Noi Casomai

di crazyfred
(/viewuser.php?uid=82886)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Natale in casa Nappi ***
Capitolo 2: *** Me e te, insieme ***
Capitolo 3: *** Primo mese o come dirlo agli altri ***
Capitolo 4: *** Le disgrazie non vengono mai da sole ***
Capitolo 5: *** Secondo mese o mi fa male anche l'acqua ***
Capitolo 6: *** Terzo mese o Tumtum, tumtum ***
Capitolo 7: *** Mio fratello è figlio unico ***
Capitolo 8: *** Quarto mese o a piccoli passi ***
Capitolo 9: *** A volte ritornano (parte 1) ***
Capitolo 10: *** A volte ritornano (parte 2) ***
Capitolo 11: *** Quinto mese o cos'è un nome ***
Capitolo 12: *** Nuovi incontri e vecchi scontri ***
Capitolo 13: *** Sesto mese o ti amo da vivere ***
Capitolo 14: *** Non fermarsi mai alle apparenze ***
Capitolo 15: *** Settimo mese o ad un passo dal cielo (parte 1) ***
Capitolo 16: *** Settimo mese o ad un passo dal cielo (parte 2) ***
Capitolo 17: *** Koi no yokan ***
Capitolo 18: *** Nuovi capitoli ***
Capitolo 19: *** Ottavo mese o aria di casa ***
Capitolo 20: *** Confidenze e conoscenze ***
Capitolo 21: *** Ferragosto di fuoco ***
Capitolo 22: *** Non solo padri ***
Capitolo 23: *** Nono mese o Piccoli Grandi Traguardi ***
Capitolo 24: *** Segreti e mezze verità ***
Capitolo 25: *** 39+4 o quando nasce un genitore ***
Capitolo 26: *** Ieri e Oggi ***
Capitolo 27: *** Sunshine ***
Capitolo 28: *** Noi Casomai ***



Capitolo 1
*** Natale in casa Nappi ***


Capitolo 1 - Natale in casa Nappi









Il grande albero era stato addobbato. Luci, palline, biscottini di pan di zenzero, tutto contribuiva a diffondere nel grande salone della foresteria i profumi e le luci delle feste.
Vincenzo aveva faticato ad abituarsi al Natale a San Candido. Il freddo, la neve che arriva fino alle ginocchia, le tradizioni diverse. Gli mancavano il capitone della vigilia e la tombola "scostumata" che non finiva mai, gli struffoli di mammà e il chiasso della gente a passeggio lungo la via dei Presepi; in Alto Adige c'erano i Mercatini di Natale, ma non erano proprio la stessa cosa.
Le casette di legno in centro e le corone dell’Avvento accese in ogni casa non potevano rimpiazzare il presepe di sughero, con i pastori che coprono ogni centimetro. Gli strauben e gli zelten per quanto buoni, non avrebbero mai sostituito i dolci fatti in casa dalle signore del quartiere.
Eppure quell’anno Vincenzo, per la prima volta, non aveva nessuna malinconia al pensiero dell’ennesimo Natale lontano da Napoli. Tutto quello che poteva desiderare, in fondo, lo aveva con sé. Mela – nemmeno lui la chiamava più con il suo nome di battesimo, ormai – era con lui, e si apprestavano a festeggiare il suo primo Natale. Insieme.
E con loro, quella banda di matti che si era scelto come amici. Anzi, come famiglia. Una grande famiglia allargata. Huber e la sua strampalata tribù. Valeria, che per Mela – così come per Vincenzo, era qualcosa di più che una semplice amica. Emma e Francesco, per i quali tutta la caserma e il commissariato avevano penato e tifato, nei lunghi mesi di tira e molla. Loro ce l’avevano fatta, al contrario di lui ed Eva. Ma Emma e Francesco avevano qualcosa che lui ed Eva non avrebbero avuto mai. Erano anime gemelle. Vincenzo avrebbe voluto dirglielo a quei due testoni, quando si erano messi in testa che - testuali parole - "si facevano soltanto del male". Ma almeno alla fine avevano capito: quel male va preso quanto il bene e affrontato a viso aperto.
Con Eva invece le cose erano ben diverse. Si erano voluti bene, ci avevano provato, ma un giorno Vincenzo aveva dovuto arrendersi e aprire gli occhi di fronte alla realtà: erano troppi diversi e le loro esigenze inconciliabili. Non si trattava semplicemente di decidere se abitare in paese o in una casetta lontana dal centro oppure se scegliere, per la bambina, un nome tradizionale italiano oppure uno spagnolo. Per Eva, pensare ad una vita insieme, non era fattibile. Le famiglie abitano sotto lo stesso tetto, condividono le gioie, i dolori, i progetti e le speranze. Come poteva un commissario di provincia, quasi di frontiera, conciliare la sua vita relativamente tranquilla ed abitudinaria con le aspirazioni di fama e notorietà di una donna che aveva dedicato tutta la sua vita ai flash delle telecamere e al glamour dei red carpet? Entrambi, infatti, si erano resi conto che aprire il B&B non era davvero il sogno della ragazza, ma la proiezione di ciò che Eva voleva dimostrare a Vincenzo: essere qualcosa di più di un bel corpo stampato sulla copertina di qualche rivista. Vincenzo non aveva mai messo in dubbio la sua intelligenza, ma su Eva aveva riversato tutto quello che cercava in una donna e aveva provato a modellarla, inconsciamente. Loro sì, che si erano fatti del male. Ma no, Vincenzo non avrebbe mai rinnegato il suo passato e le sue scelte. Come poteva? A Mela non avrebbe mai rinunciato. Semplicemente, aveva compreso che era ora di andare avanti.
Con Eva lontana, bloccata per lavoro a Madrid, Vincenzo ci provava davvero a fare in modo che la piccola mantenesse un contatto con la madre, attraverso piccoli video, foto e videochiamate. Ma come la mantieni una bimba di 10 mesi ferma davanti ad un cellulare per più di 10 secondi? La piccola aveva da poco iniziato a muovere i suoi primi passi e Vincenzo si sentiva, da buon papà del Sud, come se avesse dovuto accompagnarla all'altare di lì a poco e avesse dovuto separarsi da lei per sempre. Ogni volta che provava ad allungare la distanza delle sue esplorazioni, incoraggiata da Isabella e Valeria, Vincenzo correva a prenderla in braccio. Alle proteste di Vincenzo, che riteneva troppo presto per la bambina camminare così tanto da sola, Valeria rimbrottava, perplessa : "Vincenzo, ti rendi conto che Mela stava solo tentando di arrivare da questo divano a quello di fianco?!" Ma Vincenzo faceva spallucce e continuava imperterrito nella sua missione di tenere Mela con sé - e con sé intendeva in braccio, naturalmente - fino ai trent'anni. E anche allora, se ne sarebbe dovuto discutere con molta calma.
 
 
Se c'era una cosa che Francesco detestava dell'inverno a San Candido era dover rinunciare ad andare a cavallo. Il freddo e la neve copiosa limitavano le sue corse con Oliver in giro per i boschi. Però, si convinse, prima o poi avrebbe comunque dovuto arrendersi all'idea di usare il suo amico a quattro zampe solo per il lavoro: con Emma erano ben determinati, appena i medici avessero dato il loro assenso, a far crescere la loro famiglia. La stessa palafitta, sperava, ben presto sarebbe stata stretta e poco pratica per loro.
Entrando in casa, trovò Emma in bagno ad asciugarsi i capelli di fronte allo specchio. Mentre spazzolava i lunghi capelli, poco sopra la nuca si intravedeva ancora quella piccola porzione di capelli che aveva dovuto radere qualche mese prima, per l'intervento. Francesco le si avvicinò e abbracciandola alle spalle, poggiò un lieve bacio proprio lì, sulla cicatrice. Erano stati giorni lunghi e difficili, ma era tutto passato. Ancora poche settimane di attesa prima dell'ultimo controllo che, speravano, avrebbe fugato ogni dubbio: entrambi erano nervosi al pensiero, ma cercavano di non darlo a vedere. Era Natale e volevano godersi le loro prime feste insieme.
"Buonasera, signora Neri!"
Emma si lasciò andare ad un sorriso. Non sapeva nascondere il suo orgoglio ogni volta che lui la chiamava così. Aveva voluto sposarla in fretta - non sarebbe stato Francesco, l'uomo degli estremi, se non l'avesse fatto - appena tornata a casa, prima che iniziasse il freddo, ma non c'era nulla che avrebbe cambiato delle loro nozze: la piccola chiesetta, i loro amici lì con loro e una cena sulla terrazza per i pochi intimi che li avevano sempre sostenuti. Poi, quando tutti se n'erano andati, Emma aveva fatto partire una canzone da una playlist sul cellulare e aveva preteso un lento da Francesco. Solo loro, alla luce della luna e della lampada fioca che illumina il terrazzo della palafitta. Non si poteva veramente dire che avevano ballato, certo, non nel vero senso della parola. Abbracciati, talmente stretti che nel silenzio della sera potevano sentire l'un l'altro i battiti dei loro cuori, avevano finito per ciondolare sul posto, senza dirsi una parola, ad occhi chiusi, eppure era come se si fossero detti tutte le parole d'amore che i poeti avevano scritto. Non avevano bisogno di nient'altro, erano nella loro bolla, nel loro mondo. Ed erano felici.
"Vincenzo ha chiamato" gli disse, fingendo disinteresse alle effusioni in cui il marito continuava ad indugiare "ha raccomandato di non fare tardi, perché la sua sopportazione delle canzoni di Natale di Huber ha un limite". Le conosceva bene, Francesco, quelle canzoni. Erano settimane che il poliziotto le cantava, mentre provava ad addobbare la caserma, con Vincenzo che puntualmente lo rincorreva per smontare tutto. Non si trattava semplicemente di "Bianco Natale" o "Tu scendi dalle Stelle", oh no!, erano rivisitazioni alla Huber, con monti, valli e naturalmente mandrie di bovini. La durata? Venti minuti e 10 strofe. Francesco rideva sotto i baffi, fingendo compostezza, quando iniziava il teatrino quotidiano, ma Vincenzo aveva ragione: a tutto c'era un limite, soprattutto la notte di Natale. Ma quando restava solo con sua moglie ogni buon proposito difficilmente andava in porto.
"Mmmm" protestò, mentre le posava un bacio sulla spalla "incomincia a far molto freddo…perché non ce ne restiamo qui stasera?"
“Perché altrimenti il nostro testimone di nozze ci toglie il saluto?!" suggerì Emma, ironica. Per Francesco, però, non sembrò una spiegazione sufficiente.
"Dai amore…io e te, la stufa accesa, sotto il piumone…magari inizia anche a nevicare"
Effettivamente l'aria era cambiata. Mentre girava in centro a San Candido, per gli ultimi acquisti, aveva sentito nell'aria un profumo diverso. Non tutti riuscivano a percepirlo, ma lei sì. Era dolciastro ma allo stesso tempo pungente e secco, e insieme al freddo si stendeva sulla faccia e sulla mano da cui aveva tolto il guanto per rispondere ad un messaggio sul telefono. Aveva letto che per ognuno aveva un profumo distinto, fatto di sensazioni e di ricordi. Per lei aveva l'aroma di Sacher torte, del legno bagnato della palafitta. Era l'odore di Innsbruck, delle corse che aveva fatto con Francesco per ripararsi dal gelo quando l'aveva trascinato a forza a vedere una mostra all'Hofburg e a mezzogiorno la temperatura era di - 8°; la neve aveva assunto l'odore dei suoi baci sotto i portici, della cannella e delle arance che aromatizzavano i bicchieri bollenti di vin brûlé. Aveva, per caso, scoperto che anche lui riusciva a distinguerlo, quell'odore particolare che ha l'aria poco prima che inizi a nevicare. Forse era un segno, forse era un'ulteriore prova della loro affinità e quando lo aveva pregato di descriverglielo non aveva potuto far a meno di versare una lacrima, di nascosto. C'era il muschio, il legno che brucia nella stufa, il tè verde, il  burro di cacao alla vaniglia e l'odore dei maglioni di lana lasciati negli armadi per lunghi mesi. Emma non poteva evitare di pensare che oltre a lei, la neve in Francesco evocasse il ricordo di Marco. Avrebbe voluto guarire e colmare quel vuoto, ma sapeva che non funzionava così. Il cuore si espande, fa posto per un'altra persona, un nuovo affetto, ma non si smette di amare chi ci ha lasciati. Francesco non voleva e non poteva dimenticare Marco, lei non poteva e non voleva dimenticare il loro bambino.
 
Non avevano parlato molto quella sera, quando lui era andato a riprendersela, lungo la strada che portava verso l'autostrada. L'aveva rincorsa a cavallo e lei aveva pensato che era successo, alla fine Francesco aveva dato di matto. L'aveva fatta salire in groppa e l'aveva condotta davanti ad una chiesetta. "era qui che volevo sposarti" le disse. Lei era distrutta dalla sua schiettezza, dallo spiattellarle quel desiderio così forte andato in fumo per colpa sua. Se le circostanze fossero state diverse avrebbe riso: quella chiesa era troppo piccola per il matrimonio che Huber avrebbe preteso di organizzare, con la banda del paese e tutti i bambini della scuola elementare a fare da damigelle e paggetti. A malapena ci sarebbero entrati gli sposi, il prete e i testimoni. Era perfetta.
"Mi hai fatto male" le disse…sì era vero, aveva tradito la sua fiducia; peggio, lo aveva tradito con la persona che più di tutte gli aveva fatto del male. Ma quello che segui la spiazzò ulteriormente: lui non la odiava, non poteva "il bene che mi hai donato vale di più di ogni incomprensione, di ogni torto e di ogni mancanza…di cui io sono altrettanto colpevole".
Dire che avevano fatto l'amore, tornati in palafitta, sarebbe stato riduttivo. Si erano ritrovati, riscoperti. Le labbra vagavano lente su ogni centimetro di pelle, la studiavano, la veneravano; le mani si rincorrevano, intrecciandosi. E gli occhi, ridenti e brillanti, sorridevano reciproci, nonostante il buio della stanza. Alle prime luci dell'alba, il torace di Francesco a farle da cuscino, Emma ancora non riusciva a prender sonno. Non voleva perdersi alcun instante di quella notte che ormai stava finendo. Ormai non ci sperava più; anche lei si era convinta che come coppia non funzionavano, per quanto ardentemente lo volessero. Ma qualcosa dovevano pur valere, se il mondo sembrava fermarsi quando erano insieme.
Anche lui era sveglio, le accarezzava dolcemente la schiena nuda, ma non proferiva una parola. Pensò allora alla sua decisione di proseguire con l'intervento. Nonostante i rischi e le paure di lui, era giusto, ora più che mai. Non sopportava di vederlo nascondere l'angoscia ad ogni minimo mal di testa, le preoccupazioni mal celate quando la lasciava da sola, vivere la propria vita di coppia come se ogni istante fosse l'ultimo. E poi voleva diventare madre: avere un figlio da lui e dargli un figlio, mettere al mondo un esserino che fosse la sintesi perfetta di quell'amore e l'estensione di sé fuori dal proprio corpo. Di più: voleva crescerlo insieme a lui, fare le nottate in bianco tra poppate, pannolini e colichette, ritrovarsi a ridere come due stupidi ad ogni verso e ad ogni nuova scoperta, emozionarsi di fronte ai suoi primi passi e vederlo prendere il suo posto nel mondo, camminando insieme, come una vera famiglia. Come se le leggesse nel pensiero, Francesco, preso un grosso respiro, trovò il coraggio di parlarle del loro angelo, come lo aveva chiamato, come non era stato capace di fare settimane addietro, quando per entrambi la ferita era ancora fresca ed il timore di farsi male era più grande della necessità di lenire il dolore lasciato dalla perdita del loro bambino. Lui lo voleva, confessò, più di ogni altra cosa; non per quello avrebbe o meno rappresentato per lui "ma perché tu sei l'amore della mia vita … nessun'altra persona al mondo vorrei al mio fianco per diventare padre. Solo tu." L'aveva vista con la figlia dei Kirk in braccio, solo pochi giorni prima, ed il suo cuore si era fermato, al pensiero che, se solo fosse stato davvero l'uomo giusto che si gloriava di essere, molte delle cose successe si sarebbero potute evitare. Se non si fosse fatto prendere dal panico forse avrebbero avuto il loro bel da fare per accogliere l'arrivo di una bambina tutta loro, anziché rimettere insieme i cocci di una storia partita male e che rischiava di finire peggio.
Lei, allo stesso modo, incalzata dalle sue parole e rincuorata dal calore del suo abbraccio, dalle dita che giocavano con i suoi capelli, si tirò su, incrociando il suo sguardo. Non c'era difficoltà, né dolore o recriminazione. Stavano semplicemente aprendo i loro cuori, come non avevano mai fatto davvero fino a quel momento, entrambi con la mente sempre da qualche altra parte per affidarsi completamente a quel sentimento che li univa. Gli parlò, senza mai staccarsi dai quegli occhi verdi, dolci e forti allo stesso tempo, di quanto si era sentita in colpa per non essersi presa cura di sé in quelle prime pericolose settimane, nonostante fosse chiaro che la sua era una gravidanza a rischio, di come avesse un bisogno disperato di averlo vicino, perché in fondo, nonostante tutte le parole sputate e tutte le recriminazioni, rimaneva il padre del suo bambino, ma soprattutto l'uomo che amava, eppure ogni volta qualcosa andava storto, ammise di essersi sentita sporca quando si era resa conto di quello che era successo con Kroess, di come era andata totalmente in blackout da non ricordarsi di nulla e che  avrebbe voluto solo sprofondare nel terreno quando lui le fece la proposta. Ma era l'unica persona che voleva accanto a sé, voleva solo provare a ricominciare daccapo.
Lui la lasciò parlare, calmo e ogni tanto le sistemava dietro l'orecchio quella ciocca ribelle che sfuggiva mentre animatamente gli parlava. Entrambi si sentirono catapultati a quei giorni che sembravano ormai appartenere ad una vita passata, quando da perfetti sconosciuti erano in grado di parlare di sé a cuore aperto, non senza difficoltà, ma senza pregiudizi e con la libertà di chi non ha aspettative. Così si erano innamorati e così si stavano innamorando di nuovo.
Emma gli rivelò che aveva fissato la data dell'operazione; poco più di dieci giorni la separavano dall'ora della verità. Francesco ebbe un sussulto e i suoi occhi, da limpidi e sereni, divennero immediatamente cupi. Girò lo sguardo verso la finestra, verso i monti che avvolgevano la casa sul lago. Lei prese il volto tra le sue mani, obbligandolo ad incrociare e sostenere il suo sguardo: gli sorrise e, lentamente, andò a posare le sue labbra su quelle di lui. Era difficile, a quel punto, distinguere dove finiva il sapore di lui e dove iniziava quello di lei, quella notte erano davvero diventati una cosa sola. Staccatasi, con la mano accarezzò la fronte corrucciata di Francesco, a voler stendere quella ruga che l'ennesima preoccupazione gli stava provocando. Non voleva perderlo, gli spiegò, ed il pensiero di affrontare un'operazione così rischiosa, proprio ora che si erano trovati davvero, la faceva tremare; tuttavia era la stessa ragione per cui era determinata ad andare avanti. Sperava che lui lo capisse.
Lui non capiva, ma lo accettò comunque. Era una scelta che, sebbene li riguardasse entrambi, non spettava che a lei. L'avrebbe rispettata, perché l'amava. Emma aveva portato energia e luce nella sua esistenza, gli aveva ridonato la vita che la morte di Marco si era portata via, e non avrebbe permesso che quella luce si spegnesse; non poteva obbligarla, per paura, ad una sopravvivenza fatta di sacrifici e rinunce. "Ti starò vicino" giurò "qualunque cosa succede; e se si perde, perdiamo insieme"
 
Ma Emma quella battaglia l'aveva vinta. Nel momento più buio, quando sembrava che le cose stessero andando per il verso sbagliato, si stretta alla vita che l'aspettava fuori dall'ospedale, all'uomo che amava e a quella lista che, un po' controvoglia, aveva compilato per fargli piacere, come quella che aveva con sé al suo arrivo tra le montagne.  Passare una notte in tenda per vedere l'alba dal Monte Becco, vedere il sole tramontare nel mare, tornare a vedere i suoi lupi, giocare una partita a curling, insegnare a Francesco a ballare, dare 7/8 nipotini a zio Vincenzo "che ci tiene assai" … SPOSARE FRANCESCO. Lui aveva aggiunto a caratteri cubitali questa frase alla fine della lista, rubandogliela tra le mani il pomeriggio prima del ricovero, quando fuori pioveva ed Emma aveva convinto Francesco  a rimanere sotto le coperte tutto il giorno. Quando lesse quelle parole, faticando a trattenere un  sorriso, Emma prese la penna dalle mani di Francesco, calcando forte ogni singola lettera e sottolineando il testo. "lo voglio" riuscì a stento ad affermare, prima che il suo uomo - adorava quell'espressione - l'abbracciasse placcandola nel lettone per coprirla di baci.
E lui le leggeva quella lista ogni giorno, ogni turno visite quando, bardato di cuffia e camice e guanti, andava a farle visita in rianimazione. Sette lunghi giorni in cui non sapeva se avrebbe rivisto il suo sorriso o sentito la sua voce.
A volte, di notte, il ricordo di quei giorni tornava a galla nella memoria di Francesco sotto forma di incubi. Quando si risvegliava, di soprassalto, la trovava lì, al suo fianco, placidamente addormentata, i lunghi capelli sciolti e disfatti sul cuscino, le lunghe gambe candide intrecciate alle sue. Alle rimostranze di Francesco sui piedi gelati, Emma ironizzava "tu sei la mia borsa dell'acqua calda, ora, arrenditi". Poteva dissentire? Ovviamente no. Se mai lui avesse detto che gli asini volano, Emma probabilmente gli avrebbe dato ragione, come poteva protestare di fronte a sua moglie - sua moglie, non ci si sarebbe mai abituato - che voleva solo dormire abbracciata a lui?
Emma non era all'oscuro degli incubi di Francesco. Il vantaggio di dormire stretti era di sentire ogni minimo movimento. Ma sapeva che suo marito era una persona tanto riservata quanto sensibile e si rendeva conto che, in alcune circostanze, era meglio lasciarlo smaltire da solo. Le era capitato già, talvolta, di consolarlo in piena notte, quando i suoi fantasmi, prepotenti, non lo lasciavano dormire. Quegli incubi avevano dei nomi ben precisi: Marco, Livia, Kroess, Gunther, Leo … ora però era ben conscia che anche il suo personale calvario si era aggiunto al novero  dei suoi tormenti.
Talvolta, rimanendo ad occhi chiusi, fingendo di dormire, sentiva le sue mani grandi e forti accarezzarle il volto, 
le sue labbra le sfioravano la fronte e solo allora Francesco tornava a stendersi di fianco a lei, probabilmente vegliandola finché il sonno non aveva la meglio su di lui. Altre volte, invece, lo sentiva muoversi fino ai piedi del letto, il respiro chiaramente affannato, alzandosi con cautela per non svegliarla. Quelle notti erano le peggiori. Sapeva di non dover lasciarlo solo. Temeva che potesse decidere di lasciare la palafitta per andare a sfogare le sue angosce tra i boschi o tra le acque ghiacciate del lago. Quando glielo aveva lasciato fare, era tornato a casa peggio di come se n'era andato. Allora, quando sentiva il cigolio della porta a vetro, Emma lo raggiungeva in terrazza, dove sapeva che sarebbe stato per qualche minuto, sporto dal parapetto, lo sguardo perso nel nero delle acque del lago. Di solito gli porgeva una coperta e lui, senza dire una parola, con un abbraccio avvolgeva anche lei.
Quella sera, complice anche l'euforia della vigilia di Natale, non c'era un briciolo d'inquietudine nella mente e negli occhi di Francesco. Emma sentiva la differenza fin nelle più piccole dimostrazioni d'affetto, che non le aveva mai fatto mancare: laddove poteva percepire il timore di farle male, quasi fosse una bambola di porcellana, la ritrovata serenità lasciava il posto a gesti pieni ed energici, convinti e coinvolgenti. Controvoglia l'aveva spedito sotto la doccia e ancor più controvoglia aveva desistito al progettino niente male di rimanere a casa, anziché andare a cena da Valeria e Vincenzo in foresteria.
 
Ai metodi pedagogici spericolati di Valeria e Isabella, Vincenzo preferiva di gran lunga quelli affettuosi e delicati di zio Francesco e zia Emma, tra le cui braccia Mela sembrava sempre trovarsi molto bene. Per quanto fosse geneticamente geloso di chiunque prendesse sua figlia in braccio, Vincenzo era piuttosto tollerante dei confronti dei suoi due migliori amici, anche se ancora non aveva accettato l'idea che Mela potesse preferire zio Francesco a papone suo - eccola là, pure lei, ti pareva … borbottò anche quella sera, mentre, appena varcata la soglia, la piccola letteralmente si era buttata tra le braccia del forestale.
"Non è colpa sua, povera piccola" la giustificava Emma "difficile resistergli quando sorride". Valeria e sua nipote Isabella le facevano il verso dietro le spalle. Emma lo sapeva ma alzava gli occhi al cielo, noncurante. Aveva dovuto lottare con le unghie e con i denti per prendersi quel briciolo di felicità che non si sarebbe fatta più alcuno scrupolo a mostrarla.
"Mm, va bbuo', ma mo vedete di metterla pure voi in cantiere 'na creatura…" esclamò, riappropriandosi della sua bambina, "non è che potete andare avanti a prestito in eterno". Vincenzo sapeva quanto l'argomento fosse delicato per loro, la perdita del bambino era una ferita forse mai veramente sanata, ma se c'era qualcuno a cui era permesso fare battutine, era proprio il commissario. Li aveva capiti, anche quando non si capivano neanche loro, li aveva sostenuti, anche quando la migliore cosa da fare sarebbe stata tirarli per l'orecchio dentro una stanza, chiuderli dentro e buttare via la chiave, ordinandogli di parlarsi.
"Tempo al tempo" spiegò Francesco, mentre aggiustava il vestitino della piccola, che si stava dimenando tra le braccia del padre - come al solito Vincenzo l'aveva vestita troppo pesante - "abbiamo bisogno del semaforo verde dei medici … anche se qualcuno in questa stanza la pensa diversamente". Rivolse lo sguardo verso Emma, che arrossì. Sì, pensò lei, i medici non avevano dato ancora il loro benestare, ma si sentiva bene e in tutti i controlli fatti non c'era stato nessun campanello d'allarme che potesse far pensare ad una recidiva; non vedeva perché nell'ultimo controllo le cose sarebbero dovute andare diversamente. Ovvio, c'erano momenti in cui anche era dubbiosa e le paure tornavano a galla; ma aveva superato l'ostacolo più alto, si rifiutava di pensare in negativo.
"Tutto a suo tempo e rape in Avvento"… si girarono tutti verso la porta d'ingresso, ma non c'erano dubbi su chi avesse potuto esordire con una frase del genere. Huber Fabricetti, l'assistente capo di polizia, che con la sana follia portava sempre scompiglio nel Commissariato di San Candido. Spesso il Commissario aveva messo in discussione le sue doti di poliziotto, ma negli anni aveva imparato ad apprezzarne la bontà profonda e l'affetto sincero. Avrebbe gradito un po' più di silenzio e di privacy, ma in generale non poteva lamentarsi del suo più stretto collaboratore. Si era presentato in foresteria, assieme alla sua signora e ai loro  figli, rigorosamente in abiti tirolesi. Fuori la temperatura era scesa sotto lo 0 e loro andavano in giro in lederhosen e dirndl scollati…Vincenzo, patologicamente freddoloso, corse a prendere una copertina per Mela solo vedendoli arrivare.
"Cooommissario…" spiegò Huber, alla disapprovazione del suo superiore di fronte ad una mise non proprio adatta all'inverno della Val Pusteria "vorrà dire ch-che fa-fa-faremo quaaalche brindisi di più. Il mio povero nonno diceva sempre Qua-quattro b-bicchieri fanno una b-booottiglia e t-t-tree litri fanno un taabarro" "Eh … e magari te fann' pure nu fegato tanto!!!"
Nonostante i lunghi anni di servizio trascorsi assieme, nonostante Huber fosse il padrino di Mela, i due non erano mai andati oltre il lei. Più che una formalità dettata dal luogo di lavoro, era un piccolo rituale che negli anni si era consolidato e non era mai venuto meno, nonostante la profonda amicizia. Le loro schermaglie da duo comico consolidato erano la colonna sonora di ogni giornata lavorativa e coloravano anche le rare occasioni in cui, tutti insieme, si riunivano al di fuori dell'orario di servizio.
 
La serata era scivolata via come tutte accade per tutte le feste in famiglia: chi si lamenta perché le porzioni sono troppo abbondanti, chi viene rimproverato dalla consorte perché sta mangiando troppo, ragazzine che vengono riprese perché sempre al telefono col moroso, bambini che fanno a gara a chi strilla di più e adulti che li incolpano dei loro mal di testa.
Mela, mascotte di casa, era crollata tra le braccia di Emma, che la cullava dolcemente e le sussurrava una ninna nanna. La piccola era riuscita ad addormentarsi nonostante tutto il chiasso fatto dai più grandi mentre il suo padrino, Huber, vestito da San Nicola, distribuiva i regali a tutti gli invitati, tentando malamente di non farsi riconoscere dai suoi bambini più piccoli. Emma colse l'attimo, tirandosi fuori da quella baraonda, non appena intravide la piccola sbadigliare e ciondolare un poco la testa, mentre era ancora nel seggiolone.
"Tutto bene?" una voce più che familiare domandò, facendo scivolare la porta scorrevole della stanza di Vincenzo. Emma, seduta sul lettone, la bimba ancora stretta al suo petto, sorrise, annuendo a suo marito "Solo troppo casino e aria viziata…ora va meglio". Francesco sapeva che, sebbene perfettamente ristabilita, c'erano ancora alcune circostanze in cui Emma faticava e la confusione era una di quelle. "Colpa mia" si rimproverò "non avrei dovuto accettare l'invito di Vincenzo"
"Non dirlo neanche per scherzo" lo rimproverò la moglie, battendo la mano sul letto, invitandolo a sedersi di fianco a lei "questa è la nostra famiglia…e sono stata benissimo, avevo solo bisogno di 10 minuti per recuperare, tutto qui"
"sicura?" domandò lui, apprensivo.
Emma annuì, accarezzandogli il volto. Il suo viso era stato indurito dai dolori e dalla guerra, dal freddo e dagli anni, ma Emma riusciva a scorgere, dietro quell'apparente freddezza e razionalità, il suo lato più intimo e fragile, ancora più speciale perché era davvero solo suo. Il mio Francesco come lo chiamava lei, orgogliosa e territoriale.
Per tutta risposta l'uomo poggiò la sua fronte a quella di lei, respirando l'uno l'odore dell'altro, come a volerle offrire tutta l'energia che poteva. "Buon Natale" le sussurrò. "Buon Natale" rispose lei "torniamo a casa".
 
Quella notte, quando Vincenzo si alzò, per andare in bagno, notò che la temperatura in casa era scesa molto; scrutando fuori dalla finestra, si accorse, nonostante il buio, della neve che cadeva silenziosa e lenta, accumulandosi ancora sull'abbondante coltre che già rivestiva tutto il paesaggio. Gli scappò un sorriso. In lontananza, a dispetto dell'ora particolarmente tarda, vide che le luci della casa sul lago erano ancora accese...




 


Angolo dell'autrice

Salve a tutti! In questa sezione ho già scritto una One Shot dal titolo "Non posso perderti" nonché altre ff, in altre sezioni.
Un Passo dal Cielo è una fiction molto importante per me, non solo per la bellissima storia di Emma e Francesco, che credo ci abbia fatto innamorare un po' tutti, ma perché mi ha dato la possibilità di conoscere, anche se solo virtualmente, persone straordinarie. 
Il titolo di questa storia è tratto da una canzone dei Tiromancino su cui ho costruito un video che potete vedere su Youtube. Ho già scritto un altro paio di capitoli, ma è tutto ancora molto vago. Questo è più che altro un esperimento che ho voluto fare...un'esigenza personale perché le prospettive per questa bellissima coppia, e per gli altri personaggi, stando alle ultime indiscrezioni, non sono proprio rosee. sSiccome è po' non scrivo una storia così lunga, spero avrete buon cuore e non sarete troppo cattive con me. Recensite mi raccomando!!!
A presto


Federica

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Me e te, insieme ***


Capitolo 2 - Me e te, insieme

 

 






Le feste natalizie erano trascorse, così come le celebrazioni per il nuovo anno. La vita, a San Candido, tornava a scorrere tranquilla. Le casette di legno dei Mercatini in centro erano state smontate, le luci e le decorazioni non illuminavano più le strade e le case, i turisti non scendevano più a valle per il passeggio, ma limitavano ad affollare le piste ed i resort in alta quota.
Anno nuovo, vita nuova: sembrava essere il mantra di tutta la compagnia. In particolar modo di Emma, piena di vita e nuovi propositi; la giovane etologa aveva, infatti, iniziato a mettere in piedi un nuovo progetto da proporre al Comune: far avvicinare i bambini, sia quelli del paese e quelli della comunità di migranti che abitavano nello SPRAR, alla fauna dei boschi limitrofi, attraverso lezioni frontali, lavoretti manuali di gruppo e naturalmente lunghe passeggiate nei boschi; Francesco aveva approvato da subito la sua iniziativa, da marito, che aveva ritrovato la Emma solare e un po' matta dei loro primi incontri, e da Comandante della Forestale, perché significava accompagnare la comitiva per i boschi come guida e scorta. Lui, che come proposito dell'anno nuovo aveva deciso di dedicare quanto più tempo poteva a sua moglie, aveva trovato il modo perfetto; naturalmente le aveva fatto promettere di non strapazzarsi troppo e di tenerlo sempre aggiornato, senza fare, come al suo solito, l'eroina in solitaria.
Lavorare insieme, anche solo per stilare una relazione o tracciare una mappa, li riportò indietro ad un paio di anni prima, quando Emma si trasferì a San Candido per studiare sul campo, da dottoranda, i branchi dei lupi che popolavano quell'area delle Dolomiti. Anche Francesco, come Emma, era approdato da pochi giorni sulle sponde di quel lago, che ora era diventato letteralmente la loro casa, quando, per uno strano scherzo del destino, Francesco si trovò a salvarle la vita a seguito di una bravata: lei non sapeva nuotare e, ciò nonostante, aveva deciso di provare a fare un bagno nel lago. Francesco, quando ci ripensava, ancora scuoteva la testa, incredulo e divertito. Ricordava come se fossero passate solo poche ore quel primo incontro, quella ragazza che a lui era sembrata sciroccata, ma che lo aveva travolto con il suo sorriso e con quella luce che le veniva da dentro. Non potevano sapere, allora, che lei avrebbe restituito il favore in più di un'occasione, prendendolo per i capelli e tirandolo fuori da quel baratro fatto di solitudine e dolore, in cui era sprofondato a seguito della morte di suo figlio. Lui si sentiva sempre in dovere di salvare tutti, per compensare il peso della colpa che sentiva addosso come un macigno, credendosi esclusivamente responsabile della tragedia accaduta al figlioletto. Senza accorgersene, però, lei aveva salvato lui; lei che era malata, lei che rischiava la vita ogni singolo giorno, lo aveva spinto a rischiare, a vivere, perché ne vale sempre la pena. "Bisogna lottare" lo aveva spronato, in lacrime "e bisogna andare avanti". 
E lo stava facendo: lottava, ogni giorno, per lasciarsi i fantasmi alle spalle, andando avanti, facendo riaffiorare solo i bei ricordi, anziché le tragedie e gli incubi. Con Emma al suo fianco, tutto era più semplice.
 Con l'avvicinarsi dell'ultimo controllo post operatorio però … non proprio l'ultimo, perché regolarmente avrebbe dovuto farne, ma era quello cruciale, l'aria in casa Neri si era fatta alquanto tesa. La voglia di liberarsi di quel macigno definitivamente, l'attesa per il responso sulla fattibilità di una gravidanza per Emma e la paura che ci fossero delle complicazioni, avevano reso i due un po' scostanti. Complice anche una lieve influenza, Emma teneva Francesco a distanza, più di quanto lui desiderasse. Aveva persino voluto andare da sola a fare i prelievi e gli altri esami prescritti dal neurochirurgo. Alle rimostranze di Francesco, aveva risposto con delle scuse un po' balorde, che avevano messo l'uomo un po' all'erta. Terrorizzata com'era dagli aghi, nonostante ormai fosse avvezza alla pratica clinica, non avrebbe mai affrontato quella tortura da sola, se non costretta.
Il giorno della visita, all'orario concordato, Francesco andò in caserma di mattino presto, in borghese, per sistemare alcune disposizioni per la giornata ma, all'orario concordato con la moglie, lasciò tutto e scese le scale della caserma per aspettarla nel parcheggio. Emma già l'aspettava. Si vedeva da lontano un miglio che era agitata: passeggiava avanti ed indietro di fianco alla sua auto, giocherellando con il portachiavi, nervosamente. "Emma" la chiamò, andandole incontro. Lei azzerò la distanza, abbracciandolo forte. In quell'attimo tutti i sospetti e le paure di Francesco svanirono. Sentirla vicina, sentire che aveva bisogno di lui, gli rimetteva sempre l'anima in pace.
Mentre si mettevano in auto, Vincenzo si buttava giù per le scale a capofitto, sbracciandosi per richiamare l'attenzione del forestale "France'! Francesco!" strillò. Affannato dallo sforzo atletico, poco consueto per il Commissario, avvisò l'amico e collega che c'era stato il ritrovamento di un cadavere sulle piste da sci sotto la parete nord del Picco del Vallandro, su una pista rossa. Era quindi necessario che la forestale lo accompagnasse in quota con i suoi mezzi.
"Chiedi a Valeria" rispose Francesco. "Ma come?" chiese stupito il commissario "non sei tu quello che quando c'è un omicidio è sempre il primo ad arrivare sul luogo del delitto e puntualmente mi togli pure la soddisfazione di risolvere il caso?"
"Non questa volta" ribatté, lasciandosi scappare un leggero sorriso "devo accompagnare Emma in clinica … ultimo controllo"
Rientrato in auto spiegò la situazione ad Emma. La donna, per tutta risposta, lo invitò ad accompagnare Vincenzo.
"Ma che stai dicendo?" domandò stupito. "Ti dico di andare, tranquillo … guido piano e sto attenta, promesso"
"Non c'entra niente la guida … o meglio non è solo per questo" ribatté l'uomo, cercando di trovare una logica nelle parole della moglie "non possono non starti vicino oggi. Non voglio lasciarti da sola". Non voleva dirlo ad alta voce, ma tanto si erano capiti comunque. Se fossero arrivate brutte notizie, Francesco non si sarebbe mai perdonato di non essere stato lì, vicino a sua moglie.
"Non succederà nulla di male, vedrai" rispose lei, fiduciosa, pizzicandogli la guancia"e poi non voglio vederti imbronciato perché devi farti aggiornare da Vincenzo anziché essere in prima persona sul caso".
Adesso l'uomo era quasi sul punto di offendersi e arrabbiarsi. C'era stato un periodo in cui il lavoro era diventata la sua ossessione, lo aiutava a scaricarsi la mente dai pensieri e dalle preoccupazioni che la sua vita gli dava, ma non c'era altro posto in cui volesse essere in quel momento, se non affianco alla donna che amava e che aveva bisogno di lui; tuttavia quelle parole furono pronunciate con quel suo sguardo un po' birichino e a tratti seducente, a cui Francesco non sapeva resistere. Morale della favola, Emma riuscì ad avere la meglio e ad andare da sola a Padova, a tre ore d'auto di distanza, lasciando Francesco nel panico più totale. Vincenzo si pentì ben presto di averlo interpellato, aggrappandosi con tutte le sue forze alla maniglia d'appiglio e chiedendo la grazia alla Madonna di Pompei: la sua guida "sportiva", infatti, era peggiore del solito; avrebbe anche vomitato, se non fosse stato troppo impegnato a cercare di rimanere in vita. Una volta in quota, d'altronde, il capo della forestale non fu particolarmente d'aiuto. Con la pessima ricezione del cellulare, passò metà del tempo alla radio, per accertarsi se per caso Emma avesse lasciato messaggi per lui in caserma.
Come se non bastasse, a rendere il suo umore da nero a nerissimo contribuì anche sua moglie: invece di aggiornarlo costantemente, la donna decise di lasciargli solo qualche breve vocale informandolo dell'arrivo e della ripartenza, senza specificare l'esito del consulto, risolvendo, alla sua richiesta di maggiori dettagli, con un laconico "ne parliamo a casa". La cosa lo faceva stare sulle spine. In quelle condizioni, mentalmente fuori uso per il lavoro, tornò a casa prima. Sperò che sfogarsi con la legna da tagliare e preparare la cena lo avrebbero distratto. Tuttavia non riusciva togliersi dalla mente il pensiero di quello che Emma avrebbe potuto riferirgli e di certo non erano buone nuove se lo aveva liquidato così freddamente. Sperava non facesse sciocchezze ed era quasi sul punto di chiedere a Martino di tracciare il GPS del suo cellulare quando, quasi alle nove di sera, Emma non era ancora rientrata. Catastrofico com'era, non poteva che immaginare scenari apocalittici … ma, mentre indugiava in ipotesi e in strategie di problem solving, sentì il cigolio della porta d'ingresso che annunciava il ritorno di sua moglie. L'anticipò nell'aprire la porta del cucinino "Emma, Dio mio dov'eri? Mi hai fatto morire di paura!!!" esclamò, abbracciandola forte.
"Sì lo so perdonami" si scusò lei, stampandogli un bacio sulle labbra "ma mentre ero di ritorno sono passata davanti alla casa- famiglia e non ho saputo resistere, sono andata a trovare Leo". Leonardo era, come molte cose e persone nella vita di Emma e Francesco, un fulmine a ciel sereno, catapultato al momento sbagliato e nel modo sbagliato. Come se il destino non avesse già giocato abbastanza brutti scherzi ai due, per un certo periodo di tempo avevano creduto che fosse figlio di Francesco e della sua prima, defunta moglie, Livia. Francesco le attribuiva alla sua memoria il rispetto che si deve alla madre del proprio figlio, ma non si poteva dire che la donna lo avesse trattato con lo stesso riguardo, quando era in vita. Fin quasi all'ultimo lo aveva ingannato, insultato, persino incolpato della morte del loro figlio che era stata solo uno sfortunato, terribile incidente. Quando lui ed Emma si stavano avvicinando li aveva denigrati, nonostante la loro unione fosse finita da tempo, per poi allontanarli e mettersi tra loro, al solo scopo di controllarlo. Fino all'ultimo lo aveva raggirato, inventandosi l'esistenza di un secondo figlio, concepito poco prima della morte di Marco. Scoperta la verità su Leonardo, frutto di una relazione di Livia con Kroess, Francesco aveva iniziato a dubitare tutto di quello che le aveva detto. Non c'era ormai più modo di scoprire la verità, anche Kroess era morto ed anche lui, come Livia, aveva alle spalle una storia di bugie ed inganni. Come poteva fidarsi?! Leonardo, però, non aveva colpe, non era giusto che pagasse per i reati e le colpe dei genitori. Affidato di nascosto alle cure di genitori adottivi neo-nazisti e assassini, si era ritrovato, solo, in una casa-famiglia. Le sorelle adottive mandate da una zia in Germania e Klaus, il fratello adottivo, maggiorenne, era rimasto a San Candido, a prendersi finalmente un diploma dopo che il padre lo aveva allontanato dalla scuola. Ma non era veramente suo fratello, l'adozione era stata illegale e non poteva occuparsi di lui, per quanto gli volesse bene.
Francesco, per quanto consentito, avevano iniziato a prendersi cura di lui: non perché Kroess glielo avesse chiesto, in punto di morte, né per le preghiere tra le lacrime di Ingrid, sua madre adottiva che gli voleva bene sinceramente, ma perché era per sempre il fratello del suo Marco e non lo avrebbe mai lasciato solo. Emma naturalmente aveva compreso la situazione e aveva accompagnato Francesco in questo percorso: non era facile occuparsi di un bambino che si è trovato senza genitori da un momento all'altro, genitori il cui marcio non aveva potuto comprendere. Era solo un piccoletto di 4 anni, che viveva tra le montagne e i cavalli del padre e che amava giocare con i fratelli e andare a spasso nei boschi. Come dirgli chi erano i suoi genitori adottivi e che quelli veri non erano tanto meglio? Per adesso, si limitavano ad andare a trovarlo più che potevano, portandolo a spasso, facendogli passare più tempo che potevano con loro, in attesa che un giudice valutasse la migliore soluzione possibile.
"E allora? Non devi dirmi niente?" incalzò Francesco. "Sì, perdonami …" sospirò Emma, poggiando borsa, giaccone e malloppo di carte sulla poltrona di fronte alla grande porta-finestra che affacciava sulla terrazza "è andato tutto bene, come previsto." "Sicura?" chiese Francesco, titubante. Era troppo tranquilla, stranamente placida. Le altre volte, quando uscivano dalla stanza del neurochirurgo era tutta risate, abbracci e baci, era una lotta tra i due per contenere la sua euforia in luogo pubblico. Invece questa volta, per quanto i suoi occhi sembravano sinceri e luminosi come quelli di chi riceve buone notizie, Emma era inspiegabilmente distaccata, come se fosse andata ad un appuntamento in banca anziché ad una visita neurologica. Francesco temeva che stesse mentendo, anche solo per proteggerlo. "Sicura sicura?" ripeté, sollecitandola. "Ma siiiì!" lo rassicurò, tendendogli una carezza "Sono solo stanca…". Gli sorrise, porgendo la cartella clinica, seppur distrattamente, impegnata a cambiarsi in più comodi abiti da casa "Queste sono tutte le analisi, leggi tu stesso i referti". Forse doveva smettere di preoccuparsi inutilmente, si disse Francesco, mentre provava a dare un senso a quei fogli di analisi specialistiche. Forse era veramente solo una questione di stanchezza, d'altronde aveva dovuto fare un viaggio di ben sei ore tra andata e ritorno; doveva incominciare ad essere meno apprensivo con lei e meno severo con sé stesso. Emma, mentre Francesco scorreva con attenzione tutti i referti, si era messa a sbirciare sotto la pentola fumante in cucina, visto che l'odore l'aveva avvolta appena aveva messo piede in casa. Zuppa d'orzo e speck, la sua preferita.
"E quindi?" domandò Francesco; non voleva metterle pressione, ma al contempo era un desiderio che entrambe avevano, non se l'erano mai nascosto, perché nasconderselo proprio in quel momento. "Quindi cosa?" replicò lei.
"Adesso possiamo iniziare a pensare di avere un bambino?"
Emma sorrise, abbassando lo sguardo, tra l'imbarazzato e il divertito, mentre portava i piatti sul piccolo tavolino che Francesco aveva sistemato di fianco alla stufa. Emma adorava come lui aveva sistemato la palafitta, pratica ed essenziale, come erano loro. Si ricordava ancora il magazzino che aveva trovato quando si era avventurata di nascosto a sbirciare quella che una volta era la casa del suo amico Pietro. Era inciampata tra i remi di una vecchia barca e un kayak. Richiamato dai rumori, Francesco accorse all'interno. Francesco, ancora Francesco, sempre Francesco. Due anni dopo, quello stesso magazzino era diventato la loro garçonnière. Prima o poi doveva succedere, ma le sarebbe dispiaciuto lasciarla.
Alla sua risposta affermativa, Francesco la incalzò, avvicinandosi pericolosamente: "anche subito?", la voce profonda e calda. Emma lo scrutò, interdetta e sorpresa dalla reazione di suo marito. L'ultima volta che aveva avuto uno sguardo simile posato su di lei, come di chi ti sta mangiando con gli occhi, Francesco era tornato in palafitta fradicio per un temporale, non stavano neanche insieme, e a fatica era riuscita a controllare la tentazione di saltargli addosso. Ma non sarebbe stato da loro se fosse successo, se ne sarebbero pentiti entrambe ed avrebbe rovinato tutto quello che loro erano insieme. Quando erano insieme, d'altronde, entrambi cercavano dolcezza, romanticismo, forse un leggero trasporto … non di certo la foga, energica come una fiamma viva, ma veloce nell'ardere come un foglio di carta. Ma, del resto, non si può dire che la loro fase da luna di miele era conclusa. 
"Signor Neri!" lo riprese fintamente, giocando con l'orlo della maglietta di suo marito "cosa ha intenzione di fare? La prego di elaborare il suo concetto di subito…"
Francesco non se lo fece ripetere due volte. Con un movimento repentino, prese Emma in braccio e tra le risate la fece allungare sul letto. "Cos'è … adesso non sei più stanca?!" ironizzò lui, portandosi sopra di lei. Le pagliuzze dorate che impreziosivano i suoi occhi verdi, avevano invaso completamente i suoi iridi, come oro colato. Emma ci si sarebbe persa in quegli occhi da cerbiatto.  "Scemo!" protestò, tra le risate, tirandogli un debole scappellotto, ma tirandolo verso di sé.
La cena, in tavola, era decisamente destinata a freddarsi.
 
Nonostante Emma avesse, di fatto, tentato di fugare ogni paura dalla mente di Francesco, in lui persisteva il dubbio che la moglie gli stesse nascondendo qualcosa. Benché sembrava che la giovane avesse finalmente metabolizzato l'esito negativo delle analisi e quindi la sua guarigione, rendendola particolarmente di buon umore, c'erano dei momenti in cui sembrava distratta, sovrappensiero. La situazione privata, di conseguenza, non aiutava Francesco sul luogo di lavoro.
L'esame autoptico aveva confermato l'ipotesi di omicidio ed era venuto fuori che la vittima, noto albergatore della zona, non solo era dedita al bracconaggio, ma era anche implicata in un traffico illegale di selvaggina. La presenza del Comandante Neri e della sua squadra nelle indagini, dunque, si erano rivelata ben più del solito aiuto al commissario e un diversivo alla routine dell'ex militare prestato alla Forestale, diventando ben presto un filone investigativo collaterale non meno importante.
Nel corso di un briefing con il Magistrato, Nappi notò quanto Neri non fosse presente e propositivo come al solito, ma si limitasse all'esposizione del rapporto come fosse il compitino delle elementari fatto a casa da leggere in classe.
"Tutto bene, France'?" gli domandò, mentre erano in auto, di ritorno da Bolzano. Era sicurissimo, Vincenzo, che qualcosa non andasse: la guida di Francesco era stranamente pulita e soprattutto conforme ai limiti di velocità. Ma dall'amico non arrivò nessuna risposta. "Ora … io lo so che a te piace fare al gioco del silenzio, ma a me no … quindi trova un argomento di conversazione, perché dobbiamo passare 1 ora e mezza in quest'auto insieme. E il calcio nun te piace, di sport invernali nun ce capisc na mazza… vogliamo parlare di femmine?! Che ne so…di Emma?!"
"Perché vorresti parlare di Emma?" domandò il forestale, svegliato dal suo torpore e allertato da questa strana richiesta.
"Eh, e perché secondo te? Perché quando stai strano guarda caso c'è sempre Emma di mezzo. O mi sbaglio?"
No, non si sbagliava. "Sono preoccupato." Spiegò, telegrafico. E quando mai?, avrebbe voluto rispondere Vincenzo, ma valutò che non fosse il caso di essere così duro, sebbene fosse dell'opinione che, per il bene che i due si volevano, si facevano davvero sempre troppi problemi. "Che c'è? La visita dell'altro giorno non è andata bene?"
"No, no, è andata benissimo." "Ah! Mi fa piacere! E che dicono per quell'altra questione?" La questione erano i bambini, ovviamente. La grande questione che teneva banco nei pettegolezzi in pausa caffè e nel chiacchiericcio delle comare della parrocchietta. Sì, anche a San Candido le perpetue non si facevano mai i fatti loro. Secondo Vincenzo era una mutazione genetica che colpiva chiunque occupasse quell'incarico. "Che non c'è problema…semaforo verde" spiegò Francesco. "Bbuono!....e allora, che ré? France' non mi dire che t'ha già sfiancato perché così mi deludi. N'ommene grande e grosso comm'a te messo k.o. da nu fatte ginnico?!"
Francesco non poté far a meno di ridere alla battuta del suo amico. Era stato difficile costruire un rapporto tra i due, così solare Vincenzo, perennemente imbronciato Francesco. L'uno ligio al dovere e alle regole, l'altro sempre pronto ad andare contro i protocolli se il fine lo giustifica. A differenza del Comandante precedente, per cui Vincenzo nutriva un timore reverenziale, l'essere coetanei aveva dato a Vincenzo l'intraprendenza di imporsi alle continue intrusioni di Francesco nelle sue pertinenze. Risultato: avevano iniziato a collaborare quotidianamente. Le doti investigative del comandante della forestale erano risultate indispensabili e poi, con il tempo, il loro rapporto si era tradotto in qualcosa di più di una semplice stima professionale. Erano diventati fratelli. In particolar modo, Francesco era stato presente, pur rispettando spazi e silenzi, quando Eva aveva lasciato Vincenzo da solo con la bambina ancora nel nido del reparto di Maternità. Senza troppe parole gli aveva mostrato come cavarsela nelle piccole cose di ogni giorno per quanto, e questo Vincenzo non osava nemmeno immaginarlo, la cosa potesse fargli male e far riaffiorare ricordi belli quanto dolorosi. Ecco perché il commissario, pur non essendo particolarmente fortunato in amore, era stato vicino al suo amico e alla sua compagna, vedendo nascere il loro sentimento e vegliandoli da lontano.
"Non lo so Vincenzo, è come se mi stesse nascondendo qualcosa"
"France', so femmine…ci nascondono sempre qualcosa, per noi maschi sono esseri misteriosi, a prescindere"
Vincenzo lo sapeva bene. Persino sua figlia, 11 mesi di rotolini di ciccia sulle gambette e guanciotte rosa sapeva nascondergli le cose. Un sorrisino, un versetto buffo e ti eri già dimenticato che ha fatto rovesciare tutta la purea di piselli oppure aveva colorato il bagno con i trucchi che Isabella puntualmente lasciava in giro.
"Scherzi a parte" proseguì "cosa ti fa pensare che ti stia nascondendo qualcosa"
"Ripeto…non so…è strana, a volte è di buon umore, dolce, simpatica e magari il giorno dopo è imbronciata e anche assente … e quando è così non posso fare a meno di pensare che ci sia qualcosa che non va"
"Ma perché dovrebbe esserci qualcosa che non va…se dovesse esserci qualcosa che non va per ogni volta che una persona si sveglia con la luna storta…"
Francesco inchiodò l'auto in una frenata repentina. Vincenzo nemmeno si era accorto che erano entrati in una stazione di servizio. "Sì, ma non tutti sono sopravvissuti ad una operazione al cervello con annessa emorragia cerebrale, Vincenzo" sbottò l'amico, slacciando la cintura e fiondandosi fuori dall'auto per fare benzina. Nell'uscire sbatté energicamente la portiera del suo fuoristrada, infastidito dalle parole di Vincenzo. Il commissario si morse la lingua per quello che aveva appena detto; si sentiva terribilmente mortificato per aver fatto passare i problemi di salute di Emma per semplici sbalzi d'umore. Aveva visto la paura negli occhi di Francesco, il terrore, non tanto di rimanere di nuovo solo, quanto piuttosto di perdere la sua principale ragione di vita. L'aveva visto prendere a calci un malcapitato distributore automatico quando gli dissero che l'aneurisma si era rotto durante l'intervento, provocando un'emorragia cerebrale e che forse non ce l'avrebbe fatta a superare le prime 24 ore dopo l'operazione, l'aveva visto piangere crollando a terra quando al sesto giorno di coma, Emma non dava segni di miglioramento e gli si era aggrappato al collo, piangente come un bambino e l'aveva raccolto da terra, stremato. Voleva solo un briciolo di felicità per i suoi amici, voleva vederli sorridere come quando Francesco l'aveva chiamato al telefono per dirgli che Emma si era risvegliata, come quando era tornata finalmente a casa o come quel giorno che lui e Francesco l'aspettavano dentro la piccola chiesetta di montagna dove si erano detti quel sì tanto sudato. Non chiedeva altro.
Rientrato in auto, Francesco non aveva ancora smaltito il disappunto per le parole di Vincenzo. Dal canto suo sapeva di essere troppo impulsivo, di non essere spesso in grado di ascoltare, ma credeva che Vincenzo avesse un po' più di giudizio e di rispetto nei confronti di quello che avevano passato.
"Scusa" sentì la voce sommessa dell'amico, sinceramente rammaricato, mentre una mano gli si posava sulla spalla, a scuoterlo. "Sono sicuro che non è niente, vedrai, magari è solo un malanno di stagione oppure questioni … come dire … ormonali. Fidati di lei"
Annuì, accennando ad un sorriso. Lo faceva, ogni giorno; anche quando gli era costato grande fatica, quando fidarsi di lei significava accettare che c'era più del 50% delle probabilità di perderla.
 
Circa una settimana dopo, una domenica sera, Francesco aveva invitato Emma fuori a cena. Il giorno dopo sarebbero stati 3 mesi dal loro matrimonio. Il forestale non amava mettersi in ghingheri, il suo concetto di eleganza era traducibile in jeans e camicia bianca il più delle volte. Fargli indossare l'abito scuro, il giorno delle nozze, fu per Emma un'impresa non indifferente; riuscì a raggiungere un accordo soddisfacente permettendogli di lasciare la cravatta nel cassetto.
Da buon lupo solitario, Francesco detestava i locali affollati nel weekend, le comitive di amici che scolavano birra guardando la partita in tv, le pettegole che si guardavano intorno per giudicare questa o quella mise e, naturalmente, i tavoli con i bambini. Piagnucolanti, urlanti, scorrazzanti. Non aveva nulla contro i bambini, anzi solo il cielo sapeva quanto ne volesse uno, ma la combinazione con i ristoranti non gli andava proprio giù. Per questo preferiva rimanere nella sua bella casa sul lago: nessun ristorante al mondo poteva competere in quanto a panorama, lo chef era più che discreto e il prezzo impareggiabile. Ma il suo motto era "non privare Emma di nulla". Quello che voleva lui importava relativamente; Emma amava socializzare, stare in mezzo alla gente e lui si sacrificava volentieri per lei, esattamente come lei, per lui, rinunciava a tanti svaghi e comodità che una vita di città garantiva.
"Avanti…dillo, dillo!" lo provocò Emma mentre, mano nella mano, guidava Francesco sul sentiero che conduce verso la palafitta. "Cosa?" chiese lui, divertito. "Lo sai" rispose lei.
"E va bene" sbuffò, sconfitto "non è stata una cattiva serata. Ma.."
"Ma cosa?" borbottò lei, indispettita che lui potesse contraddirla. Era stata davvero una bella serata e le seccava da morire che Francesco non le desse ragione per non darle soddisfazione.
"Ma solo perché c'eri tu" replicò, sornione, arrivati sul pontile. Francesco la prese per la vita e la strinse a sé con quel sorriso che le faceva dimenticare dove si trovasse e quale fosse il suo nome, che gli illuminava il volto anche a notte fonda. Emma strinse le sue braccia attorno alle spalle del marito e senza neanche pensarci, le loro labbra si incontrarono, i sorrisi ancora stampati su di esse. Quelli erano i momenti che Emma preferiva, quando sentiva che Francesco si liberava da ogni sua catena interiore, pur stretto tra le sue braccia, quando tutto il resto attorno a loro cessava di esistere. C'erano solo loro e il loro amore che li faceva sentire grandi e forti come le montagne che li circondavano.
Mentre erano persi nel loro mondo, il cellulare di Emma iniziò a squillare. Staccandosi, seppur contro voglia, Emma controllò il telefono. Era una sveglia. Era mezzanotte. "Buon meseversario, marito!" risero. "Buon meseversario, moglie. Dove eravamo rimasti?" la provocò, tentatore.
"Da nessuna parte … vieni con me" disse, spingendolo letteralmente dentro casa. Francesco era divertito e perplesso allo stesso tempo. Amava la vitalità che Emma sapeva trasmettere, l'energia che sgorgava da ogni poro della sua pelle. Ed era contento che quell'ombra dei giorni passati sembrava essere come un brutto sogno, che viene spazzato via dalla sveglia del mattino.
Emma lo fece sedere sul letto, andando verso la cucina. Francesco la sentì armeggiare tra cassetti, sportelli e stoviglie e fu tentato di alzarsi e sbirciare, ma lei lo conosceva bene e gli intimò di non alzarsi da lì. Tornò con una tortina con una candela a forma di 3, accesa. Sotto al piatto, un pacchetto.
"Emma! Avevamo detto niente regali …" "Sssh" lo zittì "tu mi hai portato a cena fuori e io offro il dolce…e non ti preoccupare per il regalo, diciamo … che è per tutti e due"
Francesco non era convinto dalla scusa, ma se la fece andar bene, con Emma aveva imparato a sforzarsi di non averla vinta, perché non capitava mai. Spensero insieme la candela e, messa via la torta, Emma gli porse il pacchetto. Era cubico, color sabbia, molto leggero, un nastro di raso bianco che intrappolava nel fiocco una piccola pergamena. Difficile dire cosa ci fosse all'interno.
Sciolto il fiocco, Francesco stava per aprire la scatola quando Emma gli fermò repentinamente la mano "prima il biglietto", accennando alla pergamena. Francesco obbedì, forse un po' stordito, ma ancora più curioso.
 
Dopo il temporale, esce sempre l'arcobaleno. Auguri a noi.
 
Il cuore di Francesco si fermò per un istante, il respiro gli si strozzò in gola. La calligrafia era quella elegante e delicata di Emma, ma la frase era straordinariamente simile a quella che diceva sempre Marco quando era triste. Lo prese come un segno, doveva esserlo, non era sicuro di aver mai raccontato ad Emma quella storia del temporale. Guardò la moglie, seduta sul bordo del letto, una gamba penzoloni. Tremava e si mordeva il labbro.
"Che hai?" le domandò, colpito, interrogandosi su cosa ci fosse nel pacchetto. "Niente" scosse la testa; gli disse solo "Apri", incitandolo.
Francesco aprì la scatola. Immediatamente gli occhi gli si riempirono di lacrime e non era sicuro di aver visto bene. Sì, decisamente la frase era un segno, una benedizione dall'alto. Francesco non era particolarmente credente, aveva un'idea tutta sua, e molto incostante, sulle questioni teologiche, ma c'erano delle volte in cui sentiva che c'era qualcosa, qualcuno, a vegliare su di lui. Una buona stella, un angelo custode, uno spirito dei boschi…chiunque fosse, qualunque fossero stati la sua forma ed il suo nome, ora lo sentiva particolarmente vicino.
Era un paio di scarpine bianche fatte all'uncinetto, minuscole.
"Sei … sei …"
Emma annuì, finendo per lui la frase, con quella parola che gli si era fermata in gola "…incinta"
Emma si sentì leggera, finalmente libera da quel peso che portava dentro in gran segreto dal giorno dell'ultima visita in ospedale. I sospetti crescevano con il passare dei giorni, man mano che aumentavano anche i sintomi, ma finché il medico non lesse il referto dal laboratorio analisi - che lei non aveva avuto i coraggio di leggere - non si era data alcuna speranza, nonostante la disattenzione di una notte, perché conosceva fin troppo bene la spossatezza, i giramenti di testa e la nausea che la sua patologia poteva creare, così come gli effetti collaterali dei farmaci che aveva dovuto prendere. Riuscire a tenere il segreto e comportarsi come se nulla fosse era stata l'impresa più ardua e non era sicura di esserci riuscita. Anzi, era quasi certa di aver spaventato a morte Francesco e si sentiva una stronza per averlo fatto aspettare ben 10 giorni, ma voleva che fosse un momento speciale, da ricordare per sempre. Ed ora era di fronte a lei, lo sguardo bagnato dalle lacrime, il sorriso di chi ci sperava ma forse ci non credeva veramente, e, se lo conosceva bene, di chi forse pensava anche di non meritarselo un dono simile.
"è…è vero…è tutto vero?" balbettò lui. Stentava a crederci, forse stava sognando davvero, eppure quelle labbra che poco prima lo avevano baciato, e le braccia che gli si erano strette forti al collo e le mani che aveva stretto erano vere, erano come dovevano essere, non un'ombra nella notte. Era il sogno più grande eppure in quel momento dubitava, quasi sperava non fosse vero, aveva bisogno di tempo, di sentirsi pronto. No, non pronto per diventare padre, quello non lo si è mai davvero. Ci si butta, si sbaglia e si cerca di farlo sempre di meno. Solo più pronto a ricevere la notizia.
"Sì, è tutto vero". Emma, la sua Emma, era ancora di fronte a lui, ma non tremava più. La guardò, commosso. La vide bellissima, radiosa come solo le madri riescono ad esse. Quando erano riusciti per la prima volta ad affrontare l'argomento lui le aveva detto che lei era una madre quanto lui era un padre e che la presenza fisica o meno di un figlio non faceva la differenza, contava solo l'amore che si provava per la propria creatura. Ma ora che la vedeva davanti a lui, ricolma di vita, di una vita che per metà era anche sua, capiva quanto le sue parole di allora, per quanto vere sulla carta, erano fumo di fronte alla potenza di una creatura che cresce dentro di sé. Che è me e te, insieme … pensò. E lui si sentiva inadeguato di fronte a lei, perché non era riuscito ad amare il loro angelo pienamente per quel poco tempo che era stato concesso loro. E si sentiva inadeguato di fronte a quel piccolo miracolo che stava avvenendo di fronte a lui, perché solo pochi mesi prima non era riuscito ad abbandonarsi ad un sì che sarebbe dovuto essere la risposta più semplice e naturale. Le si gettò addosso, dolcemente, appoggiando il suo viso al ventre.
Emma accolse quell'abbracciò come fosse stato un fiume di parole. Il suo Francesco non era mai stato un uomo di grandi parole e sapeva anche quanto gli costassero fatica i gesti eclatanti, quelli che riuscivano ad arrivare solo un attimo prima che fosse tardi. Ma aveva imparato, il tempo, l'esperienza e le batoste gli avevano fatto capire che doveva agire e doveva aprirsi con la persona che amava, non importava quanto gli costasse. Se l'amava davvero doveva aprirsi a lei. Accolse quell'abbraccio facendo scorrere le mani tra i suoi capelli. Quante volte aveva sognato quel momento, negli ultimi giorni, ma nessuna delle sue proiezioni era stata tanto perfetta e magica. Sentiva quello che lui sentiva, provava quello che lui provava, le parole erano superflue.

 

 

 



Angolo dell'autrice

Carissimi! Eccomi qui con un nuovo capitolo di questa mia ideale "sesta stagione" di Un Passo dal Cielo. Spero che vi stia piacendo. Mi piacerebbe che lasciaste un commento, perché per me è importante capire se sto andando nella giusta direzione.
Qui vi lascio una piccola precisazione su un dettaglio del capitolo. La scelta della frase di Emma: ho pensato di farle dire dell'arcobaleno perché tradizionalmente i bimbi che nascono dopo un aborto spontaneo sono chiamati "bambini arcobaleno". Mi sembrava un dettaglio carino da sottolineare. Chissà come andranno le cose ora e quale sarà la reazione degli amici. 
A presto!


 

Federica

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Primo mese o come dirlo agli altri ***


Capitolo 3 - Primo mese o "come dirlo agli altri"


 

 




Avevano passato la notte a parlare, allungati sul letto, abbracciati e, come spesso succedeva, avevano finito per accorgersi che stava arrivando il mattino quando ormai era già tardi per addormentarsi. Ma non si stancavano mai di parlarsi, di raccontarsi, di spiegarsi. C'era stato un momento in cui avevano perso questa abitudine; in particolare Francesco, dopo la scomparsa dell'amica Adriana, si era chiuso in sé stesso. A nulla erano valsi i tentativi di Emma di scuoterlo, le sue attenzioni, il suo essergli vicina sempre. Ma l'avevano superato, avevano capito che erano più alti di ogni ostacolo, più forti di ogni colpo ricevuto, bastava solo aprire i propri cuori.
Emma aveva aperto il suo cuore ancora una volta a lui, quella notte. Tra i due era sempre stata lei quella che riusciva ad esprimersi meglio con le parole e Francesco adorava stare ad ascoltarla. Si abbandonava in quegli occhi color cioccolato, così pieni di amore per la vita. Ed ora che in lei la vita si era raddoppiata, quell'amore veniva fuori ancora più dirompente. Francesco ne era quasi sopraffatto. La guardava, estasiato, l'ammirava, come fosse una scultura antica, le baciava, con la devozione che i fedeli riservano al santo.
"Come ti senti?" non smetteva di chiederle. Aveva voluto sapere di tutto e anche di più, in qualche caso Emma nemmeno sapeva rispondere alle domande che le rivolgeva. Voleva sapere di quante settimane fosse - anche se con il solito impaccio che lo contraddistingueva era solo riuscito a dire "Quando?" provocandole una sana risata di gusto; entrambi sapevano bene quando, "con te basta una sola volta" commentò lei, prendendolo in giro. Il nostro regalo di Natale, lo avevano ribattezzato. Non pago, Francesco continuò, curioso, ad indagare su come se ne fosse resa conto - "come vuoi che me ne sia resa conto?" - cosa aveva provato e soprattutto cosa riservasse loro il futuro. Lei gli aveva assicurato che il neurologo aveva dato il suo benestare per una gravidanza, ma Francesco aveva bisogno di farsi ripetere diecimila volte le cose. "Secondo lui non ci dovrebbero essere problemi a portare a termine la gravidanza" spiegò Emma, "ma comunque devo riguardarmi e stare sotto stretto controllo medico". Francesco non voleva sentirsi dire altro, sapere che qualcuno avrebbe vegliato sulla sua Emma. E non solo su di lei. Ora erano in due, in tre se aggiungeva sé stesso nel novero. Faticava ancora a credere che stava succedendo davvero. Era arrivato ad un punto nella sua vita in cui aveva pensato che essere diventato padre, con Marco, era stata una casualità, che era capitato, ma che qualcuno da qualche parte si era accorto dello sbaglio, che in realtà non fosse scritto nel suo destino. Ed andava bene così. No, non andava bene, perché non si può accettare di seppellire un figlio, ma doveva andare bene per forza, non è un qualcosa che si può cambiare. Ma con Emma era scattato qualcosa, un'emozione, una magia, che l'avevano fatto sperare di nuovo che ci fosse qualcosa di bello anche per lui su questa terra, che non fosse solo una landa di espiazione di chissà quali colpe. Ancora stentava a crederlo, ma già se li immaginava, quei mesi a venire. Ci era già passato, ma sentiva dentro un'emozione tutta nuova. Condividerla con la persona amata faceva tutta la differenza del mondo.
Aveva voluto bene a Livia ma, ora che amava, si rendeva conto che il suo era stato dovere, raziocinio, fare la cosa che tutti si aspettano. Era un giovane soldato, sempre via da casa, e aveva vissuto la sua vita di fidanzato prima e marito e padre poi a singhiozzo, prendendo solo il bello di quello che aveva: ferie, feste comandate; mai un broncio, un litigio, mai una quotidianità noiosa. Ora che amava si rendeva conto che, fino all'incontro con Emma, la sua vita era stata la più grande bugia che avesse detto a sé stesso. Con Emma, invece, mai una finzione e, quando non riusciva ad aprirsi, lei gli vedeva dentro come nessun altro era mai riuscito a fare prima.
Fronte a fronte, le accarezzava delicatamente la pancia. Già provava a figurarsi Emma con le forme arrotondate, la pancia che timidamente spunta fuori dalle magliette, i pantaloni che non si chiudono più. Immaginava i colpetti dei piedini giocherelloni alle sue carezze sulla pancia, i massaggi per addolcire i mal di schiena, gli impacchi freddi per il mal di testa. Non riusciva, a quelle immagini nella sua mente, a trattenere un sorriso.
"Come stai?" le ripeté per l'ennesima volta, mentre un raggio di sole del mattino si intrufolava tra le tende ed illuminava il volto di sua moglie.
"Sono felice" rispose Emma. Era tutto quello che Francesco voleva sentirsi dire. Aveva fatto così tanti sbagli che pensò di non riuscire più a recuperare con lei, di aver perso la sua fiducia irrimediabilmente, preferendo un altro a lui. Un delinquente forse, ma che, almeno di facciata, non aveva mai smesso di credere in lei.
Emma era davvero felice. La vita la stava premiando con la gioia più grande. Non era sta mai una brontolona, si era sempre ritenuta una persona fortunata. Nata nella famiglia giusta, frequentato le amicizie e le scuole giuste, aveva potuto fare gli studi che più preferiva e, anche se avesse fallito e avesse mai deciso di cambiare strada, nessuno avrebbe battuto ciglio. Eppure non si era mai concessa il lusso di riposare sugli allori, aveva deciso di conquistare il proprio posto nel mondo indipendentemente, senza aiuti, né agi. Le andava bene così, anche se significava costruirsi una nuova rete di affetti: si era resa conto, nel tempo, che non basta il pagamento di una retta scolastica o di un affitto per farsi chiamare mamma o papà. Ci vuole presenza, contatto. Cose che, dai suoi, aveva sempre avuto raramente. Questa libertà conquistata, nonostante le ristrettezze, la faceva sentire una persona incredibilmente privilegiata. Un'unica frenata: la diagnosi della sua malattia. Ma neanche lì si era lasciata abbattere, aveva saputo trovare il lato bello anche di quell'esperienza. Vale sempre la pena vivere, diceva. Ma la vita l'aveva fregata. Quando era il momento di restare da sola, ecco che le ha presentato Francesco. Si era innamorata, l'aveva desiderato, aveva cercato un figlio suo più di ogni altra cosa. Quanto più voleva vivere, tanto più il tempo stringeva. Quella vita, che dentro sentiva ribollire, fuori si accaniva sul suo corpo, quasi a dirle tu non scegli un bel niente. Ma i miracoli accadono, di tanto in tanto. Aveva lottato, si era aggrappata con le unghie e con i denti a quella lista e alla promessa fatta a Francesco di tornare da lui, e aveva vinto. Ora stava solo ritirando la ricompensa.
"E tu? Sei felice?" domandò lei; sapeva la risposta: gliel'aveva detta con le lacrime, che non riuscivano a nascondere la luce che i suoi occhi emettevano, con quei baci alla sua pancia ancora troppo piatta per poter parlare da sola, con le piccole attenzioni che lei amava e che facevano tutta la differenza del mondo.
Per un attimo si trovò a pensare a quello che era successo solo pochi mesi prima, a quel bambino che non avevano mai conosciuto e che lui, sulle prime, aveva rifiutato. Si era sentita ferita, tradita anche, dalla persona a cui credeva di star facendo il regalo più bello. Non riusciva a capire come per lui, che si portava addosso la cicatrice della perdita di un figlio, potesse parlare di interruzione di gravidanza a cuor leggero. Non le era importato di quanto la implorasse, di quanto le ripetesse che la amava e voleva solo il suo bene e la sua salute. Per lei quel rifiuto era sufficiente: non poteva essere davvero amore se la vedeva come un giocattolo rotto da aggiustare a tutti i costi, anche sacrificando la cosa più importante; la promessa di un figlio, dieci figli a cose risolte era solo uno schiaffo alla creatura che portava in grembo in quel momento e che lui non voleva. Solo a mente fredda, solo dopo che lei stessa era caduta in fallo, aveva capito che non sempre riusciamo a pensare, dire e fare la cosa giusta. Il tempo dona la prospettiva e la saggezza per capire quello che succede intorno; Emma aveva compreso le parole di Francesco, aveva accettato il suo mea culpa e, quello che più contava, si era ricordata di quegli occhi che per un attimo l'avevano guardata, quando gli aveva dato la piccola foto ricordo della prima ecografia. Gli stessi occhi se li era ritrovati davanti in quella lunga notte insonne dalla contentezza.
Presi dalle confessioni e dai progetti, Francesco aveva rimandato più di volta la sveglia del cellulare. Prima che se ne rendesse conto, una telefonata del suo vice, Valeria Ferrante, arrivò per fargli notare che era in ritardo, ma l'avvertì di non aspettarlo per la giornata.
"Comandante Neri!" esclamò Emma, stupefatta "vuol per caso far scatenare l'ennesima bufera di neve della stagione?"
Francesco si sarebbe fatto prendere in giro da Emma per tutta la vita: adorava quando gli dava del lei scherzosamente, ma ancora di più le facce buffe che faceva, perché non riusciva mai a rimanere davvero seria.
"Ci saranno pure dei vantaggi ad essere il comandante, signora Neri" rispose a tono "ogni tanto è giusto che anche io mi prenda qualche giorno di pausa … soprattutto quando c'è qualcosa da festeggiare." Francesco tirò le tende - nuove, Emma era stata categorica che accettava tutto della palafitta tranne quei vecchi sacchi di iuta logori che Francesco spacciava per tende - per tentare di far tornare quantomeno un po' di penombra nella stanza e prese il suo portatile.
"Ora però" aggiunse, mentre tornava a letto, sedendosi accanto a lei "riposa un po', ti ho tenuta sveglia tutta la notte e non va bene". "E tu?" chiese lei, assonnata, incapace di trattenere uno sbadiglio "anche tu non hai chiuso occhio". "E chi dorme?!" ammise, sorridendo, schioccandole un bacio tra i capelli "ho ancora troppa adrenalina addosso per riuscire a dormire…no, mando qualche email alle agenzie immobiliari. Non possiamo più stare qui".
Emma non aveva la forza di rispondergli, prima che Francesco accendesse il pc era già in dormiveglia. Sapeva benissimo anche lei che la palafitta non era un posto per bambini piccoli ed era la ragione precisa, oltre alla sua operazione, per cui non avevano potuto ancora fare richiesta per l'affido temporaneo di Leonardo. Ma non riusciva a lasciare quel posto e sapeva che, per quanto pieno d'entusiasmo, la stessa cosa valeva per suo marito. Ogni centimetro di quella casa sul lago parlava di loro, sarebbe stato difficile dirle addio.

"Ma porca miseria, porca…" gridò Vincenzo, appallottolando e gettando sulla scrivania la lettera che gli era arrivata dalla Questura di Bolzano. Era sicuro che, grazie all'isolamento acustico del suo ufficio, gli altri non sarebbero stati in grado di sentirlo eppure improvvisamente si sentì osservato da chiunque fosse nello stanzone comune che Polizia e Forestale condividevano ormai da 10 anni. Sì alzò e, andando verso la porta, scrutò attraverso le veneziane. In realtà erano tutti al proprio posto, immersi nelle proprie mansioni, eccezion fatta per Francesco che, quella mattina, aveva optato per un giorno di permesso. Era strano non vederlo seduto al suo posto, considerando che, eccezion fatta per i giorni in cui era rimasto vicino ad Emma in ospedale, difficilmente saltava un giorno di lavoro. Quella mattina, non vedendolo arrivare di buon ora, gli sguardi dei forestali e dei poliziotti erano unanimemente straniti e preoccupati. Allarme rientrato, tirarono tutti un sospiro di sollievo; era incredibile come, nonostante vivesse praticamente da eremita nella casa sul lago, tutti lo stimassero e lo tenessero in gran considerazione, anche tra la popolazione. "La forestale è più importante della polizia da queste parti" gli spiegò una volta un uomo "siamo allevatori, contadini, cacciatori … cosa ce ne facciamo noi della polizia?!".
Anche per questo motivo Vincenzo aveva faticato a ritagliarsi un proprio posto nella comunità, oltre che per ragioni geografiche e culturali - il tedesco faticava a farselo entrare in testa, figuriamoci quella specie di dialetto che era la vera lingua madre del posto - ma, proprio grazie a questa convivenza forzata tra le due realtà, alla fine ci era riuscito.
Si guardò attorno e ripensò al giorno del suo arrivo a San Candido, pensò a quanto era contrariato all'idea di doverci vivere e quanto gli sembrava una punizione divina il trasferimento in un'area così ostica per lui che veniva dal caldo e dal mare, ripensò a quando scoprì che avrebbe dovuto spartire - sebbene in una situazione temporanea - il luogo di lavoro con la forestale e che, per i primi mesi, aspettava con ansia il giorno in cui gli avrebbero comunicato il trasferimento. Tra sé e sé gli scappò un sorriso ma, senza quasi accorgersene, una lacrima gli aveva rigato il volto.
"Piange commissario?" "Huber mannaggia 'a morte, quante volte ti ho detto che devi bussare" riprese il suo vice, asciugando la guancia inumidita "e comunque no, sono solo allergico…"
"Commissario ma è Gennaio!" lo corresse Huber, perplesso. "Eh, appunto, sono allergico ai poliziotti impiccioni di Gennaio. Che vuoi?"
"So-sono arrivaaati i riiisultati della scientifica, pensavo vo-volesse vederli." "E voglio vederli, ma voglio pure che bussi prima di entrare". Il poliziotto posò il fascicolo che aveva appena stampato sulla scrivania del commissario, squadrandolo attentamente. Era un suo superiore, ma negli anni ne avevano passate così tante che erano diventati migliori amici. Se interrogato, non si faceva problemi a dire che era geloso marcio del legame tra Vincenzo e Francesco, ma lui orgogliosamente si fregiava del titolo di padrino della piccola Mela, e quello nessun Francesco Neri glielo poteva togliere.  "Co-coommissario, sa come si dice?" esordì; "Huber, non lo voglio sapere", troncò in fretta il commissario; di solito accettava passivamente i suoi ormai leggendari huberismi, ma quel giorno non era in vena. "E-e io glieelo dico loo stesso: s-solo i veri aamici ti dicono quando il viso è-è sporco" "E questo che significa?" "Significa che lo v-vedo che c'è qualcosa chee non va … e lei che è mio aamico potrebbe paarlarmi liberamente" e così lasciò l'ufficio, facendo rimanere il commissario con un palmo di naso.  Vincenzo era ben conscio che avrebbe dovuto dare la notizia, prima o poi, ma sapeva anche che sarebbe stata un duro colpo per tutti. Aveva bisogno di trovare le parole più adatte per indorare la pillola.

