Little red riding hood and the cursed wolf

di Babbo Dark
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I - Prologo ***
Capitolo 2: *** II - Bonjour! ***
Capitolo 3: *** III - La Bestia di Beacon Hills ***
Capitolo 4: *** IV - "Ha la mia parola..." ***
Capitolo 5: *** V - Il piano di Theo ***
Capitolo 6: *** VI - "È inutile..." ***
Capitolo 7: *** VII - Fuga ***
Capitolo 8: *** VIII - Dovere ***
Capitolo 9: *** IX - Oltre le apparenze ***
Capitolo 10: *** X - Libertà ***
Capitolo 11: *** XI - La furia di Theo ***
Capitolo 12: *** XII - Derek e Theo ***
Capitolo 13: *** XIII - L'ultimo petalo ***



Capitolo 1
*** I - Prologo ***


Note: salve lettori! Come anticipato nella storia “Alla ricerca di Ancora” sto sfruttando questa quarantena per scrivere alcune fanfiction e quindi ecco questa storia che, a mio parere, rispecchia adeguatamente il rapporto canonico tra Stiles e Derek; prima di lasciarvi alla lettura vi chiedo di leggere la lista presente, per evitare brutte sorprese.
  1. È un’Omegaverse ma niente calore né sesso (si trova solamente una scena leggermente erotica di Theo ma niente d’eccessivo); Stiles/Omega e Derek/Alpha. Per chi non sapesse cosa sia un’Omegaverse cerchierò di spiegare brevemente di cosa tratta il genere: la società è divisa in Alpha, Beta e Omega; il sesso conta poco o nulla in queste storie in quanto l’attenzione dei personaggi si incentra nello status di un individuo. Gli Omega vanno in calore e in questo periodo vengono morsi al collo dall’Alpha avviene il legame.
  2. Nel testo sono presenti le canzoni tratte dal film del ’91.
  3. Nonostante i fatti canonici siano ambientati in California ho preferito spostare la città in Inghilterra, principalmente a causa dell’assenza di castelli medioevali in cui far ambientare la vicenda.
  4. La storia è ambientata nel 1700, quindi tutto sarà più “rozzo”.
  5. Questo primo capitolo è il prologo, domani aggiornerò con il primo vero capitolo; nonostante la storia sia in corso d’opera (sto scrivendo il nono capitolo) credo che avrò tempo e modo di pubblicare regolarmente ogni sabato.
 
Non credo di aver altro da dire e perciò vi lascio alla lettura e ci vediamo sotto!
 
 
Babbo Dark
 
 
Little Red Riding Hood and the Cursed Wolf
Capitolo I – Prologo
 
 

Tanto tempo fa, in un regno lontano lontano, viveva un giovane principe in un castello splendente; benché avesse tutto quello che poteva desiderare, il ragazzo era viziato egoista e cattivo.
 

Accadde però che una sera d’inverno una vecchia mendicante si presentò alle porte del castello, offrendo una rosa in cambio del riparo dal freddo e dal gelo; il principe, disgustato da quel misero aspetto, rise del dono e la cacciò.
 

La vecchia però lo mise in guardia, dicendogli di non lasciarsi ingannare dalle apparenze perché la vera bellezza si nasconde nel cuore.
 

Il principe la respinse di nuovo e fu allora che la bruttezza della mendicante svanì, lasciando il posto a una bellissima fata; il ragazzo cadde in ginocchio e iniziò a scusarsi ma era troppo tardi perché lei capì che non c’era amore nel suo cuore e per punirlo lo trasformò in un’orrenda bestia, scagliando poi un maleficio su tutto il castello e i suoi abitanti.
 

Vergognandosi del suo misero aspetto, la Bestia si rinchiuse nel castello, con uno specchio magico come unico ponte con il mondo esterno.
 

La rosa offerta dalla fata era veramente una rosa incantata e sarebbe rimasta fiorita finché il principe non avesse compiuto trent’anni; se avesse imparato ad amare, e a farsi amare a sua volta, prima che fosse caduto l’ultimo petalo l’incantesimo si sarebbe spezzato. Altrimenti sarebbe rimasto un mostro per sempre.
 

Passarono gli anni e il principe cadde in preda allo sconforto e perse ogni speranza. Chi avrebbe mai potuto amare una bestia?
 
 
 
Note: eccoci qui! Sì, lo so, è molto ridotto come capitolo ma per esigenze di trama non potevo fare altrimenti; prima di lasciarci, però, devo fare due precisazioni:
  1. Su YouTube ci sono cinque video che parlano dei due film de “La Bella e la Bestia”, mettendo a confronto il Classico Disney con il remake; l’autrice, Flame88Tongue, è molto brava e sviscera in maniera divina tutti gli aspetti del Classico. Vi invito a dargli un’occhiata ma vi avverto, non si parlerà molto bene del remake (link al primo video: https://www.youtube.com/watch?v=3oS8g2HnjKk)
  2. Prima che vengano poste le domande riguardo la servitù, voglio fare un appunto: la Bestia è stata maledetta perché non andava oltre le apparenze, tant’è che si rifiuta di ospitare la fata non per la rosa ma proprio per l’aspetto assunto da quest’ultima; per la servitù, invece, il discorso è un tantino differente: se è vero che il servo deve fare tutto quello che il suo padrone gli ordina, senza farsi scrupoli di alcun genere, allora non è “degno” di essere chiamato umano; motivo per cui, quando la fata scaglia l’incantesimo, i servi vengono trasformati per quello che sono veramente: degli oggetti di servizio. Infine, il castello viene “sporcato” in quanto dimora di una bestia e quindi la bellezza di cui viene intriso svanisce; questo non è stato fatto per far allontanare dei possibili avventori ma perché anche il castello doveva assomigliare a ciò che veramente era, ossia la tana di un mostro.
 


 
Ok, il pippone è finito e noi ci vediamo domani per il prossimo capitolo!
 
 

Babbo Dark

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Capitolo 2
*** II - Bonjour! ***


Note: come promesso ecco a voi il primo vero capitolo di questa storia; dopo le note chilometriche del prologo credo di dover fare un appunto su Theo. Ora, la nostra chimera preferita è uno dei miei villain preferiti ma per questioni di trama sono stato costretto a stronzificarlo ulteriormente, rendendolo più simile a Gaston; più avanti si capirà cosa voglio dire, per il momento vi avviso solamente che il personaggio sarà molto OOC.
Qui sotto, prima dell’inizio del capitolo, ho inserito i vari “partecipanti” della canzone e non credo che ci sia altro da aggiungere, quindi vi saluto e ci vediamo sotto!
 
Babbo Dark
 



 
Paesani
Stiles
Theo
Trio di Omega




 
Little Red Riding Hood and the Cursed Wolf
Capitolo II – Bounjour!
 


 

 
Tutto qui, è un bel paesino…
Ogni dì, qui non cambia mai
È così, che la gente vive, con semplicità…
 



Il Sole si sollevò pigramente dall’orizzonte, illuminando il piccolo villaggio con i suoi tiepidi raggi e svegliando la popolazione da quel sonno ristoratore che li aveva accompagnati per fin troppo ore; stiracchiandosi come un gatto, e sorridendo nell’udire i borbottii di suo padre, un giovane Omega aprì gli occhi e fissò sconsolato il soffitto in legno. Il ragazzo si ritrovò nuovamente a maledire quello stupido paesello rurale, popolato da Alpha villici la cui unica aspirazione nella vita era quella di accoppiarsi il più possibile prima di legarsi a qualche disgraziato e da Beta completamente succubi di quest’ultimi e incapaci di farsi valere. Se poi a tutto ciò si aggiungevano gli Omega, che con i loro comportamenti frivoli e stupidi volevano solamente attirare le attenzioni di qualche Alpha, il quadro era completo; l’Omega sbuffò nuovamente e si alzò dal letto prima di dirigersi verso la cucina, incontrando la figura del padre intenta a riparare nuovamente uno dei cassetti della credenza.
 


«Buongiorno papà…» sbadigliò l’Omega stiracchiandosi nuovamente e baciando dolcemente la guancia paterna.

«Buongiorno Mieczyslaw!» rispose immediatamente suo padre «Dormito bene?» chiese ricominciando a martellare il cassetto.

«Mah…» mugugnò Mieczyslaw mentre si preparava il suo latte e avena «Papà, mi ripeti perché dobbiamo restare qui?» chiese il ragazzo tornando nel salotto.

«Ma qui l’aria è pulita! Non senti?» chiese annusando a pieni polmoni e facendo sbuffare il giovane «So che ti manca Varsavia e la tua vecchia vita ma l’Inghilterra sta fornendo così tanto a moltissime persone, sarebbe da sciocchi non addentare un pezzo di questa torta!» esclamò osservando il lavoro ultimato prima di puntare il suo sguardo in quello del figlio «Andrà meglio, fidati.» disse sorridendogli.

«È passato un anno già e le cose non sono migliorate più di tanto…» sbuffò il ragazzo finendo la sua colazione.

«Ah… I giovani…» borbottò suo padre mentre rimontava il cassetto e si recava nel suo laboratorio, parlottando tra sé e sé riguardo l’impazienza dei giovani e la loro incapacità di accettare i cambiamenti.
 
 

Roteando gli occhi, Mieczyslaw si alzò da tavola e iniziò a rassettare la cucina; dopo la morte di sua madre, lui e suo padre si erano inizialmente stretti nel dolore della perdita ma poi, costretti dalla situazione e dai numerosi cambiamenti che stavano sconvolgendo la loro vecchia e cara casa, i due decisero d’imbarcarsi per l’Inghilterra. Sfruttando le ricchezze accumulate dalla famiglia, suo padre decise di abbandonare il suo ruolo di mercante per mettere a frutto la sua inventiva mentre lui, povero Omega diciassettenne, fu costretto ad abbandonare la sua vecchia vita per seguire l’Alpha di famiglia in quest’avventura; l’arrivo in Britannia non fu propriamente un sogno, viste le difficoltà incontrate, ma alla fine avevano acquistato una casa in quel paesino dimenticato da Dio che rispondeva al nome di Beacon Hills.

Certo! Vivere in luogo rustico, dove a pochi passi si trovava una foresta incontaminata, era un netto miglioramento rispetto alla città polacca ma a Mieczyslaw mancava quel mondo… Gli mancava dialogare con altri Omega dell’alta società, camminare per strada senza che nessuno lo importunasse e, soprattutto, gli mancava avere a che fare con persone istruite.
Beacon Hills era più selvaggia ma anche più ignorante…
Mieczyslaw era visto come un Omega particolare, uno di quelli strani a causa della sua passione per la letteratura, e non c’era stato un singolo giorno in cui qualsiasi Alpha da strapazzo non avesse provato a portarselo a letto.

Sospirando, il ragazzo si premurò di nutrire il bestiame e innaffiare le coltivazioni presenti nel piccolo orto prima di affacciarsi nel laboratorio, sorridendo nel vedere il padre intento a lavorare alla sua nuova invenzione.
 

 
«Papà, vado in biblioteca!» disse Mieczyslaw prima di allontanarsi non appena suo padre gli rispose.
 
 

 
Ecco il fornaio con il suo vassoio,
lo stesso pane venderà!
È dal giorno che arrivai che non è cambiato mai,
ma che vita è questa qua?
 
 


Gli occhi dell’Omega osservarono attentamente i vari cittadini, impiegati a correre a destra e sinistra; sorrise appena nel notare il signor Harris, il panettiere, intento a urlare contro la moglie a causa delle pagnotte appena sfornate. Salutò la signora Frigg, occupata a valutare pentole e padelle vendute alla bancarella del signor Denvers, e infine fece un cenno del capo al vecchio signor Carver, il quale osservava annoiato tutta la movida del paese.

Mieczyslaw sbuffò sonoramente, rendendosi conto che anche quella giornata era iniziata come la precedente, e scosse violentemente il capo prima di aumentare il passo verso il suo piccolo pezzo di paradiso: la biblioteca. Quell’edificio in legno e un po’ malconcio fu una boccata d’aria fresca per il ragazzo, unico luogo in cui si sentiva un po’ a casa visto che poteva tranquillamente parlare con il proprietario, il signor Dayamon, ed essendo quest’ultimo un Beta di quasi cinquant’anni Mieczyslaw si sentiva al sicuro, sapendo perfettamente che l’uomo non avrebbe mai fatto nulla per infastidirlo e corteggiarlo.
 


 
Quel ragazzo è proprio originale, con che aria sempre se ne va!
Lui non assomiglia a noi, pensa sempre ai fatti suoi!
La sua bella testolina non è qua…
 
 


«Hai visto? C’è il figlio dell’inventore!»

«Ma chi si crede di essere ogni volta?!»

«Che aspetta a trovarsi un Alpha decente e accasarsi? Il suo utero sta marcendo e lui pensa sempre ai libri!»

«Se non mette la testa a posto finirà per fare una fine molto brutta!»

«Potrebbe lavorare e invece fa fare tutto a quel vecchio pazzo del padre! Ah… Ai miei tempi…»
 
 

Mieczyslaw deglutì e indurì lo sguardo, infastidito come non mai da quelle frasi; ecco un altro problema di Beacon Hills: nessuno lo aveva ancora accettato. Se suo padre era stato introdotto nella vita cittadina, pur essendo stato etichettato come “strano”, per lui una cosa simile non era mai successa… Mieczyslaw era l’Omega difettoso, che pensava più ai suoi sogni che alla realtà; era l’Omega che si credeva al di sopra degli altri, perché camminava a testa alta e non fissava mai il pavimento come gli altri come lui. Era l’Omega che tutti volevano perché di bell’aspetto ma nessuno osava prendersi la responsabilità di piegare il suo animo con il legale, sarebbe stato troppo sfiancante e alla fine non ne sarebbe valsa la pena.

Fu con un sospiro di sollievo che Mieczyslaw entrò nella biblioteca, sorridendo nel sentire il rumore prodotto dalla campanella sopra la sua testa; sistemandosi meglio la casacca rossa che indossava, l’Omega sorrise all’entrata del signor Dayamon il quale sgranò gli occhi e gli corse in contro, stringendogli subito dopo la mano con un poco di forza in più.
 

«Law!» esclamò euforico il bibliotecario «Il mio cliente preferito! Cosa ti porta qui?» l’Omega sorrise ancor di più e sollevò il libro che stringeva tra le mani, facendolo ondeggiare appena a destra e sinistra «L’hai già finito?» chiese il Beta riprendendo il volume.

«Non potevo non divorarlo!» esclamo Mieczyslaw mentre iniziava a curiosare in giro, posando gli occhi sui vari tomi esposti «Un protagonista curioso, una pianta di fagioli magici, un castello nel cielo, il gigante!» elencò con aria sognante, un timido sorriso sul volto e gli occhi persi a immaginarsi tutte le scene lette tra quelle pagine «C’è qualcosa di nuovo?» domandò poco dopo tornando ad analizzare gli scaffali.

«Ma sei venuto soltanto ieri!» gli ricordò il signor Dayamon mentre riponeva il libro su una mensola «Non è arrivato nessuno a consegnarmi nuovi romanzi, mi spiace.» disse prima di levarsi gli occhiali per poi pulirli con la casacca giallognola che indossava.

«Allora…» sussurrò il ragazzo mentre si allungava per recuperare un libro posto in un alto scaffale «Prenderò questo!» esclamò recuperando il bottino e mostrando al bibliotecario la copertina.

«Il Castello di Otranto?» domandò con aria curiosa Dayamon «L’hai già letto tre volte questo mese!» esclamò riconsegnando il libro al ragazzo che ridacchiò sommessamente e si grattò la nuca con fare nervoso.

«Lo so ma è il mio preferito…» disse come se nulla fosse «Un luogo meraviglioso, un mistero che avvolge le vite dei protagonisti e poi è così scorrevole che non mi rendo mai conto di star finendo la storia!» elencò nuovamente per poi sospirare rumorosamente.

«Se ti piace così tanto allora te lo regalo.» sorrise il Beta, facendo sgranare gli occhi al ragazzo «E non voglio sentire scuse o giustificazioni, Law, mi offendo se non accetti!» l’Omega, se possibile, allargò il proprio sorriso e abbracciò di slancio Dayamon prima di iniziare a saltellare sul posto, sussurrando una sequela di “Grazie!” da far scoppiare a ridere l’uomo.

«Grazie, grazie! Mille volte grazie!» urlò Mieczyslaw mentre usciva dal locale e si rimetteva in strada, desideroso soltanto di tornare a casa per immergersi finalmente nella lettura.
 
 


 
È un ragazzo assai particolare, lui legge sempre che virtù!
Chissà cosa sognerà?
Dove va neanche lo sa!
Certamente un altro non ce n’è quaggiù…
 
 


La tentazione fu troppa e alla fine, cedendo a quella vocina fastidiosa che gli urlava di aprire quel dannatissimo libro e divorarne le pagine, Mieczyslaw aprì il volume e iniziò a leggerne il prologo, eclissandosi dal mondo e da tutto ciò che gli accadeva attorno; improvvisamente non sentì più le malelingue delle Omega, né i commenti indesiderati che i vari Alpha gli urlavano contro, e senza che se ne rendesse conto si ritrovò a inciampare in tutti gli ostacoli presenti sulla strada. Stanco di doversi sempre scusare a causa della sua sbadataggine, senza contare le riposte colorite che riceveva da tutti coloro contro cui impattava, Mieczyslaw si decise a chiudere il libro e camminare rapidamente verso una panchina libera; sedendosi, e sorridendo a un ragazzino Alpha che stava portando il gregge di pecore verso il pascolo, aprì nuovamente il libro e sospirò prima di immergersi nuovamente nella lettura.
 
 

 
Oh, io sto sognando…
È il momento che amo più, perché lei si sta innamorando…
E fra poco scoprirà che lui è il suo re…

 


 
Il cinguettare degli uccellini, unito al fruscio delle pagine girate, accompagnò il giovane Omega nella lettura del suo romanzo preferito, facendolo sospirare più e più volte; quella era la vita che Mieczyslaw desiderava: un castello da esplorare, misteri da risolvere, improbabili compagni di viaggio… Lui voleva una vita avventurosa, vivere situazioni al cardiopalma con affianco degli amici fidati con cui condividere idee e teorie; non era interessato agli Alpha, né alle relazioni in generale, e nonostante suo padre gli fornisse costantemente carta bianca affinché riuscisse a essere felice per la maggior parte del tempo, da qualche tempo il vecchio Noah aveva iniziato a parlare un po’ più spesso di legame, calori passati con gli Alpha e questo Mieczyslaw non poteva sopportarlo. Non aveva mai odiato la sua natura ma non si sentiva pronto per tutto quello che una relazione con un Alpha avrebbe comportato, né era intenzionato a scoprirlo a breve se per questo, ma in cuor suo sapeva che l’orologio della libertà stava scoccando gli ultimi rintocchi mortali e alla loro fine, quando quel dannato pendolo si sarebbe fermato, Mieczyslaw sarebbe stato costretto a mettere da parte i suoi sogni e le sue speranze per poter guardare al futuro, con uno stupido Alpha ad accompagnarlo…

Sospirando rumorosamente a causa di una pecora che aveva ben pensato di usare il suo nuovo regalo come spuntino, Mieczyslaw si alzò dalla panchina e chiuse di scatto il libro prima di folgorare con lo sguardo animale e pastore prima di allontanarsi a passo spedito verso la propria abitazione; sorrise timidamente quando qualche donna Beta lodò il suo aspetto alle sue amiche e l’Omega fu costretto a mordersi le labbra per evitare di ridere visto che la signora si era lamentata del suo nome impronunciabile. Mieczyslaw lo sapeva, quel nome polacco era praticamente incomprensibile per gli inglesi, i quali preferivano chiamarlo Law con suo sommo disappunto; quando viveva a Varsavia si presentava con il soprannome di Stiles ma, una piccola parte di lui, continuava a ripetergli che solamente una persona importante potesse usare quello stesso nomignolo per rivolgersi a lui e finora non aveva mai incontrato nessuno che ne fosse degno.

D’altronde, lui è l’Omega “diverso” che non assomigliava a nessun abitante di quella cittadina sperduta nel nulla e nonostante tutte le malelingue e i pettegolezzi, questa sua peculiarità non gli dispiaceva.
 


 
Anche il suo nome esprime la dolcezza!
Più dolce di un crême-caramel…
Ha una personalità un po’ strana in verità!
È diverso Law da tutti noi…
Non è per niente come noi…
Non assomiglia affatto a noi…
È Law
 
 


Il rumore provocato dallo scoppio di un fucile lesionò l’aria, facendo sussultare i vari passanti indaffarati, e quasi nessuno prestò attenzione all’oca che era precipitata a terra; una piccola nube di polvere, alzatasi a seguito dell’impatto, ricadde placidamente sul corpo ancora caldo dell’animale mentre una mano rovinata dall’incuria si stringeva attorno alle zampe e sollevava quel cadavere per poi gettarlo in un sacco di iuta.

Nell’aria riecheggiò una risatina divertita mentre il sacco veniva sollevato da un Beta dall’aria stupida, i cui capelli neri risaltavano particolarmente sulla pelle chiara; il ragazzo si schiarì la gola e sputò a terra un grumo di catarro prima di voltarsi e dirigersi rapidamente tra le abitazioni dove, nascosto nell’ombra, si trovava un Alpha comodamente appoggiato al muro, nella mano destra stringeva ancora il moschetto con cui aveva sparato.
 
 

«Non sbagli un colpo eh, Theo?» domandò il Beta con sguardo adorante, non perdendosi il sorrisetto soddisfatto che tirò le labbra dell’Alpha «Sia di caccia che di Omega, vai sempre a segno!» esclamò dandogli delle gomitate al fianco con aria allusiva; Theo, però, corrucciò le sopracciglia e si passò la mano libera tra i capelli biondi prima di sbuffare una risata.

«Sei geloso, Donovan?» chiese con fare ovvio prima di sollevare lo sguardo verso Mieczyslaw che, incurante di tutto, stava camminando tranquillamente in mezzo alla strada.

«Tutti sono gelosi del grande Theo!» esclamò euforico il Beta, incurante del fatto che l’amico fosse più interessato alla propria immagine riflessa dal vetro di una finestra rispetto a lui.

«Fanno bene.» disse l’Alha con un ghigno sul volto «E sai chi sarà la mia prossima preda?» domandò afferrando Donovan per un braccio e puntando Mieczyslaw con il moschetto, facendo spalancare la bocca al Beta che lo fissò come se fosse impazzito.

«Lo strambo?» domandò dopo qualche attimo.

«È l’Omega più bello che io abbia mai visto e non merito il meglio io?!» urlò irritato mentre stringeva la presa sull’arma da fuoco.

«C… C… Certo! Ma io credo che…» Donovan, però, venne spinto malamente al suolo da un Theo piuttosto furioso il quale, subito dopo, annusò l’aria e si massaggiò la patta dei pantaloni per alleviare quell’accenno di erezione provocata dai ferormoni di quel piccolo e sexy Omega presuntuoso.
 
 

L’ho detto subito dal primo istante!
Non è possibile sbagliar…
Così belli non ce n’è!
È avvenente quanto me, sono certo lo desidero sposar!
 
 


Con un colpo di reni, Theo si scostò dal muro e si sistemò il moschetto alla schiena prima di camminare verso la strada per poi iniziare l’inseguimento di Mieczyslaw il quale, ignorante di tutto, stava cercando di evitare la calca di gente per raggiungere la propria abitazione; a nulla servirono le urla di Theo, visto che il vociare riusciva perfettamente a impedire all’Omega di udirlo, e sbuffando infastidito l’Alpha afferrò rudemente il suo amico e lo spinse contro la gente, creandosi un piccolo varco in quel muro di persone e ormoni.

La marcia dell’Alpha, però, venne bloccata da un gruppetto di Omega che iniziò a spandere nell’aria i propri ferormoni nel disperato tentativo di attirare l’attenzione di Theo; il ragazzo, infatti, sorrise affabile e iniziò a carezzargli il collo prima di annusare a fondo quegli odori che gli provocarono immediatamente un’erezione marmorea. In altre circostanze, come d’abitudine, avrebbe portato gli Omega nella taverna in cui abitava e si sarebbe sfogato con loro ma in quel momento la sua mente era incentrata su Mieczyslaw il quale si era finalmente liberato dalla calca e stava proseguendo spedito verso la propria abitazione, fatto che spinse Theo a districarsi da quel mare di libido per riprendere la sua marcia.
 
 

 
È lui! Mio Dio! No, non tremare!
Lord Theo è proprio chic!
Orsù, cuor mio, non impazzire…
Non c’è un altro Alpha forte come lui!
 
 


«Fatemi passare! Permesso! Toglietevi di mezzo! Fatemi passare! Dannazione, levati dai piedi!» sbraitava Theo ma, oltre a ricevere numerose occhiate infastidite, non ottenne molti risultati; perfino Donovan provò ad aiutarlo nel districarsi nella folla ma gli inglesi parevano sordi alle loro richieste e alla fine, sbuffando sonoramente, l’Alpha si decise a proseguire tra spallate e spintoni, benedicendo nuovamente la sua mole per facilitargli il compito.
 
 

 
La vita deve darmi un po’ di più!
Vedrai che il mio sposo sarai tu!
 
 


«Law! Ehi, Law! LAW!» Mieczyslaw sbuffò sonoramente nel riconoscere la voce dell’Alpha e si fermò, ben consapevole che quell’idiota l’avrebbe seguito fin dentro casa se l’avrebbe ignorato «Finalmente posso specchiarmi in queste splendide pozze color fango!» l’Omega roteò gli occhi e sospirò rumorosamente prima di tornare a guardare l’altro che, nel frattempo, aveva iniziato a sorridere come l’idiota che era, affiancato da quell’altro imbecille di Donovan.

«Ciao Theo…» sbuffò solamente Mieczyslaw, facendo sorridere ancor di più l’Alpha.

«Dove se ne va un Omega carino come te? Tutto solo per giunta!» esclamò Theo iniziando a camminargli attorno, come un lupo con la sua preda, facendo innervosire Mieczyslaw sempre di più.

«Non sono fatti tuoi.» rispose il ragazzo fra i denti.

«Ma in biblioteca!» rise sguaiatamente Donovan, venendo accompagnato dalle risate dell’Alpha.

«Oh, Law…» sussurrò Theo dopo che si fu ricomposto «Un Omega non dovrebbe leggere!» disse afferrando al volo il libro, incurante dei tentativi di Mieczyslaw di riprendersi il volume «Non ci sono neanche le figure, che li prendi a fare?!» urlò con aria disgustata prima di lanciare lontano il libro, facendolo finire in una pozza di fango «Tutta la città ne parla male, sai?» Mieczyslaw lo fulminò con lo sguardo quando questi decise di bloccarlo afferrandogli le spalle.

«Sai quanto me ne importa?» chiese retoricamente l’Omega tentando di divincolarsi dalla presa, incurante dei segni che sarebbero rimasti sulla sua pelle chiara.

«Oh, oh, oh!» urlò Donovan riprendendo a dare delle gomitate nel costato dell’amico «Che peperino!» disse per poi scoppiare nuovamente a ridere «Nel calore devi essere una bomba!» Mieczyslaw digrignò i denti e gli pestò un piede, facendolo urlare di dolore e costringendolo ad allontanarsi; Theo si morse le labbra, eccitato da quel comportamento così insolito per un Omega, e allentò appena la presa dalle spalle del ragazzo, non desiderando un calcio nelle palle da quest’ultimo.

«Perché non ti concentri su qualche cosa di più bello? Tipo me!» disse Theo sorridendogli maliziosamente; Mieczyslaw, però, assunse un’espressione schifata e riuscì a liberarsi dalla presa prima di correre a recuperare il suo libro per poi ripulirlo con la maglia che indossava, notando come il fango non avesse sporcato l’interno delle pagine ma solamente i bordi «Io sono il tuo sogno, Law! Accettalo e leghiamoci!» esclamò allargando le braccia, facendo sospirare tristemente l’Omega.

«Che ne sai dei miei sogni, Theo?» domandò Mieczyslaw mentre si incamminava nuovamente verso casa.

«So che li popolo!» rispose Theo andandogli dietro «Perché non vieni alla taverna per ammirare i miei muscoli e i miei trofei di caccia?» domandò togliendosi la maglia e mostrando all’Omega gli addominali sviluppati e il petto peloso; Mieczyslaw, però, sospirò nuovamente e scosse il capo, per nulla impressionato dal giovane.

«Bello e senza cervello…» brontolò il ragazzo, incurante di poter essere sentito dall’altro «Non posso, Theo, devo aiutare mio padre.» disse con noncuranza.

«Il vecchio pazzo!» urlò Donovan per poi scoppiare a ridere insieme all’amico; Mieczyslaw si voltò di scatto, infuriato come non mai, e afferrò meglio il libro che aveva in mano prima di lanciarlo contro Theo, colpendolo in piena faccia con la copertina rigida. L’Alpha smise immediatamente di ridere e si allontanò di qualche passo, massaggiandosi la faccia indolenzita.

«Idioti cafoni!» urlò furioso Mieczyslaw mentre recuperava il proprio libro e lo agitava davanti ai due «Mio padre è un genio! Non osate deriderlo!» sbraitò prima di voltarsi e iniziare a correre verso la propria casa, benedicendo il fatto che tra lui e Theo si era frapposta la folla intenta a fare compere.

«Vieni, Don, andiamo da quegli Omega e portiamoli alla taverna. Devo svuotarmi le palle.» borbottò Theo mentre tornava indietro, subito seguito dall’amico.
 


 
Ma guarda che ragazzo stravagante…
Così carini non ce n’è!
Ma la gente che c’è qua vedrai non capirà!
Questa sua originalità…
Lui è bizzarro e atipico, insolito ed eccentrico…
È Law!
 

 

Borbottando tra sé e sé riguardo quell’odiosa situazione che sfortunatamente era costretto a vivere quotidianamente, Mieczyslaw si ritrovò a pensare alla possibilità di rifugiarsi in qualche convento e ricorrere alla clausura visto che le possibilità di tornare nella sua amata Varsavia erano quasi nulle e non voleva neanche prendere in considerazione gli Alpha presenti in quel posto; nonostante Theo fosse l’unico che ci provasse spudoratamente con lui, non dimenticandosi mai di denudarsi ogni volta potesse, ma gli altri babbei non facevano altro che irritarlo oltre ogni limite! I fischi riusciva anche a sopportarli ma purtroppo i trogloditi con cui aveva a che fare preferivano sempre allungare le mani e palparlo poco educatamente, infastidendolo e facendolo sentire sempre come un pezzo di manzo pronto per essere cotto.

Non mancavano poi i commenti riguardanti il legame, i quali s’incentravano costantemente sul desiderio Alpha di piegarlo e sottometterlo, annullando la sua personalità e assoggettandola a quella del compagno; Mieczyslaw scosse violentemente il capo mentre un paio di calde lacrime iniziavano a bagnargli le guance, sfuggite al suo controllo a causa della frustrazione provata e mischiata al senso d’inutilità che gli permeava l’animo a ogni scontro con gli Alpha. Singhiozzando, giunse davanti la porta di casa e benedì l’assenza del padre – visto che non avrebbe lasciato correre e si sarebbe prodigato nel sommergerlo di domande a cui non si sentiva pronto a rispondere – prima di posare il libro stropicciato sul tavolo della sala da pranzo per poi correre in cucina, lavandosi il volto affinché venissero eliminate tutte le tracce di tristezza e dolore presenti; solamente dopo qualche attimo, l’Omega si rialzò e fissò il proprio riflesso nel vetro della cucina, sospirando subito dopo con aria stanca.

Voleva tornare a casa, alla sua vera casa, ma sapeva benissimo che non poteva farlo; così, indossando il sorriso più sincero che potesse tirar fuori in quella situazione, uscì dalla stanza e si recò nel piccolo laboratorio dove suo padre era ancora immerso nel lavoro. Lo trovò, infatti, intento a maledire la sua nuova macchina taglialegna, il volto sporco di grasso e fuliggine mentre i vestiti erano stappati in più punti; ridacchiando, l’Omega palesò la propria presenza e donò un piccolo bacio sulle guance del padre, strappandogli un sorriso.
 
 

«Problemi?» domandò Mieczyslaw con nonchalance mentre si poggiava contro il tavolo da lavoro ingombro di strumenti.

«Problemi? PROBLEMI?!» sbraitò Noah prima di calciare la sua nuova invenzione «Questa dannatissima macchina non vuole proprio funzionare! Sono settimane che ci lavoro e non sono ancora riuscito a farla funzionare a dovere!» esclamò fissando furentemente la macchina e indicandola con il braccio sinistro «Sarò costretto a spedire una missiva urgente all’ideatore della fiera, comunicandogli che ci sono stati contrattempi e non riuscirò a presentarmi…» Mieczyslaw roteò gli occhi alla teatralità paterna e gli si avvicinò prima di abbracciarlo per poi baciandolo nuovamente, donandogli nuovamente il sorriso.

«Ce la farai…» sussurrò l’Omega prima di sciogliere l’abbraccio «Sei il miglior inventore che conosca e solamente tu puoi far funzionare questa macchina!» lo elogiò con un sorriso compiaciuto, il quale crebbe enormemente quando vide un delicato rossore tingere le guance dell’Alpha.

«Ne… Ne sei sicuro?» chiese Noah, ricevendo un cenno d’assenso da parte del figlio «Allora passami la chiave a molla!» l’uomo si tirò su le maniche e, una volta ottenuto l’oggetto, si sdraiò e scivolò sotto la sua macchina, cominciando a ultimare le ultime modifiche «Com’è andata?» domandò dopo qualche attimo, increspando le sopracciglia quando udì lo sbuffo del figlio.

«Come sempre…» sospirò sconsolato Mieczyslaw, incrociando le braccia al petto e abbassando appena il capo.

«Sai… C’è un Alpha, Theo mi sembra si chiami…» sussurrò con calma Noah, temendo di scatenare una delle solite reazioni esagerate di suo figlio; Mieczyslaw, infatti, nell’udire quel nome s’irrigidì e sollevò di scatto il capo per poi folgorare il padre, temendo dove sarebbe andato a parare il genitore «Mi è parso di capire che sia molto carino e che abbia molti pretendenti…» l’Omega sbuffò di nuovo e roteò il capo, ragionando sul fatto che la bellezza dell’Alpha era completamente oscurata dalla sua stupidità e arroganza le quali, in una combo del tutto orribile, gli facevano morire gli ormoni ogni volta che lo vedeva «E ho sentito che è interessato a te! Sai, potrebbe presentarsi per una cena di legame e…» Mieczyslaw, però, non lo lasciò finire di parlare e si scostò con forza dal tavolo per poi iniziare a camminare nervosamente per il laboratorio, prendendo a calci qualsiasi cosa gli capitasse a tiro.

«PAPÀ!» sbraitò infatti il ragazzo «QUEL THEO È UN IDIOTA! NON VOGLIO LEGARMI A LUI, RITROVANDOMI CON CHISSÀ QUALE MALATTIA ADDOSSO E COMPLETAMENTE SUCCUBE DI QUEL… DI QUEL… DI QUEL DEFICIENTE!» sputò inviperito, folgorando con lo sguardo il viso intristito del padre che, terminati i lavori, si era rialzato.

«Stiles, la stagione degli amori si avvicina…» gli ricordò per l’ennesima volta l’Alpha e Mieczyslaw sbuffò prima di annuire seccamente «Ne parleremo dopo, ok?» domandò carezzandogli dolcemente una guancia, facendo rinascere il sorriso sul volto del figlio «Ora incrocia le dita per il tuo vecchio!» l’Omega fece quanto detto e si morse il labbro mentre osservava il padre abbassare una leva e far partire il complesso sistema a vapore che poco a poco iniziò a far vivere la macchina; la struttura vibrò pericolosamente ma alla fine, sorprendendo entrambi, l’ascia posta sulla parte anteriore del veicolo iniziò a schiantarsi sui ciocchi posti appositamente sotto la traiettoria «FUNZIONA!» urlò Noah abbracciando suo figlio e sollevandolo da terra e girando su sé stesso, facendo ridere il ragazzo.

«VINCERAI IL PRIMO PIANO!» urlò euforico Mieczyslaw una volta che venne posato al suolo.

«Lo credi davvero?» chiese Noah con gli occhi lucidi, ricevendo in risposta uno stretto abbraccio da parte dell’Omega.

«Ora papà va a lavarti e poi coricati, ti aspetta un lungo viaggio!» disse Mieczyslaw non smettendo un attimo di sorridere «Io ti preparo le vivande per il viaggio, sello Roscoe e preparo il tutto per il viaggio e prima che tu lo chieda: sì, starò bene.» parlò il ragazzo, gesticolando animatamente per tutto il discorso «Ora va!» disse accompagnandolo alla porta d’ingresso.
 
 

Così, mentre suo padre dormiva beato tra le lenzuola, Mieczyslaw si occupò di preparargli dei panini per il viaggio di andata, stipandoli all’interno di un fazzoletto che pose in una sacca marrone da viaggio; successivamente, per nulla stanco, il ragazzo si recò nella piccola stanza posta a poca distanza dalla casa e si occupò di pulire il recinto degli animali, recuperando nel frattempo delle uova, e infine liberò il loro cavallo, Roscoe, dalla staccionata a cui era legato per poi lavarlo e strigliarlo, preoccupandosi di nutrirlo e dissetarlo prima di stendere la vecchia coperta azzurra sul suo dorso e alla fine, soddisfatto del lavoro, lo sellò e lo legò nuovamente per evitare che l’animale fuggisse.

Tutto quel lavoro gli rubò tre ore di tempo e concluso il tutto trovò il padre intento a spostare il macchinario dal laboratorio e lo aiutò a raggiungere le stalle per poi legarlo saldamente al cavallo, il quale nitrì irritato a causa del trattamento; così, dopo essersi salutati e promettendosi a vicenda di fare attenzione, padre e figlio si separarono mentre il Sole pomeridiano illuminava la piccola casa.
 
 



Note: Eccoci qui! Che ne pensate? Nel Classico non viene detto molto riguardo il passato di Belle, perciò ho pensato d’inventare qualcosa al momento per rendere più realistico il background del nostro Stiles e sì, per i primi capitoli mi riferirò a lui con il suo vero nome ma il tutto è voluto; più avanti spiegherò tutto, non voglio farvi spoiler.

Per la caratterizzazione di Stiles ho tentato di simulare tutto lo schifo che molte donne e ragazze sono costrette a subire nel quotidiano, tra attenzioni non richieste e atteggiamenti da trogloditi, quindi spero di non aver esagerato o sbagliato in qualche modo, inoltre, se dovessi aver offeso qualsiasi lettore o lettrice chiedo subito scusa e, in tal caso, vi invito a contattarmi per spiegarmi il vostro punto di vista per poi cambiare il testo.

 
Ringrazio tutti coloro che hanno inserito la storia in una delle categorie di EFP e noi ci vediamo sabato 28 per l’aggiornamento.
 
 

Babbo Dark

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Capitolo 3
*** III - La Bestia di Beacon Hills ***


Note: salve a tutti lettori e bentornati su questa piccola storiella! Ammetto che non ha avuto l’accoglienza che mi aspettavo, forse a causa della tematica un po’ da cliché, ma continuerò a pubblicarla anche senza recensioni; una piccola parte di me dice che se nessuno ha niente da comunicare, allora la storia va bene. Spero solamente di non star pubblicando un enorme stronzata ^^”
 

Ma passiamo ai fatti: finalmente entrerà in gioco il nostro Sourwolf preferito, l’unico e il solo, ma un piccolo avvertimento riguardante il suo aspetto: nel Classico Disney la Bestia ha un aspetto peculiare, un incrocio tra un leone e un lupo a mio avviso, ma nella fanfiction ho deciso di ispirarmi completamente alla figura del licantropo classica, completamente differente rispetto al canon di Teen Wolf; motivo per cui, proprio sotto inserirò una foto che vi permetterà di capire, più o meno, quale soggetto mi ha ispirato. La descrizione dettagliata di Derek, però, avverrà nel prossimo capitolo.
 
Buona lettura!
 
Babbo Dark
 
 
Stiles
 


 
Little Red Riding Hood and the Cursed Wolf
Capitolo III – La Bestia di Beacon Hills
 
 


Per tutta la sua vita, Noah Stilinski poté vantare tre pregi principali: la fortuna di aver avuto una Compagna e un figlio straordinari, la sua capacità di orientarsi ovunque si trovasse e l’acume negli affari eppure in quel momento, seduto comodamente sul cavallo di famiglia e con in mano la mappa per raggiungere la fiera, l’Alpha era pronto a ricredersi sulle sue capacità di orientamento; l’uomo, infatti, aveva intrapreso la via più breve per raggiungere il luogo in cui si sarebbe tenuta la Fiera delle Invenzioni e questa, sfortunatamente, prevedeva una piccola deviazione nella foresta che circondava Beacon Hills e nonostante inizialmente non si fosse curato molto dei dettagli, ricordando abbastanza bene il percorso da intraprendere, con il passare del tempo la preoccupazione iniziò a farsi largo nel suo petto.

Fu con un sospiro di sollievo che l’uomo si avvicinò a dei cartelli stradali malmessi, sorridendo quando notò che non aveva perso la strada, ma non ci volle molto prima che l’inquietudine tornasse prepotentemente a farlo sudare freddo; alla fine, benedicendo la cocciutaggine del figlio che aveva insistito affinché si portasse dietro la mappa, l’Alpha afferrò il pezzo di carta e lo spiegò per poi cominciare a valutare il percorso. Deglutendo rumorosamente, Noah si rese conto che la strada intrapresa non era segnata da nessuna parte e con un sospiro ammise la sconfitta: si era perso; naturalmente avrebbe desiderato ardentemente fare dietrofront e tornare sui suoi passi ma sfortunatamente la strada era troppo stretta e costeggiata da rovi di spine, i quali davano l’idea di essere tremendamente dolorosi qualora ci fosse finito contro, senza contare la possibilità di sbilanciarsi a causa del peso eccessivo del macchinario e quindi di finire in qualche burrone. Con un nuovo sospiro, Noah si decise a proseguire nella speranza di poter incontrare un allargamento della via affinché potesse svoltare e tornare indietro.

Proseguendo in quella foresta scura e spaventosa, l’uomo iniziò a guardarsi attorno con più insistenza a causa della spiacevole sensazione di essere osservato da qualcuno e qualcosa; Roscoe, inoltre, sembrava agitarsi sempre di più a ogni passo fatto e la cosa non lo aiutava a tranquillizzarsi.

Un brivido di puro terrore gli accapponò la pelle quando un ululato spaccò l’aria e in preda alla paura si ritrovò a far schioccare le redini, costringendo il cavallo ad aumentare il trotto; ringhi e ululati gli riecheggiarono nelle orecchie e ben presto l’animale si ritrovò a galoppare furiosamente per quella strada buia e stretta mentre il cuore dell’uomo, salitogli alla gola, non smetteva un attimo di pompargli il sangue nelle orecchie. L’aria si saturò di umidità e Noah si ritrovò a deglutire nuovamente ma poi, alle sue spalle, giunse un suono inaspettato che lo fece urlare dal terrore.

Un lupo, silenzioso come non mai, lo aveva rincorso prima di saltare e provare ad azzannargli una spalla ma ritrovandosi, per puro caso, a mordere l’aria; il secco suono provocato dalle mascelle dell’animale che si serravano a pochi centimetri dal suo corpo fecero saltare un paio di battiti all’Alpha che, terrorizzato più che mai, si ritrovò a frustare Roscoe nel tentativo di fargli aumentare la velocità. Guardandosi alle spalle, Noah sgranò gli occhi quando notò un intero branco di lupi affamati intento a inseguirli; quella distrazione venne pagata cara dell’Alpha il quale non si rese conto del piccolo dirupo a cui stavano andando incontro, con l’ovvio risultato di venire disarcionato dal cavallo per poi cadere contro il terreno duro.

Con la coda dell’occhio l’uomo notò come il suo cavallo, ancora appesantito del macchinario, fosse riuscito a cambiare direzione e tornare indietro, nonostante i lupi che lo inseguivano; un ringhio ferino costrinse Noah ad abbassare lo sguardo, scontrandosi con una piccola parte del branco che, nonostante tutto, lo aveva raggiunto e si preparava ad attaccarlo. L’Alpha chiuse gli occhi, pregando con tutto sé stesso di poter rivedere nuovamente il volto del suo amato figlio, e con un coraggio che non si aspettava di tirar fuori in una situazione simile si ritrovò a lanciare la sacca contenente gli alimenti verso i lupi; sorridendo per la sua trovata, Noah si rialzò e fuggì a gambe levate mentre gli animali strappavano e laceravano i tessuti per poter raggiungere le leccornie preparate poche ore prima da Mieczyslaw.

Sbuffando per la corsa e combattendo contro i tremori che non lo volevano abbandonare, l’Alpha si ritrovò a svoltare causalmente a destra e sinistra mentre, dietro di lui, percepiva i lupi inseguirlo; fu con un sospiro di sollievo che davanti agli occhi dell’uomo si stagliò un alto cancello in ferro battuto che, a causa dell’incuria e delle intemperie, si era arrugginito e ricoperto di edera.
 
 

«FATEMI ENTRARE! PER PIETÀ FATEMI ENTRARE!» sbraitò Noah smuovendo il cancello, facendolo cigolare sinistramente «SONO INSEGUITO DAI LUPI! PIETÀ FATEMI ENTRARE!» il cancello, forse a causa degli strattoni o del destino, si spalancò e l’Alpha ne approfittò per sgusciare dentro prima di richiuderlo con un calcio ben assestato un attimo prima i lupi gli saltassero addosso.
 
 

Pregando che quel vecchio pezzo di metallo arrugginito resistesse all’assalto degli animali, Noah si rialzò e si avvicinò con passo rapido all’enorme portone in mogano che si stagliava a pochi metri da lui; mentre si avvicinava, un tuonò spaccò l’aria, facendo sussultare vigorosamente l’uomo, e nel giro di qualche secondo un acquazzone si riversò su quel castello apparentemente abbandonato da anni. Deglutendo e completamente fradicio, l’Alpha si sbrigò a raggiungere il portone per poi bussare violentemente contro la superficie scrostata; l’uscio si aprì in un piccolo spiraglio, permettendo all’uomo di essere investito da una folata d’aria calda che lo fece sospirare di sollievo.
 
 

«Permesso…» sussurrò Noah mentre entrava nel maniero e si richiudeva la porta alle spalle; guardandosi attorno, l’uomo notò numerose statue di gargoyle circondare l’ingresso ma, a causa del buio presente, i suoi occhi fecero fatica a riconoscere altri dettagli «Chiedo perdono al signore del castello…» disse nuovamente l’Alpha, tremando da capo a piedi a causa del freddo «Mi sono perso e sono stato attaccato dai lupi, il mio cavallo è fuggito e mi chiedevo se fosse possibile essere ospitato per la notte…» Noah avanzò nel grande salone d’ingresso, deglutendo alla vista di tutti quei quadri mostruosi che facevano mostra di sé contro le pareti crepate e incrinate; un nuovo brivido gli percorse il corpo mentre, sopra di lui, una serie di scricchiolii lo costrinsero a sollevare il capo per incontrare i numerosi piani del maniero e la volta a cupola «Mi accontento anche delle stalle e sono disposto a pagare per il disturbo, vi prego! Non rispeditemi nelle fauci dei lupi…» disse disperato mentre continuava a muoversi, sorridendo appena nell’osservare la fioca luce provocata da un piccolo caminetto posto all’interno di quello che sembrava il salone «Signore, non rifiuti l’aiuto a un povero disgraziato…» sussurrò Noah per poi starnutire rumorosamente.

«Ehi! Ehi!» l’uomo sollevò di scatto il capo non appena udì quel bisbiglio ma, guardandosi attorno, non vide nessuno e si strinse meglio le braccia contro il busto, temendo di esser stato ingannato dalla sua stessa mente.

«Sta. Zitto.» un altro sussurro fece bloccare Noah sul posto e, cercando di calmarsi, aguzzò le orecchie e attese speranzoso di poter udire nuovamente quei bisbigli misteriosi.

«Ma guarda in che condizioni si trova! Ed è stato attaccato dai lupi!» questa volta il sussurro fu leggermente più forte e, incuriosito, Noah si avvicinò a un mobile malmesso ma non c’era nessuno che potesse aver parlato visto che gli unici oggetti presenti erano un candelabro e un orologio.

«Peter, guai a te! Il Padrone è stato chiaro!» l’Alpha si guardò attorno, spaesato, e starnutì nuovamente prima di tremare vistosamente dal freddo.

«Vi prego, non vi chiedo cibo o acqua ma solo un riparo per la nottata e un cavallo che vi pagherò! Alle prime luci dell’alba me ne andrò…» disse tornando a osservarsi attorno, sforzandosi per poter trovare in quel fitto buio il famoso Peter che aveva parlato.

«Ma certamente!» Noah sobbalzò quando sentì qualcuno urlare alla sua sinistra ma, voltandosi di scatto e sgranando gli occhi per la paura, non trovò nessuno «Sono Peter, al suo servizio!» l’Alpha indietreggiò di qualche passo per poi cadere pesantemente al suolo quando, proprio sotto i suoi occhi, quel candelabro si era mosso verso di lui e aveva parlato!

«Posseduto dal demonio!» urlò Noah continuando a indietreggiare e portandosi un braccio davanti al volto ma quel coso continuava a muoversi e parlare come se nulla fosse.
«Ma non dica sciocchezze!» lo riprese il candelabro «Sono solamente stato maledetto.» lo corresse con nonchalance.

«Peter! Dannazione!» l’Alpha spalancò la bocca quando l’orologio si mosse a sua volta, producendo un legnoso tik-tok contro la superficie in marmo del pavimento «Qual è il tuo problema?!» sbraitò l’orologio gesticolando animatamente; Noah, vinto dalla curiosità che l’aveva sempre contraddistinto, avvicinò cautamente una mano e afferrò quell’oggetto vivo prima di sollevarlo e studiarlo con attenzione, incurante delle lamentele di quest’ultimo «Mi metta giù! MI METTA GIÙ!» sbraitò quello ma l’Alpha, invece, aprì il piccolo sportellino in legno e prese a giocare con il pendolo d’ottone nascosto all’interno, facendo ridacchiare per il solletico l’oggetto.

«Che strano macchingegno…» sussurrò incuriosito l’uomo, sorridendo appena mentre iniziava a muovere le lancette poste sul volto dell’orologio.
«Non sono un macchingeno!» sbraitò dopo qualche attimo l’oggetto prima di chiudere con un gesto secco lo sportello, rischiando d’intrappolare le dita dell’Alpha «Sono Alan.» disse con tono austero.

«E io sono Peter!» si presentò il candelabro inchinandosi elegantemente all’uomo ma questi, tremando nuovamente, non riuscì a trattenersi e starnutì contro Alan, facendolo gemere di disgusto «Ma lei è bagnato fradicio!» disse il candelabro portandosi i due bracci metallici contro il volto «Venga vicino al camino, signore, la riscalderemo in un batter d’occhio!» Noah sorrise a quella prospettiva e appoggiò Alan per terra prima di rialzarsi e seguire un gongolante Peter verso uno dei salotti più grandi che avesse mai visto il quale, però, era appesantito da uno spesso strato di polvere e ragnatele che ricopriva delle statue terrificanti e alcuni macabri dipinti.

«La poltrona del Padrone no!» sbraitò Alan non appena notò come l’Alpha venne fatto accomodare davanti al camino ma l’orologio venne bellamente ignorato dall’arrivo di un carrello d’ottone sulla cui superficie si trovavano una teiera e due tazzine.

«Presto, Scott, del tè per il nostro ospite!» Noah fissò incantato quella teiera parlare e versare il liquido ambrato dentro una tazzina che, ridacchiando, iniziò a saltellare verso la sua direzione.

«Faccia piano che scotta.» lo avvisò Scott, incurante del ‘Niente tè!’ praticamente urlato da Alan.

«Suvvia! Io non lascerò morire questo poveretto di freddo!» lo riprese la teiera prima di sorridere al suo ospite per poi rivolgersi all’altra tazzina presente «Isaac, chiederesti a Erica se ci sono dei biscotti? Sono certa che il nostro ospite sia affamato.» l’uomo, dopo aver soffiato sul liquido bollente, si avvicinò la tazzina alla bocca e bevve avidamente il tè, percependo un piacevole torpore scaldargli il petto; improvvisamente un attaccapanni gli posò una calda coperta addosso, cosa che fece sorridere riconoscente Noah.

«Vi prego, basta! Se il Padrone…» Alan però non riuscì mai a finire la frase a causa delle porte del salone che si spalancarono rumorosamente, facendo sussultare i presenti; un pericoloso ringhio fece vibrare il petto di Noah il quale, dopo aver posato Scott sul carrello, si strinse nella coperta e iniziò a guardarsi attorno.

«L… L… Lei è… È…» balbettò l’Alpha, completamente terrorizzato da quel suono così innaturale e mostruoso.

«Il Padrone del castello!» ruggì una voce cavernosa alle sue spalle; l’uomo deglutì, percependo il ringhio farsi più vicino e sempre più furioso.

