando sentirono qualcuno – Jace- bussare alla porta entrambi ebbero un fremito di paura. Alec era ancora accasciato alla porta, Magnus ancora seduto sul water con la testa tra le mani ed entrambi erano ancora lì, in silenzio, a pensare che avrebbero potuto sfruttare in altro modo quella situazione, quella doccia e quell’asciugamano che era passato da gambe a gambe.
“Oh Dio” Alec si alzò in piedi ed iniziò ad andare avanti e dietro, iniziando a pregustare la bile che gli sarebbe salita quando Jace gli sarebbe scoppiato a ridere in faccia.
“TI prego” occhi blu si aggrappò alle spalle di Magnus tirandolo verso di sé “Non chiamarlo. Troveremo il modo di liberarci senza il suo aiuto! Ti prego…”.
Magnus alzò gli occhi al cielo “Alec” gli prese le spalle “Calmo” lo guardò negli occhi “Questa non è la cosa più imbarazzante che ti sia capitata avanti a Jace, non farne un dramma, d’accordo? È colpa mia, prenderà me per il culo in etero, mhm? Calmo!” gli diede un pizzicotto sulla guancia e poi ritornò alla finestra per aprirla e in un solo colpo urlare il nome di Jace che scoppiò a ridere cercando le chiavi, correndo sopra e poi appoggiandosi alla porta.
“Non ci credo” rise e Alec fu sicuro di non aver mai avuto così tanta voglia di uccidere qualcuno.
Ma chi? Magnus o Jace?
“Muoviti, idiota” urlò Magnus, e quindi Jace iniziò a dare forti spallate da fuori, continue, mirate, veloci e potenti, fino a quando la porta non si aprì con un tonfo, mostrando Alec depresso in un angolino, seduto sul water con le braccia attorno al petto, e Magnus con le braccia incrociate e un piede balzante a terra proprio di fronte alla porta.
“Quindi, chi dovrò prendere per il culo a vita?” rise Jace prima di ricevere un’occhiata maligna da Alec ed una spallata da Magnus che se ne ritornò in camera sua, sbattendosi la porta alle spalle.
Prima o poi avrebbe appiccato fuoco a quella testa bionda.
 
*^*^*^*^*^*
 
E dunque per l’ennesimo sabato Alec lo aveva convinto a restare a casa, ordinare le solite pizze –classica con peperoni per Magnus e classica per lui- un paio di lattine di birra e perché no, anche qualche dolcetto, da mangiare stravaccati sul divano, con Presidente penzoloni sul bracciolo, la tv accesa e fogli su fogli sparsi sul tavolino sui cui avevano i piedi poggiati. Proprio come ai vecchi tempi, solo che allora, la serata finiva quasi sempre con i fogli buttati ovunque, i cartoni di pizza – con qualche fetta ancora dentro- buttati per aria, vestiti lasciati sul divano, Presidente a grattare contro la porta di camera loro e loro due stesi sul letto a farsi a vicenda cose indicibili che Magnus in quel momento non voleva neanche immaginare.
E invece quella sera sarebbe finita con Magnus in un letto freddo, Alec in un letto freddo e Presidente a cercare un modo per farli finire nello stesso letto che di colpo sarebbe diventato meno freddo.
Alec alzò uno sguardo su Magnus, una fetta di pizza in una mano, gli occhiali leggermente scesi sul naso, un copione sulle gambe e una penna nell’altra mano; era così dannatamente sexy che gli si sarebbe voluto buttare tra le braccia e baciarlo. Magnus alzò lo sguardo nel suo, un sopracciglio ugualmente alzato e un sorrisino sulle labbra “È okay?” chiese masticando un morso di pizza.
“Scrivi di Matt ed Harry?” chiese, speranzoso e Magnus scosse la testa “Un nuovo copione. Non so ancora se voglio prendere parte a questo progetto, questo libro non mi ispira molto a dire il vero. Troppo poco angst. Sembra una storiella per bambini” alzò gli occhi al cielo e prese un altro morso di pizza, ritornando con lo sguardo sulle pagine che aveva sulle gambe.
“Magnus?” lo richiamò lui, con il cuore che batteva a mille “Posso farti una domanda?” lui tornò a guardarlo  curioso “Certo…?”.
Alec si leccò il labbro inferiore e distolse lo sguardo, per cercare di provare meno imbarazzo.
“Ecco... tu hai.. hai…” sbuffò, massaggiandosi le tempie al che Magnus rise leggermente.
“Alexander mi stai facendo preoccupare, va tutto bene?”
“Hai letto Help me to find my memories?” chiese tutto d’un fiato, ritornando a guardarlo e quella volta fu il turno di Magnus di arrossire e distogliere gli occhi verdi dai suoi.
“Non sono arrabbiato. Dimmi la verità. Voglio solo un consiglio. Il consiglio di un regista che amo e stimo a cui ho sempre desiderato chiedere consigli per le mie storie, tutto qui”.
Magnus accasciò la testa sul bracciolo del divano, gli occhi chiusi e uno sbuffo tra le labbra; tutto quello gli faceva male alla salute, gli ricordava troppo il passato, quando Alec davvero gli chiedeva consigli di continuo e a sua volta Magnus gliene chiedeva altri, o peggio quando si mettevano a lavorare per la serie che stavano scrivendo assieme e poi finivano a baciarsi e a sorridere soddisfatti del lavoro fatto.
“Sì, Alexander” sbuffò, con gli occhi ancora serrati “L’ho fatto. È una brutta abitudine del passato. Ho sempre voglia di leggere quello che chi mi vive vicino scrive. È più forte di me, mi sono trovato il tuo pc sotto il naso e ho letto di Kevin e Gao” Alec annuì “In realtà si chiama Godfrey, Gao è il cognome ma visto che lui crea sempre dei nomignoli odiosi per Kevin, Kevin si prende la propria rivincita chiamandolo in quel modo” disse solo, al che Magnus aprì un occhio e lo vide rosso, con un sorriso sulle labbra e la speranza negli occhi.
“Cosa vuoi chiedermi di preciso?” chiese girando la testa verso di lui “Avanti!”.
“Cosa ne pensi?” chiese, allora, Alec.
“Che di fondo è un’idea meravigliosa la tua. La cosa più angst del mondo. È bello prendere ispirazione dalla propria vita per scrivere, credo che sia un buon punto di partenza per rendere le proprie storie originali, veritiere, sensate e piene di significato…” Alec annuì, serio “Ma non ti piacciono loro?”.
‘Mi ricordano noi due e sapere che i pensieri di Kevin sono i tuoi mi fa soffrire. No, non mi piacciono, non voglio conoscerli oltre. Non voglio conoscere il finale della storia, ne ho il terrore’.
“Molto” rispose, invece “Kevin è quel personaggio forte a cui ti affezioni subito perché nonostante la propria situazione di merda non si comporta da vittima. È un personaggio che il grande pubblico amerebbe, ne sono certo. Gao mi ricorda un po’ me” buttò lì, per guardare l’espressione di Alec che arrossì e strizzò gli occhi, schiarendosi la voce “Ah sì, perché?”. Magnus rise “Gli occhi, i vestiti griffati, le battute sarcastiche, eppure in fondo è una persona profonda che si nasconde in una scatola di vetro oltre la quale Kevin riesce a vedere” Alec annuì, serio “Credi che io possa vedere oltre la tua scatola di vetro?”.
Ci fu un momento di silenzio imbarazzante in cui entrambi desiderarono sprofondare nel nulla, Alec per la domanda imbarazzante che aveva fatto, Magnus perché una risposta non riusciva a crearla dal momento che la sua mente pensava solo ad un ‘bacialo’.
“Per andare oltre le scatole di vetro bisogna conoscere bene le persone, Alexander. È difficile farlo…” si morse il labbro inferiore “Come vorresti far andare la storia?” chiese, per cambiare discorso, almeno provando a salvare uno dei due. Alec.
“Kevin ha perso la memoria come me” Magnus annuì “E Godfrey gli è vicino dal primo momento anche se Kevin non capisce il perché. Si è risvegliato e lo ha trovato lì, che gli parlava, gli dava una mano, gli sorrideva facendolo sentire meno pesante, più forte contro le sue paure. È strano, no?”.
Magnus annuì di nuovo, pensando che quel modo di mettere le cose, facendogli domande nascoste gli metteva quasi ansia, quasi gli stesse chiedendo come stavano davvero le cose tra loro due, eppure Alec sapeva che Magnus non gliene avrebbe fatto parola. Non parlando di loro, almeno.
“E quindi vorrei ci fosse un motivo per tutto questo. Ti sembra giusto?”.
Magnus annuì di nuovo. “Avevo pensato di… insomma Kevin e Gao si conoscono da prima dell’incidente in cui Kevin ha perso la memoria per provare a salvare la vita del fratellino fallendo miseramente”.
Magnus si morse il labbro inferiore e si sporse leggermente per prendere un sorso d’acqua “Si sente in colpa come se lo avesse ucciso lui, vero?” chiese, guardando i suoi occhi lontani anni luce.
“Come se avesse ancora le mani sporche del suo sangue”.
Altro momento di silenzio imbarazzante interrotto da Magnus “Dunque, come si conoscevano?”.
“Erano migliori amici. Kevin è sempre stato innamorato di Gao ma non lo ricorda. Prima non ha mai avuto il coraggio di confessarsi e Gao si arreso all’idea di essere l’unico dei due a provare qualcosa quindi si è spinto nelle braccia di un altro per dimenticare. Man mano che vanno avanti, però, Kevin riscopre la memoria di quell’amore o forse si innamora dal capo di Gao, non lo sa. Fatto resta che lo ama, lo desidera e non può averlo” sbuffa “Non fino a quando non avrà riacquistato la memoria e sarà tornato il Kevin di cui Gao era innamorato. Non fino a quando Gao non lo avrà aiutato a riacquistare i suoi ricordi”.
Magnus annuì “Ecco il significato del titolo. Mi piace ma cambierei il titolo. Sai, è troppo lungo, annoierebbe le persone. Che ne dici di qualcosa di più semplice? Tipo ‘Memories’?”.
Alec scosse la testa “Troppo breve, non mostra la perdita, la solitudine, la sofferenza di Kevin” Magnus si morse il labbro inferiore “E se fosse invece ‘Lost in memories’?” gli sorrise speranzoso e quella volta fu anche Alec a sorridere “È… perfetto” annuì, convinto “Credi di poter migliorare altro?” Magnus annuì; non poteva dirgli la verità, ma poteva raccontargli una storia che potesse aiutarlo almeno, no?
“Perché farli essere migliori amici e non sposati?” Alec lo guardò a bocca aperta, lo sguardo scintillante, incapace di capire se Magnus si riferisse a Kevin e Gao o a loro due.
“Felicemente sposati da un paio di anni dopo aver attraversato fuoco e ghiaccio. Kevin finto omofobo con la voglia di nascondere la propria omosessualità per paura di rendere infelici i propri genitori, la morte fresca di un fratellino dietro le spalle, due fratelli in grado di aiutarlo ad uscire dall’armadio; capaci di fargli capire che nascondere sé stessi è quanto di più ingiusto e orribile si possa fare. Godfrey uomo già vissuto, con centinaia di esperienze amorose alle spalle, una disastrosa che lo ha lasciato scarno, come un osso senza neanche un piccolo soffio di carne ancora attaccato, senza più voglia di riprovarci, di amare, di far finta di essere amato. Senza una famiglia ma con tre amici sinceri, migliori della sua precedente famiglia. Una scommessa che infinocchia entrambi facendoli conoscere su un sito di incontri. La sorella di Kevin capace di far innamorare in sole poche parole Gao nuovamente dell’idea dell’amore, la velocità di Kevin in grado di fuggire da ogni contatto con Gao fino a punto in cui non ci si può più tirare indietro, bisogna gettarsi nel fuoco o restare fermi fino a quando il fuoco non ti raggiunge.”.
Magnus si prese una pausa, Alec lo guardava a bocca aperta, sempre più sicuro che quelle non fossero solo parole, ma la loro storia.
“E come… come è successo?” chiese Alec, Magnus capì al volo quale risposta Alec stesse chiedendo.
“Un incidente d’auto. Dopo aver fatto l’amore il passo seguente per festeggiare il loro quinto anniversario era andare al ristorante preferito di Kevin e invece sono finiti nel nulla…”.
Alec annuì, le mani strette attorno ai pantaloni della tuta di Magnus che lo guardava con gli occhi ricolmi di sfida. ‘Fammi altre domande’ chiedevano, ma lui aveva la mente da un’altra parte.
“Credi che Gao abbia fatto male ad innamorarsi nuovamente dell’idea dell’amore?”.
Magnus lo guardò e scosse la testa “Non si può vivere sempre rinchiusi nel terrore più totale, Alec. Non ha sbagliato. L’amore è ossigeno e Gao ne aveva profondamente bisogno. Non si può vivere più di qualche minuto senza ossigeno, no? Neanche Gao è riuscito a resistere all’amore, nonostante tutte le delusioni avute” Alec annuì “E tu riesci a resistere all’amore?”. Magnus si morse il labbro inferiore.
L’aria attorno ai loro corpi era così elettrica, sentiva le mani formicolargli, un fuoco nelle vene che lo spingeva verso Alec facendogli credere che fosse l’unico in grado di spegnere quell’incendio; Alec che lo guardava, le sue mani che sfioravano le proprie, i loro cuori che battevano veloci, quella vocina che gli ricordava che era normale volerlo baciare: era suo marito, erano caduti tante volte assieme, si erano rialzati tante volte assieme, avevano rischiato tanto assieme, avevano guardato assieme giù quando ad entrambi girava la testa per le vertigini, dandosi sicurezza l’un l’altro, camminando sul filo della vita, sospeso su un mare di insicurezze e problemi. Erano andati avanti nonostante tutti i loro problemi, riuscendo a non restare mai passivi nei confronti di quello che gli buttava la vita addosso: gli aveva buttato addosso anche quello.
Alec senza più ricordi, Magnus con troppi ricordi, entrambi con la voglia di amarsi ancora, perché alla fine anche se i ricordi erano sfumati, l’amore che Alec provava nei suoi confronti era forte, in superficie, pronto e Alec era pronto a prendersene le responsabilità. Forse non era davvero pronto ad accettare le conseguenze di quell’azione, ma il suo corpo non voleva saperne di stare a sentire la sua mente, il suo cuore obbligava le sue labbra a desiderare quelle di Magnus, e finalmente entrambi acconsentirono a quel desiderio impellente.
Finalmente le loro labbra si sfioravano con delicatezza; Magnus era stato il primo a spingersi nella sua direzione, Alec invece era stato il primo ad aggrapparsi al suo collo e tirarselo addosso. Si erano guardati per qualche secondo e poi entrambi si erano avvicinati, facendo scoppiare quell’incendio.
Le labbra di Magnus si muovevano frenetiche sulle sue, inarcate in un sorriso soddisfatto; le sue mani si muovevano sicure – così come non si sarebbero mosse se il corpo che aveva addosso fosse stato sconosciuto-  sulla sua schiena; aprì leggermente le gambe facendo in modo che Magnus vi si adagiasse, spingendo le mai sotto il suo maglione bucato, finalmente in grado di sentire nuovamente il calore della sua pelle.
Alec inarcò leggermente le labbra e sorrise, spingendo l’altro ad aprirle per accarezzare la sua lingua; e che gemiti fossero di disperazione o di felicità non lo avrebbero mai saputo, e neanche gli interessava.
Entrambi erano dove dovevano essere e volevano essere.
Alec staccò le labbra dalle sue quando non fu più in grado di respirare; gli girava la testa e sebbene forse potesse essere a causa dell’eccitazione e delle labbra di Magnus, il pensiero più razionale e coerente gli diceva che era a causa della mancanza di ossigeno.
Rise, aggrappandosi ancora di più a Magnus “Non si può vivere senza ossigeno per più di pochi secondi, no?” Magnus lo sentì ridere nelle proprie orecchie, lo sentì inarcarsi sotto il suo corpo per sbottonarsi i pantaloni e afferrare in seguito anche i suoi pantaloni grigi per abbassarli leggermente.
Avrebbe dovuto allontanarlo, fare qualcosa e invece lo aiutò, ritrovandosi quasi senza pantalone; si mosse frenetico contro il suo corpo, Alec spinse il bacino contro il suo e Magnus gettò la testa all’indietro, in preda all’eccitazione: quel ragazzo lo avrebbe ucciso.
Alec sorrise e approfittò di quel gesto per avvicinare le labbra al suo collo e prendere a sfiorarlo leggermente con le labbra ancora umide, facendogli scappare mugolii di piacere.
“Oh Dio” sussurrò al suo orecchio, mordendogli leggermente il lobo “Quanto ti amo, Magnus Bane”.
Non appena quelle parole gli uscirono dalle labbra, il corpo di Magnus si irrigidì, i suoi occhi verdi si fermarono un secondo in quelli azzurri e scosse la testa “Cazzo” sussurrò, portandosi le mani sul viso, dopodiché come una furia si alzò, aggiustò i pantaloni e gli si sedette vicino.
“Mi dispiace, Alec. Non avrei dovuto” disse, quasi tra le lacrime, la testa tra le mani, la voce incrinata.
“No, Magnus va bene. Lo volevo anche io. Ti voglio anche io” mormorò aggrappandosi alla sua spalla, ma Magnus scosse la testa “Non capisci? Non posso. Ho le mani legate. Non posso fare quello che voglio” si stava lasciando andare troppo. Gli aveva raccontato di loro, lo aveva baciato, stava perfino per farci l’amore perché quello in fondo era il suo Alexander. Ma non poteva. Glielo doveva. Gli sembrava tradirlo, quasi, farci l’amore mentre lui non lo riconosceva. Non per davvero, almeno.
“Non puoi…?” chiese Alec, quella volta anche la sua voce roca era incrinata, Magnus si sentì la persona peggiore al mondo. “No” sussurrò lui. “È per il tuo ragazzo?”.
Avrebbe voluto dire di no, ma in effetti era proprio per questo.
Baciando Alec, quell’Alec, gli sembrava quasi di tradire suo marito e sebbene quella fosse un’idiozia, non poteva fare a meno di sentirsi un peso sulle spalle in quel momento.
Doveva allontanarsi da Alec, immediatamente. O sarebbe finito per dirgli tutto. Per dirgli che non aveva un ragazzo ma un marito e che quel marito era lui, che sì, i suoi sogni erano ricordi, che sì, erano sposati e sì, le sue domande sulla storia che aveva raccontato per Kevin e Gao erano un grande, enorme ‘sì’, perché quella storia era vera e protagonisti erano proprio loro due.
“Mi dispiace” disse, sbuffando.
“Ti prego” disse Alec, scuotendo la testa “Va via”.
Magnus, ferito, lo guardò negli occhi e vide che era serio; il solito blu liquido si era indurito come un pezzo di ghiaccio: freddo, scostante, lontano.
“Non voglio vederti Magnus. Sapevi di quello che provavo per te e ho sbagliato, ho sbagliato ad innamorarmi di te, ma tu mi hai aiutato in questa missione suicida. Ti prego, va via e lasciami solo”.
Magnus fece per dirgli che gli aveva promesso che non lo avrebbe mai fatto ma Alec lo bloccò “Promettimi che non tornerai” gli disse “Che andrai via e mi darai la possibilità di dimenticarti”.
Magnus, un cane bastonato, gli occhi ricolmi di lacrime, annuì “Tornerò domani a prendere tutte le mie cose. Puoi tenere Presidente per un po’? Non credo che Raphael accetti animali al DuMort e casa di Catarina è troppo piccola, lo farebbe impazzire…”.
Alec annuì “Domani non ci sarò” disse vedendolo allontanarsi, prendere il cappotto, le chiavi e chiudersi la porta alle spalle.
E in quel momento, entrambi, capirono che ci si accorge troppo tardi delle cose andate via;
Magnus pensò di aver perso per sempre quello che avevano costruito in tanto tempo, Alec che non sarebbe mai riuscito a costruire qualcosa di reale tra loro.
E così, Alec che piangeva sul divano era diviso da un muro di fuoco da Magnus che piangeva contro la porta del loro loft. L’incendio era divagato, li divideva e fino a quando non sarebbero riusciti a trovare un modo per domarlo, si sarebbero dovuti tenere dalla fonte del fuoco: la loro storia.