"Dici che dovremmo dirglielo?" domandò Emma a Francesco, mentre con l'auto raggiungevano la caserma. Di norma sarebbero andati a piedi, approfittando anche della superficie ghiacciata del lago in inverno, ma da quando gli aveva dato la notizia, suo marito era quasi sul punto di scarrozzarla in giro in braccio per tutto il tempo. Meglio fare l'intero giro del bosco con l'auto che rischiare di scivolare sul ghiaccio. "Teniamocelo ancora un po' per noi…è così bello" commentò, stringendole la mano. Emma reciprocò la stretta, serena, tuttavia faceva ancora fatica a riconoscere suo marito dietro quell'uomo costantemente di buon umore con cui condivideva la palafitta da una settimana. Glielo concedeva, era veramente bello poter condividere con lui, e solo con lui, quell'evento così speciale. Era il loro piccolissimo segreto, lontano dagli occhi indiscreti e le bocche impiccione degli amici che, seppur amorevoli, avrebbero di sicuro provato a mettere bocca su ogni cosa.
"Non sono sicura che tu sia così capace di mantenere il segreto" obiettò. "Perché pensi questo? Sono perfettamente in grado di tenere la bocca cucita" "Su questo non ho dubbi" precisò Emma "è la tua…prossemica ... che mi preoccupa". "E con questo cosa vorresti insinuare?" indagò Francesco, fintamente offeso, pur mantenendo lo sguardo sulla strada. "Che ti si legge in faccia che c'è qualche bella novità!" "Questa è un'accusa infondata, vostro onore" scherzò l'uomo "sono giorni che vado a lavoro e nessuno si è accorto di niente." "Sìii, ma solo perché non sono mai venuta trovarti" spiegò Emma. Se da un lato Francesco era stato sempre molto attento e premuroso con lei, non era mai stato quel genere di persona che si lascia andare a dimostrazioni d'affetto in pubblico. Persino baciarla davanti a tutti su richiesta dei convenuti, come vuole la tradizione, il giorno del matrimonio, al momento del brindisi, gli era quasi costata fatica. Aveva sempre detto che certe cose gli piaceva tenersele per sé. La giovane aveva notato, invece, che negli ultimi giorni, questi problemi erano incredibilmente venuti meno. Accompagnandola dalla ginecologa, in fila alla cassa del supermercato, nel mezzo della piazza del paese, Francesco non faceva più tanti complimenti. E poi c'era quello sguardo … un occhio attento come quello di Vincenzo, quelli ancora più pettegoli di Valeria ed Huber non ci avrebbero messo tanto a fare 2+2.
Arrivati a destinazione, saliti in foresteria, trovarono Valeria ai fornelli, Isabella impegnata ad insegnare a Mela che i cubotti che proprio lei e Francesco le avevano regalato per Natale non erano matrioske ma servivano a costruire delle piramidi - ma alla bambina, questo non interessava - ed Huber e Vincenzo intenti a stabilire, come al loro solito bisticciando come due bambini, se fosse più buona la mozzarella di bufala o il formaggio di malga.
"Huber, solo, stasera?" domandò Francesco, aiutando Emma a togliere la giacca; non era impedita né malata, gli ricordò bisbigliando, ma Francesco non volle sapere ragione: "è un gesto romantico di un marito affettuoso … se vuoi togliermi anche questo …", protestò lui. Huber spiegò che i figli piccoli erano tutti a letto con l'influenza e la moglie non se l'era sentita di lasciarli soli con la maggiore.
"Cosa festeggiamo?" chiese Vincenzo, notando il vassoio di paste e lo spumante che Emma aveva posato sul piano dell'isola in cucina appena arrivata. Emma guardò il marito in cagnesco, perché gli aveva detto che non era il caso di portare nulla, temendo che la cosa avrebbe generato domande e fatto saltare la loro copertura. "Nulla" si affrettarono a chiarire, all'unisono. "Ci è sembrato giusto non venire a mani vuote visto che Valeria si da sempre tanto da fare con i suoi manicaretti ed è meglio se Emma non l'aiuta se vogliamo mangiare". Francesco non fece a tempo a terminare la frase, che una gomitata gli arrivò, ben assestata, su un fianco. Secondo Emma le battute sulle sue capacità ai fornelli erano ormai dette e ridette e non facevano più ridere nessuno, tanto meno lei che ormai si destreggiava con discreti risultati. Di sicuro non avvelenava più nessuno - merito delle lezioni di suo marito, ma non voleva dargli il merito di questo traguardo raggiunto. "Certo … se qualcuno non si ostinasse ad avere una cucina da campeggio in casa … io potrei applicarmi di più" lo rimproverò. Andava bene vivere in maniera spartana, era sempre stata dell'avviso che non le servisse molto per vivere bene, finché erano insieme le bastava veramente il minimo indispensabile, ma qualche comodità in più a volte le avrebbe fatto veramente piacere. "Ancora per poco, Giorgi, ancora per poco" le sussurrò nell'orecchio. Complice il tono della voce e il lieve soffio dietro la nuca, Emma ebbe un leggero brivido lungo la schiena. Era una risposta involontaria che le succedeva regolarmente, ma Emma diede la colpa agli ormoni ballerini.
Ripresasi, ponderò la frase del marito. Già, presto si sarebbero trasferiti. Nonostante le innumerevoli proposte che l'agente immobiliare gli aveva fornito, alla fine Emma aveva quasi risolto per quella che era stata la prima scelta di Francesco, qualche mese prima: acquistare il vecchio maso di Zoe, la fidanzata di Martino Bechis, il più giovane tra i forestali in forza alla caserma di San Candido, e ristrutturarlo. Francesco era un po' scettico, ma Emma puntava sulla certezza che lui non le avrebbe rifiutato nulla; dal canto suo, sperava che i lavori di ristrutturazione le avrebbero fatto guadagnare ancora del tempo da trascorrere nella casa sul lago. Il parto era previsto per metà Settembre, l'ideale per trascorrere ancora qualche pomeriggio sulla terrazza a bearsi dei raggi del sole cullando il suo piccolo appena nato.
La spensieratezza di una compagnia ormai consolidata era stata garanzia di successo per la rituale cena del 'turno infrasettimanale', così come scherzosamente l'aveva ribattezzata Vincenzo. La scusa iniziale era stata una partita di calcio, ma alla fine, complice il disinteresse di Francesco e Huber per la disciplina, gli uomini finivano sempre a bere un bicchierino di acquavite e a parlare di lavoro. Le donne, dal canto loro, si spupazzavano la piccola di casa nel tentativo - il più delle volte vano - di fiaccarla in vista della notte, mentre Isabella approfittava del post cena in libertà per fare due passi con Klaus in centro, o almeno quella era la versione ufficiale. Tornata a casa dopo l'operazione Emma aveva frequentato la foresteria della Forestale in maniera regolare durante tutta la convalescenza: Francesco, infatti, per tenerla d'occhio, la portava quasi letteralmente con sé a lavoro. Nelle lunghe ore di permanenza nel grande appartamento sopra la caserma, Emma si era occupata di Mela e, nelle pause pranzo, aveva scoperto l'amicizia di Valeria. Della giovane forestale condivideva l'intraprendenza e l'energia e, sotto quella corazza, riconosceva quella punta di malinconia che le brutte esperienze lasciano in fondo agli occhi e che lei aveva conosciuto in Francesco. Si erano trovate fin da subito e Francesco era strafelice che la sua compagna potesse avere un'amica sincera con cui confidarsi e confrontarsi. Lui era il suo migliore amico, come lei era la sua migliore amica, quello era innegabile, ma così come lui aveva Vincenzo, era giusto che Emma avesse qualcuno per staccare la spina. Valeria, dal canto suo, era grata di poter avere qualcuno al suo fianco che fosse come una sorella, quella sorella che aveva perso e le aveva lasciato in pegno - lei, così giovane - una ragazzina adolescente in piena tempesta ormonale. Emma, guardando Valeria così attenta e affettuosa sia nei confronti della piccola Mela, sia nei confronti di Vincenzo, non si spiegava come i due non avessero una relazione. Era evidente che il sentimento tra i due ci fosse e fosse reciproco ma, per qualche strana ragione, entrambe avevano il freno a mano del cuore ben tirato. Lei ne sapeva qualcosa di freni a mano.
Mentre Emma tentava, per l'ennesima volta, di tirare fuori l'argomento Vincenzo con Valeria, il commissario richiamò l'attenzione della comitiva. "Ragazzi … devo, devo fare un annuncio" esordì, serio, completamente trasformato rispetto al compagno gioviale che li aveva intrattenuti durante la serata. Si piazzò al centro della stanza, di fronte al divano dove Valeria ed Emma erano sedute e i due amici li raggiunsero. Nel frattempo, anche Isabella era tornata a casa. "E' morto qualcuno?" chiese, interdetta dai musi lunghi e dal silenzio che l'accolsero.
"Ehm, nei giorni scorsi ho cercato un modo per darvi questa notizia, non è facile nemmeno per me, credetemi, e quando vi ho invitati in realtà non era mia intenzione farlo, ma vedervi qui mi ha fatto pensare che devo condividere il peso di questa cosa con qualcuno, perché come mi ha detto qualcuno gli amici si dicono se hanno la faccia sporca"
"Non è proprio così, coommissario…" "eh Huber quante storie pe nu proverbie"
"Insomma che c'è Vincenzo?" domandò Francesco, seduto sul bracciolo della poltrona e poggiando una mano sulla spalla della moglie, ancora concentrato sul preambolo dell'amico.
"Senza troppi giri di parole … dobbiamo lasciare la caserma, la Polizia deve lasciare la caserma….il nuovo commissariato è pronto, o quasi"
"Come?" "Cosa?" furono le reazioni in coro di tutti i presenti. Un borbottio indefinito iniziò a sovrastare Vincenzo, che non sapeva da dove cominciare per dare spiegazioni.
Negli anni l'edificio che ospitava il vecchio commissariato era andato incontro ad ogni sorta di peripezia: dal rifacimento del tetto, alle tubature, dal riscaldamento fino all'isolamento termico. Infine, si era deciso di costruire una struttura nuova di zecca, al ridosso del centro. Passa oggi che passa domani, le sorti del commissariato erano diventate una delle più classiche storie di lungaggini burocratiche italiane, nonostante fossero in Alto Adige, e la Polizia aveva finito per rimanere ospite della Forestale nella caserma sul lago per ben 10 anni. Alla fine questa coabitazione stava bene a tutti ed erano diventati la grande famiglia che ora era riunita a discutere del futuro addio.
"Mi ha scritto l'Ufficio Tecnico-Logistico della Questura. I lavori sono terminati. A breve dovrebbero dare l'agibilità e allora organizzeremo il trasferimento. Per fine primavera dovremmo essere del tutto operativi nel nuovo edificio. Ah naturalmente …" aggiunse "questo significa che io e Mela lasceremo la foresteria...è ora di trovare una casa tutta nostra…un appartamento in centro andrà benissimo".
A seguito della separazione con Eva, i due avevano convenuto di mettere in vendita il vecchio B&B che avevano convertito in residenza privata, destinata alla loro famiglia. Con Eva sempre di passaggio e Vincenzo che faceva quasi residenza nel suo ufficio, lo chalet era diventato troppo grande e complicato da gestire per un uomo solo con una bambina piccola. Francesco gli aveva offerto ospitalità nella foresteria a tempo indeterminato, sapendo anche quanto fosse benefica per l'amico e la piccolina la presenza di Valeria - come anche quella di Emma - nella vita quotidiana.
"Eh no commissario!" protestò Huber e la rabbia faceva fluire le sue parole speditamente "non mi può fare questo!"
"Che ti sto facendo, Huber?"
"Sta distruggendo tutto … la nostra compagnia! Lascia che finisca tutto così …?"
"Ma così come Huber? Noi siamo la polizia, loro sono la forestale" spiegò, indicando prima sé stesso, poi Francesco "siamo due cose distinte, mettitelo bene in testa una buona volta".
"Possiamo fare qualche scherzetto alla nuova sede" propose il poliziotto dai capelli rossi "mio cugino Sepp è uno schützen, sono esperti con la dinamite quelli lì"
"Ti taglio le mani e ti sbatto in galera" lo minacciò Vincenzo "quello che hai appena detto si chiama terrorismo e per quieto vivere farò finta di non avere sentito. Sei un poliziotto Huber, no na criature… cresci e accetta le decisioni dei superiori"
"E la bambina?" domandò Valeria, ponendosi di fronte a Vincenzo.
Valeria, allarmata, stringeva ancora la piccola Mela tra le braccia, mentre giocava con il suo orsacchiotto musicale. Non era la sua mamma, lo sapeva bene, se lo ripeteva ogni santo giorno, non poteva reclamare alcun diritto su di lei, ma il solo pensiero di non vederla gironzolare per l'appartamento con il suo girello tutti i giorni le metteva in cuore un forte senso di vuoto. L'aveva conosciuta che aveva solo 4 giorni, Vincenzo l'aveva portata a casa da solo e lei, assolutamente per caso e quasi contro voglia, aveva finito col fare da balia a padre e figlia. I giorni, le settimane, i mesi passavano e poteva sempre meno fare a meno di loro.
"La iscriverò al nido…è abbastanza grandicella e le farà bene stare insieme ad altri bambini".
"Ma tutto il giorno con delle persone estranee, in un ambiente non familiare … e poi la sera la chiudi dentro quattro mura, senza la sua passeggiata al lago…"
"Valeria non ti ci mettere pure tu…così non mi aiuti per niente"    
"Ma sì zia" intervenne Isabella, con la faciloneria e la positività dei suoi 16 anni "in fondo che sarà mai. State tutti facendo un dramma per nulla … va a stare in centro a San Candido, mica torna a Napoli".
"Isabella perché parli di cose che non capisci?" la rimproverò la zia. No, la ragazza in realtà capiva benissimo che la zia aveva una cotta per il commissario - e viceversa - ma non riuscivano a mettersi d'accordo una buona volta e far decollare una relazione. Le cose sarebbero state più facili per tutti.
Ed invece quel momento sembrò l'ideale per tirare fuori sassolini dalle scarpe e recriminazioni, rinfacciarsi favori e ipocrisie di vario genere.
"Dopo tutto quello che ho fatto per voi…"
"Ma chi ti ha cercato niente?"
"La Pooolizia seenza la forestale è come una mucca senza stalla, io da qui noon mi muovo"
"E arruolati una buona volta e non mi ti far sentire più!!!"    
Emma e Francesco erano esterrefatti. Da che la serata doveva essere un dribblare i sospetti sul lieto evento, si era trasformata nel peggiore dei teatrini di commedia popolare, dove tutti parlano l'uno sopra l'altro, finendo per alzare il volume e dirsi cose di cui tra 10 minuti, smaltita la rabbia, si sarebbero di sicuro pentiti. Francesco capiva le reazioni spropositate; era a San Candido da relativamente poco, ma aveva percepito fin da subito l'atmosfera che si respirava: erano tutti uniti, come un clan, una famiglia che, pur non passando insieme del tempo al di fuori del lavoro, riusciva a condividere tutto quello che succedeva, il bello e il cattivo. Lui, così restio alla convivialità, aveva fatto fatica a stare al passo di un gruppo tanto consolidato, ma loro, pur con tutti i suoi difetti, lo avevano accettato nella banda e fatto sentire benvenuto. Adesso lui, figlio unico e ormai senza genitori, li considerava appieno la sua famiglia. Sapere che quest'unione si sarebbe spezzata faceva male ma, come in tutte le cose, bisogna trovare il lato positivo e andare avanti. Glielo aveva insegnato Emma. In un certo senso, per loro, era come se fosse arrivato il momento di diventare grandi.
Emma dal canto suo sentiva di stare per scoppiare. Non era solo per via degli schiamazzi ad alto volume che ancora non riusciva a tollerare e le rimbombavano nella testa, ma da almeno un paio di settimane era ostaggio di violenti sbalzi d'umore, dettaglio che l'aveva già tradita con Francesco: un momento era tranquilla, serena, determinata, quello dopo era sull'orlo di una crisi di nervi e le lacrime scendevano senza che ci fosse necessariamente una ragione. Era così che si sentiva in quel momento: impotente, fragile e terribilmente triste; non sopportava di vedere gli amici litigare e la rattristava sapere che, presto, tutte le loro vite sarebbero in qualche modo cambiate. Il vecchio maso in riva al lago non sarebbe stato più il loro centro di gravità, dove riunirsi, confrontarsi, darsi annunci, fare feste. Dalle scale che conducevano alla foresteria la domenica mattina non si sarebbe più sparso l'odore del ragù alla napoletana, né i gridolini di Mela all'ora del bagnetto. Certo, la vita andava avanti e ci sarebbero stati nuovi modi per stare insieme, nuovi riti e nuove amicizie, ma lasciare andare qualcosa di così bello la rendeva comunque malinconica.    
"Sono incinta!" sentì sé stessa dire, come se le sue corde vocali avessero dichiarato indipendenza dal suo sistema nervoso e avessero agito di propria iniziativa. Ma l'unica persona che sembrò prestarle attenzione fu Francesco, anche perché era l'unico che, come lei, non era entrato nel merito della discussione sul trasferimento della Polizia in una nuova stazione. Il marito le si inginocchiò di fronte.
"Sei sicura?" Lei annuì, voleva solo che la smettessero di farsi del male inutilmente.
"Sono incinta!" ripeté, a voce più alta. I litiganti si azzittirono, di colpo, voltandosi verso la fonte di quella notizia.    
"Cosa hai detto?" chiese Valeria, sbigottita. Spesso, mentre insieme si occupavano di Mela, Emma aveva esternato la voglia di avere un bambino tutto suo, ma mai avrebbe immaginato che sarebbe successo così presto.    
"Aspetto un bambino" annunciò, aprendosi in un sorriso. "Aspettiamo … un bambino" precisò suo marito, orgoglioso, prendendole la mano e baciandone il dorso. Valeria, stupita, portò le mani sulla bocca, ma dagli occhi spalancati si poteva intuire la felicità per la sorpresa che aveva ricevuto.
Corse ad abbracciare i suoi amici, in preda alla commozione; Francesco, preso in contropiede, disperatamente tentava di ricordarle di andarci piano con Emma.
"Quando avevate intenzione di dircelo, stupidi?!" domandò, la voce chiaramente rotta, una volta liberati gli amici dalla sua stretta, ridendo e asciugando le lacrime che erano scese per l'emozione.
"Volevamo aspettare ancora un po', è ancora presto" spiegò Emma "ma voi avete iniziato a litigare e io volevo solo che la smetteste. Era una così bella serata, non poteva finire male"
"Colpa mia" ammise Vincenzo, andando ad abbracciare l'amico. Lo strinse forte, lasciando un paio di pacche energiche sulla sua schiena. Era veramente felice per loro due, conosceva le loro pene, le loro difficoltà e quanto bene avrebbe portato un bambino nelle loro vite. "Hai preso il brutto", sussurrò a Francesco, memore di quello che gli aveva detto in una delle tante serate in cui Vincenzo si presentava in palafitta con due birre e si raccontavano i propri guai tra un sorso e l'altro "ora goditi il bello".
"Ero sicuro che avremmo dovuto aspettare poco per questa bella notizia" proseguì "ma voi avete fatto a'mbresse a'mbresse. Auguri, bella mamma". Vincenzo abbracciò Emma come fosse sua sorella, donna sì ma sempre bambina ai suoi occhi, da proteggere a tutti i costi. Emma ricambiò il suo abbraccio, riconoscente di quanto, nel tempo, Vincenzo era stato vicino a lei e al suo uomo: quando tra di loro volavano cattive parole e sguardi ostili, quando i silenzi erano più assordanti di una litigata e la distanza faceva venire loro le vertigini, quando la speranza era diventata una fiammella sul punto di spegnersi e quando la felicità stentava a farli rimanere con i piedi per terra.
I malumori cessarono, Huber non riuscì a contenere le lacrime e Isabella, prendendo Mela dalle braccia della zia, iniziò a ballare con la piccola per festeggiare l'arrivo di questa specie di cuginetto. Nessuno più pensò alla fine di quella comitiva sgangherata, perché - e in questo Isabella si era dimostrata molto più matura degli adulti con cui viveva - la casa è nelle persone che ami, non nelle mura in cui vivi.  


 


Angolo dell'autrice
 
Salve lettrici/lettori! Non so come chiamarvi perché a parte un paio non ho il piacere di conoscere nessuna/o di voi. Mi piacerebbe che vi faceste sentire, anche un "ciao!", un "lascia perdere" o un "brava" sarebbero graditi, senza grandi discorsi o analisi. Per è veramente importante sapere che c'è qualcuno che non entra nella pagina per caso/sbaglio e cambia storia.
Ad ogni modo aspetterò paziente il primo commento, nella speranza che qualcuno si decida a rompere il ghiaccio a questo giro.
I nostri eroi come vedete sono ad un punto di svolta nelle loro vite, qualcosa, per motivi diversi sta per cambiare per ognuno di loro.
Chissà come andrà a finire, lo scopriremo solo andando avanti con i prossimi capitoli!
A presto,


Federica

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Le disgrazie non vengono mai da sole ***


Capitolo 6 - Le disgrazie non vengono mai da sole
 
 




È solo una festa di compleanno. È solo. Una festa. Di compleanno.
Valeria ripeteva queste parole nella sua testa come un mantra, mentre sistemava la collanina d'argento da cui non si separava mai. Era stato il regalo di sua sorella per i suoi diciotto anni, era la cosa più preziosa che aveva. Magari non aveva un grande valore materiale, ma certamente affettivo.
Un'ultima occhiata davanti allo specchio ai capelli e al vestiario - l'abitino rosso a pois che aveva scelto era sufficientemente sbarazzino per i suoi gusti e abbastanza lungo da soddisfare le esigenze di morigeratezza della mamma di Vincenzo, venuta appositamente da Napoli per il compleanno della nipotina.
Magra consolazione: la signora Maria Carmela non aveva la minima idea che tra lei e suo figlio ci fosse del tenero, e comunque tutte le sue attenzioni di mamma chioccia partenopea sarebbero state rivolte ad Eva, alla quale non aveva di certo perdonato di aver lasciato Vincenzo da solo con una bambina di pochi giorni.
Che Eva fosse al centro dell'attenzione più della festeggiata era ormai un dato di fatto. Ogni volta che metteva piede a San Candido, si mobilitava una tale folla che in confronto l'arrivo del presidente degli Stati Uniti in visita di stato è una gita fuori porta.
Eva Fernandez era la star del paese, anche se il suo cognome spagnolo non lasciava intuire delle origini per metà altoatesine. Sua madre, nata a San Candido, aveva sempre sentito troppo strette per lei le quattro mura del paesino di montagna e aveva trasmesso la stessa claustrofobia a sua figlia. Fintanto che non doveva rendere conto a nessuno non rappresentava un problema ma adesso, con una figlia, la sua repulsione per la provincia e la sua vita lenta e semplice, aveva delle conseguenze ben più gravi.
Eva e Valeria erano due poli opposti: non si attraevano, ma neppure si scontravano; erano perfettamente in grado di ignorarsi beatamente. Condividere gli spazi, e le attenzioni di Mela e Vincenzo, però, era tutta un'altra storia.
"Zia, Klaus è arrivato, possiamo andare…" la informò Isabella, entrando in camera per prendere il cappotto. "Andate pure, io vengo al ristorante con Vincenzo". "Ehm no Valeria …" spiegò il ragazzo "l'ho incrociato qui fuori, stava andando via … cose di lavoro … ha detto di portare anche te, lui ci raggiunge lì"
Valeria sbraitò, contrariata. Già avrebbe dovuto trascorrere un pranzo assieme a tutta la famiglia Nappi e ad Eva - poteva scorgere già le occhiatine e sentire i commenti; fare il suo ingresso senza Vincenzo al suo fianco, se pure in veste di coinquilino, la metteva ancora di più in agitazione. Sperava quanto meno che Emma e Francesco sarebbero arrivati puntuali.
 
"È già pronto, gli abbiamo messo i vestiti nuovi che avete portato la scorsa settimana" disse l'operatrice che aveva accolto Emma e Francesco e li stava accompagnando nel salone dei giochi "mi raccomando, Comandante, è uno strappo alla regola che facciamo per lei, non ce ne faccia pentire"
"Non si preoccupi … non facciamo tardi e ci prendiamo ogni responsabilità … come sempre"
In casa-famiglia erano abituati ormai ad avere Emma e Francesco come presenza fissa; formalmente erano volontari, ma in pratica, ad ogni visita, dedicavano il loro tempo quasi esclusivamente a Leonardo, che era diventato per loro una specie di protetto. Con l'acquisto della casa e visti i tempi lunghi della burocrazia, Francesco ed Emma si erano finalmente decisi ad inoltrare la richiesta di affido del bambino. Sapevano che sarebbe stato un processo lungo e difficile, perché sebbene Francesco fosse la cosa più simile ad un parente che il bambino aveva nelle vicinanze, per la legge lui ed Emma erano degli estranei; li attendeva una lunga trafila di colloqui, incontri e corsi di formazione, prima di poter essere dichiarati idonei. Francesco la trovava una cosa ridicola … dura lex, sed lex, gli ricordava Emma: dovevano stringere i denti e andare avanti, sperando il loro obiettivo che andasse in porto.
"Leo!" lo chiamò la donna "sono arrivati Emma e Francesco!"
"Ma guarda il mio ometto com'è bello questa mattina" Emma si chinò ad abbracciarlo, per poi sistemargli il colletto della camicia che era rimasto nascosto sotto al maglioncino blu. "Sarai un cavaliere perfetto per la festeggiata" commentò Francesco; era la prima volta che riuscivano ad avere il permesso di portarlo via dalla comunità per più di un'oretta. Di solito, fare una passeggiata al lago o un giro in bicicletta nelle vicinanze della struttura era il massimo che riuscivano ad ottenere da educatori e assistenti sociali, che chiudevano un occhio sulla prassi. La presenza, al compleanno della piccola Mela, sia del capo della Forestale che del Commissario di Polizia del paese aveva convinto gli addetti ai lavori a chiudere anche l'altro occhio. Erano emozionati: per loro, infatti, era una sorta di debutto come famiglia.
"Prima di andare, però" esordì Emma "c'è una cosa che ti dobbiamo far vedere"
Francesco prese il piccoletto in braccio, ed insieme andarono a sedere ad uno dei tavolini da disegno; le sedioline erano troppo piccole per loro due, cosicché furono costretti a sedere direttamente sul piano da lavoro. "Che c'è?" domandò Leo, seduto sulle gambe di Francesco, mentre Emma estraeva dalla borsa una foto dell'ecografia che la ginecologa aveva stampato un paio di settimane prima. Emma era stata a lungo indecisa sul da farsi: era un argomento così delicato e non sapeva quale fossero i tempi e i modi giusti per dare la notizia al piccoletto, così avevano finito con l'aspettare fino all'ultimo momento utile. Di sicuro l'argomento sarebbe venuto fuori alla festa e non era giusto che lo sapesse da altri.
"Sai cos'è questa foto?" domandò Emma. Il bambino, ovviamente, fece un cenno negativo con il capo. "Si chiama ecografia" gli spiegò "è una foto speciale che si fa ai bimbi prima di nascere"
"Sono io?" domandò il piccolo, curioso. Francesco ed Emma sorrisero, imbarazzati e divertiti. Entrambi conoscevano le pratiche alternative che Deva, la comunità dove Leonardo era nato, proponeva ai suoi adepti … chissà se i suoi genitori avevano vissuto la loro stessa emozione nell'attesa del suo arrivo; entrambi ne dubitavano fortemente.
"No, amore, non sei tu" disse, pizzicandogli leggermente la guancia "è un altro bimbo "
"E chi è?" Emma rivolse uno sguardo di aiuto verso Francesco, non riusciva a trovare le parole giuste. Suo marito annuì, alleggerendola da quel peso. "È un bambino che deve ancora nascere… è ancora nella pancia della sua mamma " gli disse e dalla sua voce traspariva una forte emozione "Emma ed io siamo la sua mamma e il suo papà"
Forse era colpa degli ormoni della gravidanza, forse perché la voce di Francesco le creava spesso qualche problema, ma ad Emma venne un'irrefrenabile voglia di piangere a sentire quelle parole: tante volte dall'inizio della gravidanza aveva detto sono incinta oppure aspettiamo un bambino, ma per la prima volta vedeva il lieto evento sotto una luce diversa. Non erano i soli a ricevere un dono: loro stessi erano un dono, per quella creatura che sarebbe nata. Non solo i suoi genitori. La sua mamma e il suo papà, qualcosa di più. Dare il proprio corredo genetico è cosa da niente, donare sé stessi è un privilegio a cui si è chiamati e che pochi comprendono veramente.
Leonardo, confuso dalla notizia, allungò una mano verso la pancia di Emma. Non capiva come potesse esserci spazio per un bambino in una pancia completamente piatta. "Adesso è ancora piccolo piccolo" gli spiegò la giovane "più o meno come una prugna … ma piano piano crescerà fino a quando sarà abbastanza grande per uscire".
Francesco era alquanto perplesso dalla piega che la spiegazione di Emma aveva preso. Sperava che a Leo sarebbero bastati i fatti e non avrebbe fatto ulteriori domande sulle modalità di nascita dei bambini. "A settembre, se tutto va bene, te lo faremo conoscere" si affrettò a concludere "sei contento?" "NO!".
Testa bassa, gli occhietti nascosti dai lunghi capelli castani, Leonardo si divincolò energicamente dalla stretta sicura di Francesco, che non cercò in alcun modo di opporgli resistenza, ma preferì piuttosto corrergli dietro. Leo andò a rifugiarsi nella cameretta, che condivideva con altri due bambini, e iniziò a scaraventare a terra, silenziosamente, tutti i giocattoli dalla cesta con il suo nome. Alcuni di questi arrivarono dritti addosso a Francesco. Il forestale, con un cenno della mano, invitò la moglie a restare in disparte, sull'uscio, preoccupato che qualche gioco più pesante potesse colpirla. Emma sapeva che sarebbe stato difficile spiegargli quello che stava succedendo, ma si sentiva in colpa per non aver saputo anticipare la reazione del piccolo.
Chinatosi di fronte al bambino, Francesco aspettò che finisse di sfogarsi. "Che c'è?" domandò, risoluto ma affettuoso. "Io non voglio che voi avete un bambino!" spiegò, mentre tirava calci ad un pallone contro il muro, mantenendo lo sguardo lontano da quello di Francesco. "Perché?"
La risposta, però, non arrivava, e Francesco fu costretto a ripetere la domanda altre due volte "Mi dici perché Leo?" "Perché poi voi non ci pensate più a me!" gridò, raccogliendo il pallone e buttandoglielo addosso. Nonostante il bambino provasse con dei calci a liberarsi, Francesco lo tenne fermo per le braccia e gli impose di guardarlo. "Non è vero, Leo … non lo pensare nemmeno per scherzo, hai capito?! Ascoltami bene: quando qui arriva qualche nuovo bimbo cosa succede, gli danno le tue cose?" Leonardo fece no con la testa, stropicciando gli occhi arrossati dal pianto che aveva frenato a tutti i costi. "Certo che no! Tutto quello che gli serve lo prendono nuovo e ci scrivono sopra il suo nome. E sarà così anche quando arriverà questo bambino … non ti toglierà il bene che ti vogliamo. Anzi, sono sicuro che ti vorrà bene come te ne vogliamo noi. Hai capito?" "Sicuro?" domandò il piccolo, dopo qualche attimo di incertezza "Te lo prometto! E adesso basta piangere perché poi altrimenti le foto alla festa vengono brutte, ok? Com'è che diciamo noi … dopo il temporale…" "… arriva il sole" concluse il piccolo. Sì, il sole arriva sempre, basta crederci un po'. Quando Marco era piccolo, Francesco sorrideva amaramente a quelle parole che aveva letto in un libricino per bambini e che erano diventate un contentino strategico per calmare i suoi capricci: prima terribilmente disincantato, poi la vita gli aveva tolto troppo perché potesse essere vero. Da quando aveva iniziato a crederci, però, il sole era arrivato anche per Francesco.
"Sei stato bravo" si complimentò Emma, sollevata, mentre camminavano sottobraccio, raggiungendo l'auto, Leo che li precedeva "l'hai calmato immediatamente"
"Non è finita … Leo ha sofferto tanto, dobbiamo stare molto attenti"
Emma fece spallucce "Ormai … non ci fa paura più niente, se siamo insieme"
 
Alla fine Vincenzo era riuscito ad arrivare giusto in tempo per la torta. "Ma vedi tu se un padre si deve perdere la festa di compleanno della figlia" commentò la madre, vedendolo finalmente arrivare. "Eh mammà, tieni ragione. Sai che faccio la prossima volta? Chiamo a casa dei ladri e gli dico - Scusate, se non vi è di troppo incomodo vengo domani ad arrestarvi … che oggi tengo la festa di mia figlia. Vabbuone accussì?" "Oddi' Vince' quanto sei indisponente"
Con un gesto di stizza il commissario lasciò perdere sua madre e le sue prediche e si concentrò su sua figlia, che come al solito era finita tra le braccia di Valeria. Vicino a loro, anche Leonardo, impegnato a dimostrare alla piccola il funzionamento di un nuovo giocattolo, ma Mela sembrava invece più divertita dalla possibilità di farlo cadere.  "Finalmente…hai visto Mela, ce l'ha fatta ad arrivare quel mascalzone del tuo papà…" "Ue' Vale' non ti ci mettere pure tu …" le disse, prendendo la piccola Carmela in braccio "vieni piccire', tu sei l'unica che capisce a papone tuo. È vero?! È vero?!" La piccola Mela, tutta presa dal suo nuovo compagno di giochi, fece sentire il proprio disappunto, provando con tutte le sue forze a tuffarsi con il corpo verso Leonardo. Vincenzo, frustrato, fu costretto a lasciarla andare. "Ma che rè oggi…nu complotte contr'e me!" "Vincenzo tu proprio non puoi parlare …" lo rimprover Valeria, agitata "lo vedi il vestitino di Mela?" "Eh ... è proprio bello" "Ti sembra quello che le ho comprato io?" Vincenzo guardò la figlia con più attenzione, perplesso dalle parole dell'amica. Effettivamente, invece del vestitino azzurro a fiorellini che Valeria aveva scelto, Mela indossava un abitino rosa antico a tutù. "Eva dice che è dello stesso stilista che veste le figlie del re di Spagna" spiegò, risentita. Vincenzo si sedette nel posto vuoto accanto a lei, mettendole un braccio attorno alla spalla "Che altro?" domandò, immaginando che Eva avesse scompigliato i preparativi di Valeria ben oltre un vestitino. "La torta … e le decorazioni, quando sono arrivata aveva già fatto mandare indietro tutto e non ho voluto dirle niente davanti a tua madre"
"Stai tranquilla" le disse "ci parlo io" "No, lascia perdere … è sua madre, è giusto che faccia qualcosa per lei. Ma poteva avvertirci prima"
Vincenzo ammirava come Valeria fosse in grado di gestire quella situazione molto meglio di quanto lui stesso non fosse in grado di fare. Era riuscita ad accettare il suo posto, così precario e liminare, in maniera matura e aperta, non facendo clamori né protestando quando era il momento di fare un passo indietro. "Grazie" le disse, lasciandole un bacio sulla fronte, incurante dello sguardo di sua madre che sentiva di avere addosso.
 
"Di sicuro mio zio è stato felice di sapere la bella notizia" "Sì" rispose Emma, entusiasta "non ha mai risposto così velocemente ad una mia email prima d'ora. E questo nonostante sia in Nepal. Ma ha messo in chiaro che non vuole farsi chiamare nonno"
Quando Emma e Francesco sostenevano di essere stati fortunati ad aver trovato una famiglia a San Candido, non avevano idea di quanto letterale il significato di questa frase potesse essere. E non solo perché loro si erano innamorati ed avevano deciso di mettere su famiglia insieme. Pietro Thiene, colui che aveva preceduto Francesco come capo della Forestale, aveva negli anni intessuto una fitta rete di affetti che, in alcuni casi, erano andati oltre la semplice amicizia. Così come senza di lui, seppure a migliaia di chilometri di distanza, loro due probabilmente non si sarebbero mai incontrati, anche per Giorgio e Manuela galeotte furono le acque di quel lago che tanta fortuna sembrava portare a chi ci passeggia intorno. Manuela Nappi, sorellina di Vincenzo, aveva conosciuto in un soggiorno temporaneo nel paese di montagna Giorgio Gualtieri, nipote di Pietro, quello che - ormai era più questione di quando che di se - sarebbe diventato suo marito. Insieme si erano trasferiti a Napoli, per permettere alla ragazza di completare i suoi studi in Giurisprudenza.
"Sono sicura che il vostro bebè sarà pieno di zii e zie …" commentò Manuela, mentre erano in attesa di scattare le foto di rito con la piccola Mela vicino alla torta "a vedere quanto tutti siete affettuosi con Mela non ho dubbi a riguardo. Anzi, quasi quasi sono gelosa. Io sono la zia vera e la vedo solo in videochiamata"
"Non sentirti in colpa" la consolò Emma "abbiamo tutti vite piene ed impegnate che è normale vedersi poco quando si è così distanti. Almeno avete internet…"
"E poi se non si fa problemi la madre a vederla solo con il telefono" sopraggiunse la mamma di Vincenzo, senza neanche fare attenzione ad abbassare il tono della sua voce "perché dovresti fartene tu. Scusate eh, se mi sono intromessa…"
"Mamma ancora con questa storia!!!" la rimproverò sua figlia "Eva e Vincenzo sono adulti e vaccinati, si prendono le loro responsabilità e mi pareva che tu avessi promesso di non mettere più bocca sui loro affari … due anni fa"
"Mettere bocca è una cosa, ma potrà una madre ancora esprimere la propria opinione .. o no? Giorgio, tu che dici?"
Manuela alzò gli occhi al cielo, trascinando via il povero Giorgio che la ringraziò sottovoce del pericolo scampato, invitati dal cognato a fare la foto con la nipotina.
"Voi che dite?!" continuò la donna, tentando di attaccare bottone con Emma e Francesco "Ho ragione o torto?"
Emma mise le mani avanti "Signora la prego non ci metta in mezzo, conosciamo la mamma di Mela veramente poco" "Prima ci siamo presentate molto di fretta … voi siete Emma, la moglie del comandante della forestale, giusto? … un gran bell'uomo, complimenti! Siete una donna davvero molto fortunata" La signora Carmela era quel tipo di donna che fingeva di non sapere mai niente quando non le conveniva, ma diventava pane al pane, vino al vino se c'era da fare conversazione; in quel caso, poco le interessava che Francesco fosse lì con loro "Signora, mi creda… tra i due sono io quello fortunato" le disse lui, stringendo a sé la moglie, provando ad allontanarla dalla madre del collega. La donna però, teneva Emma per un braccio. "E dite dite, chella creatura che prima stev pazziann con mia nipote è vostra?" Emma risolse che rispondere affermativamente, senza scendere nei dettagli, fosse la soluzione più semplice ed indolore per tutti. "Bravi … sposati, na bella creatura e un uccellino m'ha detto che ce n'è pure n'altra in arrivo, o mi sbaglio?!" Francesco era sicuro che quell'uccellino avesse il piumaggio rosso e rispondesse al nome di Huber. "No, non sbaglia" rispose Emma, accarezzandosi la pancia. "Vi faccio i miei migliori auguri … ah, come vorrei che quello sfortunato figlio mio si trovasse na bella guagliona comme a voi. Povera nipote mia, le è capitata una mamma proprio disamorata …" "Signora non dica così..." Emma, in profondo imbarazzo, provò a minimizzare "tutti possiamo sbagliare, l'importante è non perseverare". Da lontano, Valeria le lanciò uno sguardo misto di compassione e scherno, visto che a lei, a cui era capitato di averla proprio di fronte a tavola, era toccato sorbirsela per tutto il pranzo, anche a causa del ritardo del commissario.
"Perseverare, signora Emma? Quello mio figlio c'ha una lista di sfortune in amore che solo Santa Rita ci può mettere una mano … mica comme a voi due!" la giovane etologa e il comandante della Forestale si rivolsero uno sguardo complice. Se solo la signora avesse conosciuto i dettagli della loro storia, difficilmente li avrebbe presi a modello "A proposito, ma di quella collega di vostro marito che mi dite, Valeria Ferrante mi pare si chiami…"
"Francesco! Emma! Tocca a voi!" Vincenzo li chiamò e Francesco, come Giorgio prima di lui, ringraziò il cielo che fosse arrivato il loro turno per la foto a salvarli dalla madre del commissario. "Vincenzo" gli disse, tentando di dare un'aria presentabile a Leonardo, che si era messo a scorrazzare nella sala che era stata riservata solo per loro ed era tutto scompigliato e sudato "metti una museruola a tua madre prima che faccia danno" "Ma come faccio, France'?!" si sfogò il commissario "Mammà tiene ancora il dente avvelenato, lo sai" "E allora tieni mammà lontana da Eva, è dall'inizio del pranzo che spara a zero contro di lei".
Emma invece aveva preso in braccio la piccola Mela. Mentre stavano in posa, Klaus ed Isabella che si sbracciavano per attirare l'attenzione dei bimbi durante lo scatto, si accorse che Eva se ne stava in disparte, silenziosa, pur fingendo un sorriso di circostanza. Rimasti gli ultimi a dover assolvere al rito della foto, Emma pensò bene di portare la bambina dalla madre. "Grazie" le disse Eva, riconoscente di quella attenzione, forse la prima della giornata. La bambina non era molto a suo agio tra le braccia della donna, si vedeva chiaramente, ma distraendola un po' con giochetti e canzoncine erano riuscite a non farla reclamare troppo. "Ci sai fare con i bambini … sarai di sicuro una brava mamma … scusa, ho sentito Manuela complimentarsi prima …" "Tranquilla, non fa niente." "Congratulazioni! Di quante settimane sei?" "Grazie! Tredici settimane. Ancora un paio di giorni ed entro nel secondo trimestre" "Wow … goditi i prossimi mesi, allora. Sono i migliori, niente nausee e avrai ancora un aspetto umano" Emma per educazione rispose con un sorriso piuttosto tirato. Capiva il suo punto di vista, ma non lo condivideva; non le interessava delle caviglie gonfie o delle smagliature, non vedeva l'ora che la pancia non le permettesse di vedersi più i piedi o di iniziare a camminare a papera: ogni segno che la gravidanza avrebbe lasciato su di lei, sarebbe stata una cicatrice da portare con orgoglio, il ricordo indelebile della più grande avventura della sua vita.
"Ti invidio sai" disse Eva, a bruciapelo. Emma rimase attonita, non si aspettava una tale confidenza da parte sua "hai una bella famiglia, un uomo che ti ama …" "Eva non parlare così, non siamo tutti uguali e non ambiamo tutti alle stesse cose nella vita. Tu non sei tagliata per una tranquilla vita di provincia, io non potrei mai tenere i ritmi della tua, sempre sotto i riflettori. E va benissimo così." Nel frattempo, i camerieri avevano iniziato a servire la torta al tavolo ed Eva invitò Emma a sedere per un momento al suo fianco "Io ce l'avevo, sai, una vita come la tua … è solo che non sono stata capace di tenermela stretta" "Evidentemente non faceva per te, non te ne fare una colpa" "Forse…" si fermò un attimo per rimuginare, accanendosi con la forchettina sul pan di spagna della torta, che chiaramente non era intenzionata a mangiare; in quel momento, con quella malinconia addosso, Eva avrebbe preferito vomitare piuttosto. Come se non bastasse, aveva notato che sua figlia sembrava più interessata alle faccine che Emma le faceva che a giocare con i ciondoli del suo bracciale "… ma non mi è rimasto niente. Ho perso mia madre ...  non ho un amica vera … persino mia figlia sembra più legata a degli estranei che a me" "Ma questo perché Mela non …" "Non mi conosce"
Emma avrebbe voluto mordersi la lingua, ma Eva le disse di non preoccuparsi, che era la verità e non c'era da nascondersela. Il nodo della questione stava tutto lì: Eva Fernandez, modella conosciuta in tutto il mondo, era un'estranea per sua figlia. La vedeva tutti i giorni in videochiamata, ma non sapeva quale fosse il suo giocattolo preferito, le sue canzoncine non la facevano addormentare e quando finalmente erano insieme, da sole, per i primi 10 minuti non faceva altro che piangere, proprio come con una babysitter qualunque. Prima di lei venivano Valeria, Huber, Emma, Francesco … persino Isabella a 16 anni aveva più feeling con sua figlia rispetto a lei. Ma c'era un problema ancora più grande che Eva non aveva mai veramente affrontato "Non mi sono mai sentita una madre. Non ero convinta quando sono rimasta incinta e non sono riuscita a legare con lei quando è nata. Tutti mi dicevano … vedrai quando la terrai in braccio, sarà tutto diverso … ma io non ho sentito niente"
"Non ti offendere ma … posso chiedere perché lo stai dicendo a me? Magari un professionista potrebbe aiutarti …" Emma non era un'esperta ma quello che Francesco e Valeria le avevano raccontato di Eva e quello che stava leggendo in quelle settimane le dicevano che forse nessuno aveva mai provato a capire se potesse soffrire di depressione post-partum. "Guardati Emma" le disse, quando Mela riuscì ad imporsi e a raggiungere le braccia della zia putativa "tu sei una madre … io a malapena posso andare bene come una zia che le porta i vestiti carini"
"Eva io non lo so perché ti senti così" le disse e lei che aveva tanto combattuto per raggiungere quello aveva in quel momento faceva fatica a non immaginarsi qualcosa di più bello di un sorriso del proprio bambino o delle sue manine calde attaccate al proprio corpo "però posso dirti una cosa: nella mia vita ho apprezzato molto di più l'amore sincero di mia zia che i regali che i miei genitori non mi hanno mai fatto mancare"
Emma avrebbe difficilmente dimenticato la lezione che la sua infanzia le aveva impartito: riconoscere gli affetti e tenerseli stretti, dimostrando l'amore con la propria presenza invece che comprarlo con i regali "se questo è quanto puoi dare a Mela non fa niente, va benissimo, nessun manuale dice come si deve voler bene ad un bambino ... e credimi di questi di tempi ne sto leggendo tanti. Ma sii presente  … non compensare, perché quelle assenze poi le pagherete tutte, sia tu che lei, quando sarà grande. Io ci sono passata."
"Emma?!" Francesco richiamò la sua attenzione a bassa voce, mettendole una mano sulla spalla. Leonardo era letteralmente crollato tra le due braccia "È meglio se andiamo".
 
"Di cosa stavate parlando tu ed Eva?... ieri sera ho dimenticato di chiedertelo" domandò Francesco, all'uscita dal supermercato, sistemando le borse della spesa nel bagagliaio dell'auto. "Mah … di un po' di tutto … di lei, di Mela … poverina mi fa una pena"
"Perché?" "Perché non è la persona che pensavo che fosse … superficiale e insensibile ... in realtà è molto fragile" "Già … e in più anche molto sola" senza più i suoi genitori, Vincenzo non l'aveva capita e non aveva saputo starle vicino quando più le sarebbe stato necessario, così avevano finito per allontanarsi. Francesco si ricordava ancora la loro litigata quando, pieno dei suoi io, con Emma stava facendo gli stessi errori e Vincenzo glielo aveva fatto notare.
"Le ho detto che se vuole parlare io ci sono, ma non sono sicura di essere la persona giusta …" "Tu sei troppo buona, amore mio"
Mentre si mettevano in auto, il cellulare di Emma iniziò a squillare. Emma fissò lo schermo per qualche secondo impietrita, indecisa se rispondere o meno. "Che c'è Emma?" domandò Francesco, preoccupato; poche volte l'aveva vista così "Chi è?"
Emma si passò una mano tra i capelli, chiuse gli occhi e, preso un gran respiro, si decise a rispondere: "Pronto … mamma?!"
 
 

Angolo dell'autrice

Ciao a tutte! La volta scorsa non ho scritto niente perché ero un po' di fretta e volevo a tutti i costi pubblicare il capitolo. 
Oggi faccio solo una piccola spiegazione. Questo capitolo è una ideale seconda parte del capitolo precedente, cioè del III mese di gravidanza, ma per ragioni di lunghezza e ritmo narrativo ho preferito dividerlo in due. Dal prossimo capitolo (non so quando sarà, devo ancora iniziarlo e credo che mi ci vorrà un po') torneremo alla narrazione mese per mese. 
Spero la storia vi stia piacendo e che prima o poi vi decidiate a lasciarmi un commento (grazie a chi lo ha già fatto o vorrà farlo, anche in privato).
A presto!


 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Secondo mese o mi fa male anche l'acqua ***


Capitolo  4 - Secondo mese o "mi fa male anche l'acqua"



 




 
Il momento preferito della giornata, per Valeria, era il mattino; più esattamente, quei  cinque minuti di limbo tra lo stato comatoso del sonno e la consapevolezza che un nuovo giorno è iniziato ed è ora di far diventare il tepore del letto un dolce ricordo, in cui difficilmente ci si ricorda anche il proprio nome.
In particolare, Valeria amava il momento in cui il suo olfatto si attivava e recepiva l'odore di caffè che invade tutto l'appartamento. Un aroma dolce ed amaro allo stesso tempo, caramellato, quasi. Di solito, a questo punto, Valeria si sarebbe concessa una bella stiracchiata, approfittando del letto matrimoniale che le camere della foresteria avevano in dotazione - aveva più l'aria di essere un boutique hotel più che un dormitorio; ora però condivideva la stanza, e il letto, con la nipote, e gli unici movimenti che le erano concessi al mattino erano quelli necessari per strecciarsi dal suo abbraccio notturno. La prima volta che Isabella si era stretta alla zia nel sonno, forse inconsciamente, forse no, Valeria era rimasta di sasso. Aveva lasciato San Candido che Isabella era una bambina, l'aveva ritrovata un'adolescente. Tra di loro non c'era un vero e proprio legame, anzi: le circostanze della vita le avevano rese estranee e per giunta ostili, a tratti. Poi, d'improvviso, una cosa in comune: la perdita di Adriana. Ciononostante l'aveva lasciata fare, sebbene la ritenne una cosa inusuale e quasi innaturale, perché sapeva che Isabella era sola, come lei: insieme, sperava, avrebbe fatto meno male. Adriana, le aveva detto Francesco, la voleva vicina, nonostante il male e gli errori del passato; voleva una zia per Isabella, qualcuno che si prendesse cura di sua figlia se lei avesse perso la battaglia contro il suo male. Valeria non era sicura che le parole di Francesco fossero vere o piuttosto un incoraggiamento di circostanza, ma l'ultim
a chiamata che aveva ricevuto da sua sorella, quell'invito a pranzo per ricominciare come una famiglia, le dava il coraggio di abbandonarsi totalmente a quella missione: bugia o no, voleva crederci.
Divisa già indossata e con già tre tentativi di buttare Isa giù dal letto andati a vuoto, Valeria uscì dalla sua stanza. Nei primi mesi di permanenza in caserma, con i suoi problemi di insonnia, era sempre la prima ad andare nella zona giorno a preparare la colazione per tutta a ciurma: espresso per lei e Vincenzo, latte e cereali per sua nipote e biberon con biscotti sciolti nel latte per Mela. Naturalmente, a tavola preparata, era consuetudine aggiungere qualche tovaglietta e tazza in più per gli avventori del turno di mattina che venivano invitati, sempre con la stessa formula, almeno a prendere un caffè. Con sua sorpresa, invece, era da qualche tempo che, senza neanche l'aiuto dei sonniferi, riusciva a strappare qualche ora di sonno in più e Vincenzo la batteva sul tempo. Così, invece di attivare i suoi sensi in piedi davanti ai fornelli, poteva concedersi di farlo ancora sotto le coperte; come ciliegina sulla torta, si ricordò del finale con sorpresa della serata precedente, della bellissima sorpresa che gli amici avevano fatto a tutti loro e aveva contribuito a far tirar tardi. Emma e Francesco - soprattutto Francesco era stato inflessibile a riguardo - avevano chiesto e ottenuto di non avere intrusioni  da parte degli amici negli 8 mesi a venire, ma Valeria era sicura che nessuno dei presenti, uomini in particolare, avrebbe mantenuto la promessa facilmente.
"Isa!!! Dai che è tardi. Klaus forse ti aspetta, ma la campanella a scuola no!!!"
Avvicinatasi al bancone della cucina, si accorse che sul fornello, al posto della solita moka, c'era una caffettiera napoletana. Bruttissimo segno. La cuccumella, come la chiamava Vincenzo, era la macchinetta dei chiarimenti, delle discussioni, dei confronti. Quando c'era qualcosa da dirsi, qualcosa per cui non bastava un caffè al volo, era pronta lì sul fuoco, implacabile e minacciosa. Non solo quella mattina non aveva avuto la sua dose di aroma di caffè a svegliarla, ma per giunta l'aspettava una conversazione che, se fosse stato per lei, avrebbe decisamente evitato.
"Buongiorno" esclamò una voce alle sue spalle. "Buongiorno" rispose Valeria, esitante. "Mela l'ho già sistemata … fai colazione insieme a me?" propose Vincenzo, invitandola a sedersi a tavola, mentre posizionava la piccola nel box con tutti i suoi giochi. Valeria non era stupida, aveva intuito il motivo dell'invito, che alle sue orecchie suonava più come una minaccia; la sera precedente, infatti, le parole tra di loro non erano state tra le più gentili. Tornati a casa gli ospiti, mentre mettevano a posto le ultime cose, il silenzio tombale che era sceso tra loro era interrotto solo dalle proteste di Mela che combatteva il sonno, volendo continuare a tutti i costi a giocare con Isabella.
Sedutasi, Valeria provò a comportarsi con nonchalance. Prese una fetta biscottata dalla confezione  ed iniziò a spalmare la marmellata. "Isaaaa!"
Notò che Vincenzo corse verso i fornelli e, con un'operazione attenta e decisa, prese la caffettiera saldamente per i due manici e la capovolse. Da quel momento avevano almeno 10 minuti buoni per parlare prima che il caffè fosse pronto. A Valeria prese improvvisamente una forte arsura.  "Eccomi!" si lagnò la ragazzina, aprendo energicamente la porta scorrevole dalla camera da letto e facendo irruzione nella zona giorno come un uragano, rubando la fetta biscottata a cui la zia era in procinto di dare il primo morso. "Ehi!" protestò Valeria. "Sono di fretta…buongiorno Vincenzo!" gli schioccò un bacio sulla guancia di corsa mentre passava alle sue spalle per prendere in frigo un succo di frutta in brik da bere in macchina verso scuola.
"Ce li hai soldi per la…merenda?" non fece in tempo a domandarle la zia che Isabella era già in probabilmente dentro la piccola utilitaria di Klaus.
"Ogni mattina la stessa storia…" "Lascia perdere" la consolò Vincenzo "tanto non ci vinci"
Si era seduto accanto a lei e di solito a quel punto Valeria si girava verso di lui, poggiando i piedi ancora scalzi sulla sedia dove sedeva Vincenzo, portando le dita dei piedi leggermente sotto le gambe del commissario. Sapeva che gli dava un fastidio da morire e la cosa la divertiva. Alla fine lui si era arreso; segretamente, in realtà, iniziava a fargli piacere questo piccolo gesto di intimità e di routine familiare che si era instaurato tra loro. Non quella mattina, però: si sentiva come una bambina che era stata colta con le mani nel barattolo della marmellata.
"Riguardo a ieri sera…" esordì l'uomo
"SCUSA!" si affrettò a rispondere Valeria, agitata. Voleva chiudere questa storia prima ancora di iniziarla.
"Scusa tu?" "Sì Vincenzo, non so cosa mi sia preso … Mela è tua figlia e io non ho alcun diritto di dirvi quello che dovete o non dovete fare"
Avergli rinfacciato tutto quello che aveva fatto per loro era stato un colpo basso: in primis, perché nessuno le aveva puntato una pistola alla tempia e anche perché, trovava, lei aveva ricevuto molto di più di quanto aveva dato loro. Erano diventati quella famiglia che lei non aveva. Non c'era prezzo per un dono così.
"Valeria…qui se c'è una persona che deve chiedere scusa sono io! Ti ho detto una cosa atroce…"
non era vero che non aveva avuto bisogno di lei, né di nessun altro. La verità è che senza i suoi amici da solo non ce l'avrebbe mai fatta. Senza Valeria non sarebbe passato indenne alle notti di coliche e pianti inconsolabili, senza Francesco avrebbe impiegato mesi a togliersi di dosso l'ansia ogni volta che la piccola si addormentava e senza Huber … senza Huber sarebbe stato tutto un po' più grigio.
Non aveva chiesto niente a nessuno di loro, ma loro c'erano sempre e comunque. Un gesto, una parola, un sorriso, bastavano ad alleggerire una situazione pesante come la sua.
Sapeva che con Eva gli errori erano venuti fuori uno dopo l'altro perché erano ormai, da troppo tempo, su binari diversi. Si era convinto di poter tenere tutto insieme, che doveva farlo perché non poteva permettersi un altro fallimento di amore. E così non aveva colto i segnali o forse si imponeva di non coglierli, per quieto vivere personale era molto meglio così.
Ma essere onesti con sé stessi, aveva imparato, nella vita è più importante di qualsiasi apparenza. Aveva la sua vita, piena, soddisfacente e se non era destino, avere Mela come unica donna della sua vita era una prospettiva più che allettante. Con Valeria, però, le cose stavano prendendo una piega che, forse per la prima volta nella sua vita, lo spaventava. La sua testa gli diceva che era troppo più giovane di lui, che erano così diversi e che, prima o poi, non sarebbe riuscito a starle al passo. Con Mela nella sua vita, il lusso di una storia a tempo determinato non poteva concederselo.
"Ho sbagliato con Eva…non voglio sbagliare con te" ammise. Nelle sue parole, il dubbio che quell'attenzione fosse più nei riguardi di sé stesso che di Valeria. Doveva essere sicuro che potesse esserci di più, che occorreva andarci piano e stare attenti. Con il dorso della mano, corse ad accarezzarle il viso. Valeria inclinò la testa leggermente di lato, incrociando il suo sguardo.
"Non pensare nemmeno per un secondo che pensavo quello che ho detto" affermò. Lei annuì.
"Quando andrete via…" disse lei, pesando attentamente le parole. Riprendere l'argomento le metteva una forte malinconia addosso. "... quando andrete via non cambierà nulla. Se doveste avere bisogno di qualsiasi cosa … qui la porta è sempre aperta…e il telefono sempre acceso"
Sorrisero. Entrambi sapevano che il cordone sarebbe stato difficile da recidere.
"Io non voglio cambiare nulla tra noi" continuò Vincenzo "sei parte delle nostre vite ormai."
Le prese la mano, gentilmente, e fece in modo che gli occhi di lei fossero ben fissi sui suoi: voleva che vedesse la verità delle sue parole attraverso lo sguardo.
"Se me lo permetti … se ce lo permetti" disse, buttando velocemente lo sguardo verso la piccola Mela "vorrei continuare a vederti anche quando ci trasferiremo. Le nostre spaghettate a mezzanotte quando il film in tv non finisce mai … le passeggiate al lago con Mela … tu che provi a farmi fare CrossFit…"
Una risata sommessa scappò ad entrambi; ad entrambi venne in mente quella volta in cui Valeria volle far provare a Vincenzo le sue cavigliere antigravitazionali e il povero commissario finì appeso a testa in giù e penzoloni come un sacco da boxe.
"Scherzi a parte" proseguì "promettimi che non finisce così".
"Promesso" rispose Valeria, decisa "stessa vita, indirizzi diversi".
Si abbracciarono. Non avevano fatto pace, perché in fondo sapevano entrambi che quello non poteva considerarsi un litigio. Si erano promessi un futuro, di provarci a farlo funzionare, qualunque cosa ci fosse tra loro.
 
Nei giorni che seguirono, il risveglio a casa Neri fu caratterizzato da ben altro genere di rituale. Entrata nel secondo mese, Emma aveva iniziato davvero a sentirsi incinta. All'inizio era come una sensazione di fastidio generale, come se di colpo fosse diventata sensibile agli odori che la circondavano. Il profumo di pino della palafitta, ad esempio, che da sempre aveva un effetto rilassante su di lei, all'improvviso le dava noia. Con il passare dei giorni, quel fastidio, che non aveva più niente a che vedere con il legno, era diventato sempre più insistente. Ogni mattina, appena aperti gli occhi, Emma era costretta a tirarsi giù dal letto di scatto e raggiungere il bagno. Lo faceva talmente di fretta che non si curava di mettere nulla addosso.
I movimenti rapidi e il passo scalzo erano diventati l'equivalente di una sveglia per Francesco. Emma odiava che lui la vedesse riversa sul gabinetto a vomitare, non si riteneva uno spettacolo decoroso, ma non protestava quando, pochi secondi dopo il suo risveglio traumatico, sentiva le grandi mani del marito afferrarle i capelli e massaggiarle la schiena, in silenzio. Finito il tormento mattutino, mentre Emma si dava una sistemata, Francesco si limitava a passarle una vestaglia da mettere addosso. "Ho acceso la stufa, ma casa è ancora fredda" era l'unico commento che si lasciava sfuggire. Emma apprezzava questa presenza gentile e discreta dell'uomo, sapeva che poteva contare su di lui e si sentiva protetta. Era il suo modo di dirle ci sono e lei lo sentiva.
Questo non significa però, che Francesco non fosse preoccupato. All'ennesima mattina di nausee, il forestale non riuscì più, durante la colazione, a trattenersi: "Se non passa ti porto in ospedale", esordì.
Aveva letto su internet che spizzicare qualcosa prima di alzarsi era un buon rimedio ma, per come lo vedeva lui dall'esterno, era come se fosse il risveglio stesso a provocare ad Emma i conati. La scatola di latta di biscotti che aveva messo sul comodino di Emma era praticamente rimasta intatta.
"Non dire sciocchezze, sto benissimo, devo conviverci e basta" gli rispose, mentre sorseggiava l'ennesima tazza di infuso di zenzero, uno dei tanti rimedi che il marito aveva scovato sui siti per mamme in attesa. "Se non stai attenta rischi la disidratazione, Emma, non scherzare"
Emma capiva immediatamente quando il marito non era sereno. Lo sguardo basso e scuro, la mano destra iniziava a tamburellare nervosamente su qualsiasi superficie malcapitata si trovasse…in questo caso, il tavolino di fianco alla stufa.
"Non scherzo, tranquillo" lo rassicurò, prendendogli la mano "le nausee mattutine sono perfettamente naturali"
"Sì, ma in alcune donne …" "Alt!" esclamò Emma, portando una mano di fronte al volto del marito come avrebbe fatto un vigile "se stai per incominciare a parlarmi di iperemesi ti fermo subito perché non è il mio caso. Davvero, Francesco, sto bene. Durante il giorno non va così male…"
Eppure, per Francesco, le rassicurazioni di Emma il più delle volte lasciavano il tempo che trovavano. Ci provava a fidarsi di lei, davvero, proprio come gli aveva detto Vincenzo; ma Emma ne aveva passate così tante e di peggiori che, pensava lui, di sicuro avrebbe cercato di minimizzare e sopportare, senza curarsi delle conseguenze che la cosa avrebbe potuto comportare se non tenuta sotto controllo. Perdere il controllo della barra, per uno come lui abituato a pianificare, dare ordini e risolvere i problemi in prima persona non era facile. La sensazione di impotenza quando vedi qualcuno che ami così tanto star male è una pillola difficile da mandare giù, soprattutto se, come nel caso di Francesco, non era la prima volta.
"Non credere che non mi sia accorto di quanto sia sgradevole per te questa storia delle nausee … e non riesco a dirti quanto mi dispiaccia che non ti senta bene. Vorrei poter fare di più…"
"Ma tu fai già tanto, amore mio" lo frenò Emma, alzandosi e mettendosi a sedere sulle sue ginocchia, le braccia saldamente ancorate alle sue spalle. Le braccia di lui l'accolsero volentieri. "Ci sei, fai attenzione a quello che mi succede e a come mi sento. Poche donne godono di questo lusso"
Lui la ringraziò, guardandola con quell'espressione da cucciolo che la scioglieva ogni volta.
"Per cosa?" domandò lei.
"Grazie per tutto quello che fai per il nostro bambino".
Emma gli prese il viso tra le mani, accarezzandolo delicatamente con i polpastrelli dei pollici. C'era qualcosa di magico in quel volto, pensava Emma, che tante volte lo aveva scrutato di nascosto, affrontato faccia a faccia, studiato nel più minimo dettaglio mentre lui dormiva. Pieno di fascino che solo la maturità poteva restituire, pieghe e crucci che negli anni lo avevano segnato, eppure con la dolcezza di chi stava scoprendo il mondo, quello vero, per prima volta.
Un bacio dovrebbe essere normale amministrazione per una coppia sposata, eppure Francesco sentiva ancora, ogni volta, il calore salirgli dallo stomaco al petto ed avrebbe giurato che il cuore avesse perso un battito mentre le labbra di Emma si stavano avvicinando. L'odore di lei gli riempì le narici. Era così vicina; nel momento in cui le loro labbra su sfiorarono tutto il suo corpo reagì istintivamente. I suoi occhi, seppure chiusi, era come se fossero concentrati su di lei, guidando le mani a memoria lungo la vita e giù per i fianchi, il suo odore ancora più ipnotico. Il gusto di lei ... quel talento innato di mettergli a tacere i pensieri, facendogli immediatamente desiderare di più. La mano di Francesco scivolò sotto la vestaglia, indugiando sulla pelle liscia e tonica delle cosce della moglie.
"Tu un pigiama, mai?" domandò, facendosi strada con il viso tra i lunghi capelli caramello per raggiungere l'incavo del collo. Dal tono cavernoso, Emma capì che aveva distolto l'attenzione del marito dalle sue paturnie. Gli uomini, pensò, sono esseri molto semplici, più di una cosa per volta non riescono a farla…
 
"Almeno io posso chiederti come stai?" chiese Valeria ad Emma, sedute di fronte ad una buona tazza di cioccolata calda in un bar del centro di San Candido. Pochi giorni di sole avevano permesso di ripulire le strade dalla neve scesa copiosa a Gennaio e stiepidire le temperature, abbastanza da consentire il ritorno alla vita all'aperto anche ai meno temerari.
Se i ragazzi festeggiavano la risoluzione delle indagini con un boccale di birra, Valeria aveva optato per una versione tutta sua: una sana sessione di shopping liberatoria. E quando l'unica collega donna era impegnata, il compito ingrato di essere sua compagna toccava ad Emma. Emma non era un'amante delle compere compulsive, il suo guardaroba era proporzionato alle capacità ridotte dell'unico ripostiglio che avevano a disposizione in palafitta. Non che le importasse più di tanto, di moda e accessori; le piaceva però passare del tempo con le persone a cui voleva bene e in poco tempo Valeria era entrata di diritto tra queste.
"Certo che puoi chiedermelo" rispose Emma "quella storia della promessa è per quell'impiccione di Huber e a suo modo per anche per Vincenzo. Ad ogni modo … potrebbe andare meglio …"
"Nausee?"
Annuì "Il peggio è al mattino…e tu capisci bene che iniziare male la giornata non aiuta. E poi c'è Francesco…". "Francesco?"
Emma sospirò "Già ho il mio bel da fare a trattenermi dal vomitare ogni volta che sento un odore strano … e ultimamente tutti gli odori sono diventati strani … mancava solo lui a completare l'opera." Valeria rise portando la mano davanti alla bocca, un po' per l'imbarazzo di ridere di Emma, un po' perché, mentre sorseggiava la cioccolata, il ciuffetto di panna le aveva lasciato un baffetto sulla bocca. "Non c'è niente da ridere!!!" protestò Emma, esasperata "Da quando ha iniziato a leggere i dépliant informativi che ci hanno dato alla visita ginecologica mi tratta come una bambola di porcellana … tutto è pericoloso e vorrebbe portarmi in ospedale per ogni minima cosa. Se andiamo avanti così tra qualche giorno dirà che mi fa male anche l'acqua".
Emma sbuffò, ma si accorse che l'amica, ancora divertita, non riusciva a prenderla sul serio.
"Voglio dire…ci sono dei giorni in cui è un angelo, attento e premuroso e credimi, vorrei solo che fosse sempre così … e non ossessivo-compulsivo"
"Emma, io lo so che a volte può sembrare pedante … ricordati che è il mio capo e ci lavoro ogni giorno … ma è perché ci tiene veramente" Valeria era tra quelle persone che più gli erano state vicino quando Emma era in ospedale; una sera, ricordava, si era trovata a pregare che Emma sopravvivesse non solo perché una morte tanto prematura era una cosa troppo ingiusta, ma perché era terrorizzata dall'idea che Francesco potesse impazzire senza di lei. Le risultava difficile, ora, riuscire a compatire la sua amica perché il marito le risultava apprensivo "… devi solo portare un po' di pazienza" la rincuorò "quando le nausee passeranno sono sicura che vi godrete entrambi la gravidanza al meglio.  E poi inizieranno i preparativi per il nido … ho sentito Francesco che diceva qualcosa a Martino…"
"Sì" confermò Emma "stiamo solo aspettando che la banca ci approvi il mutuo e poi si parte. Anche perché il maso di Zoe…" "Il maso di Zoe?!" "Sì, non te l'avevo detto?" "No…" ammise Valeria "e sinceramente non mi sarei mai aspettata che qualcuno sarebbe riuscita a spuntarla…Martino diceva che Zoe era decisa a non vendere a nessuno" "A nessuno che non accettasse di trattarlo con rispetto" spiegò Emma "le abbiamo assicurato che lo lasceremo il più possibile com'è"
"Ma … ma … ma è un rudere!!!" "Non è un rudere! E' antico …  è diverso"
"Dai Emma con tutti i lavori che avrete da fare sicuramente non sarà pronta in tempo … io l'ho vista" commentò la forestale con disapprovazione "i bagni risalgono minimo a quando San Candido apparteneva ancora all'impero austro-ungarico!" Emma fece spallucce, sorridendo. Non le importava quanto ci sarebbe voluto e, se Francesco non si era opposto, neanche nella presente situazione, significava che, tacitamente neanche lui aveva fretta. "Finché questo piccolino" o piccolina, pensò, portando la mano sulla pancia "non inizierà a camminare, staremo benissimo in palafitta". "Emma!" la riprese l'amica "ma l'inverno? Non ci hai pensato?" "Ecco…adesso ti stai intromettendo, ricordati la promessa"
"Hai ragione" si placò Valeria, mostrando il saluto scout "so quanto sia importante per te e Francesco quella casetta sul lago, ma sai anche quanto sono rigidi qui gli inverni. Ti chiedo solo di promettermi che ci penserai meglio, perché tanto lo so che si fa solo quello che decidi tu"
Risero entrambe, mentre suggellavano la promessa di Emma con un brindisi alla cioccolata calda.
"Cambiando argomento…" decretò Valeria, rullando le mani sul tavolo "è ora di iniziare a pensare al compleanno di questa bimba. Non vogliamo che zio Huber metta le mani sul nostro primo compleanno, vero Mela?" La piccola, impegnata a mangiucchiare il sonaglietto a forma di mela che era appeso al manicotto del passeggino, non diede ascolto alla vocina acuta e leziosa della zia. Mancavano tre settimane al compleanno, che cadeva nel mese di marzo, ma Valeria era determinata a battere sul tempo l'assistente capo di polizia e ad evitare che si trasformasse in un Oktoberfest di primavera.
"A proposito del compleanno di Mela … " intervenne Emma "Eva?" "Ha promesso che ci sarà" rispose Valeria, tornando seria.
Eva era un argomento di conversazione molto delicato, su cui il più delle volte, quando il nome veniva pronunciato, si preferiva dribblare. Valeria non la odiava, anzi si era anche spesa per lei, quando Vincenzo, ancora ferito dal torto subìto, era determinato a non farle vedere la bambina. Ma le era bruciato, e tanto, che a nulla era valsa la solidarietà femminile e tutto il suo buon senso le si era ritorto contro ed Eva aveva portato via Mela a Vincenzo. Anche quando le divergenze si erano appianate, quando la piccola era tornata a casa, Valeria, pur non dandolo a vedere, si sentiva iperprotettiva nei confronti di Vincenzo e Mela. Li amava, li sentiva la sua famiglia e per difenderli avrebbe tirato fuori i suoi artigli da leonessa se necessario. Eva era la mamma di Mela, ci sarebbe sempre stata nella loro vita, ma era una presenza di cui lei avrebbe fatto volentieri a meno: donna di una bellezza disarmante, aveva tutte le armi e le capacità per intortare e ferire le persone intorno a lei.
Emma, che era psicologa senza bisogno di un titolo, tutti glielo dicevano sempre, lo sapeva bene e aveva capito da quella frase che, a tre settimane di distanza, Valeria stava già preparando la linea di difesa.
"E Vincenzo che dice? Immagino anche lui sia un po' con la testa altrove ultimamente, con tutti i preparativi per il trasferimento…" "Vincenzo è Vincenzo, lo conosci, finché non sbatte la faccia contro il muro è forte e coraggioso … ed Eva è il muro per la sua faccia"
Uomo tutto d'un pezzo, Eva era stata la grande debolezza della sua vita. Conosciuta dopo una grande delusione d'amore, la modella spagnola gli aveva fatto completamente perdere la testa. E anche se per un po' erano stati felici, erano quanto di più lontano fossero l'uno dall'altro, due rette incidenti che hanno un, ed uno solo, punto in comune: la loro bambina.
"Sei gelosa?" sondò Emma, attenta nel toccare quel nervo scoperto, ma altrettanto sicura che la sua amica non si sarebbe mai indignata per quell'intrusione. In lei non c'era nessuna malizia di pettegolezzo, ma solo premura leale. Valeria lo capiva, lo sguardo limpido e luminoso che la gravidanza le aveva donato traspariva le sue intenzioni. Le sorrise, abbassando lo sguardo. Valeria aveva un'apparenza gagliarda, sfrontata a volte e qualcuno l'avrebbe potuta scambiare, sulle prime, per arroganza e maleducazione, ma Emma riconosceva la stessa armatura che aveva faticosamente smontato, pezzo per pezzo, dal cuore di Francesco. Come tutti, anche Valeria aveva le sue fragilità, ma a pochi privilegiati era dato di conoscerle.
"Ci sarà sempre nella sua vita …" e certo non si riferiva a Mela, anche se istintivamente si affrettò a prenderla dal passeggino e a stringerla a sé, poggiando la sua guancia sulla piccola testolina bruna "… però …" "Cosa?" "…Vincenzo vuole che continuiamo a vederci quando andrà via"
"Sbaglio o qui c'è odore di appuntamento?" domandò Emma, sagace, addentando una madeleine che avevano servito insieme alla cioccolata. L'amica, impegnata a tenere le manine della piccola Nappi lontane dalla tazza, ancora calda, di cioccolata, fingeva di non aver sentito.
"Valeria!!!" "Che c'è?!" "Allora? Guarda che se non me lo dici parlo con Isabella" "E' inutile che minacci" la canzonò Valeria "perché tanto lo so che non lo faresti mai … eee comunqueee … è possibile"
I loro sguardi complici gioirono per quel piccolo grande passo. E Valeria esplose come un fiume in piena con Emma che, silenziosa e attenta, ascoltava tutto quello che c'era da dire sulla questione: che quell'appartamento dove vivevano era un albergo, che non avevano un momento per stare soli, che Mela per tutti e due era la cosa che più contava e che dovevano, per sé stessi ma soprattutto per lei, andarci con i piedi di piombo.
 
"Fatto spese, piccire'?Eh piccire'?! Eh picciré?!" domandò Vincenzo, prendendo in braccio sua figlia, quando le due amiche e Mela tornarono in caserma. Vincenzo avrebbe passato ore a mangiare di baci quelle guanciotte rosee e paffute e quella leggera linea di barba, incolta ed ispida, che Vincenzo si ostinava a voler portare, solleticava la piccola, che si dimenava tra le sue braccia e rideva di gusto.
"Le ho preso il costumino da bagno e le ciabattine …" rispose Valeria, mentre con Emma sistemavano le buste "domenica rompiamo il ghiaccio del lago e le facciamo fare un bagnetto, tanto è previsto sole…"
"Ma sei matta" rispose allarmato Vincenzo "quell'acqua sarà a meno dieci … che le vuoi fa piglià 'na polmonite a sta criatura?"
Valeria, lo guardò, in silenzio, le mani sui fianchi, un'espressione sconcertata e incredula: vivevano sotto lo stesso tetto da mesi e ancora prendeva sul serio battute così stupide ed ovvie. Emma non riuscì a trattenere una risata in faccia al commissario.
"Sì ma tu non puoi farmi prendere certe paure … voi, gente di montagna, siete strani assai, uno si può immaginare di tutto" tentò di giustificarsi Vincenzo e Valeria, nonostante tutto, amava questo suo essere adorabilmente imbranato e protettivo quando si trattava di sua figlia.
"Io scappo … Francesco mi aspetta già a casa" dichiarò Emma, salutando Valeria e la piccola con un bacio. "Ah Vincenzo … " esclamò, tornando indietro, poco dopo aver varcato la soglia dell'ingresso "quasi dimenticavo … mi farebbe piacere tenere Mela qualche sera, io e Francesco abbiamo bisogno di fare pratica e così … magari … tu e Valeria potete prendervi una serata libera. Quando vuoi, basta un colpo di telefono. Buona serata!"
Un occhiolino verso Valeria e sparì giù per le scale. Vincenzo rimase senza parole. Donne, se non ci fossero … sarebbe meglio che nessuno le inventasse.


 

Angolo dell'autrice

Salve a tutti! Breve saluto e spero che la storia vi stia piacendo. Oltre a questo capitolo, questa settimana ho creato dei piccoli moodboard/collage che mi aiuteranno a raffigurare alcune cose della storia che mi stanno a cuore e sono un po' la sintesi in immagini. Spero che l'idea - ispirata da una cara amica - vi piaccia!
Buon inizio di Giugno e a presto con un sacco di novità e ... nuovi arrivi e ritorni!!!


Federica

 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Terzo mese o Tumtum, tumtum ***


Capitolo 5 - Terzo mese o "Tumtum, tumtum"
 






 
"Sei preoccupata?" le chiese Francesco, ma Emma non rispose. La stretta più energica alla mano del marito, intrecciata alla sua, così come il leggero tremolio delle gambe accavallate, tradiva la tranquillità che si affaticava a dimostrare.
In quel momento, mille pensieri affollavano la mente di Emma, su tutti la paura che quello che era già successo una volta, a cui la donna si rifiutava di dare un nome, potesse ripetersi di nuovo. In quel momento, non le interessava nulla delle statistiche, di sapere che "la prima volta capita molto spesso", né che la sua patologia poteva essere stata una delle cause scatenanti. Voleva solo che il suo bambino stesse bene.
In attesa del suo turno, seduta nel corridoio dell'ambulatorio di ginecologia, quell'odore alcolico di medicinali e disinfettanti le era entrato dalle narici risalendo fin nella testa, premendo sulle tempie. Era l'odore dei reparti degli ospedali che negli anni aveva visitato, in cui era stata ricoverata e dei quali conservava pochissimi ricordi positivi.
 
"Ehi!" una voce familiare la chiamò, e il volto di Francesco fece capolino dal corridoio del reparto. La sua voce come il suo sorriso sembravano voler trasmettere serenità, emozione anche, per il grande giorno. Ma, a guardarli bene, i suoi occhi erano quelli di un condannato a morte e, dentro di sé, l'uomo stava combattendo la battaglia più grande della sua vita. Da un lato la volontà di trasmettere ad Emma tutta la forza che aveva in corpo e, dall'altro, la voglia di strapparle tutti i tubi, caricarla di peso e portarla via da quel posto. Ma lei aveva deciso e lui doveva starle vicino. Vederla seduta su quel letto, il camice chirurgico indossato, i capelli raccolti in una cuffietta, le cannule per le flebo che le pendevano dall'incavo del braccio, fece perdere il respiro a Francesco, proprio come quando sulle giostre si viene catapultati di colpo verso il basso, ma quello non era un gioco.
"Ehi!" rispose Emma, calma; la preanestesia stava pian piano facendo effetto su di lei. L'infermiera che l'aveva aiutata a prepararsi tirò il paravento tra lei e la paziente nel letto a fianco, concedendo loro un po' di privacy prima che fosse il momento di andare in sala operatoria; la ringraziarono sommessamente. Per loro, quello, non era affatto un giorno di festa. Entrambi avrebbero solo voluto fermare il tempo, disperatamente, o quanto meno farlo scorrere il più lentamente possibile.
Francesco entrò timidamente nella stanza, la giacca di pelle tra le mani; si sedette sul bordo, attento e timoroso, quasi fosse coperto di chiodi. La separazione imminente e la consapevolezza che potessero essere gli ultimi istanti che trascorrevano insieme, appesantivano i loro cuori e bloccavano in gola le parole più importanti. Al loro posto, futile conversazione, una parvenza di normalità per nascondersi la paura e le incertezze per le ore a venire. "Hai messo il mio maglione preferito" commentò Emma, infilando la mano tra manica del maglione di lana blu scuro, che tanto le piaceva, e il braccio del suo uomo, scorrendo le dita tra le maglie intrecciate. "Per te" fu solo in grado di risponderle.
Per un attimo i loro sguardi si incrociarono. Non avevano bisogno di parole, gli occhi parlavano per loro. Emma ruotò la mano che era ancora nella manica del maglione per accarezzare il braccio di Francesco, scendendo lentamente fino a che le loro mani non si incontrarono e si strinsero forte.  Forza! - sembravano urlare - Torna da me!
"C'è qualcuno che è venuto a salutarti" le confidò lui "ha tanto insistito che alla fine nessuno ha saputo né potuto dirgli di no!"
Emma lo guardò, interdetta; allora Francesco si alzò dal letto e uscì dalla stanza ed Emma lo vide fare dei cenni a qualcuno lontano nel corridoio, incitandolo ad avvicinarsi. Era il piccolo Leo.
"Entra su, non avere paura!" Francesco lo incoraggiò ad entrare, guidandolo delicatamente con le sue grandi mani sulle spalle del bambino. Il piccolo, intimorito da quel luogo così insolito, le luci fredde, gli odori sgradevoli e le persone tutte vestite in maniera strana, aveva tutta l'aria di chi aveva cambiato improvvisamente idea. Chissà cosa si era immaginato di trovare, entrando nella stanza di Emma.
"Cucciolo!" lo salutò Emma, aprendo le braccia per accoglierlo. Il bambino, rincuorato dalla voce familiare e dal suo sorriso così dolce, corse ad abbracciarla, tuffandosi a nascondere il viso nel suo petto. Gli piaceva quando Emma, nell'abbracciarlo, lo cullava dolcemente. Era da pochissimo tempo che i due si conoscevano, avevano passato qualche serata insieme, colorando e leggendo qualche storia, quando Emma aveva lavorato per i Moser e poi, a seguito dell'arresto dei suoi genitori adottivi, aveva iniziato a prendersi cura di lui assieme a Francesco. Avevano avuto pochissimi giorni per legare, ma erano bastati per farli diventare quasi inseparabili. Francesco le diceva sempre che era una calamita naturale per le persone, con il suo modo di fare gioioso ma mai eccessivo riusciva a trasmettere a chiunque benessere e positività. Era un po' il sole di quel sistema di pianeti quale era diventato il loro gruppo di amici più intimi.
"Lo sai che questo bambino ha un regalo per te?" disse Francesco, facendole l'occhiolino.
"Davvero?!" Il piccolo, staccatosi dall'abbraccio, annuì, porgendole il foglio che stringeva forte tra le mani quando si era avvicinato e, abbracciandola, aveva fatto scivolare sul letto. Nonostante la semplicità delle linee, erano ben distinguibili le montagne, il lago con la palafitta più piccola, lontana, e loro tre, sulla spiaggia, intenti a far volare un aquilone.
"Hai disegnato la nostra gita al lago?" "Sì" "Amore è bellissimo!" lo ringraziò, baciandogli la fronte. "Adesso facciamo una cosa" aggiunse, ripiegando il foglio da disegno "lo metto sotto al cuscino … così … e lo porto in sala operatoria con me, come portafortuna. Va bene?!"
Il bambino annuì, ma difficilmente capiva quello che stava accadendo attorno a lui. Gli avevano spiegato che Emma aveva una "bua alla testa" e che un dottore l'avrebbe tolta. Ma che ci fosse la possibilità concreta di non rivedersi, lui non poteva neanche immaginarlo.
"Di' ad Emma quello che mi hai detto prima?" lo incalzò Francesco, vedendo il bimbo un po' impacciato. "Ho detto a Francesco che … che mi deve insegnare le cose sui lupi perché poi … perché poi quando tu torni, noi dobbiamo andare in alto in alto in montagna a vederli!" disse, enfatizzando l'idea di alta montagna aiutandosi con le braccia. Quell'immagine strappò un sorriso ad entrambi: ad Emma, che distolse il pensiero dall'operazione imminente e a Francesco, che per un attimo dimenticò tutto quello che di brutto era successo nella sua vita e ritrovò quella sensazione di famiglia e di casa che aveva perso anni prima. Ma la cruda realtà di quel luogo li spinse di nuovo con forza e spietatezza con i piedi per terra.
"Torni presto?" domandò Leo. "Non lo so, tesoro, sono i dottori a decidere…" tentò di spiegargli Emma, baciandogli la fronte. Respirò più forte che poteva quel dolce profumo d'infanzia, di latte e di fiori delicati. Voleva trattenere, quanto più poteva, ricordi delle persone a lei più care.
L'infermiera rientrò nella stanza "Mi dispiace interrompere Emma…ma dobbiamo andare"
"Un minuto solo, la prego" la voce di Francesco si era completamente trasformata, Emma non l'aveva mai sentita così, implorante "Leo, vai da Vincenzo … io arrivo subito". La ragazza acconsentì, gentilmente, prendendo per mano il piccolo che, prima di uscire, lasciò un bacio sulla guancia di Emma, e accompagnandolo fuori.
"Vincenzo?!" domandò Emma, stupita "c'è anche lui?"
"Sono venuti tutti … Vincenzo, Valeria … persino Huber" sorrise, tornando a sedere di fianco a lei "speriamo che per oggi il crimine a San Candido si sia preso una pausa"
Emma, sorprendendo Francesco, si buttò al suo collo. "Ho paura" confessò. Il suo corpo era composto, la sua voce ferma, forse leggermente stordita, ma era facile intuire che era solo per via dei tranquillanti che le avevano dato per portarla in sala operatoria con più facilità. Una lacrima, però, bagnò il collo dell'uomo, là dove Emma aveva nascosto il suo volto e gli stava lasciando dei baci leggeri.
"Sshhh" tentò Francesco di consolarla. Meccanicamente portò la mano sulla testa, come per accarezzarle i capelli, ma la sua bella chioma era intrappolata sotto una cuffietta di cotone. Avrebbe voluto toccarli un'ultima volta, aspirare il loro sentore dolce e vanigliato. "Emma …" disse, pesando le parole con estrema cura "sei ancora in tempo … se non vuoi …"
Francesco temeva la sua reazione, ma sperava che capisse che non c'era egoismo nelle sue parole. Ovvio, avrebbe fatto di tutto per evitarle l'intervento, ma aveva iniziato a capire anche lui che era l'unica possibilità che aveva per poter vivere una vita normale, nonostante il rischio così dannatamente alto.
"No" disse, riportandosi di fronte a lui e asciugandosi le lacrime "devo farlo. Per me, per te … e anche per quel piccolino …"
Era la sua famiglia. Se fosse andato tutto come sperava, sarebbe tornata da loro e avrebbero costruito insieme quel futuro che lei non si era più potuta permettere il lusso di immaginare. Era bello vivere nel presente, godersi ogni singolo attimo; ma quanto bello ancora sarebbe stato fare dei progetti, programmare anche solo una giornata da trascorrere insieme … figurarsi una vita, una casa, un figlio.
Poggiò la sua fronte su quella del suo compagno, come quando, nel loro posto speciale, lui finalmente le aveva detto -ti amo-. Restarono così per pochi secondo, ma ad entrambi sembrò un'eternità, loro fermi ed il mondo intorno che girava, vorticosamente.
"Non mi lasciare sola" "Sono qui, non ti lascio sola … tu però promettimi che torni da me"
Lei andò a cercare aria sulle labbra di lui; la cercava affamata, come se fosse una finestra aperta sulle loro montagne, assaporando con voracità tutto quello che lui aveva da offrirle: tutto sé stesso, la forza del suo corpo per combattere, il coraggio del suo cuore per affrontare il nemico a testa alta, l'abilità della sua mente di difendersi dagli attacchi.
L'infermiera, di ritorno, si schiarì la voce per segnalare la propria presenza.
"Voglio che lo tieni tu" disse Emma, restituendo a Francesco l'anello che lui le aveva donato pochi giorni prima. Nonostante le sue proteste, lui aveva insistito … non c'era tempo di andare all'altare, le aveva detto, che almeno avesse un simbolo di quella promessa che si erano fatti: una vera sottilissima, in oro giallo, con tre piccoli diamanti incastonati; minimalista, proprio come loro. Mentre l'infermiera sistemava gli ultimi dettagli del trasferimento in sala operatoria, Francesco sganciò la catenina che di solito aveva al collo e vi inserì l'anello, accanto alla medaglietta, ricordo di Marco.
"Hai tolto la fede?" domandò Emma, sorpresa. Lui, si inginocchiò di fianco al letto " Come te lo devo dire che ci sei solo tu?"
Per Francesco era arrivato il momento di aprire gli occhi e ammettere che quel matrimonio non era finito per colpa di Deva, del Maestro; non era finito neanche a causa dell'incidente occorso a suo figlio: si era arenato molto tempo prima, ma per la lontananza e il bene del bambino, avevano continuato a credere che andasse tutto bene, nonostante le differenze, nonostante i silenzi, nonostante la distanza persino in quei pochi momenti che trascorrevano insieme.
Era tutto pronto, il momento della verità si stava avvicinando. Due uomini in divisa bianca entrarono nella stanza per far uscire il letto direzione camera operatoria. Senza dirsi nulla, le mani di Emma e Francesco si cercarono e si trovarono, strette quasi ad arrestare la circolazione. Non c'era dolore, né torpore. Seguendo la barella lungo il corridoio del reparto, il forestale non si accorse nemmeno di aver lasciato cadere a terra la sua giacca. Un ultimo bacio sfiorato, un ti amo sussurrato sulla bocca prima che l'ascensore inghiottisse Emma. Poi, per entrambi, una lunga apnea, buia e silenziosa.
 
