The Doc's Writing Week

di TheDoctor1002
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Day 1: Marines // Guilty all the same ***
Capitolo 2: *** Day 2: Flashback // No time to die ***
Capitolo 3: *** Day 3: Canon // Birds ***
Capitolo 4: *** Day 4: Mare Aperto // Rather Be ***
Capitolo 5: *** Day 5: Amicizia // Kings and Queens ***
Capitolo 6: *** Day 6: Cicatrici // Silhouettes ***
Capitolo 7: *** Day 7: Nuovo Mondo // Little Talks ***



Capitolo 1
*** Day 1: Marines // Guilty all the same ***


Show us all again
That our hands are unclean
That we're unprepared
That you have what we need
Show us all again
'Cause we cannot be saved
Cause the end is near
Now there's no other way
And oh, you will know

You're guilty all the same
Too sick to be ashamed
You want to point your finger
But there's no one else to blame
You're guilty all the same

-\-\-\-

"Cazzo." 
Artemis non si rese nemmeno conto che le gambe avevano smesso di reggerla.
"Cazzo, non è possibile." ripeteva, con la bocca nascosta dietro le mani, come imbambolata.
Se il futuro Ammiraglio Aokiji era stato tra i pochi a vederla sull'orlo di una crisi di nervi, da quel momento poteva dirsi anche l'unico suo collega ad averla vista nel baratro. Si alzava, si risedeva, camminava un po' su e giù per la cabina di comando, provava a fumare e le mani le tremavano talmente tanto che a stento riusciva ad accendersi quelle dannate sigarette. Era così nervosa che ormai le poche cicche rimaste oscillavano comode, quando scuoteva il pacchetto semivuoto. E soprattutto, leggeva e rileggeva come un'ossessa le poche righe che riassumevano la sua ultima missione.
"Cosa diamine significano tutti questi dispersi in azione?" 
Chiese con voce tremante, quasi lui non fosse un suo superiore. Non fu difficile per l'occhio clinico di Kuzan distinguere i segnali del suo momento: l'istante preciso in cui l'idealizzazione del Corpo dei Marines veniva meno, rivelando tutto il pietoso palchetto.
Per molti era stata la prima uccisione: quel battesimo ricablava loro il cervello in modo fine, ma imprevedibile, quasi allo stesso modo in cui il parto lo fa con le donne.
Alcuni mollavano, altri acquisivano una prospettiva nuova, qualcuno conosceva la pietà e c'era anche chi la abbandonava per sempre. 
Artemis aveva avuto quella prospettiva fin da prima del suo primo giorno, gliel'avevano data quel senso del dovere cieco e quella fiducia assoluta che solo chi insegue un mito può avere. Una sorella, gli pareva di ricordare.
"Io li ho visti quei corpi, li ho visti e li ho contati." ansimava la comandante, mentre la matematica si burlava di lei e l'ansia la mangiava viva "Questi report sono sbagliati, non tornano nemmeno i conti dei feriti: non possono essere così pochi! Per Dio, Vice Ammiraglio, io e i miei avremo fatto avanti e indietro ottanta volte per riportarli al campo."
La voce della giovane De La Rose suonava come un diapason, di fronte al silenzio assordante del Vice Ammiraglio Kuzan. 
Ripensandoci, gli tornava in mente un'altra De La Rose, in un'altra divisione. L'aveva vista orgogliosa e sorridente a una cerimonia, tra le sue stesse file. L'aveva anche riconosciuta in uno dei tanti cadaveri, in qualche missione di chissà quanti anni prima. Gli era passata accanto trasportata in una lettiga, con un'espressione vacua sul volto e un braccio sanguinante penzoloni. In particolare, ricordava la mano bianca che tremava inerte ad ogni sobbalzo, poi era sparita per sempre.
"Questi report sono l'unica cosa che conta." replicò lui, con la sua tipica compostezza, sperando che la sua sottoposta potesse assimilare per osmosi la sua freddezza "Sono l'unica Verità."
"Sono una bugia." sussurrò lei invece, come se la realtà le si fosse sgretolata davanti agli occhi, come se non capisse "Quei dispersi sappiamo benissimo dove trovarli, sono sotto osservazione nella tenda medica! Perchè non contarli come tali? È per quelle croste bianche?" 
Kuzan sospirò, mentre dal suo volto spariva ogni traccia della sua caratterista flemma. Artemis era sempre stata intuitiva, una mente rapida. Aveva una visione che le aveva permesso di distinguersi rapidamente e fare carriera, lui era stato tra i primi a rimanerne colpito. Ma le speranze che riponeva in lei si sgretolarono di fronte a quell'ultima domanda: un buon ufficiale, dopotutto, non doveva avere bisogno di ordini, per capire quando un argomento diventava scomodo.
"Credeva non le avessi notate? Le avevano tutti" raccontò Artemis, quasi lui non lo sapesse, mentre la guardava sforzarsi a modulare la voce e lacrime di rabbia le rigavano le guance "A chi era stato ferito gravemente sono cresciute sulla pelle come il muschio. E anche se la mia era solo una ferita superficiale, qualche piccola macchia è comparsa anche a me. Non ho detto nulla perché pensavo fosse uno sfogo. Cos'è di così terribile da non poterne scrivere sui report?" 
Le leggeva in faccia il più umano dei sentimenti: una terribile, profonda paura di morire. Una di quelle fondate, come quando senti il vuoto di un burrone prenderti allo stomaco o lo sparo di una pistola perforarti il timpano.
Un sentimento con cui ogni marine avrebbe dovuto fare i conti, é vero, ma non in quel modo. 
Le mani di lei colpirono il legno della sua scrivania con tanta violenza da farlo sussultare. Realizzò in un secondo momento di essersi scostato istintivamente, ma non perché temeva che lei potesse fargli del male: il suo primo pensiero era stato che solo dio solo sapeva se quella specie di cancro non fosse anche contagioso. I due soldati che stavano fuori dalla porta della cabina entrarono, loro non si fecero remore a stringerla, cercando di calmare una furia cieca che, ne era certo, le sarebbe come minimo costata la carica. 
Si sistemò con un gesto gli occhiali sul volto, abbassando il capo, mentre la osservava venire portata via.