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** I was alone but you were there, with me, in my pain. ***


I was alone but you where there, with me, in my pain.
 

Le cose non potevano continuare ad andare in quel modo; erano ormai passate due settimane da Magnus aveva varcato quella porta e Alec aveva visto le sue spalle larghe allontanarsi lentamente dai suoi occhi per non tornarci mai più. Era stato lui a cacciarlo, certo, ma Magnus non si era opposto. Aveva annuito, si era alzato ed era andato via lasciandolo solo, ancora.
E lui era rimasto lì, su quel divano, per minuti, ore, giorni ad aspettare che tornasse ma non lo aveva mai fatto; non si era presentato neanche per prendere le sue cose. Alec non era uscito come gli aveva promesso, era rimasto lì per guardarlo negli occhi un’ultima volta, per scusarsi e dirgli che aveva sbagliato a pronunciare quelle parole. E invece ad aprire la porta di casa era stato Ragnor con i suoi capelli verdi ed un giaccone di un tono più scuro che lo aveva guardato steso su quel divano, le gambe nella stessa posizione della sera precedente, Presidente tra le braccia. Gli si era avvicinato, si era seduto su una poltrona al suo fianco e lo aveva guardato negli occhi “Ora non capisci” gli aveva detto, ed era vero. Non capiva.
Non era in grado di capire o forse non ci stava provando granché, ma dentro aveva la solitudine più oscura, era in grado di capirla, quella. “Capirò mai?” gli aveva chiesto, quasi stesse parlando con un amico e non un uomo che aveva conosciuto poco prima. Anche in quel caso il suo corpo sapeva qualcosa che il suo cervello ricordava solo in parte. Era così dannatamente fastidioso avere quella maledetta sensazione di conoscere ma non sapere davvero. Ragnor lo aveva guardato e si era schiarito la voce, quasi si stesse maledicendo per essere andato lì al posto dell’amico “Ci sarà un momento in cui i medici si arrenderanno. O forse sarà Magnus ad arrendersi, se il tuo cervello non vorrà ricordare e in quel momento capirai tutto”.
Annuì “Sapete tutti tutto ti me, tutti tranne me. Persino tu, Raphael, persone che conosco da un mese sanno cose di me che io non conosco. Come credi che mi senta?” c’era rabbia nella sua voce, dolore, voglia di riscatto, di tornare quello ce era. “Il fatto che tu non ti ricordi di noi non vuol dire che noi non esistessimo già prima” fece per alzarsi dalla sedia, sarebbe stata una grande uscita di scena ed effettivamente Ragnor sembrava uno da uscite ad effetto, ma Alec gli aggrappò una mano, gli occhi lucidi, le guance rosse “E allora ricordatemi voi chi siete”. Ragnor scosse la testa “Stai male” gli disse e non era una domanda, riusciva a leggerglielo negli occhi, nelle spalle tese, nell’espressione triste “E sta male anche Magnus” disse e quello fu un colpo ancora più duro: una cosa era soffrire in prima persona, un’altra sapere che qualcuno che amava stava soffrendo anche a causa sua. Era sempre stato così, troppo altruista. O forse troppo egoista, in fondo fa più male guardare chi ami morire e restare dopo di lui, che morire in prima persona.
“A causa mia?” chiese, ma la risposta era palese.  “L’ho convinto a far venire me. Sai pensava che tu non volessi rivederlo, voleva persino chiamare prima di passare”. Alec annuì “Lo stavo aspettando” disse lasciandogli la mano in modo che si alzasse e si allontanasse verso la camera dove era stato Magnus per tornarne dieci minuti dopo con una valigia blu scuro dall’aria molto pesante.
“Digli che mi dispiace per quello che ho detto” sbuffò abbracciando ancora di più il gatto, Ragnor si fermò fuori la porta, posando le chiavi su un piccolo mobiletto all’entrata “Anche a lui dispiace per quello che è successo” gli sorrise debolmente e poi si chiuse la porta dietro. Alec sospirò; non riusciva più a vedere un mucchio di persone uscire velocemente così come ci erano entrate, dalla propria vita.
 