Francesco lasciava che Emma gli stringesse forte la mano. Non importava che gli facesse male, perché conosceva bene i cattivi pensieri che tornare in un ospedale, qualsiasi fosse il motivo, le provocava. Dal canto suo, invece, era eccitato. L'idea di vedere per la prima volta il bambino lo lasciava senza fiato: nonostante avesse interiorizzato la prospettiva di star diventando padre di nuovo, nonostante avessero già, insieme, avuto a che fare con alcuni tappe tipiche di una gravidanza, la possibilità di vedere con i suoi quel piccolo esserino che gli stava sconvolgendo l'esistenza rendeva tutta l'esperienza più concreta. Con la mano libera dalla stretta, si mise a giocherellare con gli anelli all'anulare di Emma: quel passatempo scacciapensieri sembrò funzionare non solo per lui, ma anche per Emma che, con un leggero sorriso, appoggiò delicatamente la testa sulla sua spalla. La sua testa era ancora altrove, ma almeno sembrava rasserenarsi.
"Giorgi?! Emma Giorgi?!" fuori dalla porta del suo studiolo, la ginecologa li chiamava. A San Candido si mormorava che l'ospedale avesse avuto un occhio di riguardo per la moglie del comandante della Forestale, facendola seguire direttamente dal primario, ma non era vero, ed Emma stava ben attenta che questo dettaglio rimanesse il più possibile lontano dalle bocche delle pettegole: si era rivolta alla stessa dottoressa che l'aveva seguita quando aveva perso il suo … il loro … primo bambino. Sulla sessantina, i tratti tipicamente nordici, la dottoressa Rainer era una di quelle donne che, grazie all'eleganza e alla delicatezza dei modi, riusciva a dimostrare molti meno anni di quanti ne avesse in realtà.
"Emma…amore, tocca noi"
La reazione di Francesco, che quasi saltò dal sedile quando sentì pronunciare il nome della moglie, irradiò il volto di Emma con un gran sorriso ed ebbe l'effetto di scacciare ogni brutto ricordo. Non era sola questa volta e, orgogliosamente, mantenendo le loro mani intrecciate lo trascinò tra le due ali di madri e padri che, come loro, erano in attesa del proprio turno. Ricordava ancora troppo bene la sensazione di disagio che aveva provato quando si era presentata da sola all'appuntamento per l'ecografia durante la prima gravidanza; magari era solo suggestione data dalle circostanze, ma aveva percepito degli sguardi indagatori e giudicanti posarsi su di lei quando si era seduta su uno di quei seggiolini da sola, senza un compagno a sostenerla, come se le paure e i dubbi che sentiva dentro fossero in bella mostra su un cartello luminoso davanti a lei.
"Allora Emma, come andiamo?" domandò la dottoressa, mentre Emma si sistemava sul lettino, dando uno sguardo agli esami che le aveva prescritto. Aver avuto l'opportunità di avere al suo fianco la stessa ginecologa che l'aveva seguita la prima volta, la faceva sentire più tranquilla; forse si comportava così con ogni paziente ed era solo professionalità, ma Emma sentiva l'impegno e la cura che la dottoressa stava impiegando per far sì che tutto andasse nel migliore dei modi. La calma, la gentilezza e al contempo la risolutezza dei suoi modi avevano fatto nascere un feeling speciale tra le due donne, fondamentale in circostanze così delicate.
"A parte le nausee e mio marito … tutto bene, grazie!" spiegò, inviando una smorfia di scherno nei confronti di Francesco che aveva provato a controbattere.
"Per le nausee possiamo trovare un rimedio" scherzò la dottoressa "per il marito, mi dispiace ma non rientra nelle mie competenze, ho paura che dovrai tenertelo così."
"Dottoressa mi creda" rispose lui "non faccio nulla che lei stessa non approverebbe, Emma deve sempre esagerare". La donna sorrise, fin troppo abituata alle apprensioni delle coppie al primo figlio; Emma, invece, si lasciò andare ad un sospiro di capitolazione. Ormai aveva capito che avrebbe dovuto fare l'abitudine a convivere con quel maniaco ossessivo compulsivo e, se lo conosceva bene, poteva permettersi di sperare che, una volta iniziati i lavori nella nuova casa, avrebbe canalizzato lì tutte le sue energie.
"Le analisi sono tutte in ordine" affermò il medico, posizionandosi davanti all'ecografo "ora diamo un'occhiata a questo pargoletto. Pronti?" Annuirono entrambi. Emma, allungata sul lettino, allungò il braccio verso Francesco, per raggiungere ancora una volta la sua mano. Si era sentita troppo sola, meno di un anno prima, quando si era seduta in quello stesso punto a guardare quel monitor senza sapere cosa fare, nessuno che le desse un'alternativa all'inevitabile, impaurita, sfiduciata. Vederlo lì, al suo fianco, agitato e coinvolto, le mosse un dubbio che già in passato l'aveva turbata: se lo avesse avvertito prima, se gli avesse dato l'opportunità di vivere assieme a lei quella stessa esperienza, forse la sua reazione sarebbe stata diversa, forse tante cose sarebbero andate diversamente. Stai calma, Emma, pensò, ricordando le parole che sua zia le aveva detto tante volte, la storia non si scrive con i se e con i ma.
Il gel ecografico posto sul suo basso ventre, freddo e appiccicoso, la fece sussultare per un breve istante e la sonda ecografica che premeva sulla pancia iniziava a dare i suoi effetti sulla vescica che, per facilitare l'esame diagnostico, aveva dovuto riempito per un'ora intera con un litro d'acqua. Oltre all'ansia per il risultato, Emma sperava anche di non dover aggiungere un altro genere di brutte figure.
"Ecco qua" affermò la ginecologa quando sullo schermo apparvero le prime immagini. Emma però, anziché focalizzare la sua attenzione sul monitor, preferì mantenere il suo sguardo sul volto del marito e da lui capire se la situazione era buona o meno. Lui, seduto su uno sgabello alla sua destra, non riusciva a smettere di sorridere. Il burbero e tenebroso Francesco, i cui sorrisi Emma aveva potuto contare sulla punta delle dita da quando si conoscevano, aveva stampata sul volto un'espressione di completa e totale meraviglia. Gli occhi lucidi, anche le lacrime sembravano essersi fermate per lo stupore. Non era sicura che il marito si stesse rendendo pienamente conto di quanto stava vedendo; così, fattasi coraggio e preso un respiro profondo, Emma si voltò verso il monitor.
Razionalmente ogni mattina, davanti allo specchio, si ripeteva di non affezionarsi, almeno fino alla fine del primo trimestre, per non subire di nuovo il dolore per il distacco, se qualcosa di brutto fosse accaduto di nuovo. Ma era il suo bambino, il loro bambino, lo avevano desiderato così tanto che non poteva non amarlo. Se avesse sentito tutto l'amore che i suoi genitori provavano per lui, sicuramente avrebbe preferito restare con loro piuttosto che volare via. E doveva sentirlo forte più che mai il loro amore in quel momento, il cuore della sua mamma doveva rimbombargli attorno come un rullante, tanto batteva all'impazzata. Ed il piccoletto sembrava partecipe di quel momento di gioia collettiva, quasi sapesse quanto fosse importante l'appuntamento del giorno da non voler sfigurare di fronte a mamma e papà: le braccine e le gambette, per quanto piccole e ancora poco sviluppate, si muovevano senza sosta, girandosi e rigirandosi nel sacco amniotico come fosse tutto solo in una grande piscina dall'acqua caldissima.
Emma non riusciva a staccare gli occhi da quel pesciolino di soli 3 cm e dovette sforzarsi quanto più poteva per trattenere le lacrime che altrimenti le avrebbero appannato la vista. Portò istintivamente la mano davanti alla bocca, come a voler trattenere un urlo liberatorio; conviveva da giorni con i malesseri tipici del suo stato, ma in quel momento faticava a credere che una cosa tanto bella stesse succedendo proprio dentro di lei. La grandezza di quel miracolo la faceva sentire così minuscola, al suo cospetto.
Mentre la dottoressa parlava loro di misurazioni, di sacco vitellino e altre parole poco comprensibili, l'unica cosa che attirava l'attenzione di Francesco era quella manina, ancora abbozzata, che era curiosamente vicina al volto del bambino; non ne era sicuro, ma gli piaceva immaginare che si stesse succhiando il pollice. Non poteva evitare di immaginarlo fare la stessa cosa, solo fra le sue braccia, avvolto in una copertina, cullandolo si notte mentre Emma riposa al suo fianco. Già si immaginava l'odore di latte e talco che avrebbe riempito la stanza, il silenzio ricercato a tutti i costi per poter ascoltare al meglio il suo respiro, i sorrisetti beati durante il sonno.
"E adesso controlliamo il battito" dichiarò la ginecologa. All'inizio della gravidanza, per aiutare i futuri genitori ad allentare le ansie dovute alla perdita precedente, la dottoressa aveva effettuato un'ecografia interna per controllare che fosse tutto apposto, ma erano ancora nelle primissime settimane e il battito non era ancora apprezzabile.
Tumtum tumtum tumtum tumtum…
Emma avrebbe riconosciuto quel suono tra mille altri, in una stanza affollata e con la musica da discoteca ad altissimo volume. Era il cuore del suo bambino. Perfettamente normale e straordinariamente in salute, come confermato dalla dottoressa. Non le interessava altro.
"Quello…quello è…?" biascicò Francesco, staccando le sue mani da quelle di Emma e puntando il dito verso il monitor. "Il suo battito?!" indagò la dottoressa, provando a completare la frase "assolutamente sì! Straordinario vero? Dopo tutti questi anni, non riesco ancora a farci l'abitudine"
Francesco liberò un sospiro d'incredulità. "È il nostro bambino …" gli sussurrò Emma, commossa. "Il nostro bambino" ripeté lui, stordito ma felice, accarezzandole i capelli. Tra i due lui avrebbe dovuto essere quello con più esperienza, la persona matura, in controllo della situazione; eppure tra i due Emma, in quel momento, sembrava quella più in grado di gestire razionalmente l'ondata di emozioni che li aveva investiti.
"Bene, per me basta così" concluse la ginecologa, porgendo un asciugamano di carta per ripulirsi "puoi risistemarti e poi ci accomodiamo di là per pianificare i prossimi step"
"Grazie mille, dottoressa" Francesco, approfittando del paravento che separava l'area dedicata all'ecografo e la scrivania, non appena la ginecologa si era allontanata, avvolse sua moglie, che si era appena tirata su dal lettino, le gambe penzoloni, in un lungo abbraccio, cogliendola alla sprovvista, e posandole un tenero bacio sulla guancia. Emma si strinse forte al suo collo, comprendendo totalmente la gioia piena che suo marito stava provando. Erano entrambi su una nuvola; difficile scendere da lì.
"Buon compleanno" gli sussurrò. "Non potevi farmi regalo più bello".
Usciti dal parcheggio dell'ospedale, Emma si rese conto immediatamente che la strada che avevano preso, portava in direzione opposta che solitamente facevano per tornare a casa.
"Dove stiamo andando?" "Sorpresa!" rispose il marito, mimando una zip serrata sulle labbra. "Mmmm, va bene" Emma alzò le mani in alto, in segno di resa "ma non è giusto. È il tuo compleanno, sarei io a dover fare una sorpresa a te"
"Tu me ne hai fatta una bella grossa negli ultimi mesi…non ultimo l'ecografia nel giorno del mio compleanno"
"A chi lo dici, quando alle prenotazioni mi hanno detto la data, non potevo crederci neanche io. Non me lo sono fatto ripetere due volte"
"Comunque abbiamo proprio un bambino…." "…o bambina" lo corresse Emma "o bambina, certo, non c'è differenza. Comunque sia…è un prodigio: hai visto che già aveva la manina in bocca?"
"Vogliamo parlare per un attimo di come nuota qui dentro … quello l'ha preso tutto da me" "Ah. Ah. Ah."
Ad Emma piaceva punzecchiare il marito; non che lei non sapesse nuotare, ma ovviamente il merito era tutto dell'istruttore della forestale che le aveva impartito delle lezioni private. Era palese che, se quel fagiolino che aveva nella pancia aveva doti da nuotatore, l'aveva ereditato dal padre.
Il segreto, tuttavia, non durò a lungo. Emma riconobbe ben presto, infatti, la strada che, uscendo dal paese, portava verso il maso che stavano acquistando. "Stiamo andando al maso, vero?"
"Non ti si può proprio nascondere nulla, eh!?" ironizzò "Guarda nel cassetto"
Emma aprì lo sportello del vano portaoggetti. Frugando, trovò un mazzo di chiavi che non aveva mai visto prima. "Le chiavi di casa nostra" dichiarò Francesco orgoglioso. "Ma come?" "Tecnicamente manca ancora la firma dal notaio…lo so. Ma Zoe me le ha date per iniziare a dare un'occhiata dei lavori da fare".
Era strano, per entrambi, visitare una casa in cui erano già stati diverse volte, sapendo però che, a breve, sarebbe diventata la loro casa di famiglia. Dopo l'ecografia, ancora di più. Il grande prato antistante la casa, con una staccionata sarebbe diventato un giardino perfetto per far scorrazzare il piccolino in tutta tranquillità.
"Dovremmo adottare un cane" propose Emma, uscendo dall'auto. "Prego?!" "Dovremmo adottare un cane … una casa isolata e un bimbo in arrivo hanno bisogno di un guardiano" già si immaginava la cuccia, vicino alla legnaia, anche se sapeva che probabilmente avrebbe finito col dormire ai piedi del loro letto o della culla. "Una cosa per volta, amore mio, non corriamo" per quanto l'idea lo allettasse, il ricordo di Argo era ancora troppo forte. Il suo compagno di avventure se n'era andato troppo all'improvviso e prendere un nuovo cucciolo gli sembrava quasi fosse un rimpiazzo.
"Vieni, Emma" la invitò Francesco, aprendo la porta di casa. In quell'istante, un déjà-vu. Francesco vicino alla porta, lei pietrificata nel bel mezzo del prato. Lui che la invitava a visitare la casa, lei che non poteva farlo. Lo aveva tradito e gli aveva mentito; il suo entusiasmo le aveva fatto capire che non poteva continuare a nascondergli la verità troppo a lungo. Ogni tentativo di spiegazione sembrava un'arrampicata sugli specchi, l'umiliazione di gettarsi ai suoi piedi era servita solo a farlo montare a cavallo e lasciarla lì, da sola, in lacrime. "Emma!!!" "Sì arrivo!"
Valeria aveva ragione. Effettivamente il maso era ridotto veramente male. Non era sua intenzione portarsi sfortuna da sola, ma rimetterlo in sesto, probabilmente, avrebbe significato non abitarlo prima che il bambino avesse iniziato l'asilo.  Si domandava se la sua voglia di restare in palafitta un po' più a lungo non l'avesse spinta ad imbarcarsi in un progetto più grande di loro. L'ingresso ed il corridoio, stretti e dal soffitto basso, erano provati dall'incuria e dalle infiltrazioni di pioggia e neve che il tetto danneggiato non avevano potuto evitare: l'intonaco, di fatto, veniva via al solo passaggio delle mani sulle pareti. Gli infissi in legno, mangiucchiati dalle tarme, erano completamente da rifare, così come il sistema elettrico e le varie tubature. Emma sperava che almeno i pavimenti in legno potessero essere salvati.
In fondo a sinistra c'era la cucina, abitabile, una vecchia stufa economica al posto dei fornelli e le tipiche panche a muro invece delle sedie intorno al tavolo. "Non è molto grande, ma ci si può lavorare" commentò Francesco. "È molto di più del … nulla che abbiamo adesso, potrei perdermici dentro" "Non ironizzare Giorgi …" le disse, prendendola alle spalle, facendo attenzione che le sue mani rimanessero delicate sulla pancia ancora perfettamente piatta e poggiando la testa sulla sua spalla. Emma sorrise, divertita. "Se vuoi la bicicletta" continuò il forestale "poi devi anche pedalare" "Non mi spaventa mica andare in bici, sai…" Lui fece per chiederle un bacio, lei rispose fingendo un morso. "Ah sì?! Davvero tratti così tuo marito…e allora possiamo anche andarcene e le camere da letto non te le faccio vedere…"
"Eddai no Francesco!!!" Emma stette al gioco. "Continuiamo solo se mi dai un bacio …" lo accontentò "e un altro … e un altro ancora" "Sei incontentabile!!!" "Dei tuoi baci di sicuro … non mi bastano mai" decretò, stringendo a sé sua moglie.
Mentre giravano la casa Francesco provò una sensazione strana che mai prima di allora, fuori dall'ambito lavorativo, gli era capitata: una delle sue esperienze extrasensoriali, quelle che tutti attorno a lui avevano ribattezzato molto semplicemente visioni. Ad ogni porta che apriva, vedeva davanti ai suoi occhi la vita che avrebbe vissuto con la sua famiglia, vera che ne poteva percepire gli odori e i suoni: vide Emma seduta di fianco alla stube del soggiorno che  leggeva un libro, Leonardo riverso su un quaderno a quadrettoni, concentrato a scrivere le sue prime paroline e il piccoletto di casa affacciato alla finestra, in trepidazione, controllato dallo sguardo vigile della madre. Guardò anche lui fuori dalla finestra e vide sé stesso di ritorno dal lavoro, mentre un cane gli corre incontro, scodinzolando; al piano superiore si ritrovò assieme ad Emma, chini sul fasciatoio e, nella loro stanza, entrambi addormentati, distrutti e rannicchiati agli estremi del letto, con i bambini che, come impone la tradizione, aveva rubato loro tutto lo spazio, il cane ai piedi del letto, proprio come se l'era prefigurato Emma.
Quella era la vita che aveva cercato fino a quel momento, per cui aveva lottato ogni singolo istante. Semplice, abitudinaria, fatta di piccole cose. Quella era la sua felicità.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Mio fratello è figlio unico ***


Capitolo 7 - Mio Fratello è Figlio Unico

 



Emma faceva avanti e indietro sul binario della stazione, pestando la linea gialla che la voce metallica, dagli altoparlanti, ricordava di non oltrepassare. Ripensava alla conversazione con sua madre, al fatto che l'ultima volta che l'aveva sentita, prima dell'intervento, si era limitata a chiedere di farle sapere, perché le sue mostre e la sua arte an quanto pareva erano più importanti di una figlia che rischiava la vita. Così anche suo padre, il dottor Giorgi, al quale non si era mai rivolta per un consiglio o un aiuto per la sua malattia, nonostante tutte le sue conoscenze: avrebbe percepito il suo obbligo e non voleva essergli grata di nulla. Quando si era sposata si era limitata a mandare loro una foto che Klaus aveva scattato di nascosto mentre lei e Francesco salivano sulla barca per un giro di cui Francesco le era ancora debitore. Un telegramma di congratulazioni dal padre, niente dalla madre: probabilmente si era sentita offesa di essere stata esclusa, ma era niente a confronto dell'esclusione che Emma aveva patito durante la sua infanzia. Così, ora che li stava rendendo nonni, aveva preferito non proferire parola.
Di punto in bianco, però, sua madre aveva deciso di farsi viva, interpellandola solo per un aiuto con suo fratello Giulio. Lo aveva visto poco meno di un anno prima e aveva scoperto che faceva uso di cocaina. Giulio. Il suo fratellino. I suoi genitori avevano tentato di recuperare il loro matrimonio mettendolo al mondo, ma l'unico risultato ottenuto era stato un matrimonio distrutto e due bambini soli che si erano fatti compagnia a vicenda il più possibile. Ma sempre bambini restavano e in balia dei genitori separati: Emma era rimasta a Milano, con il padre e la zia; suo fratello, ancora piccolino, era partito per Firenze con la madre. Emma avrebbe voluto aiutarlo, ma quando aveva confessato di fare uso di droghe non era in grado di aiutare neanche sé stessa: avevano litigato e lui era partito, un altro tassello della sua infanzia si sgretolava davanti ai suoi occhi. Ora, nonostante tutto l'astio con sua madre, non avrebbe sprecato l'opportunità di ricomporlo.
Francesco, seduto ad una panchina poco più indietro, la osservava pensieroso.
 
"Inutile che ti ostini, perché non cedo!" le disse, fermo, chiudendosi alle spalle la porta di casa. La pioggia li aveva colti all'improvviso e, senza ombrelli, con le borse della spesa avevano dovuto percorre a passo svelto la passerella scivolosa della palafitta. Preoccupato da eventuali passi falsi e pericolose scivolate della moglie, Francesco aveva dovuto sorbirsi anche il suo monologo testardo.
"Ma è mio fratello!" "Non mi interessa, Emma, è troppo pericoloso!"
Giulio aveva provocato un incidente sotto l'effetto di sostanze stupefacenti e per questo avrebbe dovuto svolgere dei lavori socialmente utili, ottenendo di poterli svolgere a San Candido. La madre sperava, così facendo, di tenerlo lontano dalle cattive compagnie e magari aiutarlo a disintossicarsi. Classico: per gli scaricabarili e il rifugio degli afflitti si correva sempre da Emma. Questo lei non se lo sarebbe mai spiegata, ma non si sarebbe comunque tirata indietro. Lei era diversa dalla sua "famiglia" e così si era messa in testa di volerlo ospitare in palafitta. Per lo spazio avrebbero trovato una soluzione … lo facevano sempre, diceva.
"Parli così perché non hai un fratello" "Ho avuto Walter …" le ricordò. "E allora dovresti capire cosa significa voler fare qualcosa prima che sia troppo tardi" Walter, amico fraterno di Francesco, aveva preso la strada del crimine per continuare ad avere uno stile di vita che non poteva più permettersi. Scoperto, aveva deciso di sfuggire all'onta del carcere, ma soprattutto alla perdita della libertà, buttandosi da una scarpata. Francesco aveva assistito impotente: tutte le sue parole e i suoi scongiuri non erano serviti a niente. Lui era cambiato, la vita dietro ad una scrivania, come l'aveva chiamata Walter, non gli stava più stretta, ed era riuscito a capire quell'amico che andava ancora a 200 all'ora quando ormai era troppo tardi. Emma aveva toccato un nervo scoperto, Francesco non si era perdonato di non essere riuscito ad evitare quella morte, anche se si trattava di una sua scelta.
Nervosa, per il rifiuto di Francesco di ospitare suo fratello, Emma riponeva scatole e barattoli con foga e sbattendo cassetti e sportelli. Ultima vittima, lo sportello del piccolo frigo.
"Ti prego … non ti agitare, ti fa male" Francesco la prese per le braccia e, a causa dei movimenti repentini di lei e la forza mal calcolata di lui, finirono appoggiati contro il piano della piccola cucina. Quando Francesco si era trasferito in quella casina sulle acque del lago era ridotta a poco più di un magazzino. Il suo stile di vita spartano, da soldato abituato a rinunce e frugalità durante le missioni, e la malinconia che si portava dietro dalla sua vita, gli avevano fatto pensare a quel posto più come ad un tetto sopra la testa che come una vera e propria casa. Solo quando Emma è entrata nella sua vita, Francesco aveva iniziato a ricomporre i pezzi e a dare un’aria più dignitosa e vivibile a quel luogo, che ora era diventa un vero e proprio appartamento sull'acqua. Era semplice, rustico, c'era tutto quello che serviva; loro non avevano bisogno di vivere con molte pretese e fronzoli. Ma era intimo e confortevole, a loro misura.
"Guardami …" Emma aveva girato la testa dall'altro lato per evitare lo sguardo di Francesco "guardami … lo sai che non ti rifiuterei niente e in altre circostanze sarei il primo a farsi avanti per Giulio. Ma non siamo più solo io e te … dobbiamo stare attenti" le sue mani, che la placcavano alle braccia, erano scese delicatamente ad afferrarle la vita e i pollici le accarezzavano lievemente la pancia. Lo sguardo di Emma scese sul suo ventre e le sue mani corsero a quelle del marito. "È mio fratello, lo conosco … non mi farebbe mai del male" "Emma io lo so quanto gli vuoi bene, ma nelle sue condizioni non si può mai essere sicuri. Io non me la sento di correre alcun rischio. Se dovessi rimanere da sola con lui e per qualsiasi motivo dovesse diventare aggressivo? Se ti accadesse qualcosa non me lo perdonerei mai"
Emma ci pensò un po' su. Sì, voleva bene a Giulio. Da piccolini, con quasi 10 anni differenza, lei era un po' una mamma per lui. D'estate, al mare in Versilia lei lo portava sotto la doccia dello stabilimento e gli toglieva via la sabbia prima di tornare a casa; quando i temporali estivi tuonavano forte, il piccolo Giulio si rifugiava nella cameretta di Emma, dove lei finiva sempre per raccontargli qualche storia: lei spalancava sempre la finestra, per far entrare l'odore dei pini marittimi bagnati dalla pioggia, ma vicino a lei non aveva paura.
"E quindi? Non dovrei fare niente …?" "No, ma per una volta devi renderti conto che è qualcosa più grande di te e dobbiamo lasciar fare ad altri"
"A cosa stai pensando?" "Tuo fratello ha bisogno una comunità di recupero, un centro per disintossicarsi …" "Ah! Quindi in pratica mi stai dicendo che dovrei rinchiuderlo in una clinica?" "Non ho detto questo" disse, la voce calma; se voleva che Emma ascoltasse le sue ragioni, aveva bisogno di parlarle nella maniera più docile e tranquilla possibile "ma deve stare in un luogo sicuro, per sé stesso e per gli altri. Dove possano aiutarlo se ha una crisi. So che il Comando Provinciale collabora spesso con dei centri di recupero per dei progetti, posso provare a vedere se c'è qualche posto libero"
 
E così fece. Saltò fuori un posto in un centro riabilitativo a metà strada tra Dobbiaco e San Candido, dove avevano accettato il ragazzo nonostante i suoi guai con la legge. Emma era ancora restia a credere che non ci fosse soluzione migliore, che non ci fosse nulla che potesse risparmiare a suo fratello quell'esperienza, ma le preoccupazioni di Francesco avevano avuto la meglio su di lei: il bambino doveva venire prima di tutto il resto.
"Il treno regionale 1875 proveniente da Fortezza/Franzensfeste e diretto a San Candido/Innichen delle ore 17.40 è in arrivo al binario 1. Allontanarsi dalla linea gialla
Gleis 1. Einfahrt Regionalzug 1857 nach Innichen/San Candido uber Fortezza/Franzensfeste. Abfahrt 17.40. Vorsicht bei der Einfahrt."
La speaker annunciò l'arrivo del treno, che già si intravedeva in lontananza. Emma, fatto qualche passo indietro per sicurezza, cercava suo fratello in mezzo ai lavoratori e agli studenti pendolari di ritorno da Bolzano e Brunico. Alla fine fu più facile per lui trovare lei, avvolta nel suo montgomery rosso. Giulio, zaino in spalla, si sbracciò per farsi notare, mentre dall'ultimo vagone avanzava verso la sorella, ed il volto di Emma si illuminò in un gran sorriso nel vederlo, allargando le braccia per accoglierlo in un lungo abbraccio. Era da tanto che avrebbe voluto stringerlo, ricucire lo strappo che si era creato e che mai e poi mai sarebbe dovuto accadere. Non tra loro. Per lei era sempre il suo fratellino adorato, agognato per 9 lunghissimi anni, a cui nessuno aveva potuto mai torcere un capello senza prima passare sul corpo di Emma e con il quale, nonostante la differenza d'età, aveva da sempre un rapporto speciale. Eppure qualcosa, inspiegabilmente, si era rotto. Emma non riusciva ancora a spiegarsi come fosse possibile che proprio a lei avesse nascosto qualsiasi disagio stesse provando, decidendo di affogarlo nella dipendenza dalla polvere bianca, invece di parlarne con lei.
Francesco si avvicinò a loro, timidamente, con la paura di rompere quel momento magico tra fratelli. Non era geloso di Giulio, tuttavia lo sorvegliava a distanza, diffidente. Ad Emma avrebbe dato anche la luna se gliel'avesse chiesta, ma non avrebbe permesso a nessuno di farle del male. E Giulio gliene aveva fatto.
"Giulio, mio marito Francesco … Francesco, mio fratello Giulio"
In realtà i due si conoscevano già, ma Emma si sentì in dovere di fare di nuovo le presentazioni, come fosse per tutti un nuovo inizio. "Il tuo Francesco … ce l'avete fatta, alla fine…" disse, stringendo la mano al cognato.
Il viaggio in auto verso la struttura che lo avrebbe ospitato fu silenzioso, poche frasi di circostanza sul viaggio, sul meteo e sui saluti dei parenti che Emma non vedeva da anni e avrebbe fatto a meno di vedere ancora per parecchio.
Arrivati in comunità a Giulio fu assegnata una stanza singola. Prima di lasciarlo, fu concesso ad Emma e Francesco di aiutarlo a sistemarsi. "Un bel posto, no?" notò Francesco, ammirando fuori dalla finestra il paesaggio "Ben tenuto … tanto verde…"
Giulio, stranito, borbottò qualcosa tra sé e sé, gettando il suo borsone da viaggio sul lettino. Francesco per quieto vivere, si impose di passare oltre a quella protesta sottovoce. Emma, però, richiamata dal rumore metallico del borsone che rimbalzò sul letto, si era accorta della tensione tra i due. "Dai ..." incoraggiò il fratello "ti aiuto io. Amore, ci lasci cinque minuti tra fratelli?" "Sicura?" domandò Francesco, sottovoce. Lo rassicurò, posando un bacio a metà all'angolo della sua bocca.
"È un bel mastino, tuo marito …" commentò Giulio, ridacchiando, appena Francesco ebbe chiuso la porta dietro di sé "anzi, mi fa così strano saperti sposata …"
Emma sogghignò, iniziando ad aprire il borsone "È solo molto protettivo, ma mi vuole bene" "Secondo me, se controlliamo, lo troviamo attaccato alla porta ad origliare …" "Francesco?! Nah … credimi, se mi avessi vista come mi ha visto lui, lo faresti anche tu…" "Cosa vuoi dire?" "Mi sono sottoposta ad un intervento per rimuovere l'aneurisma, ormai sei mesi fa più o meno…sono stata diversi giorni in rianimazione. Non una passeggiata…né per me, né per lui" Emma aveva provato diverse volte ad affrontare l'argomento con Francesco, in quelle notti agitate in cui lui non riusciva a dormire. Ma, nonostante gli sforzi per essere sincero con lei, Emma sentiva la sua fatica nel rivangare, l'impegno che ci metteva per mitigare il racconto di quei giorni. "Ti sei operata?" domandò il ragazzo "ma...ma non mi avevi detto di essere incinta? … Alla fine hai deciso di…" Emma fece no con la testa "L'ho perso … pochi giorni dopo che te ne sei andato" ad Emma faceva ancora male parlarne. "Oddio Emma … mi dispiace da morire … se solo avessi saputo"
Poche persone, fidate e discrete, sapevano del bambino; le aveva fatto troppo male perché fosse un argomento da trattare con leggerezza, ed era convinta che non le sarebbe passata mai del tutto. Forse, un giorno, con un bambino tutto suo, sarebbe riuscita ad elaborare quella perdita, ma non si sentiva ancora pronta. Era passato troppo poco tempo. Giulio, un altro momento, sarebbe stato la prima persona da chiamare, ma si erano lasciati troppo male e la delusione che le aveva causato era, forse, da aggiungere ai pesi che le avevano appesantito la gravidanza. Non lo avrebbe mai ammesso ma forse, inconsciamente, gli aveva anche addossato parte della colpa.
"Non devo esserti sembrato troppo diverso dai nostri genitori"
Questo Emma non lo avrebbe mai pensato; gli prese il viso tra le mani "Ora lo capisci perché è importante che ti liberi da quelle schifezze che mandi giù? Perché tu non sei come loro, ma hai lasciato che ti trascinassero a fondo con i loro comportamenti"
I loro genitori non avevano mai fatto mancare nulla ad entrambi ma, laddove Emma si era ribellata a questo sistema di pulizia delle loro coscienze, Giulio, il piccolino di casa, sempre coccolato e viziato da tutti, aveva beneficiato di ogni lusso e ogni benessere che i soldi di papà e i continui sì di mamma potevano garantire. Spesso solo, non aveva imparato a distinguere l'affetto dal risarcimento per le continue assenze.
Giulio annuì alle parole di Emma, ma sul metodo la vedeva diversamente "Non era necessario tutto questo casino … la comunità, gli orari stretti per le visite … neanche fossi un criminale!" Prendendo le magliette dal borsone, le riponeva alla rinfusa nei ripiani dell'armadio che aveva a disposizione "Ho fatto una cazzata, lo so, ora ne sono consapevole, ma…" "Giulio … non è un percorso che puoi fare da solo e io non posso aiutarti."
"Non ti fidi di me? Ah, già … è il tuo maritino che non mi vuole tra i piedi … un perfettino come quello non può farsi vedere in giro con un cognato tossico, vero?" "Sei ingiusto … Francesco non si tira mai indietro quando c'è da aiutare qualcuno. Ma ogni situazione è diversa e insieme abbiamo valutato che questa è la soluzione migliore" "Per chi? Per voi?" "Anche …" disse Emma, severa. Più parlava con Giulio, più lo osservava interagire con lei, più si rendeva conto che quello non era il fratello: le pupille dilatate, le narici irritare, la facile irritabilità, il fantasma della dipendenza parlava per lui. Se in un primo momento aveva dato ragione al marito solo per il bene del loro bambino, ora si rendeva conto che Francesco aveva avuto maggiore lungimiranza nel comprendere la situazione di suo fratello e, di certo, non bastavano le sue buone intenzioni a farlo uscire dal tunnel della droga.
"Sei cambiata" le disse, amareggiato "non sei più la mia sorellona"
"La vita ci cambia" la scocciava trattarlo così, egoisticamente, ma la sua generosità e la sua gentilezza non avevano fermato il fratello dal farsi del male con le sue stesse mani e, allo stesso tempo, dal ferire la persona che diceva di amare più di tutte al mondo, sua sorella. "Non sono più sola, devo pensare al bene della mia famiglia" ribadì Emma, togliendosi la giacca: l'agitazione l'aveva fatta accaldare. Suo padre era una figura lontana, tra conferenze e giri in corsia, sua madre troppo piena di sé e della sua arte per curarsi degli altri: Emma aveva smesso di considerarli famiglia molto tempo addietro. Adesso che a fatica ne stava costruendo una tutta sua, l'avrebbe difesa come una leonessa. Nonostante il maglioncino, che a San Candido era ancora d'obbligo malgrado l'affacciarsi della primavera, una leggera rotondità iniziava a farsi visibile sul ventre di Emma; lei e Francesco la scorgevano a malapena ma Giulio, che non vedeva Emma da parecchio tempo, notò immediatamente la differenza. "Sei incinta?" Emma non fiatò, accennando ad un sì con la testa. "Io non volevo…" "Tu non vuoi mai … eppure riesci sempre a fare casini. Hai bisogno di aiuto per questa cosa e non posso dartelo io. Prima lo capirai, prima potremo farci una bella chiacchierata delle nostre. In bocca al lupo"
Aprì la porta e si portò nel corridoio. Francesco, appoggiato alla parete di fronte alla camera, le mani in tasca, scattò verso Emma, notando immediatamente qualcosa che non andava. "Tutto ok?" "Andiamo a casa" gli disse, telegrafica, continuando a camminare. Francesco buttò un'occhiata veloce in camera, nero di rabbia. Giulio era seduto ai piedi del letto, la testa bassa, le mani tra i capelli. Qualcosa gli disse che aveva assaggiato una delle fini stoccate di Emma, che non lasciano ferite enormi, ma stillano sangue goccia a goccia: e la cosa, per quanto infelice, lo fece gongolare.


 

Angolo dell'autrice

Ciao a tutti! Sono tornata leggermente prima di quanto avevo previsto, ma meglio così, no? Ad ogni modo, a differenza di quanto detto, ho deciso di non continuare la divisione del capitoli in mesi, perché ritengo che capitoli più corti siano più facili da leggere online. Ogni tanto però ci saranno ancora dei capitoli che avranno come titolo il mese della gravidanza, giusto per avere un riferimento temporale di tanto in tanto. Come avete potuto leggere, una vecchia conoscenza dei nostri è tornata e sta creando scompiglio. Speriamo la situazione si ridistenda al più presto. Alla prossima!!!

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Quarto mese o a piccoli passi ***


Capitolo 8 - Quarto mese o "a piccoli passi"





 
Seduto alla scrivania, Vincenzo leggeva attentamente il fascicolo che aveva ricevuto dal tribunale di Firenze. Spesso si era domandato cosa potesse condurre dei ragazzi a distruggersi la vita dietro a droga e alcool; di fronte a quelle pagine, però, il suo sconcerto era ancora più grande: un ragazzo di buona famiglia, con tutte le carte in regola per avere una vita tranquilla e la strada spianata. Giulio Giorgi sedeva di fronte a lui, lo sguardo spaesato e timoroso che vagava ovunque nella stanza, meno che in direzione del commissario; le gambe incrociate si agitavano, senza sosta, nonostante le mani pressate sulle cosce tentassero di fermarle. Al suo fianco, l'assistente sociale che lo aveva preso in carico in comunità.
"Giorgi!" due dita gli schioccarono energicamente di fronte agli occhi, svegliandolo da un vago torpore "Ué, Giorgi, non dormire!" "Mi scusi commissario" Giulio preferì non spiegare all'uomo che aveva di fronte che la difficoltà di concentrazione e la sonnolenza erano sintomi specifici dell'astinenza. "Torniamo a noi…" esordì Nappi "per i prossimi quattro mesi verrai qui ogni giorno alle 9 e alle 17 a firmare la tua presenza e poi…"
Due colpi alla porta dello studio lo interruppero "Mi hai fatto chiamare?" Il commissario, levata la testa, fece cenno a chi era fuori di entrare "Vieni, vieni Francesco".
"Ah beh se queste sono le premesse …" disse il ragazzo, alzandosi dalla sedia, innervosito "nessuno mi aveva detto che ero venuto qui per un processo bis"
"Tu non vai da nessuna parte" lo redarguì il forestale, posandogli energicamente una mano sulla spala e spingendolo di nuovo a sedere. Francesco si posizionò alle spalle del commissario, in piedi. La sua presenza, vigorosa e tutta d'un pezzo, metteva Giulio in soggezione.
"Giovanotto facciamo poco i simpatici" Vincenzo era un pezzo di pane, ma guai a prendersi gioco di lui sul luogo di lavoro "il Comandante Neri è qui in veste ufficiale e il fatto che sia il marito di tua sorella, in questa sede, non interessa minimamente"
Vincenzo lesse i capi di imputazione e il provvedimento del giudice di ammissione della messa alla prova. "Sentite, di queste cose se n'è occupato l'avvocato … io so solo che dovevo presentarmi qui stamattina … che significa messa alla prova?"
"In pratica" spiegò Vincenzo "con la messa alla prova il processo a tuo carico viene sospeso e ti è data la possibilità di svolgere dei lavori socialmente utili prima della condanna. Nel tuo caso per i prossimi quattro mesi. Se la messa alla prova andrà bene, non dovrai scontare nessuna pena e avrai la fedina penale pulita. Capito?"
Il ragazzo annuì, pensoso "ma in tutto questo Francesco … ehm il Comandante Neri cosa c'entra?"
Aveva pronunciato il cognome del cognato con arroganza, quasi come una derisione. Tra i due era chiaro che non fosse scattato il colpo di fulmine. Francesco non lo pretendeva, ma sperava che le cose potessero cambiare, per il bene di Emma.
"I servizi sociali di San Candido ti hanno destinato alla manutenzione del verde comunale e dei sentieri naturalistici assieme ad altri ragazzi….sotto la nostra supervisione".
"Sì" aggiunse l'assistente sociale "sia io che il Comandante abbiamo il compito di riferire agli organi preposti sulla tua condotta"
"Lo sapevo che c'era l'inghippo" disse Giulio, aprendosi in un sorriso amareggiato e scuotendo il capo. Alzatosi di scatto, si rivolse direttamente al cognato "a te non te ne frega un cazzo di me, vuoi solo fregarmi!!!" Uscì dall'ufficio facendo fatica, per la rabbia che gli faceva tremare le mani, ad aprire la porta. Francesco gli corse dietro, giù per le scale della caserma. "Ascoltami bene" gli disse, prendendolo per un braccio "questo non è un gioco, e tu non sei più un ragazzino. Quanti anni hai … 24? Sei un uomo ormai e come tale devi assumerti le tue responsabilità."
Francesco non lo conosceva molto, anzi si poteva dire che non lo conosceva per niente, ma sentiva che la loro differenza d'età e la sua posizione gli concedevano di parlargli come probabilmente nessuno aveva mai fatto.
"È da quando sono arrivato che non fai altro che metterti in mezzo ai piedi, che riesci a sparare sentenze anche senza aprire bocca … hai persino messo in testa a mia sorella che io sono mezza specie di pazzo criminale …"
"Tua sorella è incinta, lo sai, vero?" domandò. Giulio annuì. "Non avrei nemmeno dovuto permettere che tu venissi qui, perché non è giusto che Emma debba occuparsi dei guai degli altri quando nessuno della tua famiglia si è preoccupato per lei quando ne aveva bisogno"
Francesco si ricordava ancora di quel primissimo malore a cui aveva assistito, quando le era svenuta davanti in alta montagna, quando aveva provato a chiamare i suoi genitori ma nessuno aveva risposto. Ricordava la freddezza di Emma quando aveva chiesto alla zia di aggiornare sua madre via sms, mentre si riprendeva dall'intervento. Forse il giudizio era severo, ma Emma valeva molto di più di questa specie di famiglia a brandelli.
"Ma siccome la amo e quando si ama si vuole vedere gli altri felici, so quanto la rende felice averti vicino e saperti al sicuro quindi ho accettato che tu venissi qui, nonostante tutto."
"Ma mi stai trattando come un criminale!" "Ti sto trattando come uno che sotto l'effetto di sostanze stupefacenti si è messo alla guida di un auto, provocando un incidente tale che è un miracolo che ne siate usciti tutti illesi. E scusami tanto se non stendo il tappeto rosso quando arrivi al mattino"
"Tu non hai idea del casino c'ho qua dentro" gli urlò contro, indicando la sua testa "nessuno lo può capire perché ho iniziato a farmi di quella merda!!!"
Francesco per un attimo si girò di spalle, una mano sul fianco e l'altra in mezzo ai capelli, per nascondere allo sguardo del cognato il ghigno rabbioso che gli si era aperto sulle labbra. Avrebbe voluto raccontagli di Marco, di sua moglie che l'aveva accusato della morte del figlio, di Kroess, di Leonardo, di quando si era innamorato di sua sorella e di come con le sue stesse mani avesse rischiato di perderla, di come fosse sul punto di perderla proprio quando si erano ritrovati. Un coltello dritto alla giugulare non sarebbe bastato per alleviare il suo dolore … altro che droghe. Ma non lo fece: non esiste una classifica delle disgrazie. Fece un gran respiro per mandare via la voglia di prenderlo per il collo della maglietta e scaraventarlo a terra.
"Forse io e te abbiamo iniziato con il piede sbagliato" gli disse "io voglio davvero solo aiutarti. Non giudico quello che hai fatto, mi interessa solo capire cosa fare ora per fare in modo che non si ripeta più. È chiaro?" Giulio annuì "Perciò d'ora in avanti prova a non leggere complotti dietro quello che faccio o dico. Non sono veramente il tipo per certi giochetti … sono un pessimo attore!"
Entrambi sorrisero, timidamente; con un cenno del braccio, Francesco incitò il cognato a rientrare in caserma. Giulio, a testa bassa, lo pregò di non parlare a sua sorella di quella sfuriata "Solo se mi prometti che le chiederai scusa per quello che vi siete detti l'altro giorno. Ci è rimasta veramente male…"
La testa di Giulio era troppo scombussolata, lampi di lucidità si alternavano a lunghi momenti di buio e spesso sentiva sé stesso muovere le labbra senza essere pienamente responsabile di quello che diceva. Voleva riappropriarsi della propria vita, voleva tornare a chiacchierare con Emma, sentire che lei si fidava di lui. "Promesso".
 
Emma uscì dalla scuola elementare soddisfatta e piena di idee. Dopo aver ricevuto il semaforo verde dal comune e dalla provincia, finalmente il suo progetto con i bambini poteva passare alla fase operativa. La gravidanza non la spaventava, passate le nausee era tornata a sentirsi in forma e piena di forze ed era anche più facile, così, scacciare i cattivi pensieri. Aveva trovato degli ottimi collaboratori negli insegnanti e nei volontari del centro che accoglieva i migranti e non c'era nulla, in quei primi giorni di euforia, che le impedisse di immaginare un futuro roseo per il suo progetto, anche quando sarebbe stata costretta a farsi da parte: era sicura che avrebbe trovato un valido sostituto. Neanche suo marito e le sue ansie erano riuscita a farla desistere dall'essere in prima linea, a contatto con i bimbi e con la natura.
Con le maestre avevano concordato qualche lezione preliminare in classe fino a che i sentieri non fossero stati di nuovo percorribili e poi, assieme ai bambini dello SPRAR, avrebbero iniziato a lavorare sul campo o, per meglio dire, nei boschi. Mentre percorreva il vialetto d'ingresso dell'edificio, lo sguardo le cadde sul piccolo parco giochi della scuola materna adiacente, dove i più piccoli si divertivano sulle altalene e sulle giostrine. Emma si incantò a guardali per un attimo: imbacuccati fino al collo - il freddo non si decideva ancora ad abbandonare la Val Pusteria, i grembiulini a quadretti rosa e azzurri che spuntavano sotto i giacconi le inondarono la mente immagini. Si immaginava quando avrebbe accompagnato il suo bambino in quello stesso asilo, quando avrebbe dovuto dare uno strattone a suo marito per portarlo via il primo giorno. Ma prima ancora immaginava Leo giocare insieme agli altri bimbi, sperava che l'affidamento potesse concretizzarsi nel minor tempo possibile.
"Emma! Emma!" da lontano, un ragazzo in gilet riflettente richiamava l'attenzione dell'etologa. Era suo fratello. Le correva incontro. Emma non aveva rimosso la loro conversazione di qualche giorno prima e nonostante il cuore continuasse a ripeterle di dargli fiducia, si era imposta di aspettare che fosse lui a compiere il primo passo: lei lo aveva accolto, lui si era presentato ancora pieno di sé e arrogante. Aveva sperato che ogni giorno fosse quello buono, che magari si stava solo ambientando e cinque giorni erano passati senza sentirlo. Le uniche notizie  le riceveva dal marito, che lo vedeva passare ogni giorno in caserma per la firma.
"Che ci fai qui?" gli domandò. Non voleva sembrare scontrosa, ma voleva restare distaccata. Era un meccanismo di difesa che aveva sviluppato con il tempo, delusione dopo delusione. "Oggi lavoriamo qui in centro … aiuole, alberi, fioriere, immondizia … sai che divertimento!" "Non dire così … ogni lavoro ha la sua dignità … anzi, ringrazia che ti hanno dato questa opportunità" "Sì…sì, lo so" Giulio si guardava le punte delle scarpe, lo faceva da sempre, fin da quando era un bambino, quando aveva da confessare qualcosa, Emma lo sapeva bene. "Devi dirmi qualcosa?" indagò.
"Volevo scusarmi … sì, insomma, volevo scusarmi per il mio comportamento di qualche giorno fa …"
"Non ti devi scusare … io non sono arrabbiata con te, ma mi ha fatto male sentire quello che pensi di Francesco … e di me" disse Emma, comprensiva.
"Io, io non sono sempre in me da quando ho smesso di prendere quella roba" Giulio si sentiva in colpa per quanto aveva detto sia ad Emma che a suo cognato; razionalmente era conscio che le manie di persecuzione e i complotti di cui di frequente si sentiva vittima erano solo delle proiezioni del suo cervello, un effetto collaterale di tutte le schifezze che aveva preso e del craving a cui ora doveva resistere, ma non sempre era in grado di controllarsi.
 "Noi vogliamo il tuo bene e credimi che un posto per te a casa nostra ci sarà sempre" continuò Emma "ma ora è necessario che tu abbia accanto delle persone che capiscono fino in fondo quello che stai passando e ciò di cui hai bisogno."
In quei giorni, c'erano momenti in cui Giulio aveva provato sulla sua pelle un desiderio impellente e irrefrenabile verso quella polvere bianca di cui era dipendente, arrivava all'improvviso e niente riusciva a neutralizzarlo. In quei momenti, le paranoie e la perdita totale di forza e volontà lo rendevano uno spettacolo indecoroso persino ai suoi occhi. Si faceva schifo da solo, l'idea che sua sorella potesse vederlo in quello stato lo nauseava: non solo per pudore, ma anche per rispetto. Francesco aveva ragione: quando sia ama qualcuno, lo si vuole vedere felice; lui ad Emma voleva bene, era giusto fare la propria parte.
"Ora lo so." Emma gli rivolse un sorriso, orgogliosa. Quello davanti a lei era suo fratello, ne riconosceva la limpidezza e la dolcezza dello sguardo. "Mi fido di te …" gli disse, speranzosa "di questo te. Sono sicura che ce la puoi fare"
Forse ci sarebbero stati ancora momenti in cui avrebbe voluto rimetterlo su un treno e mandarlo via, ma sapere che da qualche parte il vero Giulio stava lottando, le dava la forza di sopportare il bruto creato dalla cocaina.
 
"Oggi ho incontrato mio fratello" disse Emma, mentre in bagno si preparava per andare a dormire. Tornato stanco ed impolverato, giusto il tempo di una doccia, Francesco era già sotto le lenzuola: finito il suo turno in caserma, aveva passato il resto del pomeriggio al maso, per liberare la casa dal vecchio mobilio e preparare l'inizio dei lavori; tra i mobili che era determinato a salvare anche una culla in legno, che aveva trovato in soffitta e che Zoe non aveva voluto indietro. L'avrebbe rimessa a nuovo e sarebbe stata perfetta nella cameretta che con Emma avevano già progettato, almeno a parole: non era mai troppo presto per sognare ad occhi aperti e loro erano molte cose, ma certo non scaramantici.
"Mi ha chiesto scusa per l'altro giorno" continuò Emma "credo che abbia capito veramente l'importanza del percorso che sta facendo."
"Credo avesse bisogno solo di un po' di tempo per adattarsi alla nuova situazione, non è facile per lui" "Mm mm" annuì Emma, appoggiando la vestaglia sulla cassapanca ai piedi del letto "forse mi ero illusa di vedere un cambiamento dall'oggi al domani. Ma non funziona così, si lavora a piccoli passi"
"Ferma!" "Che c'è?" Emma si spaventò alla richiesta del marito e rimase congelata lì dov'era. Non aveva paura di ragni o insetti vari, si era accampata tante volte all'aria aperta per fare la schizzinosa, ma l'ultima cosa che voleva era ritrovarsi qualche esserino tra i capelli o a diretto contatto con la pelle. "Ferma così!" Francesco, allungò il braccio verso il comodino continuando a guardare, estasiato, sua moglie, che era rimasta impietrita, di profilo. "Sei una visione" le disse, scattando una foto. "Che scemo" protestò lei, salendo sul letto carponi dai piedi "mi hai fatto prendere un colpo!" "Scusami" sghignazzò lui, porgendole il telefono "ma guardati, sei sbocciata…stamattina la pancia non era così grande"
La mattina, al risveglio, Francesco passava almeno 10 minuti nel letto ad accarezzare la pancia di Emma, a studiarne ogni centimetro, per controllare se ci fossero cambiamenti. La cosa divertiva Emma perché non era abituata ad avere al suo fianco un compagno tanto premuroso e soprattutto al quale non interessava più essere il primo ad arrivare al lavoro e l'ultimo ad andare via. Spesso finiva per ricordargli che aveva una caserma da mandare avanti e non doveva aspettare la chiamata dei suoi sottoposti per capire che era ora di prepararsi. Quel giorno, in particolare, le coccole del mattino si erano dilungate più del solito. La scusa, quella volta, convinse anche Emma che era la cosa migliore da fare: era un anno di loro; un anno che, tra alti e bassi, avevano unito irrimediabilmente i loro destini. Emma poteva fermarsi mille volte a pensare a quel pomeriggio, quando lui era andato a scovarla nel suo posto preferito, la loro radura sul Monte Piana, tra le antiche trincee della grande guerra e le Tre Cime a vegliare, lontane … mille volte avrebbe ricordato quegli attimi e mille volte avrebbe trovato un dettaglio o una sensazione diversa. Ricordava di quanto si fosse sentita scoraggiata a vederlo arrivare, ancora - non poteva sopportare ancora le sue scuse e i suoi niente di fatto; ricordava il suo respiro spezzato quando le aveva finalmente detto ti amo, ricordava le loro mani che vagavano frenetiche lungo la schiena, aggrappandosi forte ai vestiti, mentre le labbra, invece, sapevano perfettamente cosa fare, come se si fossero preparate a lungo per quel momento.
"Non esagerare" rispose lei, stendendosi tra le braccia spalancate del marito "sono di 17 settimane, sta crescendo, ma non è così enorme" Al mattino, di fronte allo specchio, Emma si metteva di profilo per controllare lei stessa. Ormai il suo addome non era più piatto e dalla maxi maglia rosso scuro che indossava al posto del pigiama era ben visibile una chiara rotondità. Rimanendo di fronte allo specchio in biancheria intima la guardava e riguardava, accarezzandola,  quasi per accertarsi che fosse veramente parte di lei.
"Anzi, ti dirò di più" aggiunse Francesco, la voce grave ed sensuale "non è l'unica cosa che è cresciuta"
La mano che le accarezzava il volto prese a scendere delicatamente, millimetro dopo millimetro, perimetrandole il collo, teso verso di lui, quasi a voler riaffermare la sua appartenenza in ogni angolo del suo corpo, arrestando le dita avide sul seno.
Emma, sensibile a quel tocco lento e cauto, poteva sentire un brivido attraversarle la schiena; la sua risposta era ormai quasi un riflesso involontario, un ingranaggio ben oliato di due macchine che lavorano all'unisono: le mani febbrili lungo la schiena, precipitose nel toglierli la maglietta, le gambe intrecciate, si spostò sopra di lui, annegando una risata sulla bocca si lui. Francesco era paranoico per molte cose ma, per la sua felicità, il suo corpo che cambiava non era tra questi. I loro momenti di intimità non avevano subito alcun contraccolpo, nonostante le preoccupazioni e le ansie che entrambi avevano, ciascuno a suo modo. Era proprio in quei momenti, quando si abbandonavano totalmente ai loro sensi, che ogni paura o tensione si dissipava. Si erano voluti troppo e per troppo tempo si erano respinti per stare ora a porsi alcun problema.
Nella penombra dell'unica abatjour ancora accesa, il sapore salato e pungente di quei baci umidi si mischiava all'odore dell'ultimo ciocco di legno che nella stufa era diventato brace e delle lenzuola fresche di bucato. I loro corpi stretti, i vestiti presto finiti a terra, diventavano una cosa sola con tutto quello che li circondava; l'intera stanza, persino il legno delle pareti erano partecipi del loro amore, contribuendo ad amplificare ogni sensazione.
"Ahi!" esclamò Emma, le labbra ancora su quelle del marito. sul letto. "Cos'hai? Ti ho fatto male?" Francesco divenne immediatamente apprensivo, notando che Emma aveva portato la mano sul basso ventre mentre si tirava su. Emma era in ginocchio sul letto, lo sguardo vagante di chi cerca di comprendere cosa sta accadendo "stai bene?"
"No no non sei stato tu …" si affrettò a tranquillizzarlo, sfiorandogli la guancia con il palmo della mano; un sospiro gioioso e incredulo le stampò sul viso "è da qualche giorno che ho come dei crampi, ma adesso è stato più come uno schiocco … ah! Ancora …"
"È…è quello che penso che sia?" domandò Francesco, incontrando gli occhi vispi ed estasiati di sua moglie. "Penso proprio di sì".
Il forestale allungò la mano verso la pancia di Emma, sovrapponendola a quella della moglie. Restò in silenzio, quasi in apnea, come se questo potesse contribuire meglio a sentire quei primi movimenti che Emma stava sentendo in quel momento.
"Non credo tu possa sentirlo" affermò Emma, con una leggera smorfia sghemba, tra l'imbarazzo e la mortificazione. Fosse stato possibile, avrebbe dato tutto l'oro del mondo affinché Francesco potesse essere partecipe con lei di quel nuovo traguardo; purtroppo, quella nuova sensazione, quelle farfalle che sentiva svolazzare nella pancia erano più rivolte verso l'interno, più simili agli effetti di un pranzo pesante che a dei veri e proprio calci. Solo la loro posizione e l'insistenza da giorni in quello stesso punto e alla stessa ora, le fecero intuire che era qualcosa di più. Era il suo bambino e, per la prima volta, era come se provasse a mettersi in contatto con lei. Eccomi mamma, le stava dicendo, ci sono e non vedo l'ora di conoscerti.

 

Angolo dell'autrice

Salve a tutti! Eccoci qua, oggi abbiamo visto come si stanno evolvendo le cose tra Emma, Francesco e Giulio. 
Speriamo che, per il bene di tutti, Giulio possa uscirne fuori.
A presto, con - vi anticipo - delle vecchie conoscenze ;-)

 

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** A volte ritornano (parte 1) ***


Capitolo  9 - A volte ritornano (parte 1)




 
 
"Adesso andiamo un po' più avanti dove troveremo la tana di un orso! Non dovete avere paura però … in questo periodo sono ben lontani da qui"
Zaino spalla, Emma aveva iniziato le uscite per i boschi con i bambini e Francesco si era presentato all'inizio del sentiero come guida della Forestale per la giornata. Ad Emma faceva piacere avere il marito vicino, meno il chiacchiericcio di sottofondo della mamme accompagnatrici che spettegolavano su di loro e, con poco contegno, avevano tutta l'aria di star radiografando Francesco sotto la divisa. Lei per tutta risposta passava loro accanto, esibendo il bel pancino, che iniziava ad essere ben visibile; non avrebbe mai ammesso la sua gelosia, ma inconsciamente risultava particolarmente territoriale nei confronti del marito.
"Cosa c'è … all'improvviso aiutare Vincenzo e la polizia non è più così allettante?!" domandò Emma, sarcastica. "Giorgi fai meno la spiritosa" dichiarò il marito, fingendosi indignato "lo sai che svolgo il mio lavoro scrupolosamente!" "Potevi mandare qualcun altro … dovevi venire per forza tu?" "E quando mi ricapita di lavorare insieme a mia moglie?"
Per diverso tempo Francesco ed Emma avevano lavorato a stretto contatto, quando Emma era arrivata per la prima volta in Val Pusteria. Camminare in mezzo ai boschi, seguire tracce, stare ad ascoltare la natura attorno a loro, era come tornare indietro a quei giorni.
Controllare che non succedesse niente di male ad Emma non era nulla al confronto dell'orgoglio che Francesco provava a vederla lavorare, vederla spiegare ai bambini le abitudini degli animali, mostrare loro le differenti orme che lasciavano sul terreno. Starla a guardare muoversi nel suo habitat, così a suo agio e piena di vita, era uno spettacolo che non si sarebbe perso per nulla al mondo. Si ricordava ancora quello sguardo un po' da bambina che aveva quando l'aveva accompagnata a vedere i lupi da vicino per la prima volta: rivedere quella passione nei suoi occhi era una delle soddisfazioni più grandi per Francesco. Anche se era sua moglie e ben presto sarebbe diventata madre, Emma era soprattutto una donna, con le sue passioni e le sue aspirazioni e lui sarebbe stato sempre in prima linea per aiutarla a realizzarle. E poi aveva un talento naturale con i bambini: sapeva parlare loro con naturalezza e docilità, senza trattarli con condiscendenza.
"Allora bimbi venite qui, attorno a me" disse Emma, inginocchiandosi di fronte ad una piccola grotta nel terreno. Le maestre e le operatrici che accompagnavano i bambini li raggrupparono attorno all'etologa. "Questa che vedete è la tana di un orso" iniziò a spiegare, lentamente, per permettere all'interprete di tradurre ai piccoli rifugiati "so che sembra strano, perché l'entrata è molto piccola, ma in realtà gli orsi bruni sono animali molto agili." Francesco, le mani giunte dietro la schiena, stava a guardare, fiero. "E poi grazie a delle speciali telecamere che si chiamano foto trappole installate dal comandante Neri e dai suoi colleghi della Forestale" continuò Emma, indicando Francesco e sorridendogli timidamente "è possibile controllarli e monitorarli, per tenere al sicuro sia gli animali che gli uomini".
Francesco vide con la coda dell'occhio alcune delle mamme ridacchiare, sicuramente perché Emma gli aveva dato del lei e l'aveva chiamato per cognome, sebbene probabilmente non ci fosse una singola persona in paese a non sapere che fossero. Anche a Francesco sembrava alquanto sciocca tutta questa formalità, per loro che si erano dati del lei solo presentandosi ufficialmente, la prima volta - e per giunta con molto imbarazzo, visto che poche ore prima si erano conosciuti in costume da bagno sulla riva del lago. Ma Emma ci teneva a fare le cose per bene, a distinguere il lavoro dalla vita privata e lui l'aveva accontentata. Francesco alzò gli occhi al cielo, scuotendola la testa, e con la mano mimò verso Emma, a cui non erano di certo sfuggiti i risolini e le insinuazioni delle donne che erano con loro, il becco di un'anatra. "Lasciale parlare" le disse, parlando con il solo labiale.
 
Lasciati i bambini, Emma e Francesco tornavano in auto verso il lago. "Che dici, com'è andata?" "Sei stata bravissima, amore, non devi preoccuparti… " "Lo dici solo perché sono tua moglie … ero così impacciata e nervosa" "Nervosa non saprei, ma impacciata no di sicuro … sei andata alla grande" la tranquillizzò, accarezzandole la guancia con le nocche "Ti riaccompagno a casa? … oggi hai già camminato abbastanza …"
Francesco si era finalmente arreso all'idea che Emma fosse in grado di camminare da sola, anche per via delle raccomandazioni della ginecologa di fare attività fisica. Con la neve ormai relegata alle cime più alte, Emma approfittava del lungo lago per spostarsi dalla palafitta fino alla caserma e si muoveva liberamente senza che il marito la seguisse come un cane da guardia.
"No, vengo con te …" rispose Emma "Isabella è da Klaus e Valeria mi ha chiesto di stare con Mela questo  pomeriggio"
Arrivati in caserma, Vincenzo aspettava Francesco con trepidazione. Un veloce bacio a sua moglie e il comandante della Forestale lo raggiunse nel suo ufficio.
"Dimmi Vincenzo" disse, chiudendo la porta. Vincenzo, seduto alla sua scrivania, lo invitò ad accomodarsi. "Cosa sono tutte queste formalità? Qualcosa di serio?" "Qualcosa di serio" rispose il Commissario "queste sono informazioni riservate ma date le circostanze mi sembrava giusto informarti prima. Il magistrato ha emanato un'ordinanza di custodia cautelare" "Chi?" "La dottoressa Elena Salvi"
Francesco rimase impassibile. La dottoressa Elena Salvi lavorava per il carcere di Bolzano e Francesco era stato suo paziente per un certo periodo: il Comando Provinciale, a causa del suo coinvolgimento in un caso di omicidio, aveva voluto una valutazione del suo profilo psicologico; da lì, avevano iniziato insieme un percorso di analisi.
"A quanto pare Ingrid Moser ha deciso di collaborare con gli inquirenti e ha scoperchiato un vero e proprio vaso di Pandora" "Che vuol dire?"
La madre di Klaus, infatti, sebbene rea confessa d'omicidio, si era sempre rifiutata di accusare il marito di associazione a delinquere, dichiarando di non sapere nulla degli affari di suo marito. Bruno Moser era un uomo rigido, dall'ideologia politica controversa e Ingrid non aveva intenzione di passare un minuto di più come sua moglie, dopo quello che era stata costretta a fare per il bene dei figli, a causa di suo marito; tuttavia ne aveva ancora paura e temeva che eventuali ritorsioni sui ragazzi. Era su quel punto debole che, spiegò Vincenzo, gli inquirenti la stuzzicavano, fino ad ottenere l'effetto sperato. "Vuol dire che ha fatto nomi e cognomi e fornito molti altri dettagli su suo marito, il Maestro e la psicologa. A quanto pare anche la dottoressa era coinvolta nel giro di corruzione e traffici illeciti di Bruno Moser e Kroess, Francesco"
Dopo l'ultimo incontro che aveva avuto con la psicologa, la notizia non lo stupì affatto.
 
Francesco sentì dei passi leggeri percorrere il terrazzo della palafitta. Dal cucinino, dove aveva messo il bollitore sul fuoco, Francesco si spostò nell'ambiente principale per andare incontro ad Emma che tornava dall'audizione con il PM; avendo lavorato dai Moser, avevano voluto sentire anche lei a seguito dell'arresto dei due coniugi: una tazza del suo tè preferito l'avrebbe rinfrancata di sicuro. L'uomo avrebbe voluto starle vicino, ma nella sua posizione sarebbe stata un'interferenza troppo grande, anche per lui. Il fatto che Vincenzo fosse presente, però, lo rassicurava.
Ad aprire la porta, tuttavia, trovò una figura bionda.
"Elena?!" Francesco fu sorpreso di vederla. Non si erano salutati bene, pochi giorni prima. L'insistenza della donna nei suoi confronti, nonostante avesse messo in chiaro più volte quali fossero i suoi sentimenti, era stata mitigata solo dalla signorilità della sua risposta. Anche quando la donna avrebbe meritato un allontanamento deciso, Francesco si era limitato ad accompagnarla alla porta con una scusa qualsiasi. Ma, a quanto pareva, neanche il terzo due di picche era servito a far recepire l'antifona.          
Elena si guardò intorno. Il grande stanzone era pieno di scatoloni e alcuni abiti di Emma erano sparpagliati alla rinfusa tra il letto e la poltrona. "Non sei da solo?" "No…" rispose Francesco, sorridendo lievemente. Nei giorni precedenti erano stati troppo impegnati a non fare nulla per una volta nella loro vita e quella mattina, nel lasciare il letto all'ultimo momento utile, Emma aveva messo a soqquadro l'intera stanza per cavare fuori qualcosa da mettere tra valigie, borsoni e scatoloni. "Emma ed io siamo tornati insieme" "L'hai perdonata?" domandò la psicologa, sbalordita. "Diciamo …  che avevo più cose io da farmi perdonare …"
"Ti invidio sai ..." esordì la donna, uscendo sul terrazzo. Francesco la seguì.  Era una bella e calda giornata d'autunno, le foglie degli alberi tutt'attorno al lago iniziavano poco per volta ad ingiallire, creando delle sfumature dorate sul crinale della montagna.
"Te lo dico da amica e non da terapeuta, io non riuscirei mai a perdonare il tradimento con l'assassino di mia moglie. Io ho visto come ti ha ridotto, Francesco. Ho visto il male che ti ha fatto…." "Credimi Elena, anche io ne ho fatto a lei ... forse anche di più" Francesco sentiva profondamente il torto che le aveva fatto, non riusciva a darsi pace per averla lasciata sola in un momento così difficile e, soprattutto non aver condiviso con lei il peso di un dolore che, in fin dei conti, entrambi si portavano dentro. "È incredibile quanto tu sia cieco di fronte a lei!" esclamò Elena, lapidaria "Perché ostinarsi con un amore che fa soffrire?"
Le parole di Adriana e di Vincenzo riecheggiarono nella mente dell'uomo "Qualcuno mi ha spiegato che l'amore a volte ci fa ridere, altre volte ci fa piangere, non possiamo prendere solo quello che ci piace." Si era affannato a rincorrere la favola, senza capire che la perfezione sta nel dar valore ad un sorriso al risveglio, ad un abbraccio in un momento di malinconia, ad una mano che si intreccia durante una passeggiata.  
"Ma tu hai già sofferto tanto, perché ti ostini a soffrire ancora?" insistette lei, vedendolo sporgersi, come da sua abitudine, al parapetto della terrazza. La brezza del lago, le aveva detto, lo aiutava a pensare. "Lo vedo sai che non sei sereno…che hai?"
Francesco abbassò la testa, le mani giunte “Emma ha deciso, si sottoporrà all'intervento all'aneurisma" "E naturalmente tu non sei d'accordo ... ma non hai voce in capitolo …" "Non sono io, a dover andare sotto i ferri" troncò Francesco, rassegnato. Aveva accettato, anche se a malincuore, la decisione di Emma. L'unica cosa che poteva fare, a questo punto, era di starle vicino. E sperare che tutto andasse bene. Non aveva molte alternative.
"Ma se dovesse andare storto qualcosa, chi resterebbe a raccogliere i cocci … lei? Non penso proprio …" Elena aveva questa capacità innata di lavorare come avvocato del diavolo, anche durante le loro lunghe sedute, provocando la risposta e la reazione del suo interlocutore "… eppure le avevo detto di tornarsene da dove è venuta."
"Come scusa?" Francesco, che fino a quel momento le aveva dato le spalle, si girò di scatto.
“Cioè…volevo dire…qualche giorno fa l'ho incontrata per caso in caserma, ero venuta a cercati e trovandola lì le ho consigliato che per voi sarebbe stato meglio stare lontani un po' per … per capire veramente cosa volete"
Francesco scosse la testa, un ghigno d'amarezza stampato sulle labbra "Non usare certi trucchetti di psicologia spicciola con me, Elena … hai usato ben altre parole" Dopo mesi di analisi, Francesco aveva imparato a riconoscere le sue tecniche. Inoltre, era ben evidente dal suo affannarsi a cercare le parole migliori, che si stava arrampicando sugli specchi.
"Non avevo idea che foste tornati insieme, ti giuro" dichiarò la psicologa, stupita dalla reazione di lui, non più sulla difensiva quanto piuttosto all'attacco. Era da tanto che non lo vedeva così, forse dalla prima volta che si erano seduti l'uno di fronte all'altro. "Non approvo, ma è la tua vita, puoi farne quello che vuoi"
"Scusa eh, ma non ho bisogno della tua approvazione…e comunque a te non è mai andata a genio" Era come se in quel momento, stimolato dallo strano comportamento della donna, a Francesco si fosse accesa una lampadina. Emma spesso aveva lanciato delle battutine su Elena, ma lui le aveva interpretate sempre come semplice gelosia femminile. La cosa lo faceva ridere, perché per lui Emma non aveva nulla da temere. Non c'era nessun'altra che lui volesse, era la donna della sua vita e tra i due era lui a sentirsi inadeguato e fortunato ad avere una donna come lei. Elena invece, si rese conto Francesco, aveva sempre, anche se in maniera velata, osteggiato Emma.
"Come potrebbe? Lei è così…così...egoista, ecco" "Ma che cazzo stai dicendo?" Francesco avrebbe permesso a chiunque di dire qualsiasi cosa sul suo conto, ma non una parola avrebbe dovuto intaccare Emma. Gli errori si fanno, e se ne pagano le conseguenze; ma nessuno deve arrogarsi il diritto di mettersi su un piedistallo e sputare sentenze. "Tu non la conosci minimamente…Emma, Emma è la persona più altruista e generosa che io conosca" "Ne sei sicuro?" rimbeccò lei, sprezzante "Pensaci bene…è piombata nella tua vita già abbastanza incasinata con tutti i suoi problemi. Mentre tu stavi facendo un percorso, lei ti portava a fondo con la sua malattia, con il suo legame con Kroess…" Elena si avvicinò a Francesco lentamente, accarezzandogli il volto, la voce addolcita "Tu hai bisogno di qualcuno che ti stia vicino, che si prenda cura di te, che… "
Francesco allontanò la mano della psicologa con uno gesto brusco. Si era stancato del suo modo di fare. Un attimo prima severa maestrina, quello dopo infermiera dal cuore tenero "Io voglio una donna al mio fianco...non una balia. Se pensi che è di questo che io ho bisogno, allora non hai proprio capito niente di me…" "Io ho capito che vuoi fare l'eroe e che ti piace farti carico delle disgrazie altrui, solo così ti senti vivo … ma Emma ti porterà a fondo con lei"
"Tu. Non hai. La minima. Idea. Di quello. Che Emma. Ha fatto. Per me. Tu non c'eri."
Dicendo quelle parole Francesco si ricordò di quella volta che Emma gli chiese se ci fosse qualcuno pronto a salvare lui, quando lui era costantemente in prima linea per salvare gli altri. Ora conosceva la risposta: lei l'aveva salvato. Lei lo salvava, ogni giorno. Francesco la fissava, ed Elena con fatica riusciva a sostenere quello sguardo greve; era furioso. "Emma mi ha conosciuto che io ero vivo per inerzia…sopravvivevo...e mi ha insegnato giorno per giorno a vivere di nuovo. Se c'è una persona qui che mi ha riportato nel baratro…quella sei tu, con tutte le tue cazzate sul convivere con i propri fantasmi" "Io…io l'ho fatto per il tuo bene, perché non si può dimenticare … fare finta che quello che ci fa soffrire non esiste" "No, ma si può imparare a tirare fuori il bene da quelle esperienze. Ed è questo quello che Emma ha fatto" "Dov'è tutto questo bene? Non avresti avuto bisogno di me se fosse davvero così speciale come dici … non mi pento di averla mandata via durante una delle nostre sedute" "Cosa hai fatto?"
“Era in casa?" domandò una voce tremolante alle spalle della donna. Emma stava all'ingresso della palafitta, una mano ancora sul pomello della porta d'ingresso, l'altra che stringeva forte il manico della borsa, appesa alla spalla "Era. In. Casa? Dimmi che non è vero…"
"Certo che era in casa…" messa con le spalle al muro, Elena non aveva più alcun scrupolo a trattare Emma con il poco rispetto che le aveva sempre destinato, ora anche di fronte a Francesco. Ad Emma, Elena era sempre passata inosservata, almeno fin quando Francesco non aveva iniziato a cambiare di fronte ai suoi stessi occhi. Per Elena, invece, Emma era una minaccia da scacciare il più lontano possibile. "Non  potevo permetterti di distruggere tutto il lavoro che stavo facendo con lui. Non aveva bisogno di altri guai oltre ai suoi"

Francesco rimase in silenzio. Era sconvolto ed incredulo. Spesso Vincenzo ed Emma lo avevano messo in guardia di fronte ai comportamenti poco professionali di Elena, del suo superare il limite della relazione professionale. Ma Francesco, che era un uomo buono, aveva sempre creduto che la sua onestà e bontà fossero ripagati con la stessa moneta. Ora dubitava persino di tutte le storie e di tutti i drammi personali che la donna gli aveva raccontato. La fiducia che aveva riposto in lei si stava sgretolando come un castello di sabbia.
"Io ero sconvolta … avevo appena perso il nostro bambino, volevo solo parlare con lui e tu non mi hai permesso di vederlo…" Quella confessione aveva prostrato Emma nell'animo, la voce non mentiva, ma non nel corpo. La sua postura era fiera, dignitosa, come di chi, a differenza di Elena, non deve nascondere nulla.
"COSA?" tuonò Francesco, disgustato. “Io…io…" ormai, di fronte alla verità venuta a galla, Elena non sapeva più come rispondere.
"MI FAI SCHIFO!" urlò Francesco. Emma si spaventò. Nero in volto, lo sguardo minaccioso, il respiro ansante per le urla, le vene sulle tempie erano ben in evidenza per la tensione: se ci fosse stato silenzio attorno, probabilmente si sarebbe potuto sentire con facilità il cuore che gli batteva a ritmo serrato … "CHE PSICOLOGA SEI?" "Ma come potevo sapere…" Elena, altrettanto impaurita dalla violenta reazione del forestale, indietreggiò.
"Non hai un briciolo di umanità. Io mi sono fidato di te…mi sono aperto e tu mi hai solo manovrato come ti faceva più comodo, secondo le tue convinzioni…." Francesco ricordò come un flash la sua diffidenza dei primi giorni e di come, dopo la morte di Adriana e il dolore profondo che ne era seguito, la convinzione che ci fosse qualcosa di sbagliato in lui che portasse alla morte di tutti coloro a cui voleva bene lo aveva spinto ad accettare l'aiuto di un professionista; il terrore, ogni giorno che passava, di perdere anche la donna che finalmente poteva dire di amare lo aveva convinto a fare questa cosa anche per lei, perché potesse avere un uomo migliore al suo fianco; si ricordò del sollievo provato quando aveva creduto di aver trovato una consigliera, più che una psicologa, una persona che non solo l'aiutasse, ma si fidasse a tal punto da chiedere il suo aiuto. Ed invece lei aveva sempre e solo lavorato per separarlo da Emma. Come nei peggiori cliché, si era scoperta attratta da lui e aveva fatto di tutto per renderlo dipendente da lei. Tutta la rabbia sopita da mesi di lavoro su di sé venne fuori come un vulcano che per secoli sembra dormire, ma in realtà ribolle sotto la superficie terreste. Sputò contro Elena tutto il suo disprezzo e tutto lo schifo che provava per come lo aveva preso in giro; ancor più che per sé stesso, era disgustato per quello che aveva fatto ad Emma. E chissà di quanto altro ancora non si erano accorti, mentre lei rideva alle loro spalle.
"Basta Francesco!" Emma gli scorse affianco, afferrandolo per la vita. Era irriconoscibile, sembrava non essere più in grado di non sentire nessuno attorno a lui, nemmeno Emma. "Dai! Basta … per favore … non ne vale la pena"
"VAI VIA…prima che io non risponda più di me…" minacciò. Emma sapeva di cosa era capace Francesco, se provocato. Era pur sempre un militare, qualcuno che aveva fatto per anni della sua forza fisica un lavoro.
"Vi chiedo scusa…" Elena, in un ultimo tentativo di salvare la situazione, si rivolse ad Emma "ti prego…lascia che ti spieghi"
"TU PREGHI" intervenne Francesco "tu che hai fatto di tutto per mettermi contro Emma ORA LA PREGHI?"
"Basta Francesco" lo zittì Emma, prendendo il suo volto tra le sue mani e accarezzandolo. Immediatamente, il respiro dell'uomo si placò, come se quell'imposizione delle mani avesse avuto un effetto taumaturgico su di lui. "E tu non serve che ti spieghi" disse Emma, rivolgendosi alla psicologa "le tue azioni hanno parlato già per te.. vattene da casa nostra…VATTENE."
Elena, a queste parole, accettò il consiglio perentorio di Emma e lasciò la palafitta. Francesco, sconvolto da quanto accaduto, si accasciò sulla panca accanto al tavolo della terrazza, le mani tra i capelli. Emma lo raggiunse, e gli passò un braccio attorno alla spalla, con l'altro gli afferrò teneramente il braccio, carezzandolo delicatamente con il pollice. "Io non ci posso credere …" Francesco scosse il capo, ancora incredulo "tu mi avevi avvertito, tu non ti fidavi di lei e io non ti ho dato ascolto"
"Shh shh" Emma posò un bacio delicato sulla spalla del compagno "anche tu mi avevi messa in guardia su Kroess e guarda cosa è successo. È finita … non ci pensiamo più"
"Non ci riesco … io ho bisogno di capire …" le disse, ponendosi di fronte a lei e prendendole le mani tra le sue "mi conosci, ho molti difetti e con te sono stato uno stronzo … ma non ti avrei mai lasciata sola. Perché non sei tornata?"
"Ma io sono tornata" disse, serena ma lapidaria "solo che mi sembravi troppo preso da altro per poter sentire quello che avevo da dirti". Sorrideva, ma i suoi occhi erano malinconici. Si erano giurati di dirsi tutto, di non nascondersi più niente e di affrontare con serenità e maturità ogni cosa. È così che fanno le coppie sicure del proprio amore.
"Io non … non capisco." "Ero laggiù" disse, indicando con un cenno un punto alle sue spalle, sul vialetto che conduceva alla casa sul lago "era sera, saranno state le nove forse … a me non interessava quello che ci eravamo detti, le idee diverse … io mi sentivo … vuota … e sola … e volevo solo che tu mi abbracciassi."
Le lacrime faticavano a scendere, ma Francesco non sapeva dire se Emma si stesse imponendo di non piangere. Le strinse le mani più forte, mentre la voce le si indeboliva e le parole stentavano ad uscire sicure. "E invece quando arrivo ti trovo qui, seduto proprio dove siamo noi adesso, a cenare con la tua psicologa." Per un attimo, Emma lasciò lo sguardo di Francesco, perdendosi nel vuoto. Chiuse gli occhi, una lacrima le rigò la guancia. "Io avevo perso nostro il nostro bambino … e tu brindavi".
Non c'era cattiveria, recriminazione nelle parole di Emma. Erano solo un dato di fatto. E per questo, per la loro cruda asprezza, che a Francesco facevano ancora più male. Avrebbe voluto che la terra lo inghiottisse in quello stesso momento. Non solo l'aveva lasciata sola, ma quando più aveva bisogno di lui, lei aveva creduto che si fosse dimenticato di lei … come se fosse mai stato possibile … Lei era insostituibile, sarebbe stato come togliere il sole alla Terra. Mentre ancora Emma non riusciva a guardarlo, Francesco avvicinò la sua fronte alla tempia di lei. Voleva sentire il suo profumo, voleva che lei sentisse il suo respiro.
"Mio Dio Emma …" disse in un soffio "riuscirai mai a perdonare il male che ti ho fatto?"
Emma girò finalmente la fronte verso di lui, carezzandogli leggermente la guancia "ci siamo fatti troppo male, ma adesso basta".
 
"Domani mattina la preleveremo e il magistrato verrà qui per interrogarla. Sono ben consapevole che la a Polizia qui è ospite" proseguì Vincenzo; quando gli era stato comunicato che il commissariato si sarebbe trasferito ci era rimasto veramente male, lui forse più di tutti gli altri, ma in quel momento gli avrebbe fatto comodo una sede separata "ma devo chiederti di non essere in caserma. Tu lo capisci … sei troppo coinvolto."
"Certo" Francesco capiva benissimo. Essere stato paziente di Elena lo metteva in una posizione scomoda, senza contare che probabilmente gli inquirenti avrebbero voluto ascoltare anche lui. "Però devo chiederti una cosa in cambio … fai in modo che Emma rimanga fuori da tutta questa storia. Il suo nome … fai in modo che non venga fuori" Elena, Francesco ormai lo sapeva bene, era una donna vendicativa ed ora che la frequentazione con Kroess e Moser non era più un fatto casuale, il forestale temeva che potesse tirare giù con sé chiunque aveva provato a mettersi contro di lei; se è vero che la vendetta è un piatto da servire freddo, quale migliore occasione per la donna, dopo mesi dal loro ultimo incontro.
"Francesco … ti rendi conto cosa mi stai chiedendo? Io non lo posso fare …" "Lo so, non ti sto chiedendo una cosa legale … ma provaci, almeno. Io sono a vostra completa disposizione, non mi interessa … qualsiasi bugia, qualsiasi accusa … ma Emma … nel suo stato … per favore"
Vincenzo era un uomo di giustizia, oltre che un uomo di legge. Per lui non esistevano solo le regole, ma anche fare la cosa giusta per chi se lo merita. Negli anni aveva imparato dal suo collega della Forestale che la prassi e i regolamenti non sempre garantiscono un esito positivo e a volte è necessario lasciare che le cose non siano necessariamente limpide e trasparenti. Il commissario ponderò un po' la situazione e alla fine acconsentì ad accordarsi con Francesco "non ti prometto niente però" disse, mettendo le mani avanti "farò quello che posso e parlerò con chi di dovere, ma non è una cosa in mio potere, lo sai".
Francesco apprezzava lo sforzo dell'amico, e tanto gli bastava. Con Emma al suo fianco, lui estremamente competitivo, aveva imparato ad apprezzare il motto decoubertiano: la cosa che più conta è tentare, non riuscire, che magari una volta la fortuna può sorridere anche a noi.


 


Angolo dell'autrice

Ciao a tutti! Come va? Spero tutto bene! Chiedo scusa per il ritardo nella pubblicazione ma la ripartenza del set di Un Passo Dal Cielo mi ha completamente sfasata. Rivedere i coniugi Neri (Francesco con la fede), mi ha proprio destabilizzata. Mai avrei creduto di poterlo vedere al di fuori della mia immaginazione. E poi l'incertezza di quello che sarà la loro bellissima, anche se travagliata, storia d'amore. Nel frattempo, visto che i tempi come al solito sono biblici, mi concentro sulla mia versione, sicuramente più ricca di gioie e soddisfazioni.
A presto!