L'Ammiraglio Aokiji ricordava due De La Rose: il soldato semplice, la maggiore, e il comandante, la minore. 
Quest'ultima, l'aveva vista guadagnarsi una mostrina dopo l'altra, una battaglia dopo l'altra, senza mai cedere di un metro. L'aveva poi vista contrarre la sindrome del Piombo d'Ambra e batterlo sul tempo venendo processata nella terra sacra di Marijoa, poi era sparita per sempre.

Salvo poi ricomparire tra le fila dei pirati che avevano tratto d'assedio il Quartier Generale di Marineford. In quel momento, nel mezzo di quella che viene ricordata come la Guerra dei Vertici, ricordò quali furono le sue ultime parole, mentre scalciava come una furia nel suo ufficio: "Quando questo regno di bugie crollerà, vi seppellirà vivi."

 

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Capitolo 2
*** Day 2: Flashback // No time to die ***


Warning: minor spoilers della saga di Dressrosa
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You were my life

But life is far away from fair
Was I stupid to love you?

Was I reckless to help?
Was it obvious to everybody else

That I'd fallen for a lie?
You were never on my side
Fool me once, fool me twice
Are you death or paradise?
Now you'll never see me cry
There's just no time to die

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1524, 2 anni dopo la Guerra di Marineford, Terra Sacra di Marijoa

I lunghi corridoi dell'immenso castello di Pangea erano un labirinto per quasi chiunque al mondo, ma di certo non per lui. Doflamingo riusciva quasi a sentire i suoi stessi, piccoli passi calpestare quel marmo, mentre con Rosinante giocavano a fare gli eroi. 
Correvano e urlavano, i due fratelli Donquixote, mentre facevano slalom tra nobili e soldati come adorabili profanatori del sacro cuore della Nazione,. 

Chi l'avrebbe mai detto, che sarebbe finita in una maniera così miserevole?
Uno contro uno, tre proiettili, tutti dalla stessa arma.
Dopotutto, quella non l'aveva mai tradito. Né la sua pistola, né la famiglia che aveva radunato.
Non poteva certo dire lo stesso del sangue del suo sangue.
Suo padre l'aveva fatto decadere, gli aveva fatto perdere lo status di dio in quel mondo infame, l'aveva costretto a rintanarsi come un topo e a risorgere pirata, il più temibile, il più sanguinario che mai sarebbe potuto esistere. E quando anche l'onta di Donquixote Homing era stata lavata, ci aveva pensato il suo fratellino, a venderlo ai marines. 

Ricordava come fosse difficile rievocare quel posto per descriverlo, quanto aveva faticato a ripescare dalla sua memoria quelle finestre alte, quei vetri gialli e ondulati, gli infissi in ferro battuto, i dettagli che era sempre stato troppo impaziente per notare e il velluto che gli scorreva sotto le suole, mentre si avvicinava alla biblioteca che aveva sempre promesso alla sua Artemis. 
"Ce la riprenderemo, sai?" Le aveva promesso tante volte. Riusciva quasi a sentire il suo peso mentre si accoccolava sulla sua spalla, semi-assopita. Sentiva l'odore dei suoi capelli, la pelle della sua fronte sotto le labbra, le dita di lei che correvano delicate sul suo avambraccio. "Ci riprenderemo Marijoa, insieme."

Ripensandoci, anche Artemis l'aveva tradito, perfino lei apparteneva alla congiura che voleva consegnarlo al Governo. 
Ma l'avrebbe perdonata. 
Si sarebbe preso cento, mille, un milione di quelle coltellate per riaverla com'era prima. 
Per rivederla come tra le macerie di Dressrosa, caduta per mano loro. Come in un quadro, avvolta nel bel tulle e nelle piume dell'abito della Reina Blanca, la sua falce insanguinata in mano e un sorriso che era solo per lui. 
Per rivederla ai banchetti, tra i suoi ufficiali, ridendo al suo fianco. 
Per rivederla, anche solo un istante.
Trattenne il fiato, mentre il cigolio della maniglia rompeva il perfetto silenzio. Aprì l'uscio lentamente, come a temere che incrociando di nuovo il suo sguardo sarebbe sparita. Lei non alzò nemmeno gli occhi cinerei: era persa nei suoi appunti come lo era da sempre nei suoi ricordi. Certo, il tempo l'aveva cambiata: i suoi capelli si erano fatti più lunghi, il nero aveva ripreso il posto della chioma bianca che le aveva fruttato il suo nomignolo, i tratti del viso erano stati cesellati dal tempo che li aveva separati. 
"Salve, Mjosgard" salutò distratta, senza nemmeno guardare la nuova sagoma, mentre si tuffava avida tra gli scaffali.
Sentire la sua voce tirò stringhe del suo cuore che aveva ormai anestetizzato, gli tagliò il fiato. 
"Signorino", lo chiamava. Tutti lo chiamavano così, nella Family, ma soltanto la sua Artemis riusciva a dargli quell'intonazione speciale.
Ogni volta, si sentiva trascinato come la prima. Come il pifferaio magico, era sempre stata in grado di farsi seguire fino al fondo del lago, fino all'oblio. 
Il suo milione di coltellate l'aveva già riscattato, ma in quell'occasione fu ben lieto di pagare doppio.
Quando gli occhi di lei si alzarono dalla sua stessa calligrafia, gli appunti le caddero dalle mani, spargendosi al suolo, mentre un lieve sospiro di sorpresa sfuggiva dalle sue labbra. 
Doflamingo sentì il battito che aveva a lungo cercato fermarsi, così come il proprio.
In fondo, non era cambiata dal suo ultimo ricordo. L'unica vera differenza era che questa volta Artemis non stringeva più il corpo senza vita di Rocinante, implorandolo di restare.