Magnus si guardò attorno; aveva provato a restare al DuMort per non dare troppo fastidio a Catarina; la povera ragazza lavorava continuamente, metteva tutta sé stessa in quello che faceva e darle un ulteriore peso non gli sembrava giusto, ma non ci era riuscito. Ogni notte trascorsa da solo in quel posto lo faceva sentire esattamente come a otto anni. Ogni tramonto gli faceva salire la bile in gola, un male al cuore così forte da non permettergli di respirare. La luna sembrava carbonizzargli i pensieri e le stelle sembravano trasformare i suoi migliori sogni in peggiori incubi: non faceva altro che rivedere i genitori morti, Alec volare via in quella macchina e non svegliarsi più, persino la sua morte. Aveva provato a tenerlo nascosto agli amici ma Raphael –che aveva occupato la camera di fianco alla sua per stargli il più vicino possibile- lo sentiva urlare di notte, Ragnor vedeva i tratti delle notti insonni nei suoi occhi e Catarina riusciva a vedere in che direzione stesse andando la sua salute; quindi era stata lei a proporre casa sua, dopodiché Ragnor e Raphael l’avevano seguita e Magnus si era improvvisamente ritrovato con più case di quante ne avesse mai possedute in vita propria. Catarina si era battuta affinchè Magnus andasse da lei, dove sarebbe rimasto tranquillo di giorno e avrebbe potuto dormire al suo fianco di notte e dove ovviamente lei avrebbe potuto tenerlo sotto stretto controllo, quindi i due amici avevano acconsentito e avevano fatto i bagagli al suo posto, Raphael gli aveva sorriso e gli aveva detto, provando a fare una battuta, che avrebbe messo anche quel servigio sul conto, Magnus aveva provato a ridere, poi strisciando si era alzato e aveva seguito l’amica.
In quel momento era sul divano azzurrino di casa sua, lei era lì di fronte a lui così come Raphael, Ragnor e sorprendentemente Jace, con le gambe incrociate e lo sguardo sfacciatamente serio.
Era muto, lo guardava attentamente quasi si aspettasse che fosse Magnus a parlargli da un momento all’altro, ma erano ormai due settimane che si era chiuso in uno scudo di mutezza.
“Avanti, Jace” Raphael alzò gli occhi al cielo “Cosa sei venuto a fare?”.
Tre paia di occhi si girarono verso il biondo che scosse le spalle “Siamo amici” disse solo, ritornando a guardare Magnus con attenzione. “Hai qualcosa da dirmi?” chiese, finalmente lui, ma Jace scosse la testa “Se non sai cosa dire, non dire niente. Giusto, Herondale?”. Jace annuì e sorrise leggermente.
“Se non sai cosa dire riporta in su il tuo muro di cinismo, no?” rispose invece il biondo.
“Di cinismo me ne parli proprio tu. WoW, il bue che dice cornuto all’asino”.
Catarina alzò gli occhi al cielo e diede uno schiaffo dietro la nuca a Magnus “Jace” disse Ragnor rimasto silenzioso fino a quel momento “Vuoi dirgli qualcosa di Alec?” “No” rispose prontamente lui “Non vedo Alec da una settimana. Non vuole vedere nessuno. Non apre la porta a nessuno. Non risponde al telefono né ai messaggi. È come se fosse scomparso nel nulla” Magnus alzò lo sguardo nel suo, ferito, lucido, addolorato “Hai provato con la chiave di scorta?” chiese e Jace annuì “L’ha tolta da dove era” scoccò la lingua sotto al palato “Ha sempre fatto così. Si chiude nel proprio dolore e questa volta non so proprio come aiutarlo” deglutì e spostò lo sguardo su Catarina, indicando Magnus “Ma non è l’unico ad aver bisogno di aiuto qui” Magnus rise amaramente “Ho loro. Va, Alec non ha nessuno” disse massaggiandosi le tempie, quando tutti sbuffarono “Okay è arrivato il momento di farti vedere che forse anche tu, Magnus Bane” disse Catarina alzandosi “Hai bisogno di qualcuno con cui parlare ogni tato e con qualcuno non intendo me, Raphael o Ragnor. Ci siamo sempre per te ma tu non riesci mai a mettere del tutto da parte la tua corazza con noi” Raphael annuì “E quando lo fai io non riesco ad ascoltarti, faccio in modo che tu la ritiri su” Ragnor si alzò a sua volta “Magari con una testa di cazzo come te riesci a parlarci, no?” Jace rise “Grazie per il complimento” disse solo, guardandoli mentre tutti e tre si allontanavano in cucina.
“Non ci credo” sbuffò Magnus “Davvero. Sto parlando con te. Che situazione di merda è questa? Avanti! Io che parlo con te” Jace rise “Ti capisco, sono fatto della tua stessa pasta” Magnus annuì “E cosa vuoi che ti dica? Quanto sto soffrendo? Sei fatto della mia stessa pasta, dovresti capire che non dico a nessuno quello che mi porto dentro” “A meno che tu non stia per scoppiare…” “E Credi che io stia per scoppiare?” Jace scosse le spalle “Non lo so. Stai per scoppiare?”. Magnus annuì e scosse la testa per poi distogliere lo sguardo lontano, sulla vetrata grande che dava sullo skyline “E anche se fosse? Sono una bomba che non può più essere rimessa a posto, Jace Herondale. Non potete aiutarmi” il biondo rise “Neanche Alec potrebbe?” e forse gli fece male dire quelle parole, forse fu una liberazione, fatto resta che uscirono senza che ci pensasse “È stato Alec ad innestarmi”. Su di loro cadde il silenzio più assoluto fino a quando Jace non prese il proprio cellulare e compose un numero, lo lanciò sul divano e rimase in ascolto di un ‘tu tu tu tu’ fino a quando qualcuno non rispose e quando Magnus capì fu troppo tardi.
“Quando la smetterai di chiamarmi?” era la voce di Alec e per il cuore di Magnus fu come una scossa elettrica di troppi volt da sopportare. Si fermò sul posto, le labbra spalancate, gli occhi ricolmi di lacrime.
“Sono da Magnus” fu tutto quello che disse. Si sentì un sospirò e poi un minuto di silenzio.
“Ciao, Magnus” disse Alec, in fine e Magnus ingoiò una risata amara “Sei felice ora, Jace? Sono ritornato a parlare” Jace rise “Magnus ancora no. Aiuto uno e non riesco ad aiutare l’altro. Mi sento così inutile” sbuffò, buttandosi i capelli biondi all’indietro “E io sono Jace. Non sono abituato a sentirmi così inutile” Magnus rise “Bene, ora sai esattamente come ci si sente” Jace inarcò un sopracciglio “Ad essere te?” rise quando Magnus scosse la testa “A starti attorno senza poterti chiudere il becco” disse e Alec rise leggermente, nonostante non volesse. “Alexander Gideon Lightwood ride e Magnus Bane,- a proposito hai un secondo nome? – fa battute. Cavoli, stiamo migliorando, vero. Bene, ora volete dirvi qualcosa?”.
Vide il viso di Magnus contrarsi in un’espressione  di dolore “Mi dispiace” disse solo per poi alzarsi, raccogliere tutte le forze del proprio corpo nelle mani, alzare Jace di peso e spingerlo fuori dalla porta con tanto di: “Va all’inferno” ripetuto anche da un Alec stranamente divertito che gli ripose poi il telefono in faccia. “Mhm questa è quella che si suol dire una Power Couple” fece spallucce e rassegnato andò a lamentarsi da Isabelle. Forse lei avrebbe trovato una soluzione che lui proprio non riusciva a vedere.
 
“Da quando non vi vedete o sentite?” Isabelle, con sguardo apprensivo, lo scrutava dalla poltroncina su cui era seduta: i capelli neri tirati su una spalla, gli occhi circondati di un sottile strato di eyeliner e labbra sensualmente rosse. Eppure aveva quello sguardo così apprensivo, così da lei.
“Da quando Jace non ha tentato di incastrarci” rispose Alec tirando le ginocchia verso il viso “Ma va bene”.
Izzy annuì “Quindi dici che va bene? Lui buttato da un lato, tu dall’altro, lui a piangere da un lato e tu dall’altro? Vi mancate e lo sapete, diavolo. Perché non fate nulla per mettere fine a questa sofferenza?”.
“Perché il mio cervello non ricorda” sbuffò lui “E vorrei chiudere qui l’argomento” Izzy scosse la testa “No che non lo chiudiamo qui l’argomento. Avevate un futuro splendete avanti, perché lasciarlo andare solo per un intoppo?” “Intoppo?” rise amaramente lui “Io che non ricordo chi sia lui e lui che sembra non sapere più chi sono io è un intoppo? Come staresti se fosse successo a te? Se non ricordassi chi è Simon ma sentissi nelle vene che è qualcuno che ti è estremamente vicino? Come staresti se volessi baciarlo, farci l’amore, amarlo, solo dopo pochi mesi senza neanche sapere perché sembra così naturale al tuo corpo?”.
Alec non era solito alzare la voce, né gesticolare in quel modo, con le guance rosse e gli occhi lucidi di rabbia, eppure quando lo faceva riusciva sempre in un certo senso a sconvolgere Isabelle, perché era proprio in quei momenti che capiva che più di qualcosa non andava.
“Male” disse solo lei “Male. Ma non stai facendo nulla, Alec. Non stai provando ad andare oltre, a capire perché diavolo Magnus si è allontanato” “PERCHÉ” urlò lui “Non vedo futuro per noi. Perché Magnus non è solo, perché io non sono più quello che Magnus conosceva, lo leggo nei suoi occhi e forse non lo sarò mai più”. Lei sbuffò “E se lui ti amasse comunque?” Alec alzò gli occhi al cielo “Come potrebbe mai amarmi se ama un altro?” lei rise amaramente “Ti ha mai parlato di un altro, razza di idiota senza ragione?” urlò lei e quello per lui fo come uno schiaffo. Lo ricevette in pieno colpo, restò in silenzio, lo sguardo abbassato sulle proprie mani mordicchiate strette in grembo. “Ti sei mai chiesto chi fosse quest’altro? Lo hai mai chiesto a lui?” “Sì” rispose quella volta lui “E Magnus?” “Ha cambiato discorso tutte le volte” Isabelle sorrise “E quando gli hai chiesto di voi o di te?” “Ha cambiato discorso. I medici gli hanno vietato di parlarmi di qualsiasi cosa riguardasse il passato…” “Quindi chi pensi che possa essere il suo ragazzo?”.
Il viso di Alec sbiancò immediatamente: risaltavano solo gli occhi incredibilmente lucidi, due chiazze rosse e febbrili sulle guance e i capelli scompigliati. “Cosa stai tentando di dirmi, Isabelle?”.
Lei si alzò, sorridendo malignamente “Che non credo che arrivati a questo punto possa esserci qualcosa in grado di danneggiarti. Avevi dei sogni su Max e sai che non erano solo incubi. Ne hai anche su Magnus?” Alec annuì “E sai che non sono solo sogni, vero?” quella volta non annuì, Magnus non gli aveva tolto dubbi su quello. “Sai cosa, Alexander? Quelli che fai su Magnus non sono solo sogni. Magnus non ha un ragazzo ma un marito” sorrise dolcemente “E credo che sapere la verità non possa comportarti problemi. Non riesco più a vederti così. Sei il mio fratellone, non ho forza per vederti soffrire ulteriormente e lui è uno dei miei migliori amici, non voglio più vederlo così. Non voglio più vederti così”.
Estrasse qualcosa dalla propria borsa nera lucida, lo buttò sul tavolino e si avviò verso la porta.
“Fa quello che ritieni giusto, Alexander Gideon Lightwood. Vi ho aiutato la prima volta, lo farò ora e per sempre”.
Alec la guardò a bocca aperta chiudersi la porta alle spalle, guardò la cartellina che aveva buttato sul proprio tavolino, la prese tra le mani e la guardò con diffidenza. Forse quello conteneva la soluzione a tutti i suoi problemi o forse l’inizio di tutti i suoi problemi? Ma peggio della situazione in cui era…
Quelli che c’erano dentro la cartellina erano fogli pieni di foto e parole accomunati tutti da due persone: un bellissimo uomo dai capelli a spuntoni neri e gli occhi verdi ed un ragazzo altrettanto alto con gli occhi blu e i capelli neri timido nelle prime foto, più sciolto nelle foto seguenti: quei due ragazzi erano loro.
Loro che camminavano fianco a fianco in una foto, Mano nella mano in un’altra, si baciavano in un’altra, erano sotto un arco di fiori a central park in un’altra foto in cui erano vestiti in abiti da cerimonia, sorridevano su una spiaggia bianca e luminosa, e poi Magnus in una foto al lato, con un occhio nero ed una fascia bianca attorno alla testa, una macchina nera lucida nella foto al fianco; si susseguivano più foto come quelle, fino ad una foto in cui una foto di Magnus era separata da una sua foto da una striscia zigzagata rossa ed una scritta: “La rottura dei Malec?”.
E contemporaneamente si susseguivano ricordi su ricordi sempre meno sbiaditi e più vividi: la prima volta che si erano parlati al telefono, la prima volta che si erano visti, il loro primo appuntamento, lui a casa di Magnus con la maglia mezza sporca di alcool, loro che si baciavano con tutto l’amore che avevano in corpo, loro che facevano progetti sul divano di casa di Magnus, lo stesso su cui era seduto in quel momento, loro che facevano l’amore sul divano di Magnus, loro che si promettevano di amarsi per sempre sommersi dagli applausi degli amici, loro che facevano l’amore in doccia prima di scendere in macchina e parlare tranquillamente mentre raggiungevano Daniel’s, prima di volare nel vuoto più assoluto, nel vuoto che aveva inondato anche la sua mente. Erano ricordi, dunque, quelli?
Ritornò a guardare le foto, quella linea rossa che li divideva era come uno squarcio in petto che gli urlava che da un momento all’altro sarebbe rimasto dissanguato. “La rottura dei Malec?”.
Con gli occhi colmi di lacrime e le mani che tremavano Alec compose velocemente il numero di Magnus e pregò rispondesse, doveva parlargli. Subito. Dovette aspettare il quarto squillo ma non si arrese prima di sentire la voce di Magnus sorpresa “Alexander?” Alec prese un grosso respiro e parlò, non seppe come fece ma parlò “Voglio che mi racconti tutto, Magnus. Voglio che mi racconti cosa vogliono dire tutti i giornali con questo ‘La rottura dei Malec’. Ora. Devi farlo ora, non mi interessa dei medici. Voglio sapere. Esigo sapere. Ricordo qualcosa. Voglio sapere se è vero quello che ricordo. Voglio sapere se è vero quello che provo per te”.
Magnus non seppe precisamente come aveva attaccato il telefono, era corso a prendere un giubbotto di pelle, le chiavi della moto ed era arrivato fuori casa loro.
Fu cosciente di averlo fatto solo quando il suo indice si fissò sul campanello, sentì le suole delle scarpe di Alec muoversi sul pavimento di legno e poi vide la porta aprirsi, mostrandogli suo marito con le guance rigate di lacrime e un piccolo sorriso sulle labbra.
In fondo Magnus non lo aveva lasciato solo, era sempre rimasto al suo fianco ad ascoltare, contemplare e condividere il suo dolore.
Io, Magnus Bane, accolgo te come mio sposo. Prometto di esserti fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, e di amarti e onorarti tutti i giorni della mia vita.
Gli aveva promesso cinque anni prima, e aveva rispettato la promessa.


Spazio autrice.
Giusto perchè la 3x20 non ci ha fatto soffrire abbastanza: eccomi tornare!
Scusate se sono mancata per un po' ma sto lavorando a Xo Xo, Baby ~ la mia nuova Malec, e ogni volta che inizio a scrivere sapete che non leggo praticamente nessun'altra mia storia. Ad ogni modo, giuro che non abbandonerò questa per XoXo (se volete leggerla, comunque, mi fa moooolto piacere, è come al solito un esperimento del tutto nuovo, che rileggendo proprio ora il prossimo capitolo di questa storia, mi sono accorta avere radici mooooolto profonde!).
Btw, parliamo un attimo della Serie? Non ci posso credere che è praticamente già finita: come farò?
Ho ansia di fare spoiler quindi taccio.
NEl frattempo, però, vi lascio uno spoilerone del prossimo capitolo ;)
Let me know cosa ne pensate <3

StewyT~

Allora gli aveva fatto capire, una bella notte in cui grazie all’aiuto di Catarina non si era ubriacato, che qualsiasi cosa sarebbe valsa la pena pur di conoscerlo e vederlo dal vivo almeno una volta.
Forse dopo non si sarebbero più parlati, forse sì, non potevano saperlo ma dovevano scoprirlo e prima o poi sarebbe per forza di cosa successo visto che Alec gli aveva venduto i diritti di Utopia – seppur con un contratto molto stretto che lo obbligava a fargli revisionare tutto prima di iniziare le riprese- quindi perché aspettare di vedersi solo per lavoro quando avrebbero potuto farlo prima, come amici?
Ma ovviamente entrambi sapevano che non lo stavano facendo per diventare amici; seppur non lo avesse ancora mai visto dal vivo Magnus provava per Alec una forte attrazione fisica, era il suo prototipo di uomo certo, ma in più aveva quell’aria da intellettuale che lo faceva impazzire ogni volta che vedeva le sue interviste o i suoi interventi in tv – anche se sfortunatamente erano davvero rari. Alec era un tipo dannatamente timido, preferiva stare dietro un desktop a scrivere che avanti alle telecamere -.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Cinque anni prima... ***


Five years earlier…
 
 
[Glitter_Bane]
QUINDI stai tentando di dirmi che sto parlando su un sito di incontri con la sorella di Alexander Gideon Lightwood? Uno degli scrittori appena emersi dalle acque paradisiache che riesce a darmi gioie anche con una sola frase?
 