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** A volte ritornano (parte 2) ***


Capitolo  10  - A volte ritornano (parte 2)








 
"Si è fatto tardi, non vorrei abusare della gentilezza dei ragazzi …" disse Giulio, mentre aiutava a sparecchiare la tavola. Dopo un mese di permanenza di comunità, per la prima volta gli era stato accordato il permesso di uscire. Approfittando delle belle giornate, sempre più lunghe, e delle temperature miti, Emma decise di inaugurare quella che aveva ribattezzato la stagione del terrazzo con una cena in famiglia.  "Stai tranquillo, da qui ci mettiamo poco ad arrivare" Francesco, i cui rapporti con il cognato sembravano essersi distesi, si era offerto di fare da autista; Emma intuiva dai loro modi ancora impacciati che probabilmente un viaggio in auto in solitaria era più chiassoso di quello che i due avevano fatto all'andata e avrebbero ripetuto al ritorno, ma considerando gli inizi e il carattere dei due, era già un mezzo miracolo.
"Amore lascia stare i piatti, li sistemo io quando torno" le disse, vedendola in piedi di fronte al lavello, mentre rovistava per le chiavi dell'auto in una tazza che usava come portapenne: con l'arrivo della bella stagione, aveva ricominciato ad uscire a cavallo, con somma gioia di Emma che aveva ritrovato un minimo di indipendenza. "Sono incinta, non malata!" ribatté lei, alzando gli occhi al cielo mentre i due la lasciavano sola in palafitta.
Di ritorno, Francesco trovò Emma ancora seduta su una delle panche del tavolo in terrazza. Una tazza di tisana fumante sul tavolo, scorreva distrattamente le pagine di un documento sul pc.
"Non è un po' freddino per stare ancora qua fuori?" le disse, alle sue spalle, posandole bacio sulla tempia. "Scherzi?! Si sta di un bene … vieni" lo invitò, spegnendo il pc. Sedutosi, si ritrovò immediatamente la schiena di Emma sul suo petto e l'avvolse con le sue braccia. Era un altro piccolo segno che le lunghe giornate estive erano sempre più vicine: Emma adorava passare ore seduti insieme sulla terrazza, a guardare il sole calare oltre i monti, a vedere il paesaggio cambiare colore e scorgere tra gli alberi il brulicare dei turisti lungo il sentiero, come tante piccole formiche operose.
"Tutto ok con Giulio?" "Tutto ok … mi sembra che stia andando tutto bene finora. Anche al lavoro, fila tutto liscio" spiegò Francesco "qualche elemento del gruppo a volte prova a fare casini, ma lui non si lascia trascinare" "Bene" Emma era contenta di sapere che le cose stavano procedendo nel verso giusto. Con loro non era ancora aperto come avrebbe voluto, se provava a fare qualche domanda sulla comunità, sul percorso che stava facendo o sulla sua salute rispondeva ancora a monosillabi, ma capiva che per ora doveva accontentarsi. Non era facile quello che stava passando e forse la paura di sbagliare era ancora più grande di tutto il resto.
"Senti…" esordì Francesco, accarezzando le braccia di Emma quasi per riscaldarla; lei diceva di stare bene, non era mai stata una tipa freddolosa, ma percepiva comunque la pelle fredda al suo tocco "... che ne dici se domani facciamo una passeggiata a cavallo?! Al passo, intorno a lago, niente di troppo veloce o pericoloso, tanto per vedere se ricordi ancora come si fa …"
"Veramente?!" domandò Emma, stupita, voltandosi leggermente per guardarlo in faccia "Ti conosco Francesco, fino a qualche settimana fa non avrei neanche poggiato un piede a terra se fosse stato per te. E ora vuoi portarmi persino a cavallo. Che succede? E poi non devi andare a lavoro?" "Ehm no … mi sono preso un giorno di ferie. E comunque deve per forza succedere qualcosa per voler passare un po' di tempo con mia moglie e il nostro bambino?!" disse, accarezzandole la pancia. Ci provava da giorni a sentire il bimbo muoversi, da quando Emma lo aveva sentito per la prima volta; ma più lei lo sentiva, più sembrava che il piccolo si calmasse quando invece era lui a mettere le mani su quelle forme arrotondate. La moglie lo rassicurava, non c'era motivo per cui prima o poi non sarebbe arrivato il suo turno, ma Francesco aveva la pazienza di un bimbo di 3 anni alle giostre.
"Beh sì" rispose Emma, in tutta franchezza "conoscendoti sì". "Ok va bene" ammise; ad Emma non riusciva a nascondere nulla. Non che volesse, in realtà, voleva solo trovare il modo adatto per parlarne "Vincenzo mi ha chiesto di stare lontano dalla caserma domani." "Come sarebbe a dire ti ha chiesto di stare lontano dalla caserma? Tu sei il comandante e tecnicamente sono loro gli ospiti .." "Sì beh vedi … è successa una cosa, volevo parlartene prima che tu lo scoprissi da internet o dai giornali domani" "Cosa?" "Elena … domani verrà arrestata" "Elena?! La psicologa?" Emma, voltandosi leggermente, lo vide annuire "a quanto pare era complice di Moser e Kroess"
Emma si ammutolì, guardando in avanti verso il lago sempre più scuro, in lontananza solo qualche piccolo barlume dalle finestre del commissariato e della foresteria nascoste tra gli alberi. Francesco chinò il volto verso le spalle di Emma, che poggiavano ormai quasi sul suo stomaco, tanto Emma si era quasi allungata addosso a lui; scostati i lunghi capelli, il forestale posò un bacio sulla spalla della moglie "Che c'è Emma, stai bene?" "Sì" sospirò, ma la risposta non convinse Francesco. Emma prese le mani di lui tra le sue e iniziò a giocherellarci. Le piaceva sentire il quasi impercettibile tintinnio delle loro fedi che si toccavano ed un sorriso le si stampava involontariamente sul viso ogni volta che vedeva l'anello di Francesco: anche il modello più largo, al suo anulare, quasi spariva. "Emma!" insistette, lui. La giovane donna prese allora un lungo respiro "Ci lasceranno mai in pace?" domandò "a volte mi sembra che persino i morti si divertano a darci il tormento"
Francesco capì che Emma non stava parlando soltanto di Kroess, anche Livia aveva espresso il suo disappunto per la loro unione catapultando Leonardo nelle loro vite, come un fulmine a ciel sereno. Nonostante tutto erano riusciti a superarla e ne erano venuti fuori più forti di prima: lo avrebbero fatto di nuovo. "Andrà tutto bene, ti giuro che andrà tutto bene" proclamò Francesco, stringendola a sé più forte che poteva. La sentiva giù e capiva perfettamente perché: tutto quello che aveva faticosamente tentato di mettersi alle spalle, tutte le persone che più avevano fatto loro del male erano tornate, alcune anche dall'oltretomba, ad offuscarle dei giorni che sarebbero dovuti essere i più belli della sua vita. "Non giurare! Non fare giuramenti quando non sai se puoi mantenerli…"
Emma si rialzò e tornò in casa, a svuotare la tazza di tisana che ormai era totalmente fredda. Francesco seguendola l'osservava, fermo alla porta finestra, in silenzio. Lei andò a sedere ai piedi del letto, con una mano tirò i capelli via dalla fronte: si toccava sempre i capelli quando era nervosa.
"A volte" esordì "ripenso a quando sono tornata qui, un anno fa. A tutte quelle volte che mi sono messa contro di te perché non volevi credere che Kroess potesse cambiare. Io dicevo tra me e me … lui è cambiato, perché non da una possibilità anche agli altri?! ... E poi quando stavo male … le sue parole, i suoi gesti mi erano così di conforto e invece diceva e faceva esattamente quello che volevo sentire, proprio come aveva già fatto decine di volte con gli adepti della sua setta. Noi litigavamo e non ci siamo resi conto che facevamo esattamente il loro gioco. Sono stata una stupida …"
Anche Francesco aveva spesso ripensato a quei giorni dopo che Elena si era rivelata per la manipolatrice che era in realtà. Si era chiesto molte volte quante cose sarebbero potute andare diversamente se avessero ascoltato di più i propri sentimenti, se si fossero concentrati su sé stessi come coppia piuttosto che sui consigli degli altri.
Francesco si portò di fronte a lei, in ginocchio, facendo sparire le mani della moglie tra le sue. "Ehi!" la scosse lievemente, sorridendo "Avevamo detto basta a farci del male per colpa degli altri, giusto? Non è colpa tua … tu sei buona e limpida. Non hai un briciolo di cattiveria e non riesci a vederne negli altri …"
Emma fece sì con la testa, tirando su col naso. "Lo so che questa notizia riporta a galla un sacco di brutti pensieri e di vecchie paure, ma ora abbiamo un'arma che allora non avevamo" "Cosa?" abbassando lo sguardo verso il marito, una ciocca le cadde davanti al volto, Francesco la portò delicatamente dietro l'orecchio "Emma siamo insieme, qualunque cosa succeda andrà bene, di questo ne sono sicuro … e ora me lo fai un sorriso?! Non mi piace vederti imbronciata, sei così bella quando sorridi … "
Emma sorrise, gli occhi lucidi, e con le braccia corse al collo di lui: l'unico posto al mondo dove si sentiva veramente al sicuro. "E domani mattina" aggiunse Francesco, sussurrando sornione all'orecchio di sua moglie "doppia razione di coccole"
 
A dissipare le preoccupazioni che la notizia del ritorno di Elena, benché a distanza, nelle loro vite aveva provocato contribuì la passeggiata a cavallo del giorno dopo. Francesco la sorprese andando a prendere Leonardo in casa famiglia. Per il piccolo sarebbe stata la prima volta, era super emozionato. Era da prima dell'intervento che Emma non saliva in groppa e montare le fece provare un misto di adrenalina e timore. "Devi lasciarti andare e stare tranquilla" le ricordò Francesco "o il cavallo percepirà ogni tensione e si agiterà con te"
Francesco lasciò che fosse lei a salire in groppa ad Oliver, il suo cavallo, perché era quello di cui si fidava di più tra quelli della scuderia, in quel momento non l'avrebbe lasciata andare su nessun altro destriero. Oliver era un animale tranquillo e sensibile ma, cosa importante, sapeva trasmettere sicurezza al proprio cavaliere. Dopo qualche giro nel recinto accanto alla caserma per riprendere confidenza e dimestichezza, fecero tutti assieme il giro del lago, al passo, approfittando della giornata calda e senza neanche una nuvola. I raggi del sole si riflettevano sulle acque del lago come tanti piccoli tasselli di uno specchio, restituendo il riflesso perfetto delle montagne che contornavano il bacino. Mentre Emma si lasciava trasportare dagli odori del bosco e il dolce profumo che saliva dal lago, Leo, che stava in sella con Francesco, il casco di protezione ben allacciato, era impegnato a godersi al massimo la novità, tenendo strette le redini come se fosse lui stesso a governarle; Francesco, dal canto suo, approfittava più che poteva di quella giornata in famiglia perché, nonostante fossero sempre più frequenti, non riusciva a farci l'abitudine; aveva costantemente la sensazione che quella fosse una parentesi passeggera.
"Forza Leonardo, scendi!" esortò il piccolo, dopo aver completato il giro del lago "ora Oliver e Felix hanno bisogno di una bella spazzolata, vuoi farlo tu insieme a Martino?"
"No! Ancora!" "Leo! Siamo stati un'ora a cavallo, per essere la prima volta è già tanto" "Ma io non sono stanco …" si lamentò il piccolo. "Io sì però …" disse Emma, a bassa voce, per non farsi sentire dal bambino e affidando il suo cavallo al forestale che li aspettava all'ingresso delle stalle. Francesco ed Emma si scambiarono un sorriso complice, mentre Emma si massaggiava la pancia e la schiena. "Tutto bene?" si accertò Francesco, allarmato. "Sì, stai tranquillo, ho solo riscoperto muscoli che non ricordavo di avere. Fai provare il galoppo a Leo" aggiunse, lanciando un occhiolino verso il piccolo "Io vado a sedermi su una panchina a riposare"
Mentre aspettava, osservava i suoi ragazzi da lontano. Francesco, pur con cautela, accelerava il passo di Felix, galoppando lungo la riva del lago verso la palafitta, con l'acqua del lago che gli zoccoli alzavano tutto attorno, per la gioia di Leonardo al quale sembrava di stare sulle giostre dei parchi divertimento che aveva visto in tv. Emma li vedeva insieme e penso che, chiunque li avesse visti, non avrebbe mai indovinato che non si trattava di padre e figlio. La stessa gioia nello stare a contatto con la natura, la disinvoltura con gli animali, la passione per i divertimenti più spericolati; eppure Leonardo era il figlio della persona che più li aveva ostacolati e danneggiati. Ciò nonostante, per una qualche sorta di contrappasso, erano diventati una famiglia: se non per la legge, almeno nei loro cuori.
"Emma hai visto? Eravamo velocissimi!!!" esclamò Leonardo, elettrizzato, mentre Emma lo aiutava a scendere dalla sella. "Sì piccolo mio, sei proprio un cavallerizzo provetto … ancora un paio di lezioni e diventerai più bravo di Francesco"
Lasciato anche Oliver alle stalle, tornavano tutti insieme verso la palafitta: Francesco aveva promesso una doppia razione di pane e Nutella a Leonardo, nonostante le rimostranze di Emma; fuori dalla caserma si era creato però un piccolo assembramento, con telecamere e microfoni, e un gran parlottare tra di loro dei vari giornalisti convenuti. Un cellulare della polizia penitenziaria era parcheggiato proprio alla fine delle scale che portavano agli uffici.
Francesco si avvicinò, nonostante Emma avesse provato a ricordargli del favore che Vincenzo gli aveva chiesto "Mi ha chiesto di non andare in caserma, qui siamo in un luogo pubblico" "Giurami solo che non l'hai fatto apposta?" "Cosa?" domandò, interdetto. "Giurami che non ci hai portato qui per poter sbirciare" "Proprio ieri sera mi hai chiesto di non giurare Emma …" Per tutta risposta gli arrivò uno scappellotto alla nuca e uno "stronzo" sordo, pronunciato solo con le labbra. Ma dal sorriso della moglie, il forestale intuì che non gli avrebbe portato il broncio troppo a lungo. Era fatto così, lo sapeva, lo aveva accettato e non poteva pretendere che dall'oggi al domani diventasse una persona completamente diversa.
All'improvviso, Huber e un altro dei poliziotti uscirono, scortando Elena verso la vettura che la aspettava per condurla in carcere a Bolzano. Uscì anche il magistrato che andò verso la sua berlina, sfuggendo velocemente i microfoni e le domande dei giornalisti; Vincenzo, braccia conserte, rimase sull'ingresso a controllare la situazione. Notando Francesco in mezzo alla folla, con tanto di famiglia a seguito, lo guardò in cagnesco, scuotendo la testa: conoscendolo, avrebbe dovuto aspettarselo che avrebbe trovato un modo per disobbedire ai suoi ordini.
Mentre saliva nel furgone, lo sguardo di Elena incrociò tra la gente quello di Emma, nonostante la donna fosse rimasta indietro per evitare i giornalisti che si accalcavano per rubare uno scatto o fare domande. La psicologa, pur lanciandole un sorriso di sfida, si raggelò: Emma infatti, con una mano sulla pancia, sempre più chiaramente visibile, stringeva con l'altra la mano del marito. Francesco, a sua volta, portava Leonardo sulle spalle. Emma faticò a rimanere seria: nonostante le circostanze, era riuscita a togliersi una piccola soddisfazione nei confronti di quella donna che voleva portarle via tutto.
"A che pensi…?" le domandò Francesco, vedendola sovrappensiero. "A quello che deve scattare nella mente di una persona come Elena … così come Kroess … per prendere di mira qualcuno che non gli ha mai fatto nulla". "Invidia amore mio … come si dice: l'erba del vicino è sempre più verde. Nel mio momento più buio sei arrivata tu … e mi hai cambiato la vita" le disse, lasciandole un bacio tra i capelli "e loro? Chi avevano loro quando avevano bisogno di qualcuno come te?"
Invece di qualcuno come Emma, sulla loro strada avevano incontrato presenze negative, deleterie, che invece di mostrargli quanto può essere bella la vita, comunque, nonostante tutto, hanno finito per rincarare la dose di cattiveria, canalizzandola verso il proprio interesse a discapito degli altri.
L'unica colpa di Francesco era stata quella di volere la verità, ma la verità a tutti i costi crea molti più nemici di quanti ne faccia la verità secondo la legge. Kroess, Moser ed Elena sapevano che Francesco, a differenza di Nappi, li avrebbe tenuti d'occhio anche prima di un minimo sgarro. E così avevano fatto di tutto per indebolirlo … le sedute di analisi, i consigli preziosi di Elena, la vicinanza di Kroess ad Emma … tutto architettato per rendere il forestale solo e vulnerabile. Queste, tra le altre cose, erano alcune delle confessioni fatte dalla psicologa di fronte agli inquirenti, e di cui Vincenzo, in forma estremamente privata, aveva messo a parte il comandante della Forestale.
 
"L'edificio è di nuova costruzione, sono solo 6 appartamenti quindi è una soluzione molto tranquilla e gestibile con gli altri condomini, e ogni appartamento è dotato anche di un garage e di una cantina." L'agente immobiliare iniziò ad aprire le finestre dell'appartamento mostrando il panorama dei Baranci e delle altre cime intorno a San Candido in tutta la loro bellezza. La fortunata giornata di sole permetteva alla luce di entrare nell'openspace della zona giorno, lasciando apprezzare meglio le rifiniture dalla casa.
Tutte le pareti erano rivestite di cirmolo che spandeva il suo profumo caratteristico nella stanza, il soffitto spiovente del piano mansardato aveva delle grosse travi a vista, ma non dava alcun senso di chiusura e oppressione. "I mobili sono in vendita?" domandò Vincenzo, notando l'arredamento moderno e gli elettrodomestici praticamente immacolati. "Si può aprire una trattativa con i proprietari" spiegò l'uomo " praticamente la casa non è stata quasi mai abitata, è tutto nuovo di zecca."
"Che te ne pare?" "Non lo so … bella è bella, per carità … ma sarà funzionale per una bambina?!"
Vincenzo aveva insistito per avere con sé Valeria durante la visita delle case che l'agenzia aveva ritenuto più adatte alle esigenze di Vincenzo. Insieme a lei aveva già scartato una villetta a schiera con le scale poco sicure e un giardino che Vincenzo avrebbe sicuramente lasciato allo sbando e un appartamento in centro dove l'unica vista erano le finestre del palazzo di fronte e la strada sottostante. Vincenzo si stupiva delle premure di Valeria, delle sue attenzioni alla sicurezza della piccola Mela: quando erano in foresteria i ruoli erano costantemente invertiti e Vincenzo era, tra i due, l'ansioso e iperprotettivo. Valeria, però, sentiva che non poteva essere altrimenti: senza la sua supervisione e con quell'impiastro di Vincenzo, era meglio accertarsi che fosse tutto a prova di piccola peste.
"Si tranquillizzi signora Nappi" disse la ragazza che li stava guidando nella visita, mentre li conduceva verso la zona notte "vostra figlia sarà totalmente al sicuro. Tutti gli impianti sono nuovi e a norma, c'è un sistema salvavita per l'energia elettrica e per i mobili bastano i soliti accorgimenti che di sicuro sapete … gommini, calamite … quel genere di cose lì"
"Ehm veramente …" arrancò Valeria, visibilmente frastornata, ma la ragazza sembrava così entusiasta di poter mostrare quel gioiellino di abitazione che non le diede modo di correggerla, parlandole sopra; sperò solo che Vincenzo non l'avesse sentita, ma ne dubitava. "Davvero non c'è da preoccuparsi" continuò la giovane "è un appartamento concepito per le famiglie. Tutto è a misura di bambini"
La casa aveva tre stanze da letto, molto grandi e anch'esse rivestite in legno. Era tutto talmente curato che sembrava una suite d'albergo o la location di un servizio fotografico per qualche rivista di design. Era bellissima, ma sia Vincenzo che Valeria avevano la sensazione che non fosse fatta per essere abitata; non si immaginavano i giocattoli di Mela sparsi per tutto il soggiorno, il piano cottura sporco di latte strabordato dal bollitore o il bagno allagato dai bagnetti movimentati di Mela. In cuor suo Vincenzo, pur non ammettendolo apertamente, aveva la risposta al problema: non riusciva ad immaginare una vita lontana dalla foresteria e dalle persone che avevano condiviso con lui la quotidianità nell'ultimo anno. Faceva strano dirlo, perché era una persona ormai adulta e non avvezza a certi sentimentalismi, ma quel caos e quel via vai di gente erano per lui ormai una componente irrinunciabile. Riabituarsi alla calma e alla privacy di una casa tutta propria, al silenzio di serate solitarie sarebbe stato, trano a dirsi, difficile.
"Che ne pensa signor Nappi?" fece la ragazza dell'agenzia "Non è forse un gioiellino? E poi tenga conto che siamo a due passi dal centro. Tutti i servizi sono vicinissimi, non avrete bisogno di usare l'auto per spostarvi" "Beh è un po' lontanuccio dal lago" commentò Vincenzo, senza pensarci, senza ricordare a sé stesso che la ragione per cui stava prendendo casa era che la polizia lasciava il vecchio maso sul lago alla Forestale. Non avrebbe avuto più motivo di andare lì, a meno di passeggiate con la bambina: presto anche i suoi amici avrebbero lasciato la palafitta e si sarebbero trasferiti altrove. Eppure sentiva di essere legato a doppio nodo a quei luoghi, non solo per i lunghi anni di servizio presso il commissariato. Il suo sguardo, istintivamente, si mosse per cercare la giovane forestale.
Valeria, che era uscita sul balcone per ammirare il paesaggio, si obbligava a prendere grandi respiri a pieni polmoni: nonostante la loro familiarità e la confidenza che un anno di convivenza aveva fatto nascere tra loro, più si avvicinava il trasferimento di Vincenzo e più percepiva tra loro una strana elettricità, una sorta di magnetismo che li attirava reciprocamente. Valeria si sentiva come su un grattacielo, come quando era una scalatrice ed arrivava alla meta, su nelle cime più alte: un senso di vertigine mista all'eccitazione della conquista e del successo. Era forse quello l'amore? Qualunque cosa fosse, non voleva lasciarsela scappare.
"Ehi Vale! Qua stai?!" la chiamò il commissario, carezzandole lievemente la schiena uscendo anche lui in balcone. Valeria era appoggiata al parapetto e guardava fisso di fronte a lei, verso le montagne. "La vista è bellissima da qui … se non prendi questa casa sei uno stupido"
Valeria non credeva alle parole che diceva, ma se non l'avesse fatto lei, Vincenzo avrebbe accampato mille scuse per vederne un'altra, e un'altra ancora. Ci sarebbe stato sempre qualcosa che non andava. Non che lo volesse vedere andar via, semplicemente non erano due ragazzini e la vita vera non è un fotoromanzo. Era il momento di fare gli adulti e prendere la vita come veniva.
"Sinceramente … ti piace?" chiese il commissario. "Vuoi la verità?" "Ovviamente" "La trovo impersonale. Da catalogo di mobili" scoppiarono a ridere, perché si resero conto che pensavano esattamente la stessa cosa "Ma ci sarà sempre qualcosa che non andrà in ogni casa e quindi pensa a tutte le cose belle che ha e poi penseremo … cioè ... penserai … a personalizzarla"
Si morse la lingua per aver parlato al plurale. Lui la coinvolgeva nella sua vita con i suoi modi e i suoi tempi, sapeva bene che con Mela nella sua vita, Vincenzo non poteva permettersi che fosse lei a portare il passo di qualunque cosa fosse il loro rapporto. Ma a Vincenzo, questa volta, non sembrò dare fastidio. Si appoggiò anche lui sul cornicione del balcone, proteso verso Valeria.
"E tu? Ci vivresti?" "Io? Che c'entro io?" Valeria sentì le sue guance avvamparsi. Non aveva mai avuto delle storielle da Tempo delle Mele, ma si sentiva proprio come un'adolescente alla prima cotta e la cosa la imbarazzava da morire. "Perché vedi …" esordì Vincenzo con una voce più scura del solito e quasi impostata. Il cuore di Valeria iniziò a battere in fretta. Vedeva il commissario di fronte a lei sicuro e fermo come poche altre volte lo aveva visto e questo atteggiamento la metteva a disagio perché era chiaro che qualcosa di grosso fosse in arrivo e non sapeva dire se fosse pronta. "… stavo pensando che tra un po' io me ne vado dalla foresteria, no?! Ed è inutile che ci giriamo intorno … io non ti voglio perdere, Vale'! Qua tocca che accetto la proposta di Emma di lasciarle Mela una sera e io e te ce ne andiamo a cena fuori da qualche parte … e poi si vedrà…"
"E poi si vedrà ... mi stai chiedendo di uscire, insomma?!" "Eh!"
Non era la dichiarazione romantica che si aspettava, ma era Vincenzo e certi slanci non se li sarebbe mai aspettati né li pretendeva. Non erano nemmeno da lei, in fin dei conti. "Eh!" gli fece eco lei. Si sorrisero. Tutta la tensione era calata, era tornata la complicità e la schiettezza che li contraddistingueva. Ed era solo l'inizio.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Quinto mese o cos'è un nome ***


Capitolo 11 - Quinto mese o "cos'è un nome"



 
 

Un pomeriggio qualsiasi di inizio maggio, quando il caldo inizia, nelle giornate giuste, a farsi sentire anche in montagna; anzi, quando si abita per tanti mesi sotto una coltre di neve, è più facile apprezzare anche il minimo aumento della temperatura. Quel pomeriggio Francesco entrò in caserma per prendere servizio. La mattina, infatti, aveva accompagnato Emma in ospedale per l'ecografia di routine del secondo trimestre ed era sollevato che tutto fosse andato per il verso giusto: non che ci fossero allarmismi, ma si sa che al momento clou, l'ansia sale sempre.
Al suo ingresso in caserma vide immediatamente che un nutrito gruppo di forestali e poliziotti era radunato attorno alla scrivania di Huber e che il vociare si era letteralmente strozzato non appena uno di loro notò la sua presenza.
"Battiamo la fiacca?" rimproverò ai suoi, i quali tornarono ciascuno alle proprie mansioni, come degli scolaretti redarguiti dall'insegnante più temuto, mentre lui prendeva posto alla sua postazione; nonostante fosse il comandante, Francesco non aveva mai preteso indietro l'ufficio principale da Vincenzo, si era sempre accontentato di una scrivania in mezzo alle altre, tra i suoi uomini.
"Co-coomandante!" lo chiamò Huber, timoroso, alzandosi dalla sua scrivania ed avvicinandosi a quella del forestale. "Huber quante volte ti ho detto che puoi chiamarmi Francesco, non servono tutte queste formalità con me" non riusciva a capire perché Vincenzo ancora si facesse dare del lei dal poliziotto, visto che era la sua famiglia altoatesina in tutti i sensi. Ma erano fatti così e Francesco aveva ormai smesso di farsi domande su certe cose. "Aaallora Fraancesco" si scambiarono un sorriso amichevole "co-coome è andata la mo-la moorfffologica?"
Huber era un po' il gazzettino della caserma/commissariato: guai a fargli sapere qualcosa, non era in grado di tenere un cece in bocca. Doveva sempre impicciarsi dei fatti degli altri. Francesco pensò che era lui la suocera che lui, in pratica, non aveva.
"Tutto bene, grazie!" rispose il forestale, tagliando corto.
"E allora?" lo incalzò il poliziotto. "Cosa?" Huber prese una delle sedie poste di fronte alla scrivania del Comandante ma, non sollevandola a sufficienza, provocò un leggero stridore. Si sedette, mortificato, mentre Francesco lo osservava perplesso e sospettoso. "È un maaaschietto o una feeemminuccia?"
"Non lo so" "Come non lo sai?" protestò Huber, sconvolto, mordendosi la lingua per aver azzardato un tono a suo modo di vedere troppo confidenziale. "Non abbiamo voluto saperlo" spiegò Francesco "… e ad ogni modo anche volendo aveva le gambine ben chiuse e non di vedeva nulla"
"Ah…caaapito" rispose il poliziotto, deluso e rattristato, alzandosi e tornando al suo posto. "Tutto qui?" domandò Francesco, perplesso. Per quello che conosceva Huber, generalmente avrebbe passato un'ora ad interrogarlo. L'ultima volta era stato così. Francesco lo seguì con la coda dell'occhio e notò che con fare guardingo quanto maldestro fece scivolare in un cassetto un foglio con alcune scritte e delle cifre.
"Va tutto bene Huber?"
"Jo, jo…genau" ahia! Huber era perfettamente bilingue, ma era risaputo che di solito scivolava nel tirolese quando aveva qualche magagna da nascondere.
"Huber" lo richiamò Francesco "che hai lì?“
“N-n-niente" "Se non è niente posso vedere allora" "ehm no...è un documento deeella polizia, no-non posso farti v-vedere niente" "Andiamo Huber, non fosse nulla me lo faresti vedere senza problemi…documenti della polizia o no"
Huber non sapeva tenere un segreto, men che meno a Francesco che sapeva come estorcerli senza troppe storie…con Vincenzo ed Emma lo sguardo da cucciolo abbandonato, con Huber atteggiamento minaccioso da preside.
"E vaaa bene" ammise Huber, sconsolato "abbiamo scommesso sul sesso del na-naaascituro"
Francesco batté con vigore la mano su alcune scartoffie che aveva davanti a sé, cosa che fece sussultare Huber, ma subito gli sorrise ironicamente, mimando uno schiaffo verso il poliziotto.
"Lo sapevo io che non vi fate mai i fatti vostri qua dentro" protestò, ad alto volume. Si alzò dalla scrivania per guardare quella lista di scommettitori e, oltre al fatto che femmina era nettamente in vantaggio, non fu sorpreso dal vedere che anche Vincenzo aveva fatto una puntata. Bussò ad una delle vetrate dell'ufficio del commissario e, senza entrare, gli fece segno di uscire.
"Cos'è questa storia?" domandò, mostrando il foglio. "Ma niente Francesco, una scemenza, su" provò a minimizzare Vincenzo "pensa che loro volevano fare pure il totonome ma gliel'ho…"
Huber si schiarì rumorosamente la voce. Vincenzo e Francesco si voltarono di scatto, guardandolo minacciosamente. In mano aveva un altro foglio che il commissario gli strappò dalle mani. "Uanm Huber, tu si' nu criminale proprio…e poi finisce che gli stereotipi tutti a noi del Sud li appioppano!!!"
Francesco lesse i nomi nella lista "Hannes, Jakob, Ludwig…Dietlinde, Heidi, Klara…Huber pensi davvero che possa dare dei nomi del genere a mio figlio o a mia figlia?"
"Co-comandante, sono d-dei nomi beellissimi…anche la mia povera oma, ehm volevo dire nonna...si chiamava Dietlinde, tutti la chiamavano Lili"
"Certo che pure tu Huber" intervenne Vincenzo "sti nomi vanno bene se fai di cognome Hofer, Baumgartner…no Neri…"
Francesco ed Emma non avevano ancora pensato ad alcun nome, a dire il vero. Né sembravano essere intenzionati a farlo. Così come per il sesso, avrebbero aspettato la nascita … volevano vederlo, prenderlo in braccio, sentire il suo odore. Solo allora avrebbero deciso quale nome gli (o le) sarebbe stato veramente bene.
Mentre la discussione goliardica tra i tre si faceva animata, con Vincenzo e Huber protagonisti dei loro soliti teatrini e Francesco che al più si limitava a guardarli spensierato, il telefono di Francesco squillò. Rispose, in disparte.
"Comandante Neri?!" "Sì, chi parla?" "Sono la dottoressa Daniela Parsi" era l'assistente sociale che aveva in carico i bambini della casa famiglia, Leonardo compreso. "Dottoressa … che succede? È successo qualcosa a Leonardo?" domandò Francesco, allarmato; non capitava mai di ricevere telefonate del genere. "No, no, stia tranquillo. Ma … avrei bisogno di parlare con lei e sua moglie di una questione delicata …" Francesco rimase in silenzio per qualche istante, in tilt, al punto che la sua interlocutrice fu costretta a richiamare la sua attenzione. Si accordarono per l'indomani pomeriggio.
Inutile sottolineare come quella notte Francesco non riuscì a chiudere occhio, il pensiero della notizia che avrebbero ricevuto l'indomani lo tormentava. Non era superstizioso, ma si domandava se non ci fosse qualcosa in lui in grado di attirare le disgrazie e gli ostacoli: nella sua testa, infatti, non c'era neanche in un remoto angolo la possibilità che si trattasse di una bella notizia. Emma per fortuna, riposava tranquilla, al suo fianco. Sebbene la notizia dell'appuntamento con l'assistente sociale l'avesse inevitabilmente colpita e impensierita, era riuscita a tranquillizzarsi con una delle sue famigerate tisane (dopo Valeria, l'erborista era la sua migliore amica in paese). Francesco, la lampada sul comodino accesa, stava allungato nel letto provando a far passare il tempo leggendo un libro. Non era mai stato un intellettuale, un topo da biblioteca, ma negli anni in cui gli incubi gli facevano perdere il sonno, era l'unico modo per provare a rilassarsi. Ora, con Emma al suo fianco gli incubi e l'insonnia erano sempre più un ricordo della passato e la necessità si era trasformata in un semplice passatempo.
 
Il giorno seguente, arrivati in casa-famiglia, prima ancora di salutare Leonardo, la dottoressa Parsi li aspettava all'ingresso, per condurli nell'ufficio della direttrice.
"Accomodatevi…"
"Si tratta di Leonardo, vero?" Era una domanda dalla risposta piuttosto ovvia, ma Emma nascondeva così la speranza che si trattasse di buone notizie. Ora che la casa era acquistata e i lavori iniziati, la domanda di affido, almeno quello provvisorio, era stata inoltrata e forse avrebbero potuto anche chiudere un occhio con loro e portarlo a casa prima del previsto. Era inverosimile, lo sapeva, ma ci sperava comunque.
"Sì" rispose l'assistente sociale, seria, sporgendosi sulla scrivania verso di loro, le mani giunte "tecnicamente non potrei dirvi nulla però voi avete costruito un rapporto importante con lui in questi mesi e non era facile vista la sua situazione …" Quando Leo è arrivato in casa famiglia era silenzioso e  scontroso, rifiutava di mangiare e aveva preso a bagnare il letto la notte. Suo fratello adottivo Klaus giurava che non era mai successo quando era con loro. Gli unici che riuscivano a strappargli un sorriso o una parola erano Emma e Francesco. Nei lunghi giorni di ospedale dopo l'operazione di Emma, Leo era l'unica pausa che Francesco si concedeva, per telefonargli e mandargli i saluti d Emma, per assicurarsi che mangiasse e facesse il bravo. Quando erano tornati a San Candido, Emma aveva voluto a tutti i costi fermarsi a salutare il piccoletto, prima di ogni altra cosa. "Per questo credo che sia giusto avvisarvi, anche alla luce della richiesta di affidamento che avete fatto"
"Di cosa si tratta?" domandò Francesco, allertato dalla premessa seriosa della donna.
"Sicuramente avrete sentito parlare dell'arresto della dottoressa Elena Salvi, la psicologa del carcere di Bolzano…" Entrambi annuirono, guardandosi. Senza dirsi nulla, erano entrambi concordi sul fatto che non fosse necessario entrare nei dettagli sulla loro conoscenza del caso. "Ecco, il suo arresto ha apportato dei nuovi … elementi … sul caso di Leonardo. A seguito di una perquisizione in casa sua la polizia ha acquisito dei fascicoli riguardanti Deva, fascicoli che ora sono presso il Tribunale dei Minori"
Francesco ricordava come, un anno prima, proprio in quella stessa struttura e proprio con la dottoressa Parsi, lui ed Emma avessero parlato dei bambini ex Deva loro ospiti che non avevano ritrovato i propri genitori dopo la chiusura della setta. Molti degli adepti, infatti, ritenevano che i bambini fossero solo figli della comunità. Elena, da quanto era emerso, aveva fatto parte della setta dai primi giorni dopo la sua fondazione, prima che Livia vi entrasse, che per un certo periodo era stata amante del Maestro - proprio come sua moglie - e, negli ultimi anni, prima che Francesco scoprisse tutte le magagne di quel gruppo, era diventata una sorta di conversa per la comunità, un punto di incontro tra Deva e il mondo: a lei era stato affidato, tra le altre cose, il compito di tenere i registri con tutti i nomi degli adepti e dei bambini che venivano al mondo in seno alla comunità.
"Naturalmente" proseguì la donna "anche il nome di Leonardo è presente in quei registri. E si attesta la paternità di Albert Kroess e Livia Sonzogni"
"E quindi?" domandò Francesco. Questa non era una novità per loro, lui lo aveva saputo per bocca di Kroess stesso. "E quindi per legge siamo obbligati a rintracciare i parenti fino al quarto grado di Leonardo, nel caso qualcuno fosse disposto ad occuparsi di lui"
"Chi?" domandò Francesco, laconico e nero in volto, stringendo più forte che poteva i braccioli della sedia su cui sedeva "chi?"
"I genitori della madre" L'assistente sociale abbassò lo sguardo, quasi avesse paura di sostenere la reazione dei due. Sembrava sinceramente mortificata, quasi fosse colpa sua che la legge prevedesse un tale cavillo.
I genitori di Livia, i suoceri di Francesco. Erano passati poco più di due anni da che Francesco li aveva visti l'ultima volta, dal funerale di Livia, ma non si erano scambiati che poche parole per le condoglianze di rito e assolvere alle formalità che un funerale comporta. Li aveva visti stanchi e invecchiati, stretti nel loro dolore. Oltre ad un nipotino avevano perso una figlia e Francesco comprendeva quel dolore meglio di chiunque altro. Da ex marito, pur nella tristezza dell'evento, preferì mantenersi a distanza da loro e dagli altri familiari più che poteva. Sentirli nominare di nuovo fu per lui come un pugno in pieno sterno che gli toglieva il fiato e lo riportava indietro, non solo a quei giorni, ma alla sua precedente vita, che fino ad un momento prima gli era sembrata così lontana, quasi un sogno che si fa fatica a ricordare.
Emma dal canto suo, era rimasta pietrificata, lo sguardo nel vuoto. Pochi giorni prima aveva detto a Francesco di avere l'impressione, a volte, che i morti continuassero a perseguitarli, ma non poteva immaginare quanto le sue parole fossero pesanti e veritiere. Se non fosse stata più intelligente di ogni superstizione avrebbe detto che Livia volesse portarle via quel bambino che aveva rifiutato anni prima e che lei si era impegnata a crescere.
"Non è giusto" esclamò Emma, la voce tremante "Leonardo non è un pacco che fa avanti e indietro di famiglia in famiglia, di città in città, solo perché qualcuno si sveglia al mattino e gli dicono che ha un nipote da qualche parte"
"Emma, amore … è la legge, non è così semplice"
"Perché no?" con quella domanda, fatta a voce singhiozzante, sembrava quasi implorare Francesco di fare qualcosa, lui che tante volte aveva fatto di testa sua anche di fronte alla legge, di trovare una soluzione o anche solo di risvegliarla da quell'incubo. "Allora tutto quello che abbiamo fatto noi per Leo in questi mesi non è servito a niente?!"
Emma si ricordava ancora di quando si era addormentato con la testa sulle sue gambe, quando cercava la sua mamma e si chiedeva se fosse per colpa sua che i genitori lo avevano lasciato a degli estranei in una casa che non era la sua.
L'assistente sociale avrebbe voluto dare ad Emma le risposte che cercava, avrebbe voluto dirle di non preoccuparsi, che tanto alla fine Leonardo sarebbe stato affidato a loro, ma non funzionava così "Signora Neri non ho mai detto né pensato che il vostro contributo non sia servito a nulla, anzi. In questi mesi siete stati preziosi ed insostituibili per noi … ma ci sono delle procedure da seguire e a cui dobbiamo sottostare. È la prassi. "
"Io me ne frego della prassi…specialmente quando non è giusta. Al bene del bambino … a quello non ci pensate, eh?!" sputò. "Amore, calma per favore" Francesco prese per mano sua moglie "non ti agitare, ti fa male" "Io non lo posso accettare che possa finire tutto così … io … " il suo tono passò da tonante a sommesso, anche se sapeva benissimo che l'assistente sociale l'avrebbe sentita comunque stando seduta di fronte a lei a poco meno di un metro di distanza " … noi …siamo già la sua famiglia!"
Forse avevano sbagliato ad affezionarsi al bambino prima del tempo, ma Emma, fosse tornata indietro nel tempo, non avrebbe cambiato di una virgola il suo atteggiamento nei confronti di Leonardo e la stessa cosa valeva per Francesco. Niente di quanto avevano fatto per il bambino era stato fatto per secondi fini, per ingraziarsi gli assistenti sociali e i giudici: nonostante le circostanze che li avevano portati a prendersi cura di Leo, gli volevano un bene dell'anima.
"Il punto signora Neri è che voi non siete ancora la sua famiglia" l'assistente sociale tentò di far ragionare Emma "tuttavia …" "Mi dica una cosa?" la interruppe Emma, sporgendosi sulla sedia e appoggiandosi con gli avambracci e i pugni contratti sul tavolo "Chi c'era quando siete venuti a prenderlo dalla polizia? Chi lo ha aiutato ad ambientarsi qui? Chi lo ha aiutato a socializzare con gli altri bambini e a togliergli quel broncio delle prime settimane? Siamo stati noi … NOI … e adesso lei ci viene a dire che degli sconosciuti che vengono da casa del diavolo possono prenderlo e portarlo via da tutto quello che conosce e gli è familiare solo per un legame di sangue che per quel povero bambino non è mai esistito fino ad oggi?!"
Francesco fino a quel momento non aveva proferito parola, rimanendo straordinariamente freddo e razionale: era rimasto sbalordito di fronte alla reazione di sua moglie; non che si aspettasse una risposta remissiva da lei, né era nuova ad esprimere il suo parere in maniera diretta, ma non si aspettava di vederla tanto infervorata. Era diventata una leonessa, pronta a difendere il suo cucciolo con le unghie e con i denti. Appena Emma tirò il fiato, domandò: "Quali sono i criteri per l'affidamento? Voglio dire … che margini ci sono"
"Beh … aver costruito un legame così importante con il bambino depone sicuramente a vostro favore, questi nonni per lui in fondo sono degli estranei, e il giudice terrà di sicuro conto di questo fattore … e poi anche l'età, l'obiettivo dell'adozione e dell'affidamento è di ricreare un ambiente familiare il più sano e normale possibile"
Normale. Cos'è normale? si domandò Emma. …Leo non aveva nessuno al mondo, un orfano i cui genitori adottivi avevano perso ogni diritto con i loro crimini e nessun genitore o parente naturale che lo reclamasse come parte della sua famiglia. Aveva solo Francesco ed Emma: il vedovo di sua madre e la sua nuova moglie, che era finita nella rete di seduzioni e bugie di suo padre. Insieme non formavano una famiglia da réclame, ma si completavano e si miglioravano, e contro questo nessuno poteva vincere.
"C'è qualcosa che possiamo fare?" chiese ancora Francesco. "Nulla, non potete e non dovete fare assolutamente nulla" si raccomandò l'assistente sociale "il giudice deve ascoltare il parere dello psicologo e la relazione che io stilerò a seguito di una serie di incontri tra Leonardo e i suoi nonni." La donna, preso un grosso respiro, proseguì "Questo non significa che io non sarò imparziale, sia ben chiaro, quello che voglio dire è che se le cose andranno come credo, per come vi ho conosciuti, per come conosco Leonardo e per l'esperienza che ho nel mio lavoro, ci sono delle ragionevoli possibilità che l'affidamento di Leonardo ai suoi nonni non sia così scontato. Nel frattempo, continuate a comportarvi con lui allo stesso modo, senza fargli capire nulla…a questo penseremo noi"
Proseguire il pomeriggio in casa-famiglia come se nulla fosse successo fu molto difficile per entrambi. Emma dovette frenare il suo desiderio di piangere ogni volta che provava a parlare con Leonardo e Francesco era assente, il corpo con sua moglie e il piccolo, la testa chissà dove. Il forestale si era fatto coraggio sulle prime, ma esattamente come sua moglie non poteva credere stavano rischiando di perdere Leonardo quasi sul punto di portarlo a casa con loro. Ci doveva essere un modo perché questo fosse evitato, e lui lo avrebbe trovato, ci fossero voluti anni. Aveva già perso un figlio per la sua arrendevolezza, il suo accettare passivamente le cose come stavano, non avrebbe commesso lo stesso errore una seconda volta. Lo faceva anche per lui, per quel bambino che Emma non aveva mai dato alla luce, quasi fosse un modo per chiedergli perdono e per quella creatura che stavano aspettando, per provargli di valere qualcosa come padre. Lo faceva per Marco, perché se fosse stato ancora in vita, gli avrebbe chiesto di fare di tutto per il suo fratellino.
Il ritorno a casa fu silenzioso. La cena fu silenziosa. Non capitava mai, c'era sempre qualcosa da dirsi, raccontarsi, progettare. E se non erano parole, erano gli occhi e le loro mani intrecciate a parlare. Quella sera invece, le teste basse, facevano persino difficoltà a mandare giù un boccone. Le posate tormentavano la carne e l'insalata malcapitate nei loro piatti. Neanche il tempo aiutava, lungo la strada aveva iniziato a piovere, quella pioggerellina fine e fastidiosa che accumula solo umidità nell'aria. Fuori dalla palafitta, le ultime luci del giorno mostravano una coltre di nebbia tra il lago e le cime delle montagne. Non sembrava neanche più primavera.
"Sei preoccupato…" disse Emma, non riuscendo più a reggere quel clima uggioso che dall'esterno si era propagato fin dentro la loro casa. Non era una domanda, lo sentiva e lo vedeva. Ma, pensava, probabilmente si sarebbe visto anche a chilometri di distanza.
Francesco non ebbe bisogno di rispondere.
"Emma io …" esordì l'uomo, prendendole il palmo della mano, lievemente, tra il pollice e l'indice, affannandosi a trovare le parole migliori "… io non voglio mentirti o fare nulla di nascosto … ma non ho alcuna intenzione di stare a guardare mentre ci portano via Leonardo"
Si ricordava troppo bene le lacrime del suo bambino quando si domandava se era rimasto da solo per colpa sua, quando per lui non c'era nessuno nemmeno per allacciargli un paio di scarpe. Fu lì che Francesco lo notò: aveva gli stessi occhi di Marco; non poteva lasciarlo da solo, non poteva permettere che continuasse ad essere sballottato da una famiglia ad un'altra. Forse non era suo figlio di sangue, ma sentiva di avere tanto in comune con lui e, nei mesi trascorsi, ne aveva avuto la conferma.
Il volto di Emma si illuminò all'istante. Aveva desiderato di sentire quelle parole da quando avevano salutato la dottoressa Parsi ma, arrivati ad ora di cena, non ci sperava quasi più. Ma era così il suo Francesco: fa sempre la cosa giusta, ma con i suoi tempi. Un motore diesel in carne ed ossa, lo aveva ribattezzato una volta, prendendolo in giro: funziona sempre a scoppio ritardato. Ricambiò la stretta della sua mano, più forte che poteva. "Sono con te" dichiarò, orgogliosa ed emozionata "qualunque cosa tu voglia fare".
"Niente di illegale …" spiegò, accennando ad un sorriso "… voglio solo provare a parlare con i genitori di Livia, fargli capire che se è vero che loro sono i suoi nonni, Leonardo ha bisogno anche di genitori"
"Non rinunceranno mai all'affidamento, lo sai vero?" "Io non voglio privare Leonardo dei suoi nonni … e sono sicuro che non lo vuoi nemmeno tu" Emma annuì. I genitori di Francesco non c'erano più e per sua scelta i suoi genitori non avrebbero mai fatto parte della vita dei suoi figli. "Ma come possono pensare delle persone anziane di prendersi cura di un bambino di 5 anni? E se dovesse succedergli qualcosa? Chi si occuperebbe di Leonardo?" Livia aveva un fratello, Massimo, ma anche il suo matrimonio era naufragato e lui era sempre in giro per il mondo per lavoro, non esattamente una figura paterna ideale. "Ricomincerebbe tutta la trafila daccapo e stavolta con degli sconosciuti. Non è giusto, povero piccolo …"
Entrambi erano ben consci del rischio che correvano. Il gioco, allo stato delle cose, era completamente in mano ai nonni di Leonardo. Avessero voluto, avrebbero potuto impedire a Francesco ed Emma di vedere il bambino, per sempre. Dovevano agire con assoluta cautela. "Prima o poi dovranno salire da Roma per incontrare Leonardo … proverò ad incontrarli e a farli ragionare" "Voglio esserci anche io! Leonardo è anche figlio mio …"
Era la prima volta che pronunciò ad alta voce quella parola … entrambi nel cuore sentivano che era l'unico modo per descriverlo, ma fino a quel momento nessuno dei due aveva avuto il coraggio di dirlo apertamente. Francesco le sorrise. Avvicinò la sua sedia a quella di Emma, nel già piccolo tavolino che avevano all'interno. "Tu sei sempre con me … lo sai vero?! Ma penso che questa sia una cosa che devo fare da solo … " "Non se ne parla nemmeno … se poi perdi il controllo lo sappiamo entrambi come va a finire" "Sono i genitori di Livia, Emma, come pensi che reagiranno vedendomi con una nuova moglie, per di più incinta …?"
La sua Emma, così dolcemente ingenua che non avrebbe visto il male neanche se fosse stato un muro innalzato davanti ai suoi occhi. "Lo so e lo capisco" rispose "ma voglio fare la mia parte, voglio … voglio poter dire a me stessa che c'ho provato"
Francesco si alzò, affacciandosi alla porta finestra. Ormai era notte e, se non si fosse sentito chiaramente dall'acqua che tintinnava sul tetto, il pavimento del terrazzo bagnato avrebbe confermato che la pioggia non aveva smesso un attimo di scendere ed anzi si era rinforzata. Non poteva "scappare" fuori a prendere una boccata d'aria … pensò un po' a quello che Emma gli aveva detto e pensò a tutta la situazione. Non voleva dirle di no, ma sapeva che una parola sbagliata, un gesto frainteso e avrebbero rischiato di non vedere più Leonardo, neanche con la scusa del volontariato. Emma, ancora seduta a tavola, lo guardava e, grazie ai giochi di luce dell'illuminazione interna ed esterna alla casa, osservava il suo riflesso corrucciato alla finestra; lo lasciò stare, aveva compreso di star chiedendo troppo e di aver messo sé stessa davanti a ciò che era meglio per Leo. Per un attimo Francesco serrò gli occhi e i pugni, lasciandosi andare ad un lungo sospiro di resa. "Facciamo così" disse, senza voltarsi, sentendosi perfettamente osservato "io provo ad avvicinarli, sondo un po' il terreno per così dire … poi, se non va male, possiamo incontrarli e affrontare l'argomento insieme. Che ne dici?"
Emma sì alzo e corse ad abbracciarlo alle spalle, posando un bacio sull'attaccatura tra collo e schiena. La pancia era cresciuta nelle ultime settimane ma per sua gioia non abbastanza da impedirle di stare stretta stretta a suo marito come piaceva a lei. Il suo koala, l'aveva ribattezzata Francesco. Non poteva contraddirlo.
"Sei troppo buono con me …" "te lo meriti … tu hai avuto pazienza con me quando persino Vincenzo mi mandava a quel paese" Emma rise, affondando il volto nella schiena del marito. Preferiva pensare a quei mesi di tira e molla con la leggerezza di chi né è uscito vincitore piuttosto che con la malinconia di chi ha perso del tempo prezioso. In quel momento, quando per un attimo tutte le ombre sembravano, se non dissipate, in procinto di diradarsi, Emma sentì un colpetto nella sua pancia. Era il bambino. Ma non era stato come le altre volte, non era una specie di crampo, un movimento interno. Questo aveva tutta l'aria di essere un calcetto. Bum. Un altro.
"Emma..che hai?" domando Francesco, voltandosi; aveva avvertito un piccolo tonfo, come quando Argo, ancora cucciolo, gli batteva con la zampa sui polpacci per avere da mangiare. "Io?! Niente" rispose Emma, sorridente, indicando la sua pancia "è lui! Sta … scalciando"
"Cosa? Era la pancia … cioè … voglio dire … il bambino?" Emma fece sì con la testa, gli occhi luccicanti. "E io l'ho sentito?!" Francesco era ancora incredulo, giorni e giorni passati a stimolare quel monello dentro la pancia di Emma affinché si facesse sentire anche da suo papà, e aveva deciso di farlo nella maniera più inaspettata ed insolita possibile. È proprio nostro figlio, pensò. Francesco si inginocchio di fronte ad Emma, che istintivamente alzò la maglietta per scoprire la pancia. Il movimento non era visibile ad occhio nudo, nonostante Emma giurasse che si stava muovendo parecchio e questo anche se avevano letto che, in quello stadio della gravidanza, i movimenti era percettibili solo da seduti o allungati. Così poso le sue mani sulla pancia, delicatamente, quasi fosse un pezzo di pregiata porcellana. Le sue grandi mani riuscivano a coprire quasi interamente quelle rotondità ormai non più così timide, un miracolo che ogni giorno sentiva sempre più suo. Lo sentì di nuovo: un'onda appena accennata ma era sicuro che non poteva che essere il loro bambino. Alzò lo sguardo verso Emma, che confermò la sua ipotesi. Guardava quella pancia incredulo, quasi riuscisse a vedervi attraverso, quasi riuscisse a scorgere i suoi lineamenti, le manine, i piedini. Emma lo guardava e vedeva lo stesso sguardo innamorato che le aveva riservato in cima alla montagna, la prima volta che le aveva confessato di amarla. Non c'era altro che potesse desiderare: un padre per suo figlio che l'amasse quanto lei lo amava. Tutto il resto passava in cavalleria.


 


Angolo dell'autrice

Salve a tutti! So che è passato molto dall'ultimo aggiornamento ma questo capitolo e il prossimo sono veramente fondamentali ed era giusto secondo me prendermi il tempo necessario per scriverli con calma e attenzione. Anche il prossimo arriverà quando sentirò che sarà pronto e renderà giustizia ai personaggi, quindi non vi do un appuntamento.
Spero di avere un vostro riscontro sulla storia e ci risentiamo presto.

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Nuovi incontri e vecchi scontri ***


Capitolo 12 - Nuovi incontri e vecchi scontri




 
 
Nelle settimane che seguirono, Francesco ed Emma poterono notare, anche se non avessero saputo nulla, che qualcosa stava per succedere. Con l'avvicinarsi dell'arrivo dei genitori di Livia, infatti, l'aria che si respirava in casa-famiglia era diversa. Il piccolo Leonardo, a cui continuarono a dedicare le solite premure ed attenzioni, veniva preparato, a piccoli passi, all'incontro con i nonni. Per quanto era dato loro di sapere, da quello che diceva il piccolo, c'erano due persone, che proprio come loro, volevano conoscerlo e fare amicizia con lui e con gli altri bambini. Certo non aveva idea di chi fossero in realtà, ma forse sotto sotto 9era consapevole che c'era qualcosa di diverso stavolta. Di solito, infatti, i volontari che venivano di tanto in tanto ad intrattenere i bambini non venivano annunciati con così largo anticipo, né con tanta cura. Il bambino rispose a quella novità con la innocente curiosità dei suoi 5 anni che un po' fa domande e un po' sembra avere altro a cui pensare. Emma e Francesco, dal canto loro, cercarono il più possibile di nascondere la loro preoccupazione e allo stesso tempo di frenare la loro rabbia nei confronti di quell'ennesimo ostacolo. Leonardo d'altronde aveva tutto il diritto di conoscere le sue origini, nonostante questo potesse significare la loro separazione.
Un giorno, senza alcun preavviso, arrivò una chiamata dalla struttura durante una delle sue uscite con le scolaresche, chiedendo ad Emma la cortesia di non passare durante la giornata e, per i giorni a venire, di contattarli per decidere l'orario di visite più opportuno.
Erano arrivati, era chiaro.
Francesco non impiegò molto, con l'aiuto di Huber, a rintracciare i suoi suoceri tra le varie strutture ricettive della zona. Individuati, si recò nell'albergo che li ospitava ma, non trovandoli, venne a sapere dal concierge che avevano chiesto informazioni per raggiungere la frazione di St. Veit, non essendo molto pratici della zona.
Fu lì che il forestale li trovò, nel piccolo cimitero della pieve dove riposavano Livia e suo figlio Marco.
Varcò l'ingresso con cautela, cercando di limitare al massimo il cigolio che sapeva sarebbe riecheggiato nella radura circostante dal vecchio cancelletto di ferro battuto, per timore di disturbare il raccoglimento degli anziani coniugi. Erano passati quasi due anni dal loro ultimo incontro e, nonostante il tempo ed il lutto avessero presentato il conto sui loro visi e i loro volti, li aveva riconosciuti subito. Rosa, le cui forme erano state appesantite dai ritmi più lenti e sedentari di una vita da pensionata, teneva ancora i capelli lunghi e curati, ultimo souvenir di una bellezza giovanile che di sicuro aveva fatto girare la testa a più di un ragazzo. Inginocchiata di fronte alle tombe di sua figlia e di suo nipote, era impegnata a sistemare i fiori, avvolti nella carta, nel vasetto di ottone di fianco alla lapide nera dedicata a Livia. Antonio, suo marito, stava in piedi, leggermente curvato, poggiando entrambe le mani su un bastone da passeggio in legno scuro. La sua folta chioma, che ricordava brizzolata, era ormai completamente bianca. Gli zigomi scavati e le occhiaie profonde restituivano il fantasma dell'uomo tutto d'un pezzo, eppure gioviale e generoso, che aveva conosciuto quasi 20 anni prima.
"Rosa...Antonio…" salutò, rispettoso ma titubante "speravo di trovarvi qui". La voce era sommessa, lo sguardo incerto. Si era congedato da loro in quello stesso luogo, dopo l'ultimo saluto a Livia; gli faceva strano ritrovarli proprio lì, a due anni di distanza: troppe cose erano cambiate, lui si sentiva cambiato. Ora veniva catapultato in un passato lontano, un mondo che non esisteva più.
Avvicinandosi, sfiorò con la mano, che aveva portato prima alle labbra, la foto del suo bambino, a volergli lasciare un bacio sulla guancia, come faceva sempre quando partiva per le sue missioni all'estero con il suo reggimento.
"Francesco." e quella risposta al suo saluto, da parte di suo suocero, suonava più come un rimprovero "Io invece avrei preferito di no"
Difficile leggere tra le righe di quella frase, se suo suocero si stesse riferendo al loro incontro o piuttosto al luogo. Francesco aveva poca confidenza con i genitori della sua defunta moglie: non poteva dire di essere stato in cattivi rapporti con loro, ma non li aveva mai sentiti veramente vicini, mai si era sentito considerato un figlio, in particolar modo con Antonio, suo suocero. Forse, a dirla tutta, lui non glielo aveva mai permesso. La sua vita militare, del resto, aveva impedito ogni rapporto umano tradizionale e, per assurdo, era stata la ragione dei suoi lunghi anni di matrimonio con Livia.
"Mi fa piacere rivederti" sua suocera replicò, alzandosi da terra, forse tentando di chiarire le parole del marito "magari non in un cimitero…non di fronte a quel che resta di Marco e di Livia. Però è un bel posto" continuò, malinconica "se può essere di qualche consolazione…tu ci vieni spesso?"
“Appena posso…" "Già… non deve essere facile gestire il lavoro, il volontariato, una nuova e giovane moglie" commento sarcastico suo suocero, accennando alla sua fede. Francesco provò a balbettare qualcosa, ma con scarsi risultati "È la ragazza che era con te al funerale di Livia, vero?" domandò Rosa e Francesco non poté fare altro che annuire. Non c'era niente tra loro, quando Livia se n'era andata, nulla che non fosse la promessa di provarci, con i loro tempi e i loro modi, confessandosi i propri sentimenti e le proprie intenzioni senza dirsi una parola, solo una mano ad accarezzare la guancia dell'altro. Ed Emma era stata discreta e quasi invisibile in quei giorni così difficili e dolorosi, nonostante tutto quello che Livia aveva fatto loro: rimasta costantemente un passo indietro, l'unico strappo se lo erano concessi all'uscita dalla chiesa, quando si abbracciarono brevemente; forse solo a loro sembrò un tempo troppo breve per essere sufficiente, volendone ancora e di più. E Rosa probabilmente, nonostante tutto, se ne era accorta.
"Ho visto delle vostre foto con nostro nipote, nella sua stanza" continuò la donna, senza troppi giri di parole.
Francesco era spiazzato. Si era prefigurato mille scenari possibili a cui dover far fronte, ad esclusione di quello in cui si potesse avere una conversazione civile e apparentemente amichevole. Il luogo del loro incontro, probabilmente, era stato la sua fortuna. Rosa e Antonio, di sicuro, avevano abbassato ogni difesa ed erano di fronte a lui nel pieno delle loro fragilità, esattamente come succedeva a lui ogni volta che varcava quella soglia nei primi tempi dopo il suo trasferimento tra quelle montagne.
"Forse non è bella come la mia Livia" aggiunse la donna, "ma ne convengo che ha un sorriso che sa illuminare tutto."
Francesco avrebbe normalmente ribattuto a chiunque avesse definito non bella la sua Emma, ma non era quello il momento. I suoi tratti non convenzionali, irregolari, ma a loro modo perfettamente armonici, erano la prima cosa che lo avevano colpito. Dopo il suo sorriso, s'intende.
"Anche Leonardo sembra essere colpito da lei." "Leo?!" “Sì, Leonardo. Siamo andati a trovarlo in casa famiglia… non farci credere che non ne sapevi nulla" commento Antonio, laconico. Sorrise lievemente Francesco, abbassando la testa: non avrebbe finto di non saperne nulla, evidentemente sapevano bene delle sue manie investigatrici, senza contare che probabilmente, dalle foto in camera di Leonardo dovevano aver intuito che qualcosa bolliva in pentola, se qualcuno non si fosse addirittura preso la briga di avvertirli della richesta di affidamento. "Ci ha parlato tanto di voi, sai?!" spiegò invece sua suocera "non possiamo che esserti grati per quello che hai fatto per lui in questi mesi…dopo quello che lei ti ha fatto … quest'altra tegola…"
Francesco scosse la testa "Livia è stata solo una vittima"
Da sempre cercato di limitare i danni, di indorare la pillola di fronte ai suoi suoceri, ma gli atti processuali e i fatti parlavano chiaro. "Livia aveva la possibilità di scegliere" ammise Rosa, guardando sconsolata verso la lapite di sua figlia "e ha scelto di fare del male a chi le stava vicino, a te … a noi … e persino a quest'altro bambino. Poteva scegliere di lasciare la comunità, poteva tornare a casa da noi, l'avremmo accolta, era nostra figlia … e invece ha scelto la strada peggiore. Non c'è giorno che non preghi che abbia avuto il tempo di pentirsene"
Questa era la stessa speranza di Francesco. Livia, in punto di morte, lo aveva liberato da quel senso di colpa che si portava dentro e sperava che si fosse pentita anche di tutto il resto, del male che aveva recato ad Emma e dell'amore materno che aveva negato a Leonardo.
"Starete qui a lungo?" domandò Francesco, tentando di portare la conversazione sul binario giusto. "Almeno per altre due settimane" disse Antonio mentre, prendendo la moglie per la vita, la spingeva verso l'uscita "ma non siamo qui per villeggiatura o visite di cortesia, Francesco"
Dal tono di voce dell'uomo, gli sembrava quasi strano che gli desse del tu, chiamandolo con il suo nome di battesimo.
"Dobbiamo parlare di Leonardo" dichiarò Rosa, telegrafica, girandosi verso il genero, dopo aver parlottato a bassa voce col marito. Era palese che sapevano, pur non dichiarandolo apertamente. E capivano anche chiaramente cosa stava facendo Francesco, che quell'incontro non era stata solo una fortuita coincidenza. Ma a Francesco andava bene così: preferiva di gran lunga giocare a carte scoperte. "Bene. Anche noi" rispose, calcando il noi. Dovevano sapere che questa partita sarebbe stata un doppio misto ad armi pari, e non un 2 contro 1 "permettetemi di invitarvi alla casa sul lago. Mia moglie attende di fare la vostra conoscenza".
 
"Pronto … Vincenzo?" Emma rispose al cellulare, sorpresa di ricevere quella chiamata dal commissario. Era l'amico fraterno di suo marito, testimone alle loro nozze, ma difficilmente si trovavano ad avere conversazioni private; tuttavia, Emma poteva giurare che, quando avevano luogo, le loro chiacchierate avevano sempre un certo peso.
"Come va, Emma, tutto bene?" "Insomma … mi becchi in un momento un po' particolare …"
"Francesco mi ha raccontato …" "… e non sei d'accordo, a giudicare dal tono della tua voce" "No che non sono d'accordo, Emma" la rimproverò "con Francesco ormai c'ho rinunciato, ma se ti ci metti pure tu …"
Era il loro grillo parlante, il loro angelo custode in carne ed ossa. Emma scoppiò in una risata di gusto "Vincenzo dovresti conoscerci a questo punto …" "Lasciamo perdere vah … " "No, non lasciamo stare" Emma era così, prendere o lasciare. Forse era un difetto agli occhi degli altri, ma non amava lasciare conversazioni in sospeso, solo perché l'argomento era spinoso; le era capitato talvolta con Francesco e le questioni non si erano mai risolte da sole, lasciando correre, anzi. "Perdonami Vincenzo, ma da quel che ricordo anche tu ti sei dato abbastanza da fare per Mela" "Sì certo, ma è diverso …" "Diverso come, Vincenzo, sentiamo…?!" lo interruppe Emma, risentita, capendo subito dove il commissario volesse andare a parare "Diverso che Carmela è mia …" "Figlia?" chiese, amareggiata "Vincenzo, i figli non li fa solo il sangue. Guarda Valeria e Mela e poi dimmi se non ho ragione"
Vincenzo rimase silenzioso per qualche istante all'altro capo del telefono, ed Emma avrebbe giurato di averlo sentito sbuffare, colpito e affondato.
"Hai ragione Emma, ho detto una cazzata, perdonami, non avrei mai dovuto permettermi … ma state attenti" Vincenzo era sinceramente preoccupato per i suoi amici. Il loro cuore grande li aveva già, più di una volta, condotti per sentieri pericolosi; l'ultima cosa che voleva era vederli ancora mettersi nei guai. "Senti" continuò l'uomo "a proposito di Valeria …" "Dimmi tutto …" lo interruppe Emma, cambiando repentinamente d'umore.
"È che … avrei bisogno di un favore …" il tono era vago, impacciato quasi, come un bambino che deve confessare una marachella. Emma sperava si fosse deciso a chiedere a Valeria di uscire ed avesse bisogno del suo aiuto; il suo sesto senso non si sbagliava: mentre Vincenzo le confessava di aver bisogno di quella serata libera e del servizio di babysitting che lei aveva proposto alcuni mesi prima, Emma si lasciò andare ad un piccolo balletto celebrativo, mentre era impegnata ad impiattare un tagliere con speck e altri salumi e formaggi da servire come antipasto. Lei non poteva mangiare cibo non cotto e quell'odore delizioso di leggera affumicatura le stava dando il tormento. Ma, ripeteva come un mantra, era per una giusta causa. Per il pranzo con i suoceri di Francesco si era dovuta ingegnare il più possibile per ottenere un risultato soddisfacente con il piccolo spazio per cucinare che aveva a disposizione.
Francesco le aveva detto di stare tranquilla, che erano due persone alla mano, ma lei aveva conosciuto Livia e sapeva quanto fosse pretenziosa … da qualcuno aveva dovuto prendere. Si sentiva come i concorrenti di quelle trasmissioni in tv dove dei giurati vengono a casa tua a giudicare arredamento, cucina e mise en place e così aveva controllato almeno cinque volte che nulla fosse fuori posto - da loro spesso c'era qualcosa impilato o buttato in qualche angolo del monolocale … delle galosce, delle corde da arrampicata oppure semplicemente qualche scatolone di passaggio per sostituire dei mobili che, in quella casetta, non trovavano spazio.
"E quando avresti intenzione di organizzare questa serata galante?" Emma proseguì con la sua indagine, controllando nel forno a gas l'arrosto della nonna che aveva preparato con la supervisione della zia in videochiamata. "Pensavo di andare in quel ristorante raffinato a Sesto di cui tutti parlano …" "Hai capito il nostro commissario!!! Non badiamo a spese, eh … fai benissimo, ottima scelta, per Valeria solo il meglio, altrimenti dovevi vedertela con me" Vincenzo era un tipo essenziale, ma girava voce che non lo fosse per una filosofia di vita, come poteva esserlo per lei e Francesco, bensì per un vero e proprio caso di braccino corto. Emma fu ancora più stupita dalla sua scelta, significava che voleva veramente fare una buona impressione e fare le cose per bene con Valeria, che per quanto gli era stata dietro, con pazienza e affetto, se la meritava tutta.
"Ecco, solo che non hanno un tavolo libero prima di inizio giugno" "Negativo …" lo interruppe Emma "mi dispiace Vincenzo, ma io e Francesco partiamo". "Come partite? E per dove?" Emma sorrise, divertita.  A giudicare come cadeva dalle nuvole, sembrava che Vincenzo fosse stato retrocesso da commissario ad ispettore. "Come per dove, Vincenzo?! Il viaggio che ci avete regalato tu e Valeria per il matrimonio …" Francesco voleva assolutamente approfittare del dono di nozze dei testimoni per recuperare quella luna di miele che, per via della convalescenza di Emma, non avevano potuto fare; e a tutti i costi voleva approfittarne prima dell'arrivo del bambino, una settimana di relax al mare come coppia prima che fosse troppo caldo, la pancia di Emma troppo grande e prima che pannolini e biberon li catapultassero nel mondo delle mamme e dei papà a tempo pieno.
Vincenzo all'altro capo del telefono sembrava aver perso il respiro. Emma lo chiamò un paio di volte, convinta che fosse caduta la linea. "E mo che faccio? Isabella ha trovato un lavoretto come cameriera per l'estate e quella … Valeria ormai si aspetta un invito da un momento all'altro, ho già rimandato troppo, ma voglio fare tutto per bene …" "Stammi a sentire Vincenzo … Valeria ti ha aspettato per un anno, ti è stata vicino nonostante la bimba e tutti i tuoi casini con Eva. Pensi che sia un problema per lei aspettare un'altra settimana per un tavolo per due nel più esclusivo ristorante della zona?!" "No…" "No, appunto … stai tranquillo, andrà tutto bene" e lei, di tempi biblici e uomini tormentati ne sapeva qualcosa.
Emma sentì del vociare fuori dalla palafitta, distinguendo chiaramente la voce di suo marito assieme a quella di un uomo ed una donna. Stava mostrando loro il lago e le montagne, indicando in lontananza, dal pontile che conduce alla casa, la caserma e la chiesetta. "Vincenzo ti devo proprio lasciare adesso, sono arrivati" "Ci risentiamo, fammi sapere, buona fortuna…"
E di fortuna, in quel momento, ne avevano un bisogno disperato.


 

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Sesto mese o ti amo da vivere ***


Capitolo 13 - Sesto mese o ti amo da vivere
 





"Antonio … Rosa … vi presento mia moglie, Emma" Emma, che conosceva perfettamente suo marito, riconosceva distintamente l'esitazione nella voce di Francesco, intimorito nel pronunciare una formula così di rito davanti a quelle persone. I due la salutarono con una stretta di mano, formale ma gentile ed Emma rimase composta e distante come le circostanze imponevano. "Molto piacere" si limitò a rispondere.
Ad un primo sguardo le sembravano due persone per bene, con una certa classe e dignità di chi ha una vita agiata in città. Emma ne aveva conosciute tante di persone così nella sua vita.
Rosa ed Antonio, dal canto loro, non avevano un'idea precisa della giovane donna che si erano trovati di fronte. Antonio non era tipo da fidarsi della prima impressione, al contrario di sua moglie che dovette mangiarsi la lingua sul commento poco gentile sulla bellezza della nuova moglie di Francesco. Le sembrava una ragazza a modo, solare e disponibile, ma il marito le aveva raccomandato di non fidarsi troppo di quei modi, come previsto, gentili: di sicuro, secondo lui, avrebbero preteso qualcosa.
"Francesco … non ci avevi detto che c'è un cicogna in viaggio" sottolineò Rosa, notando il pancino sporgente dal camicione premaman che indossava. C'era curiosità sincera nelle sue parole, non recriminazione; tuttavia, seppur inevitabile, sapere che se ne fosse accorta mise Francesco ed Emma a disagio. "Non c'era stata occasione" era stata la risposta stentata del forestale, che tra le righe si sarebbe potuta leggere più come un non mi sembrava il caso di tirare fuori l'argomento davanti alla tomba di vostra figlia. Seppellire le sue ceneri accanto a Marco, il loro bambino, era stata la scelta più naturale ma spesso, ora, lo inibiva: voleva coinvolgere Emma anche in quella parte, seppur dolorosa, del suo passato, ma il pudore lo frenava a portarla con sé davanti alla lapide della sua prima moglie. Ricordava ancora quando, d'istinto, corse davanti alla tomba del figlio per dirgli - inconsciamente anche ringraziarlo - per il bambino che era in arrivo e come, una volta lì di fronte, la "presenza" di Livia, avesse spezzato la magia del momento.
"Manca ancora molto?" domandò la donna, incuriosita. "Ancora circa quattro mesi, a Settembre" quando la conversazione verteva sul bambino o sulla gravidanza, generalmente le mani di Emma correvano sempre ad accarezzarsi la pancia; questa volta no, il timore di fare la cosa sbagliata aveva preso il sopravvento. "Beata lei, io i miei figli li ho partoriti entrambi d'estate, non lo auguro a nessuno"
Emma non voleva essere scortese e proseguì la conversazione rispondendo alle domande che le venivano poste, ma tutta quella situazione era surreale: una conversazione di convenevoli e pettegolezzi con i genitori di quella che era stata la sua "rivale" e a cui ora voleva "togliere" il nipote, che era l'unica traccia che era rimasta della loro figlia sulla Terra; ebbe solo il coraggio di chiedere che le dessero del tu. Antonio, senza neanche nascondersi troppo, alzò gli occhi al cielo. Emma notò come l'uomo, a cavallo tra i sessanta e i settanta, si aiutasse con un bastone. "La prego" lo invitò, apprensiva, indicando il tavolo e le panche del terrazzo dove avrebbero pranzato "non stia ancora in piedi, si accomodi pure"
"Oh … si riferisce a questo?" domandò l'uomo, facendo dondolare il bastone, accennando ad un sorriso "è solo un appoggio temporaneo …  un piccolo incidente domestico, me ne libererò presto"
Emma ricambio quel sorriso con uno altrettanto sincero. Francesco osservò attentamente suo suocero, insospettito da quel comportamento freddo e distaccato che lasciava intravedere solo a tratti l'uomo affabile di un tempo. Francesco riconosceva, in quel comportamento, l'incapacità di lasciarsi il passato alle spalle che anche lui aveva vissuto. Forse Emma lo aveva colpito, ma non poteva smettere di vedere Francesco al suo fianco e pensare a quella vita che sua figlia non stava vivendo.
"E così … è qui che vivete …" constatò Antonio, affacciandosi al parapetto della terrazza. La sua reazione, un misto di dubbio e meraviglia, l'avevano vista mille volte su quelli che visitavano la palafitta ed ammiravano il paesaggio da quella posizione privilegiata per la prima volta. L'uomo però, facendosi strada da solo, senza permesso, entrò anche all'interno della palafitta. Emma e Francesco si scambiarono uno sguardo perplesso. Forse l'uomo era spinto dalla curiosità di vedere per la prima volta il posto dove Livia aveva vissuto negli ultimi giorni della sua vita: Francesco, infatti, aveva tenuto la famiglia di Livia a debita distanza dalla casa sul lago. Non era certo il caso, in quei giorni di lutto, di mostrare loro la palafitta nello stato in cui versava dopo la loro ultima lite, con una finestra rotta e altri cocci sul pavimento. Antonio non poteva sapere, però, quanto quel posto fosse cambiato, quanto il nome di Emma e di Francesco fosse inciso con il fuoco anche sul più piccolo listello.
"Non mi pare esattamente un posto dove crescere un bambino" commentò, fermo sull'uscio della porta finestra, un tono di disapprovazione percepibile dalle orecchie di chi avesse voluto intendere. Emma distolse lo sguardo dall'uomo per un istante: le sembrò di rivedere Livia, nonostante la somiglianza quasi inquietante con la madre; quel suo fare altezzoso di chi è una spanna sopra agli altri, invece, era tutto del padre. All'apparenza il suo voleva essere un riferimento al bebè che Emma portava in grembo, ma tutti sapevano, evidentemente, che non era così; era una guerra fredda e i coniugi Neri dovevano essere pronti a rispondere colpo su colpo.
"Non staremo qui ancora per molto" replicò Francesco, stringendo istintivamente la mano di Emma "abbiamo acquistato un maso dall'altra parte del paese, è in ristrutturazione". I lavori procedevano bene, e Francesco si augurava che avrebbero potuto trasferirsi anche prima del parto, nonostante sua moglie facesse continuamente scongiuri per accumulare ritardi e restare in palafitta.
Emma si staccò dalla presa, intimorita da quella presenza altezzosa e severa che sembrava aver messo piede in casa loro al solo scopo di giudicarli. A Francesco sembrò di essere tornato indietro di venti anni, a quel terzo grado che ricevette la prima volta che andò a prendere Livia per uscire e fu presentato ai suoi genitori. Ma era una persona diversa, non solo ora era un uomo ma non si sentiva più vincolato dalla necessità di fare bella figura.  Unico freno la paura di perdere Leo, ma per quello, a quanto pareva, c'era bisogno di lottare.
"Vogliamo metterci a tavola?" tagliò corto Emma, cercando di sviare la conversazione per un po', notando i primi segni di insofferenza nel marito. Il pranzo fu un successo. Tutti gradirono la cucina di Emma e Francesco non solo non si lasciò andare a battutine che di sicuro i signori Sonzogni non avrebbero capito, ma riempì Emma di lodi sincere e meritate.
L'argomento per cui tutti erano lì non poteva né doveva essere dimenticato. Il pranzo era passato indenne, grazie alla conversazione spicciola retta dalla madre di Livia che voleva sapere tutto dei lavori dei due coniugi, della gravidanza, del matrimonio. Il padre di Livia rimase in silenzio, accennando a qualche risposta telegrafica e subendo il chiacchiericcio di sua moglie su argomenti che non solo non lo interessavano, ma che addirittura lo infastidivano. Non aveva nulla contro Emma, fosse stata una perfetta sconosciuta sarebbe stato felice per lei, ma sapere che aveva preso il posto di sua figlia, non la rendeva di certo la persona preferita agli occhi di Antonio. Se non altro, pensò l'uomo, Rosa aveva avuto il buon senso di evitare  domande su come si erano conosciuti e innamorati quei due.
"E così avete deciso di rimanere stabilmente qui" domandò Rosa. "Non vedo perché non dovremmo" rispose Francesco, mentre aiutava Emma a portare la frutta in tavola "entrambi abbiamo un lavoro qui, presto anche una bella casa e tutta la nostra famiglia è qui con noi"
"Famiglia?" domandò Antonio, incuriosito da quella strana risposta. "Beh sì, noi la chiamiamo famiglia" chiarì Emma "ma sono più che altro amici e colleghi. Passiamo talmente tanto tempo insieme che siamo diventati una grande famiglia"
"E non pensate che vivere in una grande città possa dare maggiori possibilità e prospettive a dei bambini?"
Eccola, la domanda che stavano aspettando. La conversazione virò di nuovo sull'argomento del giorno. Era chiaro come il sole che non gli interessasse la loro opinione di futuri genitori, piuttosto in quanto papabili all'affidamento di Leonardo.
"Ci sono ottime scuole anche qui" spiegò Emma, che aveva a che fare ormai quotidianamente con gli insegnanti delle scuole locali. Il progetto procedeva a gonfie vele e stavano organizzando una versione estiva per poter intrattenere in maniera istruttiva i bimbi che durante le vacanze non sarebbero partiti per le località di mare. "E poi" aggiunse "il contatto con la natura fin da piccoli è altrettanto importante, sia per lo sviluppo fisico che per quello mentale"
Francesco era estasiato dalla capacità di Emma di rimanere concentrata e sicura quando era nel suo elemento. Non sembrava che, in quel momento, si stesse decidendo parte del futuro della loro famiglia.
"Mi chiedo solo cosa ci sia di benefico nel vivere isolati, magari nei lunghi inverni pieni di neve quando a malapena si riesce ad uscire da casa"
Francesco avrebbe voluto rispondere in maniera piccata a suo suocero, spiegandogli che vivevano nel ventunesimo secolo e la tecnologia era venuta in aiuto alle popolazioni montane che vivevano nei masi lontani dal centro cittadino. Ma risolse che non fosse il caso di infierire ed offendere la sua intelligenza.
"Antonio, non prendiamoci in giro" intervenne Francesco "è chiaro che qui si sta parlando di Leonardo"
"E di chi altri?!" esclamò l'uomo, staccando una stilettata verso Emma e Francesco, sottolineando così quanto poco gli interessasse di loro.
"Noi vogliamo solo il bene di Leonardo" chiarì Emma.
"Anche noi" rispose Antonio, con la stessa energia che aveva usato la giovane donna. Era suo nipote, il figlio di una figlia che non c'era più, che non aveva potuto o saputo aiutare quando avrebbe avuto bisogno di avere qualcuno vicino e sentiva che questa poteva essere la chance di poter provare a sé stesso di non essere stato un fallimento totale come genitore.
"Ed è proprio per questo bene che vi chiediamo di collaborare con noi" chiarì Francesco, schietto "il giudice potrebbe non decidere a nostro favore, ma neanche a favore vostro. E se venisse affidato ad un'altra famiglia rischiate di non vederlo mai più. Noi invece vogliamo che davvero che possa avere accanto i suoi nonni, i suoi veri nonni"
"E chi ci garantisce che con voi sarà diverso?" domandò Antonio, il quale continuava imperterrito a nutrire dubbi su Francesco.
"L'amore per Leonardo è l'unica garanzia che abbiamo da offrirvi" rispose Emma, con tutta l'onestà che poteva mettere in quelle parole "forse non è molto, ma dovete farvela bastare."
A quel punto, non interessava più fare bella figura, nessuno dei due sentiva di dover dimostrare più nulla: bisognava strappare una collaborazione tra pari, tra persone che avevano sofferto in egual maniera e in Leonardo avevano trovato, allo stesso modo, un'ancora di salvezza da quel passato che, altrimenti, non avrebbe smesso di tormentarli. "Potevamo scegliere di non prenderci cura di lui, cos'è per noi in fondo? Con un bambino in arrivo ora, diciamocelo, chi ce lo faceva fare?" le parole del forestale erano franche e forse crude, ma erano la pura verità. Chiunque si sarebbe tirato indietro; non loro, e non solo per il legame con il passato. "Eppure siamo ancora qua …" Si erano innamorati di quel bambino e lui di loro, erano una famiglia, ed iniziavano a cogliere, a quasi un anno di distanza, quei primi segni di affinità e somiglianze acquisite. Non si sentivano i salvatori di un bambino solo e abbandonato, erano loro per primi ad essere bisognosi di completarsi nell'affetto per Leonardo.
Emma corse con la mano verso il braccio che Francesco aveva sul tavolo, la mano di lui stringeva il bicchiere per convogliare e rilasciare le energie negative. Si voltò verso la moglie, che lo cercava con lo sguardo.
"Il giorno che ho scoperto di essere incinta ero da sola in ospedale" iniziò lei, ricordando quella lunga giornata; aveva deciso di affrontare da sola quell'ultima visita medica perché quei sintomi le fecero sperare in una bella notizia, ma al contempo le fecero temere che il suo peggior incubo era tornato. In entrambi i casi aveva voluto tenere lontano Francesco, almeno per un po', da una delusione. "Sulla strada del ritorno" continuò "invece che correre da Francesco per dargli la notizia mi sono ritrovata davanti alla casa famiglia. Non so spiegare bene perché ma sentivo che dovevo essere lì, era come se la mia testa e il mio cuore mi avessero detto non scordarti di Leo"
Sentì il braccio del marito scorrere sotto il palmo della sua mano, finché le dita nodose non incontrarono le sue, intrecciandosi. Anche gli sguardi si incrociarono. "Non me lo avevi mai detto" sussurrò Francesco; lei lo guardò soltanto, le parole fermate da un nodo in gola, gli occhi inumiditi.
Emma tornò a rivolgere l'attenzione verso i genitori di Livia e si accorse che qualcosa, forse, era cambiato. In Rosa, in particolar modo, le sembrò di scorgere una luce, un piccolo spiraglio a cui potersi rivolgere. Lei non poteva saperlo, ma dietro quella luce c'era una profonda ammirazione. Francesco era sempre stato un po' il favorito di Rosa, forse per pura vanità femminile, poter esibire un fiore di ragazzo come lui, soldato per i corpi speciali, suo genero, alle amiche di bridge, era stato per anni motivo di vanto. Al di là di tutto gli voleva bene, per la pazienza dimostrata con sua figlia e persino con suo marito, che per la sua primogenita pretendeva sempre la luna, ed infine per il dolore che avevano condiviso.
Ripresasi, Emma fissò Rosa e Antonio dritta negli occhi "Questo per dirvi che noi sentiamo Leo parte della famiglia, né più né meno di quanto non lo sia che questo piccolino che deve nascere. Ma questo non esclude assolutamente che Leo sia parte anche della vostra famiglia. Anzi, potremmo diventare un'unica famiglia, se ce lo permettete. Noi siamo esperti di famiglie allargate e incasinate"
Sia Francesco che Emma si aprirono ad un sorriso, imbarazzato ma al contempo divertito, perché in quelle poche parole Emma aveva perfettamente delineato quella pazza tribù che era diventata la loro famiglia; non li avrebbero sostituiti con nessun legame di sangue al mondo. Anche Rosa sorrise assieme a loro. Aveva bisogno anche lei di qualcuno così nella sua vita.
"Che bella storiella" si oppose Antonio, disincantato "peccato che stiamo parlando di vita vera e non delle favole della buonanotte. Non basta solo l'amore per stare al mondo" Francesco rimarcò come il denaro non fosse un problema per loro ma che, al contempo, non basta solo il denaro per crescere un figlio. "Certo che no" confermò Antonio "ci servono anche il tempo e la dedizione che con Marco non hai mai avuto. Sempre lontano, sempre distante, sempre concentrato sulla tua carriera … se tua moglie è contenta di crescere vostro figlio da sola, fatti suoi, ma non permetterò che possa ripetersi la stessa cosa con un altro mio nipote"
"Non le permetto di parlare così di mio marito" Emma sapeva che Francesco non era un uomo perfetto, aveva i suoi difetti e lei stessa li aveva provati sulla sua pelle, ma le loro giornate con Leonardo, l'affetto e la malinconia con cui le parlava di Marco e la devozione che aveva per il bambino che stava portando in grembo le restituiva l'immagine di un padre affettuoso. "Carissima Emma" disse, in tono quasi canzonatorio, "non ce l'ho con lei, è una brava ragazza e forse vi volete anche bene, ma vorrei ricordarle che se fosse stato più responsabile ora non sareste certo qua."
Forse vi volete anche bene. Forse. Queste parole più di tutte riecheggiarono ovattate e lontane nella testa di Francesco, ma allo stesso tempo fastidiose come una goccia cinese. Se c'era una certezza nella sua vita, era proprio l'amore che provava per Emma e che, per qualche miracolo, sentiva ricambiato. Un sentimento totalizzante che con Livia non c'era mai stato. Si erano voluti bene, apprezzati e rispettati per un certo tempo, ma erano sempre rimasti due entità separate. Avrebbe voluto urlare, avrebbe voluto difendere quella pace dell'anima che, soprattutto grazie ad Emma, era riuscito a riconquistare dopo anni di buio. Ma era proprio per la donna che aveva al suo fianco, che già aveva affilato i suoi artigli da leonessa, che rimase calmo: la vedeva massaggiare energicamente la pancia e immaginò che anche il piccoletto lì dentro fosse indignato quanto loro due.
"Mi creda" continuò Emma "io di genitori assenti ne so qualcosa…e anche se non ho conosciuto Francesco quando c'era Marco, so per certo che amava suo figlio"
"Ma cosa vuole sapere lei…" "Basta Antonio!" Rosa sbattè i palmi delle mani sul tavolo, dal nulla, accigliata, facendo scattare anche il forestale e sua moglie.
"La morte di Marco non è stata colpa di nessuno e devi smetterla di attribuire a Francesco colpe che non ha!" "Come puoi parlare così? Oltre a Marco è stato anche la rovina di Livia" "Livia si è rovinata con le sue mani … non biasimare Francesco per aver provato ad andare avanti"
Rosa era dell'opinione che se il matrimonio, come sembrava, non soddisfaceva sua figlia, era suo dovere interrompere quella farsa e trovare nuovi modi per esprimersi ed essere pienamente realizzata. Ma un marito distante e con un lauto stipendio mensile le facevano così comodo che aveva persino messo da parte le sue passioni e la sua carriera. Non riconosceva più la ragazza sognatrice seppur sofisticata che aveva cresciuto, trasformata in una signora snob e viziata, né aveva mai approvato il suo comportamento quando, dopo la morte di Marco, aveva cercato attivamente di danneggiare Francesco, per punirlo e addossargli la colpa di quello che restava un incidente in tutto e per tutto.
"E poi, sinceramente … Francesco ha ragione, quale giudice sano di mente ci affiderebbe Leonardo?" "Siamo i genitori di sua madre, Rosa" "Sì, ma di una madre che di fatto non lo aveva mai riconosciuto come suo … noi per Leonardo non esistiamo" "è solo una questione di tempo … ed imparerà a volerci bene" "è solo una questione di tempo … e noi non ci saremo più. E poi, chi si prenderà cura di lui? Massimo? Che è sempre in giro per il mondo e vede i suoi figli ogni due weekend? O magari una nuova famiglia, scelta a caso dagli assistenti sociali. No, Antonio … scusami ma preferisco che sia oggi con qualcuno di cui mi fido e sono sicura che gli vorrà tutto il bene che gli vogliamo noi. Francesco ed Emma hanno promesso che si prenderanno cura di lui, lo stanno facendo già ed io mi fido di loro"
"E a noi cosa rimane?" "Non abbiamo più l'età per fare i genitori, tesoro mio, né le forze" disse teneramente sua moglie, accarezzandogli il volto grinzoso "accontentiamoci di fare i nonni"
Antonio si alzò, scoordinato, afferrando in fretta e furia il bastone e correndo malamente verso l'uscita. Francesco fece per raggiungerlo, ma Rosa lo bloccò con un segno della mano e scuotendo il capo "Ci devo parlare io. Non è cattivo, ma non riesce ancora a darsi pace per nostra figlia…non vi preoccupate"
Con un sorriso rassicurante e un lieve bacio sulla guancia, salutò i due coniugi che rimasero soli, sconcertati dal modo rapido in cui gli eventi erano precipitati. Francesco aprì le braccia ed Emma ci si tuffò, affondando il volto nell'incavo del collo, aggrappandosi a lui più forte che poteva.
"Andrà tutto bene" le ripeteva, accarezzandole la schiena e baciandole le tempie. Ma non ne era certo nemmeno lui a questo punto. "Non pensare neanche minimamente che quello che ti ha detto quell'uomo sia vero, Francesco, mi hai sentito?!" disse Emma, accogliendo il volto dell'uomo tra le sue mani, accarezzandolo come faceva lei, come sapeva che lo calmava e calmava sé stessa, d'altronde, "quello che è successo non è stata colpa tua, non te lo dimenticare mai. Sei e sarai un padre straordinario e i nostri figli saranno orgogliosi di te"
Lo baciò e lui rispose disperatamente, avevano fame e sete dell'altro: si erano frenati in nome di un'immagine inamidata di rispettabilità borghese, che non gli apparteneva e nulla aveva a che fare con loro e con i valori che per loro erano più importanti. La mano di Francesco, dal collo le corse su per la nuca ad infilarsi tra i capelli setosi e profumati di Emma. Lei dischiuse le labbra, per lasciarlo entrare e sentirlo quanto più vicino possibile. Sentivano la necessità di ricordarsi che erano una cosa sola, che niente li avrebbe mai divisi.
 