 

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Capitolo 3
*** Day 3: Canon // Birds ***


When the moon is lookin' down
Shinin' light upon your ground
I'm flyin' up to let you see
That the shadow cast is me

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Tutti gli fecero ala, quando riconobbero il viso segnato di Marco. Attraverso quella fiumana di gente, la Fenice riuscì chiaramente a vedere gli altari che erano stati allestiti. Il grande mantello di Barbabianca sventolava come una candida bandiera, fregiandosi della stessa fierezza dell'uomo che l'aveva sempre indossato con orgoglio. Accanto, l'arancione vivido del cappello di suo fratello Ace perforava lo sguardo e il cuore. 
Il cielo era di un azzurro profondo, quasi sfacciato in quell'occasione, come se la natura non comprendesse o non volesse piegarsi al significato di quel momento. 
Ma cosa importava? Il cielo sarebbe sempre continuato a esistere, Shirohige o non Shirohige. A prescindere dagli Imperatori, dal One Piece e da ogni diavoleria la gente si fosse inventata per dare un senso alla vita. 
Procedeva schivo come un fantasma, ignorando gli sguardi che si posavano su di lui. Si sentiva vestito di una pietà che non gli era mai appartenuta e ciò aggiungeva un fastidioso senso di inadeguatezza al dolore.
Tutti sapevano il peso che portava sulle spalle. Chi non poteva immaginarlo, lo intuì quando tutti gli altri capitani di divisione si voltarono contemporaneamente verso la sua sagoma. Sui loro volti, c'era una tale speranza che sembrava avessero visto il Messia. 
Marco rispose agli sguardi, cercò di sembrare rassicurante e saldo, come ci si aspettava dal Primo Figlio di Barbabianca. 
Oneri e onori. Aveva sempre portato alta la bandiera della sua ciurma, tatuata sul suo petto. Aveva sempre fatto in modo che l'Imperatore non avesse mai da ridire sul suo operato. Faceva quello che pensava lui avrebbe fatto. Diceva quello che pensava lui avrebbe detto. La sua voce profonda e sicura aveva sempre albergato nel suo subconscio, mai una volta prima di allora aveva fatto fatica a sentirla. Era come se il richiamo della sua coscienza se ne fosse andato con lui.
Marco scaldò le punte delle sue dita, strofinandole contro il pollice come la pietrina di un accendino e il blu vivo del suo Frutto del Mare si manifestò in minuscole fiamme. Le fece danzare e stabilizzarsi tra le sue falangi, prima di lanciarle in aria con un soffio.

"Marco! Oi Marco!" Lo chiamò Ace, dal capo opposto di una piazza gremita di gente.
Girando la testa, cercò il suo amico alle altre tavolate del banchetto, tra piatti e vassoi traboccanti di carne deliziosa e le brocche di vini sempre nuovi. Quando lo vide, stava aggirando il gran falò attorno a cui alcuni membri della sua ciurma ballavano e bevevano. Il braccio tatuato del Capitano della seconda divisione era stretto attorno alle spalle di una ragazza davvero niente male e i due ridevano forte, con le guance tinte di porpora. 
"No, ti giuro, è una figata, devi vederlo!" Lo sentì confabulare Marco, per poi rivolgersi a lui "Dai, dai, facciamo quella cosa!", Lo pregò con l'entusiasmo di un bambino.
La Fenice roteò gli occhi "Ancora?" 
"E dai, che ti costa? Facciamoglielo vedere!" 
Pugno Di Fuoco aveva la stessa, semplice richiesta ogni volta che si avvicinava ad un paio di boccali di birra. Era un piccolo gioco di prestigio,ma di grande effetto: i due schioccavano le dita e da quel gesto naturale scaturivano migliaia di minuscole faville blu e arancioni che venivano sparate in aria come un fuoco d'artificio. Le scintille arrivavano altissime in cielo e ricadevano tutte intorno a loro come una pioggia, tingendo di blu e oro il cielo notturno. Tutti applaudivano e sospiravano di meraviglia, che fosse la prima o la centesima volta che lo vedevano.

Anche quel giorno riuscì a stupire tutti, ma i pirati di Barbabianca sapevano che non era la stessa cosa e non era certo colpa della luce del sole. Uno per uno, i capitani di divisione gli si affiancarono davanti alle grandi pietre bianche. Aveva dovuto perfino ringraziare Shanks per averle fatte porre, un loro rivale, un nemico. Colui che aveva avuto abbastanza rispetto di un avversario e di suo figlio da erigere loro un monumento. 
L'aveva ringraziato con onestà, dal profondo del suo cuore. 
"Ti sei comportato bene" aveva tossito la voce roca di Newgate, nella sua mente "Non potevi mica farmi fare brutta figura con un altro imperatore, no?
No, di certo non poteva, ne andava dell'onore di tutti. Ora che non c'era più il Vecchio a garantire per i suoi figliocci, spettava a loro ricambiare il favore.
I quattordici Capitani rimasti si strinsero in cerchio, le braccia di uno sulle spalle dell'altro, come a riunirsi in un abbraccio indissolubile. Si guardarono disorientati, cercando risposte che nessuno sembrava avere. L'unica certezza rimasta era che Ace aveva ragione: il nome di quell'era sarebbe certamente stato 'Barbabianca' ed era altrettanto vero che era in quell'abbraccio, all'ombra di quelle lapidi, che finiva.