[Light.Worm]
E io, sorella di Alexander Gideon Lightwood sto davvero parlando con Magnus Bane, regista preferito di Alec, che Alec morirebbe per conoscere?
 
[Glitter_Bane]
Sì, potrei dirti di sì. Sulla mia carta di identità c’è proprio scritto ‘Magnus Bane- sommo regista di Brooklyn’.
 
[Light.Worm]
E ti piace quello che vedi nella foto?


[Glitter_Bane]
Sì, mi piace quello che vedo nella foto MA più di tutto mi piace il genio che alloggia nella mente di tuo fratello. Isabelle, giusto?
 
Isabelle si girò battendo le mani verso Alec, buttato sul divano con la testa poggiata al bracciolo e Jace che continuava a dargli pacche scherzose sulle gambe “HO trovato l’uomo dei tuoi sogni” rise lei.
“Bene, ora puoi anche cancellare il profilo ed eliminare la mia foto, giusto?” Jace scosse la testa “AH AH no. Il pegno per la scommessa che HAI PERSO, diceva chiaramente che devi parlare tu con qualcuno” Alec alzò gli occhi a cielo “Morirò prima di chattare con uno dei pervertiti che viaggiano su quel sito. Che procheria?!” Isabelle sbuffò “senti questo tipo assomiglia incredibilmente all’uomo che sogni di portarti a letto dai tempi del liceo!” Alec alzò gli occhi al cielo “Non ho mai sognato di portarmi qualcuno –” “AH” JAce lo interruppe puntandogli un dito contro “Ora non iniziare di nuovo con quella storia del ‘sono etero’ perché se tu sei etero io… io…” Isabelle gli puntò un dito contro “Tu non sei un coglione colossale. Avanti, Alec, vieni a guardarlo!” Alec scosse la testa contrariato “no” “Okay” si alzò Jace battendo le mani “Fammi vedere questo aitante uomo misterioso!” si avvicinò ad Isabelle e guardò la foto profilo: un uomo dalla pelle caramello, gli occhi verdi e dei lunghi capelli neri che facevano risaltare un sorriso smagliante, aleggiava sullo schermo del pc e lui conosceva quell’uomo. “Lui è…?” “SHHH” Isabelle gli diede una pacca nello stomaco “Non dovrà saperlo fino a quando non si alzerà” Jace rise beffardo “Davvero ti conviene alzarti, culo d’acciaio. Stiamo parlando con l’uomo dei tuoi sogni” “Non ho un uomo dei sogni” alzò gli occhi al cielo. “Ne sei proprio certo? Ricordo un certo Magnus Bane…” Jace rise e Alec gli buttò un indice contro “Vi odio” disse alzandosi dal divano per andare poi a chiedersi in camera propria.
“Okay, da ora in poi dobbiamo fare in modo di farli parlare” Jace sorrise a Izzy “Avanti!”.
 
[Light.Worm]
Ehi, sono Jace, il fratello di Alec.
 
[Glitter_BAne]
Perché sto parlando con tutti tranne che con Alexander?
 
[Ligh.Worm]
Sono di nuovo Isabelle. Perché Alec è un coglione. Ma io e Jace abbiamo la soluzione che fa al vostro caso.
 
[Glitter_BAne]
Abbiamo un caso…?
 
 
 
[Light.Worm]
Se tu sei davvero chi dici di essere mio fratello è follemente innamorato di te dai tempi del liceo. Praticamente seguiva i tuoi lavori quando li pubblicavi ancora solo su youtube ma non ha mai avuto il coraggio di contattarti o parlarti anche perché insomma tu sei TU e lui era un normale ragazzino…
 
[Glitter_Bane]
Ma ora voglio conoscerlo e voglio averlo al mio fianco.
 
[Light.Worm]
Sono Jace e non mi fido tanto di te in questo momento. VUOI AVERLO AL TUO FIANCO? Già?
Non ci hai neanche parlato…
 
[Glitter_Bane]
Jace, stupido idiota biondo, lasciami parlare con tua sorella.
Isabelle intendevo dire lavorativamente. Voglio produrre una serie tv su Utopia. Amo quel libro.
 
[Light.Worm]
Per quello esistono i suoi agenti. Magnus Bane sei interessato a conoscere Alec o vuoi semplicemente solo lavorarci?
 
[Glitter_Bane]
Dimmi cosa dovrei fare.
 
[Light.Worm]
Dammi il tuo numero di telefono, ti spedisco il suo e puoi farci quello che meglio credi.
 
[Glitter_Bane]
Perché dovrei darti prima il mio numero?
 
[Light.Worm]
Mi serve una garanzia che tu sia il vero Magnus Bane.
 
Jace si girò verso Isabelle che aveva un sorriso vittorioso sulle labbra quando dall’icona dei messaggi sbucò un numero di telefono “Ora come vuoi tentare di scoprire se appartiene a lui?” Izzy rise “A cosa credi che serva un fidanzato nerd e hacker di professione?” la vide alzarsi, allontanarsi per qualche momento e telefonare a Simon.
 
[Light.Worm]
Okay se non sei chi dici di essere e vuoi fare del male a mio fratello o anche se sei chi dici di essere e comunque troverai il modo per fare del male a mio fratello considerati spacciato, Magnus Bane.
 
[Glitter_Bane]
Scommetto di star parlando con il biondo maledetto, vero?
 
[Light.Worm]
Come fai a sapere che sono biondo?
 
[Glitter_BAne]
Ho una specie di ossessione per tuo fratello, ve l’ho detto.
 
Izzy tornò battendo le mani “Amo Simon” rise “È Magnus Bane, il vero e unico Magnus Bane, gli ho spedito il numero di telefono” diede il cinque ad un Jace vittorioso “Abbiamo trovato un uomo ad Alec, finalmente non sarà più così tanto acido” rise Jace “Oh non ci sperare troppo”.
 
[Glitter_Bane]
Isabelle mi è arrivato il numero. Ti amo.
[Light.Worm]
Non contattarlo ora, probabilmente potrebbe pensare che c’entriamo qualcosa noi e potrebbe ucciderci.
Se mi ami davvero, inventati una buona scusa e contattalo domani. Ora hai il suo numero, posso eliminare il profilo.
 
[Glitter_Bane]
A quanto pare i miei amati amici dicono che ho pagato il pegno quindi anche io posso eliminarlo.
 
[Light.Worm]
Ho il tuo numero, non disperare.
 
[Glitter_Bane]
E io quello di tuo fratello, rosellina. A presto!
 
*^*^*^*^*^*
 
[Sconosciuto]
Sei un assoluto pezzo di merda. Come ti è venuto di chiamarmi dopo essere tornato dall’appuntamento?
 
Alec lesse due volte il messaggio prima di scuotere la testa e posare il telefono sul comodino per ributtarsi per l’ennesima volta nella rilettura di Utopia. Ci aveva impiegato più di due anni a scriverlo, lo leggeva e rileggeva, aveva imparato le parole a memoria e i personaggi ormai erano pezzi della sua anima ma non avrebbe neanche mai lontanamente immaginato che qualcuno volesse pubblicarlo e soprattutto che il pubblico lo amasse fino a quel punto. Al punto da ricevere richieste da più registi per tirarne fuori film o serie tv. Lui, il ragazzo invisibile che aveva provato a vivere nell’ombra dei fratelli per tutta la vita, era diventato uno scrittore affermato. Lui che si era tenuto sempre lontano dalla luce stava per essere inondato dalla luce dei riflettori, dalla fama, e tutto grazie al suo amore per le parole. Era preoccupato a dire il vero; aveva sempre scritto solo per amore, per passione, per devozione verso le parole e il modo in cui lo facevano stare: sarebbe cambiato qualcosa da quel momento in poi? E se fosse successo avrebbe avuto il coraggio di abbandonare la scrittura? Perché scrivere solo per compiacere qualcuno che non fosse la propria fame di esprimersi, avrebbe ucciso completamente la sua anima.
Il cellulare trillò di nuovo e lo distrasse dai propri pensieri, tirandolo via dalle pagine come un elastico; sbuffò e lo prese per leggere un nuovo messaggio incognito di cui non capiva davvero nulla.
 
[Sconosciuto]
Non hai neanche le palle di rispondermi, uh?
 
[Alexander]
Scusami credo tu abbia sbagliato numero.
 
[Sconosciuto]
Oh, adesso vuoi farmi credere che o perso persino la testa? Non posso aver sbagliato numero, questo numero è registrato sul mio telefono sotto il nome ‘Cavoletto di Bruxelles’. Quindi Ragnor, prato del mio sole, smettila di fare l’ipocrita E DIMMI COME È ANDATA IERI.
 
Ale scosse la testa infastidito e fu tentato di scrivere più volte un paio di insulti prima di bloccare il numero, ma c’era qualcosa nella foto di profilo Whatsapp di quell’uomo che lo faceva desistere di continuo.
Cancellò il messaggio circa cinque volte prima di inviare finalmente un:
 
È andata alla grande. Come facevi a sapere del mio appuntamento con la casa editrice?
 
Di cui si pentì subito dopo: stava parlando con uno sconosciuto, come gli veniva di fare una battuta?
Solo perché quello sconosciuto nella foto era altamente attraente e gli ricordava qualcuno…
 
[Sconosciuto]
AH AH quanto sei simpatico, Fagiolino.
[Alexander]
Fagiolino! WoW hai davvero tanta fantasia…
 
[Sconosciuto]
E te ne accorgi solo ora? Ragnor sto davvero per perdere la pazienza, tra dieci minuti sarò sotto casa tua.
 
[Alexander]
Lo vedo un po’ improbabile visto che non conosci il mio indirizzo. Non sono Ragnor, mi dispiace.
 
[Sconosciuto]
Non sei Ragnor….
 
[Alexander]
No. Guarda la mia foto profilo.
 
[Sconosciuto]
Non hai i capelli verdi…?
 
[Alexander]
No. Neri.
 
[Sconosciuto]
Non hai gli occhi verdi…?
 
[Alexander]
No. azzurri.
 
[Sconosciuto]
Credo proprio che tu abbia ragione. Non sei Ragnor.
 
[Alexander]
Grazie per avermi creduto, davvero.
 
[Sconosciuto]
Ma sai cosa, Alexander? Capelli neri e occhi azzurri sono la mia combinazione preferita…
 
[Alexander]
Aspetta un attimo, come sai il mio nome?
 
[Sconosciuto]
Oh, è una lunga storia.
 