Spegnendo il computer dell'ufficio, Vincenzo si preparava a concludere la giornata lavorativa. Non c'era un granché da fare in quei giorni, ma organizzare il trasferimento del commissariato gli toglieva tutte le energie mentali. Non vedeva l'ora di farsi una doccia, prendere la sua bambina in braccio e stendersi sul divano per un'oretta a vedere insieme una puntata di Masha e Orso. Non c'era niente di più bello e rilassante delle faccine buffe e delle risate di Mela.
Fuori dal suo ufficio, Valeria era ancora seduta alla sua scrivania curva su dei grossi faldoni, una matita tra le labbra carnose. Vincenzo provò a distogliere lo sguardo, avvisandola distrattamente che stava salendo in foresteria. A metà scalinata, tra sé e sé commentò "Certo ca si proprie nu strunz…" e scese di nuovo.
"Dimenticato qualcosa?" domandò la forestale, vedendolo tornare indietro. "No" rispose il commissario, appoggiandosi alla scrivania della giovane "ma sono stato un buzzurro, non ti ho neanche chiesto come è stata questa prima giornata da comandante de facto"
Valeria sorrise sommessamente. Questo Vincenzo imbranato, ma finalmente più deciso, le piaceva da morire. Ma non glielo avrebbe mai detto apertamente:  non voleva mettergli addosso né ansia da prestazione, né dargli troppa importanza; tirare la corda, senza spezzarla, era il gioco più difficile ma anche più eccitante.
"Ho già sostituito Francesco in altre occasioni" Vincenzo lo sapeva bene, ma sapevano entrambi altrettanto bene che questa conversazione era solo un modo per attaccare bottone "ma non venire da me se c'è qualche omicidio, non mi piace giocare a fare Sherlock Holmes e John Watson, non sono capace come il mio capo"
In quel momento, suonò il telefono ad entrambi. Sul gruppo whatsapp Quella Banda di Pazzi Emma aveva appena mandato un selfie di lei e Francesco con Positano sullo sfondo, con Arrivati a destinazione come didascalia. Francesco sorrideva ed Emma faceva una linguaccia, tipico.
Sorrisero entrambi, mentre rispondevano. Erano sinceramente felici per i loro amici, se lo meritavano dopo tutto quello che avevano passato. L'ultima tegola erano stati i nonni di Leonardo, che li avevano lasciati in sospeso: né un sì, né un no assoluto. Ma Francesco aveva detto a Vincenzo che era determinato a non farsi rovinare quella settimana che da tanto voleva trascorrere con Emma. Oltrepassato il cartello di benvenuto della città, si era ripromesso, avrebbe obbligato sé stesso e sua moglie, a buttarsi tutto alle spalle per qualche giorno.
"Che matti!" commentò Valeria, mettendo via il telefono. "Lo siamo un po' tutti, non ti pare?!" giudicò Vincenzo "altrimenti non saremmo diventati amici". Valeria annuì. Certo, sperava che, proprio come i loro amici, anche per loro presto si sarebbe parlato di qualcosa di più che una splendida ma semplice amicizia.
"Ascolta…" attaccò l'uomo, giocherellando con un ferma carte della scrivania, lo sguardo ben lontano dai grandi occhi nocciola della sua coinquilina. Valeria, notato il suo disagio, interruppe il suo lavoro, sporgendosi verso Vincenzo a braccia conserte sulla scrivania, tanto per provocarlo ulteriormente. Lei si divertiva e a lui, in fondo stava bene così: era come giocare al gatto e al topo. "... ehm...venerdì sera della prossima settimana…non prendere impegni…ci prendiamo quella famosa serata libera e andiamo a cena fuori…"
Vincenzo non ce la faceva ad usare parole che richiamassero un appuntamento o un'uscita romantica a due, perché non era da loro. Anche usare questa sorta di plurale nei suoi pensieri suonava strano. Bello, senz'altro, ma strano.
"E con Mela? Come si fa?" Valeria fece esattamente come lui e non rispose direttamente "Isabella incomincia a lavorare da questo weekend"
A volte sembravano una coppia già navigata, con le stesse dinamiche di chi vive insieme da tempo. La convivenza, seppur in stanze separate, aveva abbattuto l'incertezza che si ha costruendo da zero una propria quotidianità e un ritmo a due.
"Ho trovato una baby sitter" dichiarò Vincenzo, soddisfatto e orgoglioso del suo atto di eroismo. Valeria lo guardò, titubante; non ci avrebbe mai creduto. "Emma" confessò, ammiccante "lo sai, si era offerta e ho accettato. Allora, che mi dici?!" "Mmm … non lo so … e dov'è che mi porti?" "Al Sexta Hora"
Valeria sentì le sue guance avvamparsi, così come il resto del corpo. Si era immaginata quell'appuntamento diverse volte, ma nei suoi sogni più rosei si trattava di wurstel e crauti in una Birreria o al massimo di qualche buschenschanck, con il contadino di turno che offre il suo vino, il suo speck e una zuppa d'orzo; di certo non in un ristorante gourmet all'interno di un hotel 4 stelle Superior. Vestiti eleganti, lume di candela, sommelier…era troppo anche per la sua fervida immaginazione.
Si alzò, portandosi di fronte a Vincenzo. Gli posò le braccia sulle spalle. L'uomo, conscio dei colleghi che gli stavano intorno e li avrebbero di sicuro visti, sembrò irrigidirsi in un primo momento, eppure le sue mani corsero meccanicamente alla vita di lei. Erano così vicini che lei sentì avvolgersi dalle note intense e mediterranee del dopobarba che Vincenzo usava. Erano così vicini che lui poteva scorgere quel neo impercettibile sotto il labbro inferiore che il fondotinta copriva.
"Vedrò di fare uno sforzo e liberarmi…ho un'agenda così piena…" disse, sarcastica. Distratto dall'ironia che adorava, Vincenzo era così impegnato a ridere che a malapena si accorse che Valeria aveva eliminato la già esigua distanza tra loro. Si ritrovò le labbra di lei sulle sue, morbide, carnose, leggermente inumidite per l'abitudine di Valeria di passarci sopra la lingua quando si preparava a qualche battuta delle sue.
Così d'istinto l'aveva baciato, che altrettanto velocemente si ritirò. A Vincenzo non rimase che trattenere il sapore di quelle labbra sulle sue. Si guardò intorno, timorosamente, e per la prima volta sembrò che in quel commissariato nessuno fosse interessato a sapere della tresca tra il Commissario e la Sovrintendente Capo della Forestale; la loro fortuna, forse, era che Huber non fosse di turno quel pomeriggio.
"Vado a memoria … ma mi pare di ricordare che ci si baciasse dopo un appuntamento, non prima" "Disse colui che vive già con la donna a cui ha chiesto di uscire ..."
Valeria tornò a sedere alla scrivania e allo studio degli alberi monumentali della zona, come se non fosse successo nulla. Era fatta così e a lui questa nonchalance, quella misurata follia, faceva impazzire. La lasciò lavorare, tornandosene in foresteria da sua figlia. Ma la sua testa, quella sì, era rimasta al piano di sotto e a quel bacio.
 
"Prego signori, questa è la vostra stanza, la 224"
Emma si fece strada tra le valigie che il facchino stava portando in stanza e suo marito, che si preparava a liquidarlo con la mancia di rito. Le faceva strano vederlo a suo agio in un ambiente di lusso come quello, ma aveva il sentore che c'entrassero gli usi e i costumi di Livia, molto comodi e poco essenziali.
L'avrebbero sentita, Valeria e Vincenzo, nonappena si fosse ripresa dal viaggio e dal lungo sonno ristoratore che già si stava prefigurando nel grande letto che troneggiava al centro della stanza. Una junior suite, roba da pazzi, ma quanto avevano speso?!
La stanza, enorme, era di un bianco immacolato con qualche inserto blu e dorato nello schienale del letto e nelle poltroncine dell'angolo soggiorno, passando per il runner del letto e i cuscini d'arredo. Il pavimento, in cotto e maioliche, illuminava la stanza con i motivi e i colori esplosivi della costiera amalfitana.
Emma posò il beauty case sul tavolino con specchiera appoggiato al muro, spegnendo l'aria condizionata che avevano acceso prima del loro arrivo. La temperatura esterna era gradevole e con la finestra aperta di sarebbe stati bene comunque. Quello che Emma si trovò davanti, una volta scostate le tende, fu al di fuori di ogni aspettativa. Il paradiso in terra, pensò Emma, uscendo sul piccolo terrazzo a loro disposizione. Un pergolato avvolto da bouganville rosa acceso si affacciava sulla spiaggia di Positano e sulle case colorate e vivaci del borgo. A completare quel quadro idilliaco, un tavolino in ferro per la colazione e due lettini prendisole.
"Che meraviglia!" esclamò Francesco, uscendo anche lui sul terrazzo, porgendole il cocktail analcolico di benvenuto che avevano trovato ad accoglierli in stanza. "Già….immagina la colazione seduti a questo tavolino o un aperitivo al tramonto."
"Giorgi, stai forse tradendo le nostre montagne con un resort di lusso?"
Emma si lasciò andare ad una risata, appoggiandosi di schiena alla ringhiera, la testa all'indietro e la chioma libera, leggermente scossa dal vento. Era bella la sua Emma, come non mai. Non era solamente il sole della costiera o i riflessi cristallini dei raggi sul mare, la gravidanza le aveva donato una sicurezza di sé e del suo corpo che non aveva mai avuto fino a quel momento. La sua luce interiore, che ha sempre illuminato la vita di chi le stava attorno, era diventata accecante.
"Naaah...ma una scappatella ogni tanto è ammessa. Poi con un mare così…"
"Perché… hai davvero intenzione di lasciare la stanza?" domandò Francesco, scurendo di proposito la sua voce, mentre le scioglieva la cinta ed apriva i primi due bottoni dell'abito a camicia che aveva indossato per il viaggio, lentamente "Io avevo tutt'altro in programma"
"Ho comprato 3 costumi nuovi, comandante Neri, gradirei usarli…""Ah beh, allora a maggior ragione…"
Emma prese il bicchiere dalle mani del marito e lo posò, assieme al suo sul tavolino di fianco a loro. Con le sue dita lunghe affusolate, gli sbottonò la camicia di lino fino a far scivolare le mani dalle spalle lungo la schiena, carezzandola quasi impercettibilmente "non credere di essere l'unico geloso qui, lo vedo come ti guardano le altre…"
"Ti amo…da morire" mormorò Francesco, mentre la baciava. Emma era andata all-in quando aveva deciso di operarsi, di rischiare il tutto per tutto sul tavolo operatorio, ma era esattamente per momenti come quello che ne era valsa la pena. Avrebbe potuto perdere, ne era consapevole, ma senza quel rischio non ci sarebbero stati mai lunghi viaggi per raggiungere il mare, passeggiate ad alta quota dove l'aria è rarefatta, notti quando anche fare l'amore ti toglie il respiro, la lunga e trepidante attesa di un figlio.
"Ti amo" replicò Emma, attardandosi anche lei sulle labbra del marito "ti amo da vivere".


 

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Non fermarsi mai alle apparenze ***


Capitolo 14 - Non fermarsi mai alle apparenze
 
 



Le giornate, sempre più calde e sempre più lunghe, permettevano alla gente di San Candido di passare molto tempo all'aperto, ti approfittare del verde brillante degli alberi e dell'azzurro limpido del cielo che in inverno, da quelle parti, era cosa rara. Francesco ed Emma non erano certo da meno.
"Così lo soffochi" contestò Francesco, ridacchiando, mentre la moglie, seduta sul dondolo nel giardino della casa famiglia, riempiva di abbracci e baci il piccolo Leonardo. "Ti soffoco?" domandò allora Emma al piccolino, ironica, il quale, non solo scosse il capo, ma per tutta risposta si tuffò letteralmente tra le braccia della giovane, per quanto la pancia di lei consentisse.
Lui era mancato a loro e loro a lui. Non se lo dicevano, ma era chiaro: Francesco ed Emma non aveva quasi neanche lasciato le valigie in palafitta per andare a salutarlo e lo sguardo del bambino si era illuminato di gioia a vederli entrare nel salone, correndo a perdifiato verso Francesco per salutarlo e saltargli addosso. Nelle ultime settimane, esclusa la vacanza, gli incontri erano stati meno regolari e più brevi, per far spazio ai genitori di Livia. E la cosa aveva fatto male a tutti e tre: a Leonardo, che non capiva, e ad Emma e Francesco, che capivano e sentivano ancora più forte il dolore per questa separazione. Se c'era una cosa che quella settimana di lontananza aveva fortificato nei coniugi Neri, era la certezza di voler fare le cose a modo proprio e non a modo degli altri: a fare di testa loro, magari avrebbero scontentato gli altri, ma sarebbe andato tutto bene. Francesco, in particolare, sentiva di non poter più rinunciare a quel fare famiglia che stava sperimentando: più ne aveva e più non poteva farne a meno. Con Emma, con Leonardo e con il piccolino che doveva arrivare.
"Non andate più via, vero?" domandò Leo, timoroso. "Perché dici così, piccolo?" chiese Francesco, inginocchiandosi di fronte a loro. "Perché io volevo giocare e voi non venivate mai". Emma invece era sicura che il piccolo avrebbe percepito la loro lontananza come un nuovo abbandono. Lo aveva ripetuto a Francesco fino a quando avevano caricato le valigie in auto.
Dopo che l'unica figura materna che aveva conosciuto si era volatilizzata ai suoi occhi, senza che potesse spiegargli nulla o lasciarlo andare poco alla volta, anche Francesco ed Emma sembravano fare la stessa cosa. Non importavano le rassicurazioni, le promesse di regali al ritorno o progetti per le settimane a venire, in Leonardo il sospetto e la paura di una nuova solitudine si erano  insinuati con grande rapidità. Complice anche l'arrivo di due estranei, due anziani signori che venivano da lontano, che lo guardavano strano, come se fosse la prima volta che vedevano un bambino in vita loro.
"Non sei stato da solo in questa settimana però, un uccellino mi ha detto hai avuto una buona compagnia…il signor Antonio e la signora Rosa sono venuti a giocare con te tutti i giorni" Francesco provò a mitigare l'opinione che aveva dei suoceri di fronte al piccolo, anche se gli costava fatica: Leonardo non c'entrava nulla con i malumori e gli screzi degli adulti. Al piccolo sembrava che gli volessero bene, Rosa e Antonio, proprio come Emma e Francesco, ma non li conosceva e non capiva cosa potessero volere da lui. Lui non aveva dei nonni, mamma Ingrid prima ed Emma poi gli avevano raccontato tante volte dei nonni delle favole, al punto che anche lui avrebbe voluto averne anche solo uno. Ma voleva più bene ad Emma e Francesco e non avrebbe mai fatto a cambio per un paio di nonni.
"La prossima volta mi portate con voi?" fu la richiesta del bimbo, che sembrò ignorare totalmente quello che Francesco gli aveva detto. Emma gli sistemò i capelli dietro l'orecchio, posando un bacio sulla testa; aveva decisamente bisogno di una sistemata a quella chioma. Quando lo aveva conosciuto li portava lunghi come Klaus, il figlio maggiore dei Moser, ora invece il bambino diceva che erano come i capelli di Francesco. "Lo sai che non dipende da noi" provò a spiegargli, rammaricata, usando la maggior delicatezza possibile "lo sai quanto vorremmo, ma non possiamo decidere da soli. Bisogna che la signora che si occupa di voi bimbi ci dia il permesso…"
"E allora perché Tobia è andato via?" ribatté lui, quasi avendosene a male per quel diniego di Emma che lui non poteva capire. Tobia era uno dei bimbi della casa famiglia che più aveva legato con Emma e Francesco e lui aveva accolto Leonardo come fosse stato suo fratello maggiore. Erano stati tutti increduli ma felicissimi quando avevano annunciato la sua adozione: a 10 anni, neanche lui ci sperava più che qualcuno lo volesse. "Amore, Tobia è andato via perché ha trovato una mamma e un papà ed è andato in una casa nuova." "E io? Quando ce li ho io una mamma e un papà?"
Francesco ed Emma speravano di dover affrontare quel discorso il più tardi possibile, possibilmente non da soli. In quei mesi avevano affrontato l'argomento con il personale della casa-famiglia e con gli psicologi che li stavano aiutando ad inserirsi nel percorso di affidamento e tutti erano dell'avviso che dovesse essere affrontato nella maniera più naturale … naturale, fosse facile … possibile, senza nascondere nulla. Leonardo sapeva di non essere come tutti gli altri bimbi, che non aveva una mamma e un papà veri. Sapeva anche che quelli che aveva chiamato mamma e papà per un po', Ingrid e Bruno, non li avrebbe visti più, perché erano stati cattivi ed erano stati messi in punizione: questa era la versione più facile per un bimbo di quell'età. Ma per due persone adulte, non era semplice adattare il proprio pensiero e la propria versione del mondo.
"Presto, spero" fece Emma, telegrafica, con un nodo in gola, girando lo sguardo per non fargli vedere le lacrime che pretendevano di uscire. Francesco le sfiorò la guancia con un dito, mentre stringeva gli occhi per trattenerle dentro. Non potevano spiegargli che volevano esserlo loro, che già si sentivano suoi genitori senza che la legge lo riconoscesse. Avesse avuto un vocabolario più ampio, forse anche il piccolo avrebbe espresso le sue stesse intenzioni, lei lo sentiva nel calore di quell'abbraccio che la pensava come loro, nella dolcezza di quella piccola bocca che le baciava la guancia, di quegli occhioni teneri e vispi che la guardavano dritta fin dentro l'anima quando gli parlava.
"Antonio e Rosa me lo hanno promesso" "Cosa?" intervenne il forestale, la voce spezzata quasi dallo sconcerto. "Che anche io posso fare una vacanza…mi hanno detto che posso andare da loro"
Francesco, livido in volto, guardò Emma, altrettanto scioccata dalle parole del bambino. A nulla erano servite le parole, le suppliche e le promesse di Rosa. Antonio non aveva ceduto e aveva avuto la meglio. Ma se c'era una cosa che più lo mandava in bestia, era che, a differenza loro, si era esposto a tal punto di fronte a Leonardo, incurante della discrezione che gli operatori avevano raccomandato.
Era come se li stesse sfidando, ma non aveva idea di chi avesse di fronte. Non avrebbero mollato neanche un attimo e i guanti bianchi, stavolta, li avrebbero lasciati a casa.
Il forestale si allontanò dall'altalena, scuro in volto, prendendo il telefono dalla tasca dei pantaloni. Emma lo vide e, allarmata, provò a fermarlo, nel vano tentativo di farlo ragionare e frenare la sua solita avventatezza. Poteva esserci un'altra spiegazione, ma Francesco la scacciò quasi bruscamente, mentre cercava il numero sulla rubrica. Richiamata da Leonardo, tentò di distrarre il piccolo dal comportamento burbero del marito, aprendo con lui i regali che aveva portato dal viaggio.
"Pronto Francesco caro" rispose Rosa, docile ed affabile come suo solito. "Risparmiati le smancerie Rosa" quasi sputò Francesco, furente "non vi preoccupateci parlo io… e poi siete pronti a pugnalarci alle spalle"
"Fermo fermo fermo, Francesco. Di cosa stai parlando?" lo frenò la donna, incerta e spiazzata dall'aggressività del genero. Sapeva dei suoi momenti, ma pensava che con il tempo avesse imparato a gestirli. "Come di cosa parlo? Di Leonardo" "Ma Leonardo è un bambino…abbiamo parlato di tante cose con lui, chissà cosa ha capito!" "Leonardo sarà anche un solo un bambino, ma non è stupido e non è un bugiardo. E se dice che gli avete detto che può venire da voi, io gli credo. E ora prova a dirmi che non è vero."
"No" sospirò "no, è vero" "Come vi siete permessi? E come potete pensare di dare per scontato che verrà da voi? Dovrete sudare sangue per ottenere l'affido, perché io…noi… non lo lasciamo andare così facilmente. Fa parte della mia famiglia" era un treno in corsa, ormai senza freno.
"Francesco aspetta. Ti prego fammi parlare" provò la donna ad interromperlo, alzando la voce. Francesco si fermò; non tanto per lasciar parlare Rosa, ma perché, girandosi, aveva notato l'espressione corrucciata di Emma. Stava offrendo uno spettacolo indecoroso di sé, che si era promesso di non farle più vedere. "È vero, gli abbiamo detto quelle parole, ma non è tutto. Gli abbiamo anche detto che sarete voi a portarlo da noi a trovarci" "E questo cosa significa?" "Significa che mio marito ha accettato di fare un passo indietro. Non chiederemo più l'affido di Leonardo…ma accettiamo volentieri di essere i suoi nonni, se lo volete ancora"
"Mi stai prendendo in giro… " sorrise nervosamente Francesco, sprezzante. "Non lo farei mai. Quello che pensavo di voi il giorno che ci avete invitato a pranzo lo penso ancora. Voi siete la sua famiglia quanto noi."
Francesco chiuse la telefonata sussurrando una fila di grazie ancora increduli, tra il trasognato e l'incredulo. Si avvicinò ad Emma a passi lenti e lei lo osservava avvicinarsi, ancora inquieta per il suo stato e la scenata che aveva fatto.
"Leonardo" disse l'uomo "corri dentro a fare merenda. Noi ti raggiungiamo subito"
Emma si alzò, raggiungendo suo marito poco più avanti. Con la pancia che cresceva, ormai la sua mano riposava sempre più di frequente, in maniera del tutto involontaria, sul ventre.
"Che succede?" domandò, trattenendo il fiato. "È tutto finito" quelle parole pesavano come macigni, ma erano accompagnate da un sorriso ed Emma non poté che rimanere titubante, aspettando che si spiegasse. "Rosa e Antonio non vogliono più l'affido di Leo"
"Ce l'abbiamo fatta?!" domandò Emma, cauta; portò le mani davanti alla bocca, senza parole, eppure quel barlume di speranza che si accendeva già nei suoi occhi era ben visibile. "Ce l'abbiamo fatta" le confermò il marito, sollevato. Lei annuì, sospirando, a voler confermare a sé stessa che era tutto vero. Si gettò tra le braccia del marito, come tante volte aveva fatto, di peso, come fosse un materasso su cui distendersi dopo una lunga e faticosa giornata, come il bagno rilassante che ti accoglie in una serata fredda, come la coperta di piume che ti riscalda d'inverno. Francesco, abbracciandola, chiuse gli occhi, aspirando il suo profumo di vaniglia, l'odore delle lunghe notti sotto i piumoni, delle calde sere d'estate sotto le stelle, dei bagni a Positano al tramonto, mentre il sole si tuffava nel mare assieme a loro.
Casa. Famiglia.
 
"Ooooh finalmente riusciamo a rivederci!" esclamò Valeria, correndo ad abbracciare la sua amica. Il ritorno alla realtà, alla vita quotidiana e al lavoro, era stato più traumatico di quanto preventivato. Non solo per la nostalgia di quei giorni magici in costiera, degli aperitivi in terrazza e delle passeggiate romantiche nel borgo a sera, ma perché la sorpresa che Rosa e Antonio avevano fatto loro aveva finito per scombussolare ancora di più le loro vite. Francesco aveva deciso di premere l'acceleratore sui lavori al maso e provare ancora di più a forzare la mano agli assistenti sociali, quantomeno per ottenere, come primo passo, un affido giornaliero; per una volta le cose sembravano andare tutte per il verso giusto: presto Leonardo avrebbe passato con loro la gran parte della giornata, portandolo in casa-famiglia solo per dormire, a sera.
"Sei uno splendore" si complimentò la forestale, facendo fare una leggera piroetta ad Emma. Il suo leggero abito arancione a pois esaltava ulteriormente l'abbronzatura che aveva ancora addosso "A  differenza di tuo marito … mio Dio ma è arancione, fa pendant con il tuo vestito!!!"
Valeria non provò nemmeno ad abbassare il volume della sua voce: era fermamente convinta che qualcuno dovesse dirglielo. E se Emma non lo avesse fatto - perché Emma non era capace di trovargli neanche un difetto - lo avrebbe fatto lei.
"Farò finta di non avere sentito" rispose il forestale "ti ricordo solo che sei in divisa, Ferrante, e stai parlando di un tuo superiore" "Ho appena staccato dal turno" rispose per le rime Valeria "e sto parlando in veste di vostra testimone di nozze. Io non farei tanto il sostenuto"
"Mmmmm … tanto lo so che vi siete messe d'accordo. Come se non sapessi che voi due messaggiate tutto il giorno. Se non ti conoscessi meglio, Valeria, inizierei ad essere geloso"
"Uuh … quante storie" sbuffò la giovane forestale "per due messaggini …"
Emma adorava le loro schermaglie, la leggerezza che Valeria metteva in tutto quello che faceva. Anche lei ci provava, ma c'erano stati momenti nella sua vita in cui la vita non ci stava proprio a sorridere con lei. Non era un caso se il loro legame era diventato così forte in così poco tempo.
Mentre Valeria invitava Emma a salire con lei in foresteria per preparare la piccola Mela a passare la serata con gli zii, Vincenzo si affacciò dalla porta dell'ufficio "Mi raccomando Emma" dichiarò, facendo un occhiolino poco discreto "presentabile sì, irriconoscibile no!"
Valeria volse gli occhi al cielo "Con tutto il rispetto, ma sei l'ultima persona da cui accetto consigli di moda" "Ehi!!!" protestò Emma, riprendendo a salire le scale. "Vorresti per caso dire che non sono io la responsabile del tuo intero guardaroba dal giorno del matrimonio fino ad oggi?!" Effettivamente, era così: da quando si era sposata, abito nuziale compreso, tutte le sue sessioni di shopping, per quanto rare, avevano visto Valeria al suo fianco.
Valeria, però, non aveva fatto i conti con l'ansia prima di un appuntamento. Cosa poteva saperne lei, che incontrava i suoi spasimanti, spesso neanche fugaci flirt ma veri e propri compagni di una notte, al bancone di un bar. Con tutte queste romanticherie lei aveva poco da spartire eppure aveva scoperto che, con Vincenzo, non le dispiacevano più di tanto. Voleva fare le cose per bene e stava andando nel pallone.
Dopo due ore dall'arrivo di Emma erano ancora barricate in camera, Valeria in slip e reggiseno ed Emma seduta con le gambe incrociate sul letto, il guardaroba dell'amica sparso alla rinfusa attorno a lei. Aveva provato ogni combinazione, le rimanevano solo la divisa da parata e la tuta da neve. Le scarpe, a terra, erano finite anche sotto il letto per colpa di Isabella. La poverina, infatti, per andare a lavoro, si era dovuta preparare in mezzo a quel marasma ed aveva finito col calciare via i sandali e le decolleté su cui, accidentalmente, aveva inciampato.
Emma, impegnata a tenere i dentini e soprattutto la saliva di Mela lontana dai vestiti papabili per la serata, se la rideva sotto i baffi. Era certa che Valeria nascondesse un cuore di panna sotto quella scorza dura che mostrava sempre, ma non avrebbe mai immaginato di assistere ad uno spettacolo di simile ansia e trepidazione.
"È raro che io lo dica a qualcuno che non sia mio marito … ma ti devi calmare, Vale! Così non andiamo da nessuna parte!" "Ecco … lo sapevo che non dovevo darti ragione … non ho niente da mettermi!" "Non dire stupidaggini, potresti aprire un outlet con tutti questi vestiti, le scarpe e le borse …" "Ma non c'è niente che vada bene per stasera!" "Stai uscendo con Vincenzo, santo cielo, non con un principe d'Inghilterra!" "E questo cosa significa?" "Significa che ti conosce già, sa chi sei e ti ha vista girare in casa con il pigiama appena sveglia … e conoscendoti probabilmente anche con l'accappatoio dopo la doccia, non hai bisogno di dimostrare alcunché"
"Ehm veramente" disse Valeria girata verso il cassettone, fingendo di cercare qualcosa tra la biancheria di Isabella "mi ha vista anche nuda …" "Che cosa?" Emma quasi si strozzò mentre beveva un sorso d'acqua. "È successo un sacco di tempo fa …" iniziò  a blaterare, sulla difensiva, confusa e agitata, quasi avesse bisogno di scusarsi per qualcosa "… lui era incasinato per Eva, mia sorella era morta da poco e…in qualche modo…ci siamo trovati e consolati. Ma è successo una sola volta, giuro"
"Ehi, tranquilla" la rassicurò Emma, alzandosi dal letto e correndo di fronte a lei. La differenza di altezza tra le due era visibile ad occhio nudo, Emma con le sue gambe lunghe la superava di almeno un paio di spanne, eppure Valeria in quel momento sembrava ancora più piccola "non ti devi giustificare con me. Anzi…non hai di fronte una santarellina e lo sai… a maggior ragione non devi farti problemi. Se ti ha invitata ad uscire, non è certo per il tuo look. Scegli qualcosa in cui ti senti stessa, solo un po' più elegante e il gioco è fatto. Me lo hai insegnato tu, no?!"
Valeria asciugò una lacrima che le aveva rigato il volto senza che neanche se ne fosse accorta. Non era triste, doveva essere una bella serata, il coronamento di mesi e mesi di pazienza e di dubbi su mesi di vita insieme senza mai dirsi veramente le cose come stavano. Si stava andando al dunque ma era terrorizzata.
"Cosa sono queste lacrime, Vale?! Devi essere contenta … pensa a me che il primo appuntamento con mio marito è stato praticamente il giorno del nostro matrimonio" Emma tentò di scuoterla un po', facendole l'occhiolino. Valeria scoppiò a ridere, tirando su col naso, gli occhi ancora arrossati e umidi. Le voleva bene Valeria, e ringraziava il cielo ogni giorno per averle inviato un'amica come Emma, che ne aveva passate tante, troppe, eppure non aveva mai perso il sorriso e sapeva sempre come far sorridere gli altri.
 
"Avvolgi la parte larga intorno alla parte stretta in modo che torni sulla sinistra. Appresso riporta la parte più larga sulla parte più stretta in modo da averla sulla destra. Fai passare la parte più larga verso l'alto sotto la cravatta e ppo' dentro a quella specie di anello ci fai scivolare dentro la parte più larga…" Vincenzo ripeteva davanti allo specchio in bagno le stesse parole che suo padre gli aveva detto quando gli aveva insegnato a farsi da solo il nodo della cravatta. Poliziotto come lui - tradizione di famiglia per i Nappi - non concepiva e non tollerava gli uomini che non indossavano la cravatta con il vestito buono nelle occasioni importanti. E, sotto il peso e il giudizio di suo padre, che sentiva ogni giorno con lui, ancora, dopo 15 anni dalla sua scomparsa, non aveva mai avuto il coraggio di interrompere quell'abitudine. Avrebbe voluto essere un po' più come Francesco, il suo amico: meno ingessato, meno formale, più capace di prendere le cose come vengono anziché seguire le regole e fare quello che gli altri si aspettano … quella cravatta, ad esempio, nonostante le istruzioni di suo padre, avrebbe voluto gettarla via e presentarsi in jeans e camicia, così come era salito in camera dal lavoro quel pomeriggio, prendere Valeria ed andare a mangiare una pizza insieme con la piccola Mela. Ma voleva darle di più, se lo meritava. Valeria aveva messo in pausa la sua vita per dare la priorità ad Isabella, rimasta senza mamma, a Mela, nella stessa situazione … e anche a lui.  E poi, pensò, a  quale donna non piacerebbe essere principesse per una sera?!  Forse Vincenzo non era un guru delle relazioni sentimentali di successo e durature, ma aveva portato a cena fuori così tante donne che ormai avrebbe potuto redigere un prontuario sul primo appuntamento. Non era quello il momento per fare confronti, ma nella sua esperienza bastava davvero poco per colpire nel segno. "E poi è di Valeria che stiamo parlando … iamme su, Vince'" si incoraggiò l'uomo, mentre sistemava gli ultimi dettagli: cravatta finalmente annodata, profumo, orologio classico al polso. Mentre sistemava i capelli bussarono alla porta della sua stanza.
Emma, pancione, bimba in braccio e borsone del cambio a tracolla, era il ritratto della maternità. Era, a tutti gli effetti, una sorella ad honorem, e non poteva che essere grato per tutto quello che la vita le stava restituendo, dopo aver preteso da lei così tanto e in così breve tempo. Vederla così raggiante gli faceva comprendere i sorrisi del forestale che a volte restava incantato davanti al telefono, seduto alla sua scrivania; come dargli torto.
"Valeria è quasi pronta" gli disse, porgendogli la piccola Mela per un saluto "noi andiamo"
Mentre Vincenzo si spupazzava la sua piccolina, vide Francesco entrare nel salone della foresteria per prendere il passeggino e sfilare la borsa di dosso ad Emma. "Mi raccomando Emma … mi fido solo di te" disse l'uomo, affidandole la bambina. Non era la prima volta che lasciava Mela, ma l'ultima volta, con Valeria, la bimba era finita in ospedale con un braccio rotto dopo una caduta dal fasciatoio, quindi non voleva rischiare. E poi, conosceva Francesco ed Emma e quanto facilmente Mela diventasse malleabile con loro. Sì, Mela andava in brodo di giuggiole ogni volta che gli zii erano nei paraggi. E Vincenzo rosicava.
"Guarda che ti ho sentito!!!" urlò Francesco, già sul pianerottolo "ricordiamocelo chi ti ha insegnato a cambiare il pannolino a Mela, ogni tanto..."
"Niente schifezze per cena e a letto presto" "Vincenzo … ha 15 mesi, non 15 anni, stai tranquillo. Ciao papone!!!" Emma, che cercò maldestramente di non ridergli in faccia, prese il braccino di Mela e, imitando una vocina infantile, si congedò dal commissario. L'uomo, mandando un bacio alla sua bambina, rimase solo sull'uscio della sua stanza. Si schiarì la gola, forse sperando che Valeria lo recepisse forte e chiaro, dalla sua stanza, come segnale per avvisarla che erano finalmente rimasti soli.
Si avviò verso la zona giorno, dandosi da fare, sovrappensiero, a radunare i giochi di Mela che erano rimasti in giro o a mettere a posto cuscini e altre suppellettili che erano già perfettamente in ordine. In ultimo, passò persino in rivista i ripiani e le mensole con l'indice, in cerca di polvere.
Di Valeria, però, ancora nessuna traccia. Le donne sono così, amano farsi aspettare. L'attesa aumenta il desiderio, aveva letto da qualche parte. Ma lui, in realtà, non è che ci credesse poi così tanto … aveva desiderato Eva, così tanto che era andato contro ogni razionalità e buon senso da lui costantemente professati: puf! Classico fuoco di paglia. Anche Valeria glielo aveva detto una volta: come coppia non erano assolutamente credibili. Ora, dismessi gli occhiali tinti di rosa che gli facevano vedere tutto più bello e facile, lo vedeva anche lui.
Con Valeria, invece, tutto era diverso: lei per lui era stata un colpo di testa inizialmente, la sbandata di una notte difficile e dolorosa, la voglia di affogare i propri malumori e i cattivi pensieri in qualcosa di forte e bello … una corsa in moto avrebbe avuto lo stesso effetto, ma lui non sapeva guidarla ed erano soli insieme … eppure non era finita lì.
Da lì tutto, invece, era cominciato: non era desiderio. Era familiarità, tenerezza; erano "chiacchiere", fatte non per conoscersi o per ascoltarsi, bensì per trovarsi, per assicurarsi, attraverso gli occhi, che stavano bene, per restare insieme quando la vita aveva detto loro che non era ancora il momento giusto. Una certezza che, a suo modo, li faceva stare tranquilli. Erano divisi, ma erano esclusivi e fino ad allora era andato bene così. Alcune volte Vincenzo si era domandato che bisogno ci fosse di andare oltre, se loro stavano così bene anche senza proclami o certificati, come se servisse per forza dare una definizione a quello che sentiva dentro e sapeva essere anche nel cuore della giovane. Ma il trasferimento aveva rimesso tutto in discussione: non ci sarebbero state più le "chiacchiere", non ci sarebbero state più cene, colazioni, pranzi, momenti in cui dividere la propria vita con l'altro. Non ci sarebbero state più scuse o messe in scena per passare del tempo insieme. E lui non poteva privarsene.
"Pronta!" annunciò una voce alle sue spalle, il rumore della porta scorrevole della stanza di Valeria che si apriva e il ticchettio dei tacchi sul parquet ad annunciarla. Davanti a lui, Valeria era esattamente come se l'era immaginata, forte e sbarazzina, dolce e provocante allo stesso tempo. Senza la sua divisa verde d'ordinanza, senza gli abiti comodi da casa o i pratici jeans e giacchino di pelle non era abituato a vederla. Lo affascinava ed intimoriva allo stesso tempo. Era stato con donne più fatali di Valeria, eppure sentiva il peso di quella serata forte sulle sue spalle: la salivazione azzerata, le mani sudate, riusciva a malapena ad articolare una frase di senso compiuto. Non era nemmeno certo che stesse parlando in italiano o piuttosto in dialetto. Valeria sembrò seguirlo nel suo invito ad andare, quindi forse riusciva a capirlo. Si rincuorò.
Valeria, dal canto suo, si era imposta di non crearsi aspettative sulla serata, eppure si era fatta così tanti film che era inevitabile rimanerci male ogni qual volta ogni punto non veniva rispettato. Niente fiori, niente complimenti. Non doveva aspettarsi nulla, perché avrebbe dovuto, doveva essere una serata tranquilla, eppure più le sue speranze erano disattese più le sue aspettative crescevano.
Il locale era assolutamente perfetto: tavoli da due, luce soffusa, lume di candela, camerieri in alta uniforme che trattano i clienti come fossero tutti, indistintamente, recensori della Guida Michelin. Eppure…
Eppure per tutta la sera entrambi ebbero la sensazione che qualcosa non andasse. Dov'era finita la loro naturalezza, dov'era finito il loro piacevole stare insieme per ore come se fossero passati solo pochi minuti?!
Quando erano saliti in auto le poche frasi che si erano scambiati non avevano spaventato nessuno dei due: erano agitati, lo sapevano, ma speravano e credevano che sarebbe bastato un brindisi per rompere il ghiaccio dell'imbarazzo che li raggelava; a nulla era servita una bottiglia intera di Gewürztraminer del 2008 che costava quanto una spesa settimanale per la foresteria, la serata stentava a decollare. La loro conversazione, sempre accesa e divertente, sembrava ferma a banali commenti sulla sala, sul cibo, sul servizio, come due estranei che cercavano argomenti base da cui partire, non troppo imbarazzanti da rivelare cose compromettenti al primo appuntamento, ma abbastanza da fornire indizi sui gusti reciproci. Tuttavia, oltre che estranei, sembravano due novellini che non avevano mai saputo gestire una situazione simile. Valeria, che per anni aveva rimorchiato ragazzi con cui fare serata ora non era in grado di andare oltre a "questo filetto è divino". Vincenzo, che aveva gestito la pressione di uscite assieme alla donna più bella che avesse mai conosciuto, la madre di sua figlia, come fosse della ragazza della porta accanto, ora non riusciva a sentirsi libero di conversare amabilmente e semplicemente con la ragazza con cui passava serate intere a parlare di tutto e di niente con un bicchiere di birra e una busta di patatine.
"I signori gradiscono un dessert?" domandò il cameriere, una volta ritirati i piatti del secondo.
Vincenzo guardò Valeria, sperando che fosse lei a porre fine a quel supplizio. Per la prima volta in tutta la serata, i due sembrarono essere d'accordo. "No" rispose lei, sommessamente, neanche tentando di nascondere la sua delusione "ci porti il conto, abbiamo finito"
 
Il sonno dolce e profondo dei primi mesi di gravidanza era qualcosa che aveva iniziato ad essere solo un ricordo per Emma; il peso della pancia, infatti, la pressione del piccolo corpicino dentro di lei sugli organi, iniziava già a rovinare, di tanto in tanto, a seconda della posizione che lei o il bambino assumevano, il suo sonno. Per il momento, un cuscino sembrava bastare ad alleviare il fastidio, ma il caldo e l'umidità che si alzava dal lago facevano il resto.
Con il sonno leggero e recettivo non fu difficile per Emma essere svegliata di colpo dal tonfo di un pugno agitato che bussava alla porta di legno della palafitta: la vecchia casa sul lago, antica rimessa delle barche dei primi anni del secolo scorso, non era certo un concentrato di nano-tecnologie. A loro piaceva così, era bello a sera ritirarsi dal mondo e vivere lontani da tutto e tutti. Meno bello, era venire svegliati da pesanti colpi di ospiti inattesi alle prime luci del mattino. A tentoni, Emma prese il cellulare sul comodino, rimasto acceso dalla sera prima: erano le 6.03
"Francesco! … amore!" bisbigliò Emma, facendo attenzione a non svegliare la piccola Mela, profondamente addormentata nel lettino da campeggio che avevano preparato per l'occasione. Era una soluzione di ripiego, ma la piccola si adattava facilmente e, addormentata tra le braccia dello zio, neanche se ne era accorta quando le avevano rimboccato il lenzuolino. "Amore!" Francesco rispose con un verso, probabilmente non era ancora nemmeno in grado di dire dove si trovasse. I colpi diventavano sempre più insistenti e il cellulare di Francesco cominciò a vibrare nella tasca della sua giacca, appesa all'attaccapanni. "Che c'è?!" domandò l'uomo, finalmente destato dal torpore e voltandosi verso Emma. "Bussano alla porta, senti…e ora anche il tuo cellulare vibra"
Il forestale, fatta mente locale della situazione, balzò in fretta dal letto, correndo allarmato al telefono. Bofonchiato qualcosa di indistinto e messa una maglietta addosso, si diresse verso l'ingresso della cucina come una scheggia, per interrompere quel fracasso che li aveva fatti svegliare di soprassalto.
"Hai finito?" esclamò Francesco, deciso, lasciando Vincenzo con un pugno in aria, pronto per ricominciare a bussare. "Neanche buongiorno mi dici?" "Buongiorno un corno, hai visto l'ora?!"
Francesco si spostò lungo la passerella, per allontanare il più possibile il vociare dalla casa.
"Sarei venuto a prendere mia figlia…." "Appunto…ti pare che tua figlia sia sveglia alle 6?" "France' per piacere non è giornata" gli disse il commissario, facendosi largo per poter andare verso la casa.
"Dove pensi di andare? Emma e Mela dormono … ti dai una calmata e mi racconti che è successo, per cortesia?"
La sera precedente doveva essere successo qualcosa, non c'era altra spiegazione.
"Ho bisogno di stare lontano dalla foresteria" disse il commissario "ho bisogno che Carmela mi tenga occupato." "Valeria?" Vincenzo annuì. "Che è successo?" "Niente, France', non è successo proprio niente" "E allora?"
Vincenzo guardò l'amico, afflitto, appoggiandosi al parapetto della passerella; spostò lo sguardo verso la chiesetta in lontananza e provando a scorgere, tra le conifere, il commissariato e la foresteria. Adorava il panorama che la palafitta offriva, permettendo di vedere la realtà da un'altra prospettiva. Lontana, distaccata. Era proprio quello di cui aveva bisogno in quel momento.
"È questo il punto … è stato un disastro … io .." "Aspetta" lo fermò il forestale "metto le scarpe e andiamo a fare una passeggiata, l'aria del bosco aiuterà a schiarire le idee"
"Che succede" domandò Emma, ancora allungata, vedendo il marito rientrare ed infilarsi un paio di scarpette da ginnastica e la felpa smanicata che usava per fare jogging.
"Niente, amore, è Vincenzo....è per una cosa di lavoro" spiegò, sottovoce, sedendosi sul letto, di fianco a sua moglie che si era portata sul lato dove dormiva Francesco. "Chissà perché non ti credo…" disse, tirandosi a sedere. "Perché dire deve essere successo qualcosa con Valeria, ma non so cosa ti metterebbe in allarme ed è ancora troppo presto per darti la prima preoccupazione della giornata" sorrise, accarezzandole il viso con il dorso della mano. "Ecco … così va meglio …" commentò, sorniona e ancora un po' assonata, abbracciandolo "vai, però poi mi dici tutto …" "Non ci pensare … è un mio amico!" "Anche mio" ribatté lei, provando a dare un tono energico nonostante bisbigliasse ancora per non svegliare la piccola "io vi preparo la colazione, tanto ormai il sonno è bello che andato grazie al tuo amico. E poi vediamo se non parlate …"
Francesco le baciò quell'angolino nascosto dietro l'orecchio, poco più su della nuca e poco sopra l'attaccatura dei capelli, dove ormai i capelli erano ricresciuti folti e l'unica traccia dell'intervento era ormai quasi invisibile. Raggiunse l'amico che già lo aspettava sotto il piccolo portico all'ingresso, invitandolo, con una pacca sulla spalla, a seguirlo sulla strada che conduce al sentiero attraverso il bosco.

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Settimo mese o ad un passo dal cielo (parte 1) ***


Capitolo 15 - Settimo mese o ad un passo dal cielo (parte 1)
 
 


La caserma della Forestale e il commissariato erano attivi ma letargici quando Vincenzo era tornato dalla palafitta. Era sabato mattina e avrebbe potuto permettersi di prendersela con calma, né lui né Francesco erano attesi a lavoro, né c'era particolare apprensione nelle attività lavorative … qualche pratica burocratica, i primi scatoloni degli archivi da preparare per il trasloco nel nuovo commissariato: nulla che non potesse essere sbrigato senza la supervisione dei capi.
Vincenzo rientro in casa con la piccola Carmela con fare guardingo, impensierito dall'idea di incrociare Valeria. Avevano già bisticciato in passato, ma una serata così, di silenzio e imbarazzo, non era mai capitata prima e non era preparato a gestirla. Avrebbe giocato volentieri con la figlia, non capitava spesso di avere molto tempo da passare insieme da soli, ma la piccola non sembrava gradire molto l'ingerenza del padre nei suoi giochi, quella mattina. Forse, pensò Vincenzo, gli stava facendo scontare l'essere stata svegliata per forza mentre lei ancora dormiva beata a casa degli zii.
"Stai tranquillo … è andata a fare trekking, non tornerà prima di questa sera" gli disse Isabella mentre, ancora in pigiama, alle 10 di mattina stava beatamente affondando il cucchiaio in un tazzone pieno di latte e cereali. Vincenzo aveva fatto l'abitudine, ormai, quando non c'era scuola, agli orari sballati degli adolescenti, ma quella mattina quella presenza lo indisponeva.
"Che è successo ieri sera?" domandò la ragazza, senza alcuna nota di giudizio nella voce "zia si è rigirata nel letto tutta la notte, non ha fatto chiudere occhio neanche a me"
"Nulla … non è successo nulla! State sempre lì ad impicciarvi …" borbottò Vincenzo, gesticolando nervosamente. Andò verso l'isola della cucina e svitò la caffettiera stizzito, facendo cadere caldaia e filtro nel lavandino, rumorosamente, e tutto il fondo del caffè si sparse nel lavello. "Mannaggi 'a mort!" imprecò.
"Va bene! Stai calmo! Fai conto che non ho detto nulla" si difese Isabella, mani in alto, vedendolo agitarsi "era solo per capire…meglio però se ti fai una camomilla invece di un caffè"
La ragazza si alzò da tavola, ancora masticando un ultimo boccone, mise velocemente a posto la tovaglietta, la bottiglia di latte ed il barattolo dei cereali ed annunciò che avrebbe concluso la colazione in camera, davanti alla tv.
"Scusa Isa, non ce l'ho con te, lo sai …" Isabella, però, non voleva saperne dei suoi patemi e si chiuse la porta della camera dietro le spalle.
In realtà Vincenzo non lo voleva nemmeno quel benedetto caffè, aveva solo bisogno di tenersi occupato. Né ce l'aveva con qualcuno in particolare, sentiva di dover sfogare la tensione che ancora aveva addosso. Non era neanche vero che tutti indagavano, perché se anche Francesco gli aveva posto la stessa domanda, era solo per via del suo comportamento anomalo. Lo ammetteva anche lui: stava facendo il pazzo. Quando erano andati a camminare nel sentiero, d'altronde, lo aveva lasciato parlare, ascoltandolo pazientemente, in silenzio, senza giudicare; aveva capito, del resto, che Vincenzo non aveva bisogno di consigli, perché era perfettamente in grado di capire da solo cosa era successo e perché: doveva solo prenderne coscienza.
Era incredibile quanto era cambiato Francesco - l'impulsivo, la testa calda - da quando lo aveva conosciuto; forse viveva solo un momento particolarmente sereno della sua vita, ma era innegabile che la presenza di Emma avesse tirato fuori parte migliore di lui. Non l'aveva cambiato, perché quelle qualità erano già presenti, di tanto in tanto Vincenzo le aveva viste: erano solo latenti, aspettavano solo che qualcuno sapesse come farle uscire.
"Non aspettarti consigli da me" gli aveva detto "non posso proprio darne io. Ti dico solo una cosa: fai quello che senti, non quello che gli altri si aspettano"
E cosa sentiva Vincenzo in quel momento? Non lo sapeva più.
Aveva creduto di voler bene a Valeria, ma tanto da provare a creare qualcosa insieme, tanto da rischiare una nuova relazione nonostante la bambina. Ora non ne era più così sicuro. Possibile che fosse solo riconoscenza, e la familiarità della convivenza gli avesse fatto prendere un abbaglio? Se i loro sentimenti fossero stati autentici, certo una serata diversa dal solito non avrebbe dovuto cambiare nulla. Ed invece era successo: quindi evidentemente, pensò l'uomo, le cose non stavano come pensavano loro.
Aveva bisogno di vederci chiaro, di capire. E certamente anche Valeria doveva farlo. Ma non potevano riuscirci rimanendo vicini di stanza, sedendo a tavola l'uno di fianco all'altro, condividendo tutto in casa, le stoviglie, la biancheria, l'aria che respiravano.
Vincenzo si convinse a prendere in mano la situazione per tutti e due come non era stato in grado di fare per oltre un anno. Aveva deciso. Doveva andare via.
 
Aver portato a casa Leonardo, seppur parzialmente, aveva sconvolto la routine quotidiana dei coniugi Neri. Ancor più che intrattenere la piccola Mela per qualche ora mentre Vincenzo e Valeria erano a cena fuori, Leonardo li aveva trasformati in genitori; pur non restando con loro per la notte, tutta la loro giornata era costruita attorno al piccolo: andare a prenderlo, gestire l'orario di lavoro per stare con lui, cucinare questo o quello separatamente per assecondare i suoi gusti. Leonardo dal canto suo era entusiasta, qualsiasi cosa Francesco ed Emma gli proponessero di fare: nulla lo annoiava, persino andare a fare la spesa insieme era una novità; con i Moser, infatti, aveva vissuto all'interno di una bolla, protetto - o piuttosto nascosto - da tutto e da tutti. Quando erano andati a prenderlo per la prima volta per passare la giornata insieme aveva passato tutto il tempo a chiedere se non fosse per caso già ora di tornare in casa-famiglia: non poteva crederci neanche lui che avrebbe passato, tutti i giorni, tanto tempo insieme con Emma e Francesco.
Quel giorno, un sabato di fine giugno, Emma andò a prenderlo un po' in ritardo e trovò il piccolo ad aspettarla, preoccupato che non andasse nessuno a prenderlo, nonostante avessero avvisato.
"Scommettiamo che mi faccio perdonare?" commentò Emma, facendogli l'occhiolino, mentre sistemava la cintura dell'auto attorno al bambino, seduto sull'alzatina.
Mentre guidava, di tanto in tanto Emma buttava l'occhio su Leonardo dallo specchietto retrovisore: la bocca leggermente aperta a formare una piccola o, quasi come le statuine degli angeli che vanno tanto di moda, guardava fuori da finestrino in mezzo agli alberi che sfilavano alti e dritti lungo il ciglio della strana e, man mano che si allontanavano dal paese, si infittivano. Di quei luoghi che avrebbero dovuto essergli familiari aveva conosciuto solo la comunità dove era nato e la fattoria dove era cresciuto. Solo con Emma e Francesco aveva passeggiato tra le vetrine in centro, si era tuffato nell'acqua caldissima della piscina comunale in pieno inverno, con la neve fitta che cadeva fuori ed era sceso giù per il crinale del monte Baranci con il bob su rotaia.
"Dove stiamo andando?" domandò il bambino. Emma, gli occhi fissi sulla strada, gli confessò che stavano andando a trovare Francesco in un posto molto speciale. "E poi faremo un picnic" "Cos'è un pic nic?" "Adesso vedrai…ci siamo quasi"
Arrivati a destinazione, Emma suonò il clacson dell'auto. Francesco, lanciato un martello dentro la cassetta degli attrezzi andò incontro all'auto, le braccia spalancate. "Finalmente sono arrivati i rinforzi" dichiarò "forza giovanotto!!! È ora di lavorare!!!"
Mentre Francesco aiutava Emma con il cesto da picnic, Leonardo tirò ripetutamente la camicia di Emma per attirare la sua attenzione. Senza dire una parola, indicò semplicemente un ragazzo che si stava avvicinando verso di loro. Voltatasi verso il punto indicato dal bambino, macchiato dalla testa ai piedi di vernice bianca, suo fratello Giulio provò ad avvicinarsi a lei per abbracciarla, scherzando; Emma, sghignazzando, sfuggì alla presa: "Giulio" esclamò "la vernice dovresti stenderla sulle pareti, non addosso a te!!!" "Io l'avevo detto a Francesco che non sono buono neanche a tenere in mano un pennello!!!" "Sciocchezze" lo corresse il cognato "tutti iniziano da zero, anche i migliori. Pensa che tua sorella quando è arrivata qui non era capace di fare neanche due uova strapazzate"
"Ah! A questo ci credo … tutte le volte che andavo a trovarla a Milano finivamo a mangiare in qualche ristorante o da zia"
"Ancora con questa storia basta!!!" protestò Emma, indignata "a questo punto lo sanno anche i muri del paese che non sapevo cucinare, ma ho imparato. E se non vi va bene, le frittelle di patate ce le mangiamo solo io e Leonardo" "No, no sia mai … io ho una fame da lupi" disse Giulio, alzando le mani in alto in segno di resa. Francesco, dal canto suo, si fece perdonare con un bacio.
Leonardo, timido come tutti i bimbi di fronte agli sconosciuti, andò a nascondersi dietro ad Emma. Giulio, inginocchiatosi, lo salutò. "E così tu sei il famoso Leonardo … finalmente ci conosciamo"
Leo, dopo un momento di iniziale incertezza, incoraggiato anche da Emma, si fece avanti "E tu chi sei?" domandò. "Sono Giulio, il fratello di Emma. Ma tu puoi chiamarmi zio Giulio, se vuoi". Perplesso, Leonardo alzò in alto lo sguardo, per cercare l'approvazione di Francesco. L'uomo ricambio con un occhiolino. Nei mesi che Giulio aveva trascorso a San Candido, il forestale aveva notato un cambiamento costante seppur lento e la volontà di rimettersi in carreggiata era evidente. Forse tra loro non c'era complicità, forse non ce ne sarebbe mai stata data l'enorme differenza d'età, ma gli bastava il rispetto e l'assicurazione che non avrebbe mai più recato danno alla sua famiglia. "Io mi chiamo Leo, zio Giulio" disse Leonardo, tendendo la mano per  un saluto. Giulio, emozionato, lo prese in braccio, portandolo a vedere i lavoretti che lui e Francesco stavano facendo. Riuscire a poter passare del tempo con la sua famiglia, fino a qualche mese fa, sembrava un prospetto impossibile. Era convinto, del resto, che da quel tunnel non sarebbe mai uscito, che sarebbe rimasto solo e, per giunta, che meritasse di essere allontanato da tutti.
Emma, sistemando la tovaglia sul prato, d'istinto provò a fermare il fratello che aveva imbrattato con le mani sporche la maglietta blu di Leonardo, ma Francesco la frenò. Il bambino e Giulio stavano bene e una maglietta, le disse, si cambia e si lava. "Vieni dai" la spronò a rilassarsi "ti faccio vedere dentro" "Chi sei tu e che ne hai fatto di mio marito?" domandò, ridendo. Anche Francesco sorrise con lei, scuotendo la testa. Amava quella spensieratezza che gli illuminava il viso.
Amava tutto di questo Francesco che, più passava il tempo e più veniva fuori. Le paranoie, le ansie, i timori sembravano essere solo un brutto sogno; eppure c'era stato un momento in cui erano reali per Francesco e gli impedivano di vivere e approfittare anche dei più piccoli piaceri della vita, come poteva essere un fine settimana in famiglia o un picnic su un prato. Emma non era sicura che ci si potesse innamorare di nuovo di una persona che già si ama profondamente, ma sentiva che era quello che stava succedendo.
Era dal giorno dopo la prima ecografia che Emma non metteva piede in quella che sarebbe stata la loro casa di lì a qualche mese; aveva visto il progetto dell'architetto e il rendering finale, Francesco le aveva fatto tante volte il resoconto dei lavori con le foto e i video e spesso l'aveva immaginata, ma vederla dal vivo era tutta un'altra cosa.
"È enorme" esclamò, appena messo piede nel corridoio d'ingresso "non sembra neanche più la stessa" "È solo perché mancano ancora i mobili" le spiegò il marito "ma hanno fatto un ottimo lavoro, questo sì"
Emma stentava a riconoscere le stesse stanze piccole e buie, in cui il legno dava la sensazione di schiacciare piuttosto che avvolgere: niente più intonaco cadente, infissi tarlati o le scale pericolanti; adesso era una casa accogliente e a loro misura che faceva venir voglia di abitarla prima di subito, anche senza mobili.
Sì, Emma Giorgi, colei che avrebbe fatto carte false per non lasciare la palafitta, ora voleva trasferirsi. Non lo avrebbe mai ammesso apertamente, ma lo pensava. Vivere con Leo ogni giorno, conoscere concretamente le esigenze di un bambino, cambiò totalmente la sua prospettiva, anche in funzione del bambino che sarebbe arrivato.
Salite le scale, i due trovarono Leonardo in compagnia di Giulio sul balcone che affacciava sul giardino anteriore, con il ragazzo impegnato a mostrare al piccolo di casa il panorama della valle sottostante, indicando il centro del paese, il campanile della Collegiata, l'ospedale dove sarebbe nato il bimbo di Emma e la scuola che lui avrebbe frequentato da lì a pochi mesi. Leonardo, interessato, non sembrò nemmeno accorgersi di Emma e Francesco alle sue spalle.
"Leo! Leo!" lo chiamò Francesco, invitandolo ad entrare in casa "c'è una cosa che dobbiamo chiederti. Tu lo sai cosa è questo posto?" Il bambino annuì, spiegando che lo zio Giulio glielo aveva detto. "E bravo zio Giulio!" commentò Emma: un giorno ci si sarebbe abituata a questa famiglia nata quasi all'improvviso, ma era ancora troppo presto.
"Bene! Allora adesso voglio che mi ascolti attentamente" iniziò Francesco, inginocchiandosi di fronte al bambino "Questa stanza sarà la camera mia e di Emma e poi ce ne sono altre 2. Voglio che ne scegli una." "Perché?" "Perché sarà la tua cameretta!" "Ma io ce l'ho già una cameretta" "Certo che ce l'hai" continuò l'uomo "ma tra qualche tempo, se saremo tutti bravi, potrai venire a stare con noi sempre, anche la sera" "E non torno più alla baita?"  Baita Speranza, questo era il nome della casa-famiglia, per tutti i piccoli ospiti era semplicemente la baita. "Mai più. Ma dobbiamo essere bravissimi. Allora, quale scegli?"
Leonardo uscì dalla stanza verso il corridoio, guardando le due camerette più piccole. Erano più o meno di egual misura con le pareti bianche, il soffitto rivestito di legno con le travi a vista; non c'era molto altro da vedere, spoglie com'erano, ma Leonardo sembrava così concentrato nel ponderare bene la scelta che ad Emma sembrò quasi che stesse avendo uno di quegli episodi di visioni che aveva Francesco. Ridacchiò al solo pensiero; il marito la scrutò, stranito, e lei accennò un "Niente!" sussurrato.
"Questa" decretò Leonardo, entrando nella stanza di fianco alla loro. "Ottima scelta" sentenziò Emma "però adesso a pranzo perché io e il mio coinquilino avremmo una certa fame".
Finito il pranzo, Leonardo era impegnato a giocare a calcio con il nuovo zio - tra loro era scattato un vero e proprio colpo di fulmine - Emma si era distesa sul prato, approfittando dell'ombra del grande castagno che troneggiava nel giardino, le gambe di Francesco per cuscino. Si sentiva in pace con sé e con il mondo, leggera e libera da ogni peso e preoccupazione. C'era stata solo un'altra occasione, fino a quel momento, in cui si era sentita veramente ad un passo dal cielo.

...continua...

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Settimo mese o ad un passo dal cielo (parte 2) ***


Capitolo 16 - Ad un passo dal cielo (parte 2)




 
 
"Sei ancora qui? Francesco sono le 9 e Vincenzo ti sta aspettando!" "Cinque minuti, che saranno mai! Mica posso andare a dormire con le galline…".
Dopo il campeggio in notturna alle Tre Cime di Lavaredo come addio al celibato, con buona pace di Vincenzo che ancora sentiva i polpacci pesanti dopo la lunga camminata di una settimana prima per raggiungere il rifugio, assieme a Francesco si erano accordati per un semplice giro di birre tra soli uomini la sera prima del grande evento. Valeria, invece sarebbe rimasta con Emma in palafitta. Non si conoscevano da molto, ma appena avevano avuto modo di passare un po' di tempo insieme tra le due era scoccata la scintilla e da allora erano diventate inseparabili. Due sorelle a tutti gli effetti.
"Non me la strapazzare troppo" fu l'ultima raccomandazione di Francesco, prima di lasciare Emma nelle grinfie di Valeria. "No, tranquillo, cercherò solo di farle cambiare idea" rispose la forestale, tirando fuori la lingua.
Emma non aveva voluto festeggiare in alcun modo la sua ultima serata da single. Non solo era ben conscia di non poter ancora strafare fisicamente, dovendo conservare le forze per la lunga giornata che la aspettava l'indomani, ma non aveva nulla da salutare della vita fino a quel momento: aspettava con ansia, ora che era libera finalmente dalla zavorra della malattia, di vivere la vita insieme all'uomo che amava.
Il mattino seguente, nonostante le tende tirate il più possibile, il risveglio di buon ora fu inevitabile. I passi veloci e insistenti sulle tavole di legno del terrazzo rimbombavano nella sua testa assieme al vociare animato, nonostante le raccomandazioni a far piano di una voce femminile che riconosceva essere di Valeria. Dopo essersi tirata su dal letto ed essere rimasta per qualche minuto ferma, come raccomandatole dal medico, Emma si alzò ed andò a scostare la tenda: oltre al sole accecante che per qualche miracolo aveva deciso di sovvertire ogni previsione meteo, si trovò davanti una decina di persone indaffarate a spostare fiori, teli, candele e qualsiasi altra cosa stessero usando per addobbare la terrazza. E lei li guardava, dalla finestra, in sottoveste e senza reggiseno. Che meraviglia! "Valeria!" urlò, tirando di nuovo la tenda, per coprirsi agli occhi degli operai.
"La sposina si è svegliata finalmente! Buongiorno!!!" esclamò l'amica, allegra come una bambina la mattina di Natale, entrando nella palafitta. In joggers e canotta, reggeva tra le mani uno scatolone con la scritta FRAGILE. "Vale mi spieghi chi è tutta questa gente fuori da casa mia?" "Fiorai e catering naturalmente" "Fiorai e catering?!" domandò Emma, perplessa. Valeria annuì. "Alle … 7 di mattina" puntualizzò Emma, accertandosi dell'ora dalla sveglia sul comodino di Francesco. Valeria annuì ancora "E siamo anche in ritardo considerevole. Alle 11.30 … 11.45 al massimo, se vogliamo che la sposa sia elegantemente in ritardo … devi fare il tuo ingresso in chiesa. E sei ancora in questo stato" "Mettiamo anche che quello che stai dicendo abbia un senso … ma mi spieghi esattamente cosa ci fanno sulla terrazza di casa mia, visto che mi sposo in chiesa?!" "Stanno preparando per il ricevimento, che domande, siete stati voi a volerlo fare qui" spiegò Valeria, come se Emma avesse posto la domanda più assurda del mondo "e devono finire prima che tu esca…non puoi mica uscire dallo stanzino delle scope?!"
Quando Emma aveva affidato a Valeria l'organizzazione delle nozze credeva di alleviare dalle sue spalle il peso di mille incontri con i fornitori e avere il consiglio di una ragazza con gusto nella scelta di cose che lei e Francesco non capivano e a cui, detto francamente, non interessavano. Ora si rendeva conto, tuttavia, di aver creato un vero e proprio mostro; il buon gusto c'era e rispecchiava le richieste di Emma rispetto a tema e colore, ma dire che si era fatta prendere un tantino la mano era un eufemismo. Emma sperava solo che a Francesco non venisse una sincope nel vedere la casa sul lago trasformata nel palazzo del re degli elfi.
"Ora per cortesia metti questa e fai colazione" le disse, posando a terra lo scatolone e passandole la vestaglia che era sulla poltrona. "Sul tavolo ci sono caffè e brioches" continuò la forestale "il caffè nel thermos dovrebbe essere ancora caldo. Poi fai una doccia che tra mezz'ora arrivano parrucchiera e truccatrice" "Comunque potevi avvertirmi almeno, non mi sarei fatta trovare così da degli estranei …" Valeria fece spallucce, tornando al suo lavoro. "Grazie eh, bell'inizio per la giornata più bella della mia vita…" Emma non ebbe la forza di farsi risentire oltre: del resto Valeria era nel novero di persone a cui non sarebbe stata mai in grado in rimproverare alcunché; l'altra l'avrebbe sposata quel giorno. Si versò del caffè e prese una brioches ma, anziché stare a guardare il via vai di gente sul terrazzo, uscì dalla porta del piccolo magazzino ed andò a gustarsi la colazione in fondo alla passerella, seduta sulla scala di legno che si tuffava in quello specchio d'acqua che aveva di fronte, dove in passato doveva esserci una risalita dalle barche. Si sedette, le gambe a penzoloni e la testa appoggiata al vecchio legno della ringhiera. Come in un film, le tornò alla memoria la prima volta che vide il lago, appena arrivata da Milano, due anni prima. Ricordò lo stupore di fronte a tanta bellezza, così perfetta ed unica da sembrare uscita dalla tela di un artista invece che dalle abili mani di Madre Natura. Si era sentita avvolta dalla maestosità di quelle montagne così vicine e così imponenti, ma non ne era mai stata intimorita: come avrebbe potuto avere paura di qualcosa che riusciva ad esprimersi con tanto splendore. I colori brillanti della primavera di allora avevano ceduto il posto a quelli saturi e accesi di quell'autunno, l'aria calda piena di speranza ora era frizzantina e pronta, da un momento all'altro, a mandare tutto in letargo con una coltre bianca. L'incanto, tuttavia, restava inalterato. Allora come in quel momento lo sciabordio dell'acqua che, invisibile e ribelle, scorreva lungo le rocce a formare tante piccole cascatelle, era l'unico suono che Emma aveva selettivamente conservato nel marasma di quella mattina.
Ricordava benissimo cosa aveva pensato, da ragazza malata, quando aveva immerso i suoi piedi nelle quelle acque gelide, scorgendo la palafitta da lontano, per la prima volta: "Come vorrei vivere abbastanza perché possa diventare casa mia". Non poteva sapere, allora, quale viaggio terribile e meraviglioso quelle acque le avrebbero regalato, nonostante allora non sapesse neanche nuotare. Non poteva immaginare che quella casa sul lago sarebbe diventata davvero casa sua: non era una questione di residenza, ma di cuore; quel luogo le era entrato nel cuore, e ci sarebbe rimasto per sempre.
D'improvviso, il nitrito di un cavallo si propagò lungo il lago. Emma si voltò, verso l'entrata, ma non c'era nessuno. Come poteva pensare, con la caserma della forestale a quattro passi, che Francesco fosse l'unico cavallerizzo della zona?! Tornò a bere il suo caffè, sovrappensiero.
Fu così che Francesco la trovò, scendendo da cavallo. Quella mattina aveva deciso di fare il giro del lago in senso antiorario, e dall'insenatura Emma non aveva potuto vederlo arrivare. A lui per un attimo sembrò di rivederla lì, in quello stesso punto della casa, in lacrime, ad aspettarlo: affrontare da sola l'ospedale e la sua malattia, era qualcosa che non era più disposta a fare. Insieme l'avevano affrontata ed insieme l'avevano sconfitta. Ora non piangeva più.
Si dice che tutte le spose siano belle il giorno delle proprie nozze. Emma, senza abito e con l'aria di chi aveva appena lasciato il letto, era la creatura più bella che avesse mai visto. Un angelo: nonostante le falcate rumorose di lui, nonostante l'andirivieni che quella mattina c'era in casa loro, sembrava lontana ed staccata da tutti, in una bolla perfetta di silenzio e calma tutta per lei. Si accovacciò al suo fianco, soffiandole lievemente dietro l'orecchio. Lei sussultò, il tempo di capire chi fosse al suo fianco.
"Che ci fai qui?" domandò, sorpresa. "Volevo solo dare il buongiorno alla mia sposa" Emma arrossì, non era abituata a quel genere di piccole attenzioni. "Se ti vede Valeria ti caccia via a pedate lo sai, vero?" "Correrò questo rischio…come stai?" "Bene … a parte il risveglio un po' traumatico" commentò, accennando ai lavori in corso e scuotendo la testa, ancora incredula "è meglio se non entri…tu? Nervoso?" "Ora non più" Emma posò la testa sulla sua spalla e sentì le labbra di lui premerle sul capo.
Il matrimonio non era mai stato una sua priorità assoluta. Lo sognava da ragazzina, come facevano tutte le bambine, in linea teorica, come un gioco, come una favola. Del resto, con la sua famiglia disastrata, non aveva un buon esempio da seguire. Quando poi le avevano diagnosticato l'aneurisma, si era convinta di non poter permettersi di progettare un campeggio in montagna, figurarsi una vita coniugale. Ma aveva conosciuto Francesco e, innamorandosene, non le era importato veramente di come sarebbe stata la loro vita di coppia: purché insieme, lei gli avrebbe donato ogni secondo della sua vita, lunga o corta che fosse, e tutto il resto sarebbe passato in cavalleria. Quella cerimonia, quella giornata di festa, rappresentava solo il ringraziamento per un miracolo che era già avvenuto, una celebrazione di quell'amore che era stato più forte di ogni cosa.
"Cos'hai lì?" domandò Emma, accorgendosi che Francesco armeggiava di nascosto alle sue spalle. "Niente, solo un pensiero per te …" disse, presentandole un modesto bouquet di fiori di montagna. Non era elegante come le composizioni con stavano decorando il tavolo o l'arcata che avevano tirato su in terrazza, ma era semplice e delicato, ed era come se potesse tenere il profumo delle loro montagne tra le mani. "È assolutamente perfetto" decretò Emma, posandogli un bacio leggero sulla guancia. "Ti ricordi cosa ti avevo detto una sera, qualche mese fa, qui in palafitta?" domandò Francesco. Si erano detti tante cose: Emma non poter fare altro che guardarlo disorientata. "Non vedevo l'ora che tu diventassi mia moglie ... ma non potevo sapere allora quanto mi sbagliavo" "Che significa?" Emma lo guardò, sempre più attonita "Non sei convinto?"
"No, non potrei essere più convinto di quanto non lo sia ora" disse Francesco, guardando avanti, verso il lago; lo faceva sempre - evitare lo sguardo - quando aveva paura del giudizio altrui.  "Lo sai, non sono bravo a spiegare quello che sento … ma ho capito quanto erano vuote quelle parole" Emma stette ad ascoltarlo, ad ascoltare anche i silenzi con cui Francesco pesava ogni singola parola. Sentiva che quella testona complicata si stava sforzando perché i pensieri venissero fuori chiari e sinceri. "Emma quando ti ho incontrata io non pensavo minimamente ad una seconda possibilità. Non la volevo, lo sai meglio di me … ma tu mi hai cambiato la vita. Era in bianco e nero e l'hai resa a colori. E ho avuto paura, una paura assurda, perché mi sono reso conto che non eri un'alternativa. Ma quando ti ho chiesto di sposarmi l'ho fatto perché volevo mettere una pezza ai casini che avevo combinato con te … e non è più così. Voglio sposarti perché non posso immaginare un singolo giorno senza vederti, perché anche quando siamo insieme ho bisogno di sentirmi legato a te." "Perché mi dici queste cose adesso?" "Perché voglio che tu sappia cosa c'è dietro quel sì, quando lo pronuncerò … non sei la prima …" "Non l'ho mai preteso …" "Non sei la prima" ripeté lui "ma sei l'unica." "Io ti amo" aggiunse lei "e l'unica cosa che conta è che tu provi lo stesso per me" "Non dubitarne mai"
No, non lo dubitava. C'era stato un momento in cui aveva vacillato, in cui lo aveva visto distante, perso nei suoi problemi. Lei, pur disposta a condividere il peso delle sue paure, non lo aveva sentito pronto a fare uno sforzo, lo stesso che lei compiva quotidianamente per lui. Come combattere una battaglia ad armi impari, destinata ad essere persa in partenza? Nel momento più difficile invece lo aveva sentito di nuovo al suo fianco, lo aveva visto farsi coraggio per lei. Le sue mani erano state il primo contatto e il suo sorriso bagnato di lacrime la prima cosa che aveva visto al suo risveglio. Non temeva più.
Stettero in silenzio, fronte a fronte, a respirare i loro respiri, ad assorbire l'essenza dell'altro. Per qualche ora gli sarebbe bastato.
"NON CI CREDO! SEI QUA?!" un grido alle loro spalle ruppe la bolla che li proteggeva e in cui sarebbero volentieri rimasti a lungo. Valeria irruppe con la sua solita energia "E tu" disse ad Emma, aiutandola a tirarsi su "sei ancora in queste condizioni! Come devo fare con voi due? Mi farete venire un infarto!!!" "Valeria basta sul serio adesso! Sei pesante! Francesco era solo venuto a portarmi il bouquet …" spiegò Emma. "Ed ero venuto ad accertarmi che non le avessi fatto cambiare idea" continuò lui, sarcastico. La magia era andata ed entrambi tornarono con i piedi per terra. "Mmmm…non ci sono riuscita, anche se devo ammettere che il ricordo del massaggiatore della SPA dove siamo andate la scorsa settimana stava per farla cedere …" "Simpatica…" "Ma non starla a sentire …" disse Emma al suo fidanzato, sorridendogli e appoggiandogli le mani sul torace. Ne avevano passate di tutti i colori, stavano per sposarsi eppure percepiva ancora, talvolta,  quella stessa insicurezza del primo giorno "adesso vai, avrai anche tu ancora un sacco di cose fare". Valeria stette a guardare, incredula, mentre si salutavano con un bacio "Ma insomma … una cosa tradizionale riuscirete a farla voi due? Lo sposo non dovrebbe vedere la posa prima delle nozze … e voi vi baciare per giunta" "Vale dimmi una cosa" la calmò Emma, mentre rientravano in casa  "ci hai mai visti fare una cosa tradizionale? E poi, sinceramente, con quello che abbiamo passato, dovrei ancora credere a certe scaramanzie? Stai tranquilla e goditi questa giornata come ho intenzione di godermela io"
Valeria, un po' per sfinimento, un po' per assecondare le richieste della sposa, finì per accontentarla e calmarsi. Forse, pensò, aveva esagerato un tantino con la caffeina da quando si era alzata. Non era così, normalmente: era energica, ma non isterica, propositiva, non dittatoriale. Quando Emma le aveva chiesto di aiutarla con il matrimonio, non ci aveva impiegato meno di un secondo ad accettare: nonostante avesse avuto poche settimane, nonostante le richieste non convenzionali, aveva deciso di dare loro il matrimonio da favola che non sapevano di volere, ma che decisamente meritavano: per i bastoni tra le ruote che avevano dovuto rimuovere e gli ostacoli che avevano dovuto superare. Lei non aveva mai provato un amore grande, forte e puro come Emma e Francesco, forse non l'avrebbe mai provato, ma non aveva alcuna invidia: solo una grande felicità per i suoi amici; aveva assistito alle paure, alla rabbia, alle recriminazioni e al dolore, era finalmente arrivata l'ora di raccogliere la loro giusta e meritata porzione di felicità.
I capelli, mossi, erano semiraccolti a mezza altezza con poche forcine e qualche bocciolo, il necessario per poter accogliere il lungo velo cattedrale. Era poco pratico per le nozze celebrate quasi sul cucuzzolo della montagna, ma era il compromesso necessario per l'abito che aveva scelto: semplice e composto sul davanti, con un top accollato di pizzo ricamato e le maniche lunghe, celava una generosa scollatura posteriore, poco adatta ad una chiesa.
"Sei bellissima!!!" in un soffio, come stesse trattenendo il respiro, Vittoria Giorgi stava alle spalle di Emma con i pugni stretti vicino al viso, incredula nel vedere sua nipote in abito bianco. Arrivata da Milano il giorno prima, era stata mandata in spedizione dagli uomini prima di andare da Emma, per accertarsi che non combinassero pasticci con i loro abiti, e controllare anche i bambini, affidati alle cure di Isabella, così era arrivata della sposa solo quando ormai mancavano gli ultimi dettagli e Klaus stava già scattando le prime foto - rigorosamente non in posa. "Oh ziaaaa!" sospirò Emma, incrociando il suo sguardo tramite lo specchio.
Capelli biondi mossi e raccolti, un abito cocktail corallo e uno scialle stretto tra le mani assieme alla pochette dorata, gioielli minimal e contemporanei, si definiva una sciura milanese, ma di snob e retrò non aveva nulla.  Zia Vicky, così Emma l'aveva ribattezzata fin da quando era bambina, era l'unica figura materna che Emma riconosceva: sua madre, lontana, tra Firenze e le sue mostre nel resto del mondo, non era stata molto presente durante le tappe più importanti della sua vita. Vittoria, nonostante fosse quasi troppo giovane per essere una vera mamma per Emma, non si era tirata indietro vedendo questa ragazzina sola e con un padre sempre immerso nel suo lavoro. Alla fine, nonostante la sua vita professionale e la sua famiglia, Emma era diventata la sua bambina in tutto e per tutto ed erano inseparabili.
"Oh cavoli!" esclamò, frugando disperatamente nella borsetta "niente lacrime o cede il trucco!!! È ancora troppo presto per commuoversi!!!" "Zia sei sempre la solita!" "Mi vorresti diversa..?" "Neanche per sogno!" affermò Emma, girandosi ed abbracciandola. Valeria, nel suo abito bordeaux, aveva deciso ormai di non sprecare più fiato con la sposa ribelle, limitandosi ad ancorare il fermaglio del velo al meglio delle sue possibilità.
"La mia bambina si sposa … sembra ieri che mi hai detto che saresti venuta a lavorare qui…" commentò la zia, tamponando gli occhi, ancora lucidi. Emma credeva profondamente al destino: troppe coincidenze si erano dovute allineare perché lei e Francesco si conoscessero proprio lì, a San Candido, per essere una semplice casualità. No, decisamente le stelle avevano giocato con loro. La zia, girandole attorno, notando ogni dettaglio, si sperticava in commenti nei confronti della nipote. "Stefano e Riccardo diventeranno gelosi, un giorno o l'altro, se continui così …" Né la sua carriera da architetto, né la nascita dei figli, tantomeno il divorzio impedirono a Vittoria di seguire Emma negli anni difficili dell'adolescenza o, dopo la scoperta della malattia, di vegliarla da lontano. Si era sempre chiesta, da donna prima e da madre poi, come fosse possibile che suo fratello e la sua ex moglie non riuscissero a fare quello che a lei pareva la cosa più naturale del mondo: amare i propri figli. Emma sembrava averlo capito molto prima di lei: non tutti siamo fatti per amare, le disse un giorno, tagliando corto. Per fortuna, la piccola Emma sembrava aver preso da lei. Metteva amore in tutto quello che faceva.
"Ma loro ti vogliono bene e, anzi, ti mandano i loro auguri. Ci sono rimasti male che non sono potuti venire" "Zia, abbiamo fatto le cose in piccolo, lo sai … fosse stato per noi …" "Sì, lo so…fosse stato per voi sareste stati solo voi, i testimoni e il prete … e comunque, il matrimonio di una figlia femmina è sempre un'occasione speciale per una mamma, non me lo sarei persa per nulla al mondo" "Ma tu non sei …" "Sì lo sono" tagliò corto sua zia "se chi ti ha partorito non ha saputo apprezzarti, io che ti ho cresciuta non posso che essere orgogliosa per la donna che sei diventata. Che tu possa essere felice per quanto sei bella piccola mia!"
"Allora sarà di sicuro la donna più felice del mondo …"
"Pietro?!" esclamò Emma, incredula, la voce a metà tra la risata e lo stupore "oh mio Dio, ma sei proprio tu? Che ci fai qui?" "Beh...sai...mi era arrivata voce che si celebrava un matrimonio nella mia palafitta...non potevo mancare"
Pietro, il vecchio comandante della Forestale di San Candido, che aveva vissuto proprio su quella palafitta prima di lei e Francesco, e che aveva conosciuto durante un viaggio lontano dalle montagne della Pusteria, era fermo sull'uscio della porta finestra, vestito di tutto punto come non lo aveva probabilmente mai visto nessuno. Era stato lui ad indirizzare Emma verso quel progetto di conservazione dei lupi sulle Dolomiti, lui l'aveva aiutata a trovare alloggio presso il forestale che tutti conoscevano come Roccia ed era stato sempre lui a parlare per la prima volta del lago e della palafitta.
"Ma come? Chi è stato?" Emma domandò, voltandosi verso Valeria, la quale ne sapeva, evidentemente, quanto lei. Probabilmente era stato uno tra Vincenzo e Huber a contattarlo. Lei gli aveva fatto sapere del matrimonio, ma non aveva mai fatto accenno ad un invito: non si riteneva così importante da valere un volo intercontinentale dall'Asia. "Tuo marito" spiegò Pietro, con la sua proverbiale pacata imperturbabilità "anzi, il tuo futuro marito"
Emma si lasciò andare ad un sospiro di stupore, non poteva credere che Francesco avesse pensato ad invitare proprio Pietro, senza il quale, molto probabilmente, loro non sarebbero stati lì.
"E così ora abiti qui…" le chiese, guardandosi intorno. "Sì...ti piace come l'abbiamo sistemata?" Sembrava incuriosito, sinceramente, dal vedere quanto era cambiata la sua casa da quando l'aveva lasciata; difficile dire se lo convincessero o meno le modifiche che erano state apportate. "Si poteva fare di meglio … diciamo che non è esattamente di mio gusto. Ma voi siete giovani...cosa ne posso capire io… è bello però che non sia rimasta vuota. La palafitta è una creatura di questo lago: qualcuno deve prendersene cura"
Emma annuì. Anche lei l'aveva sempre vista come un essere vivente, meritevole di attenzioni e rispetto. Era bello che lei e Francesco non avessero disatteso le speranze di Pietro e si erano passati il testimone, senza saperlo, in una ideale staffetta.
"Abito a casa tua, non è buffo?" "Ci credi nel destino, Emma?" la ragazza annuì. "Ecco, qualcuno una volta ha detto che il destino va preso per quello che è: ogni giorno è un’opportunità, un regalo che qualcuno ci ha fatto."
Pietro le strizzò l'occhio, come faceva sempre quando voleva instillarle un dubbio nella testa, portarla a riflettere su qualcosa: certo non poteva essere sicuro di essere stato l'artefice materiale del suo amore con Francesco, ma quell'insinuazione era sufficiente per farla sognare. E dopo tanta cruda realtà, aveva un disperato bisogno di sogni.
"Mi accompagneresti all'altare?" domandò Emma all'uomo, diretta. "Volevo farlo da sola, ma non so se mi reggono le gambe …" "Ci sono io …" le disse, dolcemente, offrendole il braccio.
 