«I… Io mi sono p… Perso…» prese a spiegare Noah tra un tremore e l’altro «P… Posso ch… Chiederle di… Di pas… Passare la not… Notte qui? S… Se n… Non dis… Turbo trop… Po…» balbettò miseramente ma, non appena la poltrona sulla quale era comodamente seduto venne girata con forza, l’uomo si ritrovò a urlare terrorizzato; lì, davanti a lui, si trovava un mostro.
 
 

La testa enorme da cui spuntavano delle orecchie da lupo e un paio di lunghe corna affusolate, il muso allungato e ricolmo di zanne aguzze e ingiallite dal tempo; due enormi zampe pelose e munite di micidiali artigli vennero posate pesantemente contro i braccioli della poltrona e, mentre Noah si schiacciava contro lo schienale, il mostro si sollevò sulle sue zampe lupine, mostrandosi in tutta la sua potenza micidiale. I muscoli del petto guizzavano pericolosamente, evidenziando l’energia contenuta nelle loro fibre, e Noah si ritrovò a deglutire rumorosamente quando si rese conto che, eccezion fatta per il lungo mantello viola, il mostro era completamente nudo; le cosce s’irrigidirono, evidenziando i muscoli tesi, ma ciò che più terrorizzò l’Alpha furono le zampe posteriori così magre e scheletriche da essere completamente fuori posto rispetto all’aspetto del mostro, i tendini tesi e pulsanti evidenziati dall’assenza di peluria e gli artigli affilati che graffiavano il pavimento in marmo.
 
 

«Hai finito?» ringhiò minacciosamente il mostro, facendo boccheggiare Noah a causa del fetido odore del suo alito «Sei venuto qui per vedere la Bestia, no? Il mostro maledetto che divora i bambini la notte, vero?!» ruggì inzuppando il volto dell’Alpha con la saliva.

«N… No!» balbettò terrorizzato Noah per poi spalancare la bocca quando il mostro gli artigliò il collo e lo sollevò rudemente dalla poltrona «La… La prego…» sussurrò afferrando le zampe possenti e tentando inutilmente di liberarsi.

«Hai fatto tanta strada per vedere il mostro e ti accontenterò!» ruggì furiosamente, fissandolo con le sue iridi scarlatte.

«Padrone…» tentò d’intromettersi Alan ma un nuovo ruggito del mostro lo costrinse a tacere e arretrare terrorizzato.

«Vuole avere il piacere di vedermi e così sarà!» sbraitò prima di slanciarsi contro la porta d’ingresso, trascinandosi dietro il corpo urlante e terrorizzato di Noah. ‘Figlio mio…’ pensò l’Alpha poco prima di essere sbattuto rudemente in una cella mentre il mostro, ringhiando, lo abbandonava al suo destino.
 
 

 
***
 


 
Theo osservò divertito la mole di gente che si accalcava davanti casa Stilinski e ghignò maliziosamente, sapeva che quella folle idea nata nel relax post-orgia avrebbe dato i suoi frutti ed era perfettamente a conoscenza della stima che la città provava nei suoi confronti così, subito dopo essersi rivestito, era sceso nella taverna e aveva attirato l’attenzione dei numerosi consumatori prima d’esporre la sua idea geniale; in un attimo Alpha e Beta si era ritrovati ad appoggiarlo e le giro di qualche ora quasi tutta Beacon Hills si mobilitò per aiutarlo. Il ragazzo osservò il rinfresco preparato dal macellaio e dal panettiere, sorrise al parroco locale intento a sfogliare la Bibbia e infine lanciò uno sguardo a Donovan, occupato a preparare la banda del paese affinché suonasse la marcia nuziale; aggiustandosi il suo miglior vestito, e osservandosi attentamente in uno stagno, Theo si avvicinò all’amico e lo prese rudemente per un braccio prima di allontanarsi in disparte.
 
 

«Tutto pronto!» esclamò euforico il Beta «Tu vai dentro, rimorchi l’Omega e poi esci; appena la porta si apre faccio partire la musica e tu ti sposerai!» disse ridacchiando, incurante del fatto che Theo si era nuovamente fissato a osservare la sua immagine riflessa.

«Molto bene.» ghignò in risposta l’Alpha «Gente!» esclamò poco dopo, attirando l’attenzione generale «Grazie per essere venuti qui per festeggiare il mio matrimonio!» Theo roteò gli occhi quando vide i tre Omega che si era portato a letto qualche ora prima scoppiare in un pianto disperato ma poi sorrise nell’udire lo scrosciante applauso della folla «Ora, con permesso, vado a chiedere la mano al fortunato.» ghignò maliziosamente, facendo scoppiare a ridere i numerosi Alpha presenti.
 
 

Ignaro di qualsiasi cosa stesse accadendo fuori dalla propria casa, Mieczyslaw sospirò con aria sognante e svoltò pagina prima di rituffarsi nella lettura, divorando avidamente le parole stampate sulla carta giallognola; dopo la partenza del padre, l’Omega si era concesso un pranzo leggero con uova e lattuga prima di rassettare la cucina e la sala da pranzo per poi occuparsi del bucato e del bestiame. Una volta che i lavori domestici furono ultimati, sorridendo emozionato, il ragazzo afferrò il suo libro preferito e si rinchiuse nella propria stanza con l’intento di isolarsi dal mondo; non ci volle molto prima che la sua mente venisse invasa dalle immagini basate sulle parole che leggeva, e tra un’armatura incantata e una minaccia sussurrata tra le mura del castello, il tempo sembrò volare.

Fu con un sobbalzo fin troppo evidente che Mieczyslaw accolse quel violento bussare alla sua porta di casa e con un sospiro irritato, l’Omega si decise a uscire dalla sua stanza per poi scendere le scale; ringraziando l’idea paterna di posizionare quello strano visore per riconoscere gli ospiti inattesi, Mieczyslaw afferrò lo strumento metallico e lo abbassò prima di posare gli occhi nel visore.

Un verso a metà tra lo sconsolato e il disperato abbandonò le sue labbra non appena il volto deformato di Theo gli riempì la visuale e, notando come l’Alpha avesse ripreso a bussare violentemente contro la porta, Mieczyslaw gli aprì e corrucciò le sopracciglia notando l’abito indossato dal disturbatore.
 
 

«Law, oggi tutti i tuoi sogni si avvereranno!» urlò al settimo cielo Theo, ottenendo come risposta uno sbuffo fin troppo scocciato dal padrone di casa.

«Avevamo appurato questa mattina che tu non sai niente dei miei sogni.» gli ricordò Mieczyslaw, ghignando quando notò l’espressione smarrita messa su dal disturbatore «Ora, se non ti dispiace io…» ma l’Omega non finì mai la frase visto che Theo, scuotendo il capo, poggiò i palmi contro la porta e la spinse con tutta la forza che aveva, sbilanciando il padrone di casa e irrompendo nella piccola abitazione in legno «THEO! ESCI IMMEDIATAMENTE DA CASA MIA!» urlò furibondo Mieczyslaw mentre l’Alpha, ignorandolo completamente, si fissò davanti a un piccolo specchio e si sorrise maliziosamente; l’Omega roteò gli occhi e si voltò per andarsene in cucina per recuperare la scopa e cacciare quel fastidioso disturbatore in malo modo ma, non appena fece qualche passo, si ritrovò le braccia di Theo contro i fianchi «THEO!» sbraitò Mieczyslaw tentando di liberarsi inutilmente dalla presa dell’Alpha.

«Immagina…» sussurrò lascivamente il ragazzo contro il suo orecchio, facendo contorcere spiacevolmente lo stomaco al figlio dell’inventore «Una bella casa pulita e calda, la mia nuova preda che cuoce a puntino sul fuoco…» l’Omega si allontanò di scatto non appena Theo provò a mordicchiargli l’orecchio, gesto che fece ridacchiare l’Alpha «I piccoli che giocano con i cani… Naturalmente ne avremmo sei o sette!» esclamò allentando la presa da Mieczyslaw, permettendogli quindi di voltarsi e fronteggiarlo a viso aperto; odiava quel ragazzo, lo detestava con tutto se stesso, e rimpianse di non aver a portata di mano nessun arma con cui ferire gravemente e comunque mutilare quel pezzo d’imbecille intento a sorridergli maliziosamente «Indovina chi sarà il fortunato?» domandò Theo, avvicinandosi all’Omega con fare predatore «Tu, Law… Proprio tu sei il fortunato Omega che sposerò!» disse tentando di acciuffarlo nuovamente con lo scopo di baciarlo e palparlo ma Mieczyslaw, sgusciando come un’anguilla, si allontanò dall’Alpha e lo fissò disgustato; purtroppo la forza con gli Alpha era praticamente inutile, viste le loro doti, e alla fine l’Omega decise di sfruttare la sua arma preferita: la mente.

«Oh, Theo…» sussurrò lascivamente Mieczyslaw mentre indietreggiava lentamente verso la porta d’ingresso, che l’Alpha aveva immediatamente chiuso dopo essersi introdotto nell’abitazione «Sai… Posso diventare fastidioso…» Theo, però, ghignò e spostò grezzamente qualsiasi oggetto ostacolasse il suo percorso e nel giro di pochi istanti si ritrovò a schiacciare il corpo del più piccolo con il proprio, l’accenno di erezione che veniva sfregato lascivamente contro la coscia tesa dell’Omega.

«Ho già deciso.» sussurrò l’Alpha, chiudendo gli occhi e avvicinandosi con lo scopo di rubargli un bacio ma Mieczyslaw, ghignando maleficamente, afferrò la maniglia e la girò rapidamente prima di spingersi all’indietro, facendosi da parte subito dopo, scoppiando a ridere quando notò il capitombolo dell’Alpha all’interno di una pozza di fango.

«Oh, Theo, io non ti merito proprio!» esclamò divertito l’Omega prima di richiudersi la porta alle spalle, incurante della musica che aveva iniziato a riecheggiare nell’aria non appena la porta era stata spalancata.

«Allora?!» domandò euforico Donovan prima di venire afferrato per il colletto da un furioso Theo per poi essere scaraventato nel fango, sporcando ancor di più gli abiti dell’Alpha.

«Ho detto che Law sarà il mio Omega e così sarà!» urlò furiosamente Theo, incurante dei cittadini che, notando il fallimento, avevano iniziato a recuperare le varie cose per poi sparire dalla circolazione «Theo Raeken ottiene sempre ciò che vuole e se Theo Raeken ha detto che si legherà con Law, Theo Raeken si legherà con quel fottutissimo Omega!» sbraitò, non dimenticandosi di sballottare a destra e sinistra il suo amico prima di sollevarsi dal fango e sparendo rapidamente dalla vista, l’umore più nero del solito e un’espressione di pura furia a tirargli il volto.
 
 

Non ci volle molto prima che la folla si disperdesse e, dopo che anche l’ultimo cittadino fu sparito dalla circolazione, Mieczyslaw mise il naso fuori casa e osservò attentamente il paesaggio apparentemente calmo che si stagliava all’esterno dell’abitazione; sapeva di aver commesso un enorme errore poco prima ma la situazione non gli aveva permesso di far altro, vista l’assenza del padre o di qualsiasi altro Alpha in grado di bloccare quel Theo e la sua pessima proposta di legame. Sbuffando sonoramente e colpendo con forza la parete in legno, l’Omega uscì di casa e prese a calci un vaso vuoto lasciato incustodito sui gradini del portico, sorridendo quando sentì il rumore provocato dalla ceramica che cadeva in frantumi.
 
 

 
Signor Raeken, le obbedisco!
Signor Raeken, la sua metà!
E no, non io, lo garantisco!
La vita mia di certo cambierà…
 
 


«COS’HA BEVUTO QUEL PEZZO DI DEFICIENTE?!» sbraitò improvvisamente Mieczyslaw, incurante di poter essere ascoltato da qualcuno o dallo Theo «IO! L’OMEGA DI QUEL COGLIONE DEFICIENTE SENZA CERVELLO! IO! GELERÀ L’INFERNO PRIMA CHE MI LEGHI A UN ALPHA DEL GENERE! GIURO SU DIO CHE PREFERISCO CASTRARMI DA SOLO PIUTTOSTO CHE FARMI TOCCARE DA UN VERME COME LUI!» Mieczyslaw affrettò il passo e si recò alle stalle, troppo furioso per riprendere la lettura dove l’aveva interrotta a causa di quel demente dai capelli biondi «CON TUTTI GLI ALPHA PRESENTI IN QUESTO BUCO DI CULO DI CITTÀ DOVEVO NECESSARIAMENTE FARMI NOTARE DAL PEGGIO DEL PEGGIO?!» urlò afferrando malamente un secchio e cominciando a lanciare casualmente il mangime per le galline le quali, spaventate dagli urli e dai movimenti grossolani dell’Omega, preferirono fuggire piuttosto che buttarsi sul cibo.
 
 


 
Io voglio vivere di avventure…
E lo vorrei sempre di più…
Ma non c’è nessuno, ahimè…
Che capisca
 il perché…
Questo è quello che vorrei per me…
 



«Ma perché…» sospirò dopo qualche minuto Mieczyslaw e, per evitare di essere attaccato dalle due vacche presenti nella stalla, decise di camminare per qualche metro verso il confine della proprietà nella speranza di sbollire la rabbia che covava all’interno del suo corpo «Perché nessuno mi capisce?» sussurrò tristemente prima di lasciarsi cadere al suolo, sollevando una nube di denti di leone che gli pizzicarono il naso «Io non voglio legarmi, voglio viaggiare il mondo e scoprire i misteri… Voglio parlare con marinai e sentire le loro storie; voglio fare a braccio di ferro con un soldato e commerciare spezie in Asia… Ma perché per tutti sono solamente un bel corpicino da riempire con lo sperma nel momento più opportuno?» una singola lacrima percorse la sua guancia e l’Omega si ritrovò a singhiozzare a vuoto; la rabbia aveva ceduto il posto alla tristezza e quel senso d’inutilità tornò a sopraffarlo, rischiando di soffocarlo e trascinarlo sul fondale marino «Perché la mia vita non può essere come i libri che leggo? Perché non posso vivere un’avventura? Solo una! Una singola, piccola avventura e poi mi legherò con il primo Alpha che incontro!» disse intristito al cielo mentre le dita correvano a stringere i fili d’erba che poco a poco iniziarono a strapparsi, rubando un nuovo sospiro all’Omega; improvvisamente, però, il nitrito di un cavallo attirò l’attenzione di Mieczyslaw che, sollevando lo sguardo, sgranò gli occhi nell’osservare Roscoe che gli correva incontro «ROSCOE!» urlò il ragazzo, sollevandosi da terra e raggiungendo il cavallo che, ansimante, si lasciò coccolare dall’Omega «Dov’è papà?» domandò terrorizzato notando la presenza dell’invenzione e, mentre liberava l’animale da quel peso ormai inutile, mille e più scenari disastrosi si fecero largo tra la mentre preoccupata dell’Omega che, non perdendo tempo, saltò in sella al cavallo e lo costrinse a tornare nel bosco.
 
 

Seguire le tracce fu relativamente facile, visto che gli zoccoli di Roscoe e le scie provocate dal carretto erano perfettamente evidente nel terreno, e poco a poco Mieczyslaw iniziò a deglutire sempre con maggior frequenza notando come il bosco si stesse trasformando sempre di più in una foresta; ogni tanto gli occhi si staccavano dal pavimento per poter osservare la vegetazione intorno, rabbrividendo a causa del freddo che la sera stava portando e pregando di non incontrare nessuna creatura affamata, il ragazzo diede un piccolo calcio al cavallo al fine di aumentarne il trotto.

Quando Mieczyslaw giunse a un bivio ormai il buio stava completamente inondando l’ambiente e questo lo costrinse a velocizzare le ricerche; nonostante quella sera ci sarebbe stata la Luna piena, il ragazzo dubitava che la sua luce potesse filtrare attraverso la spessa coperta di rami che occupava il cielo. Un sospiro abbandonò le labbra dell’Omega quando osservò le impronte del cavallo assumere un aspetto confuso, come se la bestia stesse scappando da qualche cosa, ma oltre quel groviglio di segni non c’era più nulla e deglutendo un fastidioso groppo alla gola, l’Omega smontò da cavallo e si guardò attorno; ci volle qualche minuto affinché gli occhi, abituatosi poco a poco a quell’oscurità opprimente, individuassero il profilo della sacca che solo poche ore prima aveva consegnato al padre e con il cuore in gola, Mieczyslaw scese il piccolo dirupo che lo separava dal suo bottino.

L’Omega raccolse quegli stracci e chiamò il cavallo, il quale sbuffò e nitrì prima di raggiungerlo con un salto, e alla fine i due si misero a seguire le orme lasciate dall’Alpha e da quello che sembrava un piccolo branco di lupi; gli occhi di Mieczyslaw si riempirono di lacrime mentre s’immaginava il corpo senza vita del padre immerso in una pozza del suo stesso sangue, la carne strappata via dalle ossa e un’espressione di terrore a dipingergli il volto. Un singhiozzo abbandonò le labbra del giovane mentre aumentava i passi, coprendo la maggior distanza possibile in quel labirinto di rami, radici e tenebre; fu con un sussulto che il ragazzo venne investito dalla luce lunare, la quale lo costrinse a chiudere di scatto gli occhi a causa del momentaneo accecamento ma alla fine, dopo qualche secondo, Mieczyslaw riuscì a sollevare le palpebre mentre la bocca si spalancava in una o perfetta.

Lì, davanti a lui, si trovava un castello abbandonato.
 
 



Note finali: che ve ne pare? Piaciuto l’ingresso in scena di Derek? Ammetto a malincuore che l’inseguimento di Noah non mi piace granché ma la scena nel Classico è frettolosa e nonostante l’abbia rivista numerose volte non sono riuscito a fare di meglio; piccola precisazione: nella storia le tracce sul terreno assumeranno un ruolo fondamentale, soprattutto verso la fine, e questo perché ho cercato di rendere la storia il più reale possibile; da quello che sappiamo il castello della Bestia è ben nascosto eppure Belle non fatica troppo a trovarlo, così come gli abitanti del villaggio alla fine, perciò ho deciso di inserire l’elemento delle tracce.

Sì, Derek è nudo. Indossa solamente il mantello perché lo rende figo :3
 

Prima di salutarvi vorrei ringraziare tutti voi lettori silenziosi, coloro che hanno inserito le storie in una delle categorie di EFP e coloro che recensiranno.
 

A sabato quattro aprile!
 
 
Babbo Dark




FOTO:
Derek



Peter


Alan


Melissa

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Capitolo 4
*** IV - "Ha la mia parola..." ***


Note: lo so, lo so! L’aggiornamento doveva avvenire domani ma dato il prolungamento della quarantena e la tristezza che avvolge il mio animo, ho deciso di aggiornare un giorno prima.

Ora, gentilmente, vi chiedo di leggere queste note prima di buttarvi a capofitto nella lettura: io ADORO questo Classico Disney, è il mio secondo film preferito, ma purtroppo ci sono dei piccoli difetti che mi hanno fatto sempre storcere il naso; oltre al ritrovare il castello sempre e comunque (come accennato nel precedente capitolo) troviamo anche il clima che aleggia attorno al castello della Bestia. Ora, io non ho mai letto il libro ma conosco il mito e in tutte le versioni cinematografiche del film (fatta eccezione per “Beastly”) le avventure si svolgono in quello che sembra inverno; inoltre, quest’elemento viene “peggiorato” dallo scorrere del tempo all’interno della pellicola. Cerco di spiegarmi meglio:

Nel Classico sembra quasi che Bell sia rimasta prigioniera della Bestia per due/tre giorni quando in realtà non è così (parte da casa che è estate, torna con il padre che è inverno) quindi per evitare problematiche durante la stesura della storia ho fatto in modo che nei territori controllati da Derek vigesse un inverno perenne, il quale sarebbe sparito non appena la maledizione venisse annullata, inoltre, Stiles parte da casa per cercare suo padre durante i primi di agosto e torna a casa i primi di dicembre. Spero di essermi spiegato bene ^^”

Altro elemento: niente canzoni in questo capitolo.

Quiiiiindi… Direi bando alle ciance e buona lettura!
 
Babbo Dark
 
 
 
 
Little Red Riding Hood and the Cursed Wolf
Capitolo IV: “Ha la mia parola…”
 
 

Mieczyslaw osservò a bocca aperta il pesante cancello arrugginito posto davanti a sé e si ritrovò a deglutire inutilmente nel tentativo di eliminare quella fastidiosa sensazione di secchezza che provava alla gola ma alla fine, sospirando e pregando che il padre avesse trovato rifugio in quel maniero, il ragazzo spinse con forza la cancellata, rabbrividendo quando la sentì cigolare sinistramente sui cardini arrugginiti; seguito dal fedele cavallo, Mieczyslaw richiuse il cancello alle sue spalle e si avvicinò cautamente al castello, rabbrividendo quando vide le mostruose statue poste sui bastioni che gli davano l’impressione di essere osservato e seguito costantemente. Aumentando il passo, il ragazzo si ritrovò a bussare contro la pesante porta in mogano ma, quando notò che nessuno era venuto ad aprirgli nonostante il tempo trascorso, si fece coraggio e spinse il portone, trovandolo stranamente socchiuso; per sicurezza, fece un semplice nodo alle redini di Roscoe al fine di tenerlo fermo e garantendosi così un mezzo di fuga qualora ce ne fosse stata la necessità.

In cuor suo, Mieczyslaw sperava di trovare il padre accovacciato davanti al camino di quel castello apparentemente disabitato ma non appena entrò fu costretto a ricredersi: l’aria nel maniero era fredda e puzzava incredibilmente di chiuso, cosa che fece storcere il naso al ragazzo; decidendo di non prestare attenzione alle statue e ai quadri presenti nel salone che lo accolsero, l’Omega si addentrò nella struttura e iniziò a guardarsi attorno nella speranza di individuare la figura familiare del padre. Sfortunatamente il buio gli impediva di distinguere qualsiasi cosa e ben presto fu costretto ad allontanarsi dallo spiraglio di luce che dall’ingresso si estendeva lungo il pavimento impolverato e malmesso; sospirando rumorosamente, Mieczyslaw benedì la mantella rossa che aveva indossato poco prima di uscire di casa e cominciò a chiamare il padre a gran voce, ricevendo in risposta solamente l’eco delle sue parole.
 
 

«Hai visto?» Peter sgranò gli occhi e osservò la magra figura dell’Omega che cautamente si muoveva nel buio della sala; Alan sospirò rumorosamente e spinse leggermente il candelabro, ben ricordandogli la sfuriata praticamente ruggita dal loro Padrone solamente poche ore prima.

«Sta buono!» bisbigliò irritato l’orologio ma, non appena sbatté le palpebre, Peter si era già mosso verso la porta che li avrebbe condotti alle torri «Che vuoi fare?!» disse furioso Alan non appena lo raggiunse.

«Hai sentito Cappuccetto Rosso, no?» chiese retoricamente il candelabro con un’aria di chi la sa lunga «Cerca il padre e vuoi davvero impedire a un piccolo Omega di non vedere più il suo Alpha di famiglia?» Alan si lasciò sfuggire un lamento disperato ma alla fine si ritrovò ad aiutare l’amico, provocando piccoli rumori affinché l’attenzione Mieczyslaw venisse catturata a dovere.

«Chi c’è?» domandò poco dopo il ragazzo, facendo sorridere compiaciuto Peter che, concentrandosi appena, fece nascere delle piccole fiamme lungo le tre candele che adornavano il suo corpo d’ottone; attirato da quella luce come una falena, Mieczyslaw si ritrovò a seguirla con il cuore che scalpitava furiosamente in gola «Papà?» domandò, sussultando quando percepì il cigolio di una porta che si apriva; deglutendo, l’Omega si sbrigò a raggiungere la porta appena aperta, ritrovandosi davanti a una sfilza di gradini che lo avrebbero condotto verso l’alto «Aspetti! Cerco mio padre!» urlò il ragazzo, iniziando a correre per quella ripida scalinata «Si chiama Noah, è alto e ha i capelli castano chiaro; si è perso!» urlò a corto di fiato prima di ritrovarsi davanti a quelle che sembravano delle celle mal ridotte e dal pesante odore di muffa, la stanza illuminata da una singola torcia che ardeva appesa a una parete «Che strano… Ero convinto che ci fosse qualcuno…» borbottò l’Omega osservandosi a destra e sinistra prima di recuperare l’unica fonte di luce disponibile per poi essere attirato da un colpo di tosse fin troppo forte.

«Stiles?» la voce arrochita di suo padre gli fece nascere un piccolo sorriso sul volto e abbandonata ogni preoccupazione, Mieczyslaw corse verso l’unica porta chiusa e s’inginocchiò sul freddo marmo «Bimbo mio…» sussurrò distrutto suo padre, allungando il braccio attraverso il piccolo spazio lasciato libero dalle sbarre poste alla base della pesante porta in noce; padre e figlio si concessero di sorridere non appena la fredda mano di Noah iniziò a carezzargli la guancia. Venendo bagnata da qualche lacrima versata da Mieczyslaw.

«Oh, papà… Ho temuto il peggio…» singhiozzò l’Omega, beandosi di quelle carezze così delicate «Chi ti ha messo qui?» domandò preoccupato.

«Il mostro…» sussurrò terrorizzato Noah, facendo saettare lo sguardo a destra e sinistra «Scappa Stiles, scappa da questo luogo infestato! Almeno tu salvati, figlio mio!» disse deglutendo più e più volte, il fiato reso corto dalla paura e dalla tosse.

«Non dire sciocchezze! Ora ti libero!» disse invece Mieczyslaw, sollevandosi e illuminando meglio le pareti spoglie attorno alla cella.
 
 

Improvvisamente, però, un ringhio si propagò nell’aria e nell’attimo esatto in cui l’Omega si voltò qualcuno afferrò saldamente la torcia e la scagliò lontano, facendola spegnere; Noah iniziò a sussurrare delle preghiere disperate mentre Mieczyslaw, deglutendo rumorosamente, iniziò a guardarsi attorno per poi sobbalzare quando notò due occhi rossi fissarlo intensamente da un angolo della sala.

La strana figura si mosse rapidamente per la stanza, facendo riecheggiare il rumore provocato dagli artigli contro il marmo, e l’Omega si avvicinò maggiormente alla cella del padre il quale, disperatamente, afferrò le caviglie del figlio e riprese a pregare qualcuno affinché permettesse al ragazzo di essere lasciato libero; fu allora che il mostro si fermò a qualche metro di distanza dai due, separato dall’Omega solamente da un fascio di luce che era penetrato da una fessura sul soffitto e che consentì a Mieczyslaw di orientarsi meglio nella sala.
 
 

«Non saresti dovuto venire…» una voce bassa e gutturale fece accapponare la pelle dell’Omega, il quale si ritrovò a boccheggiare davanti alla figura misteriosa.

«Sono… Sono qui per mio padre.» disse con tono autoritario il giovane, sfruttando la presa allentata di suo padre per avanzare di un passo e sollevare il mento in segno di sfida; la figura lo studio per qualche istante, e Mieczyslaw poté giurare di aver visto un bagliore sinistro spandersi dalla sua bocca.

«Stava curiosando in giro.» ringhiò minacciosamente il mostro, avvicinandosi con cautela così come un predatore farebbe con la sua preda.

«Non voleva causarvi problemi, signore, e poi è malato! Non sentite come tossisce?!» domandò Mieczyslaw non appena il respiro del padre venne strozzato da una serie di colpi di tosse profonda.

«Non è un mio problema. Lui rimane. Tu vattene.» ordinò continuando a ringhiare furiosamente verso l’Omega il quale, deglutendo, lanciò uno sguardo al padre e singhiozzò; Noah era incredibilmente pallido, le labbra stavano divenendo blu e non riuscivano a stare ferme a causa dei tremori che le attraversavano.

«Figlio mio, vattene…» lo supplicò Noah con gli occhi lucidi; un paio di calde lacrime solcarono il viso del ragazzo che, sopraffatto dalle emozioni, si costrinse a distogliere lo sguardo dal volto paterno per puntarlo verso la figura oscurata del mostro.

«Se io rimango, lo lascerà andare?» domandò di getto Mieczyslaw, facendo sgranare gli occhi alla creatura misteriosa.

«Lei?!» domandò in un ringhio il mostro.

«No! Mieczyslaw, questo è un ordine: vattene via!» urlò Noah in contemporanea al padrone del castello ma ormai l’Omega aveva preso una decisione e lottò con tutto se stesso per non piegare la testa e ubbidire alle disperate parole del padre.

«Lei… Lei rimarrebbe qui?» domandò con un’insolita insicurezza la creatura, elemento che fece corrucciare appena le sopracciglia del ragazzo.

«Mieczyslaw, tu hai tutta la vita davanti agli occhi; io sono vecchio, posso restare qui. Scappa figlio mio, scappa lontano!» tentò nuovamente Noah prima di fermarsi a causa di un violento attacco di tosse che gli provocò un conato di vomito.

«Sì. Rimarrò qui.» si apprestò a dire Mieczyslaw, disperato per le condizioni del padre.

«In questo caso non dovrà mai più abbandonare il castello, sono stato chiaro?!» domandò in un ringhio il mostro, facendo sussultare dallo spavento il giovane.

«Venga… Venga nella luce…» disse Mieczyslaw, deglutendo nervosamente; la creatura, però, parve sconcertato da quella richiesta e dopo aver fatto saettare le iridi rosse a destra e sinistra iniziò a muoversi verso quell’unico fascio di luce che rischiarava la stanza.
 
 

L’Omega spalancò la bocca quando una zampa nuda e mostruosa fu illuminata dalla luce della Luna, evidenziando i lunghi artigli neri e i tendini che si flettevano sotto la pelle scura; poco a poco una lunga gamba muscolosa, fin troppo simile a quella di un lupo e ricoperta da una folta pelliccia nera, venne bagnata dai raggi lunari e Mieczyslaw si costrinse a distogliere lo sguardo quando notò l’inguine nudo del mostro. Il petto ampio della creatura fece mostra di sé agli occhi dell’Omega, subito accompagnata da due lunghe braccia che via via si assottigliavano fino a mostrare due zampe mostruose, prive di pelliccia e spaventosamente simili ai piedi; infine, con una lentezza esasperante, la creatura si mostrò all’Omega che perse un paio di battiti nell’osservare quello che, a tutti gli effetti, poteva essere definito come uno scherzo della natura. La testa pelosa dalle fattezze di un lupo metteva fin troppo in evidenza le iridi scarlatte e le lunghe corna che si incurvavano verso l’alto, nere e minacciose come gli artigli.

Deglutendo e lasciandosi sfuggire un paio di lacrime, Mieczyslaw chiuse gli occhi e annuì sussurrando un debole ‘Ha la mia parola…’ prima di cadere in ginocchio, incurante del grido disperato che abbandonò la gola di suo padre.
 
 

«Bene.» sentenziò la bestia, aprendo la cella e afferrando malamente l’Alpha prima di trascinarlo a forza fuori la stanza per poi correre rapidamente verso l’uscita.

«STILES! NO, STILES NO! MOSTRO! LASCIAMI! STILES!» Noah scoppiò in lacrime nell’udire il ‘Perdonami, papà…’ appena sussurrato dal suo unico figlio e tentò inutilmente di liberarsi da quella presa ferrea ma alla fine, urlando il suo dolore, l’Alpha venne malamente gettato in una carrozza la quale, subito dopo che lo sportello venne chiuso, si alzò traballante liberandosi dai rampicanti che erano cresciuti indisturbati su di lei «Portatelo al villaggio, e che non faccia più ritorno!» ordinò il mostro, ignorando le preghiere disperate dell’uomo e le lacrime che continuava a versare.
 
 

Ringhiando irritato, la creatura tornò nel suo castello correndo a quattro zampe e si prodigò per raggiungere il più rapidamente possibile il prigioniero, ignorando i commenti della servitù riguardo il comportamento da adottare con il ragazzo, e con un salto atterrò pesantemente sul polveroso pavimento; fu distratto da un singhiozzo disperato che proveniva dall’ultima cella occupata e con una leggerezza che non credeva di avere, il mostro osservò nella stanza la figura infreddolita e disperata dell’Omega che continuava a osservare la strada dalla piccola finestra sbarrata della torre.

Mieczyslaw si allontanò e si rannicchiò contro la parete, il petto scosso dai singhiozzi e l’anima distrutta da quell’addio forzato e imprevisto; il ragazzo si maledisse per tutte le volte che aveva alzato la voce o litigato con il genitore, desiderando solamente riabbracciarlo e sparire da quel luogo lugubre, risvegliandosi nel suo caldo letto nella sua piccola casa. Purtroppo però quei desideri non potevano avverarsi e l’Omega percepì distintamente il suo cuore spezzarsi definitivamente quando si rese conto che in quella torre avrebbe trovato la morte.
Niente più luoghi esotici, niente più viaggi, niente più avventure…
Mieczyslaw Stilinski sarebbe morto in una fredda torre posta in una foresta probabilmente maledetta dopo aver salvato suo padre.
 

Troppo perso in quell’oceano di dolore, l’Omega si perse l’espressione distrutta che oscurò i tratti del mostro il quale, grattandosi distrattamente la nuca e sospirando rumorosamente, si ritrovò a provare pena per quel piccolo ragazzino con la mantella rossa; ritrovandosi a deglutire, improvvisamente a disagio, la creatura si schiarì la gola, attirando l’attenzione di Mieczyslaw.
 
 

«Non mi ha neanche dato la possibilità di salutarlo… Di dirgli addio… Non lo rivedrò mai più…» singhiozzò l’Omega portandosi le gambe ad aderire al petto mentre le braccia correvano a stringere maggiormente quel triste abbraccio, la testa abilmente nascosta nell’incavo creato e dal cappuccio calato; il mostro abbassò il capo, improvvisamente intristito da quella vista, e sospirò nuovamente.

«Mi segua, le mostro la sua stanza.» borbottò a mezza voce, attirando immediatamente le attenzioni dell’Omega.

«Stanza?» domandò immediatamente il ragazzo «Ma… Ma io… Io credevo che…» si ritrovò a balbettare, facendo irritare il padrone del castello.

«Vuole rimanere nella torre?!» sbraitò furente il mostro, facendo tremare visibilmente il giovane.

«No…» sussurrò intimorito Mieczyslaw.

«Allora mi segua.» ordinò il mostro prima di afferrare un fin troppo curioso Peter, nascosto in un incavo nel muro, per poi iniziare a scendere le scale, subito imitato dall’Omega.
 
 

Mieczyslaw si osservò intorno, rabbrividendo costantemente nell’osservare le mostruose statue malamente illuminate dalla luce delle candele; minotauri e demoni si stagliavano minacciosamente dal muro, le braccia di granito protese verso tutti coloro che si avventuravano per quei corridoi polverosi e malmessi. L’Omega lanciò uno sguardo alle finestre, notando come la luce lunare faticasse a penetrare nel castello e si ritrovò a deglutire quando notò che tutt’attorno alla proprietà si estendeva per chilometri e chilometri quella maledettissima foresta, impedendogli addirittura di localizzare la città che per oltre un anno si era ritrovato a odiare; sospirando rumorosamente, il ragazzo fissò attentamente l’ampia schiena del suo aguzzino, perfettamente celata ai suoi occhi da un semplice mantello viola, e preferì tornare a scrutare l’ambiente circostante piuttosto che concentrarsi sul macabro suono provocato dagli artigli della bestia contro il pavimento.

Un lieve borbottio proveniente dal mostro fece sollevare appena il capo del ragazzo ma questi, subito dopo, sospirò nuovamente e tornò a fissare il pavimento mentre due nuove lacrime si unirono alle sorelle, bagnandogli il volto; perso nel proprio dolore, Mieczyslaw non si rese conto che la creatura continuava a lanciargli degli sguardi di soppiatto, né l’espressione contrita che primeggiava sul volto del mostro.
 
 

«Padrone… Avanti…» sussurrò Peter dopo qualche attimo, ricevendo un’occhiataccia da parte della creatura «Faccia il galante! Faccia colpo!» il mostro si ritrovò a sbuffare sonoramente e voltò nuovamente il capo verso il giovane che lo seguiva, ritrovandolo immerso a osservare i quadri con uno sguardo saturo di disperazione che continuava a bagnarsi a causa delle lacrime; la bestia si ritrovò a trattenere il fiato, intristito da quella visione e per un attimo maledisse il suo caratteraccio che più volte l’aveva condotto in situazioni spiacevoli, non ultima la maledizione che li aveva colpiti, e si chiese cosa gli fosse venuto in mente quando accettò quello scambio. Certo, l’Omega poteva aiutarli a spezzare la maledizione ma il rapimento di certo non era il modo con cui iniziare quel percorso che, teoricamente, doveva sfociare nell’amore.

«Ehm…» borbottò la creatura, attirando nuovamente l’attenzione di Mieczyslaw che sollevò il capo e lo fissò con i suoi occhi chiari e fin troppo grandi «Il castello ora è la sua casa…» iniziò timidamente, venendo incentivato da un Peter fin troppo esuberante che continuava a muovere le piccole candele poste all’estremità dei suoi bracci «Può andare dove vuole e fare ciò che più la aggrada, ma non deve mai entrare nell’ala ovest del castello. Chiaro?!» domandò con un pericoloso ringhio nella voce.

«Cosa… Cosa c’è nell’ala ovest?» si arrischiò a chiedere Mieczyslaw, pentendosene subito dopo; la bestia, infatti, si era voltato di scatto, facendo svolazzare con grazia il mantello, e ruggì con tutta la forza che aveva in corpo.

«È PROIBITA!» sbraitò fuori di sé, il petto che si alzava e abbassava a causa delle emozioni che lo scombussolavano; l’Omega arretrò di qualche passo e annuì freneticamente, versando altre lacrime a causa della paura che gli dilaniava l’animo. La bestia sbuffò e tornò sui suoi passi, non perdendosi l’occhiata inacidita che Peter gli riservò.

«Ci parli di noi.» sussurrò il candelabro prima di voltarsi appena, notando con stupore come il ragazzo avesse ripreso a seguire il suo padrone.

«Se le serve qualche cosa, le basta tirare una delle corde presenti nella sua stanza e la servitù sarà immediatamente da lei.» borbottò a mezza voce la creatura, ricevendo un cenno del capo da parte del ragazzo come unica risposta.

«Il nome! Gli chieda il nome!» sussurrò eccitato Peter.

«Come devo rivolgermi alla sua figura? Qual è il suo nome?» domandò improvvisamente timido il mostro, svoltando a destra e proseguendo per un altro lungo corridoio fortunatamente privo di statue raccapriccianti.

«Mieczyslaw.» rispose solamente l’Omega, ricevendo uno sbuffo in risposta.

«Io sono Derek, il padrone del castello.» spiegò dopo qualche minuto la bestia «Sono un Alpha.» precisò subito dopo.

«Il calore, Padrone! Gli chieda del calore!» domandò Peter muovendosi rapidamente nella presa della bestia.

«Sei impazzito?!» ringhiò a bassa voce Derek, facendo tremare di paura il giovane Omega; Peter, però, incrociò le braccia e sollevò un sopracciglio di cera «Quando verrà il suo calore?» domandò imbarazzato al massimo la creatura, vinto dall’espressione messa su dal suo servitore.

«Non mi accoppierò con lei! Neanche se fosse l’ultimo Alpha presente sulla faccia della Terra!» disse risoluto Mieczyslaw, la rabbia che gli induriva i lineamenti e i pugni stretti lungo il busto.

«Non ho alcuna intenzione di toccarla!» sbraitò a sua volta l’Alpha, gli occhi sgranati e le orecchie abbassate a sfiorare la grande testa lupina; se Mieczyslaw non fosse stato scombussolato da tutte quelle emozioni, probabilmente sarebbe scoppiato a ridere a causa della comicità di quell’espressione a metà tra lo shoccato e l’imbarazzato che primeggiava sul volto della creatura «Quando… Quando… Quando avverrà…» borbottò a testa bassa Derek «Me lo faccia sapere, io rimarrò nell’ala ovest e le farò recapitare tutto il necessario per passare il periodo in tranquillità…» disse prima di tornare a camminare, sospirando di sollievo quando osservò l’unica stanza ancora decente presente in tutto il castello «Si ricordi quello che le ho detto.» sbuffò dopo aver aperto la porta e permesso all’Omega di entrarvi e, seguendolo con lo sguardo, Derek notò come il ragazzo iniziò a guardarsi attorno e giudicare silenziosamente la sua sistemazione.

«Lo inviti a cena!» sussurrò Peter mentre percepiva la stretta sul suo manico aumentare considerevolmente.

«Lei… È pregato di presentarsi a cena. E NON È UN INVITO!» precisò Derek con un urlo prima di sbattersi la porta alle spalle e allontanarsi a passo spedito, incurante del fatto che il suo nuovo ospite fosse corso verso il letto per poi buttarcisi a peso morto.
 
 

I singhiozzi iniziarono a riempire la stanza e le coperte polverose si ritrovarono ben presto bagnate dalle lacrime dell’Omega, incurante dello sguardo dispiaciuto e impietosito che un armadio gli rivolse; poco a poco la neve iniziò a cadere fiocamente oltre la finestra, accompagnando il dolore del ragazzo e isolandolo ancor di più dal resto del mondo.
 
 

 
Note finali: eccoci tornati, che ne pensate? Sinceramente io adoro le interazioni imbarazzate tra Belle e Adam (cioè la Bestia per chi non lo sapesse) e ho tentato di riportarle nella storia; a differenza del Classico, dove non viene mai rivelato il nome della Bestia, qui è Derek stesso a fare le presentazioni e sì, è nudo come un pulcino.

La descrizione del castello lascia un pochino a desiderare, per quella dovrete aspettare il prossimo capitolo; mentre scrivevo questo, infatti, ho pensato che Stiles avesse dato una sbirciata in giro per poi essere attirato da Peter e Alan verso le torri. Solo successivamente gli interni del castello saranno descritti quindi portate pazienza.

Chi sarà mai il personaggio nella stanza del piccolo Omega? Via al televoto!
  1. La Regina Elisabetta II
  2. Mia cugina in cariola;
  3. La Monaca di Monza;
  4. Un caciocavallo;
  5. Madonna;
Votate festosi e festanti! – cit.

Tornando seri per un momento, cosa ne pensate del capitolo? Come vi è sembrato Derek? Soddisfatti o rimborsati o meno della sua descrizione?
 

Comunque ragazzi io vi adoro! Quando ho aperto EFP l’altro giorno e ho visto ben quattro recensioni mi è preso un colpo, pensavo che nessuno si filava la storia e invece mi avere riempito il cuoricino di gioia ‹3
Innanzitutto ringrazio tutti voi che leggete silenziosamente queste righe, siete i miei amori, ma un ringraziamento va anche a tutti gli utenti che hanno messo la storia in una delle categorie di EFP e infine, ma non meno importante, un enorme e speciale grazie a Emoglobyna, miky9160, Naruko Namakaze Uciha e Fata_Morgana 78 per aver recensito lo scorso capitolo! Siete quattro stelle :*

Il prossimo aggiornamento avverrà sabato 11, sempre se non cambio idea XD
 
Alla prossima!
 
 
 
Babbo Dark

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Capitolo 5
*** V - Il piano di Theo ***


Note iniziali: eccoci qui con questo nuovo capitolo! Lo so, avevo detto che l’aggiornamento sarebbe arrivato l’undici ma nelle recensioni ho notato come TUTTI stiate aspettando il primo incontro tra Stiles e Derek e questo avverrà nel prossimo capitolo, quindi ho pensato di aggiornare oggi (visto che tutto il capitolo è incentrato sul villain) per poi pubblicare l’undici il capitolo Sterek; per la scena della cena, e quindi del ballo, dovrete aspettare un pochino purtroppo :/

Prima di lasciarvi alla lettura, però, devo avvertirvi di una cosa: nel capitolo vi è una scena lime (da qui il raiting arancione) tra Theo e Donovan (Thonovan?) e se la cosa vi dà fastidio vi chiedo di ignorare il capitolo, non è niente di che ma se qualcosa infastidisce, infastidisce; inoltre, vorrei un attimo spiegare il comportamento del “mio” Theo.

Nel Classico, purtroppo, non ci sono molte scene con protagonista Gaston ma in base alle poche informazioni che abbiamo su di lui ho pensato di lavorarci sopra, elaborando un personaggio che fosse l’incrocio tra i Theo di Teen Wolf e il nostro Gastone; ammetto di aver utilizzato le mie piccole conoscenze in abito psicologico per amalgamare il tutto e consultandomi con una collega abbiamo “diagnosticato” (psichiatri, non uccidetemi) un disturbo narcisistico di personalità per il nostro villain. In poche parole: Theo si crede perfetto in tutto quello che fa, come lo fa, con chi lo fa e non si crea problemi a sfruttare il prossimo per raggiungere i suoi obiettivi (come vedremo più avanti); per questo, nel capitolo, vedrete un Theo MOLTO più esibizionista rispetto a Gaston, oltre che un piccolo Alpha pervertito.

Non credo di dover aggiungere altro, se non lo stile dei partecipanti alla canzone, e quindi vi lascio alla lettura; ci vediamo sotto!

Babbo Dark
 

 
Donovan
Theo
Folla
Omega
 

 
 
Little Red Riding Hood and the Cursed Wolf
Capitolo V: Il piano di Theo
 


«DANNATO MOCCIOSO!» l’urlo di Theo riecheggiò nella taverna gremita di gente mentre l’ennesimo boccale di birra intoccato veniva scagliato con forza nel caminetto, facendo volare le schegge di vetro ovunque mentre il fuoco avvampava a causa dell’alcool «RIPUDIATO! RESPINTO! UMILIATO DAVANTI A TUTTI!» urlò l’Alpha, incurante degli sguardi preoccupati che i clienti gli lanciavano di tanto in tanto; quel pomeriggio tutti si aspettavano di applaudire festosi dopo il fatidico sì tant’è che James, suo padre, aveva tirato fuori la birra di riserva per poter festeggiare adeguatamente il proprio figlio ma dopo la figuraccia subita da quello strano Omega, la voce si era sparsa rapidamente per tutta la città e nessun Alpha di famiglia volle risparmiarsi dal porgere la propria vicinanza a Theo, scambiando con lui numerose battute al vetriolo su quel ragazzo tanto folle da rifiutarlo.

«Un’altra birra?» la voce di Donovan lo riscosse dai suoi pensieri e l’Alpha lo folgorò con lo sguardo prima di spostare la poltrona e sistemarsi meglio davanti al fuoco, incurante del calore che pareva ustionargli la pelle «Andiamo, Theo, quel cretino non ti merita…» provò a rabbonirlo il Beta, ricevendo in risposta solamente uno sbuffo scocciato «Non fare così…» sussurrò ma fu costretto ad allontanarsi di scatto visto che Theo provò a colpirlo con un gancio destro ben assestato.

«Sono lo zimbello della città, a che servono queste parole?!» sbraitò furioso l’Alpha prima di folgorare con lo sguardo l’amico, che deglutì nervosamente.
 

 
Io sto soffrendo per te mio Theo…
No, non buttarti più giù…
Tutti vorrebbero essere Theo!
Cerca di stare un po’ su,
nessuno in città è più stimato di te!
sei quello che ammiran di più…
Ogni ragazzo è ispirato da te,
perché il loro campione…
Sei tu!

 

 
«Ora non dire così!» esclamò con un improvviso coraggio Donovan, sorridendo appena quando notò che l’altro si limitò a sbuffare «Tu sei l’Alpha che tutti vogliono essere e diventare!» disse indicando i pochi ragazzi che trangugiavano avidamente la birra dai boccali scheggiati i quali, appena si resero di essere osservati dall’Alpha, iniziarono a parlottare tra loro e lo salutarono emozionati.

«Mocciosi…» borbottò Theo roteando gli occhi.

«E vogliamo di queste tre bellezze?» domandò Donovan indicando i tre Omega che, proprio quello stesso pomeriggio, erano stati ben lieti di accoppiarsi con lui; i ragazzi, infatti, arrossirono e iniziarono a spargere ferormoni per tutto il locale con lo scopo di attirare le attenzioni di Theo. L’Alpha, infatti, ghignò maliziosamente e percepì il proprio membro contrarsi e indurirsi, stimolato da quegli odori deliziosi che non facevano altro che influire sui suoi ormoni «E tutti gli Alpha di famiglia?!» il Beta indicò i vari uomini intenti a parlottare malvagiamente riguardo quel giovane Omega che, all’oscuro di tutto, veniva accompagnato nella sua nuova stanza da un mostro con le sembianze lupine «Theo, sai quanti giovani Alpha sono invogliati a imitarti, a eguagliarti? Cavolo! Si parla solamente di te e tutti sono con te!» disse Donovan, sorridendo trionfante quando vide il morale dell’amico rialzarsi poco alla volta.
 
 
Il più furbo è Theo!
Il più svelto è Theo!
Il tuo collo è il più forte del mondo Theo!
Non c’è un Alpha in città un po’ gagliardo,
paragonabile a te…
Chiedi a Tizio, a Caio, a Riccardo…
Ti diranno che un ganzo più ganzo non c’è!
 
 

«E vogliamo parlare del tuo fisico?!» chiese retoricamente il Beta prima di posargli lascivamente un braccio sulle spalle e sorridergli «Tralasciando i tuoi bicipiti d’acciaio, che tutti vorrebbero leccarli, ma concentrati un attimo sul tuo petto scolpito e i tuoi addominali!» Theo ghignò e sollevò la maglia senza pudore alcuno, facendo sospirare pesantemente tutti gli Omega presenti «Tutti i giovani Alpha vorrebbero avere un fisico come il tuo! E guarda laggiù, verso Liam Dunbar…» Theo sollevò gli occhi e incrociò quelli dell’altro Alpha il quale distolse immediatamente lo sguardo e arrossì fino alla punta delle orecchie «Perfino lui vorrebbe leccarti gli addominali e hai visto tu stesso l’effetto che hai fatto ai tre Omega oggi pomeriggio, no?» chiese indicandogli il succhiotto lasciatogli poche ore prima sopra il pettorale destro, cosa che fece ghignare maliziosamente Theo «E poi…» sussurrò lascivamente Donovan, carezzandogli una coscia muscolosa e finendo per palpargli maliziosamente il membro ormai eretto e costipato all’interno dei pantaloni ruvidi «Questo tuo amico ti ha dato fin troppe soddisfazioni…» disse aumentando la presa e sorridendo al gemito osceno che abbandonò le labbra dell’Alpha «Tutti si meravigliano davanti al tuo cazzo e tutti fanno fatica a separarsene! Anche io…» sussurrò Donovan prima di togliere di malavoglia la mano dal cavallo dell’amico.

«Cazzo se hai ragione!» urlò Theo prima di alzarsi immediatamente dalla poltrona e fissare eccitato i presenti che, davanti al suo gesto e incuranti dell’erezione fin troppo evidente del ragazzo, sollevarono i boccali e urlarono il suo nome.
 
 
Il più grande è Theo!
Prestigioso Theo!
La fossetta sul mento più sexy Theo…

Riesco a mettere tutti in soggezione!
Che vero uomo è Theo!
 
 

«Ehi, Donovan, se non smetti di toccargli l’uccello ti scoperà!» urlò un divertito e fin troppo sbronzo Alpha.

«Come se non fosse già successo!» sbraitò un Beta completamente ubriaco, facendo ghignare maliziosamente Theo.

«Che devo dirvi, amici miei, tutti quanti vorrebbero venire a letto con me!» disse ridendo l’Alpha prima di afferrare un boccale e svuotarlo tutto d’un fiato, la rabbia improvvisamente sparita e trasformata in eccitazione pura.

«Theo…» sospirarono meravigliati i tre Omega prima di iniziare a urlare eccitati non appena il ragazzo, scrutandoli attentamente, iniziò a massaggiarsi l’erezione.

«Che vi dicevo?» chiese retoricamente agli Alpha presenti «Mi basta sfiorarmi l’uccello e i pollastri urlano e si dimenano!» disse facendo ridere sguaiatamente i presenti «Metto tutti in soggezione, lo so…» ridacchiò il ragazzo prima di riempirsi nuovamente il boccale.

«Il suo sedere è duro come il marmo e bello come il peccato…» sussurrò uno dei tre Omega, piegandosi in avanti e gemendo appena nel vedere il pomo d’Adamo dell’Alpha muoversi a ogni deglutizione.

«Ma sta al tuo posto!» lo riprese un Alpha prima di afferrarlo malamente per il colletto della maglia e sbatterlo rudemente a terra, facendo nuovamente scoppiare a ridere i presenti.
 
 

 
Theo è il migliore di tutti si sa…
Quante botte Theo!
Quant’è forte Theo!
Nella rissa chi morde più forte è Theo…
Non esiste qualcuno più duro!


 
 

«Theo è il migliore di tutti!»

«Non esiste un Alpha più Alpha di lui!»

«Dicono che abbia ucciso più di cento bestie con il suo moschettone!»

«Io ho sentito dire che ha soddisfatto trenta Omega in una sola giornata!»