 

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Capitolo 4
*** Day 4: Mare Aperto // Rather Be ***


We staked out on a mission to find our inner peace
Make it everlasting so nothing's incomplete
It's easy being with you, sacred simplicity
As long as we're together, there's no place I'd rather be

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1522, un mese dopo la Guerra di Marineford, da qualche parte nel Paradise.

Shachi sgattaiolò dietro la schiena di Bepo, seguito a stretta distanza dal suo compare Penguin. I due si sollevarono sulle punte dei piedi, aggrappandosi alle larghe spalle dell'orso per spiare cosa ribolliva sul piano cottura. Di qualsiasi cosa si trattasse, inondava la cucina e la mensa di un profumo delizioso.
"CHE CUCINI? CHE CUCINI?" chiesero, facendolo sobbalzare.
"Non dovreste essere qui!" li riprese, distraendosi dalla grande pentola di curry che sobbolliva lentamente "Filate via, aspettate come tutti gli altri!"
Nello stretto corridoio tra i banchi di lavoro, si scatenò una baraonda. I due pirati corsero come gatti, facendo sbattere sportelli e pentole mentre cercavano di evitare le mosse di kung fu del loro compagno. Quando quel caos si placò, Bepo notò che due cucchiai sporchi di denso brodo marrone giacevano nel lavabo.
"Manca sale!" gli gridarono all'unisono i due dalla mensa, attraversandola a tutta velocità e correndo veloci al ponte di comando.

"Non si corre nel Polar Tang!" 
Urlò Artemis, sentendo i passi pesanti far tremare e cigolare le passerelle metalliche.
A quella sgridata, il rumore si affievolì.
"Scusaci, Mama Rose!" cantilenò Penguin, affacciandosi alla sala macchine insieme a Shachi.
Ancora si stupivano di come il suo udito riuscisse a funzionare in modo tanto efficiente. I motori e i sistemi del sottomarino sbuffavano vapore bollente, scattavano e cigolavano, ma il loro primo ufficiale sembrava avere un sensore apposito per i loro guai.
In quella sola stanza, la temperatura era simile a quella di un'isola tropicale anche mentre il sottomarino attraversava correnti molto fredde. Sia Artemis che Ikkaku erano state costrette a sfilarsi la parte superiore della loro tuta da lavoro e, nonostante ciò, la loro fronte e il loro petto erano imperlati di sudore, che orlava anche le loro canotte. 
"Fai attenzione al manometro" si raccomandò Mama Rose, indicando il quadrante colorato su uno dei tubi. "Se la pressione del sistema di areazione raggiunge il settore giallo, ruota la valvola e aspetta che salga. Se non dovesse farlo, richiamami."
Ikkaku annuì con convinzione, riprendendo l'ispezione che i suoi compagni avevano interrotto. 
Il labirinto di tubature e alberi a gomiti risputò infine Artemis, che si arrampicò in fretta sulla scala che conduceva al corridoio principale. In quella manciata scarsa di gradini, sentì la decina di gradi di differenza tra i due ambienti darle la pelle d'oca, facendola starnutire. 
"Coprirsi, Mama Rose!" la invitò il capitano, ad un capo remoto del corridoio. 
"Ma la divisa è sudata, che schifo!" si lamentò.
A quella rimostranza seguì uno "Shambles!", che la costrinse ad afferrare al volo l'asciugamano che Law le lanciò, entrando ed uscendo dal suo campo visivo in una manciata di secondi. 
"Shachi, Penguin" sospirò lei, avviandosi verso la doccia "Dato che non avete niente da fare, chiedete a Jean Bart di risalire: abbiamo problemi alle Branchie."