*^*^*^*^^*
 
Alec era un tipo difficile così come gli aveva detto Isabelle, effettivamente, eppure Magnus non si era mai arreso, aveva sempre portato avanti il suo piano: conoscerlo davvero.
Sin da quando aveva letto Utopia gli era sembrato di conoscerlo, di ritrovare qualcosa di troppo umano in Ezra, il migliore amico della protagonista, per non capire che fosse davvero umano e Magnus voleva scoprire se il suo pensiero era azzeccato o meno, se Alec era davvero Ezra. Ma c’era qualcosa in più a quella curiosità; ci stava parlando ormai da un mese, era successo tutto con una scusa, la classica ‘Ops ho sbagliato numero’ che gli aveva rivelato solo qualche settimana dopo quando entrambi avevano raggiunto abbastanza confidenza per potersi dire davvero come stavano le cose. E nello stesso momento gli aveva chiesto di uscire.
Alec aveva detto no la prima, la seconda, la terza, la decima volta e lui si era rifugiato tra le braccia di Isabelle che continuava a sentire dalla prima volta che si erano parlati sul sito di incontri, che con molta calma gli aveva confidato che Alec non riusciva a credere di parlare proprio con l’uomo di cui era praticamente platonicamente innamorato da tempo immemore; era come un sogno conoscerlo e temeva che vederlo da vicino, parlargli davvero da vicino, avrebbe potuto distruggere la bolla di perfezione in cui gli sembrava di vivere.
Allora gli aveva fatto capire, una bella notte in cui grazie all’aiuto di Catarina non si era ubriacato, che qualsiasi cosa sarebbe valsa la pena pur di conoscerlo e vederlo dal vivo almeno una volta.
Forse dopo non si sarebbero più parlati, forse sì, non potevano saperlo ma dovevano scoprirlo e prima o poi sarebbe per forza di cosa successo visto che Alec gli aveva venduto i diritti di Utopia – seppur con un contratto molto stretto che lo obbligava a fargli revisionare tutto prima di iniziare le riprese- quindi perché aspettare di vedersi solo per lavoro quando avrebbero potuto farlo prima, come amici?
Ma ovviamente entrambi sapevano che non lo stavano facendo per diventare amici; seppur non lo avesse ancora mai visto dal vivo Magnus provava per Alec una forte attrazione fisica, era il suo prototipo di uomo certo, ma in più aveva quell’aria da intellettuale che lo faceva impazzire ogni volta che vedeva le sue interviste o i suoi interventi in tv – anche se sfortunatamente erano davvero rari. Alec era un tipo dannatamente timido, preferiva stare dietro un desktop a scrivere che avanti alle telecamere -.
Alec, allo stesso modo, era tremendamente attratto da Magnus, da quando aveva visto i suoi primi video – in cui recitava lui stesso- non riusciva a toglierselo dalla testa, lo sognava ogni notte e Da quando lo aveva conosciuto davvero le cose non erano che peggiorate perché oltre alla bellezza e al genio c’era una nuova cosa di lui che stava imparando a conoscere e amare: il suo cuore.
E quindi finalmente dopo giorni di insistenza Alec aveva accettato, si era messo su il migliore maglione che possedesse – quanto meno non era scolorito e bucato – e si era presentato all’appuntamento preso al Daniel’s, uno dei migliori ristoranti di Brooklyn che Magnus amava – e che da quel momento in poi avrebbe amato anche lui -. La cena era finita – a quanto pareva sotto tacito accordo avevano preso solo un primo piatto ed erano scappati via non potendo sopportare il peso enorme del silenzio - E quindi Magnus si ritrovava con i suoi occhi contornati da uno strato di eyeliner glitter ad osservare da circa un’ora Alec seduto sul sedile della propria macchina da un’ora che a stento rispondeva alle sue domande quando gli rivolgeva la parola.
Magnus sospirò sconfitto all’ennesimo monosillabo che aveva ottenuto in risposta e triste pensò che effettivamente forse lo scrittore che tanto amava ultimamente non si sbagliava poi così tanto: l’appuntamento stava andando così male che probabilmente non si sarebbero mai più rivisti se non per lavoro e la cosa gli dispiaceva incredibilmente; i loro messaggi erano sciolti – quelli di Alec erano migliorati con il tempo, certo- ironici, simpatici, aperti. Magnus era arrivato a conoscere molto il ragazzo che aveva avanti grazie a quelle parole eppure in quel momento gli sembrava di avere uno sconosciuto seduto avanti: aveva solo il viso di Alec, ma il suo cervello? Il suo intelletto? Non era Ezra, era solo un contenitore vuoto. Iniziava persino a dubitare che fosse davvero lui l’autore di Utopia.
“Okay” finalmente occhi blu si decise a parlare e Magnus quasi non ebbe un infarto quando alzò gli occhi dal cruscotto che stava iniziando finalmente a diventare interessante in quello blu e vivo del ragazzo.
“Non volevo vederti perché mi conosco. Perché so che sono bravo a scrivere le parole ma non a dirle” come inizio non andava poi così male. Sempre meglio dei monosillabi che aveva usato fino a quel momento.
“Ma Magnus capiscimi! Avanti ho l’uomo dei miei sogni e detto francamente non immaginavo di poter essere mai convolto in qualsiasi modo da un altro essere umano, c’è stato un periodo al liceo in cui mi sono autoconvinto di essere asessuale pur di non ammettere quello che ero. Poi ho trovato il suo primo corto su youtube e recitavi, interpretavi un ragazzo bisessuale, l’inizio di Harry, e mi sono innamorato di te. Da allora sei stato il mio mito. Poi un bel giorno mia sorella mi dice di aver trovato Magnus Bane su un sito di incontri e il giorno dopo mi messaggi e poi mi chiami e poi iniziamo a parlare e mi piaci anche se non ti credo per nulla quando mi dici il tuo nome. Poi decidi di fare una videochiamata e ti conosco abbastanza bene da capire che sei tu e diamine sto davvero parlando con l’uomo dei miei sogni. Poi parliamo, parliamo, diventiamo amici intimi direi e capisco che non immaginavo di poter essere coinvolto da un essere umano da piccolo, poi ho iniziato a non immaginare di poter essere coinvolto da qualcuno che non fossi tu e poi quando ti ho conosciuto ho iniziato a non immaginare di poter essere coinvolto da te più di quanto mi avessi coinvolto fino a quel momento, e invece….”.
E invece Magnus era rimasto senza fiato ad ascoltare le sue parole e poi si era fiondato sulle sue labbra: improvvisamente l’appuntamento sembrava iniziare ad andare nella giusta direzione e tutto stava diventando meraviglioso e le labbra di Alec erano quanto di più dolce avesse mai assaggiato in vita propria.
Alec fu piacevolmente colpito dalle labbra di Magnus che quasi con violenza si poggiarono sulle sue, talmente tanto da non sapere neanche cosa fare, quindi così come aveva visto fare tante volte nelle scene dirette da Magnus, gli poggiò una mano sulla guancia e aspettò che fosse lui ad avvicinarsi talmente tanto da essere quasi capace di fondere i loro corpi, a far entrare la lingua nella sua bocca e fargli assaporare il migliore primo bacio della storia: a quante persone, in fondo, capita di dare il primo bacio all’uomo dei propri sogni?
Magnus si ritrasse leggermente, un piccolo sorriso sulle labbra, gli occhi fissi in quelli di Alec con le guance rosse e le labbra lucide “Io- mi- era… spero di migliorare. Questo è stato il mio primo bacio. Fantastico, epico, da sogno ma pur sempre il mio primo bacio…” Magnus rise e si sporse di nuovo sulle sue labbra per baciarlo; Alec aprì leggermente le labbra per fare nuovamente spazio alla sua lingua ma il regista se ne allontanò sorridendo “Ti va di salire da me o vuoi che ti riaccompagni a casa?” Alec non sembrò rifletterci su per nulla, anzi. Mise una mano sulla portiera quasi volesse aprirla e poi si girò per sorridergli “Mi va” disse.
Non seppero neanche loro come due minuti dopo si fossero ritrovati fuori la porta del suo loft avvinghiati, le mani di Alec strette dietro la sua nuca, la sua lingua nella bocca, il corpo completamente pressato contro il suo e il cervello perso nella nebbiolina dell’amore: forse, Magnus, avrebbe iniziato a credere nei colpi di fulmine. Si allontanò leggermente e  le labbra di Alec subito sembrarono trovare un sostituto alle sue: non si fecero scrupoli a poggiarsi sul collo e lasciarci piccole dolci scie di baci “Alexander” sussurrò o forse gemette Magnus, eppure lui non si mosse di un passo “Ho un divano dentro e anche un letto o qualsiasi cosa tu voglia” Alec rise, sentì il suo corpo tremare divertito contro il proprio quindi lo prese come un ‘sì’ e si girò, frugando nelle tasche alla ricerca della chiave ma trovarla mentre Alec continuava a lasciare piccoli baci sul suo collo, pressato dietro la propria schiena non era la cosa più facile del mondo.
Le trovò e sentì quasi un canto angelico nelle orecchie o forse era il corpo di Alec completamente attaccato al suo: poteva quasi sentire qualche oscura presenza contro la propria gamba; provò persino a non pensarci ma le sue mani iniziarono a tremare quando le mani di Alec si infilarono sotto la sua camicia e quindi le chiavi caddero rovinosamente a terra. La scelta era ardua: continuare a farsi torturare fuori la porta di casa, entrare dentro e sbattere Alec sul divano per torturarlo a sua volta.
“Alexander” la sua voce sembrò quasi più dura, tanto quanto la presa sul maglione di Alec, in cui dovette metterci tutta la propria forza, per tenerlo lontano. Prese la chiave caduta, la inserì nella toppa e aprì la porta, finalmente. Quella sì che era stata un’impresa titanica. Magnus entrò dentro e Alec si fermò sulla soglia, guardandosi attorno “Forse dovrei tornare a casa…” Magnus rise scuotendo la testa “Oh no, mio caro, ora è troppo tardi” gli afferrò il maglione e lo tirò dentro casa, per poi farlo adagiare sul divano, poggiarsi su di lui e proseguire l’intesa prima sessioni di baci che avevano iniziato prematuramente fuori il ballatoio.
Oh quello sì che si sarebbe potuto definire uno dei migliori primi appuntamenti di tutta la storia dei primi appuntamenti.
 
*^*^*^*^*^*
 
Sei mesi dopo le cose sembravano andare a gonfie vele: Magnus era l’uomo dei sogni di Alec e Alec era l’uomo dei sogni di Magnus eppure Magnus si sentiva così vuoto e oscuro, dentro.
Si stava innamorando di Alec, forse era già innamorato di Alec – era iniziato tutto quella sera del primo appuntamento. Era stato un colpo di fulmine, sì, doveva ammetterlo. Come camminare sotto una finestra e ricevere una forte botta in testa per poi scoprire che il vaso che ti è arrivato in testa l’ha buttato la persona più bella al mondo che ti sorride dalla finestra un attimo prima che tu svenga – e forse persino Alec era già innamorato di lui, ma il problema non era tanto quello. Il problema era la sessualità di Alec. Dietro le tende Alec era l’essere migliore sulla faccia della terra, eppure fuori, quando si vedevano per strada o uscivano in luoghi pubblici faceva d tutto per comportarsi come se fossero solo due amici. Magnus glielo aveva fatto notare dunque lui aveva trovato una soluzione: evitare di uscire.
La loro era una relazione seria, certo, ma una relazione nascosta.
E Magnus ormai era un adulto, era troppo grande per accettare quel tipo di compromesso, sebbene forse il gioco valesse la candela. Doveva scegliere tra Alec e i suoi principi; non aveva mai faticato troppo a mettere i suoi principi da parte, quando necessario, ma quello era troppo da chiedere.
Lo scrittore si muoveva lentamente sul suo corpo, le gambe ai lati del suo bacino, le mani nei suoi capelli, continuava a baciargli il collo quasi volesse fargli scordare persino il suo nome e forse ci sarebbe riuscito in una situazione particolare ma in quel momento proprio non ne era in grado.
“Alexander” gemette Magnus per poi spingerlo delicatamente via “Non mi va” sbuffò.
Non avevano ancora fatto l’amore, non andavano contro i preliminari; una volta erano finiti per caso mezzi nudi sul suo letto e Alec sembrava volesse continuare ma alla domanda ‘ne sei certo’ aveva annuito in modo poco convinto, quasi non sapesse davvero cosa stava per fare, quindi Magnus lo aveva baciato, si era sdraiato e se lo era tirato tra le braccia cullandolo per farlo addormentare: quella sera non sarebbe finita in quel modo. Anche se litigare l’ultima sera prima che Alec partisse per Londra per pubblicizzare Utopia non era proprio il modo migliore per un’ultima sera assieme prima di non vedersi per parecchio tempo.
Il problema era: Alec voleva davvero vederlo una volta tornato da Londra? Vederlo ed iniziarci una relazione assieme o voleva semplicemente qualcuno con cui affrontare le sue prime esperienze?
Perché in quel caso era certo quasi al novantanove percento che quella sarebbe stata la loro ultima sera in eterno.
Occhi blu si sedette sul divano senza farselo ripetere due volte: i capelli scompigliati a dargli un’aria ancora più adorabile, le labbra lucide e le guance rosse. Oh quel ragazzo sarebbe stata la sua rovina.
“C’è qualcosa che non va?” chiese tirandosi e ginocchia al petto; quasi riusciva a vedere quanto volesse rinchiudersi in sé stesso per l’imbarazzo.
“Sì. Noi”  alzò un sopracciglio e lo guardò quasi a bocca aperta “Noi?” chiese, il terrore negli occhi.
“Sì, Alexander. Noi” annuì “Noi. Cosa abbiamo noi che non va?”.
Magnus sbuffò: proprio non riusciva a capirlo, vero?
“Siamo due uomini adulti” iniziò “In una relazione sentimentale. Parliamo, ci baciamo, forse ci amiamo anche, eppure non usciamo mai da casa mia. Ti sembra normale?” Alec scosse la testa “Io… sei la mia prima relazione, Magnus. Sapevi sarebbe stato difficile” il regista scosse la testa.
“Alt. Difficile. Questo non è difficile è inutile. È inutile andare avanti e far finta di costruire qualcosa se tu non sei disposto a farlo. Io non voglio avere uno scopamico. Ne ho avuti tanti in passato ed è passato quel periodo per me. Forse per te no, ma per me sì. E dopo Camille. Alexander dopo la mia ultima storia non sono pronto a soffrire. Ti ho aperto il mio cuore era da cinque anni che non lo facevo con qualcuno…”.
Alec scosse la testa “Stai cercando di dirmi qualcosa come ‘ti lascio perché ti amo troppo’ oppure ‘non sei tu, sono io il problema?’ Magnus scosse la testa “No perché il problema non sono io. Il problema è il fatto che tu non vuoi quello che voglio io”. Alec si prese un minuto per cercare di capire cosa stesse succedendo davvero: Magnus stava per lasciarlo? Lui non era per nulla pronto. “E cosa vuoi?” chiese.
“Una vera relazione…” Alec rise “E cosa credi che stia provando a fare?” quella volta rise Magnus “Credo che tu sia cercando di capire quale sia la tua giusta direzione ma nel farlo ti stai nascondendo per l’ennesima volta. Come facevi al liceo. Cerchi di nasconderti dalla luce, di stare nell’ombra ma io non voglio l’ombra”. Alec si alzò dal divano, uno sguardo ferito negli occhi “Tu. Tu. Stai mettendo solo te al primo posto, e io che fine faccio? Io dovrei fare esclusivamente quello che tu vuoi? Non pensi al fatto che forse uscire da queste quattro pareti ed essere paparazzato con te e sentirmi etichettato come ‘Il nuovo scrittore gay forse ha scritto davvero di sé stesso parlando di Ezra’. Io non voglio essere etichettato come Alec la femminuccia. Ne ho avuto paura per tutta la vita e quando me lo ha detto mio padre, quando lui mi ha chiamato in quel modo ho deciso che non lo avrei più permesso a nessuno”.
Magnus sbuffò e si alzò dal divano, prendendo il suo viso tra le mani “Alexander ucciderei chiunque ti facesse del male ma ti prego non essere tu quello che si fa del male da solo. Non farlo” Alec scosse la testa “Quello che hai detto era un ‘scegli tra me e te stesso’? Perché ho deciso che da ora in poi avrei sempre e solo scelto me…” Magnus deglutì “Era un scegli tra la nostra relazione e i tuoi segreti perché anche io ho deciso che avrei sempre e solo scelto me stesso” Alec annuì “Questo sono io. Prendere o lasciare” sussurrò.
Magnus lo guardò negli occhi: blu nel verde e sentì qualcosa rompersi nel suo petto. Forse era il suo cuore.
Lentamente fece scivolare giù le mani dal viso di Alec e gli sorrise amaramente.
“Buon viaggio, per domani. Spero che il futuro ti riservi solo cose belle, le meriti” e che quello fosse un addio o meno, fu una delle cose più difficili che avesse mai detto in vita sua.
 