«Tutti i giovani Alpha dovrebbero ispirarsi a lui! A Theo!»
 
 

Il ragazzo si crogiolò in quelle frasi, bevendo e brindando ogni qual volta che qualcuno urlasse una delle sue imprese o solamente il suo nome e, mentre molti Beta e giovani Alpha cadevano in preda all’alcool, lui rimaneva perfettamente lucido; si sentiva euforico, certo, ma Theo Raeken non si faceva sconfiggere tanto facilmente dall’alcool e la birra aveva sempre perso i loro scontri.

Le risate iniziarono a saturare la taverna mentre le ordinazioni scorrevano rapidamente, Donovan lo seguiva come un’ombra e rideva sguaiatamente alle sue battute facendolo sentire imbattibile; improvvisamente, Theo si levò la maglia e la lanciò contro quel Liam che, senza farselo ripetere due volte, l’afferrò al volo e se la portò al naso, annusando a pieni polmoni l’odore maschio dell’altro. Fu naturale, quindi, che Theo iniziasse a gonfiare i muscoli e pavoneggiarsi davanti a tutti, gongolando superbamente quando Alpha e Beta iniziarono a palparlo e vezzeggiarlo, complimentandosi con lui; l’ego del ragazzo aumentò a dismisura nell’esatto istante in cui qualche Omega fin troppo avventuroso iniziò a leccargli lascivamente gli addominali mentre la schiena tonica veniva carezzata lascivamente da un giovane Beta eccitato quanto lui.

L’erezione gli scoppiava e quasi urlò di piacere quando quel piccolo Omega insolente gl’infilò una mano nei pantaloni e iniziò a masturbarlo rapidamente, gemendo nel sentire la dura consistenza dell’Alpha nelle sue mani.
 
 

«Vedo che ti è mancato il mio amico…» sussurrò maliziosamente Theo prima di mordersi le labbra, evitando di gemere in mezzo a quella calca di gente accaldata ed eccitata; l’Omega sparse ancor più ferormoni nell’aria e non ci volle molto prima che altri mani andassero a vezzeggiargli il membro iperstimolato, portandolo rapidamente all’orgasmo «Questo ci voleva…» sbuffò rilassato l’Alpha, ghignando quando vide Omega e Beta che si stavano eccitando a causa del caldo seme che colava sulle loro mani.
 


 
I miei muscoli sembran scoppiar!
Il suo corpo è più saldo di un muro…
È vero! E su tutto il corpo di peli ne ho un mar…
 
 
 
 
La calma post-orgasmo venne interrotta dal rumore di vetri infranti e, sollevando di scatto il capo, Theo sorrise nel vedere gli Alpha iniziare una rissa al centro della taverna; non ci volle molto prima che il ragazzo riuscisse a togliersi di dosso quelle mani appiccicose e, incurante della macchia di sperma che si stava allargando sui pantaloni, si avvicinò al gruppo di Alpha intenti a darsele di santa ragione e si unì alla baraonda.
 

I pugni di Theo colpirono con forza i visi di chiunque gli capitasse a tiro e gioì quando udì il grido strozzato di qualcuno provenire alle sue spalle, segno che il calcio che appena assestato aveva colpito un povero scemo che aveva osato avvicinarsi troppo; l’Alpha iniziò a graffiare e mordere qualsiasi tizio gli capitasse a tiro, godendo delle urla di dolore che si levavano nell’aria, e si eccitò nuovamente quando qualcuno gli assestò un gancio sinistro al fianco. Lottare e sporcarsi, incurante della birra che lo sporcava, sembrava risvegliare la belva dormiente in lui e in poco tempo quella che era nata come una rissa da taverna si trasformò ben presto in una lotta all’ultimo sangue e Theo smise ben presto di preoccuparsi dei poveri disgraziati che venivano colpiti e atterrati; non si curò neanche di aver scaraventato Donovan a qualche metro di distanza con un calcio allo stomaco e ben presto la sua bocca si seccò a causa di tutti gli sputi che aveva lanciato contro quei perdenti che non riuscivano a resistere alla sua furia.
 

L’Alpha si ritrovò a ringhiare furioso quando suo padre, stanco di quel massacro che stava avvenendo nel suo locale e temendo l’intervento delle guardie, li inondò con dell’acqua ghiacciata che spense immediatamente gli spiriti e calmò gli animi; folgorando con lo sguardo il genitore, Theo si sollevò notando come anche gli Alpha più forti si trovassero stesi a terra, inermi e doloranti a causa dei colpi subiti.
 
 
 
Quando picchia Theo!
Accipicchia Theo!
Nelle gare di sputi il più bravo è Theo!
Sono proprio imbattibile a sputazzare!
Dieci punti a Theo!
 
 
 

«Theo, ma come fai?» domandò un vecchio Alpha che aveva assistito a tutta la lotta, notando meravigliato come il corpo del ragazzo si fletteva e contraeva a ogni suo movimento; Theo ghignò e si avvicinò al bancone, incurante dello stato pietoso in cui si trovava, e si riempì un nuovo boccale prima di svuotarlo tutto d’un sorso.

«È un dono.» rispose tranquillamente il ragazzo.

«Da piccolo viveva praticamente di carne cruda e uova!» rise Donovan mentre si rialzava dolorante da terra «Ricordo che i nostri genitori ci portavano a caccia e ci facevano mangiare le prede appena uccise!» disse ridacchiando e accettando una birra da un Beta.

«E poi loro si sbronzavano e ci facevano lottare uno contro l’altro.» rise rumorosamente l’Alpha prima di ruttare volgarmente «Quello sì che era divertimento! Ora se provi a fare una cosa del genere rischi che ti sbattano dentro! Mah…» sputò disgustato in terra, il braccio mollemente posato contro il bancone e lo sguardo fisso su Liam che arrossì ancor di più.
 

 
Per diventar grande anche quattro dozzine di uova mangiavo ogni dì…
E ora ne mangio anche cinque dozzine e guardate che muscoli ho qui!
 
 

«Volete essere il meglio?» domandò improvvisamente Theo, un ghigno strafottente in volto e le sopracciglia increspate «Io sono il meglio.» disse indicandosi con il pollice, facendo sospirare pesantemente gli Omega presenti «Fate quello che faccio io e sarete il meglio, come me!» esclamò ad alta voce, scostandosi con un colpo di reni dal bancone e cominciando ad aggirarsi lentamente tra gli Alpha e i Beta adoranti «Smettetela di trangugiare quello schifo di verdura, nessun grande Alpha è diventato tale facendo la pecora!» una serie di belati risuonarono nell’aria, scatenando una serie di risate «Guardate il mio corpo, toccate i miei muscoli…» continuò indisturbato, contraendo i muscoli e sollevando le braccia prima di ruotare su se stesso per poter essere ammirato dai presenti «Credete che l’abbia ottenuto ruminando con una vacca? No! Ho mangiato carne e uova, mi sono fatto uomo cacciando e braccando le mie prede!» un ghigno malizioso gli tirò le labbra mentre osservava i tre Omega che si sarebbe portato nuovamente a letto quella stessa sera «Scopate ragazzi, sbattetevi qualsiasi essere umano respiri e fregatevene degli status! Le migliori scopate me le sono fatte con gli Alpha!» un mormorio eccitato si levò dai tavoli e Theo sorriso orgogliosamente, incurante che quelle stesse parole erano state appena ascoltate da suo padre «Birra, carne, uova e sesso fanno crescere l’uccello!» rise sguaiatamente, tirandosi dietro anche le risate dei presenti «Non vergognatevi di maneggiare un’arma! Che sia il vostro cazzo o il vostro fucile non importa!» urlò afferrando il suo fidato moschetto prima di caricarlo e puntarlo contro una botte di birra ancora integra, sparando un paio di colpi che riecheggiarono nel locale; le schegge di legno volarono lontano mentre il liquido ambrato si riversava all’esterno, permettendo ai fin troppo alticci clienti di riempirsi nuovamente i boccali «Io sono Theo, il meglio, e siate come me se anche voi volete essere i migliori!» urlò sollevando le braccia al cielo, permettendo a molti Omega e Beta di gettarglisi addosso per poi cominciare a sfiorarlo con eccitazione e reverenzialità.

«A THEO!» sbraitarono i presenti sollevando in alto i loro boccali, incuranti sia dei rumori sordi che provenienti dall’esterno della locanda che della voce strozzata di un Noah Stilinski appena scaricato malamente in piazza dalla carrozza incantata.
 
 
Come spara Theo!
Ma che mira Theo!
Con che stile indossa le scarpe Theo…
Di trofei casa mia devo tappezzare!
Che Alpha sei…
Theo!
 
 

«AIUTO!» Noah entrò scalpitante nella locanda, ignorando bellamente qualsiasi cosa stesse accadendo al suo interno, e si precipitò al bancone prima di afferrare il signor Raeken per il colletto per poi tirarselo contro «L’HA RAPITO! AIUTATEMI! HA RAPITO IL MIO BAMBINO!» continuò a sbraitare l’Alpha spostandosi freneticamente tra i tavoli, afferrando e strattonando chiunque gli capitasse a tiro; Theo roteò gli occhi e sbuffò quando notò che i Beta e gli Omega che lo stavano venerando si allontanarono da lui «AIUTO! VI PREGO, AIUTATEMI! L’HA RAPITO! L’HA RAPITO!» Donovan rise fin troppo rumorosamente, attirando l’attenzione di Noah che furioso e preoccupato afferrò il Beta per le spalle e cominciò a scuoterlo con forza, facendo venire la nausea nel ragazzo «NON RIDETE DI ME! L’HA RAPITO! AIUTATEMI!» le lacrime iniziarono a solcare le guance dell’Alpha e la voce gli tremò, il cuore già incrinato da quello che aveva visto poche ora prima si spezzò a causa di quelle risate denigratorie che percepiva attorno a sé; Theo sbuffò, in quel momento avrebbe di gran lunga togliersi i pantaloni e portarsi a letto tutti quei ragazzi eccitati, che avrebbero volentieri sacrificato un braccio pur di leccargli l’uccello, e la presenza di quel vecchio pazzo stava mandando tutto a puttane.

«Va bene, va bene…» disse Theo smorzando immediatamente le risate e attirando l’attenzione di Noah su di sé «Parla, vecchio, chi ha rapito chi?» chiese incrociando le braccia al petto e sollevando entrambe le sopracciglia, in attesa di quella che sembrava essere la follia di un povero pazzo.

«IL MOSTRO!» urlò solamente Noah, buttando Donovan a terra e afferrando le spalle nude dell’Alpha «Il mostro ha rapito Stiles! Mieczyslaw, Law o come diavolo si fa chiamare!» Theo sgranò gli occhi e corrucciò le sopracciglia, provando improvvisamente pena per lui.

«Un mostro ha rapito Law…» sussurrò l’Alpha nel disperato tentativo di non scoppiare a ridere davanti all’uomo; sapeva che i folli dovevano essere assecondati per il bene comune eppure, in quel dannatissimo momento, Theo dovette usare tutto il suo autocontrollo per evitare problemi. ‘Anche se, nel caso in cui insorgessero, basterebbe un gancio ben assestato per stordire il pazzo…’ pensò l’Alpha intento a grattarsi il mento e osservare gli occhi terrorizzati di Noah; improvvisamente la folla ubriaca iniziò a parlare con il folle, domandandogli l’aspetto del famoso mostro, e a ogni risposta Theo sollevava gli occhi al cielo e sospirava rumorosamente.
 
 

«Era alto?»

«ENORME! PIÙ DI TRE METRI!»

«Era peloso?»

«SÌ! QUELLA BESTIACCIA È RICOPERTO DI PELO NERO E ISPIDO!»

«Ha le zanne lunghe?»

«LUNGHISSIME! E ARTIGLI MOSTRUOSI CON CUI PUÒ LACERARE LE CARNI!»

«E le corna? Ha le corna il tuo mostro?»

«LUNGHE CORNA! E… E GLI OCCHI ROSSI!»

«Ma davvero?!»

«SÌ! QUELLA CREATURA È IL FIGLIO DEL DEMONIO! VE LO DICO IO!»
 
 

Theo si passò stancamente una mano sugli occhi e sospirò rumorosamente, quel teatrino miserabile stava andando avanti per troppo tempo e se inizialmente si stava divertendo a vendere Noah scattare da una parte all’altra della taverna per rispondere alle varie domande, ora provava solamente pietà e disgusto per quell’idiota che gli stava rovinando la serata; così, mentre le risate tornavano a riecheggiare per il locale e l’Alpha ricominciava a urlare di aiutarlo, Theo sollevò di scatto le braccia e sorrise trionfante quando un pesante silenzio calò su tutti loro.
 
 

«Ti aiuteremo.» disse solamente per poi sbuffare quando Noah lo abbracciò di slancio, bagnandogli i pettorali con le lacrime.

«D… Davvero?» singhiozzò l’Alpha contro il suo petto.

«Davvero…» ghignò Theo e con un gesto della mano ordinò ai vari di Alpha di famiglia di occuparsi della problematica.
 
 

Pochi secondi dopo, infatti, quattro individui afferrarono malamente Noah per braccia e gambe, separandolo così dal corpo di Theo che si limitò a salutarlo con un gesto della mano; l’uomo iniziò a bestemmiare e maledirli, tentando inutilmente di liberarsi da quelle strette ferree, ma alla fine venne gettato a peso morto nella piazza, facendolo scontrare rudemente con il duro mattonato.

Noah batté i pugni sul pavimento ghiacciato e scoppiò in lacrime, distrutto dal trattamento ricevuto e rendendosi conto per la prima volta di come, più e più volte, suo figlio si era lamentato con lui della nefandezza che popolava la città; già, il suo Stiles… L’Alpha tossì e singhiozzò, incurante delle condizioni di salute che peggioravano man mano, e si maledisse per non averlo mai ascoltato per tutto quel tempo ma, soprattutto, iniziò a odiarsi per non essere riuscito a far nulla per impedire al mostro di sbatterlo fuori dal castello e salvare il suo bambino…

Risollevandosi con fatica, ignorando la tosse e il dolore, Noah si voltò verso le case spente e iniziò a urlare, a chiedere aiuto, ma ricevette in risposta solamente il frastuono proveniente dalla locanda; un sospiro distrutto abbandonò le sue labbra e poco a poco la testa si abbassò, costringendo gli occhi a fissare il duro pavimento su cui, pochi minuti prima, stava versando le sue lacrime di dolore.
 
 

«Non c’è davvero nessuno che voglia aiutarmi…» sussurrò l’uomo prima di cominciare a correre verso la propria abitazione, la mente intenta a delineare un piano per salvare il suo unico figlio dalle grinfie della bestia; ‘Se nessuno vorrà unirsi a me, allora andrò da solo!’ pensò furiosamente l’Alpha ma poco dopo la stanchezza e le condizioni di salute presero il sopravvento, costringendolo a rallentare la corsa per poi fermarsi, il fiato corto e i polmoni brucianti «Stiles…» sussurrò miseramente Noah prima di tirare fuori le ultime energie rimaste per poi riprendere la corsa.
 
 

Nella taverna, intanto, i clienti continuavano ridere sguaiatamente sull’Alpha che avevano buttato fuori a malo modo; in molti sbuffarono critiche sulle sue capacità genitoriali mentre altri si stupirono del fatto che un uomo del genere avesse cresciuto un figlio fin troppo normale ma, nel mezzo del baccano, un commento fra tutti attirò l’attenzione di Theo, intento a lasciarsi vezzeggiare il petto da quel Dunbar fin troppo eccitato.
 

 
«Quel pazzo di Noah! Ci garantisce sempre grosse risate!» l’Alpha sollevò di scatto il capo e bloccò Liam il quale, confuso e annebbiato dall’alcool, alzò la testa per fissare un Theo fin troppo preso a ragionare per potergli prestare attenzione.

«Va in camera mia, c’è il mio nome sopra, e portati dietro più Beta e Omega che puoi purché siano giovani.» gli ordinò l’Alpha ghignando quando vide il più piccolo annuire energeticamente «Donovan!» esclamò Theo non appena Liam se ne fu andato.
 
 
Donovan io sto proprio pensando…
È pericoloso……
Lo so!
 
 
 
«Ci divertiamo?» chiese maliziosamente il Beta prima di pizzicargli un capezzolo mentre con l’altra mano iniziava ad accarezzargli l’addome scolpito.

«Ho elaborato un piano…» sussurrò Theo afferrando la mano dell’amico e spingendola oltre l’orlo del pantalone, gemendo quando la sentì stringergli l’erezione.
 
«Dobbiamo preoccuparci?» chiese Donovan cominciando a masturbarlo.
 
«Abbastanza…» gemette senza ritegno Theo.
 
 
 
Ma quel vecchio è il padre di Law e normale non è neanche un po’…
C’è un’idea che mi sta ronzando dall’istante in cui il vecchio era qua,
tu lo sai che io voglio sposare sua figlio e un piano in mente ho già!
 
 
 
Donovan ascoltò attentamente le parole sussurratogli all’orecchio dall’amico, non smettendo un attimo di far scorrere la mano su quel pezzo di carne reso duro e bollente dall’eccitazione, e un sorriso diabolico iniziò a tirargli le labbra man mano che l’Alpha delineava la sua idea; il Beta strinse maggiormente la presa e godette del gemito che gli arrivo all’orecchio, facendogli contrarre dolorosamente il membro costipato.
 
Sì, Theo aveva elaborato un piano a dir poco geniale e la sua attuazione sarebbe stata praticamente esente dai rischi per loro; l’Alpha avrebbe ottenuto la sua preda e lui, povero piccolo Beta, avrebbe finalmente ottenuto l’approvazione del suo amico e mentore.
 
 
 
 
Come imbroglia Theo!
Che canaglia Theo!
Tutto quello che vuole ingarbuglia Theo!
Presto celebreremo il suo matrimonio…
Che Alpha sei, Theo!
 
 
 
 
«Geniale!» esclamò alla fine Donovan, non perdendosi il ghigno eccitato di Theo, né la mano dell’Alpha che si era intrufolata nei suoi pantaloni per potergli concedere le attenzioni che ricercava.
 
«Te l’ho detto, io ottengo sempre ciò che voglio!» Theo ghignò quando strinse l’erezione dell’amico il quale, mordendosi le labbra, trattenne un gemito disperato.
 
«Ragazzi, andate in camera!» s’intromise ridendo sguaiatamente il signor Raeken e nel giro di pochi istanti i due ragazzi stavano correndo per le scale, i pantaloni abbassati e le erezioni bramose di attenzioni.
 
 
 


Note finali: eccoci qua, che ne pensate? Soddisfatti? Voi come avreste scritto di Theo/Gaston? Sinceramente, io ce lo vedo il nostro Gastone nazionale (???) a portarsi a letto chiunque nel villaggio nonostante ”””””””””””””l’amore””””””””””””””” che diceva di provare per Belle; il rapporto tra Theo e Donovan si sta delineando sempre di più e così come Le Tont, anche il nostro amorevole Beta di quartiere si comporta più da servetto che da amico con l’Alpha e no, se ve lo stesse chiedendo Donovan non è innamorato di Theo ma ne è solamente attratto fisicamente. Come scritto nel capitolo, TUTTI in quella città vorrebbero essere come Theo, o comunque entrargli nelle mutande visto che considerano il più figo dell’universo, e Donovan non fa eccezioni.
 


La scena lime non era prevista, lo giuro!, io mi sono distratto un attimo e loro stavano già combinando robe!
 


Prima dei ringraziamenti, e di salutarvi, vorrei avvisarvi di una cosa: circa due anni fa pubblicai una fanfiction Sterek ispirata al Classico Disney “Mulan” e dato che tutt’oggi continuo a ricevere messaggi da numerosi lettori che mi chiedono di avere una copia della storia (cosa che non ho perché, purtroppo, è andata perduta quando il mio vecchio computer è volato in cielo) ho deciso di riscriverla da capo e ripubblicarla; ora sto scrivendo il quinto capitolo e non so quando inizierò a pubblicarla su EFP, quindi facciamo le cose per bene…
 
 

 
*MUSICA TRIONFALE IN SOTTOFONDO*
 


L’avete amata… L’avete letta… L’avete recensita…
La fanfiction che vi ha stregato…
Una nonna Stilinski che vuole farsi Derek, uno Stiles che vuole salvare il padre e un Mushu che mette nei guai il suo protetto…
Prossimamente sul sito EFP, “Il più raro e il più bello di tutti…” di Babbo Dark…
 

 
*FINE PUBBLICITÀ*
 
 
 

Dopo questa io vado a seppellirmi in giardino, con permesso…
 
 

Però prima di sparire per la vergogna DEVO ringraziare tantissime persone! Innanzitutto voi lettori che mi state accompagnando in questo viaggio meraviglioso, nella speranza che vogliate seguirmi anche in altre storie, e naturalmente tutti coloro che hanno aggiunto la fanfiction in una delle categorie di EFP (siete tantissimi! Grazie, grazie, grazie! ‹3) e infine, ma non meno importante, un ringraziamento particolare va a miky9160, Fata_Morgana 78, Emoglobyna e Naruko Namikaze Uchiha per aver recensito lo scorso capitolo, vi adoro ‹3
 

Un altro ringraziamento speciale va a tutti coloro che hanno letto la mia OS “Il Marionettista” (link per chi è interessato: https://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3897231) nonché chiunque l’abbia inserita in una delle categorie e, ovviamente, un grazie speciale va alla dolcissima linn86 per averla recensita.
 
 

A sabato!
 

Babbo Dark

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Capitolo 6
*** VI - "È inutile..." ***


Note iniziali: Buongiorno lettori, oggi è il grande giorno! Il Sole splende l’acqua è pulita e noi saremo liberat- L’acqua è pulita? L’ACQUA È PULITA!

Dieci punti a Grifondoro a chiunque capisca la citazione.
Passando alle cose serie: ecco qui il nuovo capitolo! Sapete, vista la possibilità che la quarantena venga prolungata fino ai primi di maggio stavo pensando di raddoppiare gli aggiornamenti, mercoledì e sabato, voi cosa ne pensate? Fatemi sapere, anche con un messaggio privato, la vostra opinione.

Finalmente ci sarà il primo scontro tra i nostri protagonisti, purtroppo sono stato costretto a dividere il capitolo in più parti altrimenti sarebbe uscito fuori un mostro di trenta e passa pagine e non mi sembrava il caso; ho quindi preferito concentrarmi sui vari fatti principali, dividendoli in tre capitoli differenti, anche perché ho aggiunto delle parti riguardanti Theo e Noah. Come ho già detto in altre note, il tempo nel Classico è gestito maluccio perché sembra quasi che tutta la vicenda avvenga in poche ore quando in realtà non è così e io mi rifiuto di credere che nei mesi che Belle trascorre al castello, Morisse sia andato in giro nella foresta e Gaston sia rimasto buono buono al villaggio perché è veramente ridicola come cosa! Voglio dire, Morisse ha girato in tondo per tutto il tempo? Gaston si è rimirato allo specchio? Purtroppo questa problematica l’hanno lasciata anche nel live-action e io, povero piccolo autore, ho cercato di mettere una pezza. Spero di non aver combinato una cazzata…

A differenza dei capitoli precedenti, nelle prossime pubblicazioni non ci saranno canzoni; per poter riprendere a cantare mentre si legge la storia bisognerà aspettare il capitolo nove; in giro per il web ho trovato anche dei testi che, secondo gli autori del sito, sarebbero stati ideati e poi non utilizzati (uno di questi è la canzone “La rosa incantata”) ma non ho trovato nulla su YouTube e ho preferito evitare.

Note lunghissime, come sempre, e io vi lascio al capitolo.

Buona lettura!
 

Babbo Dark
 


 
Little Red Riding Hood and the Cursed Wolf
Capitolo VI: “È inutile…”
 
 

Un disperato singhiozzo si levò nell’aria, unendosi a tutti i suoi fratelli che man mano si infrangevano contro le fredde pareti, e Mieczyslaw iniziò a boccheggiare e tremare convulsamente a causa dell’attacco di panico che prepotentemente gli aveva attorcigliato le viscere e bloccato i muscoli; l’aria stantia della stanza, resa ancora più pesante dalla polvere accumulatasi negli anni, sembrava avvelenare il ragazzo ogni minuto di più. La testa gli girava e gli occhi bruciavano, tutto il corpo sembrava sul punto di spezzarsi e morire mentre i polmoni si rifiutavano di svolgere il loro dovere; ‘Dentro, fuori. Uno…’ pensò l’Omega ma anche quel piccolo gesto sembrava richiedere uno sforzo inimmaginabile e il ragazzo si accasciò pesantemente sul freddo pavimento, la gola chiusa e le labbra che poco a poco diventavano blu.

Gli occhi si spostarono lentamente contro la finestra e Mieczyslaw rimase abbagliato dalla luce lunare, la quale illuminava a giorno la neve che si era accumulata all’esterno delle ante; in un attimo di lucidità, il ragazzo si sarebbe chiesto il motivo di quel tempo insolito visto che si trovavano a metà luglio, ma la confusione e la paura generate dall’attacco di panico gli impedivano di fare tutto ciò. Neanche l’Omega seppe dire cosa successe in quell’attimo, né come riuscì a farlo, ma nel giro di pochi minuti sporse la testa all’esterno della stanza e spalancò la bocca, ritrovando la capacità di respirare e riempiendosi i polmoni con l’aria ghiacciata della sera; quello schiaffo inatteso riportò il ragazzo con i piedi per terra e poco a poco la mente tornò lucida, permettendogli di ragionare adeguatamente su quanto accaduto in quella folle giornata e, al tempo stesso, permettendo all’aria della stanza di purificarsi e sgombrarsi dalla polvere che vi aleggiava.

Mieczyslaw prese a respirare affannosamente e a nulla servirono i brividi di freddo che iniziavano a increspargli la pelle; si rese conto che quella blanda sensazione di libertà gli era mancata più dell’aria e, con il senno di poi, comprese quale fu la scintilla che diede origine al suo attacco di panico. Un tenue sorriso gli tirò le labbra, per un attimo temette di star morendo in quella camera polverosa ma fortunatamente la sua mente, o il suo istinto di autoconservazione, agirono per lui, salvandogli la vita; deglutendo più volte per togliersi quel fastidioso sapore che percepiva, Mieczyslaw riportò la testa in camera e afferrò malamente il piumone e le lenzuola prima di sbatterle con forza nella fredda aria della notte, liberandole dalla polvere accumulata, per poi posarle sul battente permettendo così al tessuto di arieggiarsi.

Anche le federe e i cuscini subirono lo stesso destino, e il ragazzo fissò tristemente il lenzuolo che ricopriva la paglia su cui avrebbe dormito nella speranza che non ospitasse insetti o parassiti vari; sospirando, si sedette sul mattonato e si passò le mani sul volto, tentando di valutare il lato positivo di tutta quella follia: suo padre era libero e lui non avrebbe dormito in quella fredda torre.

Immediatamente il volto di suo padre gli affiorò nella sua mente, facendolo scoppiare in un pianto disperato; Mieczyslaw si chiese se fosse stato condotto alla città oppure se il mostro l’avesse abbandonato in mezzo alla foresta. Si domandò se stava pensando a lui in quel momento, se si era arreso alla situazione oppure aveva iniziato a muoversi per raggiungerlo e salvarlo… Quella prospettiva lo fece sorridere nel dolore, immaginandosi il padre in veste di principe azzurro che attaccava il castello sfoggiando la sua armatura splendente.

Un sonoro ticchettio lo fece sussultare sul posto e, rendendosi conto di essere completamente ghiacciato, si alzò e si avvicinò alla porta immaginandosi di trovare la cameriera o un altro membro della servitù, perciò corrucciò lo sguardo quando notò solamente un carrello d’ottone su cui qualcuno aveva posato una teiera fumante e due tazzine praticamente identiche.
 
 

«Ciao caro, del tè?» Mieczyslaw sobbalzò e arretrò rapidamente di qualche passo mentre un urlo per niente virile abbandonava le sue labbra perché, dannazione!, quella teiera aveva appena parlato!

«Ti avevo detto che era uno schianto!» disse una tazzina all’altra mentre le labbra in ceramica si stiravano in un sorriso malizioso; l’altra tazza, invece, sollevò le sopracciglia, sempre di ceramica, e sbuffò sonoramente.

«Hai ragione Isaac, è uno schianto.» rispose questo.

«Ma… Ma… Com’è possibile…» domandò Mieczyslaw dopo qualche attimo mentre si arrampicava sul letto alle sue spalle «È una possessione…» sussurrò intimorito dalla vista di quelli oggetti muniti di faccia e favella che lo stavano fissando preoccupati.

«No, una maledizione dolcezza.» il ragazzo sussultò nuovamente quando si rese conto che l’armadio, il fottutissimo armadio, gli aveva parlato e si era inchinato appena verso di lui «Ma credo che spetti al Padrone parlartene.» chiarì poco dopo «Io sono Lydia e tempo fa ero una cantante lirica, nonché la consulente di moda del Padrone.» si presentò spalancando un’anta dell’armadio e permettendo a numerose falene di svolazzare libere «Ops… Che vergogna…» ridacchiò Lydia, strappando un sorriso all’umano.

«Mi chiamo Melissa.» disse dolcemente la teiera mentre un tenero sorriso le tirava le labbra «Sono l’aiuto cuoca e questi sono i miei figli, Isaac e Scott.» sussurrò osservando le due tazzine.

«Io sono Scott.» chiarì la tazza con una crepatura sul bordo superiore.

«E io sono Isaac.» disse l’altra, la quale aveva il bordo inferiore blu mentre il resto della porcellana era di un bianco immacolato «Siamo i garzoni del castello.» spiegò con fare ovvio Isaac.

«Tutto ciò è… È… È… Impossibile…» sussurrò Mieczyslaw osservando tutti i presenti con sguardo meravigliato.

«Lo sappiamo eppure eccoci qua!» esclamò euforica Lydia prima di lasciarsi cadere a peso morto sulla paglia mentre Melissa versava del tè in Scott e quest’ultimo, roteando gli occhi alle raccomandazioni della madre, saltellò dal carrello fino ai piedi dell’Omega che, sorridendo, lo afferrò per il manico e se lo portò alle labbra; la bevanda ambrata sembrò scaldarlo dall’interno e allentargli quel fastidioso nodo che gli attanagliava lo stomaco.

«Siamo venuti a sapere cos’hai fatto…» disse dopo qualche attimo Isaac, facendo sospirare rumorosamente l’umano.

«È stato un gesto di grande amore.» proseguì Melissa con tono intristito.

«Lo pensiamo tutti, piccolo…» sussurrò dolcemente Lydia.

«Era mio padre.» disse Mieczyslaw dopo aver terminato il tè per poi posare un pensieroso Scott sul pavimento «Ho preferito donargli la libertà e perdere la mia, divenendo prigioniero della bestia…» sussurrò abbassando il capo e sospirando sconsolato.

«Andiamo bambino…» il carrello si avvicinò, permettendo a Melissa d’incrociare gli occhi umidi di lacrime del ragazzo che, sorridendo appena, si asciugò rapidamente il volto «Il Padrone avrà le sembianze di un mostro ma non lo è; sotto quell’aspetto spaventoso e i ringhi si cela un cuore d’oro, permettiti di scoprirlo…» Mieczyslaw le sorrise appena ma un alito di vento lo costrinse a stringersi meglio nella mantella, attirando l’attenzione di Lydia e Melissa.

«Chi ha aperto la finestra?! Con questo freddo poi!» esclamò inviperita la teiera per poi saltare dal carrello, facendo sbiancare immediatamente il ragazzo che si sporse rapidamente tentando di afferrarla ma Melissa, invece che finire in mille pezzi, atterrò pesantemente sul marmo e cominciò a saltellare verso le varie corde collegate a delle ruote per poi afferrarne una con la bocca e tirarla.

«La stanza puzzava e mi stavo sentendo male.» si giustifico l’Omega, ancora incredulo di poter parlare con la teiera.

«Allison e le altre cameriere hanno smesso di pulire il castello da anni ormai, non è colpa tua…» gli sussurrò Melissa dolcemente per poi folgorare un appendiabiti e un paio di piumini per la polvere che avevano varcato la soglia della stanza.

«Malia, la stanza del nostro ospite è sporca.» uno dei piumini, Malia registrò la mente dell’Omega, corrucciò le sopracciglia legnose e si mosse per la stanza insieme alle colleghe prima d’iniziare a spazzare via la polvere, facendo tossire rumorosamente il ragazzo «La finestra Matt, chiudi la finestra.» l’appendiabiti sbuffò rumorosamente e si avvicinò oscillando alle coperte.

«Il signorino gradisce che gli venga cambiata la paglia?» domandò non appena piumone e lenzuolo vennero tirate dentro e le ante chiuse.

«Se non è di troppo disturbo…» sussurrò spaesato Mieczyslaw, non staccando gli occhi dai piumini che continuavano a spazzare elegantemente ogni superficie della stanza.

«Per questa sera il signorino dovrà accontentarsi di una pulizia superficiale, non appena arriverà la mattinata ci occuperemo di lavare e sistemare la stanza da cima a fondo.» disse Malia con noncuranza.

«Grazie…» sussurrò il ragazzo poco dopo.

«Mamma, la cena…» Isaac e Scott, ignorati da tutti, saltarono sul carrello e si misero a fissare la teiera per poi attirarne l’attenzione.

«Che sciocca!» esclamò infatti quest’ultima prima di saltare elegantemente sul vassoio in ottone «Sono qui a chiacchierare quando c’è un impegno così grande da portare a termine!» il carrello si mosse in automatico e l’Omega li salutò mentre madre e figli abbandonavano la stanza, subiti seguiti da Matt che si chiuse la porta alle spalle.

«Perdonaci, non siamo più abituati a ricevere ospiti.» sussurrò dopo qualche istante Lydia, attirando su di sé l’attenzione dell’umano che le sorrise «Ora vediamo se ho qualche vestito pesante da farti indossare.» disse spalancando le ante e permettendo al ragazzo di sbirciare al suo interno; una volta scansati i vestiti da donna, e delle mantelle estive, Mieczyslaw afferrò un maglione rosso che era sopravvissuto alle tarme e alla polvere.
 
 

Incurante degli sguardi della servitù, l’Omega si tolse il mantello e indossò il maglione percependo la lana scaldarlo immediatamente; la sensazione gli rubò un sorriso e un sospiro beato, facendolo sentire decisamente meglio.

Piegato l’unico vestito che si era portato dietro, Mieczyslaw iniziò a dialogare con Lydia scoprendo sempre più informazioni; a quanto pareva, il castello era stato circondato da quella foresta misteriosa e particolarmente insidiosa che rendeva quasi impossibile la localizzazione delle mura, cosa che contribuì notevolmente a far dimenticare ai più la sua presenza. Inoltre, nei perimetri della magione vi era un inverno perenne che rendeva ancor più difficile la vita ai vari abitanti; i due, sotto richiesta della stessa Lydia, non parlarono mai della bestia ma all’Omega fu ripetuto più volte quanto questa fosse, sotto sotto, una brava persona che con il passare degli anni e l’aumentare della solitudine si era imbestialita a tal punto da aver seppellito la propria umanità.

L’umano sorrise entusiasta nel notare Matt rientrare nella stanza portando tra le numerose braccia legnose della paglia pulita e quasi si rabbuiò quando, tentando di aiutarlo, l’appendi abiti gli chiese di non partecipare in quanto era un ospite in quelle mura; il sorriso aumentò notevolmente quando, un paio d’ore dopo, notò come Malia e l’altro piumino avessero ripulito adeguatamente la stanza.

Finalmente, sicuro di non soffocare per la polvere, Mieczyslaw si buttò a peso morto sul letto e sospirò beato nel percepire la morbida consistenza delle lenzuola e della paglia pulita; la stanchezza iniziò a farsi sentire e il ragazzo stava per essere abbracciato da Morfeo quando qualcuno bussò nuovamente alla porta, costringendolo ad alzarsi per aprire e accogliere il visitatore. Sollevò di scatto le sopracciglia quando notò la porta aprirsi quel tanto che bastava per permettere a un impacciato orologio di entrare e sorridergli.
 
 
«La cena è servita.» disse questo inchinandosi vistosamente e indicando il corridoio.
 

 
***
 
 

Il fastidioso ticchettio degli artigli contro il mattonato, unito al costante borbottio della creatura e allo scoppiettio del camino, riecheggiavano nell’ampio salone adeguatamente preparato per l’imminente cena; camminando nervosamente avanti e indietro davanti al camino, Derek non la smetteva un attimo di ringhiare e sussurrare parole a caso, attirando l’attenzione di Peter e Melissa, entrambi posti sulla mensola del camino.
Erano passati più di dieci minuti da quando aveva ordinato ad Alan di recarsi dall’Omega per avvertirlo della cena eppure nessuno aveva varcato quelle dannatissime porte, aumentando l’agitazione e l’irritazione della bestia; candelabro e teiera si scambiarono uno sguardo confuso prima di riportare l’attenzione sul loro Padrone che non aveva mai smesso di muoversi in quel modo anomalo.
 
 

«Ehm… Padrone…» sussurrò dopo qualche attimo Peter, ricevendo in risposa un semplice sbuffo da parte di Derek «Ha pensato che il nostro ospite potrebbe essere colui che spezzerà l’incantesimo?» chiese ondeggiando i due manici d’ottone.

«Certo che ci ho pensato!» sbraitò improvvisamente Derek, bloccando momentaneamente la sua marcia «Non sono un idiota…» borbottò poco dopo abbassando appena lo sguardo.

«Allora non deve lasciarsi scappare quest’occasione!» continuò imperterrito il candelabro, riportando su di sé l’attenzione della creatura «La prima impressione è fondamentale!» disse facendo sgranare gli occhi scarlatti di Derek che, preoccupato ancor di più, prese un profondo respiro e abbassò appena le orecchie.

«Non so se ne sono capace…» ammise in sussurro appena udibile, rivolgendosi più a se stesso che agli altri.

«Ma la rosa ha già iniziato ad appassire!» gli disse un’impensierita Melissa.

«Lo so!» sbraitò nuovamente Derek per poi sedersi davanti al camino e sospirare nuovamente «Ma lui è così bello e io… Io… Beh… GUARDATEMI!» urlò rivolgendosi ai suoi servi che si lanciarono uno sguardo dispiaciuto.

«La smetta.» ordinò Melissa dopo qualche attimo «Piangersi addosso non l’aiuterà di certo!» esclamò irritata dall’atteggiamento del suo Padrone che si ritrovò a fissarla sconvolto «Deve aiutare quel povero ragazzo a guardare oltre le apparenze estetiche!» disse saltando dalla mensola per poi atterrare a qualche centimetro di distanza dalle zampe posteriori della creatura «Ricordi che quel povero Omega ha perso la libertà, il padre e il futuro in un’unica giornata!» la teiera saltellò un paio di volte prima di raggiungere con un balzo più alto degli altri sul tavolo, scrutandolo attentamente da quella nuova prospettiva «Inizi con il sedersi composto!» Derek scattò e si sedette così come farebbe un bravo cane, sentendosi improvvisamente ridicolo.

«Sia gentile, cordiale, amichevole ma non banale!» si aggiunse Peter, facendo annuire nervosamente la bestia.

«Gli chieda se la stanza è di suo gradimento.» continuò Melissa.

«Quando arriverà il nostro ospite gli faccia un bel sorriso! Su, su! Mi sorrida!» esclamò Peter muovendo le braccia e simulando un sorriso euforico.

«Ho il muso di un lupo, non posso sorridere!» urlò Derek, abbassando le orecchie e ringhiando minacciosamente verso il candelabro che sospirò rumorosamente.

«Sia cortese.»

«Regale.»

«Educato!» Derek, durante quello scambio di battute, non smise un attimo di voltare lo sguardo a destra e sinistra, digrignando i denti a causa dell’agitazione che continuava a montargli nel petto.

«MA SOPRATTUTTO CERCHI DI CONTROLLARE IL SUO UMORE!» urlarono in coro i due servi, costringendo Derek a portarsi le zampe artigliate sulle orecchie mentre gli occhi si serravano a causa di quell’emicrania che gli era esplosa e minacciava di fargli esplodere la testa; in quell’istante la porta si aprì lentamente, facendo bloccare il respiro nel petto dell’Alpha che spalancò gli occhi e fissò eccitato e timoroso l’uscio perfettamente immobile. La creatura deglutì ma, appena la figura di Alan si palesò, un sospiro frustrato abbandonò la sua bocca e l’intero corpo muscoloso si afflosciò su se stesso.

«Dov’è il ragazzo?» chiese scocciato Derek per poi irritarsi quando l’orologio iniziò a tergiversare.

«Beh… Ecco… Vede…» balbettò terrorizzato Alan, sposando lo sguardo su tutta la stanza per evitare d’incrociare gli occhi cremisi del suo Padrone «Vede… Sa… L’emozione… La timidezza… E… E… Il ragazzo ha detto che…» Derek spalancò la bocca, in attesa, e suo malgrado si ritrovò a scodinzolare festoso «Che non verrà…» sussurrò stremato Alan, abbassando il capo e trattenendo il respiro.
 
 

L’aria parve appesantirsi immediatamente e caricarsi di furia mentre Derek, bloccandosi immediatamente sul posto, metabolizzò attentamente quelle parole; la creatura si sentì raggelare e i muscoli s’irrigidirono mentre il sangue iniziò a pompare furiosamente il sangue in tutti i distretti a causa della furia che montava prepotentemente nel suo animo.

Accecato dalla rabbia e dalla delusione, Derek dimenticò tutti i consigli che Peter e Melissa gli fornirono poco prima e ruggì con tutta l’aria che aveva in corpo.
 
 

«CHE COSA?!»
 
 

A nulla valsero i ‘Sua altezza! Sua eminenza! Sua eccellenza!’ urlati da un terrorizzato Alan visto che Derek scattò sul posto e si precipitò contro la porta, spalancandola con un boato e facendo cadere l’intonaco in più punti; la bestia salì rapidamente la scalinata principale, incurante di essere seguito dai suoi servitori, e corse spedito per i corridoi della sua magione, sbattendo contro le statue e fracassandole al suolo. L’aria si saturò di ringhi, sbuffi e latrati e gli artigli stridirono fastidiosamente contro il marmo mentre la creatura frenava proprio davanti la porta del suo ospite; sollevandosi in piedi e lasciandosi sfuggire un ringhio furente, Derek sbatté prepotentemente il pugno contro la porta, gioendo quando la sentì scricchiolare sotto i suoi colpi.
 
 

«Chi è?» l’Alpha sbuffò sonoramente e azzannò l’aria, producendo un suono sinistro che terrorizzò ancor di più i tre servitori che, finalmente, erano riusciti a raggiungerlo.

«Venga fuori a cenare.» ordinò Derek, incurante degli strattoni al suo mantello.

«Non ho fame.» rispose semplicemente Mieczyslaw, facendo infuriare ancor di più la creatura.

«Con gentilezza e grazia.» sussurrò Melissa, venendo immediatamente folgorata dal padrone.

«Potrebbe gentilmente…» ringhiò Derek afferrando il suo mantello e inchinandosi appena davanti alla porta chiusa «Unirsi a me per cena.» disse mal trattenendo la rabbia che gli faceva ribollire il sangue nelle vene.

«No.» la bestia sgranò gli occhi e si sollevò di scatto, folgorando la porta con un’occhiataccia come se fosse la causa di tutti i suoi problemi.

«Con gentilezza, Padrone, con gentilezza…» ripeté Alan tentando di sorridere incoraggiante alla creatura che, poco a poco, stava perdendo la calma.

«Io sono gentile…» mugugnò a denti stretti Derek mentre si avvicinava all’orologio, mostrando perfettamente le zanne acuminate e gli occhi scarlatti «Ma lui fa così tanto IL DIFFICILE!» urlò rivolgendosi nuovamente alla porta.

«Ci riprovi.» lo incoraggiò Peter, ricevendo un sonoro ringhio in risposta.

«Signorino, verrebbe a cena con me.» domandò la bestia a denti stretti.

«È sordo?! Ho detto di no! Enne.O.! NO!» rispose Mieczyslaw, incurante del petto gonfio della bestia né degli artigli piantati nei palmi che avevano iniziato a sanguinare copiosamente.

«Ehm…» balbettò Alan a corto di idee «Chieda per favore…» disse corrucciando le sopracciglia e muovendo un braccio legnoso.

«Per.Favore.» ringhiò Derek, percependo l’ultimo briciolo di pazienza sparire nel nulla.

«NO!» il ruggito di furia fu perfettamente udibile in tutto il castello, tant’è che lo stesso Mieczyslaw si ritrovò a nascondersi dietro al letto a causa dell’immensa paura che quel gesto animalesco gli aveva provocato; all’esterno della stanza, invece, i tre servitori si allontanarono immediatamente dal proprio Padrone e lo osservarono terrorizzati scagliarsi contro il muro, crepandolo e scavando nell’intonaco con gli artigli acuminati.

«BENE!» sbraitò subito dopo Derek con un nuovo ringhio «SE NON VUOLE MANGIARE CON ME, NON MANGERÀ AFFATTO!» ruggì rivoltò alla servitù che annuì freneticamente prima di dare le spalle alla porta e scappare a zampe levate verso l’ala ovest, ruggendo e distruggendo qualsiasi statua gli capitasse a tiro con lo scopo di sfogare quella rabbia animale che lo stava facendo uscire fuori di testa «Ma chi si crede di essere?!» sbraitò la bestia non appena entrò nella propria stanza, fiocamente illuminata da una luce innaturale prodotta dalla rosa incantata «Io lo invito a cena e lui rifiuta!» ruggì distruggendo sedie e armadi, gioendo delle schegge di legno che volarono in ogni angolo della stanza caotica; la bestia ruggì ancora e si avvicinò al tavolinetto su cui primeggiava la rosa, protetta da una campana di vetro, e un lungo specchio dal manico in metallo «Fammi vedere l’Omega!» ordinò Derek e subito dopo lo specchio fu attraversato da dei fasci verdastri mentre l’immagine mostruosa della creatura veniva distorta per poi sparire, permettendo agli occhi scarlatti di fissare la figura tremante del ragazzo che si sedeva pesantemente sul letto.

“Alla fine era solamente una cena…” sussurrò Lydia, chinandosi leggermente nella sua direzione.

“Non ho intenzione di cenare con quel mostro!” le rispose il ragazzo incrociando le braccia e sollevando il mento in direzione della porta “Solo perché sono suo prigioniero questo non mi obbliga a vederlo!” chiarì subito dopo, incurante del sospiro che abbandonò le labbra legnose dell’armadio.
 
 

Derek si ricordò improvvisamente le parole di Melissa e sgranò gli occhi, illuminato da quell’epifania inattesa; posando delicatamente lo specchio sul tavolino, sospirò rumorosamente e si passò una grossa zampa sugli occhi stanchi, graffiandosi e ferendosi con i lunghi artigli.
 
 

«È inutile…» sussurrò mentre due calde lacrime abbandonavano gli occhi e correvano a bagnargli la pelliccia scura «Per quanto possa impegnarmi lui vedrà sempre… Un mostro…» disse abbassando il capo e scoppiando in lacrime mentre, sotto la campana di vetro, un petalo della rosa si staccava e ricadeva delicatamente sulla superficie del tavolo.
 


 
Note finali: eccoci qui, che ne pensate?

Lo so, troncare la narrazione nel momento di debolezza di Derek è stata un’infamata ma mi farò perdonare, promesso!

Ho sempre adorato il modo in cui Lumiere e Mrs.Brick cercano di dare dei suggerimenti al principe Adam, un po’ come se fossero i suoi genitori, e questo perché la salvezza dipende dal loro lavoro di squadra; il principe sarà stato viziato, egoista e cattivo ma loro, nonostante siano i suoi servi, non sono mai intervenuti davanti le ingiustizie del loro padrone e la fata, quando ha deciso di scagliare l’incantesimo, li ha trasformati in quello che erano veramente: degli oggetti di servizio.

Adoro anche il fatto che Adam sbrocchi in quel modo davanti la porta chiusa! Come già discusso con la dolce Naruto Namikaze Uchiha, il principe si è imbestialito (nel senso che è diventato più simile a un animale, non è che si sia incazzato e basta) sia a causa della maledizione che dell’isolamento forzato; è del tutto normale, quindi, che quando si rende conto che la sua ospite (perché Belle non è mai stata definita prigioniera, almeno nel Classico) rifiuta qualsiasi contatto lui vada su tutte le furie. E come detto dalla buona Flame88Tongue nei suoi video la servitù deve aiutare il proprio padrone a riuscire ad amare e aiutare Belle a scoprire il vero Adam, andando oltre le apparenze, per questo tutti continuano a “fare il tifo” per loro. Spero di essermi spiegato, altrimenti sono qui per ogni chiarimento.

Quindi… Fatemi sapere se preferite due aggiornamenti settimanali (mercoledì e sabato) inoltre, sempre se volete, vi chiedo di partecipare al sondaggio qui sotto; siccome sto pensando di creare una raccolta di Classici Disney rivisitati con Teen Wolf, in cui gli Sterek sono protagonisti, sto pensando al nome da darle e quindi via al televoto!

 
  1. Sterek in Disney…
  2. Once upon a time in Sterek
  3. Stisney

Fatemi sapere in una recensione o in un messaggio privato la vostra opinione, per me è importante sapere cosa ne pensate a riguardo.
 

Prima di lasciarvi vorrei ringraziare tutti i lettori silenziosi che divorano il capitolo ogni volta, siete mitic* ragazz*, ma anche tutti coloro che hanno inserito la storia in una delle categorie di EFP; è una gioia per gli occhi leggere i vostri nomi ‹3

Infine, ma non meno importante, vorrei ringraziare infinitamente Naruko Namikaze Uchiha, linn86 ed Emoglobyna per aver recensito lo scorso capitolo! Vi adoro gente ‹3

Ora corro a pubblicare l’AU su Mulan :)
 

Alla prossima!
 

Babbo Dark

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Capitolo 7
*** VII - Fuga ***


Note iniziali: aggiornamento in anticipo e buon martedì a tutti voi e benvenuti a questo nuovo capitolo! Alla fine dal sondaggio popolare è emerso il titolo “Sterek in Disney…” per la raccolta delle fanfiction; passando a questa storia, finalmente ci sarà primo vero incontro tra Stiles e Derek (sì, come avrete capitolo dal titolo in questo capitolo ci sarà la scena della fuga).

Lo ammetto, questo è stato un capitolo abbastanza complesso da scrivere principalmente a causa della cena di Stiles e la smattata di Derek; nel Classico la canzone “Stia con noi” è interpretato come il momento artistico e surreale del film. Per chi non lo sapesse in tutte le pellicole facenti parte del cosiddetto Rinascimento Disney è presente un momento simile, generalmente rappresentato con una canzone, e rappresentava per gli artisti un’occasione per dar sfogo alla loro creatività e immaginazione; esempi utili sono “Voglio diventar presto un re”, “In fondo al mar”, “Zero to Hero”, “Un amico come me” e così via. Non essendoci quindi una descrizione vera e propria della cena di Belle, nonostante si sia riempita abbondantemente la pancia, ho cercato di ricreare al meglio la situazione; spero di esserci riuscito e se non sono riuscito a spiegarmi bene non esitate a farmelo sapere.

Bando alle ciance e gettiamoci nella lettura!


Babbo Dark
 

Peter
Coro
Melissa
 
 



 
Little Red Riding Hood and the Cursed Wolf
Capitolo VII: Fuga
 

 
Un sinistro scricchiolio riecheggiò per tutto il corridoio deserto mentre la testa spettinata di Mieczyslaw faceva capolino dalla porta, osservando a destra e sinistra lungo il corridoio per evitare spiacevoli incontri; un sordo brontolio si levò dal suo stomaco e il ragazzo sospirò prima di farsi coraggio e uscire da quell’unica stanza in cui si sentiva al sicuro e protetto. Deglutendo dopo aver osservato i segni sul muro lasciati dalla bestia, l’Omega iniziò a camminare lentamente, prestando attenzione a tutti i rumori che gli riecheggiavano attorno, costringendolo a voltare costantemente il capo per tranquillizzare il proprio animo; la pelle chiara era resa ancor più pallida dal freddo che gli entrava nelle ossa e le mani tremanti non impedirono al giovane di placare quella fame che gl’impediva di dormire.

Un improvviso scricchiolio lo fece sussultare, che si voltò di scatto verso l’origine del suono, e un sospiro di sollievo abbandonò le sue labbra quando si rese conto che alcuni candelabri avevano compiuto un balzo su una credenza malmessa; poco dopo la fioca luce delle candele rischiarono il corridoio, permettendo al ragazzo di vedere meglio la strada che stava percorrendo.

Ringraziandoli con un sussurro e afferrandone uno per il manico in bronzo, Mieczyslaw proseguì la sua camminata alla ricerca delle cucine; il buio rendeva ancora più inquietante quel castello ma, mettendosi l’anima in pace, decise ad accettare quelle stranezze visto che sarebbe stato costretto a vederle per tutti i giorni della sua vita.