"Assicurami al 100% che hai avuto il permesso dalla sposa e soprattutto dalla sua testimone di non indossare la cravatta…" esclamò Vincenzo, preoccupato. "Perché, scusa?" "Perché conosco Valeria abbastanza da sapere che se è una tua iniziativa, poi sarò io a pagarne le conseguenze" "Parola di scout che Emma è d'accordo" sentenziò Francesco, mimando il saluto scout mentre, lasciata l'auto, si incamminavano verso l'altura dove era sita la chiesa. Di fronte a loro, oltre il tipico campanile a punta, appariva, fragile ed imponente al tempo stesso, lo spettacolo delle Dolomiti. Le cime più alte, innevate di fresco da un accenno d'inverno passeggero, contrastavano il verde, ancora rigoglioso, dei boschi sottostanti.
Leonardo, poco avvezzo a situazioni formali, aveva lasciato la sua giacchina elegante ad Isabella e si avviava correndo verso il prato di fronte alla chiesa. A nulla valsero le raccomandazioni degli adulti a che evitasse di sudare: le sue guance erano già rosse come due mele appena colte. Con lui, una delle figlie di Huber - Vincenzo non sapeva neppure quale, aveva così tanti figli che aveva perso il conto: a Francesco ed Emma sarebbe bastato Leonardo come paggetto, ma Huber aveva insistito perché una delle sue bimbe aiutasse Emma con il velo.
Emma aveva detto alla zia che avevano organizzato un matrimonio intimo, ma era più corretto dire che l'invito era stato esteso a tutti coloro che, in piccolo o in grande, avevano dato il loro contributo alla nascita di quell'unione. E anche se la lista degli invitati era ufficialmente esigua, la chiesa era piena. Roccia, l'ex vice di Pietro prima e di Francesco poi, era tornato da Innsbruck, dove si era trasferito dopo la pensione; Natasha, che per qualche tempo aveva diviso casa con Emma a San Candido e suo marito Tommaso. In generale, quando in paese si era diffusa, ad opera di Huber, la storia di Emma, della sua malattia e il suo desiderio di sposarsi tra le montagne a loro tanto care, l'intera cittadina di era mossa in una sorta di gara di solidarietà affinché il tutto diventasse possibile in poco tempo. Francesco, entrando in chiesa, si sentì sopraffatto dall'affetto di tutta quella gente che era lì per lui. Non aveva mai avuto una grande famiglia; ora, invece, sentiva di aver trovato una dimensione domestica a sua misura: non di sangue, ma di affetti. Ripensò a quelle settimane trascorse, che sembravano così lontane ora che tutti erano così felici, ripensò al sostegno di quegli amici. Allora, come in quel preciso istante, nonostante il bene che provava per loro, essi erano solo spettatori di qualcosa che riguardava solo lui ed Emma.
"Non staremo facendo una cazzata?" domandò Francesco a bassa voce, sperando che il parroco, dalla sacrestia alle loro spalle, non sentisse quella parola che gli era scappata per sbaglio.
"Ah France'? Ma te ne saresti mica uscito pazzo? Dopo quello che avete passato, mò ti ricordi a farti venire i dubbi…?"
"Ma no…non ho alcun dubbio. È solo che Emma è ancora così debole e forse ho spinto per qualcosa che potevamo benissimo fare a primavera, non sarebbe cambiato nulla…"
"Fattelo dire, France', il tuo tempismo è devastante" gli disse, sorridendo e indicando un punto fuori dalla chiesa che Francesco aveva difficoltà a vedere a causa del sole che proveniva dall'esterno e il contrasto con la penombra dell'interno. Le campane nel frattempo suonavano a festa. Era arrivata la sposa.
Tutti si alzarono in piedi. Isabella, che era rimasta fuori a tenere i bambini occupati, entrò in chiesa, tenendo in braccio Carmela, assieme a Valeria e alla zia di Emma. A Vincenzo scappò una lacrima prima ancora che la sposa varcasse la soglia: Francesco ed Emma, infatti, avevano voluto che la sua piccolina avesse lo stesso vestitino della damigella perché, anche se non era ancora in grado di camminare, era anche lei parte del gruppo.
Appena furono tutti al loro posto, e la sagoma di Emma apparve all'ingresso della piccola chiesetta, scendendo i due piccoli gradini di pietra che la separavano dalla navata, un violoncello iniziò a far vibrare le sue corde, diffondendo una melodia dolce e malinconica nella piccola pieve.
Francesco, istintivamente, fece un passo in avanti, come volesse raggiungerla, ma Vincenzo, prendendolo per un braccio, gli impedì di andar oltre. Ma l'amico non badò più di tanto a quel contatto, il pensiero e lo sguardo erano totalmente rapiti dalla figura eterea che gli si stava avvicinando. Le dimensioni ridotte della navata permisero alla sposa e al suo accompagnatore di raggiungere l'altare in breve tempo, ma ad entrambe era sembrata un'eternità. Gli sguardi di tutti fissi su di loro non esistevano, non c'erano la commozione delle amiche né i sorrisi orgogliosi dei colleghi. C'erano solo Emma e Francesco, il sorriso di lei e le lacrime di lui. In sottofondo, solo il battito dei loro cuori, che arrivava forte fino in gola, come quella volta in cui lei aveva confessato di amarlo ancora, nonostante il tempo e nonostante la distanza. Avevano provato a stare lontani, ad odiarsi, anche a farsi del male, ma avevano finito solo per amarsi ancora di più. Allora, lei aveva preso tutto il suo coraggio e aveva deciso di rischiare, ma lui aveva avuto paura. Ora, invece, lui non aveva più paura e lei non doveva più rischiare. Lo sapevano, ci sarebbero stati ancora momenti tristi, giorni in cui tenere il broncio o sere in cui darsi la schiena nel letto, andando a dormire; ma sarebbe tornato sempre, puntualmente, il momento per fare la pace, per abbracciarsi, per essere insieme. Era il loro destino.
Salutato Pietro, Francesco porse la mano ad Emma, che ricambiò forte la stretta, carezzando quelle grandi dita con il pollice. Anche sistemandosi tra sgabello e inginocchiatoio, mentre lui, pur con le mani tremolanti, l'aiutava con velo e bouquet, non riusciva a staccargli gli occhi di dosso: lui, così attento e premuroso, non riusciva a smettere di piangere, come un bambino, soffiando fuori l'aria per provare a ritrovare la calma e l'autocontrollo. Appena anch'egli si fu sistemato al suo posto Emma posò la mano sulla sua guancia, costringendolo finalmente a guardarla negli occhi per bene, come fino a quel momento non era ancora riuscito a fare. Gli sorrideva e lui la trovava bellissima, ancora più del solito, raggiante come quando l'aveva raggiunta nel loro posto speciale, libera e felice come mai prima di quel momento: non l'avrebbe delusa ancora, come aveva fatto quella volta, quando aveva scelto messo al primo posto la ragione invece del cuore. Abbandonò totalmente sé stesso in quella carezza, come solo di fronte a lei era capace di fare; lo aveva già intuito, ma fu lì che ne ebbe la certezza definitiva: aveva sposato Livia perché era la cosa giusta da fare, stava sposando Emma perché l'amava, perché era l'unica cosa che voleva il suo cuore.
 
"Francesco! Francesco!" la vocina acuta ed insistente di Leonardo, unita al leggero scatto di Francesco che si era girato verso il bimbo e suo cognato, fece svegliare Emma dal torpore in cui era caduta, aiutata anche dal lieve massaggio che suo marito le stava facendo alle tempie. "Vieni! Vieni a vedere!"
Emma fece cenno al marito di andare, mentre si rialzava lentamente dalle sue gambe che aveva usato come cuscino, ancora sonnacchiosa.
Francesco si avvicinò a Giulio e il piccolo, i quali se ne stavano accovacciati davanti alla porta della legnaia. Leonardo, in punta di piedi, cercava in tutti i modi di sbirciare attraverso una spaccatura nelle assi della vecchia porticina di legno logora. "Che c'è?" "Abbiamo sentito dei versi" spiegò Giulio "come un piagnucolio, ci sarà qualche animale…"
"Leo vai in braccio allo zio per favore" disse Francesco, prendendo dalla tasca un mazzo di chiavi. Negli ultimi mesi aveva usato quella legnaia come ripostiglio per gli attrezzi e per alcuni dei mobili dei vecchi proprietari che aveva deciso di salvare. L'ultima volta che era entrato, però, era stata solo pochi giorni prima, quando aveva fatto portare via i mobili per il trattamento antitarme. Nel frattempo, nel silenzio, anche lui iniziò a sentire qualcosa: erano chiaramente dei guaiti, molto acuti.
Emma, avvicinatasi, andò anche lei a dare un'occhiata, rimanendo all'ingresso del piccolo capanno. Francesco, all'interno, era chino tra alcune travi di legno e un rotolo di rete metallica. Rialzandosi, mostrò a tutti la sua scoperta: un piccolo batuffolo di pelo ancora ispido e sporco di terriccio e fogliame, tra il marroncino e il grigio, che per poco non riusciva a stare completamente nascosto tra le mani del forestale.
"È un cane?" domandò Leo, sporgendosi più che poteva dalle braccia di Giulio. "Credo di sì … è una femmina"
"È ferita?" domandò Emma. "No, solo un graffietto … c'erano dei chiodi su una delle travi. Credo sia affamata più che altro. Come sarà arrivata qui?" "È troppo piccola per esserci arrivata da solo, avrà 5/6 settimane al massimo" considerò Emma "forse è il caso di controllare bene nei dintorni… magari la mamma aveva trovato rifugio qui, è scappata al vostro arrivo e lei è rimasta bloccata. Non sei convinto…" Non era una domanda. Vedeva benissimo lo scetticismo negli occhi del marito. "È che qui il randagismo è una cosa rara … addirittura una cagna con dei cuccioli …"
"Magari è scappata dai padroni che erano in vacanza ed era incinta, raro ma non impossibile …"
L'uomo annuì e, posati a terra sia il cucciolo di animale che quello d'uomo, Giulio e Francesco iniziarono a cercare nella boscaglia intorno alla casa. "Posso?" chiese immediatamente il piccoletto, tendendo le mani per poterlo prendere. "No, Leo, è pericoloso" urlò Francesco, da lontano. "Ma è così piccoloooo!!!" reclamò Leonardo. Emma, portò un dito davanti alla bocca, raccomandando a Leonardo di fare silenzio e, con attenzione, mise tra le braccia le bambino la trovatella, che aveva l'aria troppo stanca per protestare di fronte a tutte quelle attenzioni e sballottamenti. Leonardo la teneva saldamente tra le braccia, come fosse una porcellana preziosa che per alcuna ragione deve cadere e rompersi. Non poteva essere impaurito da un esserino così piccolo e indifeso anche per lui, né lo infastidiva la sporcizia che aveva sul pelo. Certo aveva passato un anno in una fattoria, dopo che la setta dove era nato era stata chiusa, ma le persone con cui viveva limitavano molto il suo raggio d'azione e le sue esperienze.  
"Vieni" gli disse Emma, a bassa voce "diamole un po' d'acqua e qualcosa da mangiare"
Mentre, sulla coperta, Leonardo osservava rapito e divertito il cucciolotto che spazzolava i pezzettini di prosciutto e dei cracker sbriciolati, le uniche cose che avevano in quel momento adatte ad un cucciolo così piccolo. Anche Emma, dal canto suo, aveva meccanicamente attivato il suo occhio esperto.
"Francesco!" chiamò, allarmata ma non troppo, per non preoccupare Leonardo "vieni un momento per cortesia?!"
"Che succede?" domandò Francesco, accorrendo di corsa "Emma che state facendo? Dovete stare attenti, di sicuro non è vaccinato! E tu sei incinta … la toxoplasmosi …"
Emma neanche badò alle parole del marito. "Non sono sicura che sia un cane …" disse, a bassa voce. "Come non è un cane? Pensi sia un …" "… lupo?! Sì. O al massimo un ibrido. Guarda…"
Emma prese la cucciolotta tra le mani e fece notare a Francesco, sebbene fosse ancora molto piccola, come i denti e le zampe fossero molto più simili a quelli di un lupo che a quelli di un cane.
"Forse è il caso di portarla dal veterinario … se è veramente un lupo bisogna riportarla nel branco il prima possibile" "Facciamo passare il week end … " sentenziò Emma, riportando la cucciolotta da Leo che scalpitava per poter giocare ancora con lei "… i lupi sono animali molto schivi ed è facile che se non l'hanno abbandonata volontariamente potrebbero tornare appena andiamo via."
Francesco valutò che l'idea di Emma non era poi così malsana, d'altronde era un'esperta di lupi e dei loro comportamenti. Coinvolgendo anche Leonardo, prepararono una cuccia più confortevole e sicura nella legnaia e sistemarono una fototrappola, per controllare i movimenti attorno alla casa. Entrambe ricordarono di quando avevano reintrodotto un altro cucciolo nel suo branco, quando entrambi erano arrivati a San Candido da poco ed erano poco più che degli estranei. Era bello farlo di nuovo, insieme, da famiglia.

 

Angolo dell'autrice

Salve a tutte!!!
Da tanto non faccio sentire la mia voce a fine capitolo, ma questa volta penso proprio che fosse necessario. Non penso che un'autore debba mai scusarsi per la lunghezza di ciò che scrive, se sente che sia il modo giusto di affrontare quello che vuole raccontare. A maggior ragione se quello che sta raccontando porta in sé la carica emotiva di questo capitolo. E poi volevo condividere con voi la gioia del mio viaggio a Braies, cornice meravigliosa della serie e di questa storia d'amore. Spero che l'esperienza in prima persona sia rintracciabile in quello che ho scritto.
Proprio perché il flashback proposto è un momento tanto importante, io spero che vogliate condividere con me le vostre impressioni. 
A presto, con la cucciolotta trovatella e le avventure e disavventure dei nostri personaggi preferiti.

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Koi no yokan ***


Capitolo 17 - Koi no yokan




 
 
Mentre erano nel bosco, accompagnando i bambini per il progetto comunale, Emma non riusciva a smettere di guardare la sua accompagnatrice del Corpo Forestale. La guardava e ridacchiava.
"Cos'hai mangiato stamattina a colazione? Latte e risarella? Si può sapere che ti prende?" domandò Valeria, stranita.
"No, scusami" rispose Emma, tentando di ricomporsi "è che non mi pare quasi vero che finalmente, alle porte dell'ottavo mese sono riuscita a non avere Francesco con me." "Non ti ci abituare" l'avvertì l'amica "è solo perché ha dovuto portare il lupo che avete trovato dal veterinario".
La domenica che avevano lasciato passare, come suggerimento da Emma, non aveva sortito alcun effetto. I colleghi della forestale stavano controllando le fototrappole, ma l'assenza di impronte nel giardino davanti casa era un indizio già abbastanza evidente.
"Non mi fraintendere, è un amore, sempre premuroso, ma capisci che lavorare è un'altra cosa…" "Diciamo pure che tu non riesci a concentrarti" Emma sorrise; avrebbe voluto controbattere, ma sapeva già che sarebbe stata tutta fatica sprecata. "Ah…l'amore" commentò Valeria, sorniona. Emma però riuscì a cogliere una punta di malinconia dietro a quell'espressione divertita e derisoria. Da quando Vincenzo aveva lasciato la foresteria per trasferirsi in centro città, Valeria aveva rimesso addosso quell'armatura con cui era tornata a San Candido e con cui lei l'aveva conosciuta. Poteva giurare e spergiurare quanto voleva che non fosse vero, ma ad Emma non la dava a bere: ci era rimasta malissimo che il commissario aveva fatto armi e bagagli prima del previsto, senza consultarsi con lei, senza coinvolgerla.
Interrogata, dichiarava di star bene e che tutto andava come doveva andare, ma i suoi occhi non mentivano; si era buttata a capofitto sul lavoro, era tornata a fare sport appena aveva un momento libero e la sera, invece che restare in foresteria, andava in birreria fino ad orario di chiusura, come ai vecchi tempi. Non lo avrebbe mai ammesso, ma di sicuro era solo una scusa per gironzolare in centro nella speranza di incontrare Vincenzo e la bimba.
"Fammi capire" Emma provò a stuzzicarla "chi si occupa di Mela, ora che Vincenzo non è più in foresteria?"
Emma conosceva bene la risposta: quando il commissario era di turno, la bambina andava a casa della sua madrina, la moglie di Huber. Finita l'estate, avrebbe iniziato a frequentare il nido. Ma non erano queste le informazioni che le interessavano.
"Cosa vuoi che ne sappia io? Vincenzo è suo padre, lui sa cosa è meglio per lei" tagliò corto, concisa e stizzita "tu invece … che con questo pancione vai ancora in giro per i boschi?! Non ti sembra di star rischiando un po' troppo?"
Lungo il percorso nel bosco, la comitiva dovette attraversare un piccolo torrente. Niente di insormontabile, ma i volontari e le mamme che accompagnavano i bambini si diedero da fare a non farli cadere nell'acqua gelida che scendeva direttamente dai ghiacciai. Valeria, memore della filippica del suo superiore sull'incolumità di Emma, le strinse forte le mani, accompagnandola tra le pietre e i piccoli tronchi usati come ponticelli di fortuna.
"Prima di tutto" esordì Emma, mentre sondava la stabilità di un sasso "la ginecologa mi ha raccomandato di fare movimento. Sto benissimo e la pancia non è così grande come credi." Valeria le lanciò uno sguardo tra l'incredulo e il diffidente; non poteva dire sul serio. Ma il suo capo, del resto, l'aveva avvertita: Emma avrebbe minimizzato tutto, era fatta così.
Era una giornata fresca e gradevole, a riparo dal sole tra gli alberi secolari del bosco, ma la tensione stava facendo accaldare Valeria neanche fosse stata in spiaggia a mezzogiorno senza ombrellone. Avrebbe voluto intimare il silenzio ad Emma, ma aveva come la sensazione che era arrivato il giorno della resa dei conti, dopo che l'aveva evitata per giorni sull'argomento Vincenzo. "Secondo" continuò Emma "ad agosto il progetto chiuderà comunque per via dell'alta stagione turistica ed andrò in maternità così starete tutti più tranquilli. Terzo, sei abbastanza intelligente da capire BENE la mia domanda."
"Emma…!" esclamò Valeria, buttando fuori un lungo sospiro di sollievo quando l'amica mise finalmente piede sulla terra ferma del sentiero "dovresti saperlo meglio di me che è da quando se ne sono andati che non vedo Mela e con Vincenzo a malapena ci scambiamo un saluto quando arriva al mattino."
"E tu ci stai male …" "Come ci dovrei stare secondo te? Esattamente come stavi tu quando pensavi che ti avrebbero portato via Leonardo … di merda … quella bambina l'abbiamo cresciuta insieme …"
Il piccolo Leo, che Emma aveva portato con sé in quella escursione, stava più avanti insieme agli altri bambini della casa-famiglia che, eccezionalmente, erano stati invitati a partecipare alla giornata nel bosco. La giovane etologa lo guardò e non poté fare a meno di avere un tuffo al cuore, ricordando quei giorni di incertezza. Tuttavia guardò Valeria attentamente, soddisfatta: era riuscita, con poco, a crearsi una breccia in quella corazza che aveva voluto indossare di nuovo ma, in fondo, non le apparteneva più. Quando sperimenti l'affetto, credeva Emma, non puoi privartene a lungo. Era stato così per suo marito, era così per la sua migliore amica.
"E Vincenzo?" "Ancora Emma?! Vincenzo non parla ed è evidente che ha deciso per tutti e due che è meglio chiuderla qua se ha fatto armi e bagagli e se n'è andato e non vale la pena fare uno sforzo…"
"Scusa …e tu? Non gli dici niente?" "Perché dovrei essere io a dirgli qualcosa? Non sono io quella che se n'è andata…" "Vale, una relazione si fa in due…" "Appunto, non mi ha neanche consultata e dovrei corrergli dietro ora … ma non se ne parla nemmeno!" "Vale, credimi, la mia non è una critica … voglio solo darti un consiglio, da amica: PARLATE!!! È così che funziona … e lo so che adesso fa male, che adesso c'è l'orgoglio che ti frena e vuole farti avere ragione a tutti i costi, ma senza parlare non si va da nessuna parte."
Arrivati ad un piccolo spazio aperto, che guardava verso il versante nord della montagna, dove avrebbero avvistato i camosci che d'estate vi si rifugiano per garantirsi più ombra e frescura, Emma insieme agli altri adulti del gruppo iniziò a radunare i bambini, dando loro una piccola spiegazione e mostrando loro, con l'aiuto dei binocoli, gli esemplari visibili, impegnati a ruminare tra le rocce in alta quota. Ma la giovane donna non aveva dimenticato la conversazione di poco prima.
"Sai quando le cose hanno iniziato ad andare male tra me e Francesco?!" continuò più tardi, avviandosi verso valle, Leo questa volta al suo fianco. Valeria alzò gli occhi al cielo di nascosto, perché quando Emma si metteva in testa qualcosa, era difficile farla desistere dal farla o dirla. "Quando abbiamo iniziato a tenerci le cose dentro, quando stupidamente abbiamo pensato che fosse più comodo nascondere quello che facevamo o provavamo perché altrimenti ci saremmo arrabbiati o saremmo rimasti delusi. Ma è stato solo peggio. Forse avremmo litigato, ma sono proprio le litigate che salvano, continuamente. E potrebbero salvare anche voi…anche perché, lasciatelo dire ... Francesco non l'ha fatto con Vincenzo, ma sono uomini, non riescono a parlare di certe cose ... se vi lasciate sfuggire quest'occasione di essere felici solo per un appuntamento andato male, allora siete proprio due cretini."
"E quindi? Cosa dovrei fare? Andare da lui a pregarlo? A dirgli che mi manca?" "Anche, se è quello che senti. LASCIA DA PARTE L'ORGOGLIO. Non è qualcosa che fa parte dell'amore. Bisogna provare a capire la persona che si ha di fronte … e tu lo sai meglio di me, Vincenzo è stato ferito, più di una volta … e adesso sei anche tu ferita, lo capisco, ci sono passata anche io … però credimi, si vede che è una cosa che volete entrambi. Datevi una seconda possibilità, anche una terza se serve …"
"Non possiamo andare avanti all'infinito Emma. Lui con Eva era un continuo tira e molla, vuoi che finiamo così anche noi?" "Non sto dicendo questo, ma se qualcosa di buono può nascere tra di voi, lo dovete capire insieme, da soli non si va da nessuna parte"
In auto verso la caserma, Emma si accomodò sul sedile posteriore, di fianco a Leo che, fiaccato dalla lunga passeggiata, si era addormentato non appena l'auto si era messa in moto.
"Posso chiederti una cosa Emma?!" esordì la forestale, facendo attenzione a non incrociare lo sguardo dell'amica nello specchietto retrovisore. Durante il resto della discesa era rimasta silenziosa, avvicinando Emma solo nei punti più difficili, fingendosi occupata con il resto della comitiva. "Dimmi" "Come hai capito che Francesco era la persona giusta? Io non ci riesco …" "Eeeh … ! Questa è una bella domanda … ma la risposta è complicata … non bastano due parole … è stato d'improvviso e poco per volta, in un momento preciso e lungo diversi mesi. Non c'è stato un giorno preciso in cui ho pensato io lo amo, è solo che ad un certo punto, non so dire quando, tutto ha iniziato a sembrare più … più giusto … quando lui era con me. Non so dirti se è stato quella sera che mi ha beccata a frugare in palafitta oppure quando mi ha permesso di appoggiarmi a lui per scaldarmi, nel bosco, una notte, oppure quando, poco alla volta, mi ha fatto conoscere il vero Francesco nascosto sotto il Comandante Neri."
Emma aveva letto una espressione in giapponese in un libro: koi no yokan, premonizione d'amore. La provi quando conosci qualcuno di cui sai che finirai per innamorarsi, inevitabilmente. Era quello che aveva provato sulla spiaggia, quando lo aveva conosciuto, e poi quando si erano rivisti in caserma. Era una sensazione che si rinnovava ogni giorno.
Ai suoi amici, non avrebbe augurato altro.
 
"Herr Kommandant, Die Ergebnisse des Wolf-DNA Tests zurückkamen" uno dei forestali in forza alla compagnia consegnò il plico di documenti a Francesco. "Vielen Dank, Lukas!" lo ringraziò lui, nel suo tedesco maccheronico. Lo leggeva, lo capiva e dopo anni di permanenza era riuscito anche a familiarizzare con il dialetto locale, ma le sue origini romane avevano ancora il sopravvento quando apriva bocca.
Dopo qualche giorno dalla visita dal veterinario, finalmente erano arrivati i risultati del test del DNA che avrebbe provato o meno se Luna, così l'avevano ribattezzata per via di una striatura biancastra sulla pelliccia a forma di mezzaluna, era un lupo.
"Allora?" domandò Valeria, andando alla scrivania al suo superiore.
"Emma aveva ragione, è un ibrido".
"Inizio a dare un'occhiata sui nostri database sui branchi della zona e attivo una pattuglia per il controllo sul territorio" propose la forestale, zelante "di sicuro qualche randagio si è inserito in un branco, non è una novità" "Lascia stare, non perdere tempo …" "Che significa?" "Luna non è stata abbandonata lì dalla madre, quando l'abbiamo trovata non c'erano impronte di animali adulti attorno a casa - in compenso c'erano delle macchie d'olio sul viale. Lì per lì non ci ho fatto caso, avevo pensato ad un'auto che aveva sbagliato strada, ma adesso non escludo che le due cose possano essere collegate"
Nei giorni che seguirono il ritrovamento, tuttavia, il sopralluogo dei forestali attorno al maso divenne, di fatto, inutile:  a causa della pioggia del martedì, eventuali impronte di scarpe o tracce di pneumatici erano state cancellate, ma Francesco era abbastanza sicuro che la cucciola fosse stata fatta scivolare tramite una crepa nel muro della legnaia.
"A che pro abbandonare un cucciolo così piccolo?" domandò Valeria "Non ha nemmeno 60 giorni, è già reato così." "Proprio per questo penso che ci sia qualcosa di grosso sotto" "Quanto grosso?" "Potrebbero aver fatto riprodurre degli esemplari di cane lupo con un lupo vero"
Il comandante aveva letto di casi simili in Italia: lupi selvatici vengono trafficati illegalmente per incrociarli con cani lupo per ottenere esemplari di grande bellezza e più resistenti. Oltre alla truffa dei falsi pedigree nei confronti degli aspiranti proprietari, che sborsano cifre importanti, si tratta anche di un'operazione molto pericolosa: nati da un animale selvatico, l'aggressività dei nuovi esemplari non è affatto prevedibile e controllabile.
"Cosa vuoi fare?" domandò la vice comandante. "Martino! Vieni" Francesco chiamò a rapporto anche l'altro suo più stretto collaboratore "Dobbiamo scoprire se in zona ci sono allevamenti o quantomeno possessori di cani lupo, in più bisogna capire se è l'unico cucciolo abbandonato o ce ne sono altri … per cominciare batterei a tappeto tutta la Val Pusteria con l'aiuto delle altre caserme di zona"
"Comandante, la Pusteria è una valle enorme, solo la statale fino a Varna è lunga 71 km e tutto intorno ci sono boschi, valli e pascoli. Anche chiedendo l'aiuto dei colleghi potremmo fare un gran buco nell'acqua"
"Partiamo da quello che sappiamo … e cioè che Luna è stata abbandonata in una casa in ristrutturazione. Questo significa che volevano che venisse trovata, ma senza correre il rischio di farsi vedere … se ce ne sono altri non li hanno lasciati nel bel mezzo del niente"
 
Nell'attesa di trovarle la casa più adatta - anche se in cuor suo il forestale già sapeva come sarebbe andata a finire - alla piccola cucciolotta era stata creata una specie di tana con delle balle di fieno nei locali della caserma che venivano usati per il ricovero temporaneo di animali selvatici. Era diventata, a tutti gli effetti, in pochi giorni, la mascotte della caserma. Tutti volevano darle da mangiare o anche solo tenerla in braccio.
Emma non era da meno: trascinata da Leonardo, andava anche lei a trovarla, da una settimana, praticamente tutti i giorni.
"Sta facendo le prove per dare il biberon al fratellino che deve nascere?" domandò Francesco, entrando nel recinto dove Leonardo, concentratissimo, stava dando il latte alla piccola Luna, tenendolo sicuro tra le braccia, come Emma gli aveva insegnato. Il piccolo quasi non si era reso conto dell'arrivo del forestale, che fu costretto a farsi notare scompigliandogli un po' i capelli. Ricordando quanto era pauroso e diffidente di tutto e tutti, Francesco ed Emma non potevano smettere di stupirsi di quanta strada avesse fatto in quei mesi in cui erano stati loro ad occuparsi di lui, pur non abitando sotto il loro stesso tetto. Quando lo vedeva così cresciuto, non solo fisicamente, Francesco quasi dimenticava le ansie e le paure da padre che istintivamente provava. Anche la cucciolotta sembrava fidarsi del suo piccolo custode.
"L'ultima volta che ho controllato, c'è qualche piccola differenza tra un cucciolo umano e uno di lupo" rispose Emma, sarcastica. "Appunto, non esagerare. Anche se sembra così docile rimane un lupo per metà e un lupo non si può addomesticare" si raccomandò Francesco, andando a sedere accanto ad Emma su una delle balle del recinto. Lei stava con le gambe leggermente divaricate, massaggiando leggermente la schiena: ormai era entrata in modalità mamma papera, come diceva Francesco. "Tranquillo, è tutto sotto controllo … voi invece, qualche novità?"
"A Monguelfo abbiamo trovato un cucciolo come Luna" rispose l'uomo "e forse un secondo a Vandoies, i test del DNA ci diranno se sono della stessa cucciolata. Per la fattrice ci stiamo ancora lavorando su." "Io vorrei capire solo una cosa: ammesso che abbiano scoperto che non sono cuccioli di cane, ma perché abbandonarli e non denunciare direttamente?" "Creare ibridi è vietato, così come detenerli. Avranno avuto paura … oppure banalmente e cinicamente hanno voluto evitare rogne" "Poveri piccoli …" "Pensa la cosa positiva, almeno hanno avuto il buon senso di farceli trovare"
"Per il resto … ?" "Cosa?" domandò Francesco ad Emma, interdetto. "Quei due testoni, lassù, che combinano?" "Emma!!!" la rimproverò il marito "Non sono affari nostri …" "Sì che lo sono…o almeno lo sono nella misura in cui sono nostri amici. Almeno hanno rincominciato a parlarsi?" "Macché … una mi chiede in continuazione di occuparsi delle indagini ed è sempre fuori, l'altro è chiuso da giorni nel suo ufficio tra gli scatoloni per il trasloco nel nuovo commissariato"
Emma sbuffò: tutto quel gran parlare non era servito a nulla; non si aspettava di vederli passeggiare attorno al lago mano nella mano, ma nemmeno che Valeria, la sua amica Valeria, non fosse in grado di raccogliere un po' di coraggio e affrontare Vincenzo di petto.
"A proposito di trasloco … stavo pensando che potremmo organizzare una cena quando andremo via dalla palafitta. Così … per salutarla tutti insieme"
Non avevano granché da spostare dalla palafitta al maso, tutto era praticamente nuovo ad eccezione degli abiti, e ad Emma non sembrava vero che in poche settimane avrebbe lasciato la palafitta. In fondo, non l'aveva abitata che per pochi mesi, ma era diventata sua a pieno. In più, l'atmosfera non era quella di un normale trasloco, le tabelle di marcia, il caos degli scatoloni. Palafitta e maso sembravano due mondi paralleli che esistevano ciascuno a loro modo.
Emma era conscia del fatto che quel trasferimento fosse necessario, tanto più che nella nuova casa avrebbero potuto finalmente accogliere Leo, ma era comunque difficile salutare quel luogo che ancora, dopo mesi, le faceva battere il cuore.

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** Nuovi capitoli ***


Capitolo 18 - Nuovi capitoli




 
 
"Se posso dirlo … in tutta sincerità non mi sarei mai aspettato di vederti lasciare la palafitta. Prima ancora del commissariato che si trasferisce oltretutto…! Un sogno!"
"Non è colpa mia se ci state mettendo un'eternità." "Nun me dì niente, France' … sto nero! Io pensavo che solo a Napoli potessero succedere certe cose. Ah ma io lo so di chi è la colpa … è solo che non gli posso far passare l'anima dei guai perché è il padrino di mia figlia … ma dovevo capirlo quando l'ho conosciuto che era caduto dal seggiolone da bambino …"
Francesco annegò la risata nella bottiglia di birra, non gli sembrava giusto ridere di Huber, che secondo certe teorie complottiste stava sabotando il trasferimento, e di Vincenzo che ancora si affannava a volerlo correggere, pur conoscendolo da oltre 10 anni.
"Ma tanto non può più scappare … " continuò il commissario, sorseggiando anche lui dalla sua bottiglia "un paio di settimane e si dovrà arrendere. Vi lasciamo un po' in pace finalmente"
I due uomini si erano ritrovati a chiacchierare e passare del tempo assieme sulla terrazza della casa sul lago, come non succedeva da tempo. Con la vita coniugale e l'arrivo di un figlio dell'uno e la bambina da crescere da solo dell'altro, era una rarità potersi concedere del tempo al di fuori del lavoro per fare il punto della situazione. Quando Vincenzo aveva buttato Francesco giù dal letto - è più corretto dire però che era stata Emma a farlo - Vincenzo era stato un tale vulcano di parole che il forestale, sopraffatto, non aveva potuto fare altro che rimanere ad ascoltare. Forse era quello di cui Vincenzo aveva bisogno in quel momento … ma le loro serate tutte birra e filosofia erano un'altra cosa.
"Chiamami se sei in difficoltà" "Ahahah spiritoso…voglio vedere senza 'e me che facevi. Morivi di noia a fare solo il forestale a San Candido" "Chi lo sa … magari non mi sarei perso in chiacchiere con Emma" "No France', quelle non erano chiacchiere. Era cretinite" "Potrei dire la stessa cosa di te comunque … ti sembra normale che con Valeria non avete ancora parlato?" "Sto cercando il momento giusto" "Fattelo dire da un esperto del settore: se aspetti il momento giusto … muori di vecchiaia. Stasera dopo cena offriti di riaccompagnarla a casa, fate una passeggiata lungo il lago, mal che vada rimedi una strigliata … che non ti farebbe poi così male"
"Stai bene, sì?" domandò il commissario all'amico, toccandogli la fronte con la mano, come a voler controllare la temperatura. Francesco si ritrasse, scacciandolo. "Sì perché?" "Perché sei strano … il Francesco che ho conosciuto tre anni fa è sparito nel nulla" "E questo nuovo Francesco non va bene?" "Come no?! È un piacere avere a che fare con lui, ma non sono tanto abituato, ecco tutto" "Diciamo … che questo è il Francesco che avrei sempre voluto essere, quello che sentivo di poter essere, ma c'è sempre stato qualcosa che lo bloccava" "Ed ora cos'è cambiato?" "Forse per la prima volta sto vivendo una vita fatta su misura per me e non a misura degli altri  …"
"E poi stai per diventare papà …" il commissario tirò una leggera spallata al forestale, per scuoterlo. Francesco, che affacciato alla balconata fissava le acque rossastre del lago al tramonto, si lasciò andare ad un sospiro sereno. "Se ripenso a quei giorni prima della nascita di Mela … quante ansie, quanta paura di sbagliare … non che mi siano passate, per carità. Immagino come puoi sentirti tu, la paura che starai provando.." "Ed invece no" affermò Francesco, la voce sicura nella sua risposta "per la prima volta dopo tanto tempo non ho più paura. Forse sbaglierò, ma so che avrò dato il massimo. E poi non sono solo".
C'è una bella differenza tra il vivere un senso di responsabilità da soli e condividerlo con qualcuno; Francesco aveva vissuto entrambe le esperienze: con Livia, si era reso conto, erano stati due genitori che si occupavano del figlio in comune, seppure tanto amato. Con Emma, prima ancora che una famiglia, erano una coppia.
"E ti pareva!" Emma li interruppe, chiudendo alle sue spalle la porta della palafitta "Noi arriviamo con le pizze calde e voi nemmeno avete apparecchiato!"
Valeria, con i cartoni delle pizze in mano, corse in casa a testa bassa, scavalcando degli scatoloni che Francesco aveva stipato all'ingresso per l'indomani.
"I capelli!!! Amore che hai fatto ai capelli?"
Emma sfoggiava un caschetto che, grazie al suo lungo collo, le arrivava praticamente alle spalle. Con l'arrivo del caldo anche ad alta quota aveva sentito la necessità di sbarazzarsi, soprattutto a ridosso del parto, della sua lunga chioma che finiva troppo spesso castigata in trecce, code o chignon. A lei piaceva: era pratico e vivace; Francesco se ne sarebbe fatto una ragione, pensava.
"Ho dato una spuntatina … casa nuova, taglio nuovo. Non mi dire che non ti piacciono." "No, stai bene ma ... i tuoi bei capelli lunghi!!!"
Che a lui piacessero lunghi era più che un dato di fatto: gli piacevano quelle onde che le si appoggiavano morbide sulle spalle e scendevano fino a metà schiena, le sfumature color miele. La cosa che più lo faceva impazzire erano quelle ciocche ribelli che, per la scalatura, non volevano saperne di restare intrecciate o bloccate da fermagli e ferretti e che lui, puntualmente, rimetteva al loro posto dietro le orecchie, per scoprirle gli occhi.
 "Oddio ricresceranno!!!" lo riproverò Valeria, uscendo in terrazza con l'occorrente per apparecchiare il tavolo, intraprendente, come fosse a casa sua. Vincenzo, in silenzio, iniziò ad aiutarla. Tra loro c'era ancora una certa freddezza, ma sia Emma che Francesco speravano che la serata potesse aiutarli a riavvicinarsi - anche per quello l'avevano organizzata. E quello era un inizio più che promettente.
"Datemi almeno il tempo di abituarmi" si arrese, accigliato.
Francesco non era proprio convinto delle rassicurazioni di Emma, era sicuro che alla fine li avrebbe tenuti così per sempre, ma ne convenne che a 45 anni suonati e con due bambini di cui prendersi cura, fare il bambino anche lui per un taglio di capelli fosse alquanto fuori luogo.
 
Avevano trascorso una serata piacevole dai Neri, che quasi non sembrava essere successo nulla tra Vincenzo e Valeria. Quasi, se non fosse stato per Vincenzo che aveva passato tutto il tempo a chiacchierare con Francesco e Valeria che era stata l'ombra di Emma per tutta la serata. Se non fosse stato per Francesco, che aveva spinto a forza Vincenzo ad accompagnare a casa la forestale, forse il confronto che entrambi volevano ma allo stesso tempo evitavano, sarebbe arrivato al battesimo del bebè dei loro amici.
I due passeggiavano lungo la riva del lago, attraversando il ponticello che univa le due sponde del rio Braies che, ancora ruscello, usciva dal lago. Tra loro, un metro di distanza.
"Con chi hai lasciato Mela? Mi ha stupito vedere che non l'hai portata …" domandò Valeria, rompendo il silenzio. "È con mia madre … è venuta a passare una settimana di vacanza. Da quando c'è Mela digerisce l'Alto Adige molto meglio." "Senza Eva poi …" "Già!"
Accennarono entrambi ad una risata, che si spense altrettanto velocemente. Entrambi avevano paura di quella confidenza automatica che erano capaci di instaurare tra loro: non potevano dimenticare quello che era successo, ma soprattutto quello che ne era scaturito.
"Come va in foresteria? Immagino sia tutto un po' più calmo da quando siamo andati via noi"
"Troppo calmo, non ci sono più abituata." "Beh almeno avrai più tempo per uscire ora." "Prego? Cosa vorresti insinuare?" "Niente non insinuo niente … è semplicemente un dato di fatto, hai molto più tempo libero e te ne vai in birreria tutte le sere, lo sanno tutti"
"Problemi?" Se c'era una cosa che Valeria non sopportava di Vincenzo, era il suo trattarla con condiscendenza, il farle la paternale come se fosse una scolaretta e non una donna con cui, per inciso, era anche andato a letto. "No, nessun problema, ma per una che sembrava volere una storia seria …" "Sentimi bene" lo interruppe Valeria, prorompente. Era buio e facevano affidamento alle poche luci lontane della caserma per orientarsi sulla spiaggetta, ma Vincenzo certo non faticava a vedere il volto di Valeria che gli si era parato di fronte minaccioso. "Non sono stata io ad andarmene senza discuterne, senza chiarire, evitandomi come la peste."
Queste ultime parole e un piccolo verso di stizza di Vincenzo le fecero mordere la lingua per quanto aveva detto. Lei per prima lo aveva evitato dopo la cena insieme e non aveva fatto nulla, in quelle ultime settimane, per riavvicinarsi. Ripensò alle parole di Emma sull'orgoglio che danneggia l'amore. Ma non riusciva a smettere di pensare al trattamento ricevuto: sì, evitarsi per un giorno o due ci può stare per far passare la delusione, per rielaborare quanto successo e magari farsi venire qualche idea per uscirne, ma due settimane erano troppe anche per i tempi biblici di Vincenzo.
"Non mi sembravi così contrariata all'idea che ce ne andassimo"
Quando era rientrata in foresteria e lo aveva visto fare armi e bagagli non era stata capace di dire nulla. Non che l'avesse aiutato, ci mancherebbe, ma non provò nemmeno ad opporre resistenze. Ripensando a quel giorno, poteva vedere sé stessa con i suoi modi indisponenti, facendo spallucce e chiudendosi in camera. Si era rimessa l'armatura, aveva fatto di nuovo la stronza.
"Non erano questi i patti Vincenzo" riprese Valeria, seria ma docile "avevi promesso che non sarebbe finita così quando ve ne sareste andati, che non sarebbe cambiato nulla. E non parlo solo di me e di te."
Vincenzo capì. In realtà, intimamente era già ben consapevole del danno che aveva fatto. C'erano tante cose che Valeria sapeva fare meglio di lui con Mela, o che la bimba voleva fare solo con Valeria: il taglio delle unghie, mangiare le verdure, farla addormentare la sera. Alla fine lui, sua madre e la madrina riuscivano a cavarsela, ma la bimba cedeva per sfinimento: con Valeria sarebbe stata tutta un'altra storia.
"Mi dispiace" ammise l'uomo, andando a sedere in una panchina davanti alla caserma "la mia non voleva essere una punizione per nessuno. Sei speciale per Mela. Anzi, direi proprio insostituibile … e hai tutto il diritto di vederla quando vuoi"
Non riusciva però a spiegarle perché se n'era andato, che aveva avuto bisogno di capire se stavano andando da qualche parte. Averla vicino di nuovo e parlarle, gli confermò quello che le due settimane di lontananza gli avevano fatto sospettare: gli era mancata. Il suo profumo, quella specie di ventata di aria fresca nel bel mezzo del traffico dell'ora di punta, la sua capacità di riempire una stanza con la sua energia positiva anche restando in silenzio o in disparte: c'era e tutto girava nel verso giusto.
"Invece che al pub puoi venire a bere da noi una birra" "Non vado al pub per la birra Vincenzo …" lo provocò, rimanendo in piedi di fronte a lui. Spesso l'aveva giudicata nei primi tempi in cui si erano conosciuti, e quante volte aveva pensato che era triste vedere un uomo, un padre single che avrebbe dovuto crescere una bambina da solo, avere una mentalità così chiusa e lasciarsi trascinare dalle apparenze. Ma lei continuava a mettere sempre in discussione quelli che lui chiamava valori, che in realtà erano solo retaggi di un mondo che non esisteva più. "Qualsiasi cosa sia, sono sicuro che la troverai anche da noi. E poi" continuò il commissario "chi sono io per non tenere fede alle promesse".
"Speriamo solo di trovare migliori argomenti di conversazione rispetto all'ultima volta che siamo stati assieme" "Peggio di così non può andare" constatò Vincenzo, buttandola sul ridere "e comunque, mi sono fatto un'idea" "Cioè?" "Abbiamo toppato Vale'"
"Non voglio sminuire le tue doti di investigatore" lo punzecchiò la giovane "ma fino a lì ci ero arrivata pure io…" "No … voglio dire che abbiamo sbagliato approccio. Ho fatto proprio la figura del chiattillo a invitarti in quel ristorante di lusso … ja' che c'azzecc là uno comm' a me? Già solo a parcheggiare la macchina nel parcheggio del locale mi viene l'ansia da prestazione" "Ma come che c'entri? Sei un commissario di polizia, mica il vecchio dell'Alpe?" "Ma io sono poco delicato, a me piace lo spaghetto a vongole di mammà, il cuoppo di frittura della friggitoria sotto casa mia a Napoli. E poi … mica lo facevo per me? Lo facevo per te" ammise l'uomo, imbarazzato, guardando con cura altrove, verso la piccola cappella di fianco alla caserma. Forse sperava che la penombra fosse sufficiente a nascondere il suo impaccio "se una ragazza moderna, a cui piace stare al passo con le mode. Volevo dimenticare San Candido e tutto il resto per una sera"
Tante volte Valeria gli aveva ripetuto che il suo paesello natale le stava stretto; ma erano lamentele dopo una giornata noiosa di lavoro o dopo un chiacchiericcio provinciale origliato dai colleghi o da qualche compaesano al bar. Ora come ora, non avrebbe mai sostituito quel paesello con nessuna metropoli se con lei non ci fossero stati anche Vincenzo e Mela e tutta l'allegra brigata.
"Volevo farti sentire importante" concluse Vincenzo, portandosi di fronte a lei. Senza rendersene conto, aveva fatto scivolare le mani su quelle di lei. Il respiro di Valeria di fermò per un istante per la sorpresa, che già fu un miracolo che non mollò la presa. "Allora" disse la forestale, prendendo un bel respiro "appena tua madre va via, tu cucini gli spaghetti con le vongole e io porto la birra, che dici?" "La birra con lo spaghetto a vongole? Dico che quella mammà è capace di captare un obbrobrio del genere a 900 km di distanza e ci viene a mazzolare a tutti e due …"
La risata di Vincenzo alla smorfia di Valeria sancì la tregua che entrambi disperatamente agognavano da due settimane. Non si erano detti tutto quello che c'era da dirsi, ma ci sarebbe stato tempo; l'importante era sapere che, nei loro cuori, tutto era rimasto invariato.
"E comunque" disse lei, voltandosi prima di entrare nell'edificio e rincasare, Vincenzo ai piedi della scalinata "è da quando ci conosciamo che mi fai sentire importante".
 
Nel cuore della notte, Emma venne risvegliata da un movimento repentino al suo fianco e da un singulto, che spezzò il silenzio immobile della palafitta. Sebbene la luce calda del lampione sul terrazzo filtrasse tramite le pieghe delle tende, Emma faticò a mettere a fuoco la stanza attorno a lei. L'unico indizio per qualche istante fu il respiro affannoso di suo marito. Allungato il braccio nel letto, si accorse che si era alzato, probabilmente di scatto. Tirandosi su goffamente lo trovò ai piedi del letto, seduto, che le dava le spalle e provava a rallentare il respiro.
Era da tanto che Francesco non si svegliava di soprassalto per un incubo. Ne era sicura perché, con il letto di dimensioni ridotte per accomodarsi meglio alla casa, dormivano sempre vicini, il più delle volte abbracciati, anche ora che per Emma stava diventando sempre più complicato prendere sonno comodamente. Era dal soggiorno dei nonni di Leonardo in Pusteria che il suo sonno non era più agitato, ma erano mesi, probabilmente dalla vigilia della prima ecografia che non sfociava in un vero e proprio attacco di panico.
"Amore!!!...ehi..!!! Che succede?" gli si avvicinò di fianco, cingendolo in un abbraccio come meglio poteva, una gamba accavallata su una di lui e il mento poggiato delicatamente sulla sua spalla. "Ehi! Niente … un brutto sogno, non ti preoccupare, ora mi passa" spiegò Francesco, sorridendole lievemente e posandole un bacio sulla tempia. Si scusò per averla svegliata. Emma scosse la testa: non doveva nemmeno pensarla una cosa simile.
Era luglio e il caldo lo sentiva anche lei, ma la notte le temperature scendevano ragionevolmente da dar loro sollievo e a livello tale da non giustificare la fronte imperlata di sudore di Francesco. Proprio perché non capitava da tanto, probabilmente l'incubo era stato peggiore del solito.
Emma gli sistemò i capelli, alla stessa maniera in cui spesso lui lo faceva con lei e gli lasciò un bacio sul collo "Ti va di raccontarmelo? Magari ti aiuta …" "Meglio di no …" esclamò l'uomo, alzandosi e andando verso il bagno. Rinfrescati collo e volto, si appoggiò al piano del lavandino, avendo cura di non gettare nemmeno uno sguardo allo specchio, immaginando di non essere il miglior spettacolo di sé. Sapeva di essere in un brutto momento ed odiava che Emma dovesse vederlo così, fragile e abbattuto. È vero, l'aveva visto - e gli era stata vicino - anche in condizioni peggiori, ma non gli andava giù che ci fossero momenti in cui lei ancora dovesse prendersi così cura di lui, proprio in un momento in cui sarebbe stato più giusto, e più normale, che lei si affidasse totalmente a lui.
Ma quelle immagini che la sua testa gli aveva proiettato non volevano saperne di andare via: loro due, soli, un rifugio di montagna lontano dalla loro casa, Emma che si accascia a terra, priva di sensi e il suo urlo strozzato nel risveglio. È guarita, Francesco, è finita, non c'è più niente di cui avere paura. Si ripeteva queste parole ogni volta che si avvicinava una visita di controllo o un esame specialistico, Emma era seguita dai migliori medici che l'avevano messa in condizione di vivere la gravidanza più tranquilla e serena che avesse mai visto. Eppure una vocina nella sua testa, di tanto in tanto, tornava a roderlo come un tarlo.
Proprio quella sera aveva dichiarato, soddisfatto, al suo migliore amico di non aver paura di nulla del futuro che lo aspettava, ma inconsciamente quel passo ulteriore che si apprestava ad effettuare, non solo per sé ma anche per la sua famiglia, era un macigno di cui sentiva tutto il peso sulle sue spalle. Stava mettendo su famiglia, un mattone per volta, e sentiva la responsabilità del compito gravargli addosso.
Non poteva essere spaventato, era una cosa che voleva troppo e che finalmente stava realizzando ma, mano a mano che la méta si faceva più vicina, si trovava a confrontarsi con sé stesso, a mettersi in discussione come uomo, come marito e come padre. A suo modo, anche come figlio.
Era stato spesso un ribelle da ragazzo; tutto quello che suo padre voleva per lui, lui lo aveva disatteso, andando in direzione opposta. A volte ora si trovava a domandarsi se anche Marco lo aveva cresciuto così, contravvenendo al modello che aveva ricevuto. Si domandava che padre sarebbe stato, con Leonardo e il piccolino che doveva nascere, se il ricordo di suo padre e la morte di suo figlio, avrebbero macchiato ancora la sua voglia di provare a vivere di nuovo.
"Amore tutto bene?" "Sì, amore, tranquilla"
Era per lei, prima ancora che per sé stesso, che doveva sforzarsi di mandare via quei pensieri, di reagire, di lottare perché ogni giorno i raggi del sole riuscissero ad attraversare le nuvole che oscuravano la sua esistenza. Lei non si era arresa un secondo, non doveva farlo nemmeno lui.
"Tutto ok?" domandò Emma, di nuovo, vedendolo uscire dal bagno. "Avevo bisogno solo di rinfrescarmi un po' … posso?!" domandò l'uomo tornando nel letto.
"C'è anche bisogno di chiederlo?!" Emma, semi reclinata, con dei cuscini a sorreggerle la schiena, allargò le braccia. Francesco, delicatamente si allungò di fianco a lei, poggiando la testa sul suo petto e accarezzandole la pancia. Quel miracolo che riusciva a toccare con mano era un motivo più sufficiente per lottare ogni giorno; si era stancato di sopravvivere: voleva vivere.
Emma era abituata a gestire quei risvegli, ne aveva vissuti troppi accanto a lui da sapere che non doveva pretendere una risposta alle sue domande e che quel silenzio in cui si sarebbero addormentati di nuovo era il preludio ad un dolce risveglio.
"È tutto finito … noi siamo qui" sussurrava, lasciandogli dei baci tra i capelli.
Sarebbe passato tutto, di nuovo, come sempre. E magari, questa volta, sarebbe stata l'ultima.


 

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** Ottavo mese o aria di casa ***


Capitolo 19 - Ottavo mese o "aria di casa"




 
 
Nonostante l'incubo della notte, Francesco si svegliò di buon'ora. Si divincolò delicatamente dalla stretta di sua moglie, posando un bacio sulla sua pancia, nel punto dove era quasi certo ci fosse la testolina del loro bambino, cercando di non svegliarla. Nell'ultima ecografia avevano accertato che si era già messo in posizione cefalica, pronto per uscire fuori. A quanto pareva, lui, o lei, non vedeva l'ora di conoscere la sua famiglia.
Il forestale, infilate tuta e scarpette, uscì silenziosamente per un'ultima corsetta mattutina attorno al lago. Il sole, nelle prime ore del giorno, aveva iniziato a fare capolino in direzione della spiaggia antistante alla caserma, lasciando tutto il resto in penombra e nella frescura. Avrebbe continuato a vedere quello scenario tutti i giorni, grazie al suo lavoro, ma non sarebbe stata più la stessa cose. Fino a quel momento era stata casa sua, il posto a cui, dopo tanto tempo, sentiva di appartenere, dopo anni passati a sentirsi come un vagabondo. Così, quella mattina, finì camminare, anziché correre, guardando le conifere quasi una ad una, dal basso verso l'alto, dove sembravano sbattere contro il cielo, sfiorando la nuda roccia laddove l'anello del sentiero l'affiancava, beandosi degli scorci di quelle acque smeraldine tra le piante di sorbo, che impreziosivano il verde dominante con il rosso delle loro bacche. Tante volte aveva passeggiato tra quegli alberi, respirato i profumi che si alzavano dal lago e dai boschi, sentendoli cambiare di stagione in stagione, meravigliandosi, ancora, ogni giorno del più piccolo cambiamento: del piccolo sasso spostato dalla acqua, del fiore che il giorno prima non c'era, della buca scavata da qualche piccolo animaletto.
Quei luoghi erano un tesoro e lui se ne sentiva il guardiano: sperava, ora, di poter continuare ad assolvere al suo compito. Pietro gli aveva detto che la palafitta era come un'abitante del lago, un'antica ninfa generosa ma difficile, e non poteva restare senza qualcuno che se ne prendesse cura: stava a lui ora trovare qualcuno che ne fosse degno.
Tre ore più tardi, quando i primi segni di vita arrivavano dalla caserma e dal commissariato, Emma e Francesco erano finalmente pronti ad andare via. Emma era al settimo cielo: un messaggio di Valeria le aveva svoltato la giornata, confidandole che con Vincenzo avevano parlato  e le cose erano tornate a girare per il verso giusto; pur nella malinconia di dover lasciare un luogo tanto speciale, vedeva anche il nuovo inizio e le tante opportunità che le si aprivano davanti, positiva e curiosa di scoprirle volta per volta. Francesco, invece, era più taciturno.
"Emma ho dimenticato il borsone con le divise, torno un attimo indietro" disse, mentre aiutava sua moglie a sistemarsi nella sua auto.
"Io comincio ad andare, vorrei passare in paese a prendere del pane fresco." "Ci vediamo a casa. Stai attenta, è pieno di motociclisti in giro a quest'ora" si raccomandò, facendole l'occhiolino.
Ci vediamo a casa. Era davvero casa? Sì, lo era. Sarebbe stata casa dove avrebbe avuto il suo cuore, e il suo cuore era Emma. Dal parcheggio si diresse lungo il viale che conduceva alla piccola casa sul lago: lo emozionava ancora il modo in cui si rivelasse poco alla volta, ma senza troppa attesa, agli occhi di chi la visitava. Era il punto più ambito e più amato del lago, spesse volte si era trovato a dover scacciare curiosi e turisti convinti che fosse un bar o una struttura pubblica per poter fare foto. Per lui era solo casa sua. Percorse a passi lenti quel pontile, gli occhi fissi sulla sponda sud del lago, sulle venature della Croda del Becco, argentate dai raggi del sole. Forse, inconsciamente, aveva lasciato la sacca di proposito, per avere un momento tutto suo per salutare la sua tana, il posto dove, dopo anni di apnea, aveva preso a respirare di nuovo. Proprio su quella terrazza era andato in apnea meccanicamente, si era tuffato da solo nelle acque gelide di aprile e ne era uscito respirando a pieni polmoni, accogliendo Emma nella sua vita. Quel loro primo incontro, legato a doppio filo con quei luoghi, era la metafora perfetta per la sua vita, una vita tranciata in due di netto. Una volta avrebbe detto: prima e dopo Marco; ora ne era sicuro: prima e dopo Emma. Una vita in cui aveva potuto contare solo su sé stesso, contro un'esistenza condivisa.
 Zaino in spalla, chiuse con una catena e con un lucchetto la porta della palafitta. Mentre ripeteva quei gesti che aveva compiuto già meno di 10 minuti prima, con la lentezza di un bimbo che non vuole andar via dal suo parco giochi preferito, ripensò a tutto quello che quelle assi di legno avevano visto e avrebbero potuto raccontare: i suoi giorni più bui, le bugie di Livia, le trame di Elena e di Kroess, le risate con Vincenzo, i suoi alti e bassi con Emma, i baci, le grida, le lacrime. Non avrebbe lasciato indietro nulla, perché tutto, anche la cazzata più orribile che aveva fatto, aveva contribuito a renderlo l'uomo che era diventato.
 
Arrivato a destinazione, Francesco si mise subito all'opera scaricando dalle auto lo stretto necessario che avevano lasciato in palafitta fino all'ultimo. Emma, che era arrivata prima di lui, era ferma davanti casa ad osservarne tutti i dettagli. Non era la prima volta che ci andava e, nei giorni precedenti, con il via vai per l'arredo e le pulizie aveva passato più tempo lì che in palafitta, ma voleva prendersi un momento per fermare quel ricordo nella sua memoria, prima che la routine quotidiana iniziasse a farle dare tutto per scontato. Il segnavento con il gallo in ferro battuto piantato nel recinto del piccolo orticello che erano intenzionati a coltivare, i gerani colorati piantati nei vasi del balcone, una panca di legno di addossata alla parete vicino alla porta d'ingresso, a cui presto avrebbe fatto compagnia anche il tavolo del terrazzo della palafitta, la piccola decorazione di benvenuto in pannolenci che aveva appeso il giorno prima, lo zerbino e il portaombrelli. Era casa loro, era il Maso Neri.
"Bene" disse Francesco, aprendo la porta di casa e lasciando le valigie e le scatole all'ingresso "ora bisogna rispettare le tradizioni"
"Quali tradizioni?" chiese Emma, dubbiosa. Francesco le si parò davanti, le braccia spalancate. "No … no no no, non ci pensare nemmeno …" Emma lo pregò facendo qualche passo indietro. "Come no?! Ooohissa!"
Senza che potesse dire nulla, Emma si ritrovò tra le sue braccia. Si arrese: non era la più comoda delle posizioni, ma sarebbe stato per pochi secondi. "Stai diventando pesante, mamma papera" "Non chiamarmi mamma papera…o il pigiama di flanella non lo tolgo neanche ai 18 anni di Leo. Lo sai che non lo sopporto!"
Il pigiamone di flanella era diventato la minaccia perfetta per far desistere Francesco dalle sue idee più malsane, ma entrambi sapevano che Emma non lo avrebbe mai indossato, neanche con mezzo metro di neve a terra. Francesco sbuffò; la trovava adorabile nonostante la sua camminata ondeggiante, nonostante i chili in più, le guance più paffute e  le caviglie gonfie a sera e non riusciva proprio a capire cosa ci fosse di male il quel nomignolo affettuoso.
"Benvenuta a casa, signora Neri!" proclamò, mettendola giù. "Grazie signor Neri, anche a te". Emma accarezzò il suo viso, guardandolo fisso negli occhi, pieni di orgoglio per quel nuovo piccolo grande passo per la loro famiglia.
"Ti va un caffè?" domandò Emma. "Ok" rispose lui, sorridendo. "Che c'è?" "Niente…" ma sapevano entrambi che non era esattamente niente. Dopo tre anni dalla morte di Marco, dopo tutto quello che era successo con Livia, la proposta di un caffè fu la cosa più vicina ad un senso di casa che Francesco aveva provato; non era affatto un caso che tra tutti, fu proprio Emma ad offrirgli quella piccola attenzione. Per la prima volta, dopo tanto tempo, sentiva che qualcuno si stava prendendo cura di lui.
"Tu prepara il caffè, io porto questa roba su"
Emma entrò in cucina e si ricordò della prima volta che aveva messo piede dentro al maso, quando ancora Zoe lo abitava: oltre al disordine di una ragazza sola in un momento difficile, pensò che nessuno meritasse di vivere in un posto tanto angusto e malsano. Vederlo così, arioso, accogliente, con il profumo delicato e intenso, dolce e penetrante allo stesso tempo che emanavano le travi e i mobili in cirmolo, a stento lei stessa riusciva a riconoscerlo. Non solo era una casa degna di quel nome, ma era la sua casa, della sua famiglia. Mentre la moca era sul fuoco e prendeva le tazzine e la zuccheriera da una delle scatole che avevano portato quella mattina, Emma si trovò a fantasticare su quella nuova vita, sul giorno in cui finalmente avrebbero ricevuto il nulla osta al trasferimento di Leonardo, sul giorno in cui sarebbe uscita di casa con le contrazioni e sul giorno in cui sarebbero entrati in quattro da quella porta anziché solo in due, come quella mattina. Non poteva credere che fosse successo davvero, che le era stata concessa l'opportunità di progettare ancora; per quanto estasiata, si sentiva addosso la sensazione che fosse un privilegio: non lo avrebbe sprecato.
Decise di portare il caffè a Francesco al piano di sopra, anziché farlo scendere: salì le scale lentamente, un po' per la paura di rovesciare il caffè, un po' per far piano, levando le scarpe per alleggerire ancora di più il suo passo. Sentiva il movimento venire dalla cameretta che sarebbe stata adibita a nursery; si domandava cosa stesse facendo, visto che avevano deciso di aspettare la fine del trasloco per iniziare a prepararla. Una cosa per volta, gli aveva detto.
Mentre si avvicinava, Francesco uscì dalla stanza, chiudendo la porta alle sue spalle. "Che fai?" le domandò, colto alla sprovvista. Sembrava un bambino che aveva appena fatto qualche marachella. "Non si vede?!" ribatté Emma, mostrandogli il vassoio. "Non dovresti fare sforzi …" "È un vassoio con due tazzine e una zuccheriera, non una palla di piombo! Tu piuttosto, che ci facevi nella cameretta del bebè?"
Francesco prese il vassoio tra le mani di Emma, raccomandandole di rimanere dov'era e posandolo sul piccolo comò in corridoio. Emma lo guardò perplessa ma si attenne alle istruzioni. "Doveva essere una sorpresa, avevo pensato a qualcosa di più d'effetto … ma con te è difficile attenersi ad un piano." "Ah! Con me?" "Sì va beh, con noi … hai capito cosa voglio dire"
Emma sorrise facendogli una linguaccia, annuendo. Sì, con loro due il banco saltava sempre.
"C'è una cosa che devo farti vedere, entra" "Ok ma facciamo in fretta, lo sai che Leo si preoccupa se facciamo tardi."
Nella stanza non era cambiato granché dal giorno precedente: la finestra che dava sul giardino del retro della casa non aveva ancora le tende e le pareti erano immacolate. In un angolo in fondo alla stanza però campeggiava una culla in legno, tradizionale, con una tendina bianca e qualche pupazzetto sul materassino.
"Quando hai…" "Ieri pomeriggio, dopo che sei andata via con Valeria"
Emma rimase senza parole; si avvicinò, silenziosa, indugiando con lo sguardo su ogni dettaglio, sul cuoricino intagliato sulla testata, sugli animaletti ricamati sulla copertina e naturalmente sulla giostrina di stelline appesa al baldacchino.
"Lo so che mi avevi chiesto di fare una cosa per volta" esordì Francesco, rimanendo un passo dietro a sua moglie, grattandosi la testa "ma questa culla è sempre stata qui, in questa stanza. Sembrava solo aspettare un nuovo ospite. Quando l'ho trovata non ho saputo resistere e l'ho sistemata" "L'hai fatta tu?" "Rimessa a nuovo, sì … ma se non ti piace ne prendiamo una nuova … " "No … no è assolutamente perfetta"
Francesco però scorse un velo di malinconia negli occhi di Emma, un tristezza che nessun sorriso e nessuna parola di rassicurazione potevano nascondere. "Ehi! Va tutto bene?" Emma non riusciva a dare voce a quello che provava: vedeva suo marito così preso, così libero dai suoi fantasmi, che non era giusto farlo ripiombare di nuovo nell'angoscia. Ma lui insistette e non riuscì a tenergli nascosto oltre quello che provava, non ora che Francesco ce la stava mettendo tutta per essere sempre aperto ed onesto con lei.
"Non riesco a smettere di pensare al bambino che abbiamo perso, Francesco. Lo so che ora c'è Leonardo e c'è lui… o lei" disse, accarezzandosi la pancia "e dovrei essere felice. E lo sono. È solo che non riesco a smettere di pensarci"
Nel primo trimestre, quella presenza era stata un memento costante di ciò che poteva andar male, una raccomandazione quotidiana a non strafare e stare attente. Ma quando tutto sembrava andare nel verso giusto, quando si era lasciata andare a godersi l'arrivo della nuova creatura, poco alla volta il senso di colpa per quella ritrovata serenità si faceva sempre più forte. Più ripeteva a sé stessa che non era colpa sua, più si convinceva che anche lei meritava di avere una vita normale, più ripensava a quello che era successo un anno prima.
Mentre Emma parlava, il suo sguardo era fisso su un punto qualsiasi della culla, e sfregava tra le sue mani la stoffa leggera e immacolata della tendina della culla. Tutto, pur di non guardare suo marito negli occhi, che nel  frattempo non le staccava gli occhi di dosso e che, con la coda dell'occhio, vedeva annuire ad ogni sua singola parola.
"Nemmeno io." sussurrò Francesco, la voce commossa. Emma si voltò verso di lui, stupita. "Veramente?" Fece sì con la testa. "E a Marco, naturalmente. Ci penso in continuazione. Mi sento in colpa quando penso a loro e poi mi sento in colpa se mi accorgo che non li sto pensando" Francesco fece spallucce. Era la verità, nuda e cruda, non poteva cambiarla. Meglio essere onesti che tenersi tutto dentro: nascondere, arrivati a quel punto, non aiutava affatto.
"Anch'io" ammise Emma. Tante volte aveva detto a suo marito che non doveva darsi colpe che non aveva, ma per la prima volta sentiva quello che sentiva lui e lo capiva profondamente. Si sentiva piccola piccola ora di fronte a lui per averlo quasi sgridato, a volte. "Come si fa?" gli domandò.
"Non possiamo farci molto" decretò Francesco "ci vuole del tempo perché il dolore e la colpa passino …  nel frattempo bisogna concentrarsi sul bene che ci hanno lasciato e tenercelo stretto. Me lo hai insegnato tu no?!" Emma annuì; anche un esserino talmente piccolo da essere fisicamente impercettibile poteva lasciare un'orma nella vita di quanti lo avevano comunque amato. In quella di sua madre, che lo aveva protetto dall'inizio alla fine e in quella di suo padre, a cui aveva insegnato che davanti ai propri figli non ci possono essere priorità.
 
A pomeriggio inoltrato, Valeria si preparava a concludere la sua giornata lavorativa. Le indagini sugli ibridi proseguivano e nel pieno della stagione turistica bisognava sempre tenere d'occhio che gli amanti delle grigliate non appiccassero il fuoco a mezzo Alto Adige dalle aree picnic. Coordinare tutto, con Francesco a mezzo servizio per qualche giorno, era una bella impresa; erano un bel gruppo, ma la sua giovane età spesso la metteva in difficoltà con i colleghi più esperti. Concluse la relazione che avrebbe presentato al suo capo l'indomani e salutò i colleghi che stavano lasciando la caserma. Prima di ritirarsi in foresteria, avrebbe dovuto dare da mangiare a Luna, secondo la turnazione prestabilita.
Scese verso le stalle, dove il maniscalco aveva appena terminato la ferratura di tutta la scuderia.
"Donksche, Dieter!" "Bitte, Försterin. Pfiat-di!" "Pfiat-eich!"**
Trasferitasi lontana da San Candido aveva messo da parte il tirolese, perdendo totalmente l'accento tipico con tanto di r moscia. Le dava fastidio che tutti glielo facessero notare. I suoi conoscenti pensavano di essere simpatici con le loro caricature, ma dopo la terza volta, aveva iniziato a sforzarsi e ripulire la sua pronuncia italiana da quel fastidioso difetto. In fondo, il suo cognome, quello di suo padre, era italiano … del lato materno, altoatesino fino al midollo, le era rimasto solo il cognome di sua nonna, Valeria Weitlaner, che non aveva mai accettato che San Candido si chiamasse in qualsiasi modo al di fuori di Innichen.
Tornando a casa però, era stata costretta, suo malgrado, a rispolverare quella lingua che le dava l'orticaria, che le ricordava posti che le stavano stretti e persone che l'avevano profondamente ferita. Scopri invece, che fu come andare in bicicletta: non solo per la rapidità con cui l'aveva ripreso, ma anche per il piacere che in fondo in fondo le aveva dato.
"Valè! Valeria!!!"
La forestale riconobbe la voce di Vincenzo. Voltandosi, notò che non era solo. Carmela era con lui nel passeggino e scendevano la piccola discesa dell'ingresso della caserma.
"E voi che ci fate qui? Piccolina, vieni! Vieni!"
La forestale si inginocchiò, le braccia aperte verso la piccola, che il padre fece scendere dal passeggino appena il terreno ripianava; la piccola le andava incontro spedita, da sola, se pur ancora un po' goffamente. Valeria la accolse tra le sue braccia, abbracciandola forte per godersi quel profumo di latte e di pulito che le era mancato da morire, più di ogni altra cosa, in quei giorni di distacco. Si sentiva totalmente affascinata all'odore di quella bambina, un profumo così inebriante capace di prendere alla sprovvista anche una persone cinica come Valeria. La calmava, la riportava tra gli umani quando decideva di fare la supereroina dall'armatura indistruttibile.
"Come sei cresciuta piccolina!!! Che ti hanno dato da mangiare?" "Quella è mia madre … se potesse darebbe pure alla bambina lo zabaione a colazione …" "E adesso dov'è?" domandò Valeria. "Le ho regalato un pomeriggio di sauna e altri trattamenti al parco acquatico" rispose Vincenzo, facendole l'occhiolino "su per giù ho ancora un'ora di libertà, prima di cena" "Vorrà dire che mi aiuti a far cenare un'altra cucciolotta mangiona"
Valeria entrò nella stalla, con la piccola Mela in braccio e Vincenzo a seguire.
"Oh Maronn ro Carmine! Ma è un lupo!" esclamò Vincenzo, appena si rese conto di che cucciolo di trattasse, strappando la bimba dalle braccia di Valeria "vieni Carmela, a papà!"
La piccolina, un po' perché presa energicamente dal padre, che aveva anche alzato il volume della voce, un po' perché era stata allontanata da Valeria, iniziò a piangere.
"Hai battuto la testa da piccolo?" domandò Valeria, allibita e stizzita, prendendo Luna in braccio. Non sapeva chi fosse più inutilmente apprensivo di fronte a Luna, se lui o Francesco. Vincenzo, nel frattempo, provava a consolare sua figlia. "Non lo vedi quanto è piccola? Sembra più un peluche che un animale vero … e comunque è ibrida: metà lupo e metà cane. Ciao piccola Mela!"
La forestale, con la vocina da cartone animato, mosse su e giù la zampetta della lupetta, come stesse salutando la bambina. Non ci volle molto perché la piccola, incuriosita e svagata, ritrovasse il sorriso, ricambiando il saluto e chiedendo come poteva di poter accarezzare la cucciolotta.
"Ma ancora non avete avuto novità sul caso?" "Non mi dire che ora ti interessano anche i noiosi casi della forestale…" rimbeccò Valeria, pungente come al solito. Se c'era una persona che sapeva rimettere Vincenzo al suo posto, quella era lei.
"A parte che non ho mai pensato una cosa del genere" spiegò l'uomo, mentre Valeria gli rivolgeva uno sguardo dubbioso "ma era solo per fare conversazione. È vietato? Il tuo comandante lo fa sempre con me. Ma se proprio è un segreto di Stato mi farò i fatti miei"
Valeria rise sotto i baffi: sapeva benissimo che Vincenzo era profondamente annoiato dal doversi occupare solo del trasferimento nel nuovo commissariato e al massimo di qualche cellulare o portafogli smarrito. San Candido era tornato ad essere un tranquillo paesotto di provincia e non era più abituato.
"Abbiamo trovato la mamma di Luna. Domani lei e i suoi fratelli torneranno dalla madre, sono ancora troppo piccoli per stare soli, anche loro hanno bisogno di un adulto che insegni loro le buone maniere" spiegò Valeria mentre preparava del mangime  in una ciotola assieme all'acqua. Emma e il veterinario erano stati categorici, affinché lo svezzamento proseguisse in maniera scrupolosa anche in assenza della mamma e Valeria non ci teneva affatto a sorbirsi le paternali della sua amica. La lupacchiotta le gironzolava attorno freneticamente, affamata, e la forestale doveva stare molto attenta a non pestarle le zampette.
"Nel frattempo" continuò "siamo risaliti all'allevamento dove è avvenuta la riproduzione. Ora inizia la fase più delicata delle indagini, perché di sicuro non sono gli unici cuccioli ibridi in circolazione spacciati per cani"
"Cosa succederà a tutti questi animali? So che non possono essere tenuti in casa"
"Sì è così, generalmente si procede al sequestro degli esemplari, che vengono spostati presso delle riserve per loro. Ma in questo caso parliamo per lo più di animali nati e cresciuti in famiglie, non abituati alla vita di branco. Di solito vengono restituiti ai proprietari."
"Ma non è rischioso? Non si può prevedere quale dei due lati verrà più fuori." "No, certo, ma i proprietari saranno affiancati da esperti che li aiuteranno a gestirli al meglio."
La piccola Mela, in braccio al suo papà, guardava rapita la cucciolotta mentre puliva la ciotolina fino all'ultima briciola. La sua boccuccia era diventata appuntita in una smorfia di concentrazione, le pupille dilatate per mantenersi all'erta. Valeria se la sarebbe mangiata di baci.
"Che c'è Mela? Eh? Ci siamo innamorate della cagnolina?" le domandò Valeria, con quella vocina leziosa che le usciva in automatico ogni volta che si rivolgeva alla bambina. "Non ci pensare" Vincenzo troncò ogni velleità sul nascere "abitiamo in un appartamento e neanche il chihuahua della mamma ci dovrebbe stare in un appartamento per come la vedo io"
"Non c'è pericolo" concluse Valeria "sono proprio gli animali a non voler condividere un appartamento con te. Che persona arida, mamma mia!" "Eh eh! Sfotti, sfotti tu …"
A Vincenzo erano mancati come l'aria quei loro battibecchi. Dal di fuori la gente forse poteva pensare che non andavano d'accordo, ma quel punzecchiarsi era il loro modo di volersi bene. Una volta Valeria gli aveva detto, provocandolo, che in una relazione lui avrebbe potuto mettere solo la simpatia perché in quanto ad aspetto fisico non c'era un granché. Sì, forse era vero anche quello, ma ora sapeva che glielo aveva detto principalmente perché era stato l'unico capace di riportare un sorriso su quelle labbra.
In quel momento, se fosse rimasto ancora qualche dubbio dalla discussione della sera precedente, si sarebbe dissipato totalmente. Per Mela aveva resistito alla tentazione di una relazione con Valeria perché temeva che potesse essere fugace e deleteria, ora invece sia per Mela che per sé stesso, si stava convincendo che far funzionare quella cosa che c'era tra di loro non era solamente inevitabile, bensì un dovere. Non solo ci dovevano provare a farla partire, ma dovevano darsi da fare anche per mantenerla viva e forte. Tutti e tre, ciascuno a proprio modo, ne aveva bisogno: insieme, infatti, avevano trovato quell'aria di casa che stavano cercando.



**dialetto tirolese
"Grazie Dieter!" "Prego, Ispettrice. Arrivederci!" "Arrivederci!"

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** Confidenze e conoscenze ***


Capitolo 20 - Confidenze e conoscenze





 
Finita la lezione del corso preparto Francesco aveva chiesto ad Emma di passare in caserma prima di andare a prendere Leonardo per andare a casa.
"C'è una cosa che devo darti" le aveva detto, alla richiesta di spiegazioni.
Arrivati, trovarono un camioncino di fronte all'ingresso della caserma e un paio di poliziotti intenti a far su e giù per le scale con scatoloni e imballaggi vari.
"È oggi?" domandò Emma. "L'ultimo giorno?! Sì".
L'indomani, il nuovo commissariato di San Candido avrebbe aperto finalmente i battenti, anche se era da una settimana che gli uffici erano già operativi nella nuova sede e restavano da trasferire gli archivi e qualche attrezzatura e suppellettile che non era stata sostituita.
E se Francesco e gli altri forestali si erano ormai abituati all'idea di riavere la caserma tutta per loro, ad Emma fece un certo effetto vedere l'ingresso senza più il cartellone bilingue della Polizia, né le volanti parcheggiate nei paraggi. Era tutto un po' più vuoto, più tranquillo e il paesaggio ne beneficiava, ma questi cambiamenti tutti insieme mettevano un po' di inevitabile malinconia. Si voltò verso la sponda nord del lago, verso la palafitta spoglia e sola.
Ai suoi occhi non sembrava ancora abbandonata, solo chiusa per un po', come se i proprietari, loro, si erano presi una vacanza. Si trovava bene nel maso, nell'attuale situazione era tutto ciò di cui avevano bisogno e sentiva che, poco alla volta, stava diventando veramente il suo mondo ma, nel suo cuore, quella casetta sul lago in lontananza era ancora casa sua.
"Che rè chella faccia, France'?" Emma sentì il commissario chiedere a suo marito, mentre andava loro incontro scendendo le scale "aaaaah tenevi il corso preparto oggi, ve'? Mo si spiega quella faccia …"
"Perché che faccia ho?" domandò Francesco, perplesso "Emma ho una faccia diversa?"
"Ma non starlo a sentire, che sei bellissimo come sempre" lo rincuorò, prendendogli il mento con la mano e stampandogli un bacio sulle labbra.
"Seh vabbeh…buonanotte..." Vincenzo alzò gli occhi al cielo "hai proprio la faccia di chi ha visto cose che noi uomini non dovremmo vedere neanche per sbaglio" "Senta lei, commissario Nappi" esordì Emma "facciamo finta che non so chi è entrato sulla sedia a rotelle in ospedale e chi invece ci è entrata con le sue gambe quando è nata Mela"
"E a questo punto io me ne andrei a sbrigare una faccenda su in caserma. Ce la fai a salire le scale amore?" "Le salgo tutti i giorni a casa amore" rispose Emma, sarcastica.
"Cagasotto" urlò Vincenzo al suo compare. "La prudenza non è mai troppa" ammise, divertito, le mani in alto in segno di resa,  strizzando l'occhio ad Emma. Conosceva troppo bene sua moglie per sapere aveva qualcosa da scontare con Vincenzo ed erano giorni che ne parlava. Erano stati loro per primi a chiedere di non avere ingerenze nella gravidanza, ma Emma non riusciva a non ficcare il naso negli affari privati dei loro amici. Aveva provato a farla desistere, lei però era dell'opinione che una spintarella al momento giusto aveva fatto bene a loro due, quindi la stessa cosa valeva per quei due testoni. Inoltre, non voleva rischiare di doverli vedere separatamente per colpa di un ennesimo fallimento. "Arrivederci commissario! È stato un piacere!" salutò Francesco, davanti alla porta d'ingresso della caserma. "No, Comandante! È stato un onore. Arrivederci!"
Emma si incamminò verso una delle panchine posizionate di fronte alle stalle e di spalle alle staccionate del paddock. Per lei quel pancione non era un ingombro, ma solo un dolcissimo peso che non avrebbe mai voluto abbandonare; tuttavia i piacevolissimi calcetti sul fegato le ricordavano di tanto in tanto di prendersi una pausa da tutto il resto e sedersi un attimo.
"Non andiamo da nessuna parte così, Vincenzo!" "Che succede?" domandò l'uomo, confuso, rimanendo in piedi di fronte a lei.
"Quella battuta che hai fatto a Francesco non è affatto divertente. Non è solo bello e normale che Francesco mi sia vicino durante tutto il percorso di questa gravidanza … lo sai quanto è importante questo bambino, per me e per lui"
Emma aveva sperato che le fosse vicino anche un solo un quarto di quanto alla fine stato presente, e neanche nei suoi sogni aveva immaginato di vivere la gravidanza come se quel bambino non fosse solo lei a portarlo in grembo. Forse era anche quella la ragione per cui non sentiva così grande la fatica, né l'ansia per l'ormai imminente arrivo.
"Lo so, perdonami, mi sono lasciato trascinare. Ma vedervi così sereni fa dimenticare quello che avete passato, come se foste andati avanti" "Eppure non è così. Per noi è come una ferita fisica: si può curare, si può guarire, ma rimane sempre una cicatrice e ogni tanto può far male ancora o dare prurito" "Scusami ancora, mi sono lasciato prendere. Non sono bravo con le battute"
"Non si tratta solo di una battuta Vincenzo, né voglio rinfacciarti alcunché. Mio marito dice che non devo impicciarmi, ma se non fosse stato per te a quest'ora io non sarei qui e Francesco starebbe ancora in palafitta da solo a leccarsi le ferite e piangersi addosso perché sono tornata a Milano. Sei un brav'uomo, anche tu meriti di trovare la serenità che ho trovato io, quindi permettimi di ricambiare il favore."
"Sentiamo" disse Vincenzo, sbuffando "cosa ti ha detto Valeria? Non te l'ha detto l'amica tua che ci siamo riavvicinati, che le porto la bambina una volta al giorno e l'ho pure invitata a casa per una cena?"
Emma detestava quel tono un po' strafottente che ogni tanto veniva fuori in Vincenzo. Forse era solo l'inflessione regionale che ci metteva, forse un meccanismo involontario, e cercava sempre di non dargli peso, di passarci sopra. "Sì me l'ha detto" rispose "e sono molto contenta per voi ed è per questo che vorrei che andasse tutto bene. Queste battutine, alcuni discorsi che fai … ho solo paura che alla lunga possano farvi del male, portandoti a commettere di nuovi degli errori da cui non hai imparato nulla" "In una relazione non si sbaglia mai da soli però" "Dici bene … e infatti l'altra metà è stata già ammonita, stai tranquillo"
Il telefono di Emma iniziò a vibrarle in borsa. Sbirciando dalla lampo, lesse il nome di Valeria e qualche faccina arrabbiata nelle anteprime dei messaggini. Mise il telefono in modalità silenziosa.
"Valeria ti vuole bene, ma davvero. Quel bene speciale che cambia la vita delle persone e io lo riconosco perché è la stessa cosa che è successa a me. Ma quando stai con una persona vorresti stare sulla sua stessa lunghezza d'onda, avere dei progetti in comune … di certo non vivere tra gli anni '50 e il presente" "Stai insinuando che io sarei retrogrado? Che vivo negli anni '50?"
"Devi dirmelo tu. O meglio, devi dirlo a te stesso. Devi chiederti se va bene che la tua compagna possa uscire con le sue amiche di sera invece che stare a casa con te, se ti da fastidio che vada in giro con una gonna troppo corta o i tacchi troppo alti, se con un bebè in arrivo le suggeriresti di lasciare il lavoro, cose del genere …" Emma, neanche troppo velatamente, aveva elencato tutte le cose avevano incrinato il rapporto con Eva. Vincenzo aveva sentito anche Valeria lamentarsi, spesso si era fatta risentire quando le aveva fatto notare che, secondo lui, il suo look era troppo azzardato. Ma lui pensava di appartenere ad un altro mondo e ad un'altra epoca.
"E non perché sono scelte antiquate" chiarì Emma "ma perché non devono partire da te"
"E tu vorresti che io cambiassi, lo so. E la stessa cosa Valeria" ammise, sedendosi accanto all'amica "non me lo ha mai detto direttamente, ma lo so che è così"
"Non possiamo cambiarti, né vogliamo farlo. Non funziona mai. Pensi che mio marito sia diventato l'uomo che è perché l'ho voluto io? Stavo fresca …" Ad entrambi scappò un leggero sorriso. Conoscevano tutti e due quel testone di Francesco da sapere che, se una decisione non veniva da lui, non avrebbe mosso un dito. "E per quanto riguarda Valeria" spiegò Emma "si è innamorata di te come sei ora, non lo pretenderebbe mai."
Si è innamorata di te. Vincenzo non poteva credere di aver sentito quelle parole ed Emma di averle dette. Si morse la lingua, ma non poteva rimangiarsi quelle parole. Lo sapevano tutti, forse anche gli stessi interessati, che quei due si amavano, e forse quel lapsus era la spintarella giusta e necessaria a farli capitolare dopo oltre un anno di tira e molla. C'era solo da sperare che Vincenzo non ne avesse fatto parola con Valeria, o l'avrebbe scuoiata viva per una tale intromissione. Il commissario invece, dal canto suo, pensò che la cosa migliore fosse non dare  vedere ad Emma quanto la cosa lo avesse colpito. Sì, lui provava qualcosa di forte per Valeria e sentiva di essere ricambiato, ma nessuno dei due aveva mai dato una definizione ai propri sentimenti.
"Devi essere tu a pesare le cose e le persone a cui tieni e a capire se certi comportamenti ti permettono di vivere pienamente una relazione" continuò Emma "indipendentemente dal fatto che sia un'amicizia o qualcosa di più. Se vuoi il salto di qualità o preferisci andare avanti a singhiozzo …"
Le relazioni a singhiozzo le conosceva bene Vincenzo. Con Silvia, con Eva era andata proprio così. Non si fidava, faceva il moralizzatore e poi finiva per farle scappare. Riusciva a riconquistarle, a riacquistare la loro fiducia con frasi ad effetto, ma l'idillio durava il tempo di un'altra scenata di gelosia. Sono un uomo del Sud, era la giustificazione che aveva dato a sé stesso per anni. Ma erano passati dieci anni da quando aveva lasciato Napoli, aveva quasi cinquant'anni, viveva lontano da comari pettegole e mamme invadenti. Era arrivata l'ora di lasciare il nido e crescere.
"Non è facile per me, Emma, sono cresciuto in un certo modo e con certi valori. Voi appartenete ad un'altra generazione" "Parli come se avessi 80 anni, Vincenzo. Quanti anni hai più di Francesco, 2?" "3" "Appunto, potresti essere un mio fratello maggiore, non mio padre. Non ti buttare giù …" gli disse, sorridendo. Si tirò su, appoggiandosi alla gamba di Vincenzo che le sostenne la schiena. Per tante volte che Francesco le aveva ripetuto di essere una mamma papera, alla fine aveva iniziato a sentircisi anche lei: si alzava in maniera goffa e quando camminava lo sentiva di essere ridicola, ma non gli avrebbe mai dato la soddisfazione di ammetterlo. Anche perché era un segno della gravidanza che correva spedita verso il termine e la rendeva immensamente felice e orgogliosa.
"Comunque, io non dico più niente. Ora sta a voi … ma sono sicura che sarete bravi" "Abbiamo solo da prendere esempio dai migliori, no?" "Vacci piano con le sviolinate, commissario!" gli disse, dirigendosi verso la caserma.
 