*^*^*^*^*
 
“Andiamo a casa?” la voce di Jace risuonò nell’abitacolo della macchina e Alec ci pensò su un attimo prima di dire “Da Magnus” perché in fondo negli ultimi sei mesi quella era stata più casa di qualsiasi altro posto prima in vita sua.
Non lo sentiva né vedeva da due settimane: esattamente le due settimane in cui era stato a Londra.
Eppure tutto quello che voleva fare in quel momento era ritornare da lui.
Non si erano lasciati bene e Alec ammetteva che fosse per lo più solo colpa sua. Aveva accettato la sua omosessualità, certo, ma ne era dannatamente spaventato, al punto da preferire richiudersi dietro una barriera di menzogne piuttosto che accettare anche la sua relazione, ma quel viaggio e la separazione da quell’uomo gli aveva fatto capire quanto avesse in realtà bisogno di lui, quanto la sua vita fosse vuota senza di lui.
Preferiva Magnus, diecimila volte Magnus e qualsiasi insulto ne sarebbe risultato, piuttosto che restare solo ancora una notte. Aveva bisogno di Magnus.
Aveva un disperato bisogno di Magnus e una disperata paura di averlo perso per sempre mentre bussava violentemente alla sua porta prima che qualcuno la aprisse: l’uomo di cui si era follemente innamorato.
Alec non gli diede il tempo di dire nulla, a dire il vero; si fiondò tra le sue braccia, sussurrando un “forse potremmo trovare un compromesso e sceglierci a vicenda?” prima di baciarlo come sognava di fare dalla sera in cui con le spalle e la testa bassa, era andato via.
Magnus ricambiò il bacio fino a quando ebbe abbastanza aria nei polmoni prima di allontanarlo leggermente.
“Ho bisogno di sapere che ti avrò davvero, questa volta” gli disse e Alec annuì “Usciamo ora e te ne darò una dimostrazione” Magnus rise leggermente “Ora? Non abbiamo nulla di meglio da fare ora?” e anche quella volta Alec annuì. Avevano molto di meglio da fare. Lo spinse in camera da letto, lo baciò con tutto quello che aveva cercando di fargli capire che da quel momento in poi avrebbe dato qualsiasi cosa pur di stare al suo fianco, che si sarebbe annullato per lui se glielo avesse chiesto. Magnus non si tirò indietro dal donargli tutta la sua anima, il suo corpo, il suo cuore, la sua vita.
Non seppero esattamente in quale momento si ritrovarono nudi uno sopra l’altro ma successe: erano nudi, completamente nudi, e la loro mente lo stava registrando solo in quel momento, quando entrambi si guardarono negli occhi e si sorrisero. “Alec non dob-” tentò di dire il regista ma l’altro lo stava nuovamente baciando “Lo voglio” disse con voce roca “Ti voglio, ti prego” Magnus rise: davvero lo stava pregando di fare quello che desiderava dal primo momento che i loro corpi si erano scontrati? “Sei sicuro?” Alec si mosse leggermente, ritrovandosi sotto di lui, spinse la sua testa contro la propria e lo guardò negli occhi “Più di quanto lo sia mai stato in vita mia” gli sorrise “Ti amo” disse senza pensarci, e così come le mani di Magnus sul suo viso, anche i loro cuori si fermarono per qualche momento. “Davvero?” chiese incredulo il più grande, gli occhi lucidi e un grosso sorriso sulle labbra, come se quella fosse stata la prima volta in qui aveva sentito quelle famosissime cinque letterine. “Davvero” rispose Alec abbracciandolo.
“Bene” Magnus gli diede un bacio sulla fronte “Perché anche io ti amo”.
E quello che successe dopo fu un intrico di pelle, unghie, capelli, gambe, baci, ansimi, sudore e amore: la cosa più forte, esplosiva e bella che Alec avesse mai provato in vita sua.
Quello voleva dire vivere davvero: amare profondamente ed essere amati profondamente.
 
*^*^*^*^*
 
Quello era un sogno?
Alec era lì, fermo sotto un arco di fiori bianchi e blu di cui Isabelle gli aveva detto anche il nome tempo prima – ma di cui a dire il vero non gli fregava per nulla – e guardava dritto avanti ai suoi occhi la figura snella e meravigliosa di Magnus che avvolto in un completo stretto blu ed oro si avvicinava a lui, un sorriso sulle labbra, gli occhi lucidi.
Se qualcuno gli avesse detto, in passato, che si sarebbe sposato con il suo idolo sicuramente sarebbe scoppiato a ridergli in faccia e gli avrebbe detto di cercarsi un buon medico. Eppure, stava accadendo.
Magnus aveva il cuore che gli batteva forte nel petto, ogni passo che muoveva verso l’altare era un nuovo passo verso l’uomo della sua vita. Se qualcuno gli avesse detto, anche solo pochi anni prima, che si sarebbe sposato – due volte – con un uomo che amava profondamente, non ci avrebbe creduto per nulla.
Vedeva più facile vincere un Oscar che sposarsi.
E invece si stava avvicinando ad Alec pronto a sposarlo per la seconda volta e quella volta per davvero, non solo con dei simbolici tatuaggi fatti su una spiaggia alle Maldive. Quella volta era vera e sarebbe durata in eterno.
Il percorso dall’entrata all’altare, a Central Park, fu la cosa più lunga e dolorosa di tutta la sua vita a finalmente arrivò da Alec e senza che l’uomo con un completo nulla dicesse nulla si sporse verso occhi blu, lo tirò verso di sé e lo baciò, sorridendo contro le sue labbra.
Sentì un fischio –Jace, probabilmente- ed un “Ehi, vomito” di Raphael, dunque si allontanò divertito; il parroco alzò un sopracciglio “procediamo?” chiese e Magnus annuì: non poteva aspettare altro tempo prima di sentire quelle parole, quel fatidico “Se è vostra intenzione di unirvi in Matrimonio, datevi la mano destra
ed esprimete davanti a Dio e alla sua Chiesa il vostro consenso” quasi con forza prese la mano destra di Alec facendo ridere tutti i presenti, persino il parroco ed Alec che si morse il labbro inferiore per non scoppiare a ridere o piangere o entrambe le cose. “Dunque, Magnus Bane, vuoi…” Magnus lo interruppe, il sorriso sulle labbra “Io, Magnus Bane accolgo te, Alec Lightwood, come mio sposo. Prometto di esserti fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, e di amarti e onorarti tutti i giorni della mia vita.” Aveva un sorriso sulle labbra grande quanto il mondo intero. Catarina con gli occhi lucidi lo guardava da lontano, tenendo il labbro tra i denti e contorcendo il viso in un’espressione buffa per non piangere; Isabelle, invece, così come Clary, dovette velocemente asciugare una lacrima solitaria prima che Alec, con voce tremante si affrettasse a pronunciare a sua volta i voti. Dunque l’uomo sorrise a Magnus “Alec, vuoi accogliere Magnus come tuo sposo, promettendo di essergli fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia,
e di amarlo e onorarlo tutti i giorni della tua vita?” Alec allontanò lo sguardo dal parroco per guardare Magnus e scuotere leggermente la testa, facendogli quasi venire un infarto, per poi scoppiare a ridere e annuire “Diamine se non lo voglio” disse, tra le lacrime e prima ancora che chiunque potesse dire nulla Magnus prese l’anello dalle mani del parroco per baciarlo e metterlo all’anulare destro di Alec dopo averlo baciato e così fece anche Alec. Non riuscivano ad aspettare neanche un minuto di più, tanto che subito dopo gli anelli fu Alec a gettarsi tra le braccia di Magnus, le mani strette dietro al collo, le guance rigate di lacrime, i risolini divertiti di tutti e uno sbuffo spazientito del parroco che alzò gli occhi al cielo “E va bene, Vi dichiaro sposati, che l’amore possa sempre assistervi” disse, ma in realtà né Alec né Magnus lo stavano ascoltando, però sentirono il boato che esplose dalla folla quando Isabelle si alzò in piedi assieme a Simon che urlava a squarciagola, Jace decise assieme a Raphael di seguirlo in quella folle pazzia, Catarina batteva le mani avvicinandosi a Clary e Ragnor si asciugava di nascoso una piccola lacrimuccia.
Se qualcuno gli avesse detto che un giorno entrambi avrebbero trovato qualcuno di cui fidarsi talmente tanto ciecamente da regalargli il proprio cuore nessuno ci avrebbe creduto e invece era successo.
 
“Finché morte non ci separi, ci eravamo giurati” sussurrò Magnus guardando dritto negli occhi Alec
“E nonostante tutto non esiste nulla al mondo che io voglia fare di più che restare al fianco di mio marito per sempre”.

 

Spazio autrice.
Okay, era da una vita che volevo scrivere una Text!Malec da come si intravede in questo capitolo :')
(finalmente ci sono riuscita ma torniamo a LIM:) mi sembrava giusto e doveroso far ricordare ad Alec gran parte dei suoi ricordi e quale modo migliore se non farlo beando anche noi di questa piccola grande storia d'amore?
Ho scritto questo capitolo più di un anno fa e da allora non l'ho mai riletto, ma se c'è una cosa che ricordo quella è: che è stato il più bello da scrivere, a parte l'ultimo capitolo e l'epilogo, che a proposito, stanno arrivando!
Nada, fatemi sapere cosa ne sapete di questi ricordi. Forse Alec si è ritrovato, no?

Stewyt~

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** If you know who you love, you know who you are, because all the stories are true, love too. ***


If you know who you love, you know who you are, because all the stories are true, love too.
 