Raggiunta la scalinata principale, e lanciato uno sguardo verso l’alto per poter sbirciare i vari piani, l’Omega iniziò la discesa verso il salotto principale; solo in quel momento si rese conto delle numerose porte presenti, una delle quali poche ore prima lo aveva condotto alla torre in cui suo padre era stato rinchiuso. Sospirando amaramente e sperando di trovare rapidamente la via che lo avrebbe condotto alle cucine, Mieczyslaw ricominciò a camminare; il rumore provocato dalle suole contro il pavimento riecheggiò per tutta la stanza, costringendo il ragazzo a sperare che la bestia stesse dormendo o che fosse sufficiente distante da non accorgersi di quell’elemento anomalo. Nonostante la fame, non aveva nessuna intenzione di incontrare nuovamente la creatura, soprattutto visto il modo in cui l’aveva fatta infuriare, e poco a poco la tensione parve sparire, sostituita dal desiderio di avventura e scoperta di quel luogo misterioso; fu triste osservare il degrado che avvolgeva tutto, come se improvvisamente tutti quanti avessero smesso di gestire la manodopera della struttura, e Mieczyslaw si ritrovò a corrucciare le sopracciglia quando si rese conto che tutte le statue e i dipinti raffiguravano creature bestiali e maligne, intente a compiere malvagità di ogni tipo.

Nel bel mezzo di quella mostra dell’orrore, però, una statua in particolare attirò l’attenzione del giovane Omega; posta su un piedistallo di marmo bianco, con la testa sollevata e il corpo teso, si trovava un meraviglioso lupo intento a ululare all’ipotetica Luna. Un tenero sorriso gli tirò le labbra, ritrovandosi ad accarezzare quel pezzo di marmo ricco di dettagli, e solamente quando la polvere venne scostata a sufficienza Mieczyslaw notò la presenza di uno strano simbolo posto tra le quattro zampe del lupo; tre spirali poste ai vertici triangolari del simbolo e unite al centro, circondate da due cerchi perfettamente simmetrici, uno leggermente più grande dell’altro.

Fu il rumore provocato da pentole a padelle a riscuotere l’Omega dalla sua analisi e, preferendo ascoltare il sordo brontolio del suo stomaco piuttosto che la sua curiosità, il ragazzo si diresse verso l’origine del suono e, man mano che si avvicinava, percepì un gradevole tepore iniziare a scaldargli i muscoli mentre un delizioso odore di budino e pollo arrosto gli riempivano i polmoni.
 
 

«Una deliziosa cenetta sprecata! Sono stato tutta la sera a cucinare e nessuno ha apprezzato la mia arte!» esclamò la voce metallica di un uomo.

«Se volete saperlo quel ragazzo è un testone!» disse la voce dell’orologio, facendo sbuffare irritato l’Omega «Il Padrone aveva anche chiesto per favore e sappiamo tutti che quelle parole non sono state pronunciate per molti e molti anni!» quell’informazione fece scattare verso l’altro le sopracciglia di Mieczyslaw che, preso dalla curiosità, si era avvicinato sempre di più; la spessa porta di mogano venne aperta, permettendo al ragazzo di gioire di tutti quegli odori che erano rimasti imprigionati nella piccola cucina.

«È uscito!» esclamò Melissa correndogli incontro con un sorriso euforico sul volto.

«Signorino, quale onore!» esclamò un candelabro mentre si avvicinava; Mieczyslaw gli sorrise e s’inchinò, permettendo all’oggetto di posargli le labbra cerate sulla pelle fredda delle mani «Sono Peter.» sussurrò quando si fu staccato. L’Omega l’osservò per qualche attimo e sorrise appena; il corpo di Peter era fatto quasi interamente di ottone mentre sui manici primeggiavano delle piccole candele consumate, la testa invece era composta da un unico grande pezzo di cera sulla cui estremità vi era una fiamma che bruciava allegramente nonostante la cera non venisse sciolta né consumata in alcun modo.

«Bene!» esclamò l’orologio con fare austero; Mieczyslaw notò come tutto il corpo dell’oggetto fosse composto da un legno scuro, forse ciliegio, eccezion fatta per il quadrante in vetro, le lancette in ferro e il pendolo d’ottone che oscillava pigramente dietro una porticina con finestra «Ora torni in camera, il Padrone è stato chiaro e io non voglio fare una brutta fine!» disse agitando nervosamente il braccio legnoso.

«Ma io avrei fame veramente…» sussurrò imbarazzato l’Omega per poi sorridergli dolcemente.

«SENTITO?! HA FAME!» esclamò euforicamente Melissa prima di voltarsi verso l’enorme cucina che, in automatico, fece sprigionare delle alte fiammate dai vari fornelli posti sul piano principale «Svegliate le stoviglie, chiamate le posate, portate qui i bicchieri!» urlò saltellando a destra e sinistra per tutta la cucina.

«Ma il Padrone ha detto…» provò a intromettersi l’orologio, venendo immediatamente zittito da un’occhiataccia della teiera.

«Alan, non lo lascerò morire di fame!» esclamò tornando a dare ordini a destra e manca.

«Suvvia, orologio scassato, il ragazzo qui… Ehm…» borbottò Peter muovendo uno dei bracci metallici verso il volto del ragazzo.

«Mieczyslaw.» sorrise questo, facendo increspare i sopraccigli cerosi del candelabro.

«Il ragazzo.» riprese dopo qualche attimo Peter «È nostro ospite, non prigioniero.» disse per poi spostarsi a causa di alcuni appendiabiti che si apprestavano a imbandire la tavola.

«E va bene! Un tozzo di pane e un bicchiere di latte e poi a letto!» disse Alan con tono autoritario e gesticolando animatamente; Mieczyslaw annuì immediatamente ma Melissa, invece, urlò il nome dell’orologio prima di folgorarlo con lo sguardo «Ma il Padrone…» bisbigliò iniziando a indicare i piani superiori.

«Non lo verrà mai a sapere.» rispose seccamente Melissa.

«Venga, signorino, la accompagno.» Peter si spostò per la cucina, venendo immediatamente seguito da Mieczyslaw, mentre l’orologio e la teiera continuavano battibeccare come due bambini «Che cena sarebbe senza un po’ di musica…» ghignò il candelabro, facendo sorridere il ragazzo ed entrambi ignorarono il ‘Niente musica!’ urlato da un disperato Alan.
 


 
Stia con noi…
Qui con noi…
Si rilassi d’ora in poi!
Leghi al collo il tovagliolo poi faremo tutto noi.
Soupe du jour, antipasti, noi viviamo per servir!
Provi il pollo, è stupendo!
Non mi crede? Chieda al piatto!
 
 


«Mio caro ragazzo…» iniziò Peter non appena salì sul tavolo mentre una poltrona si posizionò dietro le spalle di Mieczyslaw, permettendogli di accomodarsi «È un grande onore per me e un meraviglioso piacere che la invito a sedersi e rilassarsi mentre la sala da pranzo, con orgoglio, le servirà la cena!» dalle porte della cucina uscirono una serie di carrelli d’ottone, sui quali erano posati numerosi vassoi d’argento; l’Omega sgranò gli occhi mentre attorno a lui alcuni appendiabiti iniziavano a suonare dei violini, inondando la sala con quella melodia allegra che parve scacciare tutte le preoccupazioni dall’animo del ragazzo «Le consigliamo la zuppa del giorno, preparata da arte dal nostro chef Chris, nonché queste tartine con pane abbrustolito e pomodorini di stagione.» piatti, bicchieri e posate saltarono sul tavolo e si posizionarono davanti al ragazzo, che le fissò con aria meravigliata, mentre un mestolo iniziava a riempirgli il piatto con una zuppa verde al cui interno galleggiavano dei pezzi di carota e sedano «Assaggi la carbonara, signorino, una ricetta romana conosciuta anni fa in un viaggio nella Città Eterna!» Mieczyslaw gemette estasiato quando il sapore di quella zuppa gli esplose in bocca, bombardandogli le papille gustative e costringendolo a immergere il cucchiaio per poter provare nuovamente quella pietanza così calda da scaldarlo immediatamente.
 

 
Vive l’amour!
Vive la dance!
Dopotutto garçon, c’est la France!
E una cena qui da noi c’est fantastique…
Lei prenda il menù, gli dia uno sguardo su…
Poi stia con noi, sì con noi, qui con noi!
 
 


Una volta che la scodella fu svuotata questa saltò via, permettendo a un forchettone in metallo di servire della pasta perfettamente arrotolata nel piatto vuoto mentre un cucchiaio recuperava il condimento e lo versava sul primo; Mieczyslaw sorrise quando notò Alan correre per tutta la sala per ordinare ai servitori di fare silenzio ma questi, com’era prevedibile, lo ignorarono e continuarono a servire le portate e suonare i violini.
 
 

«Non si perda questo meraviglioso vino, signorino! È invecchiato dieci anni nelle nostre botti e sono certo che saprà apprezzarlo a dovere!» una bottiglia venne stappata e il contenuto rossastro versato in un calice che prese a saltellare verso il ragazzo, permettendogli di assaporare quel succo d’uva dal sapore deciso ma non fastidioso.

«È tutto buonissimo!» esclamò l’Omega non appena si portò alla bocca la pasta, strappando un sorriso euforico al candelabro.

«Oh, signorino, sono dieci anni che non ci rendevamo utili…» sussurrò poco dopo Peter, rabbuiandosi subito dopo «Dieci lunghi anni in cui nessuno si complimentava per la nostra cucina o il servizio, lei è una boccata d’ossigeno per tutti noi!» Mieczyslaw sorrise e tornò a gustarsi la cena, facendo ben attenzione a non graffiare il piatto per evitare di ferire inavvertitamente il servitore, ma appena anche l’ultimo rimasuglio di condimento venne spazzato via il piatto venne nuovamente riempito con della carne.

«Oh mamma…» sussurrò il ragazzo notando l’enorme coscia di pollo che fumava davanti a lui.

«Qualche chilo in più non può che farle bene!» esclamò Peter mentre un boccale di birra si avvicinava al piatto, facendo traboccare leggermente il liquido dorato «Assaggi la nostra birra!» e Mieczyslaw, sorridendo, ubbidì e si ritrovò a gemere quando il sapore frizzante della bevanda si mescolò abilmente a quello della carne che aveva appena masticato.

«Per carità, basta…» sussurrò disperato Alan mentre notava gli appendiabiti cambiare composizione e riprendere a suonare.
 


 
Che ragù!
Che soufflé!
Torte e caramel flambé!

Preparati e serviti come un grande cabaret!
Lei è solo, impaurito, ma la tavola è imbandita!
Via la noia e la tristezza, viva la spensieratezza!
 
 


«Una cena non può definirsi tale se non c’è il contorno e la frutta!» due enormi ciotole si avvicinarono ciondolando al ragazzo, nella prima vi era un’insalata mista mentre nella seconda primeggiava la frutta di stagione e Mieczyslaw, per di non offendere nessuno, si lasciò riempire il piatto pur sentendosi abbondantemente sazio «Così, signorino, permetta al cibo di allontanare la tristezza! Non si può piangere davanti a tutto questo ben di Dio.» l’Omega sorrise appena e mandò giù l’insalata con un sorso abbondante di vino, percependo le guance scaldarsi per via dell’alcool; un sorriso euforico si dipinse sul volto del ragazzo mentre si prodigava a sbucciare una pesca succosa per poi portarsela alla bocca, sporcandosi il mento e le mani a causa del succo «Per il dolce la cucina le offre un caramel flambé, un soufflé, dell’ottima cassata e una torta alla crema pasticciera che le farà leccare il piatto per la bontà!» Mieczyslaw sgranò gli occhi quando vide il piccolo piatto per i dolci venire riempito con delle enormi fette di quelle quattro prelibatezze e preferì finirsi la birra nel boccale prima di impugnare la forchetta, cercando di digerire tutto il cibo che aveva stipato nello stomaco.

«Ma voi non mangiate?» chiese il ragazzo dopo che appoggiò il boccale sul tavolo imbandito.

«Siamo oggetti, signorino, oltre il dono della parola e del movimento non possiamo fare ben altro…» prese a spiegare Peter distogliendo appena lo sguardo dagli occhi allegri del loro ospite «È dura la vita di noi servi in questo periodo, oltre il Padrone non c’è nessun altro nel castello e come avrà notato da solo abbiamo trascurato la nostra casa…» un nuovo sospiro abbandonò le labbra di Peter, intristendo Mieczyslaw che iniziò a ragionare su quanto visto fino a quel momento, nonché sulle sporadiche frasi che i vari oggetti si erano lasciati scappare in sua presenza «Ma ora c’è lei e le assicuro che già da domani ci daremo da fare per ridare gioia e splendore a questo posto!» l’Omega sorrise appena, la mente impegnata a ragionare su tutte quelle informazioni che gli stavano ballando vorticosamente nella testa resa nebbiosa dai fumi dell’alcool.
 
 

 
Le magie e i misteri,
degli amici candelieri!
Che raffinatezza, grazia e perfezion!
In alto i calici, facciamo un brindisi e stia con noi,
poi vedrà, soddisfatto se ne andrà!

Stia con noi, sì con noi, qui con noi!
 
 


«Ma quindi questo posto è tipo introvabile?» chiese Mieczyslaw mentre si portava alla bocca un pezzo di cassata, mugolando di piacere non appena quel meraviglioso sapore gli espose in bocca.

«È difficile da spiegare…» borbottò il candelabro, la testa bassa e i bracci d’ottoni lasciati pigramente a ciondolare «La foresta è sempre stata presente oltre queste mura, così come il castello, ma ormai sono dieci anni che non si vede nessuno; probabilmente, con il passare degli anni la popolazione si è dimenticata di noi, inoltre, da circa cinque anni qui attorno si sono stanziati dei lupi piuttosto famelici e questo deve aver scoraggiato ancor di più i possibili visitatori.» il ragazzo annuì, portandosi alla bocca il resto del dolce prima di tuffarsi sul caramel flambé.
 
 

 
Saltano i nervi anche al servo, se non servi perché qui non c’è nessuno da servir…
Ah, i bei vecchi tempi di una volta…
Era tutto un grande scintillar!
Quanti anni passati, noi ci siamo arrugginiti senza dimostrar la nostra abilità…
Tutto il giorno a zonzo nel castello…
Grassi, flosci e pigri ma con lei noi siamo tigri!

 
 


«Se posso chiedere, come passate le giornate?» domandò Mieczyslaw prima di portarsi alla bocca il calice di vino, dissetandosi con quel succo delizioso.

«Annoiandoci.» rispose con semplicità Peter «Il Padrone è di umili pretese, oltre a richiedere i pasti non fa assurde richieste; si occupa autonomamente ai propri bisogni e, come già le ho detto, con il passare degli anni abbiamo smesso di occuparci del castello. A cosa serve sgobbare per tirare tutto a lucido quando nessuno viene a farci visita? Le pulizie sono state limitate agli elementi indispensabili; inoltre, a causa dell’inverno perenne che avvolge la magione è impossibile occuparsi del giardino visto che le piante seccano in brevissimo tempo.» l’Omega annuì e tornò a mangiare i suoi dolci mentre un nuovo boccale di birra prendeva il posto di quello vecchio e il calice veniva nuovamente riempito «Ma con lei signorino, oh con lei!» esclamò euforico il candelabro prima di avvicinarglisi saltellando, fermandosi a qualche centimetro di distanza dal volto del ragazzo «Con lei presente tutto cambierà! Saremo delle tigri e tutto tornerà a splendere!» Mieczyslaw gli sorrise e terminò la portata prima di stendersi pigramente e stiracchiarsi, la pancia gonfia e un ebbro sorriso a tirargli le labbra.


 
Oh mio Dio, che farei? Dalla gioia urlerei!
Ora il vino è già versato e il tovagliolo è accanto a lei…
Col dessert vorrà il tè, sì mia cara, anche per me…
Se le tazze sono pronte bollirò in un istante!
Frizzerò, scotterò ma è una macchia quella o no?!
Lava là che gran figura si farà!
Abbiamo un po’ da far, lo devi zuccherar ma stia con noi!

Sì con noi, qui con noi!
Stia con noi!
 

 
Mentre Mieczyslaw parlava amabilmente con il candelabro, cullato dal vino e dai violini che creavano un’atmosfera deliziosa e surreale, nelle cucine regnava il caos più totale; spaventati dallo strato di ruggine che si era posato sulle loro abilità, e soprattutto dalla presenza del loro ospite, i servi del castello avevano trovato non poche difficoltà nel servire tutte le varie portate senza incontrare troppi intoppi.

Chris sbraitava contro piatti e carrelli, i quali non riuscivano a organizzarsi adeguatamente visto che si accalcavano tutti davanti la cucina o sparivano dalla circolazione all’unisono, mentre Melissa si ritrovò più volte a riprendere i tovaglioli e le posate intenti a far rotolare fin troppe bottiglie di vino fuori dalla cantina; fu quindi con un sussurro sollevato che i servi accolsero la fine della cena, stremati mentalmente a causa di tutto lo stress accumulato per rendere quella serata perfetta.

La teiera, richiamando un fin troppo eccitato Isaac, si lasciò tirare a lucido dalle spazzole e infine, dopo che venne accurata sciacquata, attese che venisse riempita con l’acqua bollente e il tè prima di saltare verso l’unico carrello disponibile insieme al figlio e allo zucchero, pronta per entrare in scena.

La bevanda fu accolta con piacere da Mieczyslaw, il quale si sentiva fin troppo su di giri per poter bere altro alcool, e il ragazzo notò con una risatina mal trattenuta che perfino Alan si era lasciato andare alla baldoria, permettendosi di cantare qualche strofa di una canzone popolare e ballare a tempo di musica; alla fine perfino l’Omega si lasciò andare a qualche passo, ridendo sguaiatamente e muovendosi agilmente tra i vari appendiabiti che suonavano e le stoviglie che sgomberavano la sala.

La tristezza pareva aver abbandonato definitivamente il suo animo, così come il freddo, ma il ragazzo incolpò l’eccesso di alcool che aveva in corpo per quelle sensazioni inusuali data la sua condizione; nulla però parve scalfire la sua felicità, neanche una caduta che lo fece schiantare contro il pavimento e, nonostante i servi si fossero immediatamente mossi per aiutarlo a rimettersi in piedi, l’Omega li ringraziò con una sonora risata e si issò da solo, barcollando appena.

Con le gote rosse e il fiato corto, Mieczyslaw accettò nuovamente il tè e si sedette pesantemente sulla poltrona visto che tutta la stanza iniziò a girare vorticosamente; sorrise dolcemente nei confronti di una preoccupatissima Melissa e rise di gusto quando notò Peter e Alan litigare per incolparsi a vicenda riguardo il suo stato d’ebbrezza.
 
 

 
Stia con noi, qui con noi serviremo solo lei!
Son dieci anni che nessuno viene qui, che ossession!
Ma vedrà come qua tutto splendido sarà!
Con le luci un po’ attenuate serviremo le portate…
 
 

Ci volle un’ora buona prima che l’alcool iniziasse a essere smaltito e in quel lasso di tempo il ragazzo ascoltò le varie canzoni popolari che venivano letteralmente strillate dalla servitù intenta a pulire l’enorme stanza, privandola della polvere e delle ragnatele che si erano accumulate in ogni angolo della sala; battendo a tempo le mani, e ridacchiando ogni qual volta il candelabro e l’orologio bisticciavano, Mieczyslaw notò come le luci delle candele iniziarono a divenire soffuse e ringraziò con un enorme sorriso Matt che, timidamente, lo avvisò che durante la cena si erano preoccupati di accendere il camino nella sua stanza affinché la trovasse calda e accogliente al suo rientro.
 

 
Fino a che dopo un po’ lei dirà: “Sto scoppiando!” e allora canteremo con amor!
Per farla riposar è ora d’iniziar!
Mangi con noi!
Sì con noi, stia con noi…
Stia qui con noi!
 
 

«È stato tutto così meraviglioso!» esclamò Mieczyslaw dopo un po’, la mente tornata finalmente lucida e i muscoli nuovamente saldi «Siete stati fantastici, tutti voi, non mi sono sentito così bene e coccolato da tanto tempo!» disse incrociando le braccia al petto e sorridendo dolcemente alla servitù presente.

«Sì, sì! Tutti bravissimi!» sussurrò Alan mentre applaudiva elegantemente per poi sbadigliare fintamente, indicandosi il volto con una mano legnosa «Ma guardi che ore si sono fatte! È tardissimo! Credo che sia il caso che l’accompagniamo alle sue stanza…» disse sorridendo mentre si avvicinava al bordo del tavolo.

«Dormire? Oh, non potrei mai farlo!» gli rispose il ragazzo mentre si sollevava e ruotava su se stesso, incapace di rimanere fermo «Non potrei mai prendere sonno sapendo di vivere in un castello incantato!» esclamò entusiasta.

«In… Incantato?» ridacchiò Alan non appena udì quelle parole «Chi le ha detto che il castello è incantato?» rise falsamente l’orologio, incurante dell’espressione saputa che primeggiava sul volto dell’Omega.

«Che sciocchezza…» si aggiunse Peter saltellando allegramente verso i due.

«Cosa gli hai detto, testa di cera?!» sbottò Alan rivolto verso il collega mentre questi, sbuffando sonoramente, incrociava i bracci davanti al manico e assumeva un’espressione offesa.

«Idiota!»

«Testa di cera!»

«Culo a ingranaggi!»

«Babbeo!»

«Cretino!»

«Deficiente!» Mieczyslaw sospirò rumorosamente e sorrise davanti ai due che se le dicevano di ogni per poi sgranare gli occhi quando si rese conto che Peter, irritato, aveva avvicinato la piccola candela posta all’estremità del suo braccio destro per bruciare il collega.

«L’ho capito da solo che si tratta di un castello incantato…» s’intromise il ragazzo, facendo morire istantaneamente il battibecco dei due che, guardandosi imbarazzati, sorriso verso il loro ospite «Posso esplorarlo? Ve ne prego…» sussurrò tirando fuori la sua miglior espressione da cucciolo bastonato.

«Ma non è il caso, signorino, vede…» provò a ribattere Alan ma, davanti al piccolo broncio messo su dall’Omega, sospirò rumorosamente.

«Lei conoscerà ogni angolo di questo posto, no?» Peter roteò gli occhi quando notò l’espressione orgogliosa messa su dal collega e sospirò rumorosamente quando Alan rispose che ‘Naturalmente! Io conosco tutto del castello!’.
 
 
***
 
 

Se inizialmente Mieczyslaw si era complimentato per quell’idea, le cose cambiarono non appena si rese conto che Alan gli stava mostrando il castello ma invece che parlare dell’incantesimo che li aveva colpiti, o delle caratteristiche di quest’ultimo, si era fossilizzato sullo stile delle architetture e degli intonaci, sottolineando più volte l’intervento di illustri pittori e scultori per migliorare l’estetica delle stanze e della magione in generale; una pesante noia iniziò ad avvolgere l’animo del ragazzo eppure percepiva che interrompere l’orologio con una qualsiasi scusa, anche quella di voler riposare nella propria stanza, lo avrebbe profondamente offeso e di certo non voleva inimicarsi colui che, da quanto aveva capito, era a capo dell’intera servitù. Così, roteando gli occhi a causa di qualche battuta scadente, l’Omega aveva seguito il suo Cicerone per i vari corridoi; corrucciando le sopracciglia udendo quel ‘Se non è barocco è un pastrocchio!’ che aveva fatto scoppiare a ridere Alan, il ragazzo si ritrovò a benedire l’arrivo di Peter e sperò con tutto se stesso che il candelabro iniziasse a rivelargli i dettagli più misteriosi dell’intera faccenda.

Sfortunatamente, il nuovo arrivato si era limitato a saltellare accanto a loro rimanendo in un perfetto silenzio e poco a poco il sonno e la stanchezza iniziarono a farsi sentire, portando Mieczyslaw a sbadigliare rumorosamente contro il palmo della mano; resosi conto di quel suono anomalo, i due servi si voltarono e lo osservarono per qualche istante prima di cambiare rapidamente direzione, accompagnando l’umano verso le proprie stanze. Giunti nuovamente nel salone principale, il ragazzo iniziò a salire la grande scalinata e si ritrovò a svoltare a sinistra, venendo immediatamente bloccato dai due oggetti.
 
 

«NON LÌ!» sbraitarono in contemporanea i due «Da quella parte c’è l’ala ovest.» puntualizzò Alan per poi sgranare gli occhi quando notò l’espressione curiosa messa su dal ragazzo.

«Quindi da questa parte si trova la sezione proibita…» sussurrò Mieczyslaw mentre avanzava di qualche passo.

«Bella mossa, genio!» borbottò irritato Peter prima di saltellare verso l’umano «Signorino, non crede che sia il caso di andare a dormire?» chiese con un sorriso tirato, venendo immediatamente ignorato dall’Omega che proseguì la sua salita.

«Possiamo vedere i giardini!» s’intromise Alan, correndo fino a superare di qualche gradino i piedi del ragazzo.

«Domani, ora fa troppo freddo.» rispose Mieczyslaw sorpassando l’orologio.

«Ci sono le cucine!» disse Peter superando a sua volta i piedi del ragazzo.

«Più tardi…» mugugnò l’Omega, la curiosità che gli attanagliava l’animo cresceva mostruosamente ogni volta che i due oggetti provavano a bloccarlo; la sua mente iperattiva iniziò a formulare mille e più ipotesi che giustificassero quel comportamento e il divieto assoluto di visitare la misteriosa ala ovest.

«Ci sono le segrete, le cantine, le torri, le stanze!» elencò Alan, entrando sempre più nel panico non appena il ragazzo ripeté uno svogliato ‘Più tardi…’ «E… E… E c’è la biblioteca!» urlò terrorizzato per poi sorridere quando notò l’Omega bloccarsi a metà rampa di scale.

«La biblioteca?» chiese con un enorme sorriso il ragazzo.

«Una gigantesca biblioteca ricolma di libri!» s’intromise Peter «Libri di tutti gli autori che abbiano mai scritto o pensato qualche cosa, volumi di artisti europei e non; lettere e testi di autori latini e greci! Nessuna biblioteca in Inghilterra è fornita come la nostra!» mentì e sorrise quando notò che il ragazzo aveva iniziato la discesa e, saltellando allegramente, lui e Alan si presero a braccetto e iniziarono a correre verso la stanza, elogiandone le caratteristiche.
 

 
Troppo presi dal giubilo, i due servi non notarono lo sguardo pensieroso di Mieczyslaw, né l’espressione dubbiosa che si dipinse sul suo volto, e alla fine svoltarono nel corridoio nello stesso istante in cui il ragazzo riprese la propria salita, troppo preso dalla curiosità di scoprire tutti gli elementi mistici che evidentemente avvolgevano la misteriosa ala ovest.

Giunto sul pianerottolo, l’Omega spalancò la bocca nel notare come il lungo corridoio che si apriva ai suoi occhi fosse sicuramente il più degradato di tutti visto che, ammucchiati in ogni angolo, si trovavano i calcinacci dei muri abbattuti e i rimasugli di vecchi mobili e oggetti che qualcuno, vinto dalla furia più spietata, aveva distrutto; deglutendo e sperando che quegli oggetti non facessero parte della servitù, il ragazzo proseguì l’avanscoperta mentre faceva saettare lo sguardo a destra e a manca, notando la quasi totale assenza di arredamento.

Nessuna statua mostruosa, nessun quadro sinistro, nessun ornamento; le uniche cose che abbellivano quelle pareti altrimenti spoglie erano degli sporadici stendardi rossi sui quali primeggiavano le tre spirati che aveva visto incise sulla statua del lupo. Lo sguardo intristito del ragazzo si soffermarono per troppe volte sugli strappi presenti nel tessuto, i quali rovinavano quei pezzi di stoffa che un tempo dovevano essere stati cuciti con il miglior filato in circolazione; continuando ad avanzare, e incontrando numerose camere da letto impolverate e abbandonate al degrado, Mieczyslaw sgranò gli occhi quando vide l’unico stendardo integro.

Il tessuto rosso svolazzava pigramente contro il muro, mosso da qualche corrente d’aria la cui origine era ignota al ragazzo, ma ciò che maggiormente colpì Mieczyslaw furono i dettagli d’oro posti ai bordi dello stendardo i quali, districandosi per tutto il tessuto, correvano verso il basso per incorniciare una singola parola, perfettamente ricamata su quel rosso.
 
 

«Hale?» domandò l’Omega carezzando pigramente le cuciture, chiedendosi se quello fosse il nome della casata della creatura; il ragazzo, infatti, non ci mise molto a capire il rango sociale del suo cancelliere visto che era proprietario di un castello e tutta la servitù gli si rivolgeva con reverenza, chiamandolo costantemente ‘Signore’. «Che si tratti di un principe?» si chiese a bassa voce mentre continuava a fissare lo stendardo.
 
 

Alla fine, scuotendo il capo per allontanare quei pensieri, il ragazzo riprese la propria esplorazione ma la mente, curiosa, continuava a formulare domande su domande le quali, ogni volta, si concentravano sul motivo per cui la creatura avesse assunto quell’aspetto; dopo lo spavento iniziale, Mieczyslaw aveva escluso l’intervento del maligno ma l’ipotesi di trovarsi davanti a un principe maledetto gli suonava così stupida e priva di senso da lasciarlo basito. Per un attimo ripensò anche al mito del Minotauro, immaginandosi una regina intenta a copulare con un lupo o un orso, ma anche quell’ipotesi fu prontamente accantonata; sospirando e starnutendo a causa della polvere che gli faceva prudere il naso, il ragazzo arrivò a fronteggiare una gigantesca porta in mogano i cui battenti, uniti, richiamavano la mostruosa testa della bestia.

Deglutendo sonoramente, Mieczyslaw afferrò le maniglie e spinse il portone, smuovendo la polvere presente nella stanza mentre la apriva; un terribile freddo lo investì immediatamente, costringendolo a rabbrividire e a maledirsi visto l’assenza della sua mantella rossa, ma poco dopo l’attenzione dell’Omega fu catturata dalla stanza. Lì, davanti a lui, si trovava quel che rimaneva del letto, visto che il telaio era stato distrutto a suon di artigliate permettendo alla paglia di sbucare in più punti; le coperte sfatte e piene di peli sembravano esser state sistemate con lo scopo di creare una qualche sorta di nido mentre il cuscino giaceva abbandonato e squarciato a qualche metro di distanza.

Non vi erano comodini o altri mobili attorno al letto, vista la quantità impressionante di legna spezzata che occupava la stanza, ma solamente armadi e sedie sparsi in giro e che aumentavano la sensazione di caoticità presente; muovendo un paio di passi, però, Mieczyslaw sgranò gli occhi nell’osservare l’unico quadro perfettamente normale e, nonostante la tela fosse stata strappata e fatta a pezzi, il ragazzo la accarezzò e tentò di far combaciare alcuni lembi per poi spalancare la bocca quando osservò due occhi verdi fissarlo di rimando, sormontati due cespugliose sopracciglia nere come la pece. Quello sguardo appena intristito lo colpì, trasmettendogli un senso di solitudine non indifferente, e improvvisamente si ritrovò a provare pena per quel ragazzo; non ci volle molto prima che la sua mente iniziasse a collegare i tasselli e l’Omega si lasciò sfuggire una lacrima quando ipotizzò che quel triste ragazzo dagli occhi verdi e la creatura dagli occhi rossi che viveva in quel caos fossero la stessa persona.

Un singhiozzo abbandonò le sue labbra e Mieczyslaw corse ad asciugarsi alcune lacrime; in quel momento, mentre abbassava lo sguardo e si preparava a tornare sui suoi passi, un alone rosato attirò la sua attenzione, costringendolo a voltarsi verso destra per poi sgranare maggiormente gli occhi.

Lì, davanti a lui e protetta da una campana di vetro, si trovava la rosa più bella che avesse mai visto; rossa come il sangue appena stillato e luminosa come una stella, il fiore pareva essere leggermente appassito e notò come alla base dello stelo si fossero ammucchiati alcuni petali ormai morti. La rosa brillò nuovamente e solo allora il ragazzo si rese conto che quel fiore incantato stesse galleggiando a pochi centimetri dalla superficie del tavolo; la curiosità ebbe la meglio e deglutendo sonoramente, si avvicinò per guardare meglio quella che, probabilmente, era il fulcro di tutta la faccenda.

Con mani tremanti, afferrò la campana in vetro e la sollevò prima di posarla delicatamente sul pavimento per poi spalancare la bocca quando la rosa brillò ancor di più; attirato da quella strana luce e desideroso di poter sfiorare quei petali incantati, avvicinò titubante una mano. Mancavano pochi millimetri prima di poter finalmente soddisfare il suo desiderio quando un’improvvisa ombra lo costrinse a sollevare lo sguardo, incontrando lo sguardo cremisi della bestia.

Sobbalzando spaventato e tirandosi immediatamente indietro, Mieczyslaw notò come la creatura si fosse mossa così rapidamente da sfiorare l’impossibile e in pochi secondi la rosa fu nuovamente posta sotto la campana di vetro.
 

 
«Le avevo detto che quest’ala era proibita.» ringhiò furiosamente Derek, incurante dello sguardo spalancato e terrorizzato del ragazzo «Ha idea di quello che sarebbe potuto succedere?» chiese in un sibilo mentre si allontana dalla rosa per poi avvicinarsi all’Omega che, deglutendo, tentò di aumentare la distanza dalla creatura «HA IDEA DI QUELLO CHE SAREBBE SUCCESSO?!» la bestia ruggì con tutto il fiato che aveva in corpo e si slanciò verso Mieczyslaw che, cadendo maldestramente, riuscì a sfuggire dalla presa dell’altro «VADA VIA!» ruggì mentre un armadio veniva fatto a pezzi dalla sua furia.

«Mi dispiace…» provò a sussurrare l’Omega mentre strisciava via dall’ira dell’altro «Mi dispiace…» ripeté una volta che si fu rimesso in piedi; la bestia ruggì con tutto il fiato che aveva in corpo e afferrò il povero armadio quasi a pezzi prima di lanciarlo con furia verso il ragazzo, che si spostò appena in tempo.

«VADA. VIA!» ruggì nuovamente Derek prima di afferrare qualsiasi cosa gli capitasse a tiro per poi lanciarla contro il ragazzo che, terrorizzato, si spostò rapidamente all’esterno della stanza mentre un comò si sfracellava contro il pesante portone in mogano; un nuovo ruggito di furia si propagò per tutto il castello, ridestando immediatamente la servitù, e prima che la bestia se ne accorgesse al suo naso giunse l’odore della pioggia e del sale mentre dei singhiozzi mal trattenuti giungevano alle sue orecchie e lanciavano dolorose stilettate al suo cuore «Cos’ho fatto…» borbottò Derek mentre cadeva in ginocchio, le zampe premute sugli occhi lucidi e un disperato uggiolio a riecheggiare nella stanza.
 
 


Note finali: se non avete letto il capitolo (o comunque la prima parte) cantando a squarciagola dovete mettervi in punizione da soli, in un angolo della casa e con la fronte al muro per riflettere su ciò che non avete fatto!

Dunque, come vi sembra questo capitolo? Lo so, la descrizione del castello non è delle migliori ma ogni volta che la scrivevo usciva veramente uno schifo visto che, da quello che vediamo nel Classico, ci sono solamente stanze mostruose, quadri abominevoli e tende strappate; ho cercato di migliorare il tutto inserendo la statua del lupo e gli arazzi, oltre che concentrarmi sulla stanza di Derek, ma so che non basta e quindi vi chiedo immensamente scusa.

Mi sono rifiutato d’inserire le armature viventi che si vedono nella scena dell’esplorazione di Belle; a livello cinematografico la scena rende molto, visto e considerato che vengono usate come gag, ma in una storia gran parte della comicità viene a mancare. Inoltre, e mi fa male dirlo, quella battuta rappresenta un buco di sceneggiatura bello e buono; se nel castello sono presenti elementi umanoidi in metallo, corazzati e armati, perché questi non sono intervenuti quando il villaggio ha attaccato? Perché non hanno difeso la Bestia quando Gaston la stava uccidendo? Bisogna stare molto attenti a inserire elementi simili perché non ci vuole niente a trasformare una gag in un errore; gli abitanti del castello, così come il principe Adam, non dovevano essere aiutati da nessuno e in nessun caso! Potevano contare unicamente su di loro e aiutarsi a vicenda, per questo Belle non fa nulla nello scontro finale nonostante Gaston sia il suo villain (vi ricordo che il cacciatore voleva uccidere la Bestia per sposarsi Belle e diventare famoso, non gl’importava della presenza di Adam ma gli dava fastidio il fatto che lei si fosse innamorata di un personaggio furry); la Bestia deve avere il conflitto finale proprio per dimostrare di essere un uomo e quindi superiore all’essere animalesco di Gaston. Non è un caso che il villain cade nel vuoto e non viene fatto a pezzi a suon di artigliate; quindi sì, le armature non dovevano proprio essere inserite a mio avviso.

Passando ad altro: sì, Derek è stato uno stronzo ma un po’ lo capisco… Insomma, se la rosa si fosse danneggiata o venisse rubata loro sarebbero condannati tutti e invece cercano di spezzare la maledizione, nonostante le problematiche incontrate.

Non credo di aver altro da dire, quindi vi lascio a un piccolo avviso: l’AU “Il più raro e il più bello di tutti…” è quasi terminata (devo scrivere il decimo capitolo, ne mancano praticamente quattro) e stavo pensando di pubblicare il terzo oggi, voi cosa ne pensate?

Altro annuncio: siccome sto notando che le Sterek/Disney piacciono molto, sia a me scriverle che a voi leggerle, ho deciso di creare un altro piccolo sondaggio; quale storia vorreste leggere prima?
  1. La Sirenetta;
  2. Il re leone;
  3. Lilo e Stitch;
  4. Tarzan;
Votate festosi e festanti!
 

Prima di lasciarvi vorrei ringraziare infinitamente tutti i lettori silenziosi che non si lasciano sfuggire un capitolo, siete spettacolari ‹3 ma anche tutti coloro che hanno inserito la fanfiction in una delle categorie di EFP e infine, ma non meno importanti, vorrei ringraziare con tutto il cuore Emoglobyna, miky9160, Opalus, linn86 e Fata_Morgana 78 per aver recensito lo scorso capitolo; inoltre, un ringraziamento speciale va a LadyKiller125 per aver recensito la minilong “Alla ricerca di Ancora”.
Siete fantastiche e fantastici, tutti quanti ‹3
 

Per chi fosse interessato a leggere le altre storie presenti nella raccolta “Sterek Disney…” vi lascio i link:
  1. Alla ricerca di Ancora (Sterek/Inside Out): https://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3890608&i=1;
  2. Il più bello e il più raro di tutti… (Sterek/Mulan): https://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3899223&i=1;
 
Inoltre vi linko la fanfiction scritta per Pasqua a tema Sterek:
 
 
Sì, ho finito di farmi pubblicità da solo ^^”
 

A sabato prossimo!

Babbo Dark

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Capitolo 8
*** VIII - Dovere ***


Note iniziali: oggi sono particolarmente acido, principalmente perché ho parlato con una mia grande amica riguardo “Teen Wolf”, e quindi questo capitolo mi fa abbastanza schifo; mi sono messo a correggere la parte centrale, perché come l’avevo scritta era veramente orribile, ma ho lasciato l’inizio e la fine del capitolo. Continua a farmi schifo, anche se meno rispetto a prima, ma attendo con ansia i vostri pareri; le critiche costruttive sono sempre ben accette.

Allora… Cosa c’è da dire al riguardo? Come noterete fin dall’inizio è stata aggiunta una parte “extra” che servirà a piegare cosa farà Noah nell’arco di tempo in cui Stiles rimarrà al castello; nel Classico non vediamo nulla di simile e capisco il genere fiabesco che avvolge il tutto ma un paio di fotogrammi su Morisse intento a fare qualcosa sarebbero stati graditi e invece…

In questo capitolo non ci saranno canzoni, mi spiace, ma la scena del soccorso di Belle doveva essere inserita in un capitolo a parte e senza canzoni a intervallare il testo; a mio avviso credo che questo sia il capitolo che abbia subito più modifiche in assoluto rispetto alla storia, leggendo capirete il perché.

Ma bando alle ciance e vi lascio alla lettura!
 

Babbo Dark
 
 


 
Little Red Ridding Hood and the Cursed Wolf
Capitolo VIII: Dovere
 
 

Noah aveva freddo, dannatamente freddo, e nonostante la mite temperatura di quella notte d’agosto non riusciva a smettere di tremare; la vista iniziò ad annebbiarsi, le gambe sembravano piegarsi sotto il peso del loro padrone e prima che se ne accorgesse si ritrovò a impattare contro il primo tronco disponibile, cercando disperatamente di rimanere in piedi nonostante tutto.

Voleva correre, sbrigarsi e tornare al castello del mostro per poter salvare il suo bambino da un destino peggiore della morte eppure il suo corpo pareva indebolirsi ogni secondo di più, prevalendo sulla mente e sul suo cuore annientato dalla disperazione; respirare stava diventando sempre più difficile e la testa sembrava pronta a spaccarsi in due a causa del dolore e poco a poco Noah si accasciò a terra. Un macabro ululato squarciò il silenzio di quella notte stellata ma non aveva la forza né la stabilità necessarie per scappare o difendersi dal branco di lupi e così, singhiozzando, attese miseramente la sua fine.

Passarono minuti interminabili, in cui il silenzio avvolse l’intera foresta come se fosse un’enorme coperta, e l’Alpha, stremato, perse i sensi; neanche lo scoppio di un fucile parve risvegliarlo, talmente era stanco e debilitato, e mentre il branco affamato si allontanava, dei borbottii concitati di due donne avanzarono rapidamente verso quell’uomo vinto dalla stanchezza e dal dolore.
 
 

«È vivo?» chiese una di loro, i cui folti capelli castani le ricadevano pesantemente lungo la schiena; l’altra, invece, si sistemò meglio il fucile dietro la schiena e si avvicinò di soppiatto all’Alpha prima di toccargli il collo, sorridendo entusiasta quando percepì i battiti lenti ma regolari pulsarle sotto le dita.

«Jennifer, aiutami!» esclamò la donna, un’Alpha bionda e sensuale; la Beta, osservandosi attentamente attorno, si avvicinò rapidamente e aiutò l’amica a sollevare di peso il corpo di Noah.

«Kate, sta male! Ha la febbre alta e continua a tossire!» disse Jennifer preoccupatamente.

«Chi si prende una polmonite in pieno agosto?!» sbottò shoccata l’Alpha mentre iniziava a dirigersi verso il proprio paese «Andiamo da Gerard, lui è un medico e saprà aiutarlo.» disse Kate mentre si osservava attorno alla ricerca di possibili animali selvatici che avrebbero potuto attaccarle «Attenta ai lupi, Jen, questa foresta ne è piena.» la mise in guarda subito dopo, ricevendo in risposta un cenno del capo.
 
 

Nonostante la buona volontà e l’impellente desiderio di riprendere la strada principale, le due donne impiegarono quasi un’ora per uscire da quella foresta infestata dai lupi e, mentre Jennifer fece accomodare uno stremato Noah sul proprio cavallo, Kate sollevò di scatto il fucile non appena un possente ruggito riecheggiò nell’aria, spaventando tutti gli uccelli placidamente addormentati nei loro nidi; spaventate, le due partirono al galoppo verso la loro splendida Londra, incuranti del fatto che a pochi chilometri di distanza un giovane Omega stava sollevando il peso di una bestia svenuta.

I cavalli sbuffarono sonoramente più volte durante la corsa e dopo più di tre ore di viaggio finalmente i castelli della città furono avvistati; c’erano notti, come quella, in cui odiavano il loro ruolo di guardie visto che, nonostante tutti i cartelli appesi sia intorno che all’interno della foresta, non erano pochi gli avventurieri che decidevano di sfidare la sorte addentrandosi tra quegli alberi. Quasi tutti venivano sbranati dai lupi ma ogni tanto le due donne riuscivano a salvare qualche malcapitato, costringendosi poi a correre furiosamente verso Londra, tentando di far arrivare il prima possibile il salvato nella bottega del dottor Argent; quando i cavalli oltrepassarono le pesanti porte in quercia le due vennero accolte dalla silenziosa periferia della città. In giro non c’era un’anima, neanche il vecchio ubriacone del quartiere, e per un attimo si ritrovarono a sorridere nel pensare alla loro collega, Breaden, la quale doveva aver multato tutti coloro che avevano osato far baldoria fino a orari non consentiti.

Arrestata la corsa, e scese da cavallo, Kate corse a svegliare il medico mentre Jennifer fece scendere a fatica uno svenuto Noah; aperta la porta della bottega, e fatti accomodare, Gerard ordinò loro di posare il salvato sul letto mentre lui afferrava tutti gli strumenti del mestiere per poter procedere alla sua visita.
 


 
***
 
 

Theo tamburellò nervosamente le dita contro il logoro tavolo al quale era seduto, la testa poggiata pesantemente sul palmo della mano e gli occhi puntati contro la porta d’ingresso nella locanda, in attesa; dopo quell’orgia organizzata nella propria stanza, che lo aveva lasciato sporco ma soddisfatto, l’Alpha aveva ordinato a Donovan di recarsi dal dottor Raphael McCall, il gestore del manicomio locale, e si era seduto a quello stesso tavolo nell’attesa che i vari clienti completamente sbronzi lasciassero barcollando la taverna mentre suo padre si occupava della chiusura.

Erano passate più di tre ore da quando il genitore era sparito nella propria stanza e Theo iniziava a innervosirsi, l’animo inquieto e rabbioso a causa del ricordo del trattamento ricevuto quello stesso pomeriggio dall’Omega; il ragazzo, però, si ritrovò a ghignare malvagiamente mentre ripensava al suo piano praticamente perfetto, ideato subito dopo la visita di uno sconvolto Noah e delineato in tutti i dettagli nella calma post-orgasmo.

Sì, Law avrebbe accettato di legarsi a lui a ogni costo. D’altronde, Theo Raeken otteneva sempre ciò che voleva.

Improvvisamente il rumore di una carrozza distrasse l’Alpha dai suoi pensieri e poco dopo un euforico Donovan entrò nella locanda mentre, al suo seguito, camminava lentamente il dottor McCall; l’alto uomo era un Beta muscoloso con dei folti capelli neri e un’espressione maligna dipinta in volto per la maggior parte del tempo.

Sorridendo ai due, Theo acquistò una posizione retta sullo scomodo sgabello e attese che il medico si sedesse mentre l’amico si prodigava a riempire tre boccali con la birra migliore in possesso ai Raeken; incrociando le braccia davanti al petto muscoloso, l’Alpha attese che i due Beta fossero pronti prima di spezzare quell’odioso silenzio che per troppo tempo gli aveva tenuto compagnia.
 
 

«La ringrazio per essere venuto, dottore.» iniziò Theo sorridendo affabile.

«Di solito non lascio il manicomio a quest’ora della notte ma, a quanto dice il suo amico, ognuno ne avrebbe beneficiato…» rispose Raphael congiungendo i polpastrelli e ghignando maleficamente, la birra completamente ignorata.

«Oh, si fidi!» rise sguaiatamente Donovan mentre beveva una generosa dose di alcool.

«Sentiamo allora…» sussurrò il medico.

«Voglio legarmi con Law, il figlio dell’inventore…» prese a parlare l’Alpha, non perdendosi il sopracciglio del medico che si sollevò scetticamente in risposta «Ma quel piccolo Omega deve essere… Beh… Persuaso…» disse roteando una mano e ghignando maliziosamente.

«Altro che!» s’intromise il Beta prima di scolarsi le ultime gocce di birra.

«Signor Raeken, non so se l’ha notato ma io mi occupo di tutt’altre faccende…» rispose Raphael dopo qualche attimo.

«Oh, lo sa! Si fidi, lo sa!» rise nuovamente Donovan per poi essere sbattuto prepotentemente contro il tavolo da un furioso Theo.

«Il padre di Law, quel Noah, è fuori di testa e lo sanno tutti in città!» esplose l’Alpha subito dopo, gioendo dell’espressione interessata che si dipinse sul volto del medico.

«Noah Stilinski è innocuo. Pazzo ma innocuo.» precisò freddamente il Beta, non perdendosi il ghigno malvagio che tirò le labbra del suo interlocutore.

«Law farebbe di tutto per il padre, anche legarsi con me!» precisò Theo indicandosi il petto con il pollice per poi stordire l’amico con un colpo in testa quando questi scoppiò in una sonora risata.

«Prosegua.» lo incentivò il medico, incurante di quell’espressione di violenza a cui aveva appena assistito.

«Rinchiuda quel folle in manicomio! Io mi proporrò a Law e non appena me lo sarò scopato e ci saremo legati nel calore, lo libererà.» delineo Theo indurendo lo sguardo e gonfiando i muscoli, pronto a colpire il medico pur di raggiungere il suo scopo.

«E io che ci guadagno?» chiese Raphael mentre sollevava il busto e incrociava le braccia al petto; gli occhi del Beta si sgranarono non appena Theo tirò fuori un sacco di iuta e lo sbatté rudemente contro il tavolo, facendo tintinnare il contenuto. L’Alpha sorrise perfidamente ed estrasse un coltello con cui lacerò la stoffa, permettendo a una dozzina di monete d’oro di cadere contro la superficie scolorita del tavolo «Oh… Ma questo è sleale…» sussurrò il medico mentre afferrava le monete e se le rigirava tra le mani, incantato dal loro luccichio sinistro «Mi piace!» disse facendole sfregare tra loro per poi scoppiare in una sonora risata nello stesso momento in cui Donovan, con un’emicrania da competizione, riprendeva i sensi.

«Allora è deciso!» esclamò euforico Theo prima di sollevarsi di scatto dalla seduta «Agiremo questa notte!» ordinò mentre il medico ghignava e s’intascava il denaro, pregustandosi i comfort che avrebbe acquistato per il suo ufficio.

«Molto bene…» sussurrò malignamente Raphael alzandosi a sua volta e dirigendosi verso la porta della taverna «Mi segua per cortesia.» Theo non se lo fece ripetere due volte e afferrato l’amico per il colletto lo costrinse a seguirlo, incurante del dolore che gli stava provocando.
 

 
La carrozza viaggiò rapidamente per le strade deserte di Beacon Hills e non ci volle molto prima che i cavalli vennero fermati davanti la casa buia di proprietà degli Stilinski; scendendo e avvicinandosi a passo di marcia verso la porta d’ingresso, Theo percepì il proprio membro pulsare e irrigidirsi a causa dell’aspettativa di poter sprofondare in quel corpo vergine e bellissimo. L’Alpha, seguito a pochi passi di distanza dai due Beta, non si curò troppo delle proprie maniere e quasi sfondò la porta nel tentativo di aprirla, fiondandosi nel salotto non appena l’infisso cedette ai suoi colpi.
 
 

«Law! Noah!» sbraitò l’Alpha, furioso ed eccitato come non mai; Theo si massaggiò rudemente l’erezione da sopra il pantalone e corse al piano superiore, notando però come tutte le stanze fossero completamente deserte «Dove diavolo si sono cacciati?!» urlò tornando al piano di sotto e puntando i suoi occhi furenti sui due Beta.

«Credo che ci hanno preceduto…» ridacchiò Donovan per poi essere scagliato contro il muro dall’amico.

«Dannazione!» sbraitò Theo, incurante degli sguardi lanciatogli dal medico.

«Deduco quindi che il mio compito sia finito prima ancora d’iniziare…» s’intromise Raphael con naturalezza prima di fare dietro front e tornarsene alla propria carrozza «Non appena l’Omega e il padre si faranno vivi mi faccia contattare e attueremo il piano.» disse sorridendo verso Theo prima di prendere posto sulla seduta e frustare i cavalli, facendoli scattare alla volta del manicomio.

«Beh… Andiamo a casa.» esordì Donovan dopo che si fu alzato ma, poco prima che uscisse dall’abitazione, Theo lo afferrò per il collettò e lo sbatté senza troppe cerimonie sul divano prima di tirarselo contro e urlare.

«Tu ora rimani qui e attendi il loro arrivo. CHIARO?!» sbraitò l’Alpha mentre l’altro annuiva energeticamente «IO vado a dormire, non appena quell’Omega e il padre si faranno vivi verrai a farmelo sapere.» ordinò prima di spingere il Beta contro lo schienale del divano per poi sparire rapidamente oltre l’uscio, lasciandosi dietro un terrorizzato Donovan in preda ai tremori incontrollabili.
 
 

 
***
 
 

«VADA. VIA!»
 

Il ruggito di Derek si propagò per tutto il castello, costringendo Peter e Alan a voltare lo sguardo verso la fonte del suolo e solo allora i due oggetti si resero conto che il loro ospite non li aveva seguiti e che, molto probabilmente, si era addentrato nell’ala proibita; tornando indietro nel modo più veloce possibile, i due servitori sgranarono gli occhi nell’osservare un terrorizzato Mieczyslaw intento a scendere rapidamente le scalinate, il volto pallido e rigato dalle lacrime mentre il fiato sembrava mancargli a ogni passo.
 