La voce di Bepo si diffuse per tutti gli ambienti del sottomarino, metallica e gracchiante, attraverso gli altoparlanti. 
"La cena è servita, presto, venite in mensa prima che si freddi!" 
La semplice tuta da lavoro bianca della ciurma avvolgeva tutti comodamente, mentre si radunavano in un flusso che convergeva verso le tavolate in laminato lucido. Ognuno entrò nella stanza, illuminata dalle tiepide luci incassate nel metallo delle pareti. Si affacciarono a turno al mezzo muro che divideva la cucina e la raccolta sala da pranzo e presero posto insieme al vassoio che l'orso aveva preparato con cura per ciascuno. 
"Mentre iniziate a mangiare, comunicazioni ufficiali:" esordì il Capitano Trafalgar, tendendo il collo per vedere tutti i suoi sottoposti, poi sollevò una delle bacchette in direzione di Artemis. "Mama Rose, stato macchine?"
Lei alzò gli occhi, finendo di masticare un pezzo di manzo, poi lanciò uno sguardo accusatorio al tavolo accanto. 
"Per farla breve, sta andando a puttane il sistema di ventilazione", annunciò senza mezzi termini, mentre Shachi prese ad osservare con grande interesse una specifica mattonella sul lato opposto della stanza. "La manutenzione che vi avevo lasciato non era opzionale. Per questo ho dato l'ordine di risalire, le cartucce non sarebbero bastate per la notte." 
"Signora Mama Rose, che significa?" chiese Jean Bart, visibilmente confuso. Il sottomarino, dopotutto, era una complessa equazione di ottimizzazione e occorreva più tempo per imparare a viverci che non a condurlo. Artemis era rimasta impressionata dalla velocità con cui un uomo così grande si era abituato ad ambienti tanto stretti, ma era certa gli sarebbe servito ancora del tempo per prendere piena familiarità con il Polar Tang.
"È un po' complesso da spiegare" intervenne Penguin "con le immersioni, l'estrattore che preleva aria dall'acqua perde la taratura della pressurizzazione, ha degli scompensi e..." 
"E va tutto a puttane" concluse Artemis "Le cartucce fanno una reazione chimica che genera aria respirabile, in caso di necessità. Non vi siete accorti, negli scorsi giorni, che si faceva fatica a respirare?" 
Alcuni sussurri presero a serpeggiare, lei perse le speranze quando realizzò la frequenza della parola "no".
"Sapete che c'è?" asserì "Questa cosa di Marineford ormai è andata ma, quant'è vero il mare, mi dovrete trascinare di peso per farmi lasciare di nuovo il Polar Tang. Non ve lo meritate, ecco, l'ho detto." 
Questa volta la protesta fu più sentita, ma l'indignazione della ciurma non la scalfì.
La lieve rivolta fu placata solo dall'intervento del capitano, che stavolta cambiò soggetto.
"Jean Bart, navigazione?" 
"Una crema, capitano" assicurò l'omone, raschiando la gola con una vaga risata "nessun intoppo" 
"Ottimo" concluse pacatamente il Chirurgo, riportando la sua attenzione al soffice letto di riso al vapore nel suo piatto "la seduta é sospesa."
"Sospesa?" rise Artemis, calamitando di nuovo l'attenzione della ciurma su di sé "Io dico che manca ancora qualcuno." 
Sguardi confusi vennero scambiati, poi uno a uno i pirati sembrarono cogliere l'allusione e 20 paia di occhi si spostarono lentamente da lei verso Trafalgar Law.
"Dicci un po', capitano:" incalzò Mama Rose, spalleggiata dal resto della ciurma "qual é la prossima meta?" 
I due si scambiano un enigmatico sorriso di intesa, attraverso la sala da pranzo. Ad Artemis si scaldò il cuore: dopo tanti giorni lontana dalla sua gente, dopo aver attraversato isole, navi e guerre, nulla riuscì a farla sentire a casa come l'opportunità di una rotta non tracciata.

 

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Capitolo 5
*** Day 5: Amicizia // Kings and Queens ***


Into your eyes
Hopeless and taken
We stole our new lives
Through blood and pain
In defense of our dreams
In defense of our dreams
We were the kings and queens of promise
We were the victims of ourselves
Maybe the children of a lesser God
Between heaven and hell
Heaven and hell

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1513, 9 anni prima della guerra di Marineford, Swallow Island