"Cosa vi siete detti?" domandò Valeria, che impaziente aspettava Emma all'ingresso. "Niente di che, non ti preoccupare" "Emma non giocare con me. Non ho bisogno di un avvocato difensore, faccio benissimo da sola" "Questo è poco ma sicuro. Comunque stai tranquilla, abbiamo parlato un po' di lui" "Di lui?" Emma si serrò le labbra come fossero una zip, mettendo le mani avanti. Lavorava alla luce del sole, ma fino ad un certo punto. Valeria sbuffò ma si arrese, sapeva che se Emma si metteva in testa una cosa era impossibile averla vinta.
"Mio marito?" domandò l'etologa. Valeria indicò l'ufficio di Vincenzo. Ah già, con la polizia che aveva levato le tende, l'ufficio principale era tornato ad essere del Comandante di stazione. L'ufficio di Francesco. Suona bene, pensò con una punta d'orgoglio.
Mentre si avvicinava, Emma riusciva ad intravedere tra le lamelle delle veneziane alle vetrate la sagoma di suo marito che si muoveva dall'armadio sulla destra verso la scrivania, perfettamente visibile grazie alla porta lasciata aperta. Stava in piedi al lato della scrivania, come faceva sempre quando assieme a Vincenzo si trovava ad assisterlo negli interrogatori, ma non più defilato. Tastava con la mano il legno che probabilmente da anni non vedeva la luce del sole, oberato dalle scartoffie che Vincenzo aveva il vizio di lasciare sparse dovunque. Francesco notò, tra il telefono fisso e il portapenne, un temperamatite, quello che Vincenzo non avrebbe fatto toccare neanche a sua madre, pena taglio delle mani. Accanto, un post-it: leggendolo si lasciò andare ad un leggero sorriso.
La vita tempera. E noi siamo matite. L'importante è continuare a scrivere.
Con ancora il piccolo foglietto giallo tra le mani, Francesco trovò il coraggio di sedersi alla scrivania, prendendo finalmente possesso della sua nuova postazione. Fino a quel momento era stato primo tra pari, ora la prospettiva stava cambiando. Se fosse stato un gioco, sarebbe stato come passare a bordo campo ad allenare. Alzando lo sguardo, per soddisfare la sua curiosità sulla visuale da quel punto di osservazione, trovò sua moglie sulla porta d'ingresso, appoggiata allo stipite, che l'osservava con aria trasognata, compiaciuta.
"Da quanto tempo sei lì?" domandò lui, in imbarazzo. "Non molto, ma abbastanza da farmi piacere quello che sto vedendo. Ti sta molto bene addosso questo ufficio" commentò Emma, facendogli l'occhiolino. "Siediti, dai, non stare in piedi" scattò in piedi per tenerle ferma una delle due sedie girevoli poste di fronte alla sua scrivania. "Dobbiamo solo personalizzarlo un po'" precisò Emma, guardandosi un po' intorno "è spoglio e un tantino impersonale" "Non metterti in testa strane idee. È un ufficio, non casa nostra. Tendine ricamate qui non sono permesse" le disse, chiudendo la porta dell'ufficio e accertandosi che le veneziane schermassero al meglio la vista all'esterno.
"Ma no scemo!" rise lei, mentre Francesco le scostava i capelli per lasciarle un veloce bacio sul collo "pensavo ad una cornice con una foto. Nei film i capi hanno sempre una foto di famiglia sulla scrivania" "Aspettiamo ancora un po' allora" rispose, mentre prendeva una scatola dallo scaffaletto dietro alla scrivania "voglio una foto di tutti e quattro noi insieme"
Emma quasi perse un battito quando Francesco prospettò quell'immagine. Il loro sogno stava per diventare reale, stava per avere un corpicino da prendere in braccio e un visino da guardare. Si chiedeva come si potesse pensare di condurre una vita normale  quando nella tua vita c'è un esserino capace di rapirti il cuore e tutto il tempo che hai da offrirgli.
"Allora. Veniamo a noi" disse Francesco, sedendo di fronte a sua moglie, poggiando la scatola sulla scrivania "a proposito di quello di cui abbiamo parlato ieri…" "Parliamo di tante cose, devi essere un tantino più specifico" "Le tue passeggiate" "Ah."
Emma, seguendo le indicazioni della sua ginecologa, aveva preso l'abitudine di camminare ogni giorno sulla pista ciclabile che, passando per il centro di San Candido, percorre tutta la Val Pusteria fino ad arrivare in Austria. Per lei naturalmente solo pochi chilometri a passo leggero, tra prati, meleti e fiumi, per scaricare le tensioni e fare il pieno di energia. Ma con l'avvicinarsi del parto, allontanarsi dalla città e dai soccorsi non era un comportamento responsabile. Sono pazza ma non così pazza, aveva detto a Francesco quando gli aveva comunicato l'intenzione di voler continuare a fare attività fisica nei boschi attorno casa o attorno alla caserma, per sentirsi sempre al sicuro.
"Non puoi andare sola nel bosco … lo sai, nel tuo stato è pericoloso, puoi scivolare, inciampare …" "… mi può cadere una pigna in testa …" "Non ci scherzare Emma, per favore" "No, scusa, però tu smettila di preoccuparti per me. A questo piccolino ci tengo pure io e non mi allontanerei, né uscirei fuori dai sentieri" cercò di convincerlo, tirandosi in avanti nella sedia, sedendo quasi sul bordo, e poggiando la mano sulla gamba del marito, per scuoterlo. "Lo sai, è più forte di me, non ci riesco …"
Emma sbuffò, contrariata, girando lo sguardo altrove. Aveva appena finito di sgolarsi con Vincenzo e suo marito si stava comportando alla stessa maniera. Con la coda dell'occhio, però, poteva scorgere il suo sguardo sornione. "Emmaaa.." la chiamò, estraendo dalla scatola una ricetrasmittente "sei proprio una bella fregatura. La mia bella fregatura. Certo che puoi andare a passeggiare, secondo te sono capace di dirti di no?"
Il viso di Emma si illuminò istantaneamente. Era quel sorriso a fregare Francesco, ogni volta.
"Ma devi tenermi sempre aggiornato, su tutti gli spostamenti. Sempre." "Sì. Promesso."
Non era la prima volta che usavano la radio per comunicare. Quando aveva iniziato il suo progetto per la tutela del lupo, era l'unico mezzo per comunicare dalle cime più alte o dai boschi più fitti e remoti. Allora lo considerava un misto tra un gioco e una seccatura, dover stare lì a rassicurare quel forestale petulante. Ma adesso sentiva di non dover più rispondere solo a sé stessa: aveva una famiglia che si preoccupava per lei e la creatura.
"Avranno finito con la festa?" "Sono le quasi le 6, direi di sì."
Una festa era stata organizzata alla Baita Speranza per festeggiare l'addio di Leonardo, come succedeva per tutti i bambini che finalmente potevano lasciare la casa famiglia per andare a stare in una vera casa, con una vera famiglia. Finalmente, con il trasferimento nella nuova casa, il giudice minorile aveva disposto, prima che le ferie d'agosto chiudessero le aule dei tribunali, l'affidamento familiare.
Da quando avevano comunicato la notizia a Leo, il piccolo non stava più nella pelle, avrebbe voluto subito andar via con loro, ma per sbrigare alcuni dettagli burocratici avevano avuto qualche giorno per preparare l'arrivo a casa ed Emma e Francesco lo avevano coinvolto nella sistemazione degli ultimi dettagli di una cameretta che era, in realtà, già pronta per lui: la scelta della biancheria per il letto, la sistemazione dei vestiti nell'armadio e l'acquisto di qualche libricino e giocattolo per riempire le mensole. Né la familiarità di Leonardo con i suoi affidatari e con la casa in cui avrebbe abitato, né i giorni di preparativi, però, riuscirono a togliere di torno l'emozione e la gioia dell'arrivo al Maso. Tutti e tre, infatti, percepivano che non era un giorno come gli altri, come quando a sera, prima, il piccolo veniva riaffidato alle cure delle educatrici. Ora sarebbero stati Emma e Francesco a rimboccargli le coperte, a svegliarlo dal sonno la mattina o ad accertarsi che i denti fossero ben puliti. Non avrebbe avuto più da condividere la stanza, né si sarebbe dovuto preoccupare di nascondere i suoi giochi dagli altri bambini.
Quando lo avevano messo a dormire, Emma aveva potuto constatare quanto Francesco fosse naturale con il bambino, proprio come se stesse riprendendo confidenza con qualcosa che aveva fatto per tanto tempo. Era normale: per quanto poco tempo il suo precedente lavoro gli concedesse con suo figlio, Francesco le aveva raccontato di non perdersi un momento della giornata con Marco quando era a casa. Lei invece era più impacciata, ma non era gelosa: aveva solo da imparare.
 
Il caldo, quella notte, era implacabile. Chiunque venisse dalla città probabilmente avrebbe trovato la temperatura gradevole, ma per gente di montagna, quale erano diventati loro ormai, era assolutamente anomalo per quelle quote. O forse era solo per via del suo stato, che ogni tanto le dava qualche noia giusto per ricordarle di essere incinta, perché una gravidanza così da manuale come quella, forse, non si era mai vista.
Emma si girava e rigirava nel letto, ruotando il cuscino nella speranza di trovare la stoffa della federa più fresca. Francesco l'aveva aiutata ad abbassare la temperatura con degli impacchi freddi prima di andare a dormire, ma ben presto anche l'asciugamano bagnato che aveva messo sul pancione era diventato tiepido. In altri tempi avrebbe rimosso anche l'intimo, ma con Leonardo nella stanza di fianco provava un certo pudore.
"Tutto bene?" sussurrò Francesco nel buio, svegliato dalla smania della moglie nel letto. "Sì, ho solo molto caldo" "Posso fare qualcosa?" "No amore non preoccuparti" gli disse, posandogli un bacio sulla guancia mentre si tirava su "vado a darmi una rinfrescata".
Prima di tornare a dormire, Emma scese in cucina a bere un sorso d'acqua. Nonostante la sua vescica avesse ormai la resistenza di un palloncino bucato, il caldo e l'arsura erano più forti di lei.
Mentre beveva direttamente dalla bottiglia, al buio, con la sola luce del frigo ad illuminare la stanza, una sagoma mise piede in cucina.
"Ehi! Che ci fai tu qui?" sarà stata mezzanotte e Leo stava in piedi davanti a lei, con il suo pigiamino estivo, coprendosi gli occhi dalla luce bianca dell'elettrodomestico. "Non riesci a dormire?" domandò Emma. Il piccolo scosse la testa. Aveva già preso confidenza con la casa e i nuovi spazi, ma Emma ci avrebbe scommesso che la prima notte sarebbe stata un po' dura anche per lui, in una camera nuova, troppo grande e buia per un bambino solo. Gli avevano lasciato l'abatjour accesa, ma chiaramente non era bastata.
"Mmm…andiamo a vedere se Francesco ci aiuta a risolvere questo problema. Non puoi certo restare sveglio tutta la notte"
"Giovanotto … che ci fai in piedi?" Francesco stava in cima alle scale. Non vedendo tornare sua moglie in camera era andato ad affacciarsi in bagno per sincerarsi che fosse tutto apposto ma, trovando vuoti sia questo che la camera di Leonardo, stava per andare a controllare al pian terreno.
"Francesco, abbiamo un problema." esclamò Emma, 
strizzando l'occhio a suo marito, mentre salivano le scale "Questo bimbo non riesce a dormire. Aiutaci a trovare una soluzione perché io non so proprio come fare!" 
Francesco, appena  piccolino ebbe raggiunto il pianerottolo, lo prese in braccio. "Io un'idea ce l'avrei" esordì, mentre andavano verso la loro camera "ma devi dirmi tu se va bene perché non è proprio una cosa per i bimbi grandi come te. E se dormissi con noi nel lettone?"
Leonardo fece spallucce. Lui non lo aveva mai saputo cosa significava essere bimbi grandi o piccoli. Sentiva di non essere come i bambini dei cartoni animati che vedeva in tv, non aveva mai fatto le cose che facevano loro, o almeno fino a che non aveva conosciuto Emma e Francesco. Non poteva sapere com'era dormire in una stanza da soli di notte, visto che la sua l'aveva sempre condivisa con altri bambini. Che dormire con i grandi nel lettone fosse da bambini piccoli non poteva saperlo: non sapeva nemmeno che fosse permesso; dai Moser, doveva stare attento a non fare i capricci di notte, altrimenti papà Bruno si sarebbe arrabbiato e mamma Ingrid poi avrebbe pianto. Era bella ed era buona e lui non lo voleva.
"Non fa niente che è per i piccoli. Io mica sono grande grande" era un compromesso accettabile per lui che voleva provare quella nuova esperienza. C'erano tante cose che aveva fatto per la prima volta con Emma e Francesco, di sicuro sarebbe stata bella anche quella, ormai si fidava totalmente di loro.
Entrambi lo incitarono a correre nel lettone, in mezzo a loro. "No in mezzo! Tu in mezzo" disse, affinché Francesco si portasse al centro, affianco ad Emma. "Ehi! Cos'è questa storia? Sentiamo, perché non vuoi dormire vicino a me?" domandò la donna, fintamente offesa, le mani sui fianchi. "Ha ragione Leonardo, io sono tuo marito e tocca me stare vicino te, papero-" Francesco strozzò quell'ultima parola in gola, prima che Emma lo fulminasse con lo sguardo.
"Perché sei strana" rispose Leonardo, piegato in due dalle risate sul torace di Francesco che, con una finta mossa di wrestling lo mise al centro del letto. "Che cosa mi tocca sentire!" esclamò Emma indignata da questa alleanza maschile contro di lei "come sarebbe a dire strana?" "Hai la pancia grande" "Certo che ha la pancia grande … è una mamma papera" "Tu di ancora mamma papera e lo so io dove ti mando! Leo" si rivolse al piccolo, stendendosi al suo fianco "lo sai perché la mia pancia è grande?" "Perché c'è il bimbo?" Emma annuì. Non era più capitato di avere una vera e propria conversazione sull'argomento con Leonardo, da quando gli avevano dato la notizia della gravidanza. Sembrava averla accettata bene, o forse era solo una specie di tolleranza, di muta rassegnazione visto che loro erano così buoni e generosi con lui. Emma ne aveva parlato con lo psicologo dei servizi sociali che li seguiva nel percorso di affidamento, ma alla fine entrambi convenivano che la loro situazione era talmente anomala che la strada da percorrere avrebbero potuto trovarla solo loro, rispettando i tempi e i modi che il bambino stesso avrebbe dettato.
"Tu come te lo immagini?" "Boh" rispose Leo, con tutta l'innocenza dei suoi 4 anni. Emma gli aveva fatto vedere qualche foto di neonato o qualche video e se li immaginava così, piccoli, rossicci e piangenti. Non il massimo della compagnia. Si mise in ginocchio sul letto e con le manine provò, titubante, a toccare la pancia di Emma. Emma fece una leggera pressione su un lato, per provocare il movimento del bambino che era sveglio, anche la sua attività non era visibile dall'esterno. Alla sua pressione, il gomito del bebé venne fuori sul fianco destro, più o meno dove Leonardo stava appoggiato, tanto che il bimbo sobbalzò per lo spavento. "Non devi avere paura" gli disse Francesco, tra le cui braccia si era rifugiato "ti sta solo salutando. Prova di nuovo."
Ripeté di nuovo il gesto, questa volta con decisione, sapendo già cosa aspettarsi. Questa volta dalla pancia un pugnetto si mosse dal basso verso l'alto, per sparire di nuovo verso l'interno. Leonardo si fece coraggio, iniziando a seguire quei movimenti con la mano, sorpreso e divertito. "Ancora!" esclamaò, parlando al bambino, avvicinandosi alla pancia con la bocca, le manine a creare una specie di megafono, quando il piccolo non volle saperne più di muoversi, solo qualche piccolo movimento interno che solo Emma poteva percepire.
"Credo si sia rimesso a fare la nanna" dichiarò Emma ad un Leonardo dispiaciuto. "Dovremmo farlo anche noi … è quasi l'una" affermò Francesco, spegnendo tutte le luci. Leonardo, rannicchiato in posizione fetale rivolto verso Emma, giocherellava con le dita sulla pancia. Lei si girò verso di lui, accarezzandogli lievemente la testa.
 
"You are my sunshine, my only sunshine
You make me happy when skies are gray
You'll never know dear, how much I love you
Please don't take my sunshine away"
 
Canticchiò questi pochi versi a bassa voce, mentre le palpebre di Leonardo, strette con forza per obbligarsi a dormire, si rilassavano lentamente, segno evidente che anche lui si era appisolato. Dalla finestra aperta, oltre ai raggi argentati della luna, iniziò finalmente ad entrare un venticello, leggero come un soffio, portando frescura e pace in quella calda notte d'estate.

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** Ferragosto di fuoco ***


Capitolo 21 - Ferragosto di fuoco




 
 
"Allora Giulio … posso chiamarti Giulio adesso, vero?" il ragazzo annuì, mentre stringeva la mano a Vincenzo, uscendo dal suo studio "Speriamo di non rivederci più." "Non in commissariato ma a casa nostra sì" lo corresse Emma, che aveva voluto accompagnare suo fratello in quel giorno importante. Per Giulio, infatti, il periodo di messa alla prova era terminato e quello era l'ultimo giorno in cui avrebbe dovuto presentarsi in commissariato per adempiere all'obbligo di firma.
"Ah sì certo. Allo' tutto chiaro guagliù?" "Assolutamente commissario!" "Adesso puoi anche chiamarmi Vincenzo pure tu, basta formalismi. Siamo praticamente di famiglia."
Giulio si sentì sollevato. Tornando indietro con la memoria ai giorni in cui era arrivato a San Candido e aveva conosciuto la famiglia putativa di sua sorella, provava ancora una forte mortificazione per come si era comportato e per la brutta figura che aveva fatto fare ad Emma. Ma lei era diversa dai loro genitori: badava più alla sostanza che alle apparenze e non le interessavano affatto le dicerie e le impressioni altrui; questo per Giulio non era solo un conforto, ma anche una motivazione a migliorarsi e a sconfiggere quel malessere che sentiva dentro. Al fianco di sua sorella, sentiva meno ansia di dover sempre apparire perfetto e vincente che invece lo opprimevano quando viveva a Firenze con la madre.
Terminati i convenevoli, Giulio ed Emma fecero per  lasciare il commissariato. Prima di andar via, vennero fermati per un saluto veloce anche da Huber.
"Hai visto che bel commissariato che avete messo su, Huber? E tu che avevi tanta paura. Ora starete tutti molto più comodi" "Co-come si dice, Emma: c-chi laascia la via v-veecchia pe-per la nuova sa qu-queello c-che peerde e non s-sa qu-queello cche trova"
Emma guardava al poliziotto dai capelli rossi con affetto e divertimento. A differenza di Vincenzo, che si affannava a pretendere da lui un certo tono, riteneva che la sua presenza dava letteralmente calore e luce in un posto che generalmente è spento e severo. Era il cuore nascosto degli altoatesini, che spesso vengono tacciati come freddi e con la puzza sotto il naso.
"Francesco ti ha avvertito per Ferragosto, Huber?  Vogliamo inaugurare" disse Emma, con un tono gentile, mimando le virgolette "il maso con tutta la ciurma. Non potete mancare."
Il poliziotto la ringraziò. "Jo, danke! È bene fe-feesteggiare ora. Qu-quando nascerà qu-queesta f-fagoottina sarà più diffiicile t-trovare tempo!" "Fagottina? Huber non lo sappiamo neanche noi se è maschio o femmina" "Onkel Huber le s-seente qu-queeste c-cose. Ho avuto ci-cinque figli, ne so qu-quaalccosa di paance!"
Emma si lasciò andare ad una risata di cuore, accarezzandosi la pancia. Non aveva preferenze e l'unica cosa che le interessava è che fosse in salute, ma - superstizioni e tradizioni popolari a parte - non poteva negare una certa speranza che fosse una bambina, ma solo perché, nel suo immaginario, l'immagine di Francesco con una principessina tutta sua tra le braccia le scaldava il cuore di più di qualsiasi altra cosa.
In auto, lungo la nazionale che li conduceva verso Dobbiaco, Emma notò che suo fratello era silenzioso, immerso nei suoi pensieri. Generalmente, quando si vedevano, era un vulcano: raccontava del suo lavoro, volendo dimostrare quanto si fosse rimesso in carreggiata, ma in particolare amava recuperare quanto più possibile della vita di sua sorella, aggiornamenti sul nipotino adottivo e su quello in arrivo.
"Se sei preoccupato per il processo devi stare tranquillo" esordì Emma, gli occhi fissi sulla strada "hai sentito Vincenzo: andrà tutto bene, sei stato bravissimo in questi mesi. E ieri ho parlato anche con l'avvocato, dice che l'udienza sarà una mera formalità per archiviare la pratica"
"Avrei preferito che fosse solo Francesco a riferire all'assistente sociale che scriverà la relazione" confessò il ragazzo "ne sarei stato più sicuro".
I rapporti tra i due cognati erano ormai completamente distesi; non erano migliori amici, la differenza di età glielo impediva, ma Giulio si fidava di Francesco ed il forestale, a sua volta, complice anche il feeling istantaneo del ragazzo con Leonardo, lo aveva preso sotto la sua ala protettiva. Emma non poteva che esserne felice: non che avesse qualche dubbio a riguardo, ma conoscendo i loro caratteri credeva che i tempi sarebbero stati biblici e che entrambi ne sarebbero usciti con lividi e graffi, figurativamente parlando.
Con l'assistente sociale del Comune, invece, c'era stato, soprattutto all'inizio, qualche screzio, ma la mediazione di Francesco e di Vincenzo, nonché il suo percorso di riabilitazione, avevano calmato le acque.
"Non è di sua competenza lo sai, lui può solo riferire agli organi preposti" "Appunto, immagina quanto lo prenderanno sul serio sapendo che è mio cognato"
"Non ci sono problemi per Ferragosto vero? Puoi venire da noi?" domandò Emma, cercando di cambiare argomento, altro non poteva fare. In quella cocciutaggine, del resto, riconosceva un po' anche un po' sé stessa. "Sì, credo di sì." "Hai bisogno di distrarti un po' e credo di avere la comitiva giusta per farlo."
 
In Alto Adige, come nel resto d'Italia, a Ferragosto la vita quotidiana si ferma per un giorno, nonostante la stagione turistica sia al suo massimo e i turisti riempiano strade, ristoranti e alberghi. Lasciato ai sottoposti il compito di pattugliare e stare di guardia, i capi se ne stavano a godersi la giornata al sole e all'aria aperta ospiti dei Neri al loro maso.
Con il costume tradizionale addosso - immancabile nei giorni di festa per la famiglia Fabricetti - ed inforcato il blauer Schurz, l'irrinunciabile grembiule blu di cotone, Huber si appropriò della brace. Il padrone di casa lo lasciò fare, sia mai che l'ospite non si sentisse benvenuto.
"Ah beh!" lo canzonò Vincenzo "si è messo anche il grembiule allora la cosa è proprio seria…" "In Alto Adige, commissario" intervenne la moglie del poliziotto, con il suo marcato accento tirolese "noi diciamo che senza schurz  l'uomo è mezzo nudo! Senza, non può fare nulla." "Perdonami Karin, scherzavo … lo sai che io e Huber siamo cane e gatto, ma poi non possiamo stare separati" "Adesso hai detto una cosa giusta, commissario!" esclamò Francesco, dando una pacca sulla schiena a Vincenzo, con un'energia sufficiente a farlo barcollare per un secondo, e passandogli un braccio attorno alle sue spalle "Però è meglio che inizi a lavorare su questa delicatezza da pachiderma…non ti si addice."
In realtà nonostante le battutine sul suo abbigliamento e suoi modi di fare, Vincenzo fu presto costretto a rimangiarsi tutto: Huber era veramente il re del barbecue. L'unico inconveniente fu che, a causa del calore della brace e della piacevole compagnia, presto la comitiva perse il conto di quanti boccali di birra erano stati offerti al povero poliziotto.
"Vorrei fare un brindisi a questa bellissiiiima giornata" iniziò l'uomo quando, una volta terminate le operazioni di arrostitura, fu anche il suo turno di accomodarsi a mangiare. Le parole scivolavano lisce come l'olio, con sommo stupore di tutti. "Vorrei ringraziare Francesco ed Emma, per averci ospitati qui oggi nella loro nuova casa perché come dice il detto: amico vecchio e casa nuova"
Nonostante gli applausi e i boati di incoraggiamento volti ad interromperlo, il suo discorso continuò imperterrito, proseguendo con il ringraziare ogni singolo commensale, da Vincenzo al piccolo Leonardo, per poi passare ad una lezione sul Ferragosto.  Sua moglie si coprì il volto dall'imbarazzo. "Aveva iniziato così bene" sussurrò Isabella a sua zia. "Isa, ma ancora non hai capito che è ubriaco?!" "E cosa aspettate a fermarlo, non è bello che lo mortifichiate così. Pensa domani come starà male poverino a sapere di questa sceneggiata…" "Stai tranquilla Isa" intervenne Vincenzo, con un occhiolino "un altro paio di minuti e chell' neanche si ricorda come si chiama. Gli si scaricano le batterie e casca per terra comm'a na pera cotta"
"Ma il 15 di Agosto in Südtirol lo chiamiamo Hochunserfrauentag" proseguiva imperterrito, con i bambini che avevano abbandonato la tavola per tornare a giocare, i ragazzi con le teste sugli schermi dei telefonini, le donne che si scambiavano sguardi imbarazzati e Francesco che lanciava occhiatacce a Vincenzo, mimando di nascosto le forbici con le dita "ed è legato ad un altro avvenimento storico: quando le guerre contro i bavaresi ed i francesi facevano paura alla nostra terra, Andreas Hofer …" "Basta Huber, Andreas Hofer anche oggi no!" lo riproverò alla fine sua moglie, che si scusò con il commissario per la figuraccia del marito. Vincenzo, anche lui leggermente brillo, ma ancora in sé, lasciò correre i canti patriottici e persino di fronte a quelli separatisti che uscivano dalla bocca del suo poliziotto riuscì a non indignarsi. Ne aveva viste tante con Huber, non si stupiva più di nulla.
"Chi è Andreas Ho-" provò a domandare Leo che, come una spugna tutto assorbiva e, anche nel bel mezzo di una partita a palla avvelenata, voleva sentire e partecipare ai discorsi degli adulti. Fu prontamente zittito da Lisa, una delle figlie di Huber, che lo riportò a giocare assieme agli altri bimbi, prima che suo padre si sentisse autorizzato a raccontare tutta la storia del patriota tirolese dalla notte dei tempi.
"Forza Huber, perché non vieni a stenderti un po' sul plaid" suggerì Emma, stendendo sotto al grande castagno del giardino la coperta da picnic. Accompagnato dagli amici, Huber si stese e tempo qualche minuto, iniziò ad addormentarsi, farfugliando ancora nozioni sulla regione come fosse una guida turistica, tornando a balbettare lentamente.
"Io direi che è meglio che anche voi restiate lì con lui" suggerì Valeria a Vincenzo e Francesco, lanciando loro due bottigliette d'acqua dalla ghiacciaia "non si sa mai che avete anche voi dell'alcool in eccesso da far evaporare" "Sì anche perché qui abbiamo cose più importanti di cui discutere" precisò Emma, facendo gruppo con Valeria ed Karin "tutine, passeggini, pannolini"
"Amico mio" commentò Vincenzo, sardonico, rivolgendosi al forestale "nascondi la carta di credito. Quelle hanno tutta l'aria di volerne prosciugare un paio…"
 
Nello schiamazzo gioioso e confuso dell'allegra brigata, Emma si accorse che mancava la voce di suo fratello: si guardò intorno e non lo trovò né insieme Klaus ed Isabella, appartati vicino alla legnaia a fare i piccioncini, né insieme ai bambini che giocavano e neanche insieme ai bambini più grandi, quelli che erano finiti a giocare a carte sulla coperta da pic nic come i pensionati del paesello.
Emma radunò qualche piatto e bicchiere sporco, come scusa per entrare in casa e cercare il fratello senza destare sospetti. "Cara vuoi una mano?" si offrì Karin. "No, tranquilla…devo muovermi o prenderò la forma di questa panca" "Ma se sei un figurino …" la riprese Valeria "hai preso almeno un chilo in gravidanza?"
Emma neanche rispose a quella battuta, in quel momento aveva altri pensieri nella testa. "Bimbi vi porto qualcosa? Un succo di mela?" domandò, ma erano troppo impegnati a correre e sudare per badare a lei.
"A noi non chiedi nulla?" domandò Francesco, ironico. "Perdonami signor Neri, ti porto un po' di acqua e bicarbonato per digerire? Sai, con quello che ti sei scofanato a pranzo…" "Ho capito, Giorgi, è meglio se taccio" "Ecco bravo … meno male che voi due non lavorate più con lui" disse Emma, puntando il dito contro il commissario ed il suo vice, facendo l'occhiolino "me lo portate troppo sulla cattiva strada … tra un mese diventa papà e lo avete trasformato in un nonno"
Entrata in casa buttò uno sguardo nel soggiorno, nel bagno degli ospiti e persino nella piccola lavanderia che avevano ricavato nell'ala del maso che era, in passato, usata per gli animali,  ma di suo fratello nessuna traccia. Arrivata in cucina, lo scorse da una delle finestre, seduto sulla staccionata di quello che, prima o poi, sarebbe diventato l'orticello: per ora era solo un pezzo di terra recintato e pieno di erbe infestanti.
Sistemò i piatti nel lavastoviglie, tenendolo d'occhio. Lo vide che aspirava distrattamente da una sigaretta, lo sguardo perso nel vuoto. Quando ebbe finito lo raggiunse in giardino.
"Non buttare la cenere sue mie piante … selvatiche!" finse di rimproverarlo, ridacchiando. Lui rise con lei, mostrandole un bicchiere di plastica che stava usando come posacenere di fortuna. "Questa novità?" domandò Emma, accennando al fumo. Non voleva che passasse da una dipendenza mortale ad un'altra, più lenta e subdola della prima. "Non fumo davvero … avrò rollato 5 o 6 sigarette in un mese" spiegò Giulio, spegnendo la sigaretta: pensò non stava bene fumare al fianco di una donna incinta. "Ho questo pacchetto di tabacco con me per le situazioni d'emergenza."
Non era agitato come quando cercava di convincerla che non era drogato, era tranquillo, limpido, Emma sentiva che poteva fidarsi di lui. "E questa è una situazione d'emergenza?" gli domandò appoggiandosi di schiena alla staccionata. "Lo è sempre quando c'è troppa gente, non riesco a gestire bene la folla, mi sento sotto pressione, come se dovessi dimostrare sempre qualcosa a ciascuno dei"
Lo sapeva bene Emma da dove veniva questa ansia del fratello: i loro genitori, tanto per cambiare. Erano persone di successo che si circondavano di persone di successo: i mediocri, a loro, non interessavano. Da piccoli, ricordava, gli unici momenti in cui li sentiva attenti e vicini erano gli incontri con gli insegnanti o quando venivano messi in bella mostra i progetti scolastici: guai a tornare a casa senza almeno un distinto. Emma era diligente, studiosa, letteralmente innamorata del sapere; ma Giulio, pur intelligente, aveva bisogno dei suoi tempi e delle giuste motivazioni che i suoi non riuscivano a dargli, puntualmente finendo in affanno.
"Di là conoscono tutti la tua storia, eppure sono qui e ti stanno tutti trattando bene. Non è così?"
Annuì, un sorriso amaro. "Che c'è?" domandò sua sorella. "Sono gentili per davvero o solo perché sono tuo fratello?! Non ce l'ho con te, né con Francesco, lo sai non sarò mai grato abbastanza per quello che avete fatto per me, nonostante tutto, ma non è facile ricominciare …"
"Ascoltami bene…" gli disse, forzandolo a scendere dallo steccato e obbligandolo a guardarla dritta negli occhi "Non c'è una persona di là, che non abbia una storia difficile alle spalle da raccontare … ecco, giusto Huber forse, ma è una persona così buona che non vede il male neanche se fosse un muro e ci andasse a sbattare contro. Non sono gentili con te per pietà, né per rispetto nei nostri confronti. Mi hai capito? Mmh?" Giulio le sorrise sincero. Voleva fidarsi di Emma, anche solo perché statisticamente era lei ad avere ragione.
"È una giornata così bella, non lasciarla rovinare dai brutti pensieri. Devi iniziare a pensare al futuro. Anzi, fossi in te io inizierei a progettare cosa fare appena tutta questa brutta storia sarà finita."
"Sarebbe un problema se restassi qui? In Val Pusteria intendo… " "Perché dovrebbe?! Ne sarei felice." "Non voglio tornare a Firenze, non è un posto che mi fa bene. Qui invece mi sento a casa."
Non era la città, Emma lo sapeva bene. Lontano dai loro genitori, anche Giulio non aveva avuto difficoltà a trovare una propria dimensione in cui potersi esprimere al meglio. A San Candido, esattamente come lei, aveva trovato invece delle persone che poteva chiamare famiglia.
"Prima non lo capivo, ma ho bisogno di continuare il mio percorso in comunità" dichiarò il ragazzo "non solo ho la possibilità di rimettermi in sesto, ma posso anche pensare ad avere un nuovo inizio. Ci sono delle idee, dei progetti …"
Giulio aveva chiesto a sua sorella di non chiedergli nulla del percorso che stava facendo finché lui non fosse stato pronto ed Emma aveva rispettato questo suo pudore nella speranza di aiutarlo a venirne fuori il prima possibile. Fino a quel momento, si era limitato a raccontarle della vita al di fuori della comunità, dei lavori socialmente utili, dei corsi professionali … Emma non conosceva le terapie, le discese e le risalite che avevano provocato, anche se dagli occhi del fratello poteva facilmente scorgere e distinguere le buone giornate dalle cattive. In silenzio lo osservava e in silenzio pregava perché tutto si risolvesse.
"Davvero? Giulio sarei felicissima di poterti dare una mano per quanto possibile" "Tutto è ancora nell'ordine delle idee…non partire in quarta! Tu hai ben altro a cui pensare adesso" la frenò Giulio. Il ragazzo le avvolse le spalle con un abbraccio, ridacchiando perché ora con la pancia era difficile stringerla come avrebbe voluto e potuto dopo tanto tempo. Pensare a quanta strada lui stesso aveva fatto, quando aveva dato alla sorella dell'egoista quando stava pensando solo al bene del suo bambino, metteva i brividi anche a lui. Di solito si dice: non si riconosceva. No, lui si riconosceva benissimo; il ragazzo che era stato fino a pochi mesi prima, quello era l'estraneo.
"Innanzitutto voglio terminare l'università, potrei fare il trasferimento all'Università di Bolzano come non frequentante, rimanendo in comunità" proseguì "poi con Klaus vorremmo riaprire l'allevamento di cavalli del padre, ma in maniera completamente diversa. Con la laurea in psicologia aprire un maneggio per ippoterapia non sarebbe una cattiva idea."
"No, non lo è affatto" esclamò Emma, commossa. "Ti ho visto prima, mentre parlavate con Klaus. Non avevo idea che foste amici." "L'ho incontrato in comunità." Le raccontò che dopo il sequestro della fattoria della famiglia Moser alcuni dei cavalli sono stati portati nella comunità di recupero perché gli ospiti in terapia se ne prendessero cura ed il ragazzo si era offerto volontario per insegnare come fare. "Si è ricordato di quando sono venuto a trovarti l'anno scorso e da lì è partito tutto. Lui vuole riportare le sorelle a casa. Io voglio costruirmene una. Ci siamo trovati, ecco tutto"
Dopo un momento di imbarazzo e di silenzio, Giulio riprese: "Perché mi guardi così?"
Emma si rese conto che il suo sguardo a metà tra la commozione e l'orgoglio era più un fissare minaccioso. "È bello che tu riesca a parlare di nuovo con me liberamente. Era questo che intendevo quando sei arrivato qui e abbiamo litigato. Tu puoi dirmi tutto, lo sai vero?" "Ora lo so" "Anche se da fuori può sembrare che io abbia tanto altro a cui pensare … tu sei parte di quei pensieri, non lo scordare mai!"
Era un sollievo per Emma sapere che anche suo fratello stava costruendo una rete di persone di cui poteva fidarsi. La diffidenza era parte di quel percorso. E ci sarebbe voluto del tempo,  lo aveva visto con Francesco, ma alla fine anche lui avrebbe trovato un suo equilibrio.
 
"Non capisco perché non siano venuti con noi…" commentò Vincenzo mentre, spingendo il passeggino con dentro la sua piccola addormentata, passeggiava lungo le vie del centro assieme a Valeria. I Fabricetti, più avanti, correvano dietro ai figli più piccoli che richiedevano a gran voce un gelato.
"Abbiamo invaso casa loro per tutta la giornata e tra un mese Emma avrà un bambino…credo siano un tanto ragioni sufficienti per voler restare a casa a riposare" Valeria credeva di star spiegando l'ovvio, ma evidentemente così non era. Avrebbe anche voluto aggiungere che Emma aveva suggerito persino di lasciare la bambina da loro per avere un po' di tempo da soli ma, per quanto la cosa l'allettasse, non voleva approfittare della generosità della sua migliore amica in avanzato stato di gravidanza e con già un bambino piccolo. E poi, di serate da soli, ce n'erano diverse all'orizzonte. Eva infatti sarebbe arrivata l'indomani per prendere Mela e andare con lei in vacanza al mare per una decina di giorni. Anche per questo motivo risolse che togliere a Vincenzo la bambina, seppur addormentata nel passeggino, non era fattibile.
"A che pensi?" le domandò Vincenzo, notandola assorta. Avevano raggiunto Piazza del Magistrato, di fronte al comune dove, nell'auditorium all'aperto, la banda del paese si stava preparando per un concerto. Non era il massimo del divertimento, ma sempre meglio dei gruppi metal di lingua tedesca che Isabella aveva iniziato ad ascoltare prima che lui lasciasse la foresteria.
"Domani a che ora arriva Eva? Fate voi per le valigie?"
Vincenzo la squadrò, cercando di non dare troppo nell'occhio. Era dolcissima quando provava a restare distaccata, ma non ci riusciva: Carmela per Valeria era un vero e proprio nervo scoperto ed era contento che fosse così; non si sarebbe impegnato con nessuna che non fosse disposta ad accogliere sua figlia nella sua vita totalmente.
"Credo nel pomeriggio. Sì, ci pensiamo noi … guarda che vanno via solo un paio di settimane, eh. Anche perché poi Carmela andrà al nido…" "E chi ha detto nulla? Eva è sua madre … è libera di fare quello che meglio ritiene, purché tu sia d'accordo" "Perché devi fare così?" "Così come?" "Far finta che va tutto bene quando non è così … non usare l'armatura davanti a me, non voglio ferirti"
Valeria si lasciò andare ad un sorriso "Non è per te … non sei tu a ferirmi, anzi. Io vorrei solo proteggervi" "Da Eva?" Valeria annuì, evitando di guardare Vincenzo in volto e schiarendosi la gola. Si era accorta infatti che il sindaco si stava facendo spazio tra la folla per raggiungerli, per invitare Vincenzo, in quanto Commissario, ad andare a sedere nei posti riservati, accanto a lui, ma Vincenzo si era divincolato scaltramente usando la figlia come scusa.
"Vale …" le disse, quando il sindaco si fu allontanato, avvicinandosi a lei prendendole la mano risolutamente, costringendola a girarsi verso di lui "… Eva non significa nulla per me. È la madre di Carmela e resterà per sempre nella mia vita, ma non nel senso che credi tu. Pensavo fosse abbastanza chiaro arrivati a questo punto."
"Lo so, non è per quello … è che pensavo all'ultima volta che Carmela è rimasta da sola con sua madre per più di un paio d'ore" affermò, stavolta guardando Vincenzo dritto negli occhi. Voleva che afferrasse appieno le sue parole. Ci riuscì: l'uomo sentì per un attimo il suo cuore fermarsi e ripartire e un brivido di freddo gli attraverso la schiena. L'ultima volta che Eva aveva passato più di un paio d'ore sola con sua figlia c'era mancato poco che non ottenesse la custodia esclusiva.
Era passato un anno, solo 12 mesi, eppure sembrava una vita. Entrambi erano cambiati e non temeva più che potesse portargli via la bambina. Tra tutti, non poteva credere che proprio Valeria potesse ancora provare rancore o timore nei confronti di Eva per quella storia.
"Non penserai mica che …?" "Eva ti ha detto che verrà a lavorare in Italia?" "Chi ti ha detto questa cosa?" "Rispondimi. Te lo ha detto?" "No." "Lo annuncia sui giornali e non lo dice al padre di sua figlia … ho detto tutto."
Per alcune cose Vincenzo era straordinariamente lento, ma quando voleva sapeva fare anche più di due più due. Era chiaro perché Valeria temesse questa capatina di Eva nelle loro vite. A causa delle solite interviste di Eva, 
che a quanto pareva non aveva imparato nulla dalle brutte esperienze con la carta stampataa ai giornali scandalistici, era stata portata a credere che la donna avrebbe tentato di portare di nuovo via la bambina da Vincenzo, e quindi da lei.
Ma lo avrebbe fatto davvero? Non parlavano molto, il loro principale argomento di conversazione era Carmela, naturalmente, ma non poteva credere che fosse una donna tanto mostruosa da fargli quel torto un'altra volta, pur avendo visto e vissuto le conseguenze in prima persona.
"Senti…" sussurrò, noncurante che la musica della banda potesse coprire le sue parole, perché la mano erano già sulla guancia accaldata e tra i ricci ribelli di Valeria "sono sicuro che sono brutti pensieri, del tutto infondati. Domani le parlo. Ma ti giuro che al minimo sospetto, Mela non si muove da qui. Mmh?"
"Mi piace quando fai il duro... è una cosa che non capita spesso" rispose Valeria, umettandosi il labbro inferiore. Lo faceva sempre quando lo prendeva in giro. Avrebbe fatto uscire Vincenzo fuori di testa, un giorno o l'altro. Un attimo ragazzina fragile, quello dopo una donna indipendente e sicura di sé.
"Lo stai facendo di nuovo" le disse. "Cosa?" "Mostrarti per quella che non sei" "C'è qualche legge che obbliga ad essere solo in modo? Donzella in pericolo o tipa tosta dalle palle quadre?"
"Hai parlato con Emma" affermò Vincenzo. "Che significa?" "Pensi anche tu come lei che io sono fermo all'età della pietra, che sono un maschilista che pensa che le donne devono stare a casa  a fare la calzetta, che l'uomo porta il pane a casa e dovrei aggiornarmi" Così era stato quello l'argomento di conversazione, pensò la forestale. Sapeva che Emma non aveva peli sulla lingua e che il suo stato interessante probabilmente rappresentava una sorta di salvacondotto: difficilmente qualcuno l'avrebbe contraddetta o ostacolato nelle sue condizioni. E ci marciava.
"No, non lo penso" spiegò Valeria,  "e credo che nemmeno Emma lo pensi." Avrebbe dovuto tirare le orecchie alla sua amica, anziché difenderla, ma Vincenzo probabilmente aveva frainteso le sue parole e non era giusto che si facesse un'idea sbagliata di lei. "Ma a volte quello che fai mi spiazza, perché sai essere una persona così…giusta. Però mi piace che tu sia così complicato perché sei esattamente come me"
"Ti piace come sono?" "Mi piaci tu, commissario. Sì." confesso, questa volta guardadolo dritto negli occhi. Era la sera di Ferragosto, ma non per questo Vincenzo si senti avvampare d'improvviso: gli occhi di Valeria, fissi su di lui, gli facevano ribollire il sangue. "Magari anche qualcosa di più?!" "Magari..."
In quel momento, per loro due la piazzetta era improvvisamente vuota. C'erano solo loro e la musica della banda era una melodia ovattata lontana, come venisse da una stanza chiusa e vagamente isonorizzata. Anche la piccola Mela, nel passeggino, sembrava sparita.
Vincenzo sentiva il cuore battergli forte come quello di un ragazzino alle sue prime esperienze: Emma aveva ragione, quelle parole che aveva usato non erano state dette tanto per incoraggiamento. Lo sospettava anche lui, e quella conferma lo galvanizzava. Si sentiva pieno di vita e di energia e che fossero in una piazza gremita di gente e, possibilmente, di occhi indiscreti, in quel momento non faceva differenza. Si sentiva parte di una bolla, calma, ovattata e protetta, dove niente li avrebbe disturbati.
Valeria guardò Vincenzo negli occhi e capì che era arrivato il momento. E si sentiva piccola, ancora più piccola di quello che era. Aveva detto all'uomo che stava di fronte a lei, che non esisteva solo un lato di lei, che sapeva essere dolce ma anche forte e coraggiosa ed era arrivato il momento di dimostrarlo. Più a sé stessa che a lui. Non era il momento migliore perché accadesse, ma non poteva farci nulla: se avessero aspettato che tutto combaciasse, che il luogo, il tempo e le circostanze fossero ideali, l'occasione propizia non sarebbe mai arrivata; bisognava solo buttarsi e rischiare. A milioni di persone prima di loro era andata bene, potevano fare parte anche loro di quel novero fortunato.
Le mani di Valeria si posarono lievemente sul petto di Vincenzo e attraverso la camicia l'uomo poté sentirle tremare, seppur impercettibilmente. Con il braccio sinistro attorno alla vita la attirò a sé, così stretta da riempirsi i polmoni di quel mix fresco e deciso tra natura e caffè. Riusciva anche a distinguere il profumo che metteva tutte le mattine sul collo, dietro i lobi e sui polsi, nonostante i fumi dell'arrosto e il sudore per la giornata calda fossero appiccicati sulla pelle e sui vestiti. Valeria, invece, era concentrata sulle labbra dell'uomo, incapace in quel momento di ricambiare quello sguardo intenso che sentiva puntato addosso, quel piombo colato che si avvicinava al suo viso, man mano che Vincenzo l'approcciava, abbassandosi verso di lei. Forse per la prima volta nella sua vita, Vincenzo non si sentiva goffo e impacciato; semmai,  la sensazione quel respiro caldo, sebbene destabilizzante, lo attraeva e lo spingeva a farsi avanti. Avvolse entrambe le braccia intorno alla piccola corporatura di Valeria e incontrò le sue labbra a metà strada.
Per quanto la giovane donna avesse voluto prendere il controllo della situazione, dimezzando la distanza, già esigua, tra loro, ogni difesa cadde nel momento in cui le loro labbra si incontrarono: sembrò che  il tempo avesse rallentato la sua corsa quando le labbra di Vincenzo incontrarono le sue, mentre il suo cuore accelerò i suoi battiti. Le mani aumentarono la presa sulla camicia dell'uomo a compensare le ginocchia che sentiva deboli. Riusciva solo a pensare a quanto le labbra di lui fossero morbide contro la sua bocca, e a quanto la sua barba, ispida, la solleticasse stimolando i suoi sensi e le avesse creato, pur in poco tempo, dipendenza.
Nessuno dei due sapeva dire quanto tempo fosse passato, né se avessero attirato l'attenzione, ma nessuno dei due aveva intenzione di smettere.
Dello stesso avviso, però, non era il telefono del commissario, che iniziò a squillare nella tasca dei pantaloni.
"Lascialo suonare" esclamò Valeria, prendendo tra le mani il volto di Vincenzo, sentendolo divincolarsi. "No…dai…Vale" la riprese lui, staccandosi da lei "potrebbe essere per lavoro".
In effetti il collega lo avvertiva che c'era stato un grave incidente poco fuori dall'uscita del paese e bisognava andare a fare i rilevamenti del caso. Valeria sbuffò, protestando perché non vedeva la necessità di avere il commissario sul posto quando c'è già il vice reperibile. "Siamo una piccola stazione di polizia, se mando gli uomini in servizio, il commissariato rimane vuoto" spiegò l'uomo, provando a ricomporsi e a darsi un'aria professionale pur sorridendo.
I due si guardarono attorno, ma si accorsero che nessuno stava minimamente prestando attenzione a loro. Vincenzo affidò la bimba a Valeria, lasciandole le chiavi dell'appartamento. "Non mi aspettare sveglia, temo sarà una lunga notte" le disse, posandole un bacio sulla guancia con la mano, mentre andava via.
Sì, pensò Valeria: tra lei e i suoi pensieri, sarebbe stata davvero una lunga notte.

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** Non solo padri ***


Capitolo 22 - Non solo padri




 
"Tanti auguri a te! Tanti auguri a te!" Emma sentì Francesco canticchiarle nell'orecchio, alle sue spalle, con un filo di voce, svegliandola dolcemente "è il compleanno del mio amore, ma il regalo lo fa lei a me!"
Emma sorrise, ancora ad occhi chiusi, stiracchiandosi come meglio poteva e girandosi verso l'autore di quella canzoncina, intento a fasciarle la pancia con un abbraccio, stando molto attento a non pesarle addosso nemmeno con una mano, neanche fosse di porcellana.
"Ehi baby Neri!" esclamò, baciandole la pancia, sotto l'ombelico. "Baby Neri?" domandò la donna, alzandosi sui gomiti. Era arrivata al punto di non vedere più i suoi stessi piedi, e in quel caso, fosse rimasta allungata, quella mongolfiera felice le avrebbe coperto totalmente il volto del marito. "Amore mio, in qualche modo dovrò pur chiamarlo o chiamarla … sta per nascere e ho bisogno di prendere confidenza. Non ho la stessa fortuna che hai tu di viverci insieme h24" "Tra un mese ne riparliamo di questa fortuna…" commentò lei, sarcastica.
"Non mi distrarre …" la rimproverò lui, giocoso, tornando a rivolgersi al pancione, che ormai aveva raggiunto quasi la sua estensione massima "dicevo, baby Neri, hai la minima idea di quanto io ami tua madre?" "Io direi di sì, visto che è proprio per quello che è finito lì dentro" Emma scoppiò a ridere, facendo sobbalzare la pancia, per l'espressione snervata di Francesco che non riusciva ad arrivare al punto del suo discorso. "Ecco appunto … quindi siccome non posso chiudere la porta a chiave come ho fatto per tuo fratello, sei pregato o pregata di chiudere gli occhi perché non credo che tu voglia vedere cosa stiamo per fare io e la mamma …"
Emma fece accertarsi che Leo non potesse interromperli. Non era mai successo, fino a quel momento, ma più che per pudore, Emma temeva spiacevoli situazioni da dover spiegare. Ma Francesco la rassicurò: "È ancora presto perché si svegli …" sospirò, risalendo il tronco della moglie tracciando un'ideale percorso di baci "fidati di me". Si fidava di lui.
"Non ci credo …" rise Emma, tra il divertito e l'incredulo, togliendogli la maglietta. Tornando ad allungarsi, finì per ritrovarsi l'uomo disteso al suo fianco, una mano sulla testa, tra i capelli, e l'altra che, dalla pancia, scendeva lenta e attenta in mezzo alle gambe. Il caldo del mese di Agosto non era nulla al confronto del fuoco che sentiva dentro mentre le labbra del marito trovavano la loro meta, leggermente dischiuse, sul suo collo. "Come puoi volermi anche adesso … così?" gli domandò, in un soffio. Non si sentiva brutta, anzi, non si era mai sentita così sé stessa, ma ne aveva lette tante su mariti lontani, che nell'ultimo mese trattano le mogli come santuari sacri ed intoccabili. "Forse non ti è chiara una cosa" le disse, portandosi con il viso su di lei, fronte a fronte "non starei con te non ti volessi sempre. Sempre."
Lui tornò a baciarla dolcemente, con attenzione, ma non era gentilezza che lei voleva, non quando il tempo correva veloce. Sentiva forti le lancette della sveglia sul comodino e temeva il risveglio del piccoletto nella stanza a fianco, che sentisse rumori che non capiva, che corresse a bussare alla loro
porta. Ma si fidava di lui. La giovane donna avvolse l'uomo con un braccio, tirandolo a sé più che poteva, con l'altro corse a stringere la mano che lui aveva ancora tra i suoi capelli. Le dita si trovarono e si intrecciarono: lunghe, affusolate ed eleganti quelle di lei, tozze e massicce quelle di lui. Emma si trovò a gemere piano, trattenendo tutto il suono nella gola, le labbra serrate. Il braccio di lui scese a cingerle le spalle nel momento in cui, pur controvoglia, si staccarono e lei inarcò leggermente la schiena, per liberarsi dal top che indossava per dormire. In un'istante, Emma si ritrovò una mano calda ed umida ad accarezzarla, scendendo dal collo lungo i seni. La bloccò, stringendo forte il polso, per riportarla dove aveva bisogno che fosse.
Alla luce chiara di un giorno che, irradiando l'intera stanza, prometteva di essere sereno e rovente come i precedenti, le loro labbra tornarono ad incontrarsi; al quel contatto lei si lasciò andare totalmente, lasciando che fosse lui a guidarla, come un cavaliere fa con la sua dama. La loro pista da ballo era un letto e il loro ballo l'amore. Francesco l'accolse contro di sé, come non ci fosse altro posto al mondo dove essere sicuri, come fossero passati giorni senza vedersi né sentirsi.
La paura di venire scoperti svanì dalla testa di Emma non appena il suo volto incontrò il torso bronzeo e tonico del suo uomo.
 
A colazione Leonardo guardava Emma e Francesco stranito ma al contempo felice. Quando abitava dai Moser era un evento raro vedere dei momenti di tenerezza tra i suoi genitori adottivi. Con Emma e Francesco, invece, non mancava mai occasione. Quella mattina più del solito. Emma, in pantaloncini e una maglietta larga - Leonardo non ne era sicuro ma avrebbe giurato fosse di Francesco - scalza e una fascia un po' vintage tra i capelli raccolti per tenere il collo scoperto e fresco, stava appoggiata al piano della cucina, dando le spalle alla finestra, con una bottiglia di latte tra le mani. Francesco, al suo fianco, anche lui in calzoncini e maglietta, apriva le uova, facendo attenzione mentre separava i tuorli dagli albumi. Parlavano e ridevano, ridevano e parlavano. Nel frattempo Emma lo aiutava con gli ingredienti, non mancando di baciarlo ogni volta che si avvicinava a lui, ora per passargli lo zucchero, ora per versare la farina o il latte.
"Perché siete così?" "Così come?" domandò Emma. "Sorridete con la faccia scema" affermò Leonardo, molto candidamente. Francesco, dando le spalle al bambino, schiarì la voce nascondendo una risata; Emma invece, paonazza, provò a salvare la situazione: di certo il bambino non poteva capire, ed erano abbastanza sicuri che non avesse sentito nulla. Quando erano passati davanti camera sua, per andare a fare la doccia, dormiva ancora beato.
"Non abbiamo la faccia scema! Siamo solo felici." "E perché?" "Perché è un giorno speciale …" spiegò il forestale "hai fatto gli auguri ad Emma? Ti ricordi? Oggi è il suo compleanno" "Sì, tranquillo" intervenne Emma "appena è sceso mi ha fatto gli auguri questo bravo bambino"
Emma, per non provocare altre domande, decise di andare a sedersi a tavola, accanto al piccoletto, e Francesco, ai fornelli, un canovaccio sulla spalla, si concentrò sulla frittata dolce tirolese di cui Emma aveva avuto improvvisamente voglia. Il piccolo, tra una pucciata di biscotto e l'altra, guardava Francesco e ridacchiava. "Che c'è ancora?" domandò Emma, sospettosa, prendendo un biscotto dalla confezione aperta davanti al bambino. Sarà stata l'aria di festa, sarà stata l'attività fisica a stomaco vuoto, ma aveva una gran fame. "Francesco cucina!!!" rispose, sghignazzando "È una cosa di femmine!!!" "Non è vero" lo corresse Francesco "è una cosa da grandi" Leonardo fece spallucce, dubbioso "Il mio finto papà non lo faceva mai".
Da qualche tempo, Leonardo aveva preso a chiamare Bruno Moser con l'appellativo di papà finto, in quelle rarissime occasioni in cui l'argomento cadeva su di lui e sui mesi passati con la sua famiglia. Era qualcosa che confortava e spaventava i due coniugi allo stesso tempo: era un sollievo, per loro, che Leonardo avvertisse il distacco, ma d'altro canto una tale presa di coscienza da parte di un bimbo così piccolo implica una sofferenza non indifferente che forse veniva taciuta.
"Ascolta piccolo …" esordì Emma, battendo la mano sulla coscia: divaricando leggermente le gambe riusciva ancora ad avere spazio necessario per farlo sedere. Leo, non se lo fece ripetere due volte. Gli piaceva stare seduto in braccio ad Emma: il suo profumo dolce lo tranquillizzava e quella pancia strana che in qualche modo aveva un bambino dentro che si muoveva e a volte comunicava con l'esterno lo intrigava. "Ci sono delle persone, come Bruno, che pensano che le mamme debbano occuparsi della casa e dei bimbi e che i papà invece debbano lavorare per avere i soldi per fare la spesa. Io e Francesco invece lavoriamo tutti e due e pensiamo che sia giusto dividersi i compiti in casa come c'è bisogno. Se io sono stanca ci pensa lui e viceversa. Anche perché se io non sono a casa e Francesco non cucina voi che fate … non mangiate e restate nella sporcizia?" "Nooo" "Ecco … e così sarà per te quando sarai grande. Se vivrai da solo dovrai cucinare" "Ma io non so cucinare" "Non ti preoccupare imparerai" intervenne il forestale, portando in tavola l'omelette strapazzata con tanto zucchero a velo e la confettura di mirtilli "ti svelo un segreto: Emma non sapeva cucinare niente quando l'ho conosciuta" "E ancora?" protestò Emma contro il marito "e comunque piccolino, non ti devi preoccupare perché c'è ancora tanto tempo … anni, anni e anni … prima devi diventare più alto di me" "Allora io non voglio crescere"
Ad Emma scappò un sorriso ed un sospiro di sollievo "No, amore, nemmeno io voglio che cresci" confessò, posandogli un bacio sulla fronte "E ora vai a sedere che ho tanta fame e questo kaiserschmarren ha un aspetto delizioso"
 
Vincenzo, mentre tirava fuori dall'armadio il piccolo trolley rosa della sua bambina, ripensava alla serata passata. Quando non pensavano, lasciandosi guidare semplicemente dai loro sentimenti, tutto andava esattamente come doveva andare. Niente previsioni, niente calcoli, niente ripensamenti. Solo l'amore che l'uno provava e l'altro ricambiava. Sì, lo ricambiava, ormai non c'erano più dubbi.
Tornato a casa alle quattro del mattino, aveva trovato Valeria addormentata sul divano e non aveva avuto il coraggio di svegliarla. Lui era crollato sul letto dopo la lunga notte e, al suo risveglio, non aveva trovato la donna, ma solo un biglietto sul comodino, posizionato sulla sveglia che aveva impostato al posto suo, in cui lo informava che era dovuta scappare per prendere servizio.
Era, in qualche modo, la sintesi di ciò che Valeria era per lui: il timone della sua nave, colei che, in tutti quei mesi, era riuscita a fargli mantenere la rotta, come padre e come uomo, pur restando invisibile; non l'aveva cambiato, ma la sua presenza era riuscita a tirare fuori il meglio di sé.
Il citofono squillò, rivelando Eva sotto un capello da sole a tesa larga e dei grossi occhiali neri. Vincenzo, vedendola dal video sorrise: se pensava di passare inosservata con quel look, stava fallendo alla grande. Erano a San Candido, non in Costa Smeralda, i turisti vanno in giro in scarpe da trekking, zaino in spalla e, al massimo, un cappello da pesca per ripararsi dai raggi del sole.
"Hola Vincenzo!" "Ciao Eva, benvenuta!" si scambiarono un saluto di cortesia, un bacio sulla guancia fugace mentre la donna correva a prendere in braccio la bambina, che giocava tranquilla sul pavimento della zona giorno.
Come accadeva sempre ogni volta che Eva era in visita, alla bambina occorreva qualche minuto per rendersi conto che la donna che vedeva sullo schermo del telefono del padre non era come i cartoni animati, ma era la sua mamma in carne ed ossa. Con il passare dei mesi tutto diventava più semplice, complice anche la maggior presenza di Eva nella vita della bambina: non era più solo il mittente di tanti regali.
"¡Hola muñequita! ¿Como estas? ¡Te he echado de menos!"
A Vincenzo non dava affatto fastidio che parlasse in spagnolo con la bambina, e anzi trovava che fosse una cosa tutta loro che poteva aiutare a rendere speciale il loro legame, e poi Valeria gli aveva spiegato che essere bilingue avrebbe dato una marcia in più alla bambina. E allora sarà poliglotta, pensò Vincenzo, p
erché Mela avrebbe di certo anche imparato a parlare il napoletano.
"E così è questa la nuova casa?" domandò Eva, guardandosi attorno mentre andavano nella camera di Mela. Era la prima volta che ci entrava, anche se Vincenzo le aveva fatto un piccolo tour con il telefono per controllare che la stanza fosse di suo gradimento, visto che dividevano le spese. "Eh sì … adesso però è un tantino più vissuta. Ti piace?" "Non è male … però casa nostra era tutta un'altra cosa" "Casa … nostra … l'abbiamo venduta Eva, non esiste più." Forse era stato inutilmente severo, ma non capiva questo suo rivangare su un passato che lei stessa, in primis, non aveva voluto. Eva, dal canto suo, capì perfettamente la rimostranza dell'uomo e si scusò per la battuta fuori luogo.
"Hai già preparato la valigia, Vincenzo?" "No, ho solo preparato lo zaino con i suoi giocattoli preferiti" "Meglio così …" commentò la donna, prendendo la bimba in braccio "almeno posso scegliere io, tanto c'è tempo. Vero princesita? Papà non è tanto bravo con la moda come la tua mamita …"
Vincenzo contò mentalmente fino a 10. Per il bene della bambina - e anche della sua sanità mentale - non avrebbe fatto alcun commento, né avrebbe ribattuto ancora a qual si voglia vena polemica.
Il commissario ricordava perfettamente la passione, se non addirittura l'ossessione, della sua ex compagna per la moda. Quando convivevano, i suoi abiti occupavano solo un piccolo angolo della grande cabina armadio che avevano fatto costruire apposta: il resto erano solo scarpe - ne avrà avute una cinquantina, abiti e completi. Li chiamava spese di rappresentanza e, fosse stato per lei, avrebbe provato a scaricarli dalle tasse del B&B. Se non fosse abbastanza sicuro che la bambina sarebbe rimasto con lui la maggior parte dell'anno, Vincenzo si sarebbe preoccupato del cattivo ascendente che avrebbe avuto su Carmela: agli occhi di tutti sarebbe stata una scena carina tra madre e figlia, impegnate a scegliere gli abiti più carini, creando già i look per ogni giorno, ma per Vincenzo era solo un inutile, nonché dispendioso, interesse.
Le lasciò sole per un po', andando a stendersi sul divano. Pensò che fosse giusto che la piccola e sua madre trovassero un po' di intimità prima di partire. Non sarebbe stato facile separarsi dalla bambina per una settimana intera, ma era giusto che passassero del tempo insieme, da sole: con lui attorno, la bambina sarebbe stata sempre portata a stargli vicino, avendo con lui una maggiore confidenza. Prese il telefono e iniziò a cercare sul motore di ricerca l'intervista ad Eva di cui gli aveva parlato Valeria: non l'aveva dimenticata, ma aveva bisogno di leggerla con i suoi occhi per affrontare l'argomento. Non servì molto tempo: non solo la rivista era una di grosso calibro, ma la notizia era stata riportata da altri giornali minori; persino piccole riviste online della provincia avevano ricondiviso l'articolo.
Eva Fernandez torna in Italia, titolavano. Un nuovo progetto per stare vicina alla mia bambina come sottotitolo virgolettato. E giù a raccontare di sé come madre, di come bilanciava il lavoro con la maternità e altre classiche finte storie da copertina che creano empatia con il pubblico e fanno vendere più copie. Finché non avesse tirato in ballo sua figlia direttamente poteva stargli anche bene, aveva bisogno di far parlare di sé per lavorare, è così che funziona in quel mondo, glielo aveva spiegato, ma che non gli parlasse dei suoi piani prima che finissero sulle riviste di gossip, questo non poteva tollerarlo.
"Vale, ya estamos listas" "Che?" domandò Vincenzo, voltandosi, un po' perché sovrappensiero, un po' perché capiva il castigliano, ma Eva spesso parlava veloce come un tornado.
"Oh, scusami, a volte dimentico di dover parlare in italiano, non sono più abituata … dicevo che noi siamo pronte"
Il commissario lanciò un verso di stizza dietro un riso sardonico. "Forse è meglio che ti abitui …" "Come prego?" "No, dico … forse è meglio che ti eserciti un po'" spiegò, alzandosi dal divano "visto che torni a lavorare in Italia." Vincenzo si portò di fronte alla donna, che teneva la bimba tra le braccia. "Chi te lo ha detto?" chiese la donna, come se a venire a galla fosse un segreto di Stato. "Eva, anche a San Candido abbiamo le riviste di gossip e la connessione internet" la sopportazione di Vincenzo era arrivata al limite e il suo tono di voce lo rendeva ancora più evidente. Non solo glielo aveva tenuto nascosto, ora si permetteva anche di recitare la parte dell'indignata. "Te lo ha detto Valeria?" "Non mettere in mezzo Valeria in questa cosa" sbraitò il commissario, la voce ferma e seria "Da chi l'ho saputo non ha importanza, ho visto l'intervista con i miei stessi occhi e fino a prova contraria so leggere. Perché non me lo hai detto?" "Volevo farlo, te lo giuro. È solo che volevo farlo a quattr'occhi e non per telefono." "Però dirlo alla stampa prima che al padre di tua figlia è normale, secondo te?" "Va beh, dai, ora non ti agitare … che sarà mai?! Ora lo sai …" Eva cercava di minimizzare, inframmezzando le sue spiegazioni stentate con un risolino che stava, per quanto riguardava Vincenzo, solo peggiorando la situazione. Era una persona tendenzialmente comprensiva, ma non amava le prese in giro.
"No Eva. Devi dirmelo tu se mi devo agitare" avrebbe voluto gridare e sentiva che lo stava facendo, perché dentro si sentiva ribollire, e le unghie quasi stavano scavando nella carne tanto teneva stretti forte i pugni. Ma doveva mantenere la calma, per Mela e anche per sé stesso, perché l'ultima volta che aveva perso la pazienza con Eva aveva rischiato di perdere l'affidamento della bambina "Mi devo preoccupare?"
"Ma no, che vai pensando. Vedi che ho ragione io a dire che ti lasci influenzare troppo da Valeria …"
Eva, Vincenzo lo sapeva bene, era gelosa di Valeria. Non riusciva a capacitarsi che una ragazza a suo dire non particolarmente avvenente, con un misero gruzzoletto da parte e con una vita banale senza particolari prospettive o aspirazioni se non una vita dietro una scrivania, fosse riuscita a conquistare il cuore del suo uomo al punto da fargli dimenticare la madre di sua figlia in poco tempo. Sì, era vero, lei aveva commesso i suoi errori, ma lui neanche aveva voluto darle un'altra chance.
Quando dimostrava, come in quel caso, la sua possessività, Vincenzo aveva la conferma che aveva solo sprecato tempo. Per Vincenzo, infatti, di chance se ne erano date fin troppe. E Valeria non era stata un rimpiazzo: lui aveva semplicemente smesso di mentire a sé stesso dopo anni.
"Fammelo un favore, Eva. E fallo pure a te stessa. Lascia fuori Valeria" la rimproverò, gesticolando, come sempre quando si agitava. Lei non conosceva Valeria, non aveva idea di cosa aveva dovuto passare e quale peso si era dovuta mettere, ancora giovane, sulle spalle. Non era vero che non aveva sogni, ma aveva dovuto sacrificarli per occuparsi di Isabella e, in un certo modo, anche di lui e di Carmela.
Eva si scusò, sommessamente. Lo vedeva lì, davanti a lei, così protettivo nei confronti di quella ragazza che a lei non diceva assolutamente nulla e sentiva il sangue ribollirle nelle vene. Era gelosa, sì, era inutile mentire a sé stessi. Ma non di Vincenzo … si erano voluti bene, ma per lui non provava nulla più che un tenero affetto, quello che si prova quando un sentimento è passato e si guarda al passato con nostalgia. Era gelosa di un sentimento così, che tira fuori il meglio di te, per cui sei pronto a sfidare il mondo. Lui, per lei, quel passo non lo aveva mai fatto.
"Quindi non mi porti via la bambina?" domandò l'uomo, i toni addolciti. Con Eva era sempre stato così: un momento tenerezza, l'altro parole che volano pesanti di cui pentirsi un'istante dopo. Un  giro perpetuo sulle montagne russe su cui, alla lunga, gli era venuta la nausea.
"Vacanza esclusa? … No, assolutamente" lo rassicurò lei "con i ritmi del set sarebbe sempre con la tata. E poi è giusto che stia qui, questa è casa sua e non c'è posto più sicuro di questo. Ma Milano è sicuramente più vicina di Madrid e quando mi hanno offerto la parte non ci ho messo molto ad accettare. Mi piacerebbe venire a trovarla ogni weekend, se me lo permetti. E magari qualche volta sarete voi a venire a trovarmi."
Aveva sentito e visto tanti colleghi parlare di famiglia allargate in cui il vecchio e il nuovo, in qualche modo, riescono a convivere, civilmente, formando una grande tribù. Voleva provarci anche lei, Vincenzo spesso le diceva di non buttarsi giù, che non era una stupida. Ma con quel caratterino, lo riconosceva anche lei, era difficile andare d'accordo con gli altri.
"Una cosa alla volta" la frenò Vincenzo, rassicurato ma pur sempre guardingo "intanto devi cominciare a lavorare. Di cosa si tratta?"
Eva, iniziò a parlarglidel nuovo progetto, di come aveva avuto la soffiata di questa nuova serie tv e dei provini, di come avesse saputo che aveva ottenuto la parte mentre era alla guida in pieno centro a Madrid e che c'era mancato poco che non tamponasse l'auto che le stava davanti; gli raccontò della trama, del cast e di tutto quello che avrebbe dovuto fare appena finite le vacanze.
Vincenzo stava a guardarla mentre parlava, ammirato, piena di passione per quello che faceva. Eva riconosceva che non si trattava un progetto impegnato, da prime visioni al cinema o premiazioni in grande spolvero con il sfilata sul tappeto rosso; per lei, però, non faceva differenza, ci avrebbe messo tutto l'impegno e la professionalità di cui era capace. Non era affatto superficiale, quella facciata che si era costruita addosso era solo l'unico modo in un cui era stata abituata a sopravvivere in quel mondo patinato.
E, forse per la prima volta, il commissario comprendeva quanto quel lavoro fosse importante per lei; prima l'aveva sempre sottovalutato, probabilmente per una sorta di snobismo e pregiudizio, come se quello fosse solo un gioco e non un lavoro vero e proprio. Non l'aveva mai capita, ma ora si rendeva conto che, in realtà, non le aveva mai permesso di aprirsi.
"Siamo in pre-produzione ma è come se fossimo già a pieno regime" concluse, orgogliosa.
"Io … io devo chiederti scusa" quasi sussurrò Vincenzo, invaso dall'imbarazzo. Non era abituato a tirare fuori quello che aveva dentro, non si usava in casa sua, non era una cosa che dovevano fare gli uomini. "Per cosa?" "Per non averti mai supportata … per non averti lasciata libera di seguire la tua strada" "Vincenzo è stata una mia scelta tornare a San Candido e avere la bambina" "Sì … e poi sappiamo bene entrambi come è andata a finire…"
Il tempo delle recriminazioni era finito: bisognava assumersi le proprie responsabilità. Eva di figli non ne voleva, non si sentiva pronta, ne avevano parlato e lui aveva insistito finché lei non aveva ceduto. Vincenzo aveva anteposto i suoi desideri a quelli di lei, che voleva solo trovare la sua strada, che non era quella che lui avrebbe voluto per lei. Erano in una relazione, ma di fatto a senso unico.
"Davvero Eva, se fossi stato ad ascoltarti ci saremmo risparmiati un sacco di complicazioni" "Ma non avremmo avuto Mela"
Aveva ragione. Il suo amico, Francesco, glielo diceva spesso: le cose non accadono mai per caso; non era sicuro che fosse tutta farina del suo sacco, ma non poteva dargli torto. A Mela, del resto, non avrebbe mai rinunciato.
"Allora vuol dire che qualcosa di buono lo abbiamo fatto…" "Eh già…" concordò Eva "vero muñequita?"
La piccolina, per una volta, sembrò contenta tra le braccia di sua madre. Sorrideva e lo faceva di gusto, gli occhioni cioccolato che le brillavano, come facevano sempre quando era con qualcuno di cui aveva totale fiducia. Giocava in braccio ad Eva, rispondendo alle moine e agli scherzi. La donna, dal canto suo, finalmente riusciva a sentire quel calore che per oltre un anno aveva cercato: non era più solo un esserino a cui doveva voler bene perché era sua figlia, le voleva bene, la cercava, la voleva perché era parte di lei, era un bisogno fisico. Forse non sarebbe stata mai una madre perfetta, forse non sarebbe stata la madre da manuale che sperava, probabilmente avrebbe sempre avuto con sé il macigno di una madre che la vedeva come talento e non come figlia a metterle paura, ma ci avrebbe provato e non si sarebbe più tirata indietro alla prima difficoltà. Ora era sicura che quella bimba paffutella e riccioluta avrebbe voluto bene anche a lei, incondizionatamente e per sempre.
Vincenzo, vedendo la bambina serena, si distese, accarezzandole delicatamente la testolina; decisamente sua figlia era la cosa migliore che avesse fatto nella sua vita.
 
Nel giardino antistante il maso, Emma approfittava della frescura del tardo pomeriggio addolcita dai raggi del sole che, iniziando ad abbassarsi, non sono più roventi come in pieno giorno. A quelle altitudini era facile passare dal caldo afoso a temperature autunnali in meno di ventiquattro ore. La giovane donna ringraziava di quel sollievo, seduta alla panca del tavolo, leggendo un libro e sorseggiando una limonata fresca.
Leo, a cui non interessavano certi dettagli climatici, era impegnato a tirare i calci al pallone contro il muro di pietra della legnaia, le lunghe ciocche di capelli che nessuno riusciva a convincerlo a tagliare imperlate di sudore, il viso arrossato per lo sforzo. Ogni tanto si fermava, attirato dal rumore in lontananza di un'auto o di un trattore che passavano nella strada principale, e, raccolto il pallone, scrutava lungo il viale, nella speranza che un fuoristrada familiare facesse ritorno.
Emma, che per un po' lo aveva scrutato in silenzio, alla fine lo chiamò vicino a sé.
"Stai aspettando Francesco?" domandò dolcemente. Il bambino annuì. "È dovuto andare in caserma per un'emergenza, ma torna presto"
Ad Emma sembrò strano che fosse così impellente, il 16 di Agosto, la presenza del comandante, ma suo marito non si assentava più per lavoro oltre i suoi turni, a meno che non fosse strettamente necessario, quindi doveva essere veramente importante. Era difficile pensare alla forestale come una forza di polizia vera e propria, anche Emma aveva dovuto abituarcisi quando avevano iniziato a vivere insieme: se prima, nel suo immaginario, lo aveva relegato a qualcosa in più di un guardacaccia, ora sapeva bene che i suoi compiti erano ben più ampi e complessi e, in emergenza, non esistevano festivi o ferie. E così, dopo la passeggiata al lago di mattina e il pranzo di festeggiamento in una malga nei pressi del lago, Francesco aveva dovuto rispondere all'appello dei colleghi di turno.
"Sai che facciamo? Adesso andiamo a rinfrescarci con una bella doccia" propose "e sono sicura che quando avremo finito Francesco sarà a casa"
Emma ci sperava, ma intanto avrebbe guadagnato tempo. Nonostante la mattina trascorsa insieme, Leonardo non si stancava mai di trascorrere del tempo con Francesco, che sembrava nato per fare il padre: sapeva come prenderlo, che attività proporgli, persino come richiamarlo senza essere troppo severo né troppo blando. Emma ci provava a stare al suo passo ma, un po' perché rallentata fisicamente dalla gravidanza, un po' perché non aveva mai avuto a che fare con i bambini di quell'età quotidianamente, non si sentiva naturale, sciolta: non se ne faceva una colpa però, ma guardava suo marito con interesse, carpiva i segreti, provava ad imitarlo. Ma quello che succedeva tra i suoi due ragazzi, quando erano insieme, per lei era ancora un mix tra magia e mistero.
Leonardo accettò il compromesso di Emma, un po' perché era stufo di aspettare in vano, giocando da solo, un po' si sentiva davvero stanco: la passeggiata tra i boschi era stata lunga e faticosa anche per lui.
Mentre si dirigevano in casa, il rombo di un motore colse l'attenzione del bambino: c'erano pochi dubbi, quello era davvero Francesco. L'auto, un fuoristrada verde militare, si avvicinava fino a fermarsi di fronte al maso. Il piccoletto guizzò via, in direzione dell'auto, senza che Emma opponesse alcuna resistenza.
Francesco, sceso dall'auto, allargò le braccia per accoglierlo, chinandosi alla sua altezza. Aveva sognato da tanto di trovarsi in una situazione del genere, per molto tempo aveva creduto che solo nei sogni gli era permesso immaginarsi protagonista di una vita simile.
"Papaaaà!!!" urlò Leo, saltandogli addosso. Francesco, ricambiando il suo abbraccio e alzandosi in piedi, per un attimo pensò di averlo immaginato. "Co-come mi hai chiamato?" "Scusa …" disse il piccolo, abbassando lo sguardo, come se avesse commesso il più grave dei delitti "non lo dico più" "No piccolo!" si affrettò a correggersi l'uomo, accarezzandogli il visino e scendendo con la mano fino al mento, per tirarlo su e guardarlo dritto in volto. Povero piccolo, pensò, chissà come gli erano uscite quelle parole per pensare che fosse un rimprovero. "È solo che non me lo aspettavo, non pensavo di aver capito bene" "Io lo so che non sei il mio papà, ma sai fare tutte le cose che fanno i papà e allora io ho pensato che potevi essere tu il mio papà. Vuoi? Tanto io abito qui con te" "Sì..sì lo voglio" affermò l'uomo, baciandogli forte la guancia. "Piangi?" chiese il bambino, ingenuamente. "No … è solo allergia" inventò, sorridendo. Ma stava sforzandosi così forte di non piangere, seppur di felicità, che il naso chiuso e gli occhi arrossati e lucidi gli stavano reggendo perfettamente il gioco.
Emma, invece, defilata, ancora vicina alla porta di casa, non faceva il minimo sforzo per nascondere la sua commozione. Le lacrime scendevano copiose per il suo uomo, perché sapeva bene quanto sollievo quella parola così semplice aveva il potere di dargli. Non le interessava che Leo non avesse neanche provato a chiamare lei mamma, era solo felice per Francesco e la pace che questo legame speciale gli avrebbe dato. Lei aveva accettato questo bambino nella loro vita, era stato normale e spontaneo che diventasse parte della famiglia, ma lo riconosceva anche lei che il legame tra i due era un'altra cosa.
Li vide parlottare tra loro, a bassa voce e, portando il bambino a terra, Francesco si diresse verso il retro dell'auto, da dove tirò fuori uno scatolone. Leo, emozionato e agitato al tempo stesso, guardava il contenuto della scatola con gli occhi ricolmi di gioia ma attento, al tempo stesso, a quello che Francesco, sempre a bassa voce gli spiegava. Qualunque cosa fosse, era tentato di afferrarla con le sue mani ma non osava, non prima che Francesco avesse finito quelle che avevano tutta l'aria di essere delle raccomandazioni.
All'ennesimo sì con la testa del piccolo, Francesco mise lui stesso le mani nella scatola e quello che estrasse lasciò Emma senza fiato. Con il bambino che gli ronzava attorno nel pieno dell'eccitazione, il forestale si incamminò verso sua moglie, stringendo tra le braccia una palla di pelo biancastro e beige, con una decisa striatura bianca che sembra una mezza luna. "Non mi dire …" esclamò Emma, scuotendo la testa "non può essere" "E se invece ti dicessi di sì?" "Come hai fatto? Non si può! Sono esemplari sequestrati, c'è un'indagine in corso, sono…" "…sono il comandante della caserma che ha svolto le indagini, quando ero nelle Forze Speciali ero un conduttore cinofilo, mia moglie è un'etologa esperta in lupi … direi che qualche credenziale per occuparci di Luna ce l'abbiamo"
Entrambi risero. Francesco che muoveva qualche filo per ottenere un favore per sé stesso: questa sì che era una novità. La giovane donna, accarezzò il muso della cucciolotta che era ben cresciuta da quando l'avevano trovata, in quello stesso giardino. Il suo pelo era leggermente schiarito e forse, in futuro, quella macchia che le aveva regalato il nome si sarebbe persino confusa con il resto della pelliccia, le orecchie erano dritte, con le punte leggermente afflosciate e i canini erano spuntati. La piccolina ricambiò, leccandole le mani, ed emettendo degli ululati brevi ed acuti, con maggior forza di quella che aveva quando stava in caserma; non sembrava affatto intimorita: sicuramente l'odore di chi le aveva prestato soccorso era ben impresso nella sua memoria e le risultava familiare e rassicurante.
"Lo so che forse non è il momento" si affrettò a scusarsi il forestale "con la casa appena aperta e il bebè in arrivo ma .." "Va benissimo così" tagliò corto sua moglie "Com'era? In palafitta una branda per chi ha bisogno non mancherà mai? Beh facciamo che vale anche per il maso Neri …" "Luna però non sta in una branda" precisò l'uomo. "Branda, cuccia, piedi del letto…fa lo stesso" "Eh no! Ai piedi del letto no…" "Sì sì va bene come vuoi tu …" Emma ignorò le rimostranze del marito, prendendolo in giro con un gesto della mano per aria e un sorriso furbo.
"Posso papà?" Leo, implorante, tendeva le mani verso la cucciolotta, in punta di piedi per arrivare più facilmente alle braccia del padre. "Ok, ma ricorda quello che ti ho detto". Il bambino, diligente, annuì come se dalla promessa fatta dipendesse il futuro dell'intera umanità. Prese la lupacchiotta tra le braccia con scrupolo, ma non resistette molto prima di abbracciarla e strofinare le sue guance alla morbida pelliccia. Il bimbo iniziò a parlarle liberamente, come se l'animale potesse capirlo, mentre faceva da Cicerone mostrandole il giardino, la casetta dove l'avevano trovata e i suoi giochi, Francesco ed Emma stavano a guardare, compiaciuti.
"Hai sentito?" domandò l'uomo. Era trionfante, come Emma lo aveva visto poche volte; era come se so dei tanti pezzi in cui il suo cuore si era frantumato anni prima, avesse ritrovato il suo posto. Emma annuì, accarezzandogli il volto, e dai suoi occhi traspariva tutto l'orgoglio per quel traguardo che significava troppo per lui. Ma non era tronfio, la sua gioia restava dimessa e riusciva comunque a mettere gli altri - Emma - al primo posto. "Chiamerà mamma anche te, è solo questione di tempo" "Non importa" si affrettò a chiosare lei, serena "sono felice per te. È giusto così: tu gli hai voluto bene dalla prima volta che lo hai visto, quando nessuno ti credeva, nemmeno io"
Entrambi si trovarono a ripensare a quei giorni, quando Francesco vide Leonardo per la prima volta al maso dei Moser, dove Emma lavorava. Il respiro che gli si spezzava in gola, il cuore che perse un battito a vedere quel bambino che dondolava sull'altalena e gli ricordava tanto, troppo, Marco e Livia.
"Ho rischiato di perderti per quella sbandata. Tu aspettavi il nostro angelo ed io mi sono concentrato su un estraneo" Quelle parole con cui Emma gli aveva sputato in faccia tutto il suo disprezzo e la sua commiserazione ancora bruciavano, indelebili come una cicatrice da ustione, monito per un errore da non commettere mai più. Emma, però, scosse la testa, a voler scacciare quel ricordo di parole che sapeva di aver detto ma che non riconosceva come sue. "Abbiamo sbagliato entrambi: indipendentemente dal sangue o dal DNA tu lo hai sentito tuo fin dal primo momento, io no"
Emma non credeva al caso, ma al destino sì: era andato, secondo lei, esattamente come doveva andare, non c'era da criticarsi o fasciarsi la testa per cose al di fuori del proprio controllo. Bisogna invece prendere quello che veniva e trarne il meglio: avevano perso il loro bambino, ma sulla loro strada ne era arrivato un altro, bisognoso di tutto quell'amore che loro avevano da offrire e con il quale costruire una famiglia, proprio loro che, una famiglia, non sapevano nemmeno come cominciare a costruirla.

Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** Nono mese o Piccoli Grandi Traguardi ***


Capitolo 23 - Nono mese o Piccoli  grandi traguardi
 



 
"Zia mi presteresti il tuo top rosso?" domandò Isabella, spalancando la porta del bagno, senza chiedere permesso. In foresteria erano rimaste da sole, e Isabella ormai si era sistemata proprio come fosse casa sua in tutto e per tutto, appropriandosi anche della stanza dove prima dormivano Vincenzo e sua figlia. Si trovò davanti la zia, avvolta in un telo da bagno, i capelli raccolti in un turbante e la faccia impiastricciata dall'argilla ancora fresca che passava il rasoio sulle gambe. "Vai da qualche parte?" domandò la nipote, prima che la zia potesse rispondere alla sua richiesta e distrarla dalla sua curiosità. "C'è bisogno di dover andare da qualche parte per coccolarsi un po'?" puntualizzò Valeria "e comunque…che ci devi fare con il mio top rosso? Ne hai uno anche tu!" "Ma il tuo è più carino e stasera Klaus mi porta a ballare, non voglio andarci come una contadinella o la figlia di un taglialegna"
Klaus era cresciuto tra i cavalli e le rigide regole dei völkischen econazisti, la sua massima esperienza di divertimento era un falò durante un campeggio con i genitori o la lettura di Schopenhauer e Nietzche. Da quando era riuscito a staccarsi dall'influenza malsana di suo padre, lavoricchiando e frequentando la scuola, insieme alla sua ragazza si stava avvicinando ad un mondo più adatto alla sua età. Conservando le sue passioni, certo - la lettura e la fotografia - ma senza disdegnare una serata in comitiva con della musica e qualcosa da bere.
"Va bene, prendilo, ma se trovo una macchia sei morta. Patti chiari, amicizia lunga!" "Grazie, zia!" esclamò la nipote, mandandole un bacio con la mano "tanto con Vincenzo è meglio se rimani sul semplice, l'ultima volta che ti sei messa in ghingheri non è andata molto bene"
"E te che ne sai che vedo Vincenzo?" "Perché c'è del vino in frigo … guarda caso del tipo che piace a lui … e qui non se ne beve da quando lui è andato via" "E va bene …." "Qui o da lui?" "Da lui, mi ha invitato a cena" "Ah beh se è così allora se non ti dispiace vado a dormire da Klaus" "Non se ne parla nemmeno. Tu torni a dormire qui signorina, questa sarà pure una foresteria, ma non è un albergo" "Perché tu sì e io no?" "Che significa? Vado solo a cena a fuori."
Per un attimo, i ruoli tra le due si invertirono. Isabella guardò la zia con lo sguardo di chi la sapeva lunga e non si sarebbe mai bevuto quella scusa. Ovviamente voleva solo che sua zia fosse felice: non avevano avuto un inizio facile, quando si erano trovate a vivere insieme dopo la morte della madre, ma Valeria aveva saputo conquistare la sua fiducia. E per l'autorità, nella quale a volte la giovane forestale era deficitaria, c'era Vincenzo; quello era un altro motivo per cui Isabella tifava affinché la situazione andasse al sodo: in lui aveva trovato la figura paterna che le era mancata quando il padre aveva fatto armi e bagagli e se n'era andato in giro per il mondo a scalare montagne lasciando lei, sua madre e una casa distrutta.
"Che c'è?" domandò Valeria, vedendola sorridente mentre usciva dal bagno. "Niente…pensavo…" "A cosa?" "Se fai tanto la misteriosa significa che di questa seratina non sa niente nessuno. L'hai detto ad Emma, vero?" Valeria non rispose, tuffandosi nell'acqua calda con cui aveva riempito il lavandino per togliere via la maschera. "Ah…e così non l'hai detto neanche alla tua migliore amica!!! Oh zia sei in un mare di guai" Isabella gongolava, la voce acuta e dai toni beffardi. "Non ti azzardare a dirle nulla, Isa" le intimò Valeria, seria più che mai. Niente di personale con Emma, non c'era un particolare motivo per cui non volesse renderla partecipe, sentiva però di dover fare questa cosa, qualsiasi cosa fosse, senza che nessuno mettesse bocca o fosse sugli spalti a fare il tifo, mettendole pressione. Lei e Vincenzo non erano attori e quello non era uno spettacolo. Quando fosse stata sicura e pronta, Emma sarebbe stata la prima persona con cui parlare.
"Beh se non vuoi che parli …" "Cosa vuoi?" domandò sua zia, arrendendosi. "Restare a dormire da Klaus, semplice. Così non avrò la più pallida idea del se o del quando rincaserai" "Questo è un ricatto bello e buono, però." La ragazza fece spallucce. Come dire: o mangi questa minestra, o ti butti dalla finestra! La sua non era una famiglia, pensò Valeria, era un'associazione a delinquere. Ma non poteva rischiare e finì per assecondare la nipote, con tutte le raccomandazioni del caso. Odiava fare la parte dell'adulta responsabile e bacchettona, quando, a conti fatti, era la prima ad uscire dai ranghi, ma sapeva cosa si provava, da ragazzi, a fare una cazzata che ti cambia la vita e non voleva che accadesse anche ad Isabella.
 
Valeria parcheggiò l'auto di fronte al condominio di Vincenzo. Tirò su il freno a mano violentemente, aggrappandosi con tutte le sue forze alla leva come se da quello dipendesse la sua vita. Tirò su un gran respiro. "Non fare la cretina!" si rimproverò, controllando il trucco allo specchietto dell'aletta parasole. Non doveva finire come l'ultima volta che avevano trascorso una serata insieme, stavolta ce l'avrebbe messa tutta. Bisognava solo che fossero sé stessi, senza finzioni o ipocrisie: si conoscevano e non avevano bisogno di recitare alcuna parte per convincersi di poter funzionare.
Prese la bottiglia di vino - non aveva perso nemmeno tempo a metterla in un pacchetto - e s'incamminò verso il portone. In lontananza, sull'altopiano che si stagliava alle spalle del palazzo, gli alberi assumevano diverse ombreggiature, a seconda di come i raggi del sole, al tramonto, si posavano su di loro; qua e là, nel verde cupo dei boschi e quello brillante dei prati, si poteva già scorgere un accenno del goldener Herbst, come lo chiamavano da quelle parti, l'autunno dorato che li aspettava di lì a breve, con i larici che si tingono di giallo a fare da contrasto al bianco delle cime e al blu del cielo. Non c'erano molte cose che le erano mancate di casa, ma la magia della natura che vive tutt'intorno, quello sì.
 
"Ma come, non dovevi portare la birra?" domandò Vincenzo, prendendo la bottiglia di vino dalle mani di Valeria. "Non volevo correre il rischio di trovarmi tua madre alla porta" fece notare Valeria, scherzosa, ricordando la battuta fatta dall'uomo "hai detto tu che per certe cose ha un sesto senso da paura" "E pure tu tieni ragione … vieni, accomodati!"
C'era tensione tra i due, ma si percepiva che era positiva e non quell'imbarazzo ostile che frena ogni buona intenzione. Entrando nell'appartamento, infatti, si erano scambiati un bacio fugace, forse un po' goffo, a metà tra le labbra e le guance, incerti o meno se dare seguito a quanto accaduto un paio di giorni prima. Valeria aveva ancora impressi nella memoria quei pochi minuti che le erano parsi un'eternità, il contrasto tra le labbra morbide e la barba pungente e il calore delle braccia che l'avevano accolta. Si era sentita su una nuvola ed era pronta a provare ancora quella sensazione di benessere.
Vincenzo, dal canto suo, si sentiva libero da ogni preoccupazione o timore come non gli era mai capitato. Aveva sbottonato la camicia e arrotolato le maniche, ma non era solo per praticità ai fornelli: sciolto da ogni vincolo e da ogni pressione, non sentiva più l'affanno di dover provare a meritarsi quello che stava vivendo; com'era Valeria lo sapeva, tutto - pregi e difetti - era finito sul piatto e Valeria era pronta a prenderlo con sé.
"Mmm che profumino …" si complimentò la forestale, sedendo allo sgabello della penisola da cui osservava Vincenzo all'opera davanti ad una padella di vongole che aspettavano solo di ricevere gli spaghetti al dente "dove lo hai trovato tutto questo ben di Dio? Il mare non è esattamente dietro l'angolo …"
"Ho scoperto che gli alberghi qui intorno sono pieni di cuochi napoletani … mi sono raccomandato ad uno di loro. Essere il commissario ogni tanto ha i suoi vantaggi" ammise, un po' imbarazzato. "Ma sì, dai! Ogni tanto ci sta … e poi l'hai pagato, mica hai chiesto una fornitura gratis in cambio di uno sconto su una multa!" Vincenzo tacque, guardandola, ambiguo. "Non mi dire che veramente non l'hai pagato?" Vincenzo scoppiò a ridere, non poteva credere di avergliela fatta
Era piacevole scherzare e prendersi in giro apertamente, senza paura di offendere, ridere anche di fronte alle battute più stupide di cui di solito ci si vergogna o per le quali si sorride per forza, per non sembrare sgarbati.
Fu una serata a misura loro, senza affannarsi a piacersi, perché sapevano già che era così, senza cercare di apparire migliori, perché non dovevano temere il giudizio dell'altro. Erano totalmente concentrati sul presente, godendosi ogni minuto che trascorrevano insieme, ogni brindisi, ogni risata, ogni boccone, persino il bisticcio per chi dovesse sparecchiare la tavola a fine pasto; sapevano che sarebbe arrivato un momento in cui pensare a cosa fare nel dopocena, se salutarsi, darsi un nuovo appuntamento oppure continuare la serata; ma non era il loro pensiero fisso: l'unico obiettivo, per entrambi, era stare bene insieme.
Si spostarono sul terrazzino del salotto che affacciava sulle montagne ormai illuminate dalle stelle che tra impuntivano il cielo in quella serata limpida e gradevole di fine estate. Valeria si accomodò sul divanetto in legno che arredava il balconcino assieme ad un tavolino. Fosse stato per Vincenzo, l'unico arredo sarebbe stata una corda per stendere il bucato, ma - e aveva dovuto convenirne anche lui - l'opzione di Valeria era stata di gran lunga migliore. La giovane donna tolse i sandali e poggiò i piedi, nudi, sul tavolino basso di fronte a lei. Non sarebbe stata una cosa carina da fare, ma si sentiva a casa, sapeva che Vincenzo non avrebbe detto nulla.
L'uomo le porse una coppa di gelato. "Abbiamo anche il dessert …!" enfatizzò Valeria. "Beh l'altra volta non l'abbiamo preso" chiosò Vincenzo, sedendosi accanto a lei. Provò a mostrare nonchalance, ma era difficile restare indifferenti, nonostante il tenue barlume di una candela alla citronella, alle gambe toniche e appena abbronzate in bella mostra davanti a lui grazie ad un abitino a fiori che a lui sembrava più un copricostume.
"L'altra volta non c'era niente per cui valesse la pena chiudere la serata in dolcezza" considerò Valeria, guardando il paesaggio, assorta. Oltre i tetti delle case vicine, sui monti intorno si scorgeva qualche luce accesa dai masi e dai rifugi che coglievano al massimo le opportunità e le ricchezze offerte dalla bella stagione. Ma non era, in fondo, quello che facevano tutti? Fare il pieno di vita nei luminosi e caldi mesi estiva, prima che l'inverno li riportasse nel chiuso delle proprie case e al buio delle giornate sempre più corte. Quello che, sperava, potessero fare loro, magari quella sera stessa.
"E questa lo merita?" domandò il commissario. "Decisamente. Sono stata bene" affermò la giovane "anzi, sto bene. Molto bene."
Quel suo modo di fare, come se quello che accadeva tra di loro fosse la cosa più naturale del mondo, la distratta disinvoltura con cui stava gustando quel gelato, mandava Vincenzo fuori di testa. Sembrava assurdo, ma era esattamente quello che aveva sempre cercato; era bella, da paura, e averla lì a suo fianco, docile e ribelle allo stesso tempo, gli faceva ribollire il sangue, ma non era solo per quello: poteva smettere di affannarsi ad essere chi non era, perché l'uomo migliore ce l'aveva già dentro, bastava che qualcuno lo accettasse per come fosse.
"Uhm non ti ho chiesto…" scattò Valeria, di punto in bianco "poi com'è andata con Eva?" "Tutto bene, come ti ho detto" Vincenzo tagliò corto. Quando si erano sentiti per l'invito, dopo che Eva e la bambina erano partite, lui le aveva detto di stare tranquilla, che Mela non gliel'avrebbe portata via nessuno, ma non aveva approfondito perché voleva che capisse che, per lui, Eva apparteneva al passato.
"Quindi non torna in Italia?" "Sì che torna, ma la bambina rimane qui" "E tu ti fidi?" "Vale" la fermò risoluto, il dito indice che premeva sulle labbra di lei "dobbiamo parlare di Eva?" Valeria tacque, scuotendo la testa. Aveva ragione, stavano andando così bene, non c'era alcun motivo per rovinare tutto.
In quel momento però, non aveva margini per far spaziare il suo pensiero. Tutta la sua concentrazione puntava a quel dito che ancora si soffermava sulle sue labbra. Non era un'educanda e non avrebbe fatto finta che la cosa non la eccitasse. Ma doveva andarci piano perché lei era Valeria e Vincenzo … beh lui era Vincenzo, non sapevi mai cosa aspettarti da lui: un attimo rigoroso, l'attimo dopo pronto a sovvertire ogni sua abitudine. Ma era anche questa dose di imprevedibilità che aveva colto la sua attenzione, del resto.
Vincenzo mosse leggermente il dito verso l'angolo della bocca e con il dorso pulì un piccolo baffetto di gelato che le macchiava il bordo del labbro superiore.
"E cosa dovremmo fare allora?" domandò lei, da finta ingenua. "Io una mezza idea ce l'avrei" confessò l'uomo, la voce roca, calda, come uno dei caffè che lui aveva preparato per lei tante volte in foresteria, mentre con l'altra mano delicatamente le sfiorava la schiena. Valeria. Tolse i piedi dal tavolino, e sentì un brivido lungo tutto il corpo che la incoraggiò a fare la sua parte; alzandosi, prese la ciotolina dalle mani di lui e tornò all'interno, ancora scalza, facendo attenzione a che recepisse, attraverso il suo sguardo e un'andatura leggermente ancheggiante, il suo invito ad entrare in casa. Non fece in tempo ad arrivare al lavandino nella zona cucina che le note marine del profumo di Vincenzo la cogliesse di spalle prima ancora che le braccia dell'uomo la cingessero. Percepiva il viso dell'uomo muoversi lungo il collo tra i ricci del suo caschetto, provocandole una lieve ma piacevole sensazione di solletico che si trasformò in una scossa, non appena le labbra si fermarono a lasciarle un bacio, laddove sentiva forte, per l'emozione, il sangue pompare verso la testa.
"Perché ci abbiamo messo tutto questo tempo?" le sussurrò Vincenzo all'orecchio. "Perché siamo due stupidi, ecco perché…" Valeria si voltò e stavolta si sentì sicura abbastanza da non staccare un attimo lo sguardo dell'uomo, il suo uomo, guardandolo dritto negli occhi, neri come il cioccolato fondente del gelato che avevano mangiato, le insicurezze svanite come gli abiti che di lì a poco avrebbero cosparso il pavimento. Avevano passato mesi a non dirsi nulla, ad ignorare quello che sentivano ed ora, clamorosamente, tutto quello che provavano stava venendo fuori senza dirsi una parola.
Appoggiati al bancone della cucina, stavano stretti l'uno all'altro, incollati quasi, come se non fossero due persone ma una cosa sola; non c'era il rischio che i vicini guardassero lo spettacolo dalle finestre aperte: freneticamente, le loro mani erano corse all'interruttore sulla parete per garantirsi la privacy necessaria, non era della vista che avevano bisogno.  
La tirò a sé, reclamando la sua bocca, avido e intenso, mettendo a tacere tutti i loro pensieri con i loro sapori che si mischiavano. Vincenzo non aveva una fisicità dirompente, di quelle che una donna desidera di poter avere per sé guardando un film o sognando di notte, né lei si sentiva una modella di Playboy; ma avevano giocato troppo con il fuoco perché, alla fine, non divampasse un incendio.
 
La prima cosa che Valeria notò, svegliandosi, prima ancora di aprire gli occhi, fu la fragranza di dopobarba che riempì il suo respiro. Con la testa sprofondata nel cuscino, era come fare il pieno di lui prima ancora di vederlo, sentirlo o toccarlo. Si lasciò scappare un sorriso, serena e appagata.
"Siamo di buon'umore" commentò Vincenzo, entrando in stanza con un vassoio da colazione e poggiandolo sul letto. Valeria si tirò su e iniziò a rovistare tra le lenzuola e il pavimento per cercare gli slip e il reggiseno, ricomponendo quella chioma informe che la notte le aveva lasciato. "Metti questa" le disse l'uomo, sorridendo timidamente mentre le passava una sua maglietta bianca "il reggiseno è di là". Era abbastanza sicura di non essere arrivata vestita in camera da letto, ma era troppo impegnata da altro per ricordare quel dettaglio.
"Grazie" esclamò, ancora un po' sonnacchiosa, stiracchiandosi dopo aver infilato la t-shirt. Vincenzo si avvicinò a lei, poggiandole un bacio sulla guancia. Valeria però non era soddisfatta: accarezzò il viso dell'uomo, grattandogli leggermente la barba ispida, e gli stampò un lungo bacio sulle labbra. Ora che poteva, era ben decisa non fare più tanti complimenti. "Dormito bene?" le domandò sedendosi di fronte a Valeria che aveva portato il tavolino sopra le sue gambe incrociate. Valeria annuì soddisfatta, come una bimba alle giostre. "Ho messo un po' di tutto visto non mangi mai la stessa cosa a colazione" Era vero e quasi si commosse all'idea che lui se ne fosse ricordato. "Se ti va qualcos'altro basta chiedere" "No" scosse forte la testa, accarezzandolo di nuovo, dolcemente "va benissimo così."
Presero il caffè, che per l'occasione aveva fatto come si deve, come diceva lui, alla cuccumella, e un po' di pane tostato con burro e marmellata che era un po' la sua madeleine, il ricordo delle colazioni a casa della nonna con le confetture e il burro che si facevano ancora in casa quando lei era bambina. Mentre facevano colazione, Eva inviò delle foto di Mela in costume da bagno che faceva i suoi primi castelli di sabbia. Si persero a parlare di lei, di come sarebbe stato fare coppia con la bambina; non erano preoccupati: in fondo, lei li aveva sempre visti insieme.
"Non ti sto mica creando problemi a trattenerti qui?" chiese Vincenzo, notando che l'ora della colazione era sforata da un pezzo. "Non finché non lo fai con la forza" ironizzò la giovane, strizzando l'occhio "no tranquillo, sono in ferie per qualche giorno." "E tua nipote? Di sicuro vorrà qualche spiegazione quando tornerai in foresteria … " "Isa? A parte che non c'è bisogno di spiegarle nulla perché sa già tutto quello che c'è da sapere … comunque è rimasta a dormire da Klaus" "E tu l'hai lasciata fare?" "Diciamo che è stato un compromesso necessario per essere qui adesso." "Beh allora…" Vincenzo alzò le mani, in segno di resa. Stava aiutando Valeria nel fare un po' da genitore alla ragazza e anche lui, come lei, sentiva forte il senso di responsabilità nei suoi confronti. Ma sapevano anche che - gusti musicali a parte - lei e Klaus erano quasi noiosamente affidabili e, al di fuori di qualche bagno nel lago fuori stagione o una campeggio in quota, non davano loro grandi preoccupazioni.
"Cosa vuoi fare oggi?" domandò l'uomo "Sono in ferie anche io, sai …" "A parte stare nel letto tutto il giorno a non fare niente?" chiese Valeria, ironicamente, spaparanzandosi di nuovo nel letto. "Potremmo riprendere la mezza idea di ieri sera, che ne dici?" propose.
L'uomo si portò su di lei, togliendo di mezzo il vassoio. Valeria spostò un ricciolo scomposto che gli era sceso sulla fronte; sempre ben pettinato, non si era mai resa conto di quella chioma ribelle, esattamente come la sua. "Mmmm…mi piace fare l'amore con te" confessò l'uomo, tra un bacio e l'altro "ma prima o poi dovremmo lasciarlo questo letto …", rammaricato di dover ricordare l'inevitabile. "Noooo non vogliooooo!!!" esclamò Valeria, imitando la lagna di bambina capricciosa; si aggrappò al collo e ai fianchi di Vincenzo con braccia e gambe, ridendo fragorosamente quando, perdendo l'equilibrio, quasi le cadde addosso, schiacciandola. Per non pesarle addosso, lui rotolò nel letto e fece in modo che Valeria finisse seduta sopra di lui. Rialzandosi, lei posò le mani fermamente sul suo sterno. "Posso chiederti un favore?" "Tutto quello che vuoi…" "Lasciamo le cose così come stanno per un po'." "Che cosa significa?" domandò Vincenzo, perplesso: aveva sinceramente paura che potessero fare 10 passi indietro per quel passo avanti, seppure enorme, che avevano appena fatto. "Non diciamo niente a nessuno … almeno finché non torniamo a lavoro. Poi si vedrà."
Vincenzo tirò un sospiro di sollievo. "Va bene" rispose "ma … ma perché? Lo sai … non sono un tipo romantico, non ho bisogno di passeggiate mano nella mano, né tantomeno andare in centro ad esibirsi … ma penso sia un segreto di Pulcinella che … come dire … ci stavamo provando. L'hai detto anche tu che tua nipote ha capito."
"Sì ma un conto è una persona e un conto sono i tremila sancandidesi che ci conoscono. Tra cui vorrei ricordarti che ci sono Huber, Francesco, Emma …" spiegò, alzando gli occhi al cielo "io non ho dimestichezza con le relazioni a tempo indeterminato e finora ognuno di loro si è sentito in dovere di dire la sua."
Vincenzo lasciò andare un sospiro, pur sorridendo. Era vero che si erano impicciati, ma era anche vero che, senza una spintarella, quella mattina non sarebbero stati lì, lei con una sua maglietta addosso, seduta su di lui, a discutere della loro relazione. Non ci sarebbe stata nessuna relazione, ad essere precisi. "Per un po' voglio provare a camminare da sola." "No" replicò Vincenzo. "Come no?" "Non da sola. Con me."
Valeria gli sorrise, sollevata. Lo prese per il collo della maglietta, nonostante le sue rimostranze, e lo attirò a sé per baciarlo, le mani di lui che le accarezzavano le cosce e risalire su, sotto la maglietta. Finalmente aveva conosciuto anche lei cosa si provava ad avere qualcuno che puoi chiamare tuo. Era una sensazione di perfetta felicità e pienezza, l'avrebbe stretta a sé forte come forti le sue braccia si stringevano al collo del suo uomo.
 
"Pensi che abbiamo comprato mica troppe cose?" domandò Emma, perplessa, mentre Francesco poggiava a terra, nella stanza del bebé, buste di tutine, body, pannolini e quanto altro fosse necessario per un bimbo appena nato, almeno agli occhi di una madre alla prima esperienza.
Era arrivato il momento di preparare la borsa per l'ospedale, visto che, sebbene procedesse tutto regolarmente, nessuno poteva escludere scherzetti come un parto anticipato; Emma a suo dire si era lasciata prendere la mano, ma tra gli scaffali del reparto 0-6 mesi ci avrebbe passato un'intera giornata con gli occhioni a cuoricino e l'imbarazzo della scelta. Non era mai stata una spendacciona, lo shopping era una cosa che faceva per necessità e per passare del tempo con la sua migliore amica, ma ora era tutta un'altra cosa: era un modo per sentire ancora più concretamente, se ce ne fosse bisogno, che stava per diventare mamma.
"Credimi amore, dopo il primo mese ti chiederai se forse non erano troppo poche ..."
Francesco ricordava come fosse ieri quante tutine non durassero neanche 5 minuti addosso a Marco, per via di un rigurgito o un bisognino più abbondante del solito. Ricordava bene quanta poca voglia, forza o tempo ci fosse, spesso, di lavare tutto subito: meglio allora avere un armadio pieno che, doversi affannare. E poi, su una cosa Emma aveva ragione: i negozi per bambini erano un girone dell'inferno, perché non si riesce a non essere attratti da qualcosa. Erano determinati ad acquistare solo tutine dai colori neutri, visto che non avevano voluto conoscere il sesso del nascituro, ma c'era mancato poco che Francesco non imboscasse, tra le tutine bianche, gialle o con stampe di animaletti, una tutta rosa con la scritta "Sono la principessa di mamma e papà". Si fosse visto così qualche anno prima, probabilmente si sarebbe tirato uno schiaffo da solo. Ti sei rammollito, si sarebbe detto. Ma non si era mai sentito meglio di così, e non avrebbe cambiato di una virgola le cose.
"Dai, ci penso io" le disse, vedendola chinarsi per vuotare le buste "riposati un po' che se sei stata in piedi tutto il pomeriggio" "Tranquillo, devo solo togliere un paio di cose, il resto va tutto lavato, ma lo faccio domani con calma" "Allora vado a sistemare camera di Leo … e domani ti aiuto" la avvertì, con un copione che ormai andava avanti da settimane: Emma provava a convincerlo di essere in grado di … esistere, in sostanza, e lui che la trattava come una fragile statuetta di cristallo.
In meno di una settimana il bambino avrebbe iniziato a frequentare l'asilo ed andava completato il corredino anche per lui. Entrando in stanza, dalla finestra aperta l'uomo sentiva il bambino giocare con Luna in giardino; si affacciò brevemente, per controllare: la cucciolotta era davvero ancora troppo piccola per impensierirlo, ma nei mesi a venire avrebbe dovuto lavorare con lei che, crescendo, avrebbe potuto non controllare la sua forza in quelli che, per lei, sono solo giochi.
Mentre appendeva alle grucce i grembiulini a quadretti azzurri e il giacchino nuovo - il piccolo cresceva e addosso i vestiti gli duravano a malapena una stagione - ebbe un flash, come un déjà-vu; sì, quegli stessi gesti li aveva già compiuti tante volte, o così a lui sembrava, anche se spesso era lontano da casa e il "mestiere" di padre era quello che praticava meno durante l'anno. Ora, passando giorno dopo giorno insieme a Leonardo, si rendeva conto di quanto poco tempo avesse dedicato a Marco, mettendo la sua carriera militare al primo posto. Gli piaceva tornare a casa, le coccole, i giochi, i weekend fuori porta e le sere passate a raccontare quelle che, alle orecchie di un bambino, sembravano le imprese di un eroe. Lo faceva sentire importante e, forse, gli ripuliva la coscienza da quelle che, in realtà, erano pesanti assenze. Forse, in cuor suo, anche allora lo sapeva. I giorni di licenza duravano sempre di più di quanto volesse; adesso, invece, non riusciva ad immaginarsi lontano da casa più delle ore previste dal suo turno di lavoro. La differenza, ormai era chiaro, la faceva la persona che aveva al suo fianco.
Fino a qualche mese prima, sicuramente, a quella considerazione, se ne sarebbe fatto una colpa, ma ora non più: nessuno ti insegna a fare il padre e si va avanti per tentativi, evitando di sbagliare e correggendosi. Non era un tipo da trovare scuse, ma era realistico pensare che, le circostanze in cui era avvenuta la sua prima paternità non lo avevano favorito: tra una licenza e l'altra Livia si era accorta di essere rimasta incinta e, da persona buona ed onorevole quale si reputava, si era sentito in dovere di fare la cosa giusta, sposandola e formando una famiglia. Sentiva forte il suo senso di responsabilità nei confronti di quella creaturina, determinato ad essere per lui tutto quello che, anni prima, suo padre non era stato.
Proprio come nei mesi che precedettero l'arrivo di Marco, Francesco pensava spesso ai suoi genitori negli ultimi tempi. Sua madre se n'era andata troppo presto, la sua dolcezza e la sua guida forse gli avrebbero risparmiato molti degli errori e delle ribellioni dei suoi anni giovanili. Sei tutto tua madre, gli ripetevano sempre, da ragazzo, ma lui, spesso, pensava che fosse sprecato assomigliarle senza averne ereditato il suo buon cuore. Avresti adorato Emma, pensò, sorridendo.
Con suo padre, invece, era stata tutta un'altra storia: lo capiva di più ora, con gli anni che aveva dietro le spalle, l'esperienza accumulata e anche i dolori che aveva vissuto. Non era facile andare avanti senza una donna al proprio fianco, tanto più con una donna tanto speciale che amava alla follia. Si ricordava di un giradischi e dei genitori che ballavano spensierati, delle torte di compleanno al cioccolato e delle domeniche a Villa Borghese: ma era troppo piccolo perché il ricordo fosse ancora nitido; poi arrivò il lutto e tutto divenne, di giorno in giorno, più diverso e triste. Complici i loro caratteri identici, schivi e poco avvezzi a grandi dimostrazioni d'affetto, i due erano in costante contrasto, nonostante fosse l'ultima cosa di cui entrambi avessero bisogno. Ad ogni desiderio di Francesco faceva seguito un no, ad ogni no una ribellione, ad ogni ribellione una punizione. Sarebbe bastato confidarsi ed invece avevano finito con l'allontanarsi: suo padre voleva per lui una vita sicura, comoda, facile, nei ranghi, lui aveva risposto arruolandosi nell'esercito e finendo nei servizi speciali.
Persino il matrimonio con Livia era nato come un'incomprensione tra i due: quello che per suo padre voleva essere un  invito a riflettere su una decisione che gli avrebbe cambiato la vita, alle sue orecchie suonò come un "Se te la sposi solo perché è incinta non durerete e quando succederà non venirmi a dire che avevo ragione". Ma non gliel'aveva mai potuto dire.
Erano questi silenzi che aveva giurato di evitare a sé e suo figlio, ma aveva finito con togliergli tempo, tempo prezioso che non avrebbe mai potuto recuperare. Tempo e parole che ora non era più disposto a sprecare. Voleva vivere i suoi figli e voleva farlo appieno. Non poteva prevedere che genitore sarebbe stato: nel bene o nel male, ci sarebbe stato, questa era l'unica cosa che sapeva.
Si sarebbe perso ancora a lungo nel viale dei ricordi se Emma non lo avesse richiamato dal piano di sotto.
"Amore scendi ci sono Antonio e Rosa in videochiamata!"
Da qualche tempo avevano preso l'abitudine di far fare a Leonardo delle lunghe chiacchierate con i nonni. All'inizio era stato un po' difficile far prendere pratica ad Antonio e Rosa con lo smartphone e le varie app, ma dopo l'aiuto iniziale dei loro nipoti alla fine erano riusciti a diventare autonomi. "Dai Leo fai riposare Luna cinque minuti e vieni a salutare i nonni!" Emma incalzava il piccolo in piedi all'ingresso di casa, una mano a massaggiarsi la schiena.
Leo sapeva di non essere figlio di Emma e di Francesco, sapeva anche che quelli che per qualche tempo aveva chiamato mamma e papà in realtà non lo erano, dunque i due avevano deciso di essere onesti e aperti con lui. La verità spiegata semplicemente, come un bambino di quattro anni può recepirla, non può fare più danni di una bugia detta per celare cose che non poteva capire. La sua vera mamma e il suo vero papà non c'erano più e Antonio e Rosa erano i genitori della sua vera mamma. Era la verità, non c'era nulla di eclatante e il bambino era felice di avere per sé qualcosa che assomigliasse ad una famiglia come se l'era immaginata.
Leonardo corse verso il salotto dove sapeva che Emma aveva già sistemato il computer sul tavolino di fronte al divano, stringendo tra le braccia la povera Luna che, quasi più grande di lui, si lasciava piuttosto passivamente scorrazzare in giro. Convincerlo a lasciarla andare era sempre un'impresa.
"Ciao! Questo è il mio cane" esclamò, mostrando Luna come un trofeo, mentre i due anziani lo salutavano dallo schermo "si chiama Luna". Meticolosamente, ripeté le stesse parole con cui Francesco gli aveva spiegato perché Luna non era un cane come gli altri e perché bisognava fare con attenzione. Francesco ed Emma lo guardavano dalla porta del salotto, orgogliosi.
"Amore, per favore scusati con Rosa e Antonio" disse Emma, poggiando una mano sul petto del marito "non so quale parte del pupo sta premendo sulla schiena … vorrei stendermi un po'" "Vai pure" le disse, posandole un bacio lieve e accarezzandole la guancia con una nocca.
Francesco sorrise, vedendola incedere verso le scale con la schiena all'indietro e le gambe larghe. Gli piaceva a volte darle sollievo abbracciandola forte da dietro, tenendole la pancia come fosse un peso da portare in due. Andò a sedersi di fianco a Leonardo, liberando la cucciolotta dal suo padroncino. Luna, per tutta risposta, andò ad rannicchiarsi nella sua cesta in corridoio.
"Ciao Francesco, come va?" lo salutò Rosa mentre ancora si sistemava sul divano. Lui ricambiò il saluto agitando brevemente la mano "Tutto bene, grazie, stiamo nel pieno dei preparativi ma niente a cui non si possa sopravvivere…" "Com'è che la chiamano" domandò Antonio "sindrome del nido?" "Ah quella? No no…quella è un'altra storia ...io parlavo di un altro grande giorno. Dillo ai nonni cosa devi fare il primo settembre" Francesco lanciò un occhiolino di complicità alla webcam. L'idea di diventare fratello maggiore sembrava divertire Leonardo, che era stato il più piccolo sia a casa dei genitori adottivi che in casa-famiglia, e i piccoli compiti d'aiuto che Emma e Francesco gli affidavano ogni giorno contribuivano a dargli un senso di responsabilità, ma non erano del tutto sicuri che avesse compreso appieno la differenza tra un cucciolo di uomo e quello di cane. Era molto probabile che si aspettasse un esserino capace di giocare con lui fin dal primo momento: dovevano essere pronti a far fronte a quella delusione. Ecco perché cercavano, per quanto possibile, di fargli capire che la nascita del bambino non avrebbe cambiato nulla nei suoi confronti, rendendo speciale ogni suo piccolo traguardo. "Vado all'asilo" proclamò, orgoglioso; i Moser non lo avevano mandato a scuola: oltre alle loro idee, l'ordine era che nessuno potesse avere anche il minimo sospetto che quel bambino non venisse dall'est Europa ma fosse il figlio di un noto criminale della zona.
"Mamma mia Leo, ma ormai sei proprio grande!" lo lodò Rosa, con una espressione di stupore, anche un tantino esagerata, con le mani sulle guance. Anche Antonio dimostrò lo stesso, identico entusiasmo. Il piccolo, seduto sulle gambe del padre, restò intimidito dai commenti dei nonni e finì col rifugiarsi con il viso sul petto di Francesco. "Mi ha detto l'uccellino che ti è arrivato un pacco speciale per l'occasione, vero?" domandò Antonio. "È vero!" disse, Francesco provando a stimolare una risposta dal bambino "dillo tu ad Antonio cosa ti ha portato il corriere ieri." Il bimbo diede la risposta, dando ancora le spalle alla telecamera, ma così a bassa voce che a malapena Francesco riuscì a sentirlo. "Su Leo, cos'è questa timidezza ora, sono nonno Antonio e nonna Rosa! Mica ti mangiano! Dai…ad alta voce!" Il bimbo si girò finalmente, la testolina bassa e incerta, più impegnato a cercare dove fosse Luna che alla conversazione. "Leo!" lo richiamò Francesco. "Lo zainetto di Po Patrò!" Paw Patrol era il cartone animato preferito di Leonardo; da quando avevano scovato Luna, aveva sempre associato a lei il cagnolino protagonista. "E te lo ricordi chi te lo ha regalato? Te lo ha detto Emma" "Tu!" disse il bambino a Francesco, ridacchiando, come se quello dell'uomo fosse uno scherzo. "Io? No! Sono stati i nonni …" "Davvero?" "Certo…anzi, come si dice ai nonni?" "Grazie!" scandì il piccolo "posso andare a prenderlo, papà?" "Gli vuoi far vedere come ti sta?" Il bimbo annuì e, appena Francesco gli ebbe dato il permesso, corse fuori dalla stanza in un attimo, chiamando a sé Luna che passò davanti alla porta del salotto scattante, contenta di seguire il suo compagno di giochi.
"Ci metteranno un po' … Luna ha ancora qualche problemino con le scale e Leo le sta sempre vicino" "Ti chiama papà adesso, eh?" fece notare Antonio. "Sì" ammise Francesco, in difficoltà di fronte all'uomo; non aveva idea di quale potesse essere la sua reazione. "Sono contento" affermò l'anziano, guardando dritto in camera perché Francesco potesse vederlo bene "hai fatto tanto per lui…te lo meriti tu e se lo merita lui, sinceramente." "Grazie"
Forse era la prima volta, da quando si conoscevano, che sentiva Antonio parlargli così onestamente. Quando aveva sposato Livia prima, facendo il suo dovere, come gli aveva detto allora, e quando era nato Marco, poi, i rapporti tra loro si erano appianati, ma la differenza estrazione sociale - il figlio del meccanico che sposava la figlia di un direttore di banca - non mancava mai di fargliela pesare: gli studi di Livia, il tenore di vita di Livia, le amicizie di Livia. Ne era venuto fuori che Francesco si era dannato l'anima per sentirsi accettato e Antonio non era riuscito mai, fino a quel momento, ad apprezzarlo per le sue vere qualità. Era bastato sedersi e, più che parlare, mettersi all'ascolto.
"Emma invece?" domandò Rosa. Francesco scosse la testa, pur restando sereno. "Bisogna dargli tempo" spiegò "gli assistenti sociali e lo psicologo dicono che era molto legato alla madre adottiva. Emma ed io siamo tranquilli, lei dice che non fa differenza, ma io sono sicuro che succederà"
Ormai, Francesco ne era sicuro, non c'era niente che fosse loro precluso. Un tempo non sarebbe stato così positivo, ma aveva imparato a trovare il lato bello delle cose anche nei momenti difficili, perché la vita non è fatta per essere una serie infinita di momenti felici: piange chi ha avuto il bene e non lo ha più, ride chi ha conosciuto il dolore e smette di provarlo. Quello era il segreto. Il sole, ormai lo aveva imparato, splende sempre: bisogna solo imparare a scorgerlo dietro le nuvole.

Ritorna all'indice


Capitolo 24
*** Segreti e mezze verità ***


Capitolo 24 - Segreti e mezze verità




 
 
Era passata una settimana dalla cena a casa di Vincenzo e tutto procedeva alla grande. Mela era tornata a casa, ma la sua presenza non aveva cambiato granché le cose tra i due. Avendola avuta con loro dal primo giorno era normale che fosse parte delle loro vite; di certo dovevano imparare a gestire la loro intimità con le esigenze e le abitudini di una bimba abituata a dormire nel lettone con il papà, ma stavano affrontando la situazione a cuor leggero, consapevoli che peggio dell'intero anno passato a non ammettere i loro sentimenti non potesse andare.
Riuscire ad eludere gli sguardi indiscreti, invece, era stato più difficile: se Emma era impegnata in casa a preparare il nido e Huber limitava il suo raggio d'azione al commissariato dove lei non metteva piede, mantenere un basso profilo di fronte a Francesco non era altrettanto facile. Non era un ficcanaso, ma il suo fiuto investigativo, se stimolato, non aveva pari.
E un motivo per indagare, Valeria glielo diede proprio il primo giorno del mese di Settembre, quando, avendo pranzato con Vincenzo, si era trovata in ritardo per prendere servizio. Contava di non incrociare il suo comandante, al quale doveva dare il cambio con il turno del pomeriggio.
Per quanto le consentisse il grande stanzone con le scrivanie, arrivata in caserma la forestale provò a sgattaiolare su per le scale per andare a cambiarsi.
"Valeria!" la voce di Francesco tuonò lungo la tromba delle scale. La donna, che era arrivata alla porta d'ingresso della foresteria, sentì un tuffo al cuore. Entrando, aveva notato le veneziane del suo ufficio chiuse e aveva pregato che fosse andato via. Evidentemente non aveva molti santi in paradiso. "Sì?!" rispose a stento. "Hai 3 minuti per scendere nel mio ufficio"
Mentre si cambiava, sua nipote, seduta sul divano a guardare la tv, la osservava divertita, ma lei non ci trovava niente da ridere: nonostante fosse la prima volta che faceva ritardo, negli ultimi giorni era stata sempre sul filo del rasoio; immaginava che la strigliata fosse in arrivo e pensò che la migliore strategia fosse mettere le mani avanti.
"Lo so, Francesco, non mi dire nulla, sono in un ritardo imperdonabile, ma sulla statale c'era una coda per dei lavori in corso e sono rimasta bloccata" disse, impetuosa, precipitandosi nell'ufficio del Comandante. La risposta era credibile e facilmente verificabile: che lei avesse avuto la fortuna di trovare il semaforo verde davanti al cantiere, del resto, non poteva saperlo nessuno.
"Valeria io sono una persona estremamente conciliante. Non ho mai fatto storie per nulla e cerco di istaurare un rapporto positivo con tutti voi e vi ho sempre trattati da colleghi e mai da sottoposti" chiarì Francesco, fermo ma onesto "ma il Corpo Forestale ha delle regole ben precise e nessuno qui è autorizzato a fare come gli pare, nemmeno io".
Valeria ribatté che capitava a tutti di fare ritardo una volta, che anche a lui, di tanto in tanto, era successo, ricordandogli che c'erano state delle mattine in cui avevano persino dovuto chiamarlo per sapere che fine avesse fatto. Ma si morse la lingua ben presto.
"Sai benissimo qual era la situazione a casa, fino a qualche mese fa, non l'ho mai nascosto. E per questo motivo non ci metto niente a chiudere un occhio, o anche tutti e due se necessario, ma voglio dei collaboratori di cui io mi possa fidare. Se vi devo difendere, devo sapere perché" Purtroppo, lo sapeva anche lei, aveva ragione. "La riunione con il Comandante dei Vigili del Fuoco. Non era una tua competenza ma te l'ho lasciato fare perché sei giovane e devi fare esperienza. Il meeting è stato anticipato a questa mattina, ma non siamo riusciti a contattarti nonostante la reperibilità e sono dovuto andare io"
Valeria era mortificata. Dovevano organizzare un'esercitazione di rischio incendi boschivi e Francesco le aveva affidato il coordinamento. È vero che forse lo aveva fatto perché Emma stava per partorire e rischiava di essere in una sala parto nel giorno dell'esercitazione, ma era una posizione di comando che non aveva mai avuto prima e gli era grata per aver avuto fiducia in lei offrendole questa grande opportunità .  "Mi dispiace…" disse, mestamente. "Ti dispiace? Vallo a dire al Comandante dei Vigili del Fuoco che ti aspettava. Vallo a dire a Leonardo che ha trovato solo Emma all'uscita dall'asilo. Emma, che tra 15 giorni finisce il tempo."
"Ora la stai mettendo sul personale, però …" lo riprese. Non poteva e non doveva: ammetteva il suo errore e la sua leggerezza, ma era anche vero che il lavoro e la sfera privata dovevano rimanere due cose separate. Era lui a ripeterlo sempre, del resto. Non puoi prendertela con me solo perché non sei potuto andare a prendere tuo figlio all'asilo, pensò. "Sì, la metto sul personale perché voglio che tu sappia che io ti appoggio per qualsiasi cosa, come avete fatto tutti voi con me, ma me lo devi dire." Il suo sguardo non era più freddo, distaccato, ma comprensivo e aperto. Valeria ne era certa: era l'amico a parlarle, in quel momento, non più il comandante. Si sentì sollevata. "C'è qualche novità?" aggiunse, sorridendo furbescamente. Aveva capito. Era inevitabile forse, aveva visto spesso Vincenzo confidarsi con lui esattamente come lei faceva con Emma.
"Che novità?" decise di glissare "Ero in giro … ho solo perso la cognizione del tempo e ho tolto la suoneria al telefono. Su questo sono stata imperdonabile."
"Se non hai bisogno più della foresteria basta dirlo, eh, non mi offendo mica…" continuò, aggiungendo un sorrisetto involontario, trattenuto con difficoltà, al tono di voce  sornione. Ora temeva seriamente che, in un modo o nell'altro, Isabella si fosse fatta uscire qualcosa, perché era impossibile che l'avesse vista con lui: non erano mai usciti da casa. L'avrebbe strozzata. Ma poi si ricordò che era Francesco, che quando accompagnava Vincenzo su una scena del crimine aveva le visioni come un personaggio di una serie tv, era abbastanza capace di unire i puntini da solo.
"Comandante cosa vuoi insinuare?" chiese, non riuscendo lei stessa a trattenere un sorriso "Di solito è tua moglie che non sa farsi gli affari degli altri…" "Beh … a quanto mi risulta non è che ultimamente tu ci stia molto..."
Non poteva dirgli che Eva era tornata a San Candido per l'inserimento della bambina al nido, con grande sua sorpresa e che, per marcare il territorio, ogni scusa era buona per restare da Vincenzo oltre la colazione. L'uomo non aveva battuto ciglio, consciamente o inconsciamente, ed Eva non sospettava o faceva finta, non le importava, ma per lei era importante non sentirsi tagliata fuori da quel momento, tanto più che Carmela era felicissima di averla in giro per casa.
"Comandante!" finse di rimproverarlo, così come una sorella può permettersi certe libertà con un fratello maggiore "Non sono tenuta a rispondere ad alcuna domanda sul mio privato, mi dispiace deluderti. Non abbiamo festeggiato il trasferimento di Huber per trovare un sostituto tra noi!" Entrambi risero, ed entrambi si sentivano colpevoli perché il povero Huber finiva sempre per essere il soggetto di qualche battuta. "L'importante è che vada tutto bene…" risolse Francesco. "Tutto assolutamente bene. Quando sarà il momento …" Francesco la interruppe con un grande gesto delle mani. "Non voglio sapere altro. Sono solo contento per voi" concluse, facendo l'occhiolino. Era bello che non avesse avuto bisogno di dire una parola.
"Allora…adesso siediti e visto che ho dovuto perdere la prima uscita di mio figlio dall'asilo vediamo almeno di rimetterti in carreggiata, dai!" esclamò il forestale, indicandole una delle poltrone davanti a lei. "Agli ordini, capo!"
 
"Sono a casa!" Emma sentì esclamare, e la voce del marito fu immediatamente seguita dalle urla di gioia di Leonardo che lo raggiungeva nell'ingresso, correndo giù per le scale, e dai guaiti di Luna che, in braccio al suo padroncino per fare prima, gli davano il benvenuto. "Ce l'hai fatta!" Emma più lentamente, scendeva le scale con attenzione, una alla volta; doveva fare attenzione: ormai non vedeva più i suoi piedi. Francesco alzò gli occhi al cielo mentre Leo gli saltava addosso.
"Come stai?" era la domanda di rito che suo marito le poneva, ogni volta che si ritrovavano dopo essersi separati per qualche ora, non importava che l'avesse tempestata di messaggi sul telefono. "Come un quarto d'ora fa…bene" rispose la donna, sbuffando, sarcastica, mentre il marito le posava un bacio sulle labbra, dolcemente. Le sue attenzioni la facevano sentire protetta, e lo capiva che non lo faceva con cattiveria, ma aveva smesso di essere malata da tempo, e non voleva essere trattata come tale: stavano per avere un bambino e già solo questo bastava a farla stare bene.
"Come è andata a scuola oggi, piccolo?" domandò l'uomo al bambino che aveva appena finito di arrampicarsi sulle sue spalle come una scimmietta e non aveva alcuna intenzione di staccarsi. "Bene" rispose Leonardo, soddisfatto "abbiamo giocato .. abbiamo colorato .. e abbiamo imparato una canzone" "Dopo gliela fai sentire a papà, adesso fallo riposare un po'… hai mangiato qualcosa?"
Francesco scosse la testa. Tra la riunione finita tardi e lo straordinario per aggiornare Valeria aveva avuto solo il tempo di un caffè al distributore automatico alla caserma dei Vigili del fuoco.
"Non ti preoccupare, posso resistere fino a cena…" "Ma non se ne parla nemmeno…non ci metto niente a preparare un toast. Tanto più che io non ho ancora fatto il mio spuntino del pomeriggio e ti farei compagnia"
La ginecologa aveva tassativamente vietato ogni qualsivoglia forma di mangiare per due a cui, non tanto le donne in gravidanza, ma i loro parenti le sottopongono. Tanti piccoli pasti frequenti, era la parola d'ordine.
"Come ti è sembrato Leo quando sei andata a prenderlo?" domandò Francesco, mentre preparava i tramezzini. Aveva ceduto alla tentazione della gola, ma non avrebbe mai permesso a sua moglie di starsene in piedi inutilmente in sua presenza. La donna poteva protestare quanto voleva, ma lui era inflessibile a riguardo.
"Tranquillo, anzi no … direi euforico! Quando sono arrivata non mi ha neanche vista … e dire che non passo inosservata ultimamente" ironizzò Emma "era impegnato con i compagni a giocare in giardino sulle giostrine" "Bene… e hai parlato con la maestra?" "Sì. Dice che si vede che è abituato a stare con gli altri bimbi, anche se è presto per fare una valutazione.  Ma secondo lei quando nasce il bimbo può iniziare a restare anche di pomeriggio"
Non volevano dargli un impatto troppo aggressivo con l'asilo, dandogli l'idea che lo stavano lasciando di nuovo per tanto tempo dopo che avevano passato la gran parte delle vacanze estive sempre insieme. Ma era necessario che si inserisse nel gruppo il prima possibile, perché, all'arrivo del fratellino, due bambini sotto lo stesso tetto potevano essere una bella sfida per chi, fino a qualche mese prima, era solo una coppietta in luna di miele. Potevano dirsi pronti quanto volevano, ma in realtà solo una bella dose di organizzazione - e l'asilo ne faceva parte - li avrebbe salvati.
"Mi è dispiaciuto non esserci all'uscita da scuola…" confessò l'uomo, sedendo accanto ad Emma. La donna, per tutta risposta, portò i suoi piedi sulle gambe del marito mentre, con il piattino comodamente sistemato sulla pancia, sgranocchiava di gusto il suo toast. "Non ti preoccupare" lo rincuorò, stringendogli la mano "l'importante è che ci sei domani" "Ah già, tu hai l'incontro con il nuovo collega …"
Emma aveva trovato un sostituto per il progetto di scuola nel bosco che aveva portato avanti fino a qualche mese prima, e che sarebbe dovuto rincominciare a breve con il nuovo anno scolastico. Difficile però gestirlo con un neonato e così, per i primi mesi, aveva individuato un collaboratore con cui sperava, in futuro, di far crescere l'iniziativa.
"Sì Andreas … se non ti dispiace vorrei anche portarlo a fare un giro della caserma, i locali per gli anima-" si bloccò. "Che c'è?" domandò Francesco, notando la sua espressione vagamente contrariata. "Non fare quella faccia!" lo richiamò. "Che faccia?" "La faccia che fai quando sei geloso. La riconosco sai…è la stessa che avevi quando ti ho presentato Carlo." "Bella forza…era il tuo ex!" "Ecco appunto, senza motivo …" Francesco prese il piatto vuoto dalla pancia di Emma, sorridendo - non si sarebbe mai abituato all'idea che sua moglie usasse la pancia come vassoio - e abbassandosi per posare un bacio a quella creaturina che presto avrebbe conosciuto.
"Non mi avevi mai detto che l'avevi notata. Pensavo … pensavo fossi troppo presa da lui per accorgertene" confidò, di spalle, mentre sistemava i piatti nella lavastoviglie, ripensando a quel giorno che Carlo, l'ex di Emma, era arrivato a San Candido e li aveva visti così affiatati, in un modo in cui lui sperava - ma non osava - poter essere con lei.
"Lo sai qual è stato sempre il mio problema con te?" disse Emma, alzandosi e, per quanto le consentisse la sua corporatura, avvicinandosi alla schiena del marito. Faticò un po' e alla fine fu costretta a posargli un bacio su un braccio e non sulla nuca, dove non arrivava più. "Che non ho mai avuto bisogno degli occhi per vederti…"
Era vero, persino quando si scambiavano uno sguardo, anche il più profondo, come in quel momento, non erano gli occhi a funzionare: era un incontro di anime affini, capaci di parlarsi senza bisogno di dire una parola.
"Papà papà!" Leo entrò in cucina agitato. "Che succede?" "Luna sta facendo la pipì nell'ingresso!"
"Nooo!" esclamò Emma, frustrata, portando una mano sulla fronte "era l'ora del bisognino e ci siamo dimenticati di farla uscire!!!" La cucciolotta, infatti non riusciva ancora a capire che la casa non era il suo bagno. Ci stavano arrivando, ormai erano arrivati a 3 ore di autonomia, ma se per qualche motivo non erano puntuali difficilmente l'avrebbe fatta sulla traversina che avevano lasciato in corridoio per sicurezza. "Ci penso io, tranquilla! Leo, per favore, portala in giardino prima che faccia ben altro" "Vai ad asciugare" intervenne Emma "ti preparo acqua e aceto per lavare via l'odore…"
Se c'era una cosa che Francesco amava più di tutte nella sua famiglia era quel modo così semplice, eppure così straordinario, di fare squadra.
 
Arrivato l'ascensore al pianerottolo, le porte si aprirono e subito il commissario venne accolto dai gridolini di sua figlia e dalle voci strane con cui Valeria le parlava per farla ridere; immediatamente, tutti i malumori della giornata lavorativa appena trascorsa si dissiparono. Non vedeva Valeria da oltre ventiquattrore: con la strigliata di Francesco del pomeriggio precedente, avevano deciso di non vedersi a fine turno e aspettare il pomeriggio successivo, approfittando del giorno di riposo di Valeria. Lui non si era mai definito un romantico, eppure era sicuro che, quell'angustia che si era portato addosso tutto il giorno, era la mancanza di Valeria. Il danno era fatto, non poteva negarlo: si era innamorato. Cotto. Perso. Entrando in casa, il calore e il profumo delle sue donne gli diede il benvenuto a casa.
Posò la giacca all'attaccapanni e la cartella, distrattamente, sul tavolino a muro dell'ingresso, tanto che questa finì per cadere atterra, di fianco al portaombrelli. A distrarlo, la scena che gli si parò davanti: Mela, nella sua tutina grigia e rosa, le guanciotte rosse, un codino a tirarle su i capelli che, solo con le calzettine antiscivolo ai piedi scorrazzava attorno al divano rincorsa da Valeria che la rincorreva fingendo di essere Mariedl, la gigantessa del Tirolo, di cui tante volte la nonna le aveva raccontato, tra verità e leggenda, la storia. "Papaaaaà!!" la piccola gli corse di fianco, le braccia allargate, superandolo per finire poi con lo schiantarsi sul divano. "Uè piccire'!" "Mela bubu!!!" gli disse, ridacchiando. La parola bubu, per la piccolina, copriva tutto un universo di significati, ogni volta diversi. "Ti sei fatta male a papà?" domandò l'uomo, avendola vista cozzare contro il divano. "No!" rispose la bimba "Iaia!", indicando Valeria - Iaia era il nome che la bambina le aveva affibbiato quando aveva iniziato a parlare e tale era rimasto - la quale, anche lei leggermente accaldata, stava in piedi di fianco a loro.
"Iaia t'ha messo paura?" "Sì!" "Uè Iaia! Ma come ti sei permessa di spaventare a questa povera creatura!" esclamò Vincenzo, strizzando l'occhio a Valeria. Poi tornò ad inginocchiarsi di fianco alla sua bambina "Sai che facciamo? Adesso papà da una bella punizione a questa brigante di Iaia!!!"
Vincenzo si rialzò e fece per avvinarsi a Valeria. "Che fai?" domandò Valeria indietreggiando. "L'hai sentita la bambina, no? L'hai spaventata e ora ti devo punire. Preparati a scappare!" "Ma dove ti presenti commissario? Con quei rotolini …" commentò Valeria, ammiccando verso la pancia dell'uomo. "Vieni qua…" l'inseguimento scattò, dapprima confinato nella zona giorno, con Valeria che smarcava Vincenzo agilmente e la bambina che se la rideva a vederli giocare come lei, poi spostandosi nella zona notte, con Valeria che aveva rovesciato il cesto dei panni, pur di tagliargli la strada. Alla fine Vincenzo riuscì a braccare la giovane, facendola cadere sul letto. "Uh Maronne 'ro Carmine Valè!" esclamò Vincenzo, con il fiatone, mentre Valeria gli rideva poco velatamente in faccia per la sua totale mancanza di atletismo "non ti azzardare un'altra volta a scappare per più di trenta secondi che tengo n'età …" "Commissario non è la vecchiaia … è … come la chiami tu?! Ah sì: la panza!" Vincenzo bofonchiò la sua indignazione mentre le spostava una ciocca di capelli che le era finita in bocca nei movimenti bruschi, approfittandone per accarezzarle il viso dolce e delicato. "Da domani incominci ad allenarti seriamente con me!" intimò la forestale. "Ué nenné, io così sono e così mi tieni, sennò ti cercavi uno come a Francesco"
Nenné. Era così che aveva iniziato a chiamarla da qualche giorno. Le aveva spiegato che in napoletano era un vezzeggiativo che significava piccolina, ma al di là del significato le piaceva che lui la rendesse, in qualche modo, parte del suo mondo. Dal canto suo, Vincenzo, non si era mai sentito così libero di essere sé stesso con una ragazza che non fosse delle sue parti; da quando si era trasferito, aveva sentito la sua napoletanità come un ostacolo, un aspetto limitante di sé da nascondere e frenare a tutti i costi. In Valeria, la più frizzante altoatesina che avesse mai conosciuto, aveva riconosciuto lo stesso freno inibitore ed insieme, ora, provavano ad eliminarli un passo alla volta. Lei gli aveva chiesto di andarci piano e voleva assecondarla, perché era palese che non fosse paura, bensì premura a voler far funzionare la loro storia e così, in quella corsa a rallentatore, quelle tre parole speciali, che avrebbero cambiato tutto, non erano ancora state ancora dette. Nenné, allora, gli era sembrato il modo giusto di sentirla tutta sua senza mai pronunciare la parola amore.
La forestale storse il naso, ridacchiando. "Ti pare che se mi interessavano i tipi alla Francesco" disse, mimando delle virgolette "stavo qui con te? E poi non voglio un tipo … io voglio te. Più chiaro di come te lo esprimo la notte …" "Shhhh che c'è la bambina"
Valeria girò il capo verso l'ingresso della stanza, notando che la piccola se ne stava in piedi sulla soglia, stringendo il suo elefantino di peluche e tentando di battere le manine senza farlo cadere.
"Ma cosa vuoi che capisca Mela?" lamentò, stampandogli comunque un bacio sulle labbra "Dai, bacchettone, spostati!"
Si ricompose e, prendendo la bimba, ancora compiaciuta che il suo papà avesse partecipato al gioco, in braccio, andò a rassettare i giochi che Mela aveva sparpagliato per tutto il soggiorno.
"Hai incontrato Francesco oggi?" le domandò Vincenzo, che le si avvicinò per darle una mano. "Sì, ma di passaggio, io stavo andando a fare jogging e lui stava prendendo servizio." "Tutto ok? Ti ha fatto altre storie?"
Quando Valeria gli aveva raccontato cosa era successo il giorno prima, in un attimo di pausa quando il suo superiore era ormai andato via, Vincenzo - e lo capiva distintamente dalla sua voce, anche se dal telefono - si era innervosito. Ringraziava il cielo che la forestale non condivideva più gli spazi lavorativi con la polizia, altrimenti, la figura barbina sarebbe stata completa.
"Ma no! Non ti preoccupare, è acqua passata" lo rassicurò, posandogli una carezza sulla guancia "e comunque aveva ragione lui, è il mio capo e deve  riprendermi quando sbaglio. Tanto più che ho fatto fare una cattiva figura a tutta la nostra stazione davanti ai Vigili del Fuoco. Lui era stato così generoso a darmi questa opportunità" "Ià, nenné, mo non lo difendere … lo sappiamo tutti e due perché ti ha dato l'incarico." "Ora non fare tu lo stronzo, non ti si addice. Nei confronti del tuo migliore amico, oltretutto. Può essere anche che abbia voluto tenersi libero per il parto, ma conosci Francesco da più tempo di me, dovresti saperlo che difficilmente demanda"
Su questo Valeria aveva ragione; quante volte si erano scontrati perché si era intrufolato in cose che non lo competevano quando condividevano la caserma e capitava di collaborare, quante volte lo aveva visto spendersi in prima persona per soccorsi e sopralluoghi anche al di fuori del suo orario di lavoro. Conoscendolo, aver affidato a Valeria un tale incarico era un attestato non da poco di fiducia e stima per le sue qualità.
"Hai ragione. Come sempre del resto. Scusa. E comunque non volevo sminuirti, sia ben chiaro" specificò, fermandola un'istante, notando come le sue parole l'avessero irritata "sono tremendamente orgoglioso di te! Non vedo l'ora di vederti all'opera"
Valeria arrossì. Nessuno prima di allora le aveva mai detto di sentirsi orgoglioso di lei. Aveva distrutto la vita - e la famiglia - di sua sorella e era diventata un disonore per la sua famiglia, in un paese piccolo come San Candido dove tutti si conoscono e un pettegolezzo non ci mette niente ad ingigantirsi. Neanche l'alpinismo l'aveva redenta: come avrebbe potuto? Non c'era niente di cui inorgoglirsi di fronte ad una testarda che aveva voluto continuare la scalata obbligando i compagni di cordata a sacrificarsi per lei. Niente orgoglio, solo vergogna.
Vincenzo conosceva tutta la sua storia, ogni ombra, e nonostante tutto si sentiva orgoglioso di lei. Forse era un miracolo o forse, lei ci sperava, era diventata in qualche modo, la persona che aveva sempre sperato. Non più la donna fredda e calcolatrice, né tantomeno l'eroina impavida: semplicemente Valeria, una persona per bene.
 
Era una giornata ombrosa, di quelle che ti fanno dire addio all'estate già solo aprendo le finestre al mattino, contagiando con la loro tristezza. Ma Emma lo sapeva bene che, da quelle parti, la situazione poteva cambiare da un momento all'altro, era abituata ormai e non si lasciava deprimere dalla prima nuvola che scendeva imperiosa fin sopra i tetti delle case più in quota. Finché la pioggia non l'avesse confinata in casa, una giacca a vento bastava per ripararla dal freddo e farle portare avanti il proposito di mantenersi in forma e allenata in vista del grande giorno. Non poteva più fare il giro di tutto il lago, in alcuni punti le salite erano troppo vertiginose e faticose per lei e le discese rischiavano di essere sdrucciolevoli nei punti in ombra, dove l'umidità del mattino non riusciva ad andare via finché i raggi del sole non avessero fatto il loro lavoro a giornata inoltrata. Così optava per il sentiero che, mantenendosi sulla riva ovest del lago, conduce a Malga Foresta, non troppo lontana e con una larga via per lo più pianeggiante, con qualche leggerissimo pendio.
Un'oretta di cammino a passo lento era quello che le ci voleva aiutare fisico, mente e soprattutto umore: il fatto di non poter essere più tanto d'aiuto in casa, la indisponeva come poche altre cose, nonostante Francesco in alcun modo glielo facesse pesare. Ma lei era fatta così.
Mentre si avviava in caserma, dove si sarebbe incontrata con il marito per tornare a casa, Emma vide Valeria scendere la scalinata esterna dell'edificio. " Vale!" si sbracciò, per farsi notare.
Valeria ebbe un sussultò. Argomento Vincenzo aperto e chiuso senza clamori con Francesco pochi giorni prima, non sapeva se l'uomo era stato in grado di mantener fede al tacito assenso che aveva dato riguardo alla sua privacy. Non si aspettava una pugnalata alle spalle da Francesco, ma sapeva quanto sua moglie fosse il suo punto debole. "Ehi Emma!" le due giovani donne si salutarono, con un abbraccio un po' goffo, vuoi per la pancia tra di loro, vuoi per l'imbarazzo della forestale, la quale cercava in tutti i modi di comportarsi come nulla fosse, ma dentro urlava di paura che qualunque cosa potesse tradirla. "Mein Gott!" esclamò "La tua pancia è sempre più grande!" "Beh mancano 8 giorni alla data presunta. Con un po' di fortuna non dovrebbe mancare molto"
Emma sapeva di non poter contare sulla puntualità del parto, che quel giorno che avevano cerchiato di rosso sul calendario in cucina sarebbe con molta probabilità trascorso normalmente, ma quanto in suo potere, per aiutare il parto, lei lo faceva, con lunghe passeggiate, bagni caldi e le sue tisane. "Tesoro perdonami, ma devo scappare!" interruppe Emma mentre la donna stava iniziare a raccontarle di tutti gli esami clinici che l'aspettavano in attesa del giorni fatidico. "Dove vai?" "Vincenzo è rimasto bloccato in commissariato e mi ha chiesto di andare a prendere la bimba al nido"
Valeria risolse che dire la cosa più vicina alla verità fosse la soluzione migliore "Scusami, eh, ma sono già in ritardo" "Vai vai" esclamò Emma, sardonica, mentre l'amica saliva nella sua auto "prima o poi ti bracco e facciamo una bella chiacchierata!"
"Emma!" Francesco chiamò sua moglie uscendo dalle scuderie , distraendola dall'amica. "Mi stavi aspettando da tanto? Non ti hanno detto che ero fuori?" "Tranquillo, sono arrivata da pochissimo … stavo riprendendo un po' fiato prima di fare le scale" "Com'è andata la passeggiata?" domandò, cingendole le spalle con un braccio e posandole un bacio sulla tempia. "Meravigliosamente! Aria fresca e pulita, la pace del bosco … deve per forza fargli venir voglia di uscire, non credi?" Ridendo, le mani di entrambi corsero alla sua pancia.
"Senti ma…" esordì Emma, incerta se prendere l'argomento con suo marito "… Valeria? Come la vedi? Sono giorni che fa la vaga, che è telegrafica nei messaggi … l'ho incrociata qui fuori poco fa ma è letteralmente scappata via"
Francesco continuava a ripeterle di tenersi fuori dalla vita privata della sua amica, ma era naturale preoccuparsi quando c'era in ballo la sua felicità e la serenità dell'intera comitiva. Voleva solo che non combinassero qualche guaio che avrebbero poi pagato tutti, costringendoli a scegliere da che parte stare.
"Mah, che vuoi che ti dica … ha sempre un po' la testa tra le nuvole … senza esagerare cerco di riprenderla e speriamo si rimetta presto in carreggiata" spiegò Francesco "ma del resto è Valeria … è sempre stata una ribelle"
Francesco ricordava quanto aveva dannato i primi tempi dopo il suo arrivo per metterla al suo posto, quando era stato persino costretta a sospenderla dal servizio per tenerla a bada e non farle commettere qualche sciocchezza, inventandosi detective senza alcun coordinamento, all'insaputa sua e di Vincenzo, finendo persino in ospedale.
"La testa fra le nuvole dici? … chissà che non sia successo qualcosa finalmente con Vincenzo" giudicò Emma "sarebbe anche ora, figuriamoci, ma è strano che non mi abbia detto nulla"
Francesco sospettava da un po', vedendo Valeria maneggiare troppo spesso con il cellulare - cosa che non aveva mai fatto prima - e notando che non stava mai in foresteria quando non era in servizio. La mattina tornava prima di colazione e il pomeriggio o la sera prendeva un borsone ed andava via, ma non aveva l'aria di chi si è iscritto in palestra, tanto più che Valeria aveva sempre avuto l'abitudine di allenarsi in casa. Poi c'era l'altra questione: Vincenzo. L'uomo era solito portare Mela a passeggiare al lago di tanto in tanto, per farle passare del tempo con Valeria. Ma né Vincenzo né la bambina si erano visti in località Braies.
Pomeriggi addietro, dalla bocca della sua collega, ne aveva avuto conferma. Ma se lei non ne aveva fatto parola con Emma, non lo avrebbe fatto certamente lui. Magari non comprendeva totalmente la sua, la loro decisione, né la condivideva, ma l'avrebbe rispettata.
"Amore, ti arrabbi se ti dico una cosa?" "Beh dipende…" "Non dovresti starle così tanto con il fiato sul collo … Valeria ha avuto un passato complicato, vive il suo privato a modo suo, magari vuole un po' di privacy …" "Ma io sono una sua amica, non le ho mai nascosto nulla…" "Lo so, ma lei non è te"
No, non lo era. Erano quanto di più distante potesse esserci l'una dall'altra, eppure funzionavano alla grande insieme, come due parti di un ingranaggio diverse ma che, unite, lavoravano alla grande. A pensarci, avrebbe voluto che Valeria fosse per lei l'amica che era in quel momento anche quando lei e Francesco erano in crisi, che li aiutasse prima che fosse troppo tardi, una spalla su cui piangere invece che stare a sentire le parole lusinghiere e false di Kroess. Valeria invece è sempre stata tipa da volersela cavare da sola, ma d'altronde era stata giocoforza abituata a farlo ed era complicato, per lei, fidarsi degli altri - cosa che invece, ad Emma, riusciva fin troppo bene, purtroppo.
"Sai per caso qualcosa che io non so, signor Neri?" Emma lo guardò con circospezione, mentre entravano in caserma. "Facciamo così…tu sai che io potrei sapere qualcosa che tu non sai, Giorgi, ma è meglio per tutti se rimani con questo dubbio" propose, sguardo da cucciolo bastonato e un sorriso, l'unica speranza che aveva per indorare quella pillola a sua moglie "Soprattutto se vuoi tenerti stretta la tua amica".
Emma sbuffò, andando a sedere al tavolo dell'area relax. Era rimasto un krapfen solitario nel vassoio che quella mattina aveva portato in caserma per offrire la colazione ai colleghi del marito. Poco importava che avrebbero pranzato di lì a poco, tempo di andare a prendere Leo all'asilo; un po' per fame, un po' per volta, quel dolce non resto solo a lungo. "Mamma Papera??" sussurrò Francesco, avvicinandosi a lei. "Nnnn io non ci parlo con te" frignò, scuotendo le spalle per scrollarsi di dosso la stretta del marito, ma lo sapevano entrambi che quella sceneggiata avrebbe avuto vita breve. "Lo sai che sei adorabile quando metti il broncio, soprattutto coperta di zucchero a velo…" le disse, ripulendole le labbra con un fazzolettino di carta. "Ti abbono questa cosa solo se permetti a me di fare una cosa …" "Sentiamo" "Mentre passeggiavo mi è venuta un'idea matta" "Aiuto" Emma si avvicinò all'orecchio del marito per bisbigliare la sua trovata. "Non ci pensare proprio!"
L'idea di Emma era di usare dei nomi in codice per le loro comunicazioni radio quando lei sarebbe stata nei boschi a passeggiare. "Ma ti pare che ci mettiamo a fare questi giochetti? La radio è una cosa seria, Emma" "Ah sì? E allora non dovresti metterti in contatto ogni due minuti per controllare come sto, come hai fatto oggi. Ma se vuoi continuare a chiamarmi Mamma Papera questa è la condizione" "E come dovrei chiamarmi io?" "Semplice. Mamma aquila" "Come? Perché?" "Così mi deludi, Francesco, sinceramente. Possibile che non ti ricordi?"
Francesco ci pensò bene, poi gli venne in mente, come in flash, una cosa che lei gli disse quando le aveva dato il permesso di continuare il suo progetto con i lupi dopo la scoperta del suo aneurisma.
 
"Perché mi hai chiamata? Vado un po' di fretta, devo ancora fare i bagagli"
"Puoi anche non farli…non dirò niente ai miei superiori. Quello che è successo rimane fra me e te."
 
Era stata la prima volta che lei gli aveva regalato uno dei suoi sorrisi, di quelli che ti entrano dentro riempiendoti il cuore di luce e calore, come i raggi del sole in un mezzogiorno d'estate. Poco importava che fosse un uggioso pomeriggio di fine inverno.
 
"Lo sapevo, lo sapevo!"
"Cosa?"
"Se tu fossi una mamma aquila, la tua natura sarebbe quella di covare le due uova insieme"
 
Le aquile invece, di solito, covano separatamente, per ragioni di sopravvivenza. Lei aveva preso una lezione di etologia, cinica e fatalista, e l'aveva resa un barlume di speranza.
"E sia. Ma facciamo che prima ti accerti che sono da solo, non voglio figuracce davanti ai miei uomini. Ho comunque dei gradi e una reputazione da mantenere"
 
Per un po' non ci aveva creduto a quelle parole, a lungo si era convito di non essere in grado di occuparsi di sé stesso, figurarsi poter amare e prendersi cura di altre persone. Aveva permesso che suo figlio prendesse la sua pistola di nascosto e sparasse un colpo, non era stato capace di tenersi stretto sua moglie e quando si era dato una seconda possibilità, stava per mandare all'aria pure quella. Ma ora lo sapeva, per diventare una mamma aquila, prima bisognava imparare a volare, riconquistando i propri spazi e riprendendo quota nella vita.

Ritorna all'indice


Capitolo 25
*** 39+4 o quando nasce un genitore ***


Capitolo 25 - 39 + 4 o quando nasce un genitore




 


Ore 8.00
 
Quella era una mattina come le altre da due settimane a quella parte. Gli stessi ritmi, gli stessi gesti, eppure non era affatto un peso di cui i Neri avrebbero fatto a meno. Era una routine che tutti e tre avevano voluto, cercato, una routine che li univa e li rendeva famiglia.
Il caffè, le corse in bagno, preparare lo zainetto del bambino, abbottonargli il grembiulino, allacciare le scarpe a lui e anche ad Emma che ormai non ci riusciva più, essere pronti per uscire di casa ad un orario decente per far arrivare Leonardo puntuale a scuola senza essere costretti a correre - non si sa mai cosa può succedere per strada.
Mentre Francesco faceva salire il bambino in auto, Emma indugiava sulla porta di casa, appoggiata allo stipite. Una contrazione. Era da qualche settimana che le contrazioni preparatorie le facevano compagnia, sintomo che il parto era davvero vicino. Il dolore, come un indurimento della pancia, partiva dal basso e si irradiava verso l'alto, ma erano molto simili ai crampi mestruali per intensità e durata e non aveva avuto alcuna intenzione di farsi intimorire. Aveva deciso di continuare la sua vita normalmente, fino all'ultimo giorno: basta seguire le indicazioni della ginecologa, ripeteva a chi la guardava con sospetto ogni volta che la vedeva in movimento.
Ripresasi salì in auto e, accomodatasi, iniziò a respirare in maniera lenta e ritmata per rilassarsi.
"Perché mi devi far preoccupare?" domandò Francesco, prendendola per mano "Non credere che non mi sia accorto prima che stavi piegata in due sulla porta di casa…"
"Ma piegata in due cosa? Devi sempre esagerare" lo tranquillizzò Emma "ho avuto cicli ben più dolorosi. Dai parti." "No che non parto. Mancano tre giorni al termine … perché non te ne stai a casa oggi, fai un bel bagno e ti riposi un po'? Così anche io sto più tranquillo…" "Amore sto benissimo, non sono mai stata meglio negli ultimi due mesi …"
Negli ultimi giorni, infatti, la pancia si era abbassata e senso di oppressione che sentiva sul torace era diminuito lasciando il posto ad una meravigliosa sensazione di alleggerimento: il respiro era tornato ad essere facile e sentiva persino il cuore e lo stomaco lavorare meglio. In ospedale il tracciato fatto due giorni prima non aveva registrato alcuna attività contrattile significativa, se non quella tipica della fase prodromica: non si sarebbe fatta fermare da "false" contrazioni.
Ma mentre lo pensava, l'addome si indurì una seconda volta. Poteva sentire il bambino muoversi all'interno e questo le rendeva il dolore più sopportabile, la rassicurava che tutto procedeva al meglio: nelle ultime settimane la sua incubatrice naturale era diventata un po' stretta e i movimenti erano diminuiti; portava il conto con il fiato sospeso: arrivata a 10 calci tirava un sospiro di sollievo.
Tirò fuori uno sbuffo d'aria e alleggerì la presa alla mano di Francesco che non si era accorta di aver stresso con più forza. "Che succede?" domandò Leonardo, facendo capolino dal sedile posteriore. "Niente, piccolo" lo rassicurò Emma, accarezzandogli il visino preoccupato "sto bene, papà è un po' ansioso questa mattina"
Francesco alzò gli occhi al cielo: sapeva che qualunque cosa avesse detto, se Emma aveva un piano nulla l'avrebbe fatta desistere. L'unica cosa che poteva fare, per entrambi, era mantenere la calma e vegliare su di lei. Mise in moto e partirono in direzione del paese.
Mentre Francesco accompagnava Leonardo in classe, Emma messaggiava sul telefonino con Valeria. Forse per senso di colpa nei confronti dell'amica messa un po' da parte, la forestale stava tentando di recuperare informandosi delle sue condizioni e facendo il tifo perché il parto fosse imminente. Ogni volta che Emma le rivelava di avere qualche doloretto, lei andava in brodo di giuggiole, nella speranza che fosse il momento buono. Tra suo marito e la sua migliore amica, toccava sempre a lei mantenere la calma.
 
"Se proprio vuoi stare tranquillo" riprese la donna,  sulla strada verso la caserma "oggi ho intenzione di fare una camminata tutta in discesa. Parto dal lago e scendo giù verso la frazione di San Vito, fino alla chiesa. Quando arrivo ti chiamo e mi vieni a prendere. Non è un gran dislivello e ad andare piano ci vogliono al massimo 40 minuti. Che dici? Mmh? Poi magari passiamo a salutare Marco…" "Veramente?" "Certo che sì." Si trovava costantemente a disagio a chiedere ad Emma di accompagnarlo al cimitero da suo figlio, nella convinzione che potesse crearle imbarazzo a far visita anche alla tomba di Livia così, il più delle volte, aspettava che fosse lei a proporlo. Ogni volta, in qualche modo, questa iniziativa comunque lo stupiva. Lei, dal canto suo, non aveva conosciuto suo figlio ma, per quanto poteva, spronava suo marito a raccontarle del bambino, dei suoi ricordi più belli, incoraggiandolo a tenere sempre vivo quel legame, ricordandogli che non si può e non si deve dimenticare mai chi ci ha amati.
Il forestale rispose affermativamente, tentando di nascondere la sua commozione.
 
 
Ore 11.00
 
Dopo il maltempo della settimana precedente, il sole era tornato a splendere, baciando le cime dei monti su cui la neve aveva iniziato a fare capolino e le valli, ancora risplendenti nel loro verde acceso. L'estate volgeva al termine, ma mattine come quelle lo facevano dimenticare facilmente. I turisti, sul sentiero, ancora pullulavano; approfittando della calma dopo la calca del mese di agosto e dei prezzi calmierati, coppie di mezza età e giovani famiglie con i bambini in spalla, passeggiavano pacificamente e rispettosamente sui sentieri, salutandosi anche se sconosciuti, anche se stranieri: una parola per il rispetto e per la condivisione della passione comune. Emma era rimasta sempre affascinata da questa abitudine tra gli escursionisti e non ci aveva messo nulla ad adottarla lei stessa. L'autunno da quelle parti, dicevano gli anziani del posto, non era mai uguale a quello dell'anno precedente: arrivava d'improvviso, durava troppo poco per accorgersene, e le sue tinte sono fugaci ed imprevedibili; bisognava goderne quanto più si poteva, ed Emma aveva preso in parola quell'invito. Il sentiero le scorreva sotto i piedi, permettendole di bearsi della frescura e dell'ombra che gli alberi le garantivano; non le sembrava nemmeno di percorrerlo: il suono dei campanacci di qualche mucca al pascolo in lontananza, il tedesco di qualche abitante del luogo o turista e la sua voglia di stare in silenzio se non per un fugace saluto, immobile dentro di sé, anche se in movimento. Era totalmente concentrata ad ammirare la natura che la circondava: i larici, le montagne innevate, il cielo azzurro delle altitudini, la luce che riempiva ogni spazio, come a voler regalare più calore possibile, prima dell’arrivo di quell’inverno che già faceva capolino tra le nude rocce.
D'improvviso, ferma a bere un sorso d'acqua dalla borraccia, ebbe una sensazione strana. Piccole perdite di urina non erano una cosa insolita, a volte le bastava uno starnuto o una risata per far premere l'utero sulla vescica; quando le capitava camminando, aveva smesso di dargli importanza. Ma in quel momento avvertiva una sensazione di bagnato più insistente del solito. Sbuffò, al pensiero di dover di chiedere a Francesco di portarle un asciugamano e dei suoi te l'avevo detto, riprendendo il cammino. Percorsi una decina di metri si rese conto che quella perdita non era più di poche goccioline, ma un flusso continuo, come se una tazza d'acqua le si fosse riversata sugli slip. Si guardò intorno, per accertarsi che non ci fosse nessuno e per, sicurezza, andò a ripararsi tra gli alberi. Prese un fazzoletto dallo zaino e passo tra le gambe: incolore ed inodore. Non era pipì. "Oh cazzo!" esclamò "Cazzo! Cazzo! Cazzo!" Erano le acque. Era in un bosco e le si erano rotte le acque. "E adesso chi se lo sente …" bofonchiò tra sé e sé, posando lo zaino a terra ed estraendo la ricetrasmittente: con il cellulare nemmeno ci provava.
 
"Mamma papera a mamma aquila." Francesco interruppe la lettura di alcuni documenti non appena la voce di Emma squillò alla radio, regolando la frequenza per sentirla meglio "Mamma papera a mamma aquila mi senti?" "Mamma aquila a mamma papera. Ti sento forte e chiaro. Passo." Rispose premendo il pulsante per registrare il messaggio "Emma possiamo finirla con questa stronzata per cortesia? Passo." "Sei con qualcuno? Passo." "Negativo. Passo." "E allora lasciami fare. Senti …" Francesco controllò l'ora sull'orologio da scrivania che aveva davanti a lui. Erano passati 27 minuti esatti da quando Emma aveva lasciato la caserma e non sapeva se essere sollevato che l'avesse chiamato o preoccupato che lo avesse fatto con almeno 10 minuti di anticipo sulle previsioni "… devo dirti una cosa ma non ti devi allarmare. Passo." "Emma è proprio quando mi dici che non mi devo allarmare che io mi allarmo." Impensierito dalla notizia che stava per ricevere, dimenticò di seguire le regole base della conversazione alla radio. "Io sto bene, solo che potrebbe esserci un problema …" "Emma mi vuoi dire cosa succede per favore?" "Credo di aver rotto le acque. Passo." "Che significa credi di aver rotto le acque?!" urlò, letteralmente, saltando in piedi dalla sedie e dalle vetrate dell'ufficio si accorse che, nonostante la porta chiusa, aveva attirato l'attenzione dei colleghi. La voce di sua moglie, per quanto si potesse recepire da una ricetrasmittente, era serena; ora toccava a lui mantenere la calma. Fece un respiro profondo e riprese la conversazione. "Domanda. Sapresti dire dove sei?" "Sono quasi arrivata alla frazione di San Vito. Il bosco si apre qualche metro più avanti verso la strada asfaltata e ci sono dei tronchi ammassati. Passo." "Credo di sapere dove sei. Non ti muovere da lì" le intimò "stai tranquilla. Passo e chiudo."
Chiuse la radio e, uscendo dall'ufficio, corse su per le scale della foresteria salendole due a due e bussando energicamente alla porta chiusa. Aprì Isabella, sconvolta nel vedere Francesco, di solito sempre freddo e tutto d'un pezzo sul luogo di lavoro, così smanioso. "C'è tua zia?" chiese, facendo quasi irruzione nell'appartamento. "Eccomi Francesco" disse Valeria, uscendo dalla stanza da letto in tuta. Erano rientrate da poco e aveva deciso di provare a raggiungere l'amica sul sentiero con una corsetta. Glielo doveva, visto che l'aveva trascurata un po'. "Che succede?" domandò, vedendolo agitato. "Emma ha rotto le acque…" "Oddio! Ma non è …" "Nel bosco? Sì" "Chiamo un'ambulanza?" "No no, vado io, faccio prima … ho bisogno di … non lo so…qualcosa per tamponare…" spiegò, la voce tremante. "Ci penso io…" la giovane corse in bagno a prendere degli asciugamani e un assorbente. Aspettando Valeria, Francesco iniziò a fare avanti e indietro nel lungo salone comune della foresteria, strofinando le mani nervosamente. "Dai