 

«SIGNORINO!» esclamarono in coro i due ma l’umano li sorpassò senza degnarli di uno sguardo e si affrettò a raggiungere il grande portone in mogano «Non se ne vada, signorino!» si affrettò a dire Peter quado notò il ragazzo tentare disperatamente di aprire la porta con le mani tremanti.

«Promessa o non io non rimango in questo posto un minuto di più!» esclamò terrorizzato Mieczyslaw quando, finalmente, riuscì ad abbassare la maniglia e fuggire.

«Dove va?! Ci sono i lupi!» urlò Alan ma l’unica risposta che ricevette fu il boato prodotto dal portone che si chiudeva «Va a chiamare il Padrone! Nonostante tutto, il ragazzo non può morire in modo atroce!» ordinò l’orologio e, non appena Peter sparì al piano di sopra, lui si diresse alle cucine per ordinare ai cuochi di preparare qualcosa di caldo visto le temperature gelide presenti attorno al castello.
 
 

Peter corse a perdifiato per tutta la scalinata e sorrise non appena notò le grandi porte che delimitavano la stanza del suo Padrone; sospirando di sollievo, il candelabro provò ad aprire la porta ma ogni volta otteneva solamente un fallimento e così, sbuffando, si costrinse a bussare rumorosamente.
 
 

«Padrone! Padrone!» esclamò terrorizzato l’oggetto mentre continuava a bussare «Il ragazzo è scappato!» urlò contro la superficie in legno.

«Lasciatelo andare.» fu la risposta sussurrata dalla bestia che, incurante di tutto, si era buttato sul letto e raggomitolato sotto il suo mantello.

«Ma Padrone, ci sono i lupi fuori!» precisò Peter terrorizzato dal possibile esito della serata e attese pazientemente che la creatura rispondesse, o che comunque aprisse la porta, ma dopo qualche minuto non udì nulla e timoroso provò nuovamente a entrare; questa volta il candelabro riuscì a crearsi uno spiraglio sufficientemente grande per permettergli d’infilare la testa ma all’interno della stanza non c’era nessuno «Oh, Padrone…» sussurrò con voce disperata l’oggetto prima di tirarsi indietro e tornare tristemente al piano di sotto, incapace di comunicare la triste notizia.




 
***
 
 

Galoppando nella fredda aria della notte, Mieczyslaw continuò imperterrito a spostare rapidamente lo sguardo alle sue spalle nella disperata speranza di non incontrare la figura bestiale del suo assalitore; si era sempre definito un Omega coraggioso, così simile alla sua amata madre, eppure quando vide Derek esplodere in quella furia animalesca non riuscì a resistere e diede sfogo al suo istinto primordiale, ritrovandosi a fuggire il più velocemente possibile da quel luogo infernale. Roscoe sbuffava e nitriva sotto di noi, pestando violentemente la neve ghiacciata a ogni affondo degli zoccoli, e il ragazzo si ritrovò a calciargli con forza i fianchi affinché aumentasse la velocità; si era allontanato dal castello eppure non si sentiva ancora al sicuro, non voleva incontrare nessun altro mostro nascosto in quella dannatissima foresta e prima avrebbe messo piede in casa sua e meglio sarebbe stato.

Riportando lo sguardo sul sentiero, Mieczyslaw sospirò rumorosamente quando notò la fitta rete di alberi che si diramava davanti ai suoi occhi come un infernale labirinto ma poi, improvvisamente, un ululato riecheggiò sinistramente nell’aria e il ragazzo si ritrovò a spalancare la bocca; osservandosi attentamente attorno, e spronando il fidato cavallo ad aumentare il più possibile la velocità, l’Omega sperò con tutto se stesso che nessun lupo sarebbe stato attratto dal rumore provocato dalla sua corsa.

Un ringhio ferino gli carezzò l’udito, facendolo sbiancare immediatamente, e non ci volle molto prima che il secco suono delle fauci lupesche che si chiudevano a pochi centimetri dal suo corpo lo facesse tremare di paura; voltando appena lo sguardo, Mieczyslaw osservò disperato l’enorme lupo grigio che lo inseguiva a pochi passi di distanza, le zanne scoperte e il muso contorto in un’espressione orribile.

Nuovi ululati fendettero l’aria e l’Omega si ritrovò a tirare le briglie del cavallo, costringendo il terrorizzato Roscoe a cambiare immediatamente direzione nell’esatto momento in cui un lupo marrone balzava sul sentiero; gli zoccoli dell’animale presero a scivolare contro il terreno ghiacciato, costringendo i due a precipitare inesorabilmente verso un piccolo baratro che li accolse con uno spesso e soffice manto di neve.

Il sollievo fu solo temporaneo visto che, voltando lo sguardo, Mieczyslaw notò l’interno branco osservarlo famelicamente; lupi neri, grigi e marroni se ne stavano immobili lungo la scogliera ma poi, facendo gemere rumorosamente il ragazzo, il capo branco ululò e le bestie saltarono di sotto, ricominciando a inseguirlo.

Nuovi calci furono inferti ai fianchi del cavallo che, esausto e terrorizzato, arrancava pesantemente nel manto nevoso; distratto da tutto quello che gli capitava a tiro, Mieczyslaw non si rese conto degli scricchiolii sinistri che provenivano dal basso e quando lo fece fu troppo tardi. Quello che, fino a pochi secondi prima, credeva fosse il terreno cedette sotto il loro peso e i due si ritrovarono a boccheggiare violentemente a causa dell’acqua gelida che li frustò; non aveva mai provato un dolore simile, tutti i muscoli delle gambe bruciavano a contatto con il gelo assoluto e Mieczyslaw percepì il proprio sangue abbandonargli le vene. Gli sembrava d’essere trafitto da milioni di lame arroventate nello stesso momento e sentiva i muscoli irrigidirsi fino allo spasmo, minacciandolo di strapparsi da un momento all’altro; disperato, l’Omega avvolse le braccia attorno al collo di Roscoe, intento a nuotare disperatamente verso la riva, ma non ci volle molto prima che i lupi li raggiungessero.

Le fauci della bestia si chiusero con forza contro il maglione che indossava e presero a tirarlo con forza, minacciando di strappare le cuciture ed esporre maggiormente il magro corpo del ragazzo al gelo della notte; Mieczyslaw chiuse gli occhi e serrò la bocca ma a ogni strattone percepiva la sua presa sul cavallo diminuire e alla fine, singhiozzando, il lupo riuscì a tirarlo con abbastanza forza da sbilanciarlo e farlo precipitare in acqua.

La bocca si spalancò mentre un urlo di dolore gli abbandonava la gola, quel dolore che credeva inimitabile si acuì notevolmente divenendo mille e mille volte più intenso; percepiva il cuore battergli furiosamente nel petto e i polmoni immobilizzarsi, la mente si congelò all’istante e ben presto i muscoli si tesero per il freddo eccessivo, portandolo ad affondare lentamente.

La vista gli si annebbiò, i battiti rallentarono e ben presto il desiderio di arrendersi a quell’oblio che lo chiamava dolcemente, sussurrando lascivamente il suo nome, divenne pressante; non voleva più combattere, non sarebbe mai riuscito ad affrontare le acque gelide del lago e un triste sorriso gli si dipinse sulle labbra quando ripensò al volto paterno. Mieczyslaw sarebbe morto lì, in un lago sconosciuto ai più e il suo corpo sarebbe rimasto avvolto e protetto dalle gelide acque del fondale per l’eternità; ripensò a sua madre, a suo padre, agli amici che si era lasciato dietro e poco a poco la vita iniziò a scorrergli davanti agli occhi.

L’acqua tremò violentemente attorno a lui e Mieczyslaw corrucciò le sopracciglia quando notò due luci rossi avvicinarsi sempre di più; sembravano minacciarlo di qualche cosa, rimproverarlo nel modo più bestiale possibile, e il volto del ragazzo si contorse dal dolore quando qualcuno lo afferrò con forza. Si ritrovò a muoversi rapidamente verso la superficie senza fare alcun movimento e alla fine la bocca si spalancò; l’aria tornò a regnare indisturbata nei suoi polmoni mentre la notte stellata gli dava il benvenuto, gelando la pelle del volto con il suo freddo.

Poco a poco Mieczyslaw si ritrovò a gattonare lentamente sullo strato nevoso, il corpo scosso dai singhiozzi e dai conati di vomito; l’acqua continuava ad abbandonarlo e solamente quando riuscì a respirare adeguatamente l’Omega sollevò lo sguardo, trovando i corpi maciullati e sanguinanti dei lupi. In disparte, con le briglie legate a un basso ramo, Roscoe scalciava violentemente ma poi, accanto a lui, una grossa zampa mostruosa si posò pesantemente sulla neve; timoroso, Mieczyslaw sollevò lo sguardo e riconobbe finalmente le iridi rosse che l’avevano soccorso.

Derek piegò appena le orecchie e sospirò rumorosamente e solo in quel momento il ragazzo notò le numerose ferite che adornavano la spalla sinistra e le braccia della creatura, il sangue che si era mescolato abilmente con la pelliccia scura fino a saturarne maggiormente il colore; la bestia grugnì e mugugnò, avanzando pesantemente sulla neve e lasciandosi dietro alcune macchie di sangue, per poi afferrare il proprio mantello e gettarlo sul corpo tremante dell’Omega.
 

«Almeno… Almeno tu sei… Sei salvo…» bisbigliò debolmente prima di cadere a terra.
 

Tremando visibilmente, Mieczyslaw si sollevò stancamente da terra e si avvolse attentamente nel grande mantello prima di dirigersi il più rapidamente possibile verso il povero Roscoe che, riconoscendo il tocco del suo padrone sul manto, si calmò appena e permise al ragazzo liberarlo; il desiderio di riprendere la fuga era ancora presente nel suo animo eppure, poco prima di montare in sella, il suo sguardo cadde sul massiccio corpo della bestia. L’acqua intrappolata nel suo pelo iniziava a congelarsi e il nero della pelliccia risaltava ancor di più contro il candore della neve, portando Mieczyslaw a rimanere ipnotizzato; un alito di vento lo fece tremare ancor di più ma una voce nella sua testa continuava a ripetergli che, nonostante tutto, Derek lo aveva salvato da una morte certa e sarebbe stato da stronzi abbandonarlo nel bel mezzo del gelo, con il rischio che venisse attaccato nuovamente dai lupi.

Sospirando rumorosamente tirò le briglie e avvicinò il cavallo alla creatura prima di chinarsi e afferrarla per le spalle, sbuffando per il peso eccessivo e maledicendo il suo fisico esile per non riuscire a compiere quel gesto tanto semplice quanto complesso. Fortunatamente, Roscoe venne in suo aiuto e si piegò sulle zampe, facilitandogli il compito.

Nonostante tutto, spostare Derek dal terreno sul dorso del cavallo si rivelò un’impresa titanica per il giovane Omega che alla fine, stremato, cadde sulle proprie ginocchia e sorrise appena quando notò il cavallo alzarsi e scuotere il capo; sospirando, Mieczyslaw imitò l’animale e lo afferrò per le briglie prima d’incamminarsi nella stessa direzione dalla quale era venuto, sperando in cuor suo di non ricadere nel lago ghiacciato o, peggio ancora, di scontrarsi nuovamente con i lupi perché, in quei casi, non avrebbe avuto la forza di reagire.

I cavallo e cavaliere camminarono per circa un’ora, accompagnati solamente dallo scricchiolio della neve sotto i loro passi, e fu con un sussulto spaventato che Mieczyslaw accolse il borbottio arrochito della bestia.
 
 
«Per di là.» disse Derek sollevando stancamente un braccio, indicandogli la via per tornare al castello.
 
 

 
***
 
 

Un ringhio ferino spezzò l’opprimente silenzio che aleggiava nella stanza, aumentando considerevolmente la tensione presente tra i due giovani, costringendo la servitù ad allontanarsi appena per evitare di finire per errore in mezzo alla lite; solamente Melissa ebbe il coraggio di rimanere accanto ai pesanti pantaloni dell’Omega, il quale dopo essersi cambiato e asciugato aveva indossato i primi vestiti che un’impensierita Lydia gli aveva fatto trovare sul letto. Benedicendo la presenza del fuoco in ogni camino del castello, nonché il tè che la servitù aveva preparato, Mieczyslaw riuscì a calmare notevolmente il freddo che gli attraversava il corpo e così, quasi un’ora dopo aver varcato la soglia della magione con il suo cavallo, il ragazzo incrociò le braccia al petto e fulminò con lo sguardo quello che, se non avesse l’aspetto di una creatura mostruosa, sarebbe sembrato un enorme bambinone testardo.

Derek infatti, comodamente seduto sulla sua poltrona preferita, aveva rifiutato ogni approccio della servitù preferendo leccarsi delicatamente le ferite che ornavano il suo corpo; Mieczyslaw si morse le labbra quando notò il modo goffo e impacciato con cui la creatura provò a lapparsi il collo, convinto che una sua risata avrebbe riacceso nuovamente la furia del maggiore.

Sbuffando davanti all’ennesimo ringhio della creatura, Mieczyslaw chiese a Melissa se fosse possibile avere dell’acqua bollente e dell’alcool; non ci volle molto prima che i due liquidi venissero miscelati in una tinozza e, dopo aver immerso un panno pulito, il ragazzo provò in tutti modi di tamponare delicatamente le ferite sulla bestia ma senza risultati soddisfacenti visto che questo, dimenandosi come un’anguilla, rifiutava ogni approccio da parte del ragazzo.
 
 

«DEREK!» sbraitò Mieczyslaw dopo l’ennesimo ringhio, facendo immobilizzare immediatamente il maggiore che lo fissò a occhi sgranati; erano passati anni ormai da quando qualcuno lo aveva chiamato per nome e lottando contro quella sensazione viscerale che gli attanagliava lo stomaco, la bestia si rese conto di quanto gli fosse mancata quell’unica, piccola parola… Il suo nome… «Se non sta fermo come posso aiutarla?!» disse fissandolo in cagnesco e, sfruttando l’immobilità dell’altro, l’Omega provò a riavvicinarsi.

«MA FA MALE!» ruggì Derek non appena percepì la puzza dell’alcool avvicinarsi sempre di più al suo corpo.

«Magari se stesse fermo farebbe meno male!» lo rimbeccò Mieczyslaw, lo straccio abbandonato dentro la bacinella e le braccia incrociate davanti al petto.

«Magari se si fosse fatto gli affari propri io non mi sarei ritrovato in queste condizioni!» rispose ghignando la bestia, ignaro degli sguardi che la servitù si stava scambiando.

«Coso spelacchiato che non sei altro!» urlò Mieczyslaw puntandogli un dito contro il petto muscoloso, incurante del rischio a cui stava andando incontro nonché dei disperati tentativi di Alan di fermarlo visto che Peter aveva immediatamente bloccato il collega «IO sono scappato perché TU hai dato di matto! Se ti fossi comportato civilmente e mi avessi sbattuto fuori dalla porta con grazia invece che sfasciare la tua stanza tutto questo non sarebbe successo!» Derek corrucciò lo sguardo e sbuffò rumorosamente ma nessuno, oltre i due interessati, si perse le espressioni divertite sui loro volti.

«E tu dovevi darmi retta!» ringhiò con tono canzonatorio mentre la sua coda, traditrice!, aveva iniziato a scodinzolare rapidamente.

«E tu invece dovresti iniziare a comportarti come un normale essere umano!» riprese Mieczyslaw per poi sorridere vittorioso quando notò l’espressione colpevole che si fece strada sul volto dell’altro «Tanto per cominciare: che ti costa indossare i pantaloni? Eh?! Bestia nudista ed esibizionista che non sei altro!» Derek abbassò rapidamente lo sguardo sui suoi genitali lupini e immediatamente spostò il mantello, coprendosi le nudità «Secondo…» riprese il ragazzo come se nulla fosse «La smetti di ringhiare e ruggire per ogni cosa? Sei un Sourwolf!» disse per poi scoppiare a ridere notando l’espressione oltraggiata che si dipinse sul maggiore.

«Un sour… Cosa?» borbottò Scott al fratello prima di sobbalzare a causa del ringhio che abbandonò la gola del suo padrone e che, senza ombra di dubbio, era rivolto unicamente a lui; quel suono, però, venne immediatamente scalzato dal ruggito di dolore di Derek che, irritato, fissò lo sguardo sul volto del ragazzo, trovandolo assorto e concentrato mentre puliva delicatamente le ferite lasciatogli dai lupi.

«Stringi i denti, farò il più in fretta possibile.» sussurrò timidamente Mieczyslaw mentre riprendeva a disinfettare la pelle lacerata, ottenendo un sibilo infastidito in risposta.
 
 

Derek si ritrovò più volte ad artigliare la propria poltrona mentre quel piccolo Omega procedeva lentamente ma con dovizia a medicarlo e, nel disperato tentativo di alleviare quel bruciore che percepiva, la creatura iniziò a fissare il volto del ragazzo; lo stupore si dipinse sul suo volto non appena si rese conto che quel piccoletto non aveva paura di lui, né timore. Sfiorava le sue zampe con delicatezza e riverenza, come se stesse medicando un angelo e non una bestia mostruosa, e Derek si ritrovò a deglutire sonoramente quando si rese conto che Mieczyslaw gli aveva afferrato le dita artigliare per muovere il braccio e osservare il suo lavoro, incurante di quelle armi affilate che sarebbero riuscite a lacerargli le carni senza alcun problema.

Poco a poco la creatura si ritrovò a collaborare, spostandosi quel tanto che bastava affinché l’umano disinfettasse e medicasse tutte le ferite riportate nello scontro; il dolore iniziò ben presto a sparire e Derek non riusciva a smettere di studiare quel viso niveo e carico di nei, così puro nella sua normalità.
 
 

«Derek…» sussurrò improvvisamente Mieczyslaw mentre si prodigava a disinfettare le ferite sul collo «Grazie per… Per avermi salvato…» disse imbarazzato; non gli importava di nulla, neanche se l’altro fosse scoppiato a ridere sguaiatamente, perché la sua mente continuava a ordinargli di sussurrare quelle parole, consapevole che l’assenza di quell’intervento avrebbe portato a una morte dolorosa e solitaria. Contro ogni previsione, però, Derek tirò la propria espressione, simulando un sorriso, e la coda iniziò a ondeggiare felicemente a destra e sinistra mentre gli occhi passavano da un cupo rosso cremisi a un rilassante verde bosco.

«Dovere…» sussurrò la creatura e improvvisamente, prima che potesse fermarsi, la sua zampa si mosse in automatico portando il dorso delle dita a sfiorare delicatamente il volto dell’Omega, sfondando quel muro di freddo distacco che aveva immediatamente creato non appena suggellò il patto con il ragazzo «Dovere, Miec…» borbottò Derek prima di essere prontamente interrotto dall’altro.

«Chiamami Stiles.» disse l’Omega prima di aumentare quel delicato contatto sulla sua guancia, gioendo del calore che la creatura gli stava donando.

«Dovere, Stiles…» riprese Derek con più convinzione, la mano poggiata contro la guancia liscia.
 

 
E così, persi uno dello sguardo dell’altro, i due non si accorsero che la servitù poco alla volta, si era dileguata, lasciandogli la giusta privacy.
 
 


Note finali: ebbene sì! Kate, Jennifer, Gerard e Raphael sono tra noi! Suonate le trombe, urlate dalla finestra e mangiate nutella gente, tre villain principali sono diventati aiutanti! Sinceramente, visto il mondo narrato dalla serie tv, mi chiedo come mai tutti si concentrino sempre sui soliti cattivi; voglio vedere un villain diverso! Non so, fatemi incattivire Danny o Melissa! Un po’ di novità in questo fandom!

(Che poi parlo proprio io… Di due storie in corso ho scelto per entrambe Theo… E va beh…)

Che ne pensate della scena del salvataggio? Io l’ho detto che il capitolo era diverso… Quanti di voi avevano pensato a una cosa simile?

In quasi tutte le fanfiction lette la scena del salvataggio di Derek da parte di Stiles è praticamente identica, cambiano solamente le modalità con cui il lupo rischia di affogare ma il succo rimane quello; questa volta ho deciso di stravolgere il tutto, fare in modo che sia Derek a salvare Stiles dall’annegamento.
Per chi se lo stesse chiedendo (ne dubito ma va beh…) sì, cadere in acque ghiacciate porta all’annegamento; generalmente, quando ci troviamo in situazioni di pericolo, il nostro istinto di sopravvivenza ci porta a lottare o fuggire ma questa è situazione particolare. L’atrofia dei muscoli (ossia l’impossibilità a muoversi a causa di una rigidità muscolare) si verifica quando il corpo subisce uno sbalzo termico importante, quindi il corpo cerca di bloccare tutti gli elementi superflui per cercare di rimanere in vita; nella prima versione del capitolo Stiles iniziava a nuotare verso la superficie ma alla fine ho accantonato l’idea, è terrorizzato ma si trova anche all’interno di un lago la cui temperatura è scesa molto al di sotto dello zero e quindi non sarebbe mai riuscito a muovere i muscoli neanche per grattarsi il naso, figuriamoci nuotare!

Quindi che ne pensate? Piaciuto? Non piaciuto? Mi sono reso conto che tutti aspettano questa scena e ho un po’ d’ansia…

Quindi… Non credo di avere nulla da dire in più e quindi mi limito a ringraziarvi moltissimo per aver letto il capitolo, per aver inserito la storia in una delle categorie di EFP e soprattutto un ringraziamento speciale va a lululove2, Fata_Morgana 78, Naruko Namikaze Uchiha e linn86 per aver recensito lo scorso capitolo.
 

Altri ringraziamenti in arrivo! Io non so veramente quali parole usare per farvi capire quanto vi adoro, veramente <3 <3 <3 ho scritto “Perdere l’amore” in un momento di sconforto e mi avete scaldato il cuore, quindi grazie mille; vi ringrazio per aver letto la storia, per averla inserita in una delle categorie di EFP e soprattutto ringrazio Aruki, Linn86 e Naruto Namikaze Uchiha per averla recensita.
 
 

Alla prossima!
 

Babbo Dark

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Capitolo 9
*** IX - Oltre le apparenze ***


Note iniziali: eccoci finalmente per questo nuovo aggiornamento! Io lo ammetto: non ho la benché minima idea del perché i capitoli di questa storia siano tutti, o quasi, di undici e dodici pagine mentre per “Il più e il più bello di tutti…” facevo fatica a stare nei venti; lo so, in “Mulan” viene bypassato tutto l’addestramento mentre ne “La Bella e la Bestia” vengono ignorate solamente le attività di Gaston e Morisse ma… Boh… Forse perché Belle e Adam vivono nella quotidianità e quindi sarebbe stato noioso scrivere/leggere di ciò? Ripeto: Boh… A voi l’ardua sentenza di dire se la storia vi piace o no.

Passando al capitolo… Finalmente Stiles inizia a vedere il vero Derek, oltre che iniziare a provare qualcosa per lui, e da qui in avanti queste sensazioni saranno sempre più forti; c’è anche un piccolo spezzone dedicato a Noah e Theo ma prima che proseguiate nella narrazione voglio farvi un appunto: Kate e Jennifer. Lo so, nessuno se lo aspettava e tutti voi sperate di vederle comparire nuovamente ma… Ecco… Non accadrà…

‘MA BABBO DARK, HAI INSERITO DUE PERSONAGGI CANONICI SOLAMENTE COME COMPARSE E NON LE SFRUTTI?!’ <= probabile vostro pensiero dopo aver scoperto la verità.

Ebbene sì, le ho usate solamente come comparse; avevo bisogno di due personaggi da introdurre per il salvataggio di Noah e dopo varie prove, tutte gettate nel bidone della spazzatura virtuale, ho deciso di usare proprio loro. I nuovi personaggi non mi piacevano, né di aspetto e né di nome, perciò ho pensato di usare degli elementi canonici ma, come accade sempre per questi miei riadattamenti, ho sfruttato mezzo cast solamente per la servitù e quindi ero a corto di gente ^^” mi spiace dover spezzare le vostre illusioni ma torneranno in altre fanfiction quelle due, poco ma sicuro.


 

AVVERTIMENTI: all’inizio del capitolo, nella scena che riguarda Theo, c’è una scena che mostra il maltrattamento di un animale; io sono contro quest’abominio, oltre che odiare la caccia, ma sono stato costretto a inserirla per sfaccettare il personaggio e spiegherò nelle note finali il motivo (anche se qualcuno potrebbe capirlo da solo). Quindi se siete particolarmente sensibili o non amate queste cose passate direttamente oltre gli asterischi; io farò in modo che tutta la scena sia sottolineata, così la vedete a occhio e non leggete cose che potrebbero farvi soffrire, e vi prego di non buttarvi a capofitto nella lettura se sapete che non vi piace l’argomento. Ripeto: anche a me ha fatto schifo e male scriverla ma era necessaria.
 

E niente, fine sclero e ci vediamo di sotto.

Buona lettura!
 

Babbo Dark
 
 

Stiles
Derek
Peter
Alan
Melissa
Trio
 


 
Little Red Riding Hood and the Cursed Wolf
Capitolo IX: Oltre le apparenze
 
 

Lo scoppio del fucile riecheggiò nell’aria, ferendo i timpani di tutti coloro che lo ascoltarono, mentre un giovane Alpha scoppiava a ridere sguaiatamente nell’osservare la volpe agonizzante davanti ai suoi piedi, il ventre dilaniato dalle pallottole e l’erba che poco a poco si sporcava del suo sangue.

Theo puntò lo sguardo in quello dell’animale, godendosi come non mai la paura che saturava lo sguardo di quella povera bestia mentre la luce lo abbandonava poco alla volta, facendola sprofondare sempre di più nell’oblio; la volpe uggiolò, chiese pietà al suo assassino, ma questi si rifiutò di concederle la grazia, preferendo godersi quello spettacolo raccapricciante.

Era passato un mese ormai da quando la sua preda preferita era sparita nel nulla e Theo era sempre più frustrato, ormai neanche il sesso riusciva a calmarlo e solamente la caccia sembrava soddisfarlo temporaneamente; un guaito abbandonò la gola dell’animale, facendo sorridere malignamente l’Alpha, e poco alla volta la coda vaporosa della volpe si accascio pesantemente al suolo, inerme.

La luce abbandonò definitivamente i suoi occhi e il torace smise di sollevarsi.

Quando la bestiola si spense, Theo percepì la rabbia tornare prepotentemente a infestargli l’animo e, sollevandosi, sollevò un piede e lo calò con forza sul quel minuscolo torace, godendo nell’udire lo scricchiolio delle ossa; subito dopo anche quella sensazione non fo più sufficiente e con un urlo furioso calciò quel cadavere ancora caldo, lanciandolo il più lontano possibile da lui.

Caricando nuovamente il fucile, Theo riprese a camminare per il bosco che circondava la città, cercando la prossima vittima della sua furia; la mente però continuava a focalizzarsi su un volto pallido e costellato di nei mentre il desiderio di affondare in quella carne vergine aumentava considerevolmente la furia che imperversava nel suo petto.
 

 
***
 

 
La luce del mattino infastidì il suo sonno, trascinandolo con forza nella realtà quotidiana, obbligandolo a svegliarsi; i suoi occhi chiari, non ancora abituati alla luce solare, si aprirono e chiusero un paio di volte e solamente dopo qualche minuto le palpebre vennero sollevate lentamente, permettendo alle pupille di adattarsi lentamente a quei raggi. Una stanza sconosciuta accolse il suo sguardo confuso, facendogli salire prepotentemente la preoccupazione, mentre, poco alla volta, la mente riportava a galla gli ultimi ricordi: la fiera, la bestia, Stiles, la taverna, l’inizio della ricerca e poi il nulla.

Tossendo dolorosamente, Noah si sedette lentamente in quel letto asettico che non riconosceva mentre cominciava a studiarne l’abitacolo; la stanza comprendeva un letto, un comodino e un armadio ma nulla di quel mobilio solleticava abbastanza la sua memoria da spingerlo a ricordare. Abbassando lo sguardo, l’Alpha sgranò gli occhi quando notò dei vestiti che non gli appartenevano e, proprio quando si accinse ad alzarsi, una donna minuta entrò nella stanza e gli sorrise raggiante, incurante della tempesta che si agitava nel suo petto.
 

 
«È sveglio!» constatò allegramente la donna prima di avvicinarsi al giaciglio per poi invitarlo a stendersi nuovamente, incurante della tosse che spezzò il respiro del suo paziente «Come si sente?» chiese dolcemente mentre posava una mano sulla sua fronte, valutando la presenza della febbre.

«Dove mi trovo?» chiese invece Noah, incurante di tutto «Cos’è successo?» domandò iniziando a respirare sempre più affannosamente; solo in quel momento un uomo anziano entrò nella sua stanza, sorridendogli raggiante.

«Si trova a Londra, signore.» rispose l’uomo, facendogli sgranare gli occhi «È stato trovato privo di sensi nella foresta mentre un branco di lupi le si avvicinavano con intenti nefasti.» deglutendo sonoramente, Noah si ritrovò a fissare sconsolato il soffitto; ignorando i tocchi dell’uomo sulla sua pelle, e i movimenti della donna alle sue spalle, l’Alpha si ritrovò a calmare il groppo alla gola che rischiava di soffocarlo «Ci sono dei miglioramenti ma non può ancora andarsene, non in queste condizioni…» sussurrò l’uomo attirando l’attenzione del paziente su di sé.

«Da quanto tempo sono qui?» chiese finalmente l’Alpha.

«Un mese.» Noah sgranò gli occhi e boccheggiò, terrorizzato da quella risposta e soprattutto dalle possibili ripercussioni che il suo bambino avrebbe vissuto sulla sua pelle, chiuso in quella torre gelida e seviziato perfidamente da quel mostro senza cuore; improvvisamente, la mente dell’uomo fu invasa dalle orribili immagini che vedevano tutte come protagonista il suo bambino: Stiles morto congelato, Stiles morto dissanguato, Stiles abusato e schiacciato, Stiles sventrato, Stiles denutrito, Stiles morto di stenti e abbandonato in una pozza creata con il suo stesso sangue…

«Devo andare!» urlò Noah ma non appena si sollevò di scatto dal letto percepì le proprie forze abbandonarlo, costringendolo a stendersi nuovamente mentre le vertigini lo nauseavano come non mai; scoppiando in lacrime, l’Alpha strinse le mani del medico e lo pregò affinché lo liberasse, gli permettesse di raggiungere suo figlio e salvarlo, ma il dottor Gerard sospirò rumorosamente.

«Lei ha passato una brutta polmonite, signore…» iniziò a spiegare il medico, incurante di quelle gocce disperate che abbandonavano gli occhi del suo paziente; un singhiozzo abbandonò le labbra della donna e, voltandosi appena, il medico sorrise nel vederla così umana, così empatica. Lui non ci riusciva, vedere le persone piangere non gli causava nessuna reazione e raramente un alone di tristezza avvolgeva il suo umore quando osservava i pazienti disperarsi a causa di una diagnosi nefasta; scuotendo il capo, tornò a prestare attenzione all’Alpha «Ha rischiato di morire, sa? Non posso permetterle di vanificare i nostri sforzi! Ovunque si trovi suo figlio sono certo che la starà aspettando a braccia aperte; ora cerchi di riposare, tra poco le portiamo qualche cosa da mangiare.» Noah voleva urlare, sbraitare e picchiare quel medico; voleva dirgli che suo figlio è prigioniero di un mostro, che probabilmente veniva torturato giorno e notte. Voleva descrivergli la bestia, fargli capire quanto sia mostruosa, ma la paura di non essere creduto, che gli diano del pazzo e lo internino, era così grande da costringerlo a mordersi la lingua. Così, non appena il medico uscì dalla stanza, Noah chiuse gli occhi e scoppiò in un pianto disperato.
 
 
***
 
 

Stiles si stiracchiò come un gatto per poi abbandonare i suoi arti contro le lenzuola sfatte e malamente attorcigliate sul fondo del letto, come accadeva ogni dannatissima notte della sua vita; sbadigliando rumorosamente, e percependo il suo stomaco gorgogliare impaziente, l’Omega si tirò a sedere e rabbrividì appena quando poggiò i piedi nudi contro il pavimento ghiacciato. Stiracchiandosi nuovamente, afferrò da sotto al letto il vaso da notte e si avvicinò alla finestra prima di spalancarla per poi osservare in basso e vuotarlo attentamente; odiava quella pratica ma nessuno aveva ancora inventato un metodo più pulito e ortodosso per liberarsi dell’urina e lui doveva abituarsi.

Così, mentre l’aria fresca del mattino ripuliva quella nella stanza, il ragazzo uscì dalla sua stanza e sorrise quando notò un appendiabiti appostato lì davanti, pronto per accompagnarlo del grande bagno e aiutarlo nell’igiene mattutina; camminando per il corridoio illuminato, Stiles sorrise nel notare gli importanti cambiamenti che il castello aveva subito. La polvere, ormai, era completamente sparita da ogni angolo e il solo ricordo di Derek alle prese con i calcinacci lo fece ridacchiare visto che, alla fine della giornata, lo scuro manto della creatura era completamente bianco; così, respirando l’aria pulita che regnava ovunque in quelle grandi stanze e benedicendo la luce che penetrava dalle finestre tirate a lucido, il ragazzo entrò nel bagno.

I grugniti di Derek lo fecero ridere più del dovuto, attirando le attenzioni della creatura che sbuffò sonoramente in risposta, e attendendo che l’acqua calda riempisse la vasca iniziò a spogliarsi per poi piegare accuratamente il pigiama su un mobile; quando si immerse nell’acqua saponata, si lasciò sfuggire un sospiro beato e chiuse gli occhi, godendosi quella sensazione appagante.
 
 

«È FREDDA!» l’urlo di Derek lo costrinse ad aprire gli occhi e sbuffare, la pace di poco prima completamente evaporata «Allontana quel coso da me! Hai capito?! NON. OSARE!»

«Ma Padrone, è solo un pettine!»

«Fa male!»

«Su, su! Non faccia il bambino e ci permetta di pettinare il suo manto.»

«No!»

«Non fare il bambino, Sourwolf!» urlò Stiles, stanco di quelle urla fastidiose.

«La fai facile tu! Non hai peli ovunque!» rispose a tono Derek prima di ringhiare appena, segno che quel coraggioso servo eroe aveva iniziato a pettinare il suo Padrone.

«Ringrazia il cielo che fa freddo altrimenti ti sarebbero venute pure le pulci!» disse l’Omega prima di osservare l’immediata immobilità che aveva colpito i presenti «Che c’è?» chiese innocentemente prima di sgranare gli occhi «Oh mio…» sussurrò mentre le labbra si arricciavano in un sorriso pronto a scoppiare.

«No, Stiles, non…» la creatura però non finì mai la frase visto che il ragazzo, saltando fuori dalla vasca e coprendo le sue nudità con un telo, aveva oltrepassato la tenda che li divideva e si immobilizzò a fissare lo sguardo imbarazzato di Derek.

«Tu hai le pulci?!» disse prima di scoppiare in una fragorosa risata, la testa reclinata all’indietro e le mani strette contro l’addome liscio.

«Avevo.» precisò Derek in uno sbuffo, facendo aumentare, se possibile, la risata del più piccolo.

«È stato orribile reperire gli unguenti per eliminare quelle bestiacce…» sbuffò Alan roteando gli occhi «Quattro mesi passati a vederlo grattarsi maniacalmente in posti assurdi…» disse strappando l’ennesimo ringhio irritato da parte di Derek.

«Oh, lupone…» sbuffò Stiles quando si fu calmato «Ti ci vedo a scorticarti nel tentativo di placare il prurito.» il ragazzo sospirò e ridacchio nuovamente prima di tornare indietro per terminare il suo bagno.
 
 

Non ci volle molto prima che i due fossero pronti per abbandonare la stanza e, nonostante il silenzio che li accompagnava passo dopo passo, si fecero compagnia mentre percorrevano la distanza che li separava dalla colazione; Stiles, però, non riusciva a smettere di fissare la creatura con la coda dell’occhio, stupendosi dei piccoli cambiamenti che questa aveva fatto nel corso dell’ultimo mese.

Infatti, a differenza di prima, Derek camminava eretto sulle possenti zampe e nonostante il torso ancora nudo aveva iniziato a vestirsi sempre più decentemente; non si dimenticò mai la prima volta che lo vide indossare quelli che, probabilmente, dovevano essere dei vecchi pantaloni. Derek ringhiava e sbuffava a ogni passo, lamentandosi del tessuto stretto che gli premeva fastidiosamente sui muscoli ma, non appena si abbassò per accomodarsi sulla sua poltrona preferita, i pantaloni si strapparono in più punti mentre la sua risata, accompagnata dal sospiro di sollievo di Derek, riecheggiava nel castello; alla fine la servitù era stata costretta a cucire insieme due paia di pantaloni per volta, permettendo così al loro Padrone di iniziare a coprire le proprie nudità e, anche se Derek si rifiutava ancora d’indossare maglie e camicie Stiles lo ritenne un grande passo in avanti.

Prima di quell’evento più volte, infatti, si era chiesto se la folta pelliccia dell’altro riuscisse a isolarlo termicamente dall’inverno perenne che aleggiava dentro e fuori le mura del castello, incolpando quindi quest’ultimo fattore per la costante nudità della creatura, ma quando si rese conto che di giorno in giorno i pantaloni cambiavano, sia di colore che di modello, Stiles fu costretto a ricredersi; Derek si comportava in quel modo non perché sentisse caldo o altro, lui aveva permesso alla parte bestiale della sua forma di prendere il sopravvento, sulla sua mente e sulla sua vita, portandolo in breve tempo a girare completamente nudo nonostante la presenza costante della servitù.

Il vestiario, però, non fu l’unico elemento a subire delle modifiche; poco a poco, infatti, l’Alpha iniziò a cambiare i propri atteggiamenti, a mitigare l’umore, e nonostante i continui ringhi che abbandonavano la sua gola, atteggiamento dovuto più a un vizio difficile da abbandonare piuttosto che ad altre motivazioni, Derek tentava di comportarsi nel modo più civile possibile. Continuava a ripetere all’Omega che doveva sentirsi ospite e non prigioniero, ogni giorno gli chiedeva se volesse condividere con lui i pasti e nell’ultima settimana non disdegnò di passare del tempo insieme nel giardino, limitandosi a passeggiare pigramente. Infine, ma non meno importante, Derek parlava e conversava con il ragazzo; la prima volta che avvenne la servitù rimase spiazzata visto che, a detta di Peter, neanche prima della trasformazione il suo Padrone amava esprimersi a parole, tant’è che numerosi nobili avevano preso l’abitudine di chiamarlo “Il Principe Taciturno”.

Quando Stiles venne a sapere di come la creatura si era comportata nei confronti della contessa Tate, restando perfettamente immobile e in silenzio per quattro ore mentre questa raccontava per filo e per segno tutta la sua giornata, si lasciò andare a una sonora risata che riecheggiò per tutto il salone; solamente quando riuscì a calmarsi, il ragazzo notò lo sguardo di Derek puntato su di lui ma, invece che leggervi rabbia e frustrazione, trovò solamente stupore e qualcos’altro che non riuscì bene a identificare.

Alla fine, nonostante tutto, tra i due nacque una strana amicizia, elemento che permise a Stiles di trovare il coraggio di chiedere all’altro il permesso di poter scrivere delle lettere a suo padre per rassicurarlo riguardo le sue condizioni; Derek rimase stupito per qualche secondo davanti a quella richiesta ma alla fine, tentando di immedesimarsi nel più piccolo, acconsentì e ordinò alla servitù di far trovare tutto il materiale necessario affinché il giovane potesse mettersi in contatto con il genitore.

Nonostante l’invio di tre missive, spedite una alla settimana, Noah non aveva mai risposto e questo iniziò a far preoccupare il ragazzo; suo padre non si sarebbe mai permesso di ignorarlo, sapendo soprattutto le modalità con cui si erano separati, ma a rincuorarlo ci pensò Derek che ammise, vergognandosi come non mai, che probabilmente il padre si era ammalato a causa della presenza forzata nella torre e che si sarebbe messo immediatamente in contatto con lui appena si fosse ripreso. Stiles, nonostante la fama di chiacchierone, non riuscì mai a ringraziare pienamente Derek per quel suo gesto tanto umile quanto dolce.
 
 

«Padrone, signorino…» sussurrò Peter non appena i due entrarono nel salone da pranzo per poi inchinarsi profondamente; Stiles gli sorrise e s’inchinò leggermente a sua volta mentre Derek si limitò ad annuire, senza proferire parola «Questa mattina il nostro Chris ha preparato per voi dell’avena con latte e miele; troviamo poi del succo d’arancia appena premuto, del pane abbrustolito con sopra del burro e marmellata.» elencò il candelabro mentre i due prendevano posto ai due estremi del lungo tavolo.

«E questo cos’è?» borbottò Derek quando vide una caraffa fumante con all’interno un liquido scuro; l’odore gli piaceva, forte e penetrante, così speziato da fargli desiderare con tutto sé stesso di poterlo assaggiare.

«Ma è caffè!» esclamò sorpreso Stiles mentre un enorme sorriso gli tirava le labbra «È da quando mi sono trasferito da Varsavia che non lo bevo! Voi inglesi siete fissati con il tè, buonissimo eh, ma non avete mai provato questo nettare scuro!» disse mentre afferrava Isaac per il manico e lo avvicinava alla caraffa; Matt s’inchinò si prodigò a riempire la tazza «Zucchero e latte, per favore.» due tazze si avvicinarono saltellando al ragazzo e questo si premurò di miscelare a dovere il liquido bianco e i granelli.

«Volete provare, Padrone?» chiese Peter occhieggiando l’Alpha che scrollò le spalle; ritenendo quel gesto come un silenzioso “sì”, Matt si prodigò a versare il caffè dentro Scott prima che quest’ultimo iniziasse a saltare verso la creatura.
 
 

Stiles non si perse l’attenta analisi che Derek fece al liquido scuro e dovette più volte trattenersi dal ridere visto il modo con cui la creatura occhieggiava curioso il liquido scuro, annusandolo a pieni polmoni a intervalli di pochi minuti, ma alla fine la lingua rosa s’intinse nel caffè; l’Alpha sgranò gli occhi, pervaso dal sapore forte e deciso del caffè, e quando prese a lappare violentemente la tazzina Stiles non resistette più e scoppiò a ridere, così come Scott che veniva costantemente solleticato.

Così, dopo quell’inizio insolito, i due poterono finalmente iniziare a mangiare la lauta colazione che Chris aveva preparato per loro; Stiles afferrò immediatamente un paio di fette di pane mentre Derek preferì buttarsi a capofitto sul piatto d’avena. Purtroppo, come Stiles aveva appreso dopo qualche giorno di convivenza, le zampe della creatura erano perfette nella lotta o nella corsa ma quando si trattava di eseguire movimenti precisi, come l’afferrare una posata, si rivelavano estremamente scomode; i lunghi artigli, nello specifico, si conficcavano nella carne morbida e Derek si ritrovava costantemente a dover mangiare il proprio sangue mischiato con i pasti. Per ovviare a quell’intoppo, infatti, l’Alpha aveva iniziato ad avventarsi sul piatto come un cane affamato, spargendo il cibo ovunque e sporcandosi vistosamente tutto il muso e parte del petto; quella visione disgustosa accompagnava il ragazzo durante tutti i pasti ma quella mattina, forse a causa delle violente lappate di Derek contro il piatto o dell’insolita fame che gli attanagliava lo stomaco, buona parte del tavolo si trovò imbrattata d’avena e addirittura i capelli della creatura si ritrovarono impiastrati a dovere. Stiles strizzò gli occhi quando notò la colazione colare pigramente sul petto peloso di Derek, lasciandosi dietro di sé una scia appiccicaticcia e umida e così, come tutti i pasti da quella notte di fuga, il ragazzo iniziò a fissare la stanza mentre mangiava per evitare di nausearsi per il modo animalesco in cui l’altro mangiava e, onde evitare di farlo sentire in imbarazzo visto che neanche il muso lupino aiutava a mangiare naturalmente, cercava sempre di non fissarlo troppo a lungo o intensamente; la loro amicizia era nata da appena un mese e il ragazzo credeva che non avrebbe retto a una lite basata sul modo in cui uno dei due mangiava.

Quella mattina, però, il comportamento dei due convinse Melissa ad agire; odiava vedere il loro ospite sentirsi in imbarazzo durante i momenti più importanti della giornata e, soprattutto, desiderava con tutta se stessa che quel ragazzo che aveva visto nascere, crescere e trasformarsi si sforzasse per comportarsi sempre di più in maniera umana, allontanandosi passo passo dalla bestialità che negli ultimi anni lo aveva caratterizzato. Così, schiarendosi la voce, la teiera attirò la voce dell’Alpha che, in risposta, la fissò confuso; Melissa sospirò rumorosamente e roteò gli occhi quando vide l’avena scivolare attorno alle sopracciglia del suo padrone ma, cercando di pensare al suo obiettivo, lanciò un paio di occhiate al ragazzo costringendo Derek, dopo qualche minuto, a concentrarsi sull’altro.

Quella mattina Stiles indossava un maglione verde sopra dei pantaloni marroni, i capelli un po’ più lunghi rispetto a quando si erano incontrati e, per la prima volta, Derek pensò che fosse bellissimo; la coda della creatura iniziò a oscillare mentre uno strano calore si diramava nel suo petto, scombussolandogli lo stomaco e mozzandogli appena il fiato. D’improvviso, però, l’odore di tensione lo costrinse a corrucciare lo sguardo e solo in quel momento si rese conto che il ragazzo stava fissando intensamente una parete vuota; richiamato nuovamente da Melissa, Derek osservò Scott mentre si avvicinava al cucchiaio per poi spingerlo appena verso la sua zampa. Con un sospiro mal trattenuto, le dita artigliate afferrarono il manico della posata e Derek si costrinse a stringere i denti quando percepì i propri artigli ferirlo ma alla fine, dopo aver cambiato inutilmente la posizione della posata un paio di volte, trovò il modo giusto per poter usare lo strumento senza ferirsi.

Un paio di lappate rumorose, unito alle fauci di Derek che schioccavano ripetutamente, costrinsero Stiles a incrociare la figura dell’altro; il ragazzo sollevò di scatto le sopracciglia quando notò il modo ridicolo con cui la creatura stava mangiando. La testa sollevata in modo innaturale permise a Stiles di osservare il modo in cui la gola massiccia si muovesse ritmicamente, segno delle costanti deglutizioni; tuttavia, quando lo sguardo dell’Omega si fissò sul braccio alzato non poté reprimere la propria tristezza, notando come questo fosse sollevato eccessivamente e opportunamente distaccato dalle fauci per impedire agli artigli di lacerargli il volto.

Alla fine, schiarendosi la gola, Stiles attirò l’attenzione dell’altro e una volta che l’ebbe ottenuta sorrise dolcemente e sollevò il piatto prima di portarselo alla bocca per finire la propria avena, incurante del cibo che gli sporcava le vesti perché Derek, sgranando gli occhi e permettendo a un uggiolio festoso di lasciargli la gola, lo imitò mentre la sua coda scodinzolava con così tanta enfasi da sbattere ritmicamente contro le gambe della sedia.
 

 
***
 
 

Erano passati due mesi da quella mattinata e la servitù iniziò a benedire il giorno in cui quel piccolo Omega curioso mise piede per la prima volta nel castello visto che, poco a poco, la sua presenza iniziò a rischiarare le tenebre che alloggiavano sia nella magione che, elemento ancor più importante, nell’animo del loro padrone; Derek, infatti, iniziò a comportarsi sempre più umanamente, tant’è che da un paio di settimane a quella parte aveva iniziato a indossare degli abiti su misura, al fine di coprire adeguatamente il proprio corpo peloso, e come se ciò non bastasse la creatura aveva permesso alla servitù di limargli gli artigli delle zampe anteriori affinché potesse mangiare, ma soprattutto carezzare il volto levigato del ragazzo, senza timore di lasciare delle ferite indesiderate.

Così, quel pomeriggio di metà novembre, Alan fu chiamato nella stanza di Derek dal resto della servitù affinché assistesse a qualcosa che Peter continuava a definire grandioso; l’orologio correva più veloce che poteva, timoroso di scoprire il grande segreto che faceva parlottare sommessamente i suoi colleghi, e quando finalmente raggiunse la stanza della rosa si stupì di trovare affacciati alla finestra Peter, Melissa, Scott, Isaac, Allison e un’eccitatissima Lydia. Sospirando rumorosamente, Alan si fece strada tra gli oggetti ammassati e prese posto davanti la grande vetrata tirata a lucido prima di sgranare gli occhi davanti a quella novità…
 

 
Qualcosa in lui, si trasformò…
Era sgarbato, un po’ volgare, ora no!
È timido, piacevole, non mi ero accorto che ora è incantevole…
 
 

Nel bel mezzo del giardino innevato, accompagnati da un ignaro Roscoe, Stiles e Derek passeggiavano pigramente tra la neve ma nessun membro della servitù ignorò l’esigua distanza presente tra i loro corpi visto che la spalla del ragazzo sfiorava a ogni movimento il petto della creatura ma, cosa ancor più importante, fu notare come le mani si sfiorassero a ogni passo; nonostante i due non si guardassero mai in faccia, Peter non si perse l’opportunità di far notare ai colleghi il rossore che primeggiava sulle guance nivee dell’umano, nonché il costante oscillare della coda della creatura. Lydia quasi urlò quando i due si voltarono all’unisono uno verso l’altro per poi sobbalzare imbarazzati quando i loro sguardi si legarono, costringendoli a spostare rapidamente il capo.

Melissa sospirò rumorosamente nell’udire la battutaccia del candelabro ma, prima che potesse rispondere, la sua attenzione fu catturata dal “Guardate!” urlato da un euforico Alan e, voltando lo sguardo verso la direzione indicata dall’orologio, sgranò gli occhi; Stiles, osservando gli uccellini svolazzare placidamente attorno al vecchio pesco ormai secco, afferrò senza pensarci due volte la zampa di Derek e lo trascinò per alcuni metri, incurante del fatto che la creatura avesse immediatamente abbassato il capo sulle loro mani.

La folta coda di Derek, se possibile, oscillò con maggiore intensità e, prima che se ne accorgesse, l’Alpha aveva aperto la bocca per permettere alla propria lingua di penzolare pigramente all’esterno.
 

 
Lo sguardo suo, su me posò, sfiorò la zampa ma paura non provò!
Son certo che, mi sono illuso…
Lui non mi aveva mai guardato con quel viso…
 
 

Non appena i due giunsero sotto l’albero Stiles, sfruttando il braccio libero, afferrò una manciata di granturco che nascondeva nelle tasche del lungo mantello rosso – abitudine che aveva preso un mesetto prima, quando notò i numerosi uccellini che svolazzavano nel giardino – e prese a lanciarlo grossolanamente attorno a loro, attirando immediatamente l’attenzione degli animali che atterrarono sul manto nevoso prima di iniziare a beccare il cibo; un uggiolio festoso abbandonò la gola di Derek, benedicendo immediatamente l’assenza di reazioni nell’umano a causa di quel gesto patetico, ma non appena Stiles sciolse la presa delle mani quel verso si ripeté, manifestando tutta la tristezza provata per la perdita.

L’Omega, però, iniziò a girare tranquillamente attorno all’albero continuando a spargere il granturco per poi tornare accanto all’Alpha che, non appena percepì le mani del ragazzo toccargli senza timori le zampe, sgranò gli occhi e riprese a scodinzolare; Stiles gli sorrise, facendogli immediatamente accelerare il cuore, e lo invitò a unire le zampe affinché creassero una coppa per poi depositare al suo interno tutto il cibo che gli era rimasto.

Derek lo osservò confuso ma alla fine, sedotto da quel meraviglioso sorriso che il ragazzo gli stava donando, si abbassò sulle zampe e si avvicinò grezzamente agli uccellini i quali, spaventati da quel gesto improvviso, spiccarono il volo; l’Alpha si rattristò immediatamente, ripensando al suo aspetto mostruoso e soprattutto all’effetto che provocava nel prossimo, ma Stiles giunse in suo soccorso, inginocchiandosi accanto alla sua figura imponente per poi, stupendo perfino se stesso, baciare delicatamente la guancia pelosa della creatura. Derek sgranò gli occhi e s’immobilizzò mentre l’altro afferrava una manciata di granturco e lo lanciava appena oltre le zampe dell’Alpha per poi rialzarsi, permettendo agli uccellini di avvicinarglisi poco alla volta, fidandosi di lui e, infine, saltandogli tra le mani; così, mentre osservava gli uccellini fiondarsi sul cibo, Stiles si allontanò lentamente dalla creatura e sorrise prima di sgranare gli occhi al pensiero di quello che aveva fatto.

Aveva. Baciato. Derek.

Certo, era stato un bacio sulla guancia, qualcosa di casto e privo di secondi fini, ma le sue labbra si erano posate lo stesso sulla pelliccia soffice dell’altro; un calore improvviso divampò sulle sue guance e Stiles, toccandosi appena, le trovò bollenti. Era arrossito come una dodicenne.