E anche Natale era arrivato; strano ma vero il tempo era volato.
Il tempo continuava a volare e scorrere velocemente, guardando tutti dall’altro con un sorriso di scherno e tutti quelli che sono giù non fanno altro che provare a scappargli o peggio ancora a credere di essere in grado di poterlo gestire quando si sa, il tempo è un’entità superiore, non può essere gestito.
Non da dei comuni mortali.
Magnus guardò Alec, che gli era seduto di fronte, attraverso il suo bicchiere di cristallo quasi vuoto e pensò che come il tempo anche la memoria non può essere gestita: ci si illude di avere delle possibilità, si pretende di poter trattare tutto quello che circonda l’essere umano che se fosse semplicemente messo lì per essere usato a suo piacimento, eppure la memoria non può essere usata, è lì, e quando vuole può andare via così come il tempo, così come la felicità, così come la fiducia, così come l’amore.
E allora come faceva ad amare ancora Alec anche se Alec non era più quello stesso di prima?
“Allora, Mag, che ne dici di questo tacchino?” il regista alzò gli occhi dal piatto ancora pieno avanti ai propri occhi e sorrise ad Isabelle “Non ho cucinato io” disse lei alzando le mani come per difendersi “Quindi se ti fa schifo è unicamente colpa di Catarina” la ragazza dai capelli azzurri alzò un bicchiere “Che ci ha messo tutto il proprio cuore” rise “Se solo servisse il cuore per cucinare bene, Cat” sbuffò Raphael prendendo, però un nuovo boccone di tacchino e quella salsetta strana al lato. “A proposito, è sempre più buona questa salsetta” si leccò le labbra e Clary battette le mani soddisfatta prima di dare una pacca dietro la testa a Jace “Vedi? C’è qualcuno che apprezza la mia salsa” gli fece una linguaccia e Jace ridendo si sporse per darle un bacio sulla guancia.
Simon era lì, , intento in una conversazione con Ragnor ed ad osservare loro due: quasi poteva sentire la potenza dei loro quattro occhi – sei, considerati gli occhiali di Simon, sul ciuffo che poteva giurarci, stava calando sempre più in basso proprio come la sua voglia di festeggiare.
Sembrava tutto uguale ad ogni altro Natale: le loro famiglie unite, le persone che amavano al proprio fianco, il tacchino fumante di Catarina, il brodo speciale di Ragnor, la salsa dai colori accesi di Clary, l’enormità di cibo comprata da Simon e Izzy – dal momento che tutti negavano ad Izzy la possibilità di cucinare- gli scintillanti bicchieri di cristallo di Magnus, le bottiglie di vino pregiato quasi vuote, i sorrisi di tutti.
Eppure, nonostante tutto sembrasse così uguale, non sarebbe potuto essere più diverso.
Isabelle aveva insistito affinché si festeggiasse come ogni altro anno ma nulla era più come ogni altro anno perché Alec ancora non lo ricordava, o così diceva, perché loro ancora non si parlavano – l’ultima volta che si erano visti Magnus aveva raccontato ad Alec tutta la loro storia e subito dopo Alec gli aveva chiesto di lasciarlo solo, poi non si erano più cercati a vicenda – perché forse tra i due, quell’anno, c’era solo Magnus a provare qualcosa.
Alec prese un sorso di vino e sorrise distrattamente a qualcosa che diceva Clary alzandosi per iniziare a togliere i piatti vuoti da tavola, seguita poi da tutti gli altri tranne loro due; Alec iniziò ad allontanare quanto più possibile lo sguardo, Magnus per evitare che si scontrassero anche solo per caso prese il cellulare e iniziò a far finta di avere qualcosa da fare, e invece guardava solo le loro vecchie foto.
Una foto di famiglia: tutti vestiti da pesanti maglioni con renne e campanellini che aveva regalato Simon per l’occasione, seduti sull’enorme divano – per l’occasione – rivestito di oro e rosso di casa loro. Tutti con un gran sorriso tra le labbra tranne lui ed Alec intenti a baciarsi appassionatamente e Jace intento a dirgli qualcosa come, lo ricordava ancora, “Prendetevi una stanza”.
Girò foto ed ecco una copia di quello che aveva visto prima: di nuovo lui ed Alec si baciavano; quella volta però Alec aveva in testa un cappellino da Babbo Natale e lui uno verde con le orecchie a punta.
Il ritorno di Jace con le braccia piene di pacchi regalo e degli altri che invece portavano dolci e liquori, gli fece distogliere lo sguardo dal cellulare e gli fece notare che Alec lo stava fissando con i suoi enormi occhi blu ed un piccolo sorrisino malinconico all’angolo delle labbra. Neanche avesse paura ad avvicinarglisi.
Cosa poteva mai fargli, lui? Ripetergli per l’ennesima volta che lo amava? Chiedergli per l’ennesima volta di perdonarlo per non avergli detto nulla del loro passato?
Capiva quanto Alec potesse essere arrabbiato con lui, anche lui gli aveva mentito in passato e proprio per quello si erano lasciati per sei mesi – i peggiori e più interminabili sei mesi della sua vita- li ricordava come un inferno, poi però Alec si era calato in quell’inferno orribile ed era andato lì a salvarlo.
Lo avrebbe fatto anche quella volta?
“Bene, bene, bene è arrivato il momento dei regali” Jace batteva le mani felice come un bambino, Simon invece si stava abboffando di dolci e Alec era ancora lì a guardarlo: quella situazione si stava facendo imbarazzante.
Qualcuno comparve alle sue spalle ed iniziò a massaggiarlo, capì che si trattasse di Catarina prima ancora che questa si abbassasse e gli sussurrasse all’orecchio qualcosa come “Avrei voluto regalarti la felicità”; sorrise scuotendo la testa – in parte felice di essere arrivato al momento dei regali per poter finalmente scappare via, in parte felice di poter parlare con lei magari in privato e non poter guardare Alec negli occhi – “Cat” si alzò e le circondò le spalle con le braccia “Non sarò felice, okay, ma ho comunque la famiglia migliore al mondo” le diede un bacio sulla guancia “Grazie per esserci sempre stata. Non pensare che il mio muso lungo possa avere qualcosa a che fare con voi. Vi ringrazio e vi amo, senza te, Raphael e Ragnor non so dove sarei ora, davvero”.
Catarina, non abituata a sentirsi dire quelle cose dolci, quasi non si commosse, quindi per evitare di farlo alzò la voce e chiamò gli altri due amici nel terzetto “Questo bastardo ha appena messo di non poter vivere senza di noi” rise al che Magnus ridendo a sua volta puntualizzò che non sapeva dove sarebbe stato, che era ben diverso, beccandosi una pacca nello stomaco da Ragnor e un pugno sulla spalla da Raphael.
Ecco, prima era tutto così perfetto e sebbene lo avesse sempre apprezzato solo ora se ne rendeva davvero conto.
“I nostri regali?” chiese Raphael.
“E i miei?” rispose Magnus ridendo “Catarina ti ha ospitato tutto questo tempo, io ti ho ospitato quindi giorni e Ragnor ti porta da bere, questi sono stati i nostri regali” Magnus gli diede una spinta ridendo “sei uno spilorcio schifoso” lui rise “Okay vi ho preso dei regali, lo ammetto. Quello di Catarina è il migliore. Sono di sopra” indicò le scale e quando Ragnor lo spinse ridendo decise di avviarsi a prenderli, prima però diede uno sguardo a quello che stava avvenendo dietro le sue spalle. Da piccolo non aveva mai vissuto tutto quello, non aveva mai visto un Natale felice come quello, non aveva mai avuto una famiglia e vedere quel quadretto felice con Simon che baciava Isabelle sulle labbra, Clary che poggiava un cappellino sulla testa di Jace e Alec che guardava una foto presa da un pacchetto con un sorriso sulle labbra, gli scaldava incredibilmente il cuore.
Quella, dopotutto, nonostante il suo matrimonio con Alec fosse finito, era ancora la sua famiglia.
Salì velocemente, in parte per nascondere le lacrime che gli stavano rigando le guance, e si chiuse la porta alle spalle accasciandosi al muro per piangere l’ennesima volta.
Non riusciva più a riconoscersi: così come il tempo e la memoria anche lui stesso non era più di sua proprietà e non sapeva più dove riuscire a trovarsi per ritornare ad essere sé stesso.
Da giovane gli avevano spezzato il cuore tante volte e tante volte lui si era rialzato e aveva guarito da solo il suo cuore dicendosi che non aveva bisogno di nessuno per amarsi, che si bastava da solo.
Era successo anche con Camille, anche quando pensava che non sarebbe mai più stato in grado di amare qualcuno. Poi era arrivato Alec e tutto quello in cui aveva fermamente creduto si era dissolto nel nulla: aveva troppo da dare per tenerselo dentro e allo stesso tempo dentro era troppo vuoto per poter continuare in quel modo senza qualcuno, senza Alec. Era stato bellissimo, con lui aveva finalmente capito cosa volesse dire amare davvero, aveva capito cosa volesse dire sentirsi pieno, soddisfatto, felice.
Ma poi come un sogno tutto si era distrutto e lui era nuovamente lì, a terra, a piangere lacrime amare; con l’unica volta che quella volta non si sarebbe potuto aggiustare. Il suo cuore era distrutto in mille pezzi troppo piccoli da rimettere assieme e comunque l’unica colla in gradi di riuscirci sarebbe potuto essere il suo Alec e Alec purtroppo non era più suo. Eppure doveva rialzarsi in qualche modo e continuare ad andare avanti perché fossilizzarsi non lo avrebbe portato da nessuna parte.
Sentì la porta chiudersi – e non si era neanche accorto che si fosse aperta- e quando notò che le scarpe sul pavimento non erano quelle di Catarina si affrettò ad asciugarsi gli occhi ed alzarli verso la figura che si stagliava incerta avanti ai suoi piedi: Alexander.
Alec con un maglione blu troppo grande, dei pantaloni grigi troppo scoloriti e i capelli neri troppo disordinati eppure bello come un angelo sceso dal paradiso per punirlo.
“Scusa” disse sedendosi sul letto di fronte a lui “Per aver fatto irruzione, intendo. È che non ti vedevamo scendere e ci siamo preoccupati” Magnus annuì cercando di sorridere ma non ne era in grado; non era neanche più in grado di pensare ad un Alec preoccupato per lui. Provò a guardarlo negli occhi e non ci vide nulla dentro: non riusciva a leggerli. Non riusciva a capire se in quegli occhi c’era ancora amore per lui o se tutto fosse finito, se non fosse valsa la pena di riprovarci.
“Ero venuto a prendere i regali” rispose con la voce roca di chi aveva appena pianto ma cercava di nasconderla “Puoi ritornare giù e tranquillizzare gli altri” provava ad essere freddo così come Alec era freddo con lui, eppure dentro aveva un fuoco che non vedeva l’ora di divamparlo ed inglobarlo tutto.
Alec fece per alzarsi, si passò le mani sudate sui pantaloni e poi si sedette nuovamente, quindi fu Magnus ad alzarsi ed attraversare la stanza per prendere una busta piena di pacchetti e metterla accanto alla porta.
Aveva voglia di stare ancora da solo ma sapeva che non ci sarebbe riuscito fino a quando Alec non lo avrebbe deciso.
“Non ti ho fatto un regalo” disse Magnus, mentendo; il loro regalo gli era arrivato qualche giorno prima ma non gli sembrava il caso darglielo. Era un regalo troppo importante da dare a qualcuno con cui non condividi più nulla, neanche i ricordi.
“Bene. Sarebbe stato imbarazzante perché neanche io ti ho preso nulla. Non avrei saputo cosa…”
“Lo so” rispose Magnus sbuffando amareggiato “Non mi conosci al punto da potermi fare un regalo” si schiarì la voce “D’altronde se non conosci qualcuno davvero…” “Magnus” Alec provò ad interromperlo e ci riuscì, eppure dopo cadde il silenzio nella camera: c’erano solo lo sguardo falsamente freddo di Magnus – che si era appoggiato alla porta- in quello pensieroso di Alec che sedeva in imbarazzo sul letto di Isabelle e Simon.
“Non ho un regalo per te ma ho una cosa da restituirti” si alzò leggermente mettendo una mano in tasca e poi ne ricacciò fuori una chiave “Ora so la verità. So che eravamo sposati e che quindi sono venuto a vivere da te. Quella è casa tua…” fece per allungargli la chiave ma Magnus non la prese, scuotendo la testa “quella è tanto casa mia quanto casa tua. Non voglio questa chiave” deglutì “Non..”
“Non mi ci sento a mio agio. Non è casa mia e lo sento. Mi sento strano ogni volta che ci rientro, che mi sposto da una camera all’altra…” lo interruppe Alec “È casa tua e manchi anche a Presidente Miao” Magnus sbuffò, chiamandosi per l’ennesima volta ‘stupido’ per aver sperato in un ‘manchi anche a me’ che chiaramente non sarebbe mai arrivato perché non puoi mancare a chi non ti ama.
“Non voglio tornarci neanche io lì” rispose burbero “Ci sono troppi ricordi che vorrei dimenticare” Alec incassò il colpo abbassando lo sguardo verso il basso, Magnus sbuffò “Possiamo fittarla o non so. Decidi tu Alec, davvero. Io devo dare i regali…” fece per andare via ma Alec senza pensarci due volte dal momento che non aveva pensato ad altro nelle ultime due settimane in cui non si erano parlati, si alzò e con forza chiudette la porta alle sue spalle; Magnus tremò, quasi, sentendo il suo corpo così vicino. Poggiò la testa contro il legno bianco e sbuffò “Vuoi dirmi altro?” sussurrò deglutendo un groppo di lacrime.
“Magnus…” Alec si allontanò leggermente, ripristinando il loro spazio personale, e tornò a sedersi sul letto; Magnus si girò e ritornò a guardarlo, una lacrima solitaria sulla guancia, la gola secca e la voglia di urlargli contro anche se in fondo che colpe poteva mai avere quel bellissimo angelo che lo guardava come a dirgli che non era lì per torturarlo ma per mostrargli la strada per il paradiso?
“Non ti ho chiamato dopo aver saputo tutto perché volevo rifletterci su, volevo cercare di capire se era tutto come mi dicevi o provavi a nascondermi qualcosa. Ma d’altronde come avrei potuto capirlo senza ricordare tutto?” rise amaramente e Magnus scosse la testa non riuscendo a capire dove volesse andare a parare.
“Stai per insultarmi ed andare via. Non farlo, ti prego” il regista provò a trattenere un sorrisino sorpreso perché solo il suo Alec avrebbe potuto capirlo.
“Perché non dovrei?” chiese, allora, ritornando subito muto al suo sguardo blu liquido.
“Perché non ho capito nulla. Cioè no. Non ho capito quello che volevo capire ma ho capito che in ogni universo esistono un Magnus ed Alec destinati uno all’altro e che.. e che in un modo o nell’altro si incontreranno sempre perché è il loro destino, mi capisci? In un universo esistono Kevin e Gao, in un altro Harry e Matt ed in uno esistiamo noi che siamo le menti di Kevin, Gao, Harry e Matt. Siamo quelli che li hanno creati, quelli che hanno permesso il loro destino. Eppure li abbiamo creati per un motivo, per l’idea di qualcuno di superiore che non riusciremo mai a capire e comprendere un po’ come il senso della vita e dell’amore, no? Non capiremo mai questo destino, ma ho capito che ogni Magnus ed ogni Alec dell’universo sono destinati altrimenti non si spiegherebbe quello che è successo in questo mondo strano e contorto” Alec, le guance rosse, gli occhi puntati in quelli verdi di Magnus e le mani tremolanti, sembrava non voler sentir nulla quindi Magnus non lo interruppe, eppure avrebbe voluto farlo per dirgli che in quel momento stava per morire. O forse era già morto? Forse quello era il paradiso e Alec ve lo aveva trasportato con le proprie ali?
Perché si sentiva improvvisamente più leggero, svuotato di un peso sullo stomaco che non si era ancora accorto di avere, si sentiva leggero come un palloncino a gas: pronto a volare verso l’infinito e oltre.
Quelle parole erano reali? Alec gli stava davvero dicendo che loro due erano destinati e che quindi voleva ritornare con lui o forse tutto quello non sarebbe arrivato nel punto in cui credeva?
“Mag mi stai ascoltando?” Alec si era alzato ed era di nuovo di fronte a lui, i loro corpi divisi solo da un sottile strato d’aria a cui il regista avrebbe subito voluto mettere fine. Lui annuì, gli occhi verdi puntati nei suoi, le mani strette a pugno nelle tasche dei propri pantaloni gessati.
“Siamo destinati” riprese, allora lui, “Perché altrimenti non si spiegherebbe il fatto che sebbene io non ricordassi chi tu fossi, mi sia innamorato di te non appena mi hai parlato” scosse la testa “Mi sono innamorato di te così come è successo cinque anni fa. È scritto: devo sempre innamorarmi di te e se tu riuscirai sempre a ricambiarmi mi va più che bene a dire il vero” sorrise leggermente “Purchè tu possa essere il mio Magnus, io sarò sempre disposto ad essere il tuo Alec o il tuo Matt o il tuo Kevin. Mi interessa solo essere il tuo” quella volta Magnus fece fatica a non asciugarsi le lacrime che ormai scendevano veloci dai suoi occhi e a quanto pareva anche per Alec era uguale: gli occhi blu erano lucidi e bagnati.
“So che forse tu mi odi perché non sono più quello che hai sposato; sono cambiato, forse, ma tutti cambiamo continuamente. È questo il bello della vita, no? La possibilità di cambiare. Il punto è che forse non ricordo tutto nei minimi particolari: non ricordo di che colore avessi il ciuffo la prima volta che mi hai inviato una tua foto, di che colore avessi le scarpe quando al nostro quarto appuntamento mi hai portato a mangiare in un ristorante indonesiano o di che colore avessi le mutande la nostra prima notte da sposati; forse non ricordo i dettagli, ma chi se ne frega, Magnus? Mi ricordi di te, mi ricordo del nostro amore, mi ricordo di quello che abbiamo dovuto affrontare e mi ricordo che ti amo. In più ora so che ti amerò per sempre, qualsiasi cosa accadrà perché se sono riuscito ad innamorarmi una seconda volta di te ci riuscirò anche una terza e una quarta e una quinta e per sempre” Alec prese un secondo per deglutire e Magnus dovette mordersi il labbro inferiore per non spingersi verso di lui e baciarlo, finalmente, come il suo cervello gli stava dicendo di fare da quando aveva iniziato a parlare. Il problema era che una volta gli aveva promesso che non avrebbe mai più interrotto i suoi discorsi come aveva fatto al loro primo appuntamento e tante altre volte dopo, e lui era uno che non rompeva le promesse.
“Ho quasi finito così non dovrai interrompermi e potrai mantenere la tua promessa” disse Alec quasi come se gli avesse letto la mente e Magnus rise leggermente, annuendo “Tutto questo” Alec deglutì, l’ansia che gli faceva tremare anche la voce “Tutto questo per chiederti, posso essere il tuo… lui?” Magnus scoppiò a ridere, le guance rigate di lacrime abbondanti che gli cadevano oltre il collo e gli inzuppavano la dolcevita grigia, e poi lo abbracciò forte, le mani strette attorno alle spalle di Alec, la testa sulla sua spalla, le lacrime che continuavano a scorrere assieme a quelle di Alec. Quelle, però, a differenza delle lacrime gettate fino a pochi minuti fa, erano di gioia: tutto sembrava essersi risolto.
Si abbracciavano e piangevano e si promettevano di amarsi confortandosi a vicenda: finchè morte non vi separi, avevano giurato, e loro ci credevano in quelle parole. Ci credevano alle promesse.
“Magnus potresti rispondere?” chiese, Alec, allontanandosi leggermente solo per prendergli il viso tra le mani e sorridergli “Perché sai sto per morire d’infarto” Magnus rise scuotendo la testa “Sì” sussurrò con voce roca “Sì. Sì. Sempre sì, Alec. Sei tu il mio lui, il mio Matt, il mio Kevin, il mio Alec, il mio tutto e lo sarai sempre, qualsiasi cosa dovesse succedere. Sei tu la ragione del mio sorriso, Alec. E lo so che questo discorso fa schifo ma lo scrittore tra i due sei tu” rise, e quella volta fu Alec ad interromperlo buttandosi con foga sulle sue labbra. Ecco, le loro labbra che si muovevano dolci e lente le une sopra le altre, le loro mani intrecciate, i cuori che battevano all’unisono: così, doveva essere.
“È stato un discorso fantastico, invece” rise Alec allontanandosi senza più aria nei polmoni; poggiò la testa contro la fronte di Magnus, un sorriso che andava da un orecchio all’altro “E il tuo è stato il regalo più bello al mondo” gli sussurrò il regista, al che Alec scosse la testa “Il regalo…” deglutì “In realtà ho un regalo per te ma è, come dire… riciclato e non è del tutto opera mia. Catarina e Isabelle mi hanno aiutato” Magnus arrossì e sorrise “Ah sì? E se ti dicessi che anche io ho un regalo…” Alec lo strinse ancora di più “Sono curioso, ora” Magnus scosse la testa “Prima il mio” Alec alzò gli occhi al cielo “Okay”.
Si allontanò leggermente e andò verso la propria giacca stesa su una poltroncina, prese una scatolina di velluto nero e si avvicinò a Magnus, inginocchiandosi ai suoi piedi.
“Magnus Bane” Disse, sorridendo tanto da contagiare anche lui, con gli occhi già lucidi “Ci siamo già sposati ben due volte…” con un gesto veloce aprì la scatolina mostrando a Magnus la sua fede lucida “E so che nessun prete ci sposerà di nuovo” rise “Stiamo superando persino Brooke e Ridge di Beautiful” Magnus scoppiò a ridere abbassando una mano sulla guancia di Alec “In effetti..” “Ehi” Alec alzò gli occhi al cielo “La promessa di non interrompermi che fine ha fatto?” Magnus annuì “Giusto. Scusa” gli sorrise e fece gesto di continuare “Dunque” riprese Alec “Non ci sposeremo di nuovo ma le nostre fedi sono state leggermente modificate in modo da non dimenticare mai più quello che questa storia ci ha insegnato: io e te siamo destinati” estrasse l’anello e glielo mostrò, facendogli vedere che oltre alle date dei due matrimoni precedenti prendeva posto una terza data: 25/12/2017 “Vuoi tu Magnus Bane diventare per la terza volta mio marito?” Magnus scoppiò a ridere quando Alec gli infilò l’anello e con forza lo alzò su per baciarlo e stringerlo tra le proprie braccia: se quello era un sogno, non avrebbe mai più voluto svegliarsi.
“Ora il tuo regalo..” Magnus annuì mordendosi il labbro inferiore, preso dall’ansia “Non so se lo ricordi…” Alec annuì come  a chiedergli di proseguire “Prima dell’incidente avevamo intenzione di adottare un bambino” Alec si illuminò come un lumino di Natale e gli strinse forte la mano “Lo ricordo…” Magnus sorrise, l’ansia che gli attanagliava il cuore “Bene perché” si allontanò leggermente per prendere dalla propria borsa una busta di carta e aprila “Perché nostro figlio è pronto per venire a casa se ancora lo vuoi…”.
Alec non disse nulla, ma per l’ennesima volta durante l’ultima mezz’ora gli si buttò al collo e lo strinse, piangendo.
E Magnus prese quella risposta come un sì.
Un felice sì.
 