Wolf continuò a lavorare alla scheda integrata a cui aveva dedicato tutta la giornata anche quando sentì l'uscio del suo magazzino aprirsi e Artemis abbandonarsi sulla cigolante sedia in legno alle sue spalle. 
La donna non disse una parola, si limitò a fissare per un po' la schiena del vecchio curva sull'ennesimo, fallimentare progetto. Non proferì nemmeno un "Buonasera" nè lo punzecchiò con una delle sue frecciatine. 
"Che abbiamo, principessa? Il gatto ti ha finalmente mangiato la lingua?" commentò sarcastico "O hai forse imparato una volta per tutte a tenere il religioso silenzio che questo tempio di scienza merita?"
Nessuna risposta. Al che l'uomo buttò lo sguardo oltre la sua spalla, sollevandosi i grandi occhiali da saldatura, e la intravide reggersi la testa col palmo della mano, fissando il vuoto, a un capo di uno dei tavoli da lavoro ricolmi di progetti a metà. 
Una vaga aura di preoccupazione iniziò a serpeggiare nella stanza. 
"Hai un minuto per parlare?" chiese Artemis sentendosi osservata, ma senza ricambiare. "Ho portato una bottiglia, se ti servisse un incentivo."
Wolf sospirò rumorosamente, riponendo con cura il saldatore sul piedistallo spiralato. Mentre si trascinava pigramente, la donna estrasse dalla borsa di tela ai suoi piedi un bicchiere e un fiasco di vino rosso, poi lo versò.
"Quindi? Che succede?" Intavolò l'inventore, ora più serio "Gli affari vanno male?"
"Quelli purtroppo vanno sempre fin troppo bene." sospirò lei, mai troppo orgogliosa dei suoi contratti. 
"Se ti pagano e la gente vuole ancora scannarsi, non vedo problemi." concluse con pressappochismo,  assaporando compiaciuto l'aroma corposo della sua ricompensa. 
"Dice che vuole fare il pirata." rivelò velocemente Artemis, come se si stesse strappando un cerotto. "L'ho sentito parlarne con i bambini, poco fa."
Wolf rimase quasi strozzato e bevve un altro sorso per riprendersi. 
Si rivedeva in quegli occhi persi, li aveva avuti identici quando anche suo figlio Artur gli aveva detto la stessa cosa. Un'ondata di impotenza l'aveva travolto, come se fosse consapevole che non c'era modo di fermare un sogno simile. 
"Ma non è detto che debba finire allo stesso modo" la rassicurò lui, posandole una mano sull'avambraccio, come per ancorarla alla realtà, per impedirle di partire per un viaggio mentale che l'avrebbe portata chissà dove. "Artur era un caso particolare. Disperato, oserei dire. Law è sempre stato equilibrato e..."
"Ha avuto più di un momento buio." mormorò Artemis, ricordando l'odio che covava agli inizi della loro conoscenza "Ed è Doflamingo che lo preoccupa, l'ho visto rovistare tra i miei articoli per leggere di lui. Non vorrei gli venissero certe idee in mente."
Le dita della donna sfregavano la pelle del suo volto, erodendola e consumandola.
"Vendetta, tremenda vendetta." sospirò il vecchio "E tu?"
"Io cosa?"
"Non ti sfiora mai il pensiero?"
Più che sfiorarla, il pensiero la colpiva in pieno volto e più volte di quanto non fosse riuscita a contare. La svegliava nel cuore della notte, le sussurrava all'orecchio durante il giorno, si insinuava tra i suoi pensieri quando una delle abitudini conquistate nella Family si manifestava.
"Non immagini quanto." bisbigliò tra le dita, come se potessero impedire a quelle parole colpevoli di uscire "Ti ho mai detto di Dressrosa?"
"Uh, un sacco di volte!"
"Mi sono fatta dei conti. Ho sbirciato qui e là per capire quanto il mio ruolo abbia influito, cosa sarebbe successo se non mi fossi arruolata. E ho scoperto che senza di me il regno di Re Riku sarebbe caduto tra un mese e mezzo, giorno più, giorno meno. Ho rubato a quella gente interi anni di pace. Ci penso in continuazione, ho inferto loro una ferita che devo ricucire, è un mio dovere morale." 
"Starebbe al Governo" scandì lui con voce roca, fissandola attraverso il disegno geometrico del bicchiere "Sono loro che ti ci hanno mandata, no? Che se ne occupino. E mettiti in testa che tu non hai alcuna colpa per le decisioni di Law. Non mi dicesti lo stesso, quando ci fu il casino con il mio?"
"Non è la colpa il problema, credi che io l'abbia mai convinto a fare qualcosa? Non ascolta nessuno se non crede abbia ragione. Fatto è che ho avuto un'offerta da uno dei miei clienti, a Kamabakka. Per restare, io e chiunque vorrò portare con me."
"Un'offerta generosa" ridacchiò l'inventore "Presentamelo, fa sempre comodo un amico che regala vite nuove a tempo perso."
"Che cazzata." sorrise lei, risollevando appena il morale generale "La verità è che non so se accettare. Credo che cambiare aria gli farebbe bene, sarebbe una grande opportunità per Law. Potrebbe anche diventare un medico, un chirurgo vero."
"Non vedo contro" commentò l'uomo, scrutando il fondo vuoto del bicchiere.
"Il contro è che il bilancio della mia coscienza sarebbe in difetto. Dare e avere, sbaglio? Sono ancora convinta che io e te non siamo pari. Forse non lo saremo mai."
"Senti senti" sghignazzò lui "Non erano, parole tue, le scuse di un vecchio approfittatore?"
"Come se non sapessi che lo dicevo solo per farti incazzare." sospirò la donna. "Ci hai salvati e questo non potrò mai ripagarlo. E' vero, ho buttato tre dei miei anni migliori in questo buco dimenticato da dio, dietro a i tuoi fallimenti senza speranze, ma c'erano modi peggiori di farlo."
"Ahi" si lamentò lui, alzandosi con una mano sul petto "Questa ha fatto male. Ma abbiamo fatto anche grandi cose, no? Come lo chiameresti quel gioiellino?"
Anche Artemis si alzò, prendendo con lui ad ammirare il metallo impolverato del grande sottomarino relegato al fondo di quel capannone immenso. 
"Direi incompleto. E un po' sacrificato, se vuoi la mia." 
"Gli servirebbe il mare." concluse l'uomo. "Se gli riuscissi a dare la vita che si merita, il nostro debito sarebbe ripagato: equivarrebbe a farti ammettere che il Geniale Wolf  ha fatto anche qualcosa di buono."
"E come lo dobbiamo chiamare?" rise lei, finalmente con convinzione "Navy Wolf? Wolf il migliore?"
"Vuoi togliere ai bambini il gusto di scegliere il nome? Dannazione, sei senza cuore."
"Ce l'ha già un nome!" esclamarono quattro voci acute, oltre le sottili lamiere del magazzino. 
Lo stormo di ragazzini fece irruzione senza nemmeno tentare di nascondere il fatto che stessero palesemente origliando. 
"L'abbiamo chiamato Polar Tang" spiegò Law, in qualità di portavoce.
I due adulti li scrutarono con curiosità e confusione. 
"Tang  perchè è la spina del pesce Chirurgo e Polar perchè noi siamo Orso, Pinguino e Orca" spiegò Shachi come se fosse ovvio, ma non sembrò soddisfatto dai processi mentali di Wolf e Artemis. 
"Ah, è inutile" Sbottò.
"No, no, ha il suo senso." li rassicurò lei. "Polar Tang sia, finiamo di metterlo a punto e lo inauguriamo."
 "Avete sentito, ragazzi?" festeggiò Law, correndo con gli altri tre fuori dall'edificio in fretta abbastanza da non venire smentiti. "Abbiamo una nave! I Pirati Heart hanno una nave!" 
"Ci sono almeno tre errori in quella frase, medico da strapazzo." urlò loro Artemis, affacciandosi all'uscio del magazzino, verso la grande vallata coperta di neve. Un respiro si condensò in una densa nube davanti al volto preoccupato di lei. Osservando il suo figlioccio tanto preso in quei giochi, non potè non notare la spontaneità del suo sorriso, uno dei tanti lasciti che Corazòn gli aveva donato.
"Non sarà uguale." la rassicurò ancora Wolf, mentre osservavano a distanza le celebrazioni a cui la piccola ciurma si era data. 
"Law diventerà un brav'uomo. Mi ci giocherei la vita su questo."