“Non mi ha ucciso, questo è buon segno…” pensò mentre tornava a osservare il maggiore, la mente impegnata a immaginare un futuro insieme, condividendo ogni singolo momento, dai pasti fino al calore, e quei pensieri non lo disgustarono, anzi, gli lasciarono un senso di stupore non indifferente; Derek non era l’Alpha dei suoi sogni, non immaginava certamente lui durante i suoi momenti più intimi, eppure l’aspetto mostruoso dell’altro non gli dava problemi, non lo intimoriva più, e Stiles desiderò poter andare oltre quel guscio esterno a cui tutti si fermavano per poter osservare e conoscere il vero Derek. L’Alpha dagli occhi verdi che quella notte nell’ala ovest aveva intravisto nel dipinto strappato. Sì, Stiles voleva conoscerlo meglio e non solo come amico…
 
 
Tu non sei l’ideale…
Non ti avrei sognato accanto a me!
Ma ora sei reale…
Hai qualcosa che non ho mai visto prima in te!
 
 
 

La risata cristallina di Stiles riecheggiò nell’aria ma l’immagine di un Derek circondato dagli uccellini, che avevano deciso di usarlo come trespolo, non aiutava di certo il suo autocontrollo; l’Alpha, però, corrucciò lo sguardo e scosse le spalle per riuscire ad allontanare quei volatili invadenti e opportunisti ma, notando come il ragazzo si trovasse piegato in due dalle risate, ghignò e s’inchinò prima di appallottolare quanta più neve possibile per poi lanciarla dritta in faccia all’Omega che, guardandolo profondamente offeso, s’inchinò per rispondere all’attacco.
 
 

 
Ma guarda un po’!
Che dir non so…
Di tutto ciò!
Neanch’io però!
È proprio vero che l’amore tutto può!
Aspetta un poco…
E vedrai
, ti colpirà…
Quello che accade è una grande novità!
 
 

Quando il Sole iniziò a tramontare, disegnando sulla neve ombre via via sempre più lunghe e magre, Stiles rabbrividì; era bagnato dalla testa ai piedi a causa della neve che poco a poco gli si era sciolta addosso, le guance rosse per il freddo e le risate e i capelli in disordine a causa di quella guerra a palle di neve che l’aveva tenuto impegnato con l’Alpha per tutto il pomeriggio. Boccheggiando, si lasciò scappare qualche altra risatina prima di alzarsi definitivamente per poi levarsi di dosso il resto della neve che, a causa dell’ennesima caduta, gli si era attaccata addosso; dal canto suo, invece, Derek stava benissimo. Non si divertiva in quel modo genuino da anni ormai e nonostante la pelliccia umida non percepiva freddo, solamente una lieve frescura, ma lì, davanti ai suoi occhi, si trovava uno spettacolo senza pari; la luce aranciata del tramonto colpì il volto di Stiles, ridisegnandolo con nuove ombre e colorandogli la pelle in un modo che l’Alpha definì solamente meraviglioso. I capelli umidi e disordinati, gli occhi colmi di quella luce che ultimamente sembrava essere sparita nel nulla e le labbra… Quei due piccoli cuscinetti rossi come le ciliegie più mature lo attiravano come non mai, facendogli nascere nel petto il desiderio di leccarle più e più volte; come non mai Derek desiderò di essere nuovamente umano per poter baciare quel piccolo gioiello che il destino gli aveva donato.

Un alito di vento spezzò l’armonia che si era venuta a creare tra loro, costringendoli a rincasare il prima possibile per evitare che l’umano si ammalasse a ridosso del calore, ma il desiderio di stare insieme li spinse ad asciugarsi sommariamente e nel più breve tempo possibile, ritrovandosi un quarto d’ora dopo seduti davanti al camino scoppiettante mentre la cena finiva di cuocersi; Derek, con la schiena poggiata contro la seduta della sua poltrona preferita, osservava Stiles comodamente seduto tra le sue zampe divaricate, intento a stordirlo di parole riguardanti il suo libro preferito e alla fine, stancato di mantenere una postura rigida, l’umano si accomodò contro il petto caldo dell’altro, godendo appieno del tepore che la sua sola presenza riusciva a donargli.

Così, stretti l’uno nell’altro, i due cedettero alle braccia di Morfeo, ignorando gli sguardi euforici della servitù.
 

 
Io so che quello che accade è una grande novità…
Quello che accade è una grande novità…
 


 
Note finali: non so perché ma ho la sensazione che mi bombarderete con dei sassi, va beh…
Allllllloooooooora, piaciuta la “grande novità”? Su altri siti ho letto delle AU Sterek su questa storia e in questa parte iniziava una scena a luci rosse in cui la Bestia si bombava Stiles O.o Ragazzi, state bene? Volete parlare con Babbo Dark? Sono infermiere ma ho studiato psicologia, un poco ma l’ho fatto, e sono sempre disponibile per una chiacchierata!

Seriamente, io non ho nulla contro le bestiality e chi le legge/scrive ma… Come dire… Non è questa la storia giusta per farlo! È vero, nel mito di base (Amore e Psiche di Ovidio, sempre quello) c’era una componente erotica ma lì la Bestia era Cupido, non un coso peloso alto due metri con la bocca zannuta! Derek poi è un enorme lupo munito di artigli letali, come dovrebbe fare per non ferire Stiles durante l’amplesso

Attenzione, non sto giudicando nulla e nessuno sono solamente mie pippe mentali frutto della quarantena (non esco di casa da aprile 2019 a causa dell’università, inizio a sbroccare un attimo…) e quindi sì, ignorate i vaneggiamenti di questo povero tizio. NON RINCHIUDETEMI AL SAN MUNGO!

Passiamo al capitolo? Passiamo al capitolo!

Che ve ne pare della scena sulla neve? E della colazione? Io la trovo una cosa fluffosissima! E la servitù-guardona mi ha sempre fatto pisciare sotto dalle risate, è più forte di me…
Inizialmente erano presenti cinque paragrafi extra, in cui riassumevo tutti i cambiamenti fatti da Derek, ma mentre stavo correggendo la bozza mi sono reso conto che erano di una ripetitività così noiosa e traccia maroni che li ho eliminati subito; non vi siete persi nulla, ve lo assicuro, erano tutti un:
  1. Stiles ride/sorride e Derek scodinzola;
  2. “Voglio cambiare per lui!”;
  3. Derek si veste;
  4. Stiles approva;
  5. Ripetizione.

A lungo andare anche io mi sono rotto, figuriamoci voi nel leggerle…
Altra cosa fondamentale: Noah; dovevo trovare un modo per tenerlo lontano dalla scena principale per un po’ e quale miglior motivo di una polmonite? Ci troviamo nel 1700 e non dovete dimenticare che anche le procedure mediche sono di quel periodo, al giorno d’oggi per guarire da una polmonite severa ci vogliono come minimo due settimane (e nella maggior parte dei casi il ricovero ospedaliero), figuriamoci nel XVIII secolo!

Altra cosa fondamentalissima: Theo; fin dall’inizio della storia sto ripetendo, sia nelle note che nelle risposte alle vostre meravigliose recensioni, che Derek e Theo, così come Adam e Gaston, sono due facce della stessa medaglia. Man mano che il tutto prosegue le due figure si invertono, la bestia diventa uomo e l’uomo diventa bestia; quest’elemento è uno dei tanti che consente la trasformazione del nostro villain, l’imbestialimento che lo porterà a perdere completamente la ragione. Io vi giuro, ho pianto come un bambino mentre scrivevo la scena ma era necessario e visto che la volpe è diventato l’animale totemico di Stiles non potevo non inserirla. Mi dispiace…

 
Dunque… Le note sono finite (andate in pace. Amen…) e quindi posso passare con l’abbracciarvi con forza tutti voi, miei adorati lettori, che aprite e leggere il capitolo; un abbraccio e un ringraziamento di cuore a tutti coloro che stanno inserendo la storia in una delle categorie di EFP e soprattutto un bacio e un abbraccio a Fata_Morgana 78, linn86 ed Emoglobyna per aver recensito lo scorso capitolo. <3
 

A sabato prossimo!
 

Babbo Dark




Ps:  ho ricevuto diversi messaggi privati in cui mi si chiedeva di aumentare le dimensioni del testo, quindi lo porterò a quattordici; ditemi se avrete ancora problemi e provvederò; un'altra cosa: nel sondaggio sono emersi nuovamente vincitori "La Sirenetta" e "Il re leone" quindi, come preannunciato, sceglierò io e il prossimo Classico Disney sarà... "Lilo e Stitch"! Ebbene sì, ho deciso di applicare il famoso detto "tra i due litiganti il terzo gode" e per non fare un torno a nessuno ho deciso di optare per un tezo film, arriveranno anche gli altri due tranquilli.

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Capitolo 10
*** X - Libertà ***


Note iniziali: salve gente e un caloroso benvenuto a tutti quanti!

Raga, questo capitolo è praticamente eterno… Diciannove pagine di fluff (più o meno) tra Stiles e Derek, una roba che ve dico levateve! Ok, ok… Non sono effettivamente diciannove (visto che ci sarà una piccola parte iniziale dedicata a Theo e Noah) ma siamo comunque lì…

Finalmente arrivano le due scene che state aspettando con trepidazione e nonostante mi abbiano fatto penare (lo giuro, sembrava quasi impossibile scriverle) devo dire che sono abbastanza soddisfatto del risultato ottenuto (poi casomai scopro che hanno fatto schifo a tutti quanti…)

Finalmente la natura animalesca di Theo verrà a galla e come ho detto più volte si inizierà a notare il “rovescio della medaglia” per questo personaggio; Noah mi fa pena, l’ho proprio trattato male in questa storia… Sono un mostro!

E va beh…

Non credo di avere altro da aggiungere, perciò ci leggiamo di sotto e io vi auguro una buona lettura.
 

Babbo Dark
 
 
Melissa
 



 
Little Red Riding Hood and the Cursed Wolf
Capitolo X - Libertà

 
 
 

La neve iniziò a cadere fiocamente sui tetti delle case, imbiancando tutto ciò su cui si posava, permettendo all’umore di tutti di migliorare a causa del panorama che poco a poco mutava, creando splendidi arazzi luminosi che ridisegnavano i contorni delle case; nonostante dicembre fosse iniziato da poco più di una settimana, Beacon Hills si stava preparando per accogliere il nuovo anno con il giusto stile, costringendo gli Omega di famiglia a delle folli corse per accaparrarsi una quantità di cibo spropositata.

In quel clima di allegria, però, stonava terribilmente la furia di Theo che, amareggiato sempre di più per la situazione che stava vivendo, aveva iniziato a rintanarsi nella propria stanza al fine di evitare comportamenti avventati che avrebbero minato la sua credibilità; le bestie che cacciava sembravano essere sparite nel nulla e le giornate passate per i boschi erano diventate ben presto infruttuose, peggiorando notevolmente l’umore dell’Alpha. A peggiorare quella precaria situazione giunse anche il calore dei giovani Omega che saturò l’aria della cittadina con una quantità inimmaginabile di ferormoni, costringendo Theo a rinchiudersi in casa per sfogare la propria libido in solitudine o, più raramente, con Donovan; il Beta, infatti, divenne il principale protagonista della furia dell’amico, subendo insulti e vessazioni, ma nonostante intuisse che di lì a poco l’intera situazione sarebbe sprofondata nella tragedia decise di ignorare il tutto, preferendo incolpare l’assenza degli Stilinski e quindi l’impossibilità, da parte di Theo, di poter mettere le mani sull’Omega che aveva scelto.

Non erano sporadiche le esplosioni di furia dell’Alpha il quale, preso com’era nel lancio di qualsiasi oggetto gli capitasse a tiro, non si lasciava mai sfuggire i peggio insulti rivolti al ragazzo che diceva di amare; tra quegli sproloqui non mancavano mai le invettive verso quello che, inizialmente, era stato definito come un piano geniale e privo di falle. Theo aveva investito tutti i suoi risparmi in quell’idea e ora l’Omega era sparito dalla circolazione, costringendo il ragazzo a rubare sempre più di frequente dalle casse della taverna; Raphael si era fatto pagare prima ancora che il piano potesse decollare e, nonostante Theo e Donovan avessero tentato di parlargli e riprendersi i soldi, il medico minacciava costantemente di diagnosticargli la pazzia e rinchiuderli in manicomio.

La prospettiva di perdere la propria immagine li faceva desistere ogni volta, costringendo Theo a sfogare la sua rabbia in altri modi; le risse nella taverna e il sesso sembravano donargli un attimo di sollievo ma non ci voleva molto che la furia ritornasse a padroneggiare nel suo animo. Dal canto suo, Donovan cercava di fare qualsiasi cosa affinché l’umore dell’amico migliorasse ma ogni suo tentativo non sortiva l’effetto sperato e alla fine fu lo stesso Theo a minacciarlo di smettere perché, altrimenti, lo avrebbe umiliato in pubblica piazza.

Quando l’ennesimo boccale di birra si schiantò contro la parete in legno della propria stanza, Theo urlò con tutto il fiato che aveva in corpo e prese a calciare i pochi mobili sopravvissuti alla sua furia; Donovan, silenziosamente, lo osservava marciare nervosamente avanti e indietro in mezzo alla spazzatura che negli ultimi giorni l’Alpha aveva accumulato sul pavimento, incurante della sua nudità e soprattutto degli effetti che la fredda aria di dicembre gli provocava.

Fu mentre Theo afferrava il proprio comodino per scagliarlo contro il muro che a Donovan venne l’idea, maledicendosi subito dopo per non averci pensato prima.
 
 

«Cerchiamo in casa!» disse il Beta non appena il mobile crollò sotto il suo stesso peso, a seguito dello schianto; l’Alpha lo folgorò con lo sguardo e strinse i pugni con una tale forza da far scricchiolare le ossa, facendo deglutire rumorosamente l’amico «Senti… So che… Beh… Quei pazzi non… Ecco… Non si sono più visti…» balbettò Donovan roteando una mano in aria mentre l’altra, placidamente, era nascosta nelle tasche dei pantaloni; lo sguardo che si rifiutava d’incontrare quello di Theo ma preferiva concentrarsi sul pavimento in legno «Ma… Ma…» disse non appena percepì l’Alpha avvicinarglisi «Forse troviamo qualche indizio su dove si siano cacciati, no?» chiese trovando finalmente il coraggio di guardare l’altro in volto; Theo parve bloccarsi a quelle parole, troppo peso a ragionarci sopra per poter fare qualche cosa, e poco a poco un ghigno vittorioso lo tirò le labbra, facendo sospirare rumorosamente il Beta.

«Donovan, amico mio, hai avuto un’idea geniale.» sussurrò maleficamente Theo prima di afferrare degli indumenti abbastanza pesanti e i propri stivali «Law non può essere sparito nel nulla e io intendo trovarlo e rapirlo, se necessario!» disse mentre s’infilava un maglione giallo sopra il petto tonico e sporco di sperma secco «Inoltre deve star vivendo il proprio calore, se sono fortunato lo trovo prima che finisca e mi legherò a lui!» esclamò vittorioso mentre usciva dalla propria stanza, seguito immediatamente dall’altro.
 
 

La città sembrava deserta, complice l’ora di pranzo, e per i due non fu difficile camminare nella neve ghiacciata fino a raggiungere casa Stilinski; attorno all’abitazione aleggiava un tanfo mortale, segno che le bestie d’allevamento erano decedute da tempo, ma Theo ignorò ogni cosa. Non ci volle molto per sfondare nuovamente la porta di casa ma, ad attenderli, trovarono un dito di polvere su ogni superficie e lo schifoso odore di chiuso; Donovan arricciò il naso, infastidito da tutto ciò, ma Theo corse su per le scale ed entrò nella prima camera che incontrò, quella di Noah.

Il letto era sfatto e nello spazio posto tra questo e i comodini si trovava una fitta rete di ragnatele, al cui interno primeggiavano i bozzoli con le uova di ragno; l’Alpha avanzò direttamente verso l’armadio e lo spalancò prima d’iniziare a rovistarvi all’interno, strappando e gettando a terra tutto ciò che conteneva. Nulla fu risparmiato e perfino gli abiti di Claudia Stilinski, che il suo Alpha aveva preservato con cura, vennero gettati rudemente contro il pavimento polveroso; una volta appurato che nel mobile non c’era nulla di significativo, Theo passò in rassegna i comodini e il comò, strappando i cassetti e vuotandoli disordinatamente sul letto prima d’iniziare a setacciare attentamente in quel groviglio di biancheria.

Alla fine, ringhiando frustrato, l’Alpha afferrò una scatola di legno finemente intagliata e la aprì, rivelando due anelli di legame in oro e argento; messi in tasca, e gettato la scatola a terra, Theo si diresse a passo spedito verso la camera dell’Omega, pronto a metterla a soqquadro, ma non appena posò la propria mano contro la maniglia la voce di Donovan lo distrasse, costringendolo a tornare al piano di sotto.

Sospirando, e sperando che l’amico avesse scoperto qualche cosa d’interessante, Theo scese rapidamente le scale e sollevò un sopracciglio nell’osservare il caos che regnava in ogni dove; il Beta non si era risparmiato, aveva aperto tutti gli sportelli e i cassetti per poi rovistarvi all’interno, facendo cadere qualsiasi cosa gli desse fastidio. Cocci di ceramica e vetro riempivano il pavimento, i quali scricchiolarono non appena gli stivali di Theo li calpestarono, e appena entrò in cucina notò l’amico intento a leggere attentamente delle lettere mentre si trovava seduto a tavolo.
 
 

«Le ha scritte Law…» disse Donovan non appena Theo posò rabbiosamente i palmi contro il tavolo; l’Alpha sollevò un sopracciglio e attese, pazientemente, che l’amico gli riassumesse il tutto perché lui non aveva alcuna voglia di sedersi e leggere le stronzate che, ne era certo, fossero state scritte dall’Omega «A quanto pare si trova in un castello, è ospite di un certo Derek e sta bene; chiede se anche il pazzo Stilinski sta bene, lo supplica di farsi dare notizie e… Oh!» esclamò Donovan mentre leggeva l’ultima missiva giunta dal ragazzo «Sta trovando il coraggio di chiedere a questo tizio se Stilinski può andare a trovarlo…» disse prima d’incrociare lo sguardo di Theo.

«Non c’è altro?!» domandò l’Alpha percependo il sangue ribollirgli nelle vene a causa della furia e della gelosia provata nei confronti di questo Derek, la sola idea dell’Omega legato a qualcuno che non fosse lui lo faceva andare in bestia, trasformandolo in un mostro; Donovan, però, scosse il capo e sospirò.

«Però…» sussurrò dopo qualche attimo il Beta mentre Theo, tentando di calmarsi, aveva iniziato a camminare nervosamente avanti e indietro «Law è ospite…» disse con fare pensieroso «Se gli diciamo che il pazzo sta malissimo, è tipo in fin di vita, e gli ordinassimo di tornare? Casomai firmiamo la lettera come Noah.» propose con nonchalance.

«Prendi carta e penna, Donovan.» ordinò Theo.
 
 

Ci volle più di quanto ipotizzato per recuperare il tutto, visto il caos che avevano causato in quasi tutta la casa, ma alla fine il Beta si sedette nuovamente al tavolo e iniziò a scrivere una breve lettera inserendo, più volte, nuove frottole riguardanti la salute dell’inventore; alla fine, usando una delle buste precedentemente aperte, i due scrissero “Per Law” sulla carta prima di lasciarla sul tavolo per poi abbandonare l’abitazione.

L’animo di Theo nuovamente euforico.
 
 

***
 

 
Un urlo disumano lo costrinse a spalancare gli occhi, ritrovandosi nuovamente a fissare le sbarre in metallo che da tempo lo tenevano imprigionato in quella fredda prigione; Noah sbuffò e si alzò maldestramente da terra, cercando di non cadere a causa delle spesse catene sparse sul pavimento, e si avvicinò verso il corridoio. L’Alpha si rifiutava di credere che lui, un uomo giusto che aveva sempre pensato al lavoro e alla famiglia, fosse stato incarcerato con l’accusa di furto eppure, nonostante tutto, quella dannatissima guardia lo aveva arrestato e sbattuto in cella senza troppe cerimonie; a nulla valsero le sue suppliche, né i disperati tentativi di quest’ultimo di spiegare la situazione del suo bambino, visto che i giudici lo avevano condannato a settantacinque giorni di carcere per scontare la pena.

Ringraziando la sua buona stella, visto che l’assenza di crimini regressi aveva alleggerito notevolmente la pena, Noah attese pazientemente che qualcuno passasse davanti la sua cella affinché potesse dirgli, non dopo numerosi insulti, quanto mancasse alla sua liberazione; tossendo rumorosamente e sputando un grumo di catarro che gli stava rendendo difficoltosa la respirazione, l’Alpha afferrò le sbarre e attese. Il tempo pareva aver rallentato immediatamente la sua corsa e il torace dell’uomo iniziò a dolergli a causa degli strattoni continui ma necessari causati da quella bronchite che non voleva saperne di abbandonarlo ma alla fine, con sua somma gioia, percepì il clangore provocato dalle armature in movimento e non ci volle molto prima che un paio di secondini gli si avvicinassero; prima che Noah potesse aprir bocca, però, la guardia gli ordinò di allontanarsi e poggiare la schiena contro il muro, le mani alte e le gambe divaricate.

La chiave venne infilata nella toppa e girata un paio di volte prima che la porta della cella si aprisse con un sinistro clangore metallico.
 
 

«Stilinski, sei libero.» disse una guardia avvicinandosi all’uomo per liberarlo dalle catene «Sparisci da qui e non farti più vedere, altrimenti ti taglieremo la testa.» lo minacciò mentre l’ultima catena cadeva pesantemente al suolo «HAI CAPITO?!» sbraitò quando si rese conto che l’Alpha non aveva mosso un muscolo.

«Sì, signore.» sussurrò Noah mentre si massaggiava i polsi «Grazie, signore…» aggiunse prima d’incamminarsi verso l’uscita, scortato dalle due guardie.
 
 

Quando la luce del Sole gli colpì il volto, l’Alpha si costrinse a chiudere gli occhi ma alla fine, privato di tutti i suoi averi e delle medicine che il dottor Gerard gli aveva dato, Noah s’incamminò immediatamente verso la strada che l’avrebbe portato, nel giro di un paio d’ore, al limitare della foresta; il viaggio fu saturato dal nervosismo dell’uomo, che procedette a testa bassa e le braccia incrociate al fine di evitare nuove accuse infondate visto che, a causa della polmonite e dell’arresto, aveva perso fin troppo tempo.

L’Alpha si chiese come stesse il figlio, se fosse ancora vivo oppure se quel mostro avesse approfittato di lui a causa del calore; macabre immagini gli riempirono la mente ma Noah si costrinse a mantenere un’andatura costante onde evitare che, come l’altra volta, qualche guardia potesse scambiare il suo scatto come un’ammissione di colpa. Alla fine, spostandosi attentamente tra la folla che camminava per la strada principale, Noah giunse finalmente alle porte che delimitavano la città e da lì, non appena mise piede fuori, prese un profondo respiro e scattò; l’aria ghiacciata parve tagliargli la pelle e i polmoni iniziarono a bruciargli immediatamente mentre la tosse peggiorò, costringendolo a eseguire ampie boccate d’aria per evitare di soffocare.

I piedi arrivarono a sfiorare il terreno e per poco l’uomo non cadde al suolo a causa della neve ma alla fine, rallentando appena per evitare di venire investito da una carrozza, Noah giunse al limitare della foresta e, preso un profondo respiro, si addentrò.

Il freddo s’intensificò immediatamente e l’Alpha fu costretto ad appoggiarsi a un albero per poter recuperare il fiato rotto a intervalli dalla tosse; ci volle più di quanto previsto per rimettersi in piedi ma alla fine, maledicendo la sua età e l’assenza di movimento nell’ultimo periodo, riprese a camminare nella speranza di potersi orientare adeguatamente in quel labirinto di neve e alberi.

La marcia durò tutta la mattinava e più volte gli echi degli ululati lo costrinsero ad accelerare il passo ma poi, nel bel mezzo del panorama, spuntò un vecchio palo di legno su cui qualcuno, anni prima, aveva appeso dei cartelli; Noah scoppiò in lacrime quando lo riconobbe, ricordando perfettamente la prima volta che lo vide, ma la stanchezza lo costrinse ad appoggiarvisi contro per poter recuperare le forze. Un alito di vento particolarmente freddo lo fece rabbrividire da capo a piedi, arrivando a fargli battere i denti, ma non demorse e riprese ad avanzare; l’immagine di suo figlio intento a leggere, o a ridere spensierato gli diede l’energia necessaria per proseguire nella sua impresa.

Noah camminò a lungo, cercando di ricordare ogni minimo dettaglio di quella caotica nottata, e accolse con un sospiro il tramonto del Sole; il cielo si oscurò e un vento gelido iniziò a frustarlo violentemente mentre la neve, trasformata in proiettili dal gelo, lo colpiva con tutta la sua forza e quasi non si accorse del burrone che di lì a poco lo avrebbe fatto precipitare per alcuni metri verso una vallata. Mentre perdeva i sensi, e chiedeva perdono alla moglie per non essere riuscito a salvare il figlio, Noah percepì il nitrito di un cavallo subito seguito da una voce famigliare e tanto a lungo desiderata.

Poi fu solo buio…
 
 
***
 
 

Stiles aprì pigramente gli occhi, scontrandosi con il soffitto in pietra adornato dagli affreschi che oramai conosceva come le sue stesse mani e sospirò di sollievo, percependo nuovamente il controllo sul proprio corpo ormai libero da quella sensazione di caldo e lussuria che lo avevano oppresso per più di una settimana; scaraventando le lenzuola sul pavimento ghiacciato e alzandosi di scatto da quel letto che lo aveva visto sussurrare e urlare più volte il nome di un certo Alpha, Stiles camminò rapidamente verso la finestra e la spalancò, permettendo all’aria pulita di eliminare ogni odore di lussuria che permeava la stanza.

Il vento fresco che lo colpì in pieno venne accolto con un sorriso soddisfatto, il sudore sulla sua pelle si raffreddò immediatamente permettendogli di bearsi di quei brividi che gli stavano scuotendo il corpo; alla fine, temendo di ammalarsi, Stiles chiuse la finestra e recuperò il lenzuolo prima di tirare la corda e attendere l’arrivo della servitù. Non ci volle molto prima che un euforico Peter giungesse nella sua stanza, un enorme sorriso a distendergli le labbra cerose e le sopracciglia ben sollevate; Stiles non disse nulla, visto che il candelabro lo aveva appena avvisato che la vasca da bagno era stata riempita d’acqua e sapone, e il ragazzo si limitò a salutarlo mentre usciva dalla stanza.

Il bagno lo rigenerò da capo a piedi, strappandogli fin troppi sorrisi beati, e dopo più di un’ora a mollo decise di uscire e asciugarsi per poi vestirsi con gli indumenti che Lydia aveva preparato per lui; incurante di qualsiasi rimprovero da parte di Derek, visto che l’Alpha gli aveva comunicato tramite Melissa che avrebbe passato quella settimana rinchiuso nell’ala ovest, Stiles si stiracchiò a dovere e sorrise genuinamente. L’unica cosa che amava del calore erano le sensazioni che gli lasciava, una pace interiore e un benessere che raramente percepiva e che venivano amplificate dal lungo bagno che si concedeva ogni volta.

Fece colazione da solo, visto che l’Alpha aveva già mangiato e voleva aspettare qualche ora in più prima di incontrarlo, e non appena vide Alan camminare lentamente per il castello, e riprendere i colleghi che non pulivano adeguatamente, si alzò da tavola e gli corse incontro; nell’animo del ragazzo nacque la speranza di aver ricevuto almeno una risposta da parte del padre ma, non appena osservò lo sguardo dispiaciuto dell’orologio, un sospiro amaro abbandonò le sue labbra.

Suo padre non gli aveva risposto, a nessuna lettera, e il dubbio di essere stato dimenticato dal primo Alpha a cui si fosse mai legato s’insinuò prepotentemente nel suo petto, scacciando la pace del post-calore e costringendolo a indossare la sua mantella rossa; voleva uscire a camminare con Roscoe per il giardino, beandosi dell’aria pulita e sperando di poter calmare il proprio animo. Purtroppo lo scricchiolio della neve sotto le suole delle sue scarpe fornì solamente un blando accompagnamento ai suoi pensieri e, nonostante il cinguettio degli uccellini e il calore del Sole, il suo umore non migliorò affatto; al suo fianco, Roscoe camminava placidamente, ignaro del tumulto interiore che imperversava nell’animo del suo padrone.

Il ragazzo, impegnato com’era in quell’oceano di pensieri cupi, non si accorse di due iridi smeraldine che lo fissavano preoccupatamente dal balcone della sala principale; lì, appoggiato contro il muretto decorato, Derek respirava l’aria fresca di dicembre nella speranza che riuscisse a fargli capire cosa stesse pensando quel piccolo Omega che gli aveva stravolto l’esistenza. Purtroppo, complici la distanza e il cappuccio che il ragazzo si ostinava a tenere abbassato sul volto, l’Alpha non riusciva a vedere molto e con un sospiro fin troppo rumoroso abbassò la testa; la creatura ignorò l’arrivo di Alan e Peter, accorsi per informarlo che il pranzo era quasi pronto, e solo in quel momento gli occhi di Derek si posarono sulle lunghe cicatrici rosee che primeggiavano sul suo manto scuro.

Il ricordo di quella sera lo schiaffeggiò con prepotenza, obbligandolo a ripensare a tutto il tempo trascorso in compagnia con l’umano nonché i cambiamenti che aveva apportato alla propria routinne; ora mangiava come un normale essere umano, grazie a delle posate forgiate appositamente per lui, senza contare che le sue grazie erano sempre coperte da degli abiti. Inoltre, il suo umore era notevolmente migliorato grazie alla vicinanza di Stiles e, nonostante alcune volte si lasciasse sfuggire dei ringhi minacciosi, Derek ammise a se stesso che non sarebbe mai riuscito a immaginarsi in quel modo così umano, non dopo la maledizione; quel ragazzo aveva fatto tanto per lui e l’Alpha, venendo a conoscenza della motivazione che aveva spinto il più piccolo a chiudersi in quel bozzolo di silenzio e dolore, percepì il proprio petto contrarsi dolorosamente.
 
 

«Voglio fare qualche cosa per lui…» borbottò improvvisamente Derek, facendo sussultare i due servi che, silenziosamente, avevano iniziato a osservare il giovane passeggiare pigramente per i giardini «Ma cosa?» chiese rivolgendosi ad Alan che sospirò rumorosamente.

«Ora siete più uomo che bestia, aspetto a parte, non credo che possiate migliorare ulteriormente.» rispose tranquillamente l’orologio mentre roteava un braccio legnoso in direzione del proprio padrone «Addirittura avete richiesto dei mobili nuovi per la vostra stanza e avete permesso al nostro ospite di visitare l’ala ovest; ci sarebbero anche le classiche cose come fiori e cioccolatini, promesse che non manterrete…» Derek sbuffò sonoramente e corrucciò le sopracciglia, concordando tristemente con il servo «L’ultimo cambiamento da effettuare sarebbe proprio il ritornare umani.» Peter sbuffò sentendo il tono superiore dell’altro e saltò elegantemente sul muretto per poi rivolgere lo sguardo al collega.

«Serve qualcosa di romantico e stupefacente!» lo riprese con tono aspro prima di fissare lo sguardo in quello intristito e preoccupato della creatura «Umm… Fatemi pensare, Padrone…» disse iniziando a saltellare lentamente avanti e indietro, percorrendo pochi centimetri ogni volta «Ci sono!» esclamò euforico mentre l’Alpha s’inchinava per poter udire meglio le sue parole.
 
 
 
Mezz’ora dopo, Derek raggiunse l’Omega ancora intento a camminare per il giardino e ne attirò l’attenzione, costringendolo a fermarsi; Stiles, infatti, abbassò il cappuccio e fissò i propri occhi castani in quelli verdi dell’altro, percependo il proprio stomaco torcersi piacevolmente davanti a quello sguardo festoso. Un piccolo sorriso tirò le labbra dell’umano mentre la coda di Derek, armatosi di vita propria, iniziò a scodinzolare allegra, spargendo la neve fresca a destra e sinistra; non ci volle molto prima che Stiles si lasciasse convincere a rientrare nel castello, visto che Derek aveva puntato sulla sua curiosità, e così i due si recarono insieme a legare Roscoe nelle stalle per poi camminare lentamente e silenziosamente uno accanto all’altro verso il castello.

Ignorando l’invitante profumo che proveniva dalle cucine, Derek lo accompagnò per le scalinate fino a raggiungere il terzo piano del castello per poi proseguire dritti per il corridoio di sinistra; nel completo silenzio, Stiles si ricordò della prima volta che fece una cosa simile ma in quell’occasione un burbero Derek lo stava accompagnando alla propria stanza mentre in quel momento, mal trattenendo l’entusiasmo, l’Alpha continuava a smorzare ogni sua domanda con un semplice ‘È una sorpresa!’.

Alla fine, svoltando a destra, il ragazzo si ritrovò davanti a una porta bianca perfettamente lucidata le cui maniglie avevano la forma di due teste di lupo e così, mordendosi le labbra per la curiosità, Stiles attese che Derek incrociasse il suo sguardo e mettesse su la sua miglior espressione felice; l’Alpha, però, indugiò fin troppo sulle labbra torturate dell’altro e, con una delicatezza che non credeva di avere, gli afferrò il mento con una zampa e iniziò a carezzargli il labbro inferiore con il pollice. Quel contatto, per quanto intimo ed effimero, costrinsero Stiles a socchiudere la bocca ma questo non bastò per impedire a Derek di smettere con i propri movimenti; l’Alpha non si perse il delizioso rossore che imporporò le guance di Stiles mentre le labbra, ormai rese rosse e lucide, gli fecero desiderare come non mai di avere una bocca per poterlo baciare.

Scuotendosi da quei pensieri, Derek deglutì e tolse le mani prima di farle strusciare delicatamente contro il maglione del ragazzo per poi afferrargli saldamente le mani.
 
 

«Chiudi gli occhi, Stiles…» gli sussurrò dolcemente ma, notando lo sguardo scettico che l’Omega gli rivolse, una risatina gli fuggì dalla gola «È una sorpresa, lo sai…» il ragazzo sospirò teatralmente ma ubbidì e solo in quel momento Derek, nel modo meno maturo possibile, tirò fuori la lingua e iniziò a fargli delle boccacce per poter verificare che l’altro avesse effettivamente ubbidito; soddisfatto del risultato ottenuto, l’Alpha abbassò le maniglie e spalancò le porte prima di afferrargli nuovamente le mani per poi trascinarlo all’interno di quella stanza.

«Ora posso aprirli?» chiese Stiles quando percepì la calda presa di Derek sparire.

«Ancora un attimo!» rispose la creatura mentre apriva le tende, permettendo alla luce di penetrare in ogni angolo della grande stanza; Derek, terminata la sua opera, iniziò a saltellare sul posto e si portò le grandi zampe davanti al torace prima di sussurrare un euforico «Ora…» e Stiles ubbidì.
 
 

Le iridi castane si puntarono sull’enorme vetrata che dava direttamente sul giardino ma poi, vittime della curiosità, si spostarono rapidamente da ogni lato costringendo il ragazzo a sgranare sempre di più gli occhi; lì, davanti a lui, si trovava una delle più grandi biblioteche che avesse mai visto.

Gli scaffali si alzavano fino a sfiorare il soffitto, le mensole ricolme di volumi di ogni colore e dimensione; un’ampia scalinata abbracciava le pareti e si alzava fino a raggiungere i gli scaffali più alti mentre delle scale a pioli in metallo erano state delicatamente poggiate contro le mensole, permettendo a chiunque volesse di poter recuperare qualsiasi libro volesse.

Stiles girò più volte su se stesso, le labbra finalmente tirate da un sorriso genuino che non aveva nulla di triste mentre gli occhi, implacabili, saettavano da una parte all’altra; prima che potesse pensarlo, le sue gambe si mossero automaticamente e il ragazzo si ritrovò a correre da una parte all’altra dell’immensa biblioteca.
 
 

«Non ho mai visto tanti libri in vita mia!» esclamò euforico Stiles mentre si accingeva a cercare il suo libro preferito tra tutti i volumi accuratamente stipati.

«Ti… Piace?» domandò cautamente Derek mentre gli si avvicinava lentamente.

«Se mi piace?!» chiese retoricamente Stiles, ancora impegnato nella sua ricerca «La adoro! Grazie, Derek, davvero grazie mille!» disse incrociando finalmente il loro sguardo e permettendo al cuore dell’Alpha di saltare un paio di battiti, facendo nascere nella sua mente un nuovo desiderio… ‘Vorrei che tu rimanessi qui per sempre, maledizione o non…’.

«È tua…» gli sussurrò invece e, non appena Stiles lo guardò, quel desiderio tornò prepotentemente a riecheggiargli nel cuore; l’Omega dimenticò immediatamente la propria ricerca e corse verso la creatura, saltandogli praticamente addosso e stringendogli le braccia al collo. Una sequela di ‘Grazie!’ abbandonò le labbra dell’umano ma Derek, per una volta da quando aveva iniziato quella sequela di cambiamenti, decise di essere egoista e avvicinò il naso al collo scoperto del ragazzo, annusando a pieni polmoni il suo dolce odore; un nuovo ringhio abbandonò la gola dell’Alpha ma questa volta, invece che voler minacciare qualcuno o spaventarlo, sembrava quasi che la creatura stesse facendo le fusa.

«Derek, è meravigliosa!» esclamò Stiles una volta che fu rimesso a terra «Oh, avevo proprio bisogno di una cosa del genere…» sussurrò portandosi le mani sul petto, il sorriso non gli aveva ancora abbandonato il volto.

«C’è… Beh… C’è… C’è un’altra cosa…» balbettò l’Alpha mentre si portava una zampa dietro la nuca, grattandosi grossolanamente la pelliccia; Stiles, però, si voltò di scatto e gli sorrise prima di posare le mani sul suo petto, percependo distintamente il battito accelerato della creatura «Questa sera, se vuoi, ti va di venire a cena? Con… Me?» chiese imbarazzato al massimo, facendo sollevare entrambe le sopracciglia del ragazzo.

«Perché ieri sera con chi ho cenato?» gli rispose ridacchiando Stiles, incurante della tensione che sembrava bloccare ogni fibra dell’Alpha «Derek?» chiese dopo qualche attimo per poi allontanarsi, notando come la creatura sembrasse in preda alla vergogna più pura e, improvvisamente, Stiles comprese «È un appuntamento?» Derek annuì seccamente e deglutì rumorosamente; l’Omega, a quella rivelazione, spalancò la bocca e sollevò di scatto le sopracciglia prima di far scricchiolare rumorosamente le nocche della mano destra. Derek, l’unico Alpha decente che avesse conosciuto dopo suo padre, gli stava chiedendo un appuntamento e per un attimo la mente dell’umano gli disse che quella prigionia poteva anche essere descritta come una lunghissima presentazione di legame; la gola gli si seccò e Stiles abbassò il volto, impreparato a quella richiesta. Certo, lui era veramente interessato al vero Derek ed erano diventati degli amici ma erano pronti per andare avanti? A diventare qualcosa di più?

«Dimentica tutto, fa come se…»

«Facciamo alle venti?»
 
 

Parlarono nello stesso momento per poi immobilizzarsi, lo sguardo di uno perso in quello dell’altro, e poco alla volta una sonora risata riecheggiò nei loro petti; improvvisamente, tutta la tensione che si era accumulata tra loro svanì e Stiles non si perse l’espressione euforica che parve increspare il volto dell’Alpha e, prima che se ne rendesse conto, si ritrovò a stringere quel petto massiccio coperto da una semplice camicia di lino bianca. Non ci volle molto prima che due enormi zampe tremanti si posassero sulle sue spalle e, non appena quello strano abbraccio si concluse, l’Omega sospirò beato; quella stretta lo faceva sentire al sicuro, protetto, e quando Derek posò il naso umido tra i suoi capelli si sentì al settimo cielo. Finalmente felice da quando aveva aperto gli occhi quella mattina.
 
 

 
***
 
 

Dopo aver pranzato, ed essersi rinchiusi nella libreria, Stiles e Derek si salutarono nel modo più impacciato possibile prima di dirigersi al bagno per potersi preparare adeguatamente e, nonostante il ‘Mi occuperò di tutto io, Signorino!’ esclamato da un’esuberante Lydia, il ragazzo si sentiva tremendamente agitato tant’è che più volte fece cadere a terra la spazzola per la schiena e alla fine, sbuffando sonoramente, permise a Matt di occuparsi del bagno; lanciando uno sguardo oltre la tenda posta a metà stanza, l’Omega sospirò notando l’altra vasca vuota. Gli mancavano i ringhi della creatura e le chiacchiere che scambiava con lui ma Derek era stato chiaro: si sarebbero preparati in due ale separate del castello e solo alla fine si sarebbero incontrati sulla scalinata principale, pronti per iniziare il loro primo appuntamento.

Una volta pulito e sistemato, Stiles si diresse spedito nella propria stanza dove, ad attenderlo, trovò numerosi appendiabiti e lì, poggiato contro il morbido piumone, l’abito da sera più bello che avesse mai visto; la stoffa color crema, ornata di pizzi e merletti, era messa in risalto dal piccolo foulard bianco e da una camicia lavorata dello stesso colore. Ovunque vi erano dei fiorellini azzurri che spiccavano sul tessuto mentre i pantaloni presentavano un motivo damascato che mescolava alla perfezione crema e azzurro; un laccetto nero, abbandonato in disparte accanto all’abito, era perfettamente abbinato alle scarpe tirate a lucido poste ai piedi del letto.

Deglutendo rumorosamente e sorridendo come non mai, Stiles accarezzò la stoffa e rabbrividì quando ne saggiò la morbidezza, desiderando con tutto sé stesso di mantenere un atteggiamento decoroso onde evitare di sporcare inevitabilmente quel capo d’abbigliamento; un sospiro emozionato abbandonò le sue labbra mentre il telo, che fino ad allora aveva coperto le sue grazie, veniva abbandonato al suolo. Impacciato come non mai, il ragazzo iniziò a vestirsi percependo il proprio cuore battere all’impazzata, emozionato e spaventato per l’imminente serata.
 



 


 
***
 
 


Peter roteò gli occhi nell’udire l’ennesimo ringhio del suo padrone e incrociò le sottili braccia d’ottone contro il manico prima di sospirare rumorosamente visto che, come un bambino troppo cresciuto e peloso, l’Alpha continuava a dimenarsi nella piccola vasca da bagno ricolma d’acqua che, ormai, era sparsa sul lucido pavimento; sbuffando nuovamente, il candelabro sollevò un sopracciglio quando Derek, sollevandosi dalla vasca, iniziò a scuotersi violentemente da capo a piedi per togliere l’acqua in eccesso, peggiorando inesorabilmente le condizioni del piccolo bagno.

Come se nulla fosse, la creatura uscì e s’incamminò verso gli altri servitori, pronti ad asciugarlo adeguatamente, e Peter non si perse il modo impacciato con cui l’Alpha continuava a specchiarsi.
 
 

«Ditemi, Padrone, questa sera sarà speciale?» domandò il candelabro mentre saltellava verso la creatura; Derek, però, lo fissò confuso e tornò a fissare la propria immagine riflessa prima di sospirare rumorosamente.

«Certo che è speciale…» sussurrò prima di sollevare le zampe anteriori per permettere agli appendiabiti di continuare il processo di asciugatura.

«Lo amate?» Derek sgranò gli occhi e spalancò la bocca, del tutto impreparato a quella domanda; era innegabile che provasse dei forti sentimenti nei confronti dell’umano, qualcosa che mai prima di quel momento aveva provato, ma l’Alpha si chiese se quel dolce calore all’altezza del petto fosse riconducibile all’amore. D’altronde, lui cosa ne sapeva di quell’argomento? Era stato maledetto proprio a causa della sua incapacità di amare e la sua mente gli chiese se tutto quello che stava facendo fosse solamente frutto della convivenza forzata, sottolineando malignamente che forse nessuno dei due avrebbe prestato attenzione all’altro in circostanze diverse; ma poi, però, l’immagine sorridente di Stiles gli attraversò le iridi e senza volerlo la coda iniziò a oscillare mentre il cuore, finalmente, ordinava alla sua nemica di zittirsi «Lo amate.» concluse per lui il candelabro, ottenendo un piccolo accenno del capo in risposta «Glielo direte?» chiese ancora mentre un sorriso genuino gli tirava le labbra.

«Ma come?» sussurrò Derek prima di passarsi stancamente una zampa sul volto, il suo solito coraggio era sparito nel nulla e lui, nonostante tutto, per un attimo desiderò poter annullare tutto; quella prospettiva, però, gli fece formicolare spiacevolmente lo stomaco costringendolo a scuotere il capo e tornare a fissare il proprio servo «Che gli dico?» domandò appoggiandosi al lavandino con tutto il suo peso.

«Allora…» disse Peter con nonchalance «Dopo cena lo porterete fuori e gli mostrerete le stelle, allora gli direte “Ti amo!” e con un po’ di fortuna sarete ricambiato!» Derek sollevò un sopracciglio e sbuffò, tornando a rimirare la propria immagine.

«Sì…» borbottò dopo qualche attimo «Io gli dirò… Gli dirò…» un guaito gli abbandonò la gola nello stesso istante in cui le grosse zampe si posarono rudemente sul suo volto «Non posso farlo…» sussurrò disperato, facendo sospirare rumorosamente il candelabro.
 
 
Alla fine, la preparazione di Derek richiese più tempo del previsto sia a causa dell’umore nero della creatura che del folto pelo che, nonostante tutto l’impegno della servitù, non riuscì ad assumere un aspetto dignitoso e regale ma alla fine entrò nelle proprie stanze e sgranò gli occhi; lì, ad avvolgere un manichino, si trovava il suo abito. La giacca blu, ornata con cuciture dorate, era posta sopra una camicia bianca e un panciotto color senape e al di sotto un paio di pantaloni neri; intento a vestirsi, Derek immaginò l’abito che avrebbe indossato Stiles stupendosi non poco quando si rese conto che, con qualsiasi cosa addosso, l’Omega sarebbe stato splendido…
 

 



 
***
 
 
È una storia, sai
Vera più che mai…
Solo amici e poi uno dice un “noi”…
Tutto cambia già…
 
 

Stiles sgranò gli occhi quando osservò le numerose candele che illuminavano il salone principale e sorrise nell’osservare le lunghe tende blu che, dal finestrone, avvolgevano le mura e le scale come un dolce abbraccio di velluto; guardandosi un attimo alle spalle, notando come Lydia e Alan gli sorridessero dolcemente, il ragazzo avanzò nel suo abito color crema e iniziò a scendere le scale mentre un sincero sorriso gli tirava le labbra e lì, in piedi sul pianerottolo che portava all’ala ovest, c’era Derek… La creatura lo osservava con gli occhi sgranati, vestito con un completo blu che risaltava sul suo manto scuro come la pece e Stiles lo trovò bellissimo; come lui, anche l’Alpha si guardò alle spalle e deglutì rumorosamente prima di iniziare la discesa.

E nel bel mezzo del pianerottolo, vestiti con gli abiti più sfarzosi che avessero mai visto, i loro occhi s’incontrarono; se qualcuno fosse stato presente in quel momento, nel vedere quell’incontro silenzioso, avrebbe pianto nel notare come i due ragazzi si fossero persi nel contemplare lo sguardo dell’altro. Qualcuno avrebbe visto l’amore nascere tra i loro piedi e avvolgerli dolcemente, legando le loro anime in un intreccio unico e solo loro; neanche quando s’inchinarono leggermente, come desiderava la tradizione, quell’atmosfera svanì e non appena le loro mani si strinsero una scintilla si propagò nel castello, riverberando negli animi di tutti gli abitanti e facendoli sospirare rumorosamente perché in quella sala, in quella serata, il loro padrone aveva imparato ad amare…
 
 

 
È una realtà che spaventa un po’!
Una poesia piena di perché e di verità…
 

 
La cena procedette lentamente tra le varie portate che Chris aveva preparato e, almeno in apparenza, tutta la sala era rotta solamente dallo stridio delle posate contro la ceramica; Alan, Peter e Melissa, posti in disparte per evitare di intromettersi eccessivamente, continuavano a lanciarsi degli sguardi intristiti visto che, a differenza di quanto ipotizzato, i due ragazzi non avevano aperto bocca da quando si erano incontrati sulle scale. Non un commento sugli abiti, sulla cena o sul tempo. Niente di niente. L’orologio sbuffò sonoramente e scosse appena il capo, maledicendo se stesso per non aver impedito al collega di aver elaborato il piano, ma poi Peter attirò la sua attenzione e lo costrinse a sollevare lo sguardo verso i due e solo allora, stupendosi per la sua stupidità, Alan notò. Stiles e Derek, nonostante i movimenti attorno al tavolo e la presenza degli appendiabiti intenti a suonare i violini, non avevano smesso un attimo di guardarsi di sottecchi, sussultando di tanto in tanto quando quelle occhiate venivano ricambiate; in quelle occasioni un genuino sorriso si dipingeva sulle labbra del ragazzo, mentre un delicato rossore gli imporporava le guance, ma per Derek le reazioni erano diverse… La creatura oscillava la coda con forza, le orecchie ben tese e, se fosse possibile, i tre servi si convinsero che la lingua del loro padrone starebbe penzolando allegramente al lato delle fauci spalancate.

Quel momento d’idillio fu però interrotto dal cambio della musica che passò da un tenue e rilassante motivo di accompagnamento alla cena a una vera e propria canzone da sala; nessuno si stupì, quindi, quando Stiles si alzò da tavolo e raggiunse Derek, esortandolo a sollevarsi e seguirlo nella sala da ballo finalmente riaperta al pubblico.

Lì, sistemato in un angolo appartato, primeggiava un meraviglioso pianoforte a coda; non fu difficile per i tre servi entrare di straforo nella stanza e sistemarsi sullo strumento musicale, gli sguardi incollati ai due ragazzi che passeggiavano tranquillamente per la sala.
 
 

 
Ti sorprenderà…
Come il Sole a est…

Quando sale su e spalanca il blu…
Dell’immensità!
 
 

Un risolino abbandonò le labbra di Peter quando notò il modo impacciato con cui il suo padrone stringeva le mani del ragazzo e, il candelabro poté giurarci, le guance della creatura si colorirono di rosso quando l’altra zampa afferrò delicatamente il fianco delicato dell’umano; Stiles, dal canto suo, sorrise nei confronti di Derek che, fattosi coraggio, gli leccò dolcemente una guancia nivea e quando la musica del piano accompagnò i violini i due iniziarono a danzare per la sala, incuranti del mondo esterno e della servitù che li stava guardando.

Piedi e zampe si muovevano armoniosamente contro il lucido pavimento della sala e nonostante tutto, i loro sguardi non riuscivano a staccarsi l’uno dall’altro; la stretta di Derek aumentò appena, desideroso di poter far sentire all’altro il tumulto emotivo che provava nel proprio petto, ma Stiles gli sorrise e appoggiò la testa contro il suo petto.

Ormai le danze sembravano essersi fermate, visto che i due rimasero immobili a oscillare pigramente sul posto e neanche si accorsero delle luci soffuse che le candele sprigionavano, le quali conferivano all’atmosfera una magia surreale e romantica; eppure, nonostante la musica che scemava nota dopo nota, nessuno si rese conto delle due anime che ripresero a ballare dolcemente per la sala, in un valzer tutto loro che avrebbe sfidato il tempo e lo spazio, il giorno e la notte, la vita e la morte. Tutto pur di rimanere insieme a ballare.
 
 

 
Stessa melodia…
Nuova armonia…
Semplice magia…
Che ti cambierà, ti riscalderà…
 
 

«Sei bellissimo…» ruppe il silenzio Derek prima di carezzare dolcemente la guancia del ragazzo, gioendo di quel contatto così effimero; Stiles, dal canto suo, si poggiò maggiormente contro il caldo palmo dell’altro e sorrise emozionato, innamorato.

«Anche tu…» sussurrò in risposta prima di bloccarsi, il cuore scosso da un fremito di passione che non sembrava volerlo abbandonare; qualcosa nello sguardo di Derek mutò, venendo acceso da qualcosa di diverso, unico, che l’Alpha era convinto di non provare mai.

«Posso baciarti, Stiles?» sussurrò improvvisamente la creatura e Stiles, sussultando, si rese conto che , desiderava ardentemente poter condividere con quella creatura bizzarra ma non mostruosa il suo primo bacio, gli era servito del tempo e un attacco di lupi per capirlo ma alla fine Stiles trovò il vero Derek; deglutendo sonoramente, si umettò le labbra e annuì.
 