Spazio autrice.
Strano ma vero anche l'ultimo capitolo è arrivato e io sto piangendo come quando l'ho scritto circa due anni fa; certe cose non cambiano mai!
Ad ogni modo, questo è l'ultimo capitolo MA non è la fine, alla fine arrivno sempre carichi di dolcezza e qui ce ne è ancora poca quindi comprate un po' di insulina per l'epilogo ;)
Btw, spero che il capitolo vi sia piaciuto. 
Lascio i comentini dolci da schifo e i ringraziamenti all'epilogo :3

A presto,
StewyT~

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Cinque anni dopo... ***


Cinque anni dopo….
 

“Lost in Memories è una delle serie più amate al momento…” la donna con la lunga coda di capelli biondi lo guardava sorridendo, nel suo scintillante abito elegante; Alec annuì, guardandosi leggermente a disagio attorno: era circondato da persone urlanti, su un tappeto rosso, con delle scarpe eleganti ai piedi e peggio ancora, un completo blu elegante addosso. Se tempo prima aveva creduto che lavorare con Magnus sarebbe stato un sogno, in quel momento, al lancio del decimo ed ultimo episodio di Lost in memories per cui era stata organizzata una festa in stile hollywoodiano con tanto di possibilità per alcuni fan di vederlo in anteprima e poter parlare con i creatori, si stava rimangiando tutte le proprie parole: quello era un incubo.
Quelle scarpe erano un incubo.
“Ed è tutto merito di Kevin e Godfrey. Loro sono follemente amati e venerati dalla folla. Ci hanno fatto piangere e ridere, ma il più delle volte piangere e soprattutto ci hanno fatto riflettere. La forza di Kevin nel riuscire a recuperare tutto quello che aveva perso ci ha fatti sentire più forti, la tenacia di Gao nel restare sempre al suo fianco ci ha mostrato cosa fosse l’amore vero. Questi due personaggi, Alec, hanno abbattuto tutti i muri di pregiudizi sull’amore e la comunità LGBT ve ne è grata, a te per averli creati e a Magnus Bane per averceli fatti conoscere su scherme. Ve ne siamo grati tutti perché è grazie a loro, anche, che sappiamo che l’amore vero può sempre vincere, anche se non ci crediamo” gli occhi della giornalista, evidentemente grande fan della storia, luccicarono leggermente, così come quelli di Alec.
Sì, negli ultimi cinque anni erano successe tante cose: lui aveva preso ispirazione dal finale della loro storia per dare una degna fine anche ai protagonisti nati dalla sua vera vita, Magnus aveva deciso di crearne una serie tv anche per celebrare tutto quello a cui erano andati in contro, Max aveva avuto un nuovo fratellino di nome Raphael e tanti nuovi cuginetti: una Sophie ed un George da zio Simon e zia Isabelle, una Madzie da zia Catarina e un Jonathan da zia Clary e Jace. Ora le loro feste di Natale non erano più tranquille come una volta, ma erano sicuramente più belle, persino Ragnor e Raphael si erano arresi ai bambini e avevano deciso di adorarli oltremodo. Ora tutto sembrava ancora migliore e meno reale, ma alla fine tutte le storie sono vere.
“Allora” la giornalista lo guardò “Sappiamo che questa storia e i personaggi sono basati sui Malec” sorrise divertita “Ma cosa ci dici in più?” Alec annuì e spostò lo sguardo in cerca di Magnus, sorrise quando lo vide intento ad aggiustare la cravatta al piccolo Raphael – di dieci anni, ormai- che con i suoi splendenti occhi nocciola gli sorrideva e annuiva, con la manina stretta in quella di Max che intanto cercava lui con gli occhi e gli fece un occhiolino quando il blu dei loro occhi si scontrò. Cosa c’era da dire in più?
Che aveva tutto quello che qualsiasi essere umano possa mai desiderare nella vita, che era solo grazie a loro, alla sua famiglia, che sarebbe stato pronto a qualsiasi cosa: a combattere con unghia e denti, a non scappare mai dai guai, ad affrontarli sempre a testa alta, a sorridere alla fine perché grazie a Magnus ce l’avrebbe sempre fatta.
“Che tutte le storie sono vere” sorrise ritornando a guardarla “È solo grazie a Magnus e quello che mi è successo che Kevin e Gao esistono” La donna sorrise.
“E anche se avete sofferto tanto” si schiarì la voce “siamo grati a quello che vi è successo per averci regalato tale ispirazione…” Alec annuì e si morse il labbro inferiore, abbassando lo sguardo sul cartellino con il nome della giornalista “Sai cosa, Clare? Sta per arrivare il nostro terzo figlio, una bambina di nome Cassandra” sorrise, con gli occhi lucidi “E tutto quello che al momento mi sento di dirti è che siamo problemi che vogliono essere risolti, siamo bambini che vogliono essere amati, siamo riflettori in grado di vedere oltre il buio ed illuminare quello che ci circonda, siamo razzi in grado di oltrepassare l’atmosfera, siamo miliardi, sette miliardi e mezzo di bellissimi cuori e che tu ci creda o no, lo siamo grazie all’amore” si girò ancora una volta verso la sua famiglia e la indicò “Non ci credevo da piccolo. Prima di accettare di essere omosessuale ho pensato per tanto tempo che non sarei mai riuscito a trovare la felicità, credevo che non fossi nato per ottenerla perché tanto non nasciamo tutti per lo stesso motivo, no? E invece la felicità e l’amore sono due delle poche cose che ci accomunano tutti. Tutti meritiamo la felicità, tutti meritiamo l’amore”.
Le diede una pacca sulla spalla e le sorrise, poi salutando tutti i fan con una mano si avvicinò a Magnus, gli diede un bacio sulle labbra e gli sorrise felice, sussurrandogli che lo amava, dopodiché prese Max in braccio e strinse la mano di Magnus che non era stretta a quella di Raphael e così tutti e quattro si avviarono verso il teatro dove avrebbero visto assieme a tutti i fan – e all’altra parte della sua famiglia- il dolce epilogo della sua storia, ma non della loro storia perché ne era certo: lui e Magnus ne avrebbero affrontate tante altre, e alla fine sarebbero sempre riusciti a scamparla perché come aveva capito tempo prima, loro due erano destinati. E che si voglia credere o meno nel destino e nell’amore, qualche forza – anche se con un nome diverso- che ci spinge gli uni verso gli altri e nel posto in cui dovremmo essere, deve pur esistere, no?
In fondo, tutte le storie sono vere.


Spazio autrice.
EEEEEEEEEEEEEEEEEEEE CE L'ABBIAMO FATTA!
Vi ho fatto penare un po' /okay forse parecchio/ per avere questo benedetto epilogo ma: here it is!
Okay, mi è appena finita una scaglietta nell'occhio: ho giustamente riletto l'epilogo e mi sono sentita esattamente come la prima volta che l'ho scritto.
Pervasa da un profondo senso di speranza; non sono una molto positiva /lo avete mai notato?/ eppure mentre scrivevo questo epilogo stavo cercando di dirmi: vedi, alla fie nonostante tutto se deve succedere succederà. E forse non siamo tutti destinati alle stesse cose nello stesso modo, nello stesso momento, ma tutti meritiamo indistintamente la felicità. E spero di averne regalato un pezzettino super minuscolo anche a voi che avete letto fino a qui: speriamo sempre, è l'unca cosa che ci resta.

Se c'è un periodo che adoro di questo epilogo è proprio questo: "E tutto quello che al momento mi sento di dirti è che siamo problemi che vogliono essere risolti, siamo bambini che vogliono essere amati, siamo riflettori in grado di vedere oltre il buio ed illuminare quello che ci circonda, siamo razzi in grado di oltrepassare l’atmosfera, siamo miliardi, sette miliardi e mezzo di bellissimi cuori e che tu ci creda o no, lo siamo grazie all’amore" e mi sembra ingiusto prenderne i meriti: è palesemente ispirato/copiato/fate voi da What about us di Pink, se non la conoscete vi prego: ascoltatela!

E nulla, la smetto con questo angolo più lungo dell'epilogo stesso.
Spero che nonostante tutto questa storia vi sia piaciuta e vi abbia trasmesso qualcosa.
Grazie mille sempre a Cassie per aver creato i Malec, ai Malec per essere esistiti e all'amico della Clare /chiunque esso sia e ovunque esso sia / che l'ha ispirata; senza di lui non avrei avuto il mio personaggio preferito di sempre <3
Grazie mille a voi per aver letto anche questo ennesimo sclero.
A presto, spero!

StewyT~
 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3710428