 

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Capitolo 6
*** Day 6: Cicatrici // Silhouettes ***


A thousand silhouettes dancing on my chest,
No matter where I sleep, you are haunting me
But I'm already there,
I'm already there.
Wherever there is you,
I will be there too

-//-//-//-

"Non dovevamo andarci.
borbottò Heat a mezza voce, destreggiandosi in quella specie di infermeria. 
Il sangue viscido del suo capitano gli macchiava le mani e gli avambracci, i suoi spessi dread azzurri lottavano contro il laccio che glieli avrebbe dovuti scansare dal volto e spesso vincevano, ricadendogli davanti al trucco da teschio che, come mai prima, era diventato un oscuro presagio.
"Non dovevamo andarci" continuava a rimuginare, mentre Kidd si contorceva e imprecava sul raffazzonato tavolo operatorio, nella mensa della Victoria Punk. 
"Ci vorrà un minuto, capitano" assicurò con il suo vocione mesto, mentre Killer e Wire sudavano sette camicie per tenere il mantello premuto contro la profonda ferita sul suo braccio.
"Fanculo Heat, ricucimi e basta!" latrò l'altro, che non era stato di certo ammansito dai gravissimi danni che aveva riportato.
Il medico fece un rapido cenno ai suoi assistenti, loro strinsero la presa sul collo e sul braccio sano per consentirgli di iniettare l'anestetico. Le proteste di Kidd aumentarono quando l'ago perforò la pelle, si lanciò in una trafila di maledizioni irripetibili che persero sempre più significato man mano che la presa dei suoi compagni si allentava e gli spasmi dei suoi muscoli lacerati si riducevano. 
"Come se la caverà?" Chiese Killer serio, lanciando lunghe occhiate al corpo inerme del capitano. Escludeva categoricamente una possibilità peggiore, ma le ferite sembravano molte di più, ora che le contava. Metà del volto era una maschera di sangue, il petto idem.
"Il braccio sinistro é andato" dichiarò Heat, mentre i suoi occhi tristi studiavano con precisione e freddezza gli infortuni che si era causato. "Per il resto, qualcosa da fare ancora c'è, ma sarà questione di molte ore. Come vi é venuto in mente di dargli corda e sfidare Shanks il Rosso? Si può sapere a che pensavate?"
"Lo conosci" intervenne Wire "ha deciso, fine della discussione. Cosa dovevamo fare, ammutinarci? Farlo ragionare? Scegli tu quale ti sembra meno folle." 
"Non si sconfigge un imperatore da soli, al primo giorno nel Nuovo Mondo." concluse Heat, apprestandosi a cominciare l'operazione. "Chissà che abbia imparato."

Un fastidioso formicolio alla spalla svegliò Kidd, mentre lo scricchiolio del legno della nave lo cullava.
"Capitano, non toccarti le bende!" Lo riprese la voce ovattata di Killer. Non aveva modo di vederlo in faccia, nascosta dietro alla sua maschera azzurra, ma a giudicare dal tono stanco doveva essere esausto. 
"Levamele" ordinò a mezza voce, facendo ricorso a tutta la gentilezza di cui poteva disporre "Prudono, sono un cazzo di inferno." 
Fece perno sul braccio sinistro per alzarsi, ma fu come cercare appiglio nel vuoto. Anche attraverso tutta quella morfina impiegò un istante per capire: il braccio che sentiva ancora lì, presente, non c'era più. Ripercorse la linea della spalla, il deltoide ancora avvolto in quelle maledette garze, poi non c'era più nulla. 
Non riuscì nemmeno a infuriarsi, chiamò Killer con un cenno nervoso del braccio sano, sempre che così potesse definirlo: anche quello sembrava tenuto insieme da una manciata di punti. "Portami allo specchio." chiese, mentre una strana, psichedelica sensazione di panico si insinuava nella sua mente annebbiata.
Faticò a riconoscersi, quando vide il suo riflesso. 
I lunghi capelli rossi gli ricadevano crespi sul volto sfregiato. Nemmeno il trucco che era solito portare avrebbe mai camuffato i due lunghi tagli che gli attraversavano un lato del viso. Quando il suo primo ufficiale gli tolse le medicazioni, scoprì che quello stesso, sadico disegno proseguiva sul suo petto per terminare nel braccio, ora assente.
"Eri messo male, capitano." ammise Killer, mentre lui ancora sfiorava la pelle esposta e rosa vivo sulla sua guancia, con le dita ossute.
"Lo sapeva, la stronza." concluse l'altro,  con un soffio indignato. 
"Di chi parli?" 
"Della Senza-Faccia. Lei..." 
Si morse il labbro inferiore per non continuare. Ricordava ancora bene la notte in cui si erano dati appuntamento nel Nuovo Mondo, promettendosi di uccidersi. Le punte delle sue dita avevano tracciato quelle ferite con maestria, una precisione degna della sua stramaledetta isola di artisti, anche se Kidd era sempre stato troppo cieco per notarlo. E il suo cuore aveva battuto veloce, più di quanto avrebbe voluto ammettere.
Di certo, se fosse stata lì, si sarebbe messa a ridere, prendendosi gioco di lui come aveva fatto dal primo secondo in cui i loro sguardi si erano incrociati.
"Devi imparare come funziona il gioco, dolcezza." L'avrebbe sfidato "Cosa posso farci, se l'unico modo in cui capisci é prenderle?
Una smorfia amara gli comparve sul volto, realizzando che le avrebbe persino dato ragione.
"Ma certo." Sospirò Killer, riaccompagnando a letto il suo amico di sempre e pregando tra sé che realizzasse il rischio che aveva corso "É sempre lei." 