 

I corpi si fermarono, i cuori preferirono proseguire la loro corsa forsennata, e poco a poco i loro volti si avvicinarono; Stiles percepì il calore dell’Alpha e desiderò perdersi in esso, farsi avvolgere da quelle forti braccia per tutto il resto della vita. Derek, invece, fu inebriato del meraviglioso odore dell’Omega, desiderando con tutto se stesso di poterlo percepire a ogni risveglio della sua vita…

Le palpebre calarono lentamente sugli occhi mentre i due si avvicinavano ancor di più e alla fine, simili al battito d’ali di una farfalla appena nata, le labbra di Stiles si posarono sulla calda pelliccia di Derek mentre la lingua di quest’ultimo saggiava dolcemente quella pelle tanto bramata.
 
 

 
Quando sembra che non succeda più…
Ti riporta via, come la marea, la felicità…
 
 
 

Non fu un bacio bagnato o profondo, un semplice sfregamento di labbra contro pelliccia con, ogni tanto, la calda lingua della creatura che lo carezzava; senza volerlo, quei tocchi si ripeterono più volte mentre gli abiti venivano stropicciati dal loro abbraccio. Il fiato caldo di Derek gli carezzò il volto, solleticandoglielo, e Stiles sollevò appena le palpebre, scontrandosi con la cosa più bella che avesse mai visto; gli occhi dell’Alpha erano lucidi, appena velati da un accenno di lussuria, ma così chiari e magnetici da strappargli il respiro.
 
 

 
Ti riporta via, come la marea, la felicità…
 
 

Lentamente i loro volti si staccarono, facendogli scorrere uno spiacevole brivido lungo la schiena, e nonostante il loro bacio non fosse stato nulla di eclatante, viste le difficoltà anatomiche, a entrambi mancava il fiato; le guance di Stiles erano rosse come le ciliegie più mature, le orecchie di Derek bollenti, ma ciò che catturò maggiormente l’attenzione dell’altro era lo sguardo reso liquido, brillante e seducente da quel gesto apparentemente effimero ma che, in realtà, aveva sancito l’inizio di qualcosa di molto più importante.

Deglutendo rumorosamente, Stiles si ritrovò a stringere le zampe della creatura mentre alcuni appendiabiti aprivano la grande finestra posta sul fondo della sala, attirando la loro attenzione; non ci vollero parole o richieste inutili, né sguardi dubbiosi, ma bastò solamente quella stretta alla zampa di Derek per far capire a entrambi cosa fare. Lentamente, temendo di poter rompere quel sogno romantico, i due uscirono dal castello e furono investiti dalla gelida aria di dicembre che, almeno un poco, calmò il calore che percepivano sul volto; il cielo stellato fu bellamente ignorato dai ragazzi che, a dispetto di tutto e tutti, si sedettero sulla fredda panchina in marmo e si sorrisero a vicenda con gli sguardi legati prima di sciogliere la presa tra le loro mani.

Improvvisamente, come una secchiata d’acqua gelida su un corpo bollente, giunse l’imbarazzo di quello che era appena accaduto; Stiles iniziò a grattarsi la nuca, l’attenzione immediatamente catturata dalle piante in vaso poste alla sua sinistra, mentre Derek preferiva tormentarsi la coda, gli occhi puntati distrattamente alla sala che conservava ancora il loro odore e il ricordo del loro primo bacio.

Deglutendo rumorosamente, l’Alpha sospirò e si voltò verso il ragazzo che gli sorrise immediatamente prima di ridurre l’esigua distanza presente tra loro; Stiles gli carezzò la mascella lupina prima di calare dolcemente la mano lungo la gola di Derek, fermandola poi sul suo cuore impazzito.
 
 

«Stiles…» sussurrò improvvisamente Derek, attirando su di sé l’attenzione dell’Omega che, immediatamente, sollevò lo sguardo e lo puntò in quello della creatura «Tu… Sei felice qui? Nel castello? Con… Me?» chiese l’Alpha, l’animo tormentato da una possibile negazione che, ne era certo, gli avrebbe distrutto il cuore; Stiles, però, ridacchiò e gli diede un fugace bacio contro la bocca prima di tornare ad accarezzargli la guancia.

«Sì…» disse immediatamente ma poco dopo un alone di tristezza gli invase lo sguardo, costringendolo ad abbassare leggermente il volto; un sospiro rumoroso gli riempì i polmoni mentre Derek, sopraffatto da quella visione, decise che avrebbe fatto tutto quel che era in suo potere pur di evitare che Stiles fosse triste per qualsiasi motivo al mondo. Così, dopo avergli afferrato dolcemente il mento e averlo costretto a sollevare il capo, riallacciando così i loro sguardi, parlò.

«Cosa c’è? Posso fare qualche cosa?» la domanda dell’Alpha lo lasciò spiazzato e Stiles si ritrovò ad artigliargli la giacca costosa prima di far fuggire un piccolo, disperato singhiozzo dalle proprie labbra; una lacrima solitaria abbandonò i suoi occhi e percorse placidamente la guancia, fermandosi a causa della zampa di Derek che ne frenò la corsa.

«Mio padre…» svelò il ragazzo singhiozzando ancora più forte, incurante di star mostrando il fianco all’Alpha «Oh, Derek! Sono così preoccupato per questo suo comportamento, non è dai lui ignorarmi…» sussurrò tuffando il volto contro il petto della creatura, bagnando il morbido tessuto del fazzoletto con le proprie lacrime «Vorrei tanto vederlo per qualche minuto, solo una volta, e sincerarmi che stia bene…» disse tra un singhiozzo e l’altro; Derek lo strinse con forza e sospirò rumorosamente, indeciso sul da farsi, ma all’improvviso un’idea gli balenò in mente.

«Forse c’è un modo…» disse la creatura mentre scostava delicatamente il ragazzo dal suo petto; Stiles tirò su con il naso e si asciugò le lacrime con le maniche della giacca «Vieni con me.» disse rialzandosi e rientrando nella sala da ballo.
 
 

Non ci volle molto per raggiungere l’ala ovest e, se Stiles fosse stato in uno stato emotivo più stabile, di certo non si sarebbe perso i numerosi cambiamenti che quella parte del castello aveva subito; purtroppo, però, l’Omega era troppo impegnato a trattenere i singhiozzi e le lacrime per poter osservare l’ambiente e prima che se ne rendesse conto entra entrato nella stanza di Derek, la quale assomigliava finalmente a una vera camera da letto.

I mobili rotti erano spariti, sostituiti dalla migliore mobilia che avesse mai visto, ma la sua attenzione venne catturata da un bagliore rosato, lo stesso che aveva lo attirato quella lontana notte di paura; la rosa, però, pareva pronta a morire visto che la corolla era praticamente piegata verso il basso e rimanevano solamente tre petali a quel fiore morente.
Derek, deglutendo, afferrò lo specchio posto vicino alla campana di vetro e lo passò al ragazzo che, lanciandogli uno sguardo confuso, afferrò il manico in metallo e osservò attentamente l’oggetto.
 
 

«Questo specchio magico può farti vedere ciò che vuoi, ti basta chiederglielo.» gli spiegò Derek con una calma e la dolcezza che non credeva di avere; si rifiutava di far incontrare personalmente padre e figlio, principalmente a causa della reazione paterna che per altro, ma si sentiva perfettamente pronto a raccogliere i cocchi del cuore del piccolo Omega qualora fosse stato necessario. Stiles deglutì e fissò la propria immagina riflessa prima di parlare.

«Per favore, mostrami mio padre…» lo specchio gli vibrò tra le mani mentre dei fasci verdi iniziarono a scorrere tra la montatura, distorcendo l’immagine del giovane fino a farla scomparire del tutto; Stiles sgranò gli occhi e percepì il fiato morirgli in gola mentre osservava il padre camminare per una tormenta di neve, la pelle pallida e le labbra bluastre a causa del freddo «Papà!» esclamò il ragazzo scoppiando in lacrime «È in mezzo alla neve, forse è ferito o ammalato! E io non sono con lui! Oh, padre mio…» singhiozzò portandosi lo specchio al petto, lacrime che correvano copiose sul suo volto distorto dalla tristezza; devastato dal dolore e dall’impotenza, Stiles si perse sia lo sguardo che gli rivolse Derek che la carezza donata alla campana in vetro.

«Va da lui…» sussurrò la creatura percependo la propria anima dilaniata dal dolore di quelle parole.

«Che cosa?» chiese uno sconvolto Stiles, avvinandosi di qualche passo all’Alpha che sospirò nuovamente «E il mio patto?» domandò in apprensione.

«Hai onorato il tuo debito…» gli rispose Derek cercano di calmare i singhiozzi che minavano il suo respiro «Non sei più mio prigioniero, sei libero…» disse voltandosi verso l’Omega e trovando il coraggio gli carezzargli il volto con una delicatezza surreale per una bestia come lui «Corri da lui…» disse prima di leccargli dolcemente le labbra, mozzandogli il respiro.

«Grazie! Grazie mille, molte grazie!» urlò Stiles ma, appena provò a restituirgli lo specchio, le zampe di Derek si posarono sulle sue mani e lo bloccarono.

«Tienilo…» sussurrò con lo sguardo carico di disperazione «Così potrai sempre guardare indietro e ricordarti di me…» una singola, solitaria lacrima abbandonò gli occhi di Derek a quelle parole, perdendosi in quell’oceano di pelo scuro; Stiles non riuscì a prestare più attenzione a nulla se non alle indicazioni che Derek gli fornì per trovare il padre nel minor tempo possibile e quando abbandonò l’ala ovest, Derek si affacciò la finestra e attese che l’amato abbandonasse il castello insieme al suo cuore, incurante addirittura dell’arrivo di un festoso Alan.

«Allora? Avanti, Padrone, parlate!» chiese l’orologio, incurante del tumulto interiore che gli stava distruggendo l’anima.

«L’ho lasciato andare…» sussurrò distrutto mentre iniziava a piangere, il petto scosso dai singhiozzi e il cuore che poco a poco si lacerava per quel dolore inimmaginabile che continuava a devastargli il petto.

«Beh… Certo che… COSA?!» esclamò Alan sgranando gli occhi «Perché?!» domandò rivolto alla schiena della creatura.

«Perché io… Lo amo…» rispose con naturalezza Derek mentre un singhiozzo gli mozzava il fiato.
 
 

Quando Stiles, coperto dalla mantella rossa che l’aveva visto entrare in quella nuova avventura, abbandonò il castello a cavallo del fidato Roscoe un ruggito di dolore abbandonò la gola di Derek, riecheggiando nell’aria e riverberando nei cuori di tutti coloro che ascoltarono quel grido disperato, incrinandolo a causa di quell’uomo distrutto che chiedeva aiuto; perfino la Luna, nella sua placida imperturbabilità, parve tremare sotto la potenza di quel dolore e improvvisamente tutto il mondo tacque, le orecchie rese sorde da quell’urlo che aveva fatto stramazzare Derek sul pavimento della propria stanza.
 
 


Note finali: ebbene sì, c’è anche la scena della liberazione di Stiles; devo ammettere che nel Classico il ruggito della Bestia mi ha sempre fatto piangere, me la immaginavo riversa a terra mentre piangeva e spero di aver reso almeno in parte i sentimenti provati. Nel remake c’è una canzone ma devo dire che non mi piace affatto, sarà che il personaggio è stato scritto abbastanza male o che tutto il film non mi ha fatto impazzire ma boh… Ho preferito rimanere federe al Classico Disney del ’91.

Che mi dite del capitolo? Piaciuti i Point of View di Theo e Noah? E la scena della biblioteca? E quella del ballo? Insomma, che mi dite su quest’aggiornamento? È stato di vostro gradimento oppure vi ho disilluso?

Siamo in dirittura d’arrivo gente, mancano tre capitoli all’epilogo e io non vedo l’ora!

Come sempre prima di salutarvi vorrei ringraziarvi con tutto il cuore per aver letto il precedente capitolo, un abbraccio caloroso a tutti quelli che hanno inserito la storia in una delle categorie di EFP e soprattutto vorrei ringraziare Fata_Morgana 78 e linn86 per aver recensito lo scorso capitolo. Vi adoro ragazze!

Inoltre, vorrei ringraziare tutti coloro che hanno letto quella follia di TG Wolf, quelle splendide persone che l’hanno aggiunta in una delle categorie di EFP e soprattutto un ringraziamento speciale va a iruy_99 per averla recensita. <3
 

Ci vediamo al prossimo aggiornamento!
 

Babbo Dark


 

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Capitolo 11
*** XI - La furia di Theo ***


Note iniziali: ma è un aggiornamento in anticipo? E bene sì, signori e signore, ho deciso di aggiornare oggi perché… Perché sì, ecco ^^”

Dunque vediamo cosa posso dire su questa storiella bella, bella…

Finalmente vediamo il vero Theo, l’essere spregevole che nasconde sotto la scorza perfettamente lucida di “bravo ragazzo”; sinceramente, credo che né lui e né Gaston fossero realmente innamorati di Stiles/Belle ma mandassero avanti tutta quella sceneggiata solamente per prendersi la ragazza/Omega più bella/o della città. I loro personaggi si basano sulle apparenze e visto che sappiamo quanto possono essere schifosi (Theo lo vedrete nel prossimo capitolo) dubito che siano in grado di amare veramente, sbaglio a pensarla in questo modo? Fatemi sapere la vostra, sono curioso.

Io vi auguro una buona lettura, ci vediamo nelle note finali!
 

Babbo Dark
 
 
Theo
Paesani
 


 
Little Red Riding Hood and the Cursed Wolf
Capitolo XI – La furia di Theo
 
 

Un dolce calore abbracciò il corpo stremato di Noah e l’uomo, attratto da quella piacevole sensazione, mugugnò qualcosa d’incomprensibile e si sistemò meglio in quel comodo giaciglio che profumava così tanto di suo figlio da fargli dimenticare tutte le angosce che gli avevano tormentato l’animo; non c’erano più missioni da compiere, foreste da perlustrare o castelli da trovare. Noah stava finalmente bene.

Qualcuno gli carezzò la testa con dolcezza mentre un tenero bacio veniva posato sulla sua fronte ma poi, violento come un ceffone inatteso, giunse anche la voce di un ragazzo; era appena un sussurro, qualcosa di apparentemente impercettibile, ma bastò per far sgranare gli occhi al vecchio Alpha, ritrovandosi a specchiarsi in quelli del proprio figlio illeso, sano e salvo.

Incurante di tutto, Noah si sollevò di scatto dal letto e afferrò saldamente il corpo del ragazzo prima di stringerselo contro con tutta la forza che aveva mentre scoppiava in un pianto liberatorio, incurante di tutto e tutti; il suo bambino era lì con lui, era salvo, e null’altro era importante in quel momento. Le mani di Stiles iniziarono a carezzargli delicatamente la schiena, cercando di calmare il padre, ma al tempo stesso non riusciva ad abbandonare quella disgustosa sensazione di tristezza che non lo voleva abbandonare, nelle orecchie riecheggiava ancora l’ultimo ruggito di Derek; ci volle una mezz’ora buona affinché l’Alpha riuscisse a calmarsi ma alla fine, stendendosi nuovamente a causa della stanchezza, iniziò a scusarsi e a baciare le mani del figlio.

Era convinto che non l’avrebbe più rivisto e alla fine, invece, era lì davanti a lui; Stiles si beò del contatto provocato con il suo Alpha di famiglia ma qualcosa, nel suo cuore, gli sussurrava che non era quella la carezza che ricercava. Voleva delle grosse zampe all’apparenza mostruose a toccarlo, a venerarlo, e per quanto amasse suo padre tutta quella sensazione gli sembrava sbagliata; si chiese come stesse Derek, se si fosse coricato e, soprattutto, si chiese se avesse continuato a comportarsi il più umanamente possibile oppure se sarebbe ripiombato nel baratro della disperazione.

A distrarlo da quei pensieri deprimenti giunse la voce del padre che, tra un singhiozzo e l’altro, narrò tutto quello che aveva vissuto in quei mesi: raccontò del ritorno al villaggio e della taverna da cui era stato cacciato, riassunse il primo viaggio nella foresta e l’intervento delle due guardie; spiegò al figlio il mese trascorso a letto per la polmonite e l’incidente che lo aveva costretto, a neanche una settimana di libertà, a finire in carcere. Infine, baciandogli nuovamente le mani, raccontò di come fosse uscito dall’Inghilterra per correre nuovamente nella foresta per cercarlo e salvarlo per poi cadere vittima del freddo e della stanchezza.
 
 
«Ma parla, figlio mio, come sei fuggito da quell’inferno?» chiese Noah quando terminò il racconto prima di carezzargli la guancia; l’Alpha notò con un pizzico di tristezza come Stiles, a differenza delle altre volte, si godette quelle carezze ma non spinse mai il volto verso la sua mano.

«Mi ha liberato.» rispose semplicemente facendo sgranare gli occhi al padre.

«M… Ma qu… Quel… Mostro… Lui…» balbettò Noah, incapace di capire appieno quella semplice frase all’apparenza prima di doppi significati.

«Derek, papà, si chiama Derek…» sussurrò Stiles prima di sospirare rumorosamente e sorridere, incurante dello sguardo che suo padre gli rivolse «Oh, papà! Non è un mostro, quella era solo l’apparenza! In realtà è dolce, sensibile e così timido che non immagini…» disse sollevandosi dal letto e iniziando a camminare per la strada, le mani strette contro il petto e un dolce sorriso a tirargli le labbra «Mi ha salvato dai lupi, sai? E poi è cambiato così tanto, papà, e abbiamo mangiato così tante volte insieme… Mi ha regalato una biblioteca e ci siamo baciati… Oh, papà…» sussurrò per poi sospirare innamorato, il corpo premuto contro la finestra e lo sguardo perso a fissare le stelle; Noah sbuffò rumorosamente e si schiarì la gola ma suo figlio sembrava perso in un mondo tutto suo; un sorriso tirò le labbra dell’Alpha, il suo bambino era innamorato…

«Perché non mi racconti meglio…» disse picchiettando la mano contro il materasso e, un paio di secondi dopo, Stiles si sedette e iniziò a elencare nel dettaglio tutte le giornate passate nel castello.
 
 
I due Stilinski, però, non si resero conto della presenza di un Beta invadente che, notate le luci delle candele, era entrato nella loro casa per poi uscirne rapidamente non appena udì le loro voci.
 

 
***

 
 
«È ANDATO VIA?!» Alan fissò attentamente i presenti che, per l’occorrenza, si erano tutti riuniti all’interno delle cucine; non sa bene chi ha fatto girare la voce, visto che lui aveva richiesto solamente la presenza di Peter, ma alla fine l’orologio si è ritrovato costretto a rivolgere il proprio sguardo dispiaciuto a Melissa, Malia e Allison. Sospirando rumorosamente, Alan si ritrovò ad annuire a quelle parole mentre un borbottio costante riecheggiava tra loro.

«Cos’è successo?!» chiese Allison avvicinandosi di qualche passo, incurante della polvere trasportata dalle sue piume.

«Non lo so… Il Padrone non si è espresso molto…» ammise l’orologio con un’alzata di spalle «Ma prima di rinchiudersi in un pesante silenzio ha ammesso di averlo fatto per amore…» disse osservando attentamente i colleghi; Peter iniziò a saltellare avanti e indietro, sul volto ceroso un’espressione pensierosa.

«Ma è fantastico, no?» domandò Malia come se nulla fosse «Ha imparato ad amare e ora torneremo tutti umani!» disse euforica osservando i presenti che sospirarono in sincrono.

«Non basta…» le rispose Peter con un sussurro «Per rompere l’incantesimo è essenziale che il Signorino lo ami a sua volta…» ricordò ai presenti per poi sospirare pesantemente «E alla corona della rosa mancano solamente tre petali, quindi circa due ore… Il tempo è scaduto…» un singhiozzo abbandonò le labbra di Melissa mentre Alan iniziava ad allontanarsi dalla stanza, ormai stufo di quelle chiacchiere inutili.

«Proprio ora che aveva scoperto l’amore…» sussurrò la teiera nel silenzio generale «Speriamo solamente che non regredisca allo stato bestiale.» aggiunse con un sospiro.

«Quel che sarà, sarà.» intervenne Alan con un tono fin troppo secco «Ormai siamo condannati a rimanere oggetti di servizio fino alla morte del Padrone, accettiamolo e riprendiamo a comportarci come abbiamo sempre fatto per questi dieci anni…» ordinò aprendo le pesanti porte che davano sul salone principale «Cerchiamo di mantenere pulito il castello e non farlo piombare nuovamente in quel degrado, vi prego…» sussurrò mentre i primi singhiozzi iniziavano a scuotergli le spalle legnose «Io andrò nella biblioteca per accettare la situazione, chiamatemi se necessario.» aggiunse prima di abbandonare definitivamente le cucine.
 
 
Uno alla volta i servi si dileguarono, percependo la necessità di rimanere da soli a crogiolarsi nel dolore dell’accettazione; per un attimo, in quella dannata sera, si erano convinti che l’incantesimo sarebbe stato finalmente spezzato, riottenendo quindi l’umanità che tanto desideravano e che avevano perduto da anni ormai. Sapere che il loro ospite fosse fuggito così rapidamente, senza una valida motivazione sotto, incendiò i loro animi e in molti si ritrovarono a maledire il giorno in cui l’Omega giunse al castello; aveva dato loro una speranza e poi, come un Dio sadico e vendicativo, se l’era ripresa senza pensarci due volte.
Peter non avrebbe mai più abbracciato la figlia, Melissa non avrebbe più gioito del calore provocato dai corpi di Scott e Isaac contro il suo; Allison e Matt non si sarebbero più baciati e Chris non avrebbe mai più chiesto al suo Omega di legarsi…

Tutto era perduto e, come aveva detto Alan, il loro tempo era scaduto.
 
 
 
***
 


Noah sospirò rumorosamente e si massaggiò le tempie, cercando di lenire quell’emicrania che minacciava di spaccargli a metà il cranio, ma nonostante tutto era felice di poter sentire nuovamente la voce di suo figlio nonché la sua risata cristallina; padre e figlio si erano raccontati a vicenda quel periodo affinché l’altro sapesse che fine avesse fatto e Stiles sgranò gli occhi quando venne a sapere che l’Alpha, dopo essere stato gettato fuori dalla locanda, era svenuto nella foresta a causa della febbre. Noah sottolineò più volte come il dottor Gerard gli impedisse di fare qualsiasi cosa, minacciandolo di legarlo al letto, e Stiles spalancò la bocca quando il padre gli disse del disguido con la guardia e del successivo arresto, nonché il periodo passato dietro le sbarre che aveva peggiorato ulteriormente la sua salute; dal canto suo, invece, Stiles narrò la sua vita al castello nei minimi particolari.

Descrisse al padre il modo irruento con cui lui e Derek si rapportarono i primissimi tempi, della fuga dal castello e del successivo attacco dei lupi; spiegò come l’Alpha lo avesse salvato e di come Stiles fosse intervenuto a sua volta per riportarlo indietro e, cosa più importante, raccontò di tutti i cambiamenti che la creatura aveva fatto in quel breve periodo di convivenza forzata. Noah non si perse il tono di voce sognante né l’espressione innamorata del figlio e per un attimo il suo animo s’inquietò, rabbuiandosi a causa del timore che tutte quelle situazioni non fossero altro che un pretesto per incastrare l’Omega in un legame; ricordava perfettamente il modo in cui quel mostro, Derek gli sussurrò la coscienza, lo aveva trattato quella sera e di certo Noah avrebbe fatto tutto quello che era in suo potere per impedire al figlio di compiere quella follia.

D’un tratto, però, la voce della sua Compagna gli riecheggiò nella mente e Noah si ritrovò ad abbassare il capo mentre assimilava quelle nuove informazioni; ‘Tutti noi nascondiamo un Io interiore, amore mio… Non commettere l’enorme sbaglio di fidarti delle apparenze, di limitarti al guscio esterno; ci sono persone avvolte da mantelli dorati ma che nascondono la feccia dell’umanità e, naturalmente, ci sono persone che appaiono mostruose ma che in realtà nascondono dei diamanti sotto quella dura corazza impenetrabile…’. Mai, prima di quel momento, Noah si ritrovò a darle ragione; lui si era scontato solamente con la corazza di quel Derek ma suo figlio, il suo bambino, aveva avuto la fortuna e la caparbietà di rompere quelle mura apparentemente invalicabili per poter osservare e gioire di quel meraviglioso diamante che custodivano.

Improvvisamente, Noah si ritrovò a deglutire un amaro boccone; il suo bambino era cresciuto, trasformandosi sotto i suoi oggi in un giovane Omega maturo, e lui non era altro che un povero Alpha del tutto disarmato davanti al destino. Se Stiles e Derek erano destinati a legarsi, ad amarsi, lui non li avrebbe ostacolati in alcun modo ma, naturalmente, si sarebbe tenuto pronto qualora le cose precipitassero e il ragazzo necessitasse di un porto sicuro in cui ormeggiare la propria barca.

Con un sorriso emozionato e lo sguardo intristito, l’Alpha fissò il volto pensieroso del proprio figlio e si apprestò ad aprire bocca nello stesso istante in cui la sacca da viaggio che Stiles si era portato dietro iniziò a muoversi, catturando immediatamente la sua attenzione.
 
 
«Ehm… Figliolo…» sussurrò Noah indicando l’oggetto incriminato e spingendo il ragazzo a voltare lo sguardo, sollevando un sopracciglio davanti a quegli strani movimenti; poco a poco, timido come non mai, dalla stoffa della sacca emerse un tremante Scott che si fissò attentamente attorno prima di avvicinarsi con un paio di saltelli alle scarpe di Stiles che, ridacchiando, s’inchinò per recuperare l’amico e permettergli di accomodarsi sulle lenzuola.

«Toh! Un clandestino…» ridacchiò il ragazzo mentre la tazzina si avvicinava a suo padre che sorrise e lo salutò con un cenno della mano; Scott, ricambiato il saluto con timido sorriso, si voltò e incrociò gli occhi di Stiles prima di avvicinarsi al suo corpo esile.

«Signorino, perché se ne è andato?» domandò tristemente la tazzina mentre lo sguardo s’incupiva «Il Padrone è disperato, tutti abbiamo sentito il suo ruggito di dolore…» aggiunse con un sospiro «Voi… Vi siete stancato di lui?» domandò abbassando leggermente lo sguardo e sospirando nuovamente; Stiles, però, prese un profondo respiro e abbassò il capo mentre una piccola, solitaria lacrima abbandonava i suoi occhi, facendo sollevare di scatto le sopracciglia di Noah che si apprestò ad asciugarla con il dorso della mano, facendo nascere un debole sorriso sulle labbra del ragazzo.

«Io…» sussurrò Stiles voltandosi verso la finestra per poi sgranare gli occhi davanti a quell’alone rossastro che rischiarava la notte; alzandosi rapidamente dal letto, e ignorando i richiami del padre, Stiles si affacciò alla finestra e spalancò la bocca quando si rese conto che tutta la popolazione di Beacon Hills si stava radunando sotto casa sua armata di torce e forconi. E lì, davanti a tutti, spiccava la figura di Donovan intenta ad aizzare la popolazione; percependo la furia aumentare e accecargli la ragione, Stiles uscì rapidamente dalla propria stanza e si diresse a passo spedito verso la porta d’ingresso per poi spalancarla con forza, incurante dell’aria fredda che lo travolse in pieno.
 
 
Il ragazzo spalancò la bocca davanti a quella folla furiosa e armata che non aspettava altro che un agnello sacrificale, qualcuno su cui riversare tutta la rabbia e l’odio accumulati nel corso dell’anno; un brivido di disperazione gli attraversò la schiena quando i suoi occhi si soffermarono sulla cupa carrozza del manicomio e, subito dopo, sulla figura scheletrica di un uomo che sorrideva malignamente nella sua direzione. Stiles si sentì mancare: Donovan, o chi per lui, aveva radunato tutta la città affinché suo padre venisse arrestato visto che, come gli aveva spiegato poco prima, appena rimesso piede nella città si era recato immediatamente alla taverna e aveva parlato apertamente di Derek.
 
 

«Ehi, Noah!» esclamò con una risata Donovan, attirando l’attenzione di Stiles sulla sua figura prima di spostarla su quella del padre che, rabbrividendo, osservava terrificato la folla «Raccontaci ancora del mostro!» urlò mentre un coro di risate malvage riecheggiava nella sera, facendo indurire lo sguardo dell’uomo e serrare i pugni; Stiles non aveva mai visto la rabbia prevalere su suo padre eppure, mentre ne osservava la reazione, il ragazzo ne fu intimorito. Noah sembrava pronto a scattare sul posto e attaccare, stanco delle prese in giro e delle umiliazioni sul suo conto, ma poi un uomo si avvicinò lentamente all’Alpha e unì le mani in preghiera mentre un sorriso maligno gli tirava le labbra.

«Signor Stilinski, la prego di accomodarsi nella carrozza…» sussurrò il dottor Raphael indicando il veicolo con la mano destra, incurante del tentativo disperato di Stiles di porsi davanti al corpo del padre per proteggerlo; l’Omega, infatti, era stato afferrato malamente dagli abitanti i quali, ridacchiando, ignorarono le sue lamentele e gli strappi provocati sui suoi vestiti «Odio queste stronzate.» sbuffò il medico prima di schioccare le dita e, nel giro di pochi secondi, un paio di Alpha afferrarono Noah per le braccia e lo trascinarono malamente verso la carrozza, incuranti delle imprecazioni e delle preghiere dell’uomo.

«MIO PADRE NON È PAZZO!» tuonò Stiles mentre veniva scaraventato malamente al suolo e, ignorando il bruciore che percepiva sui palmi e sulle ginocchia, il ragazzo si rialzò e si avvicinò al medico nel disperato tentativo di bloccare quella follia quando, dalle sue spalle, due braccia lo afferrarono per i fianchi e lo costrinsero a scontrarsi con un petto muscoloso «THEO! CI MANCAVI SOLAMENTE TU!» sbuffò l’Omega osservando il ghigno malizioso che tirò le labbra dell’Alpha «MIO. PADRE. NON. È. PAZZO.» ripeté in un sibilo, percependo la rabbia ribollirgli nelle vene.

«Ma certo, Law, ma certo…» sussurrò Theo intristendo la propria espressione e sospirando rumorosamente e, a quella reazione, Stiles sollevò di scatto le sopracciglia e afferrò le mani dell’Alpha, rigirandosi poi in quello strano abbraccio.

«Aiutami, Theo, ti prego!» gli urlò contro l’Omega afferrandogli il maglione rosso per le spalle e scuotendolo violentemente; l’Alpha, però, sospirò rumorosamente e scosse il capo prima di sgranare gli occhi e sorridergli apertamente.

«Sai, Law, potrei anche aiutarti se tu…» sussurrò lascivamente osservando attentamente lo sguardo spaventato del ragazzo, immaginandosi già l’attimo in cui si sarebbe perso in quel corpo vergine; ignorando il ‘Se io…’ sussurrato da Stiles, proseguì «Se tu ti legassi a me!» esclamò nello stesso istante in cui Noah veniva gettato malamente nella carrozza, sotto gli sguardi derisori e le risate di scherno della folla; Stiles, però, nell’udire quella richiesta capì e perse le staffe. Con una forza che non credeva di avere, si allontanò dalle braccia di Theo e lo colpì violentemente al volto con un pugno, facendo cadere a terra l’Alpha che lo fissò sconvolto.

«Mi fai schifo!» urlò Stiles, incurante degli sguardi della folla e dei sospiri stupiti scappati da quest’ultima «Sei un verme, Theo, una feccia! La merda della merda e non mi degnerei di farti una fottutissima sega, figuriamoci legarmi con te! Fanculo Theo, tutta questa sceneggiata solo per scoparmi?! Muori, verme!» urlò tirandogli un calcio per poi tornare rapidamente in casa, incurante della collera che quelle parole avevano scatenato nell’Alpha che, sollevandosi da terra, urlò di furia e fissò la porta d’ingresso; incurante di tutto, Stiles era rientrato nella propria camera e aveva recuperato lo specchio magico prima di tornare in mezzo alla folla «Posso dimostrare che mio padre non è pazzo!» urlò attirando l’attenzione dei presenti «Ti prego, mostrami Derek…» la folla sgranò gli occhi quando quello che sembrava un normalissimo specchio venne percorso da dei lampi di luce verde che crearono strane ombre sul volto dell’Omega e poi, nonostante tutto, un sorriso innamorato distese le labbra di Stiles perché lì, nello specchio, si trovava il suo Derek… L’Alpha che aveva fatto tanto per lui senza chiedere nulla in cambio… «Ecco la Bestia!» urlò voltando lo specchio e sollevandolo, permettendo a tutti di poter vedere l’Alpha che gli aveva catturato il cuore; un grido terrorizzato abbandonò le gole dei presenti mentre Theo, incuriosito, strappava lo specchio dalle mani di Stiles «Ridammelo! È un regalo!» disse tentando di recuperare l’oggetto senza ottenere grandi risultati.

«È un mostro!» sussurrò sconvolto Theo, incurante di tutto e tutti.

«No, deficiente!» l’Alpha folgorò con lo sguardo Stiles e irrigidì la mascella, stufo di quel comportamento insolito e fastidioso «TU SEI IL VERO MOSTRO, THEO! TUTTI CREDONO DI PARLARE CON UN GRAN FICO MA IN REALTÀ SEI SOLO UN PEZZO DI MERDA CHE CAMMINA!» tuonò Stiles, il volto sempre più caldo a causa della rabbia e negli occhi una luce che fece infuriare Theo ancor di più «Lui è importante per me! È dolce, sensibile, timido, romantico, buono! Tutto quello che non sei tu!» e lì, sotto gli sguardi di tutti, Theo perse la ragione; con la rapidità tipica di un Alpha, il ragazzo aveva assestato un pugno nello stomaco di Stiles con tutta la forza che possedeva, costringendolo a chinarsi sotto il suo stesso peso mentre si ritrovava a vomitare i succhi gastrici.

«SONO TUTTI E DUE PAZZI! PADRE E FIGLIO!» tuonò l’Alpha prima di afferrare i capelli di Stiles e tirarli con forza, incurante delle urla di dolore e delle lacrime che bagnarono il volto dell’Omega che voleva, per poi spostarsi verso il laboratorio di Noah «Il mostro ci ucciderà tutti!» urlò mentre gettava malamente il ragazzo giù per le scale e, non appena Theo scioccò le dita, anche Noah fece la stessa fine del figlio «Intrappoliamoli ed evitiamo che fuggano, potrebbero avvertire quel figlio del demonio!» disse mentre alcuni Beta si prodigavano a bloccare la porta che conduceva al laboratorio.
 

 
In agguato se ne sta e di notte colpirà!
Per saziare il suo appetito i nostri figli ucciderà!
 
 
 
«Verrà di notte e ci ucciderà tutti!»

«Mangerà i nostri piccoli!»

«Distruggerà il bestiame!»

«Divorerà tutto quello che troverà sul suo cammino!»

«Beacon Hills non è più un luogo sicuro! Non finché vivrà questo mostro!»
 
 
 
Theo sorrise vittorioso udendo quelle frasi terrorizzate e, non contento dell’effetto che stava ottenendo, iniziò a urlare a destra e manca tutte le imprecazioni che gli venivano in mente contro quella bestia maledetta che aveva catturato il cuore di quello stupido Omega; così, sorridendo nell’afferrare il proprio fucile e legandosi lo specchio alla vita, Theo iniziò a organizzare una spedizione di caccia contro quel mostro.


Omega e bambini vennero immediatamente allontanati mentre gli Alpha e i Beta si armavano, preparandosi per iniziare quella notte di sanguinoso odio; immaginandosi dare il colpo di grazia al mostro, mutilarlo delle zampe e della coda, la folla accese con l’ausilio delle torce tutto quello che gli capitava a tiro, incuranti del fatto che anche casa Stilinski iniziò a bruciare a causa della loro follia.
 
 
 
 
Il villaggio con quel mostro più sicuro ormai non è!
Su muovetevi venite tutti, ora, insieme a me!
 
 
 

«Appendiamo la sua testa alla mia parete e liberiamo la città!» tuonò Theo, sorridendo quando udì i ‘SÌ!’ urlati dalla popolazione esultante «Donovan, il mio cavallo!» ordinò all’amico che rapidamente si defilò dalla mischia.

«Cosa facciamo, Theo?» domandò un Beta avvicinandosi.
 
«Come raggiungiamo il demonio?!» inveì il panettiere con furia.

«Le tracce, amici miei!» rispose tranquillamente l’Alpha «Law era sparito misteriosamente e ora so che quel mostro lo teneva prigioniero ma deve essere scappato, no?» disse, facendo annuire i presenti che si ammutolirono all’istante «Seguiremo le tracce lasciate dall’Omega e raggiungeremo il castello, nulla ci fermerà! Né la foresta, né i lupi e né il mostro!» urlò a squarcia gola prima che tutto il resto della folla si unisse a quel ruggito primordiale.
 
 
 
 
Su corriam, galloppiam attraverso le foreste e i monti non c’è nulla che ci fermerà!
Forza andiam, che aspettiam?
Dentro quel castello c’è una bestia spaventosa che ci assalirà!
Può squartar con gli artigli affilati, con le zanne ti può divorar!
Può ruggir, può ringhiar ma da noi non potrà mai scappar!
Morirà!
Sì!
Morirà!
 


«Ricordatevi delle sue armi!» disse Theo mentre montava in sella al proprio cavallo prima di iniziare a dirigersi verso il bosco che costeggiava la proprietà degli Stilinski «Ha le zanne lunghe quattro metri con cui fracasserà le ossa di tutti gli idioti che proveranno ad avvicinarglisi troppo…» Donovan deglutì rumorosamente all’ipotesi e fissò l’amico, comodamente seduto sul suo mastino nero «I suoi artigli sono di puro metallo e dalla lunghezza di dieci metri, un movimento fulmineo e vi taglia a metà come una fetta di pane!» qualcuno, dietro di loro, sussultò visibilmente a quella ipotesi; poco a poco il folto gruppo entrò nel bosco, illuminando gli alberi con le proprie torce e disegnano tutt’intorno ombre sinistre «Lui ci attaccherà, è nella sua natura, ma noi siamo più forti e furbi di lui! MORIRÀ!» tuonò, facendo riecheggiare attorno a sé un coro di ‘MORIRÀ!’ urlato dalla folla «Oh, eccome se morirai disgustosa bestiaccia…» sussurrò maniacalmente Theo mentre un ghigno malvagio gli tirava le labbra; quella creatura terrificante sarebbe stato un trofeo meraviglioso per la sua parete, tutti l’avrebbero ricordato come il miglior Alpha e cacciatore della città e tutti gli Alpha si sarebbero ricordati di lui in futuro. E alla fine, ma non meno importante, con la morte della creatura lui si sarebbe finalmente scopato quell’Omega; ormai non gli interessava più neanche il legame, desiderava solamente prenderlo rudemente e poi abbandonarlo a se stesso mentre lui puntava lo sguardo sulla sua prossima preda.
 
 
 
Con le torce corriam, il coraggio non vi mancherà!
Con te Theo, nessun fuggirà!
Tutti noi guiderai nel castello c’è un spirito maligno che ben presto morirà!
È più grosso di una montagna, ma di lui non avremo pietà…
Perché noi, solo noi, siamo eroi, grandi eroi, il Signore è qui con noi!
 
 
 

Seguire le tracce lasciate da Stiles fu più semplice del previsto vista la presenza della neve fresca e Theo, nonostante il freddo glaciale che gli avvolgeva le membra, percepiva il sangue ribollirgli nelle vene, preparandolo per quella battuta di caccia epica; desiderava poter raggiungere il castello il prima possibile, pregustandosi il momento in cui avrebbe sgozzato il mostro, e per un attimo desiderò ardentemente che un branco di lupi sbucasse all’improvviso e attaccasse la folla. Il desiderio di uccidere era forte ma sapeva, da buon predatore qual era, che quelle sensazioni dovevano macerare per bene nel suo animo per poterlo soddisfare a dovere, rilassandolo e permettendogli di trovare la pace che bramava; poco a poco ignorò il vociare alle sue spalle, stanco delle congetture fatte dai contadini che lo avevano seguito.

Quasi urlò di frustrazione quando iniziarono a colpire un vecchio e massiccio albero con le accette per poterlo abbattere e creare un ariete, necessario per sfondare le porte del castello ma alla fine, cedendo alle preghiere di Donovan, smontò da cavallo e si unì alla folla; i colpi riecheggiarono sinistramente attorno a loro, facendo volare terrorizzati i rapaci notturni e i pipistrelli, e quando l’albero scricchiolò minacciosamente e cadde nella foresta con un pesante tonfo sulla neve, Theo salì nuovamente a cavallo e osservò pazientemente i Beta togliere i rami e preparare quell’ariete artigianale.

Alla fine, sbuffando sonoramente per il tempo sprecato, l’Alpha riprese a seguire le tracce fino a raggiungere una vecchia segnaletica in legno e lì, oltre un piccolo burrone, le tracce ricominciavano; ghignando, il viaggio dell’Alpha riprese.
 
 


 
Chi sarà, chi lo sa?
Questa bestia è misteriosa e una gran paura ci accompagnerà!
Fuggirà, morirà, salveremo i nostri figli e il villaggio rivivrà!
Lei morirà!
 
 

Alla fine il gruppo si arrestò davanti a una vecchia e malconcia cancellata; Theo smontò da cavallo e vi si avvicinò prima di spalancarla con un calcio ben assestato, permettendo alla folla di entrare e proseguire lungo il ponte che li avrebbe condotti al portone in mogano scrostato.
Incuranti di tutto, nessuno si accorse dei piccoli oggetti affacciati da una delle finestre del castello; la servitù, infatti, attirati dalla luce aranciata delle torce era corsa nella speranza di poter osservare il ritorno di Stiles ma poi, notando la presenza di Theo e degli inglesi, il panico s’impadronì dei loro animi.
 
 

«INVASORI!» tuonò Peter terrorizzato mentre Theo si avvicinava a passo rapido verso il portone principale e, non appena l’Alpha si arrestò per permettere al gruppo di utilizzare l’ariete, un tuono riecheggiò nell’aria mentre un fulmine fendeva l’oscurità del cielo.
«HANNO LO SPECCHIO!» disse Melissa osservando il ragazzo sollevare l’oggetto magico a destra e sinistra «Peter, andiamo a chiamare il Padrone!» urlò la teiera mentre usciva dalla sala, subita seguita dal candelabro.

«Allison, Malia.» sibilò irritato Alan, ottenendo l’attenzione dei due spolverini «Richiamate tutta la servitù in grado di spostarsi; se questi villici voglio la guerra, l’avranno!» disse inviperito mentre usciva anch’esso dalla sala, subito seguito dalle due serve.

«PADRONE!» l’urlo di Melissa accompagnò i movimenti dell’orologio verso l’ala nord «CI STANNO ATTACCANDO!» Derek, sospirando fin troppo rumorosamente nell’osservare l’ennesimo petalo che si staccava dalla rosa e cadeva placidamente contro la superficie del tavolo, sollevò lo sguardo verso il cielo plumbeo e scosse il capo; l’Alpha si maledisse, nuovamente, ma questa volta il suo aspetto esteriore non c’entrava nulla… ‘Se mi fossi comportato meglio con la fata, a quest’ora io e Stiles staremmo insieme…’ pensò tristemente la creatura, incurante dei richiami della servitù.

«Lasciateli entrare…» ordinò mentre tornava a fissare la sua rosa morente.
 

All’esterno del castello, invece, i colpi dell’ariete contro il portone accompagnavano i tuoni sempre più rombanti e prima che qualcuno potesse far qualcosa un acquazzone iniziò a cadere sulle loro teste, spegnendo le fiaccole e bagnandoli dalla testa ai piedi.
 

«PRENDETE TUTTO QUELLO CHE VOLETE MA RICORDATE, IL MOSTRO È MIO!» ricordò Theo all’ennesimo colpo dell’ariete.
 
 


 
Su marciam, avanziam!
Le bandiere al vento, in alto i cuori, dentro la battaglia ci gettiam!
Diverrà, canterà, siamo un gruppo di francesi che la bestia ucciderà!
Ucciderà!
Ucciderà!
 
 

TUM. TUM. TUM.

TUM. TUM. TUM.

TUM. TUM. TUM.

TUM. TUM. TUM.

TUM. TUM. TUM.
 

L’ariete si abbatteva con furia contro il portone e, mentre gli inglesi si preparavano a invadere quella dimora apparentemente terrificante, la servitù accorse dalle quattro ale del castello, pronta a difendere la loro casa con le unghie e con i denti; Lydia e Matt si posarono con forza contro l’ingresso, aiutati dai colleghi di ogni misura, ma a ogni colpo il portone sembrava cedere un po’ di più e la paura che da un momento all’altro cedesse aumentò l’irrequietezza nei loro animi ma, improvvisamente, Peter sgranò gli occhi e sorrise euforico.
 
 
«HO UN’IDEA!» urlò.
 

Alla fine, dopo l’ennesimo colpo, il portone si spalancò ma ad accogliere gli inglesi furono solamente dei normalissimi mobili messi alla rinfusa; Donovan entrò, guardandosi a destra e sinistra, subito seguito da Alpha e Beta malintenzionati e prima che se ne rendessero conto l’attacco iniziò.
 

 
Note finali: eccoci qui alla fine di questo capitolo, che ne pensate? Piaciuto il modo con cui Stiles e Theo si sono relazionati? Inizialmente il nostro villain picchiava con forza Stiles, arrivando a dargli dei calci al ventre, ma mentre rileggevo mi sono detto che tutto questo sfogo di violenza era sì in linea con il personaggio ma rovinava così tanto la lettura del capitolo che alla fine l’ho tolto.

Invece di Noah cosa mi dite? Questo padre che ascolta rapito i discorsi del figlio e capisce che il suo bambino si è innamorato, awwwww… Nel Classico le cose in questo punto sembrano andare fin troppo velocemente per i miei gusti, Morisse non fa neanche in tempo ad abbracciare la figlia che la folla arriva davanti casa sua; cioè, io capisco il fatto che volessero farlo urlare come un folle per descrivere la Bestia ma Gaston avrebbe lo stesso ottenuto quello che voleva perché aveva corrotto il medico. Boh…

Devo dire che questa canzone, “Attacco al castello!” per l’appunto, è stata una delle più difficili da incastrare nella storia; mi sono limitato a riportare i pensieri di Theo e la creazione dell’ariete, come si vede nel Classico, e ho preferito tagliare tutto il resto che era di un’inutilità imbarazzante…

Finalmente si sta avvicinando lo scontro finale e, soprattutto, l’epilogo… Non vedo l’ora! Vi avverto qui, poi lo farò anche nelle note finali de “Il più raro e il più bello di tutti…”, che la prossima AU!Disney ci impiegherà un pochino per arrivare; infatti la sto incentrando sul Classico “Tarzan” e sto scrivendo l’infanzia del protagonista, quella che viene racchiusa nella canzone “Figlio di un uomo per intenderci”, e devo dire che sto trovando qualche difficoltà quindi abbiate pazienza <3
 
 

Prima di lasciarvi vorrei ringraziare con tutto il cuore coloro che leggono o stanno leggendo questa storia, chi l’ha aggiunta in una delle categorie di EFP e soprattutto un enorme ringraziamento va a obvmike e linn86 per aver recensito lo scorso capitolo! Vi adoro <3
 

Alla prossima!
 

Babbo Dark

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Capitolo 12
*** XII - Derek e Theo ***


Note iniziali: ci siamo, ci siamo! Sono lieto di annunciarvi che questo è l’ultimo capitolo della storia, domani pubblicherò l’epilogo! Sono così emozionato!

Finalmente vedremo lo scontro tra Derek e Theo oltre che l’intervento di Stiles.

Non voglio annoiarvi troppo con queste note, perciò vi auguro buona lettura!
 

Babbo Dark
 




 
Little Red Riding Hood and the Cursed Wolf
Capitolo XII – Derek e Theo
 
 

Una lacrima abbandonò gli occhi arrossati di Stiles, carezzandogli le guance sporche di fuliggine e lasciandosi dietro una scia chiara e appiccicosa contro la pelle nera; boccheggiando in cerca d’aria, l’Omega fissò terrorizzato le lingue di fuoco che stavano rapidamente consumando il laboratorio di suo padre mentre un acre fumo nero stava pian piano intossicando i polmoni dei due Stilinski.

Volgendo lo sguardo alla sua sinistra, osservò suo padre tossire rumorosamente fino a farsi venire i conati di vomito; erano entrambi impotenti davanti a quell’odio che li aveva condannati a morte e nonostante il trattamento ricevuto da Theo, il quale lo aveva umiliato oltre ogni immaginazione, Stiles era fermamente convinto che nessuno arrivasse a mettere in pericolo la loro vita. Tuttavia, ora che si trovava a un passo dalla morte, si costrinse a ricredersi; Beacon Hills aveva voltato loro le spalle e Theo aveva firmato la sua condanna a morte.

Singhiozzando, Stiles si accasciò al suolo e scoppiò in lacrime.

Era disperato per suo padre, il quale sarebbe morto per un suo errore.

Era disperato per Derek, il quale sarebbe stato attaccato dal mostro senza una vera ragione.

Era disperato di veder morire gli unici due Alpha che non l’avevano trattato come un oggetto, come un bel corpo da scopare nel momento più opportuno per poi riempirlo di seme.

Stiles si maledisse per la sua testardaggine, per la sua unicità, e una malevola voce nella sua testa continuava a urlargli che se avesse accettato fin da subito di legarsi con Theo, se avrebbe accettato la sua proposta di legame quel lontano giorno, nessuno sarebbe morto; i sensi di colpa lo soffocavano con più facilità del fumo ma poi, all’improvviso e senza che potesse fermarla, la sua mente gli fece rivivere tutto il periodo trascorso insieme a Derek e Stiles, permettendo a un disperato sorriso di tirargli le labbra, chiuse gli occhi per immaginarsi un improbabile futuro in cui, semplicemente, lui e Derek vivessero felici in quel palazzo cupo ma loro.

Lentamente Stiles chiuse gli occhi e si adagiò sul pavimento bollente, piangendo in silenzio, e pregando Dio affinché prendesse la sua vita ma risparmiasse suo padre e Derek perché loro, in quell’inferno di odio e follia, erano gli unici innocenti.

In lontananza udì il padre tossire e i lupi ululare; i crepitii del laboratorio divennero più violenti e l’intera struttura iniziò a tremare sotto la furia del fuoco ma lì, in sottofondo, un ticchettio di ceramica contro il pavimento gl’infastidì l’udito, trovando fuori posto un suono così delicato in mezzo al caos rumoroso che stava violentando le sue orecchie.
 
 
«SIGNORINO!» una voce stava chiamando qualcuno ma Stiles non aveva la forza di aprire gli occhi e rispondere, non voleva tornare a guardare l’inferno infuocato in cui si trovava preferendo, invece, godere dell’immaginario campo di rose dove lui e Derek stavano ballando romanticamente «Signorino! La prego!» la voce si fece più vicina ma Stiles la ignorò ancora, stanco di soffrire e desiderando abbandonarsi all’oblio della morte.

«STILES!» qualcun altro, forse suo padre, stava urlando il suo nome e poco a poco il volto sorridente di Noah apparve in quel prato; Stiles rise quando notò l’imbarazzo sul volto di Derek e l’espressione fintamente irritata del padre, sentendosi finalmente in Paradiso…
 
 
***
 
 
«STILES!» Noah tossì e fissò terrorizzato il corpo inerme del figlio mentre veniva lascivamente carezzato dalle lingue di fuoco, incurante dell’orribile morte che stava per annientarli; l’Alpha si trascinò accanto al ragazzo e fissò terrorizzato la tazzina che, ignorato da tutti, era riuscita a introdursi nel suo laboratorio e stava disperatamente cercando di svegliare il giovane Omega. Piangendo, Noah si buttò sul corpo del figlio e chiuse gli occhi, proteggendolo un’ultima volta dall’odio di quella città e maledicendosi per non averlo ascoltato a suo tempo.

«Signore, presto!» Noah sollevò lo sguardo verso la tazzina che, invece, fissava la sua vecchia ascia abbandonata sotto il tavolo.
 
 
Sgranando gli occhi, e benedicendo il giorno in cui si convinse di perderla, Noah percepì il proprio animo invaso da una nuova energia rinvigorente; all’improvviso il fuoco non era più tanto caldo, il fumo non così soffocante e lì, proprio sotto al tavolo, la speranza aveva preso l’aspetto di un’ascia. Rimettendosi in piedi, l’Alpha si spostò barcollando tra le fiamme e s’inchinò per afferrare l’unico oggetto in grado di salvarli da quella morte certa; sibilando per il dolore quando i palmi si bruciarono a contatto con il legno incandescente, Noah si tirò in piedi e si spostò verso la porta sbarrata, un’espressione furente sul volto e una forza nelle braccia che gli avrebbe permesso di gettare a terra un orso inferocito.

Sollevando l’ascia, l’Alpha chiuse gli occhi e pensò alla sua amata Claudia, chiedendole aiuto in momento così importante, e abbatté la lama contro il legno; un sinistro scricchiolio riecheggiò nell’abitacolo ma Noah non se ne curò, la risollevò l’abbatté nuovamente contro quel dannato pezzo di legno che li stava privando della libertà. Colpo dopo colpo dopo colpo, un piccolo spiraglio si mostrò timidamente e sorridendo euforicamente proseguì con la sua opera, spaccando il legno con tutta la forza che aveva in corpo; fu con un singhiozzo di sollievo che l’uomo accolse la gelida aria della notte e con un ultimo, decisivo colpo la porta si spalancò.

Il fumo si ammassò sopra le loro teste e prese a sparire all’esterno in spirali nuvolose sempre più diluite mentre lui, abbandonando l’ascia a terra, tornava indietro e afferrava malamente il corpo bruciacchiato del figlio; poco a poco quella forza benedetta iniziò ad abbandonare il suo corpo, ritrovandosi steso a terra a qualche metro di distanza dal laboratorio infernale. L’aria fredda gli purificò i polmoni, permettendogli di respirare ampie boccate d’ossigeno, e scoppiò in lacrime quando udì i colpi di tosse del figlio raggiungergli le orecchie; Stiles, infatti, iniziò a tremare visibilmente mentre riossigenava il proprio corpo, permettendo all’aria di donargli la forza necessaria per spalancare le palpebre e fissare confusamente le stelle dipinte sulla volta celeste.
 
 
«Quando… Quando lo… Prenderò…» boccheggiò Noah sedendosi accanto al figlio che, faticosamente, cercava di imitarlo e placare il fiatone che lo attanagliava «Taglierò la… Testa a… Quel… Theo…» disse cercando di calmare il proprio respiro mentre il cuore, poco a poco, frenava la sua corsa.

«Der… Ek…» tossì Stiles rimettendosi rapidamente in piedi per poi cadere rovinosamente al suolo, incurante del dolore e della sua stanchezza «Derek…» ripeté alzandosi nuovamente per poi dirigersi, zoppicando, verso l’albero dove aveva legato Roscoe; Noah annuì e si alzò a sua volta, preparandosi mentalmente per incontrare nuovamente la creatura di cui suoi figlio si era innamorato.
 
 
***
 
 
Donovan osservò shoccato l’orribile spettacolo che si stagliava davanti ai suoi occhi perché mai in tutta la sua vita, neanche negli incubi più terribili, si era mai immaginato una situazione simile; i suoi amici, compari e parenti venivano letteralmente distrutti da quei mobili posseduti. Vide Liam venire messo KO da tre appendiabiti, Isabel gettata a terra da due stracci, Kali ustionata da una teiera e numerose tazzine… Il Beta continua a ruotare su se stesso, la pelle sempre più pallida a causa della paura che gli avvelenava il sangue; un armadio saltò dal piano superiore e il ragazzo fece appena in tempo a sposarsi prima che il mobile si schiantasse al suolo, rischiando di ucciderlo.

Percepì i palmi sanguinargli a causa della caduta ma appena sollevò lo sguardo vide un candelabro dar fuoco agli abiti di Greenberg mentre un orologio armato di sciabola provocava un profondo taglio sul polpaccio di Tara; sollevandosi, e barcollando sul posto, il Beta scappò il più lontano possibile da quel campo di battaglia, entrando dentro le cucine per poi congelarsi sul posto. Lì, a pochi passi da lui, la cucina prese fuoco mentre i cassetti dei vari mobili si aprivano, mostrando tutti i coltelli affilati pronti a dilaniargli le carni; urlando, il ragazzo corse fuori dalla stanza e si diresse a passo spedito verso il portone che avevano sfondato solamente pochi minuti prima ma, a pochi passi da dalla fuga, percepì qualcuno strattonarlo con forza.

Il Beta si ritrovò davanti allo sguardo furioso e disgustato di Theo che gli urlò qualcosa contro prima di scagliarlo violentemente contro il muro, facendolo gemere rumorosamente a causa del dolore percepito; la vista gli si fece sempre più sfocata e Donovan notò, tristemente, come tutti gli inglesi fossero impegnati a ignorare per la prima volta le parole del suo amico per poter fuggire da quel luogo dannato.
 
 
***
 
 
«BASTARDI CODARDI CHE NON SIETE ALTRO!» tuonò Theo osservando i suoi alleati, gli Alpha e Beta più forti e valorosi di tutta Beacon Hills stavano fuggendo a causa di quell’assalto; una parte di lui ammise di non essersi aspettato dei mobili posseduti ma alla fine, scuotendo violentemente il capo e sbuffando sonoramente, Theo caricò il fucile e ignorò gli ultimi rimasugli della battaglia più ridicola che avesse mai visto.
 
 
L’Alpha era furibondo con il mondo intero e nello specifico con la sua città, non avrebbe più trovato la forza di guardare in faccia quegli idioti che si vantavano del loro gene alpha perché lui, LUI, non si sarebbe mai fatto mettere nell’angolo così facilmente e lo disgustava sapere di essere circondato da così tanti codardi; puntando il fucile in alto, sparò un colpo d’avvertimento e fece allontanare tutti i demoni che lo avevano accerchiato visto che non voleva assolutamente perdere tempo, e munizioni, con quei cosi di serie b. Lui puntava al mostro, al premio in oro, e già pregustava la fama e l’onore che la testa di quella creatura gli avrebbe portato ma come se ciò non bastasse a saziare il suo animo guerrafondaio, immaginò prendere il posto del sindaco Deucalion e governare quell’insulsa città di codardi; aveva bei progetti, Theo Raeken, e li avrebbe portati a termine. In un modo o nell’altro.
 
 
***
 
 
Stiles ringraziò nuovamente la neve fresca presente sul sentiero oscuro nel bosco perché solamente grazie alle orme lasciate da quegli stolti poteva raggiungere nuovamente il castello di Derek e intervenire per bloccare Theo una volta per tutte; non sapeva ancora cosa fare nello specifico ma sull’obbiettivo non c’erano dubbi: Mieczyslaw Stilinski avrebbe posto la parola fine al delirio di onnipotenza di Theo Raeken.
 
 
«Stiamo andando nella giusta direzione?» la domanda di Noah, distorta dal respiro pesante e il galoppo di Roscoe, giunse ovattata alle orecchie dell’Omega che impiegò qualche secondo in più per capirla e rispondere con un semplice gesto del capo; lì, davanti a loro, si ergeva il vecchio cartello in legno e le tracce si spostavano sulla destra, la stessa strada che avrebbe condotto gli Stilinski a destinazione.
 
 
***
 
 
«Mi fai vomitare…»

«Ma Theo, io…»

«Silenzio, Donovan! Ti atteggi da Beta eppure tremi come un disgustoso Omega, mi fai pena!»

«Sono spiriti maledetti, amico mio! Nessuno di noi è riuscito a far nulla!»

«NON CHIAMARMI AMICO! SEI LA VERGOGNA DELLA TUA SPECIE, LA MERDA DI BEACON HILLS INSIEME A TUTTI QUEI BASTARDI FIGLI DI PUTTANA CHE SONO FUGGITI NON APPENA HANNO ANNUSATO IL PERICOLO!»

«Theo…»

«SPARISCI, FECCIA! MI OCCUPERÒ DA SOLO DEL MOSTRO…»
 
 
Il boato provocato da una porta che impattava contro la parete riecheggiò nel corridoio vuoto ma Theo lo ignorò bellamente, troppo impegnato a puntare il fucile e ripensare alla discussione avvenuta pochi istanti prima con quello che, fino a poche ore prima, considerava il suo migliore amico; l’Alpha, infatti, era indeciso riguardo la via da intraprendere per scovare il mostro prima che questi decidesse di tendergli un agguato o, nella peggiore delle ipotesi, fuggire ed esattamente in quell’istante Donovan gli si avvicinò.

L’odore di paura nel Beta lo intossicò, nauseandolo come non mai, e Theo si congratulò con se stesso quando lo scaraventò giù per le scale con un calcio ben assestato; la sua natura di Alpha lo spinse a prendere le scale sulla sinistra e ben presto il ragazzo venne accolto da un lungo corridoio vuoto e mal arredato, dove gli unici oggetti degni di nota erano le numerose porte e i pochi arazzi malamente appesi alla parete.

Uno alla volta gli usci furono spalancati ma la furia di Theo continuava ad aumentare man mano che ad accoglierlo non trovava nessuno, né mobili posseduti e né la sua preda; il ragazzo avrebbe voluto urlare per la frustrazione e tornare immediatamente indietro per ispezionare il palazzo da cima a fondo ma poi, all’improvviso, un sospiro appesantito dalla tristezza raggiunse le sue orecchie e Theo si ritrovò a sorridere perfidamente mentre si avvicinava a due grandi porte perfettamente lucidate.

Cercando di essere il più silenzioso possibile, entrò nella camera patronale e sollevò scetticamente un sopracciglio quando notò lo strano ordine che primeggiava ovunque; il letto era rifatto, adornato con coperte e lenzuoli tendenti al viola, e sui muri erano stati appesi alcuni macabri quadri ritraenti demoni e dannati impegnati in qualche assurda danza. Ma poi, attirato dalla flebile luce rosa, poté osservare l’enorme figura della creatura seduta malamente su una sedia malconcia che faticava a sopportarne il peso; un ghigno maligno gli tirò le labbra e lentamente le dita si mossero sul suo fucile, preparandosi all’imminente colpo che avrebbe ferito quel mostro.

Derek, però, si voltò lentamente verso l’Alpha e lo fissò per qualche secondo, un sopracciglio peloso sollevato in una muta domanda nel notare il fucile puntato contro di lui, ma poi sospirò rumorosamente e tornò a guardare l’ennesimo petalo di rosa che si staccava e volteggiava pigramente verso il tavolo; non gl’importava di morire, non più ormai, e nell’attesa che la morte lo raggiungesse supplicò il perdono di tutti gli uomini e le donne, gli Alpha, Beta e Omega che per anni lo avevano servito e riverito perché lui, con il suo cuore avvolto dalle tenebre, li aveva condannati a un’esistenza priva di umanità. Aveva allontanato Stiles, l’unico Omega che era stato capace di farlo innamorare, e mentre sentiva l’Alpha dietro di sé prepararsi a colpirlo sperò che il ragazzo fosse riuscito nella sua impresa.

Il boato prodotto dal fucile riecheggiò per tutta l’ala ovest, accompagnando perfettamente il ruggito di dolore che fuggì dalla gola della creatura mentre Theo, perso nella sua follia, ridacchiava deliziato ed eccitato di fronte all’Alpha sofferente; quel suono, però, non soddisfò la sua natura sadica che preferì arretrare di qualche passo e scagliarsi con tutta la forza che aveva contro il corpo muscoloso di Derek, sbalzandolo all’esterno della finestra e facendolo atterrare pesantemente sulle tegole fracide di pioggia.
 
 
«Avanti, mostro…» sussurrò malignamente l’Alpha mentre riprendeva in mano il fucile, pregustandosi lo scontro contro quella creatura che lo disgustava, eccitandosi come non mai nell’immaginarsi intento a decapitarlo con il suo fidato coltello; Derek, però, sollevò pesantemente la testa e sospirò rumorosamente prima di tornare a fissare la rosa, attendendo paziente che quell’ultimo, dannatissimo petalo si staccasse e sancisse l’eternità di quella maledizione «Che c’è? Sei troppo buono, forse?» lo derise Theo percependo la furia offuscargli la vista a causa della mancata reazione della sua preda «Non deve andare così, bestia! Tu dovrai lottare! Io ti ucciderò!» tuonò l’Alpha mentre si preparava per colpire nuovamente Derek con un sonoro calcio nello stomaco; la creatura, infatti, sbuffò sonoramente quando incassò il colpo, percependo distintamente il sapore del sangue e della bile, ma non se ne curò molto e attese «BASTARDO INFAME FIGLIO DI UN CANE!» la furia, alla fine, esplose.
 
 
Theo afferrò saldamente il suo fucile ma non lo caricò, anzi, lo afferrò per le canne e lo sollevò di scatto prima di farlo calare contro il fianco esposto di Derek, facendolo ringhiare quando percepì le proprie costole incrinarsi; il colpo però, unito alle tegole umide di pioggia, fece precipitare la creatura lungo il tetto spiovente e fu solo grazie alla presenza di un garegoyle che la caduta fu arrestata, mozzando il respiro di Derek e facendolo mugolare di dolore.

La risata di Theo riecheggiò malignamente attorno a loro e l’Alpha, incurante della pioggia che lo inzuppava da capo a piedi, scivolò con grazia lungo le tegole per poi avvicinarsi a Derek, che lo osservò impotente; non riusciva ad alzarsi, non voleva, e sospirò quando il ragazzo caricò una nuova cartuccia e si preparò a ucciderlo, una volta per tutte, ma proprio quando Theo portò l’indice contro il grilletto qualcosa accadde…

Una voce disperata riecheggiò nell’aria, entrando nelle orecchie di Derek e scaldandogli il cuore; d’un tratto tutto gli sembrò più facile, semplice nella difficoltà, e la creatura spalancò gli occhi mentre l’ossigeno tornava a circolare liberamente nei suoi polmoni perché lui era tornato.
 
 
«DEREK!» la voce di Stiles bloccò Theo, il quale si ritrovò a sollevare lo sguardo e puntarlo contro l’Omega intento a scendere da cavallo insieme al padre «THEO, BASTARDO DI UN ALPHA! FERMATI SUBITO!» urlò il ragazzo mentre correva nel castello, ignorando i vari ‘Signorino!’ urlati dalla servitù, per poi correre verso l’ala ovest.

«Omega maledetto…» borbottò Theo con tono sprezzante prima di spalancare gli occhi udendo il sinistro suono del suo fucile che si piegava verso l’alto; spostando lo sguardo e spalancando la bocca, Theo Reaken ebbe paura perché lì, davanti a lui e tremante di furia, si trovava la creatura più spaventosa che avesse mai visto.
 
 
Derek, infatti, sfruttando la distrazione provocata da Stiles e la gioia percepita nel risentire la sua voce, si era alzato sulle sue possenti zampe e aveva afferrato saldamente il fucile, piegando le canne verso l’alto e ghignando davanti all’espressione terrorizzata messa su dall’Alpha; ruggendo con tutto il fiato che aveva in corpo, disarmò il suo avversario e scagliò il fucile il più lontano possibile da loro per poi gioire della patetica fuga attuata dal suo sfidante che, incurante dell’acqua e del suo orgoglio, era rapidamente salito sulle tegole. Un nuovo ruggito riecheggiò nell’aria proprio mentre Theo atterrava su un balcone poco distante ma, quando si voltò indietro, urlò di paura nell’osservare Derek saltargli addosso; la creatura, per la prima volta da quando aveva conosciuto Stiles, maledisse l’assenza dei suoi artigli, con i quali avrebbe facilmente ucciso quell’Alpha insolente, ma appena il suo pugnò colpì il naso di Theo si ritenne piacevolmente soddisfatto.
 
 
«Credi che preferirebbe te?!» urlò l’Alpha mentre tentava di tamponarsi il naso rosso e sanguinante «Quando potrebbe avere me?!» disse furibondo per poi spalancare gli occhi quando Derek, ruggendo furibondo, illuminò le iridi di rosso e si scagliò contro di lui.
 
 
I due Alpha ruzzolarono lungo il balcone per poi cadere nuovamente sul tetto a causa di un gargoyle che non riuscì a reggere il loro peso; Theo, riuscendo a staccarsi momentaneamente dalla creatura, afferrò saldamente il primo oggetto contundente che trovò e colpì con forza la testa di Derek, stordendolo momentaneamente. Sfruttando l’occasione, si buttò nuovamente contro la creatura nel disperato tentativo di farlo cadere di sotto ma poi, nuovamente, la voce di Stiles riecheggiò sulle loro teste e Theo fece il terribile errore di voltarsi per sincerarsi che l’Omega stesse guardando la dipartita del suo mostro; quello fu l’ultimo errore per Theo, visto che Derek sfruttò quella situazione a suo vantaggio per portare la sua possente zampa contro il collo dell’Alpha, stringendo la presa e sollevandosi da terra mentre il mostro, ansante, scalpitava nella presa e boccheggiava violentemente.

Il viso di Theo divenne pian piano viola e Derek si ritrovò a gioire per quella sensazione, voleva far sparire dalla faccia della terra quell’essere ripugnante e non gl’importava più nulla se non il suo compito; il dolore s’irradiava per tutto il corpo ma Derek lo ignorò, concentrando tutte le sue forze per eliminare la minaccia. E in quel momento, per la terza volta in poco tempo, la voce di Stiles cambiò nuovamente le sorti della nottata; l’Omega, infatti, aveva scavalcato la finestra ed era scivolato lungo il tetto prima di saltare malamente sul piccolo balcone che aveva visto Derek e Theo lottare.
 
 

«DEREK!» la creatura voltò lo sguardo e fissò attentamente gli occhi del suo Omega, quel delicato caramello che aveva catturato il suo cuore, e irrigidì la mascella quando notò le condizioni in cui il ragazzo si trovava; Stiles, infatti, si era procurato non pochi tagli a causa delle sue acrobazie ma ciò che maggiormente catturò l’attenzione di Derek fu la fuliggine che sporcava il suo volto e la paura che costringeva quel corpo meraviglioso a tremare violentemente «Tu non sei come lui, Derek…» sussurrò Stiles, incapace di distogliere lo sguardo dai due «Tu non sei un mostro, io lo so! Questo tuo aspetto, questo tuo muro che ti sei costruito attorno, non celano il male che tutti vedono!» Derek percepì gli occhi lucidi e poco a poco il torace venne scosso dai singhiozzi sempre più forti, aumentando a dismisura la crepa che quelle parole avevano provocato contro il forte posto a protezione della sua anima; Stiles lo vedeva, lo vedeva davvero, e a Derek questo bastava per essere felice… «Non abbassarti al suo livello, ti prego…, non essere un mostro come quello che tieni stretto tra le zampe.» il ragazzo sorrise e allungò una mano verso l’Alpha, incurante di poter cadere da un momento all’altro, percependo la gioia inondargli l’animo quando la pesante coda della creatura prese a oscillare a destra e sinistra.

«Stiles…» sussurrò Derek per poi voltarsi di scatto verso Theo, il quale si era arreso da tempo nei suoi tentativi di fuga «Vattene.» ringhiò la creatura sbattendo violentemente l’Alpha contro il tetto, il quale prese a tossire rumorosamente mentre riprendeva a respirare normalmente «Vattene e non tornare mai più.» ordinò facendo tornare le iridi al solito verde che aveva incantato il suo Compagno e non appena terminò di finire la frase, Derek percepì tutta la rabbia e la frustrazione sparire dalla sua anima, lavate via insieme alla pioggia battente.
 
 
Derek uggiolò e scodinzolò mentre si arrampicava sopra le tegole, incurante di tutto ciò che gli capitava attorno, perfino della sua preziosissima rosa, perché tutto il suo mondo era racchiuso in quel piccolo Omega che si era presentato nel suo castello e aveva stretto un folle patto con lui; issandosi sulle zampe posteriori, e legando il suo sguardo con quello di Stiles, Derek capì che non gl’importava più nulla se Stiles era al suo fianco, amandolo come non era mai accaduto.
 
 
«Stiles, io…» quella frase, però, non vide mai la fine. 
 

Un ruggito riecheggiò nell’aria, subito seguito dalla risata malvagia di Theo; l’Alpha, infatti, aveva estratto il suo pugnale e, sfruttando la distrazione causata dai due innamorati, si era arrampicato sul tetto prima di conficcare la lama nella schiena di Derek, gioendo del rumore provocato dalle costole rotte. Theo estrasse il coltello e lo sollevò di slancio ma proprio in quel momento Derek si mosse, assestandogli una gomitata nello stomaco che gli mozzò il respiro e Stiles, furibondo, si avvicinò al proprio Alpha e caricò un gancio destro che colpì con forza il naso rotto di Theo; destabilizzato e privo di un vero appiglio, il ragazzo urlò terrorizzato mentre ricadeva all’indietro per poi sgranare gli occhi quando un dolore lancinante e mai provato prima gli trapassò il petto, lacerandogli i tessuti e permettendo al sangue d’inondargli i polmoni.

Abbassando appena lo sguardo, Theo osservò una delle code dei gargoyle trapassargli il corpo da parte a parte ma poi, all’improvviso, tutta la struttura tremò e il ragazzo gorgogliò un urlo mentre cadeva nel vuoto.
 
 

Note finali: che ne pensate? Piaciuto lo scontro finale tra i due?

Mi piace il modo in cui ho descritto la dipartita di Theo, lui che ambiva a grandi imprese è morto come un coglione e senza nessun tipo di gloria; quando stavo scrivendo il capitolo mi è venuto in mente un ragionamento sul personaggio che ho creato e alla fine ho deciso di modificarlo appena, dandogli delle manie di grandezza e desiderio di comando. Lo so, è molto differente dal Gaston del Classico ma questo Theo vuole la fama e l’onore, vuole essere sempre visto come il migliore in tutto e quindi mi è sembrato logico che ambisse non solo a diventare famoso per aver ucciso la bestia ma anche per essere il sindaco di Beacon Hills.

La scena della fuga è quella che mi ha fatto penare di più, lo ammetto; nel Classico questa parte è geniale: Chicco sfrutta la macchina taglialegna di Morisse per sfondare la porta, unendo così l’ingegno e la forza bruta (come nel mito di “Amore e Psiche”) ma mentre la stavo scrivendo sono iniziati a venirmi i primi dubbi sul come ciò potrebbe avvenire. Chicco è una tazzina, quindi è molto piccolo, non ha né braccia né una forza necessaria per accendere la macchina visto che, come ci hanno mostrato, bisognava mettere dei ciocchi di legno nella caldaia e dargli fuoco; sarò sincero e affermo senza timore alcuno che ogni versione di questo paragrafo mi faceva schifo! Sembrava tutto troppo forzato e non mi andava assolutamente di eliminare questa parte dalla storia, anche perché mostra tutta la ferocia e la cattiveria della popolazione contro il diverso, ma poi sono stato colto da un’epifania e così ho traslato l’importanza e il senso della macchina su Noah; Scott è solamente colui che fa notare al nostro Alpha l’ascia ma non poteva andare diversamente.

Derek si rifiuta di combattere, è vero, e inizia a scontrarsi con Theo solamente quando arriva Stiles; io credo che la Bestia, preso dal momento di sconforto, sia caduto in una sorta di depressione e si sia lasciato maltrattare in quel modo a causa della disperazione che provava. Insomma, è riuscito a mettere in fuga un branco di lupi e non ce l’avrebbe fatta contro un coglione come Gaston?

Non credo di aver altro da dire e attendo con ansia le vostre opinioni, se vorrete offrirmele naturalmente.
 

Ringrazio infinitamente tutti coloro che hanno letto o stanno leggendo la storia, quelle splendide persone che l’hanno aggiunta in una delle categorie di EFP e soprattutto vorrei ringraziare obvmike, linn 86 e Fata_Morgana 78 per aver recensito lo scorso capitolo; inoltre ringrazio la dolcissima Opalus per aver recensito i primi due capitoli e nuovamente Fata_Morgana 78 per aver recensito il capitolo decimo. Siete fantastiche <3
 

Devo ringraziare nuovamente Opalus per aver recensito la mia OS “Posso avere un biscotto?”, grazie cara ti adoro <3
 

Risponderò a tutti, promesso!
 

Alla prossima!
 

Babbo Dark

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Capitolo 13
*** XIII - L'ultimo petalo ***


 
Little Red Riding Hood and the Cursed Wolf
Capitolo XIII – L’ultimo petalo
 
 
 

Nulla.

Tutto ciò che Stiles riusciva a percepire nella propria mente era il nulla più totale, nessun pensiero o ricordo riusciva ad aiutarlo in quell’incubo che stava vivendo, portandolo a compiere meccanicamente gesti e movimenti senza ragionarci sopra; sentiva i muscoli infiammati, il dorso della mano destra gli doleva e nel petto, al posto del cuore, si era aperta una voragine che assorbiva ogni cosa. Un buco nero nato nella disperazione lo stava privando di ogni gioia, riducendolo man mano che passava il tempo a un ammasso di dolore e tristezza.

Gli occhi castani sondarono attentamente il muso peloso della creatura, costringendolo a deglutire un fastidioso nodo alla gola quando notò un rivolo di sangue e saliva colare pigramente dalle fauci socchiuse dell’Alpha; lentamente, nel disperato tentativo di non peggiorare la situazione, Stiles afferrò meglio Derek per le spalle e iniziò a tirarlo verso il balcone, costringendosi a ignorare i gemiti di dolore e i colpi di tosse che continuavano a mozzare il fiato della creatura.

Gemendo, e sfruttando le ultime forze rimaste, Derek sollevò le pesanti zampe e si diede una spinta prima di cadere pesantemente contro il pavimento allagato del balcone; il sangue si mescolò all’acqua, tingendola di un cupo cremisi che iniziò ad allargarsi poco a poco, avvolgendo nelle sue spire tutto il massiccio corpo della creatura. Un singhiozzo sconquassò il petto dell’Alpha, portandolo a tossire e vomitare altro sangue mentre la vita, poco a poco, abbandonava quel corpo maledetto e si disperdeva nella gelida aria dicembrina; un tonfo raggiunse le orecchie di Derek che, sollevando le palpebre, fissò attentamente una figura sfocata e singhiozzante, intenta a toccarlo e premere con forza contro la ferita che lo stava uccidendo.

Ci volle tempo prima di riuscire a focalizzare il volto di Stiles; la pelle pallida, resa ancor più chiara dal freddo e dalla disperazione, metteva in risalto i numerosi nei che la adornavano ma poi, come falena attratta da fuoco, le iridi verdi di Derek si legarono a quelle castane dell’Omega, leggendovi all’interno tutto il dolore provato dal ragazzo in quel momento. ‘Quanto ho desiderato svegliarmi e vedere queste due gemme rare…’ pensò distrattamente Derek, ansimando e permettendo a un nuovo colpo di tosse di mozzargli il fiato; percepiva il sangue riempirgli i polmoni, soffocandolo poco a poco, ma non se ne curò. ‘In vita ero un mostro e ora, in prossimità della morte, sono più umano che mai…’.

La forza lo stava abbandonando di secondo in secondo e non ci volle molto prima che la folta coda rimanesse bloccata contro il pavimento, troppo pesante per poterla oscillare distrattamente o per carezzare con dolcezza quel volto troppo pallido ma amato più del Sole; ‘Mai avrei pensato di poter amare…’ il singhiozzo di Stiles si perse nell’aria e Derek, gemendo di dolore e sfruttando tutte le forze rimastogli, sollevò stancamente il braccio sinistro e avvicinò la zampa al volto dell’amato, carezzandolo per l’ultima volta quella distesa di pelle morbida e profumata. Lentamente, le mani di Stiles si staccarono dalla ferita mortale e l’Omega singhiozzò rumorosamente quando notò il liquido scarlatto insozzarle; Derek stava morendo e la colpa era solamente sua… Se solo fosse riuscito a farsi ascoltare dalla folla, se fosse riuscito ad uscire prima da quell’inferno di fiamme, se fosse riuscito ad avvertire Derek…

Dolcemente, il ragazzo portò le mani tremanti ad avvolgere le possenti zampe sempre più fredde; le dita si ancorarono alla folta pelliccia mentre Stiles, chiudendo appena gli occhi, avvicinava il volto a quella dolce carezza nel disperato tentativo di godersi ogni singolo secondo, ben conscio che sarebbe stata l’ultima.
 
 

«S… Sei t… Tornato…» sussurrò Derek mentre posava il capo contro il pavimento, troppo debole per poterlo tenere sollevato; Stiles singhiozzò e annuì, mordendosi le labbra a sangue e percependo le lacrime inondargli il volto. ‘Stiles…’, ‘Padrone!’, ‘Oh, Signorino…’ nessuno udì quelle voci, il dolore li aveva resi sordi e la disperazione ciechi eppure, nonostante tutto, Stiles e Derek erano insieme finalmente. Uniti nella morte come non lo erano stati in vita. La rosa dietro di loro brillò appena ma venne perfettamente ignorata dai due innamorati, troppo presi dal loro addio per poter far caso alla luce rosata sprigionata dal fiore incantato.

«Non… Non potevo lasciarti…» sussurrò Stiles mentre strusciava il volto contro quel palmo troppo grande e ruvido, bagnato di sangue e lacrime ma che, nonostante tutto, riusciva a donargli un calore mai provato prima «Non… Potevo…» Stiles singhiozzò e strinse la presa, percependo la propria anima dilaniarsi per il dolore «È… È tutta col… Pa… Mia…» Derek addolcì lo sguardo e combatté contro le proprie palpebre, sentendole sempre più pesanti man mano che i secondi scorrevano e lui veniva abbracciato dalla morte «Derek… Io…» sussurrò.

«Sh…» rispose Derek mentre singhiozzava a sua volta, percependo il sangue uscirgli dalle fauci socchiuse e colargli lungo la mascella in una linea scarlatta che si perdeva nel nero della sua pelliccia «Almeno sono riuscito a vederti un’ultima volta…» Stiles chiuse gli occhi e singhiozzò, permettendo alle nuove lacrime di unirsi alle vecchie in un diluvio disperato che percorreva pigramente il suo volto, bagnando il palmo della zampa e cadendo contro il maglione fradicio «Oh… Piccolo…» disse dolcemente Derek «Perfino il trapasso è più dolce con te accanto…» uggiolò percependo le lacrime offuscargli la vista e alla fine, nonostante tutto, Derek si arrese e le palpebre si chiusero.
 
 

Con un sospiro gorgogliante, la vita abbandonò definitivamente il suo corpo.
Stiles spalancò gli occhi e allentò appena la presa sulla zampa che, mollente e priva di vita, ricadde pesantemente a terra.

E lì, davanti a tutti e incurante di nulla, Stiles urlò; l’aria fu lacerata da quel grido inumano e tutti coloro che udirono quel suono disperato percepirono il proprio cuore creparsi.

Vita e Morte s’inchinarono, rispettose di quel sordo dolore; gli alberi persero la loro bellezza, le stelle si offuscarono… E la Luna, piccola spettatrice silenziosa, volse il capo da tutt’altra parte mentre quel piccolo Omega cadeva pesantemente sul corpo senza vita dell’Alpha amato, urlando e sbraitando il proprio dolore mentre le lacrime si perdevano nel nulla e l’anima, ormai, spariva all’interno di quel buco nero che aveva presto il posto del suo cuore.
 
 

«Io ti amo!» urlò Stiles e poi, come un tuono che rompe la quiete, il silenzio cadde pesantemente su di loro.
 
 

Se io rimango, lo lascerà andare?’
‘Lei? Lei… Lei rimarrebbe qui?’
‘Sì. Rimarrò qui.’
‘In questo caso non dovrà mai più abbandonare il castello, sono stato chiaro?!’
‘Venga… Venga nella luce…’
 

‘Ha la mia parola…’
 

Chi è?’
‘Venga fuori a cenare.’
 

Potrebbe gentilmente unirsi a me per cena.’
‘No.’
 

‘Signorino, verrebbe a cena con me.’
‘È sordo?! Ho detto di no! Enne.O.! NO!’
 

È inutile… Per quanto possa impegnarmi lui vedrà sempre… Un mostro…’
 

VADA VIA!’
‘Mi dispiace…’
‘VADA. VIA!’
 

‘Cos’ho fatto…’
 

Almeno tu… Sei salvo…’
 

MA FA MALE’
Magari se stesse fermo farebbe meno male!’
‘Magari se si fosse fatto gli affari propri io non mi ritroverei in queste condizioni!’
‘Coso spelacchiato che non sei altro! IO sono scappato perché TU hai dato di matto! Se ti fossi comportato civilmente e mi avresti sbattuto fuori dalla porta con grazia invece che sfasciare la tua stanza tutto questo non sarebbe successo!’
 

Derek… Grazie per… Per avermi salvato…’
‘Dovere, Miec…’
‘Chiamami Stiles.’
‘Dovere, Stiles…’
 

Voglio fare qualche cosa per lui…’
 

‘Chiudi gli occhi, Stiles… È una sorpresa, lo sai…’
 

‘Non ho mai visto tanti libri in vita mia!’
‘Ti… Piace?’
‘Se mi piace?! La adoro! Grazie, Derek, davvero grazie mille!’
È tua…’
‘Derek, è meravigliosa!’
‘Questa sera, se vuoi, ti va di venire a cena? Con… Me?’
‘Facciamo alle venti?’
 

‘Sei bellissimo…’
‘Anche tu…’
‘Posso baciarti, Stiles?’

 
‘Va da lui…’
‘Che cosa? E il mio patto?’
‘Hai onorato il tuo debito… Non sei più mio prigioniero, sei libero…’

 
‘Tienilo… Così potrai sempre guardare indietro e ricordarti di me…’

 
‘L’ho lasciato andare…’
‘Perché?!’
‘Perché io… Lo amo…’
 
 
 
***
 
 


«Padrone…» Alan singhiozzò e si coprì il quadrante con le mani legnose, percependo i propri ingranaggi cigolare sinistramente; al suo fianco, Peter aveva spento ogni fiamma e teneva la testa bassa, singhiozzando di tanto in tanto. Melissa si era avvicinata ai suoi figli, piangendo disperatamente e tentando con tutta se stessa di poter abbracciare le due tazzine che aveva messo al mondo.
 

In tutto il castello calò la disperazione.

Il loro padrone era morto e loro, umili servi, non riuscivano ad arginare quel dolore che li stava soffocando; gli appendiabiti si abbracciavano, singhiozzando, i piumini cercavano di farsi forza a vicenda. Chris versava lacrime su lacrime contro i propri fornelli, Lydia urlava e poi, il quell’oceano di singhiozzi, un ululato s’intromise prepotentemente; lì, proprio davanti al cancello, il branco di lupi si era radunato e si era unito al doloroso coro.

Quei lamenti strazianti, quella disperazione, avvolsero l’animo di Noah costringendolo e sedersi pesantemente al suolo mentre le lacrime continuavano a bagnargli il volto; sentiva i singhiozzi del suo bambino, quell’urlo di dolore che ancora riecheggiava nella sua mente, e lentamente l’Alpha spostò lo sguardo su quella strana rosa morente, osservando l’ultimo petalo staccarsi e posarsi pigramente contro la superficie del tavolo. Un sospiro abbandonò le labbra dell’uomo prima che questi si pulisse le lacrime con una mano, subendo quel dolore riecheggiargli nell’anima.

Ma poi, improvvisamente, l’aria s’incupì e le nuvole si addensarono sulle loro teste. L’atmosfera si caricò di energia, scariche elettriche sembravano pronte ad abbattersi su tutti loro mentre il silenzio si faceva più opprimente, schiacciandoli e isolandoli come il più spesso dei muri; d’un tratto, però, qualcosa sfrecciò nel cielo plumbeo.

Scie rosate iniziarono a colpire il castello, illuminandolo con quegli strani aloni che iniziarono a ridisegnarne i contorni e a giocare con le ombre, relegandole nelle loro tane e bandendole da quel maniero che aveva testimoniato la nascita di un amore tanto puro quanto potente; una nuova scia cadde pesantemente al corpo senza vita della creatura e poi, uno dopo l’altro, piccoli globi si ammassarono sul pavimento bagnato del balcone.

Stiles si sollevò pigramente dal corpo dell’amato e fissò confuso quelle sfere ma nel giro di qualche istante una strana luce, tanto accecante e calda da eliminare il freddo che saturava l’aria attorno a loro, avvolse quel corpo mostruoso che gli aveva rapito il cuore; il ragazzo saltò in piedi all’istante e spalancò la bocca quando notò Derek sollevarsi pigramente e galleggiare a mezz’aria mentre, lentamente, iniziava a ruotare su se stesso. E lì, sotto gli occhi di tutti, una voce di donna riecheggiò nell’aria; la dolcezza di quelle parole sembrò balsamo per le ferite, risanando gli animi e trasformando la disperazione in speranza.
 

‘Ve ne prego, offrite a una povera vecchia un riparo dal freddo e dal gelo! Tenete, offro questa rosa in cambio!’
 

Le zampe posteriori di Derek tremarono violentemente e furono scosse da forti tremiti ma poi, rapidamente come erano comparsi, sparirono nel nulla; la luce, se possibile, s’intensificò maggiormente mentre quell’arto mostruoso mutava, accorciandosi e delineandosi, il folto pelo nero che spariva nel nulla e poi, alla fine, un raggio di luce si sprigionò dai piedi di Derek, illuminando a giorno il castello.
 
 

‘Non permetterei mai a una vecchia dal misero aspetto di entrare nel mio splendido castello! Sparisci e porta con te questa stupida rosa, non ti permetterei di rimanere neanche se mi offrissi tutto l’oro del mondo!’
 
 

La coda oscillò a destra e sinistra, dapprima lentamente e poi sempre più violentemente, e poco a poco iniziò a contorcersi e a illuminarsi mentre spariva nel nulla, lasciandosi dietro solamente il ricordo di sé.
 
 

‘Mio buon principe, devo ricordarle che la vera bellezza si nasconde nel cuore?’
 
 

Le zampe superiori si sollevarono di scatto e si spalancarono, facendo assomigliare Derek a un crocifisso, ma poi le ossa mutarono e si accorciarono mentre la luce si faceva sempre più accecante, più calda, creando negli animi degli uomini una sensazione di pace e armonia disperatamente ricercata ma mai trovata; le grandi zampe scattarono un’ultima volta prima di trasformarsi in eleganti braccia, adornate da una muscolatura ben definita e una leggera peluria che inscuriva gli avambracci e lì, dove fino a pochi istanti prima si trovavano le zampe della creatura, si palesarono due grandi mani delicate. E poi un fascio di luce si sprigionò da quegli arti, rischiarando il cielo e riscaldando l’aria.
 
 

‘NON M’INTERESSA! VA FUORI DAL MIO CASTELLO, VECCHIA! O NON RISPONDERÒ DELLE MIE AZIONI!’
 
 

La luce avvolte l’enorme testa lupina di Derek; il muso si sollevò le fauci si spalancarono mentre un possente, roboante ruggito riecheggiò nell’aria e nei petti dei presenti. Le corna si dissolsero nel nulla, il muso mutò e le orecchie parvero rientrare nella testa mentre la peluria spariva per lasciare spazio al volto di un bellissimo, giovane uomo la cui espressione beata sembrava del tutto in contrasto con la solita aria corrucciata che aveva caratterizzato la creatura per tutto quel tempo.
 

 
‘Se riuscirai ad amare, e a essere amato a tua volta, prima che l’ultimo petalo cadrà allora l’incantesimo si spezzerà; altrimenti, rimarrai un mostro per sempre…’
 
 

Lentamente, il corpo di Derek si abbassò e con una delicatezza sovrannaturale venne posato al suolo, permettendo agli abiti di cadere mollemente sul suo corpo immobile; Stiles, che aveva osservato quel processo nell’assoluta immobilità, chiuse la bocca e deglutì sonoramente per scacciare quella fastidiosa secchezza che gli attanagliava la bocca e poi, sospirando rumorosamente, mosse un passo verso quel ragazzo.

Un colpo di tosse lo fece sobbalzare e bloccare sul posto mentre Derek, grugnendo rumorosamente, iniziò a muoversi lentamente; una mano scura venne posata al suolo e poi, poco a poco, si sollevò da terrà e barcollò un poco sulle proprie gambe. Stiles fissò attentamente quella schiena muscolosa e coperta dalla camicia ormai rotta, studiando il modo in cui quel ragazzo si osservava le mani per poi tastarsi leggermente e goffamente la faccia prima di voltarsi di scatto verso l’Omega.

Lì, davanti a lui, si trovava il ragazzo più bello che avesse mai visto…

Capelli scuri e disordinati, folte sopracciglia a sormontare quelli che, secondo Stiles, potevano essere definiti come gli smeraldi più rari di tutti… Il verde dell’iride sembrava essere attraversato da piccoli filamenti d’oro che ne impreziosivano lo sguardo; e poi, scendendo in basso, Stiles notò una folta barba che proteggeva una mandibola spigolosa e affilata, oltre ad avvolgere le labbra appena screpolate.
 
 

«Stiles…» sussurrò Derek allungando una mano in direzione del ragazzo mentre un debole sorriso gli tirava le labbra «Sono io…» l’Omega sbatté un paio di volte le palpebre e scosse appena il capo prima di singhiozzare rumorosamente, sconvolto da ciò che i suoi occhi avevano appena visto.

«Sei tu…» sussurrò in risposta per poi saltare tra le braccia pronte di Derek, stringendogli la camicia sbrindellata e annusando profondamente il suo odore, permettendo a nuove lacrime di bagnargli il volto «O Dio, sei tu!» ripeté tra i singhiozzi, percependo quella voragine al centro del petto richiudersi lacrima dopo lacrima; quel buco nero di disperazione sparì e Stiles percepì il proprio animo risanarsi mentre veniva abbracciato dall’Alpha. Il cuore riprese a battere, l’aria a riempirgli i polmoni. Stiles in quell’abbraccio riprese a vivere…
 
 

Sollevandogli appena il volto, Derek sorrise davanti allo sguardo innamorato che Stiles gli riservò e alla fine, lentamente, appoggiò le sue labbra su quelle dell’Omega, esaudendo il suo desiderio; le palpebre calarono sulle iridi castane mentre una nuova energia prese a scorrergli nelle vene, percependo la morbida consistenza di quei cuscinetti contro le proprie labbra e quando le loro lingue entrarono in contatto, in una danza erotica solamente loro, entrambi percepirono una scarica elettrica percorrergli delicatamente la pelle.

Attorno a loro l’aria tremò, sviluppando un vento che di naturale non aveva nulla, e poco dopo un rombo riecheggiò nel cielo; una pioggia rosata cadde copiosamente sul castello, spazzando via il mostruoso aspetto e donandogli nuovamente vita. I gargoyle divennero angeli, i minotauri si trasformarono in sirene, i demoni in fanciulle dalla bellezza evanescente… I quadri tornarono al loro aspetto sereno, la polvere sparì e ogni crepa, muro sfondato e finestra rotta tornarono al loro originale splendore mentre il giardino tornava finalmente a vivere; il pesante cancello in metallo si colorò di nero, cancellando la ruggine che lo stava divorando, e ben presto la tetra magione che aveva assistito alla morte del suo padrone riprese vita.

In tutto il castello gli oggetti tornavano al loro aspetto umano; nell’ala sud, due bellissime ragazze presero il posto degli spolverini. In cucina, un nuovo sulla quarantina con una corta barba brizzolata e due occhi azzurri come il ghiaccio prese il posto della gigantesca cucina in metallo. Nella camera da letto di Stiles, un’avvenente ragazza con lunghi capelli rosso fragola e due occhi verdi si sostituì all’ampio armadio.
 
 

«PADRONE!» l’urlo di Peter fece staccare, controvoglia, i due innamorati che i voltarono verso il candelabro mentre una luce rosata iniziava ad avvolgerlo e lì, sotto i loro occhi, un bellissimo uomo prese il posto dell’oggetto.

«PETER!» urlò Derek abbracciando il servo, che lo strinse a sua volta; a pochi passi di distanza, l’orologio venne sostituito da un uomo calvo con barba e pizzetto che sorrise dolcemente alla volta di Stiles «ALAN!» disse l’Alpha stringendo il neo trasformato che ricambiò dolcemente la poderosa stretta del suo padre.

«Padrone, Padrone!» un fascio di luce avvolse le due tazzine, trasformandole in due ragazzi «Scott, fratello!» il ragazzo più alto, con dei riccioli biondi e due occhi azzurri, abbracciò l’altro, un moro con la mascella storta e gli occhi neri «Mamma!» urlarono in coro i due mentre la teiera si trasformava in una splendida donna dai lunghi capelli ricci e gli occhi neri.

«Oh, bambini miei…» sussurrò questa, baciando la fronte dei suoi figli e stringendoli in un abbraccio materno; poco dopo, facendo attenzione a non cadere, anche Noah raggiunse il gruppo e li guardò meravigliato, non credendo ai propri occhi.

«Papà!» urlò Stiles prima di abbracciare il genitore che sorrise e ricambiò la stretta prima di folgorare un fin troppo sorridente Derek.

«Signor Stilinski, è un onore.» sussurrò l’Alpha inchinandosi appena nella sua direzione «Le chiedo ufficialmente di corteggiare suo figlio.» disse sorridendo a Stiles, che arrossì appena; Noah, però, indurì lo sguardo e sbuffò sonoramente ma nulla impedì a Derek di sorridere ancora «Spero che passerà sopra il piccolo errore da me compiuto, sa… La cella…» disse sollevando appena le spalle mentre Noah innalzava scetticamente le sopracciglia.

«Dai, papà…» il sussurro di Stiles gli carezzò il collo e l’Alpha si ritrovò a fissare gli occhi del figlio, quelle stesse gemme ambrate incastonate anche negli occhi della sua Compagna «Lui mi piace…» borbottò contro la maglia del padre, arrossendo appena.

«E sia.» sbuffò Noah mentre osservava il figlio buttarsi tra le braccia aperte di Derek prima di baciarlo con tutta la passione e la felicità che provava in quel momento «Ehi! Ehi! Piano voi due!» disse notando le mani di Derek scendere pericolosamente verso il sedere dell’Omega «Derek.» l’Alpha si staccò dal ragazzo e lo abbracciò prima di incrociare lo sguardo con il padre dell’Omega, annuendo appena «Se farai del male a mio figlio ti uccido.» disse passandosi il pollice contro la gola, facendo ridere la servitù e gemere di vergogna il figlio; Derek, però, sorrise raggiante e annuì ancora, stringendosi meglio il corpo di Stiles tra le braccia.

«Possano maledirmi ancora se dovessi farlo.» rispose semplicemente Derek.
 

 
*** 5 mesi dopo ***
 
 

Stiles fissò attentamente il proprio riflesso nello specchio, deglutendo nervosamente a causa di quello che sarebbe accaduto di lì a pochi minuti; accanto a lui, seduta comodamente sul letto e con in mano gli ornamenti, si trovava una bellissima Lydia avvolta nel suo abito rosso con rifiniture gialle. L’Omega fissò attentamente la Beta e sollevò le braccia, facendosi ammirare nel suo completo bianco e argento, con la camicia grigia come il cappello che avrebbe indossato; la ragazza sorrise entusiasta e lo fece giare su se stesso, notando il magistrale lavoro delle sarte su quell’abito tanto semplice ma che calzava alla perfezione sul magro corpo del ragazzo. Sorridendogli e alzandosi dal letto, la dama di compagnia si allungò e gli fece indossare il cilindro per poi passargli il lungo bastone sulla cui sommità si trovava una volpe in argento.


 
 
 

«Signorino, siete emozionato?» domandò la Beta mentre si allontanava di qualche passo, permettendo al ragazzo di rimirarsi nuovamente allo specchio.

«Sto per sposarmi, Lyds, sto morendo dall’emozione.» sussurrò Stiles, percependo il sangue abbandonare il suo volto e facendolo sbiancare più del normale.

«Siete perfetto, il vostro Derek vi ama e questa è l’unica cosa che conta…» disse Lydia prima di voltarsi verso la porta, dove un elegante Noah Stilinski era venuto a prendere il figlio; Stiles si voltò e sorrise verso il padre, il corpo fasciato in un abito bordeaux con camicia bianca «Oh, signore, siete bellissimo!» esclamò la Beta, facendo sbuffare sonoramente Noah mentre un tenue rossore gli imporporava le guance.


 

«Ma perché ci siamo conciati in questo modo?» borbottò l’uomo, per nulla convinto degli abiti che suo figlio e il suo imminente genero avevano scelto per la cerimonia «Cos’hanno di sbagliato i classici abiti?» chiese più a se stesso che agli altri per poi sgranare gli occhi quando osservò il volto sorridente del figlio; poco a poco il broncio sul suo volto sparì, permettendo a un dolce sorriso di incurvargli le labbra «Sei bellissimo…» sussurrò avvicinandosi al ragazzo e stringendoselo in un abbraccio «Lei sarebbe così orgogliosa di te…» Stiles percepì gli occhi inumidirsi ma si limitò ad annuire, troppo emozionato per poter permettersi di piangere «Andiamo ragazzo, l’Hale sta fremendo al piano di sotto.» l’Omega ridacchiò prima di staccarsi dal padre il quale, nonostante tutto, non aveva smesso di riferirsi al suo Alpha chiamandolo solamente per il cognome.

«Ti voglio bene.» disse Stiles prima di essere baciato sulla fronte da Noah che, subito dopo, gli porse il gomito e aspettò che il figlio lo stringesse per poter uscire dalla camera.
 
 

Padre e figlio attraversarono il lungo corridoio illuminato dal sole, passando davanti ai quadri dei precedenti padroni del castello e alle statue di angeli, per poi fermarsi sul pianerottolo della scalinata principale; lì, davanti ai suoi piedi, si estendeva un lunghissimo tappeto rosso sul quale erano stati gettati numerosi petali di rosa mentre attorno alla ringhiera la servitù aveva fissato dei nastri rossi.

Stiles passò davanti all’intero staff del castello, sorridendo davanti a Peter e Chris, i quali si tenevano teneramente la mano, e ridacchiando quando vide Isaac e Scott vestiti da paggetti, per poi deglutire quando notò lo sguardo commosso di Melissa; lentamente, prendendo lunghi respiri a ogni passo, Stiles uscì dal castello e lì, davanti a lui, si trovava Derek…

Il corpo dell’Alpha era fasciato da un abito blu scuro, quasi nero, ma nella mano destra stringeva una rosa rossa; i loro sguardi s’incrociavano e perdendosi in quelle iridi verdi, tutti i dubbi e le incertezze di Stiles sparirono. Quello era il suo Alpha, il suo Compagno, e lo stava per sposare; nulla importava più ormai, il loro amore bastava per farli andare avanti e questa volta, alla caduta dell’ultimo petalo, nulla sarebbe cambiato.


 


Derek e Stiles sarebbero rimasti insieme, per sempre, come nelle favole…

Nessuno dei due, però, prestò attenzione a una bellissima donna fasciata da un lunghissimo abito bianco che osservò attentamente i due stringersi la mano prima di voltarsi verso il parroco, pronti per unirsi in matrimonio; la donna, sollevò una rosa e ne annusò profondamente il profumo prima soffiarci delicatamente contro. La rosa vibrò appena prima d’iniziare a brillare ma questa volta, a differenza della precedente, non sarebbe mai appassita; questo era il regalo della donna perché Stiles, a differenza di tutto il mondo, era andato oltre le apparenze. Era riuscito ad amare un mostro nell’aspetto e si era fatto amare a sua volta.

La rosa cadde al suolo mentre i due pronunciavano il fatidico ‘Sì’ e la donna voltò loro le spalle e si allontanò lentamente, perché le fate potevano scagliare potenti maledizioni ma anche eterne benedizioni e, d’altronde, la lezione era stata imparata…
 
 
 
Quando sembra che non succeda più…
Ti riporta via, come la marea, la felicità…

 
 


Note finali: eccoci qui alla fine di questa storia, devo dire che ho un certo magone nello spuntare la casella “Completa” ma prima o poi tutti i racconti, belli o brutti che siano, giungono al termine, no? Sapete, mentre scrivevo questa fanfiction e cercavo di caratterizzare al meglio tutti i personaggi mi sono posto una domanda: quanti di noi, nella vita di tutti i giorni, mettono a frutto gli insegnamenti de “La Bella e la Bestia”? Quanti cercano di andare oltre le apparenze, entrando in contatto con la vera natura delle persone? In una società come la nostra, dove l’aspetto fisico è uno degli elementi fondamentali di una persona, quanti di noi vanno oltre per conoscere il vero Io di chi abbiamo davanti? E in quell’esatto istante mi sono detto che l’apparenza inganna veramente… Spero che l’aver scritto questa storia nonché l’analisi fatta sul film mi permettano di migliorare come persona, come professionista e come uomo.

Quando vi troverete davanti al “mostro” di turno fate come Stiles, studiatelo e cercate di andare oltre il muro che si è creato attorno, andate oltre le apparenze, e forse chissà i prossimi a trovare il vero amore sarete proprio voi…

Prima di ringraziarvi vi faccio un augurio: che la vostra rosa incantata resti fiorita fino alla fine dei tempi.
 

Ragazzi, io non so veramente come ringraziarvi! Siete tantissimi a seguire la storia, ad averla letta e commentata e vorrei tanto ringraziarvi uno per uno con un abbraccio e una stretta di mano ma non posso farlo; quindi mi limito a scriverlo qui…


 
GRAZIE!
 
 

Grazie a chi ha letto il capitolo in silenzio.

Grazie a chi ha inserito la storia tra i preferiti di EFP.

Grazie a chi invece l’ha inserita tra i ricordati.

Grazie anche a chi l’ha inserita tra i seguiti.

Grazie a voi che avete recensito, facendomi sapere i vostri pensieri e pareri su questa piccola storiella che, spero, vi abbia tenuto compagnia in questa quarantena <3 e un ringraziamento speciale va a linn 86, obvmike e Fata_Morgana 78 per aver recensito lo scorso capitolo. Grazie mille molte grazie!
 

Alla prossima storia e ricordate: la vera bellezza si trova nel cuore…
 

Babbo Dark


 

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