Il primo ufficiale era notoriamente un gran superstizioso. A costo di farsi prendere in giro dal resto dei Kidd Pirates, non aveva mai rinunciato a gettarsi il sale caduto alle spalle, né ad evitare di passare sotto le scale. Quando il Capitano aveva insistito per portare quella donna ferita a bordo, Killer sapeva che non sarebbero arrivati che guai: da quando se n'era andata, Kidd sembrava, per assurdo, ancora più impulsivo e ambizioso di prima, anche quando chiaramente non c'erano estremi per esserlo.
In una cosa, tuttavia, concordava con la causa della sua iattura: se qualcuno avesse messo fine a Eustass 'Capitano' Kidd, sarebbe stata di certo lei.

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Capitolo 7
*** Day 7: Nuovo Mondo // Little Talks ***


Some days I don't know if I am wrong or right
Your mind is playing tricks on you, my dear
'Cause though the truth may vary
This ship will carry our bodies safe to shore
Don't listen to a word I say
The screams all sound the same

And though the truth may vary
This ship will carry our bodies safe to shore

-//-//-//-

"Shinsekai "
Quella parola le fiorì dolcemente tra le labbra, come un paradosso.
Il Nuovo Mondo, così spietato da essere definito un inferno in terra, si dischiudeva davanti ai loro occhi in tutta la sua meravigliosa imprevedibilità, perlomeno sulla mappa.
Artemis aveva studiato a lungo di quel mare. Aveva letto report, notizie, persino fiabe e leggende. 
L'aveva anche vissuto, ma in quei tredici anni gli equilibri e le forze in gioco erano cambiati talmente tanto da renderlo un posto completamente nuovo e da costringerla a rivedere tutto il suo schema dalle fondamenta. 
"Ti mancavano queste acque?" domandò Law, studiando la fitta rete di fili rossi che si dipanava davanti ai suoi occhi. Un'intera parete della sala di comando era diventata un enorme atlante, creato e integrato attraverso giorni di duro lavoro e ricerca.
"Siamo un passo più vicini" rispose evasiva Artemis, saggiando con l'indice la tensione della sua trama "E' ciò che conta, no?"
Le notizie che aveva raccolto non l'avevano affatto rassicurata. Le Supernove più irruente si erano lanciate quasi alla cieca in bocca agli Imperatori o erano rimaste coinvolte negli ambigui traffici del mercato sommerso, talvolta entrambi. E tra questi c'era anche Kidd, relegato in un angolo del grafo come disperso, in una foto del giornale che non gli rendeva affatto giustizia.
Si rifiutava di credere che fosse morto: le cattive notizie avevano sempre corso molto più rapidamente di quelle buone, ma la sua sola caparbietà non l'avrebbe certo protetto dai terrificanti sovrani di quella terra di nessuno.
"Non sarai spaventata, vero Mama Rose?" si voltò il Chirurgo, sentendo la tensione che aveva iniziato ad attanagliarla.
"Certo che lo sono." ammise lei con grande naturalezza, senza staccare lo sguardo dai contorni delle isole che li attendevano "E lo saresti anche tu, se avessi davvero capito cosa significa. Sfidando Doflamingo, sfidiamo Kaido. Ricordi?" 
Law si incupì, riconoscendo il metodo, la precisione algoritmica, la pura logica che aveva preso a muoverla. I fili rossi della sua preziosa mappa erano per Artemis l'unica guida, l'unico appiglio per non naufragare in quel mare oscuro.
Vedendola lì, come di sale, mordicchiando nervosa la cheratina delle sue unghie, gli venne quasi spontaneo posare la fronte contro la sua, sussurrando poche semplici parole.
"Andrà tutto bene" 
La testa di Artemis scivolò come inerte, fermandosi contro la sua clavicola.
In quel momento, anche il circolo vizioso dei suoi pensieri prese a rallentare e i muscoli del suo viso si rilassarono infine in un tiepido sorriso: con gli Heart Pirates al suo fianco, non sarebbe potuto essere altrimenti.

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NdA: non ho resistito a tentare un redraw di un mio vecchio disegno, per questo ultimo appuntamento. 
Se siete arrivati fin qui, spero che queste piccole "digressioni" vi siano piaciute!  Nel corso di questa iniziativa ho avuto l'opportunità di scoprire autrici davvero ricche di talento, di appassionarmi a fandom di cui conoscevo a stento il nome e di sciogliermi molteplici volte nel leggere di personaggi a me cari. 
Non posso che consigliarvi dal profondo del cuore di leggere le WritingWeek di 
 francyalterego Sacchan_ su Wattpad e di Nami93_Calypso e Mahlerlucia qui su EFP, sono state delle stupende compagne di viaggio 💖
Menzione d'onore per
Alytonno che, oltre che essere un* fantastic* cosplayer è Il Supporto e La Dolcezza incarnati. Non mi merito una persona così nella mia vita, regà, ve lo dico. 
E se aveste curiosità di conoscere qualcosa in più su Artemis, non posso che fare un po' di autopromozione e indirizzarvi verso la mia long:
Faceless!

A presto, pirati di ogni mare! Buon vento a tutti! 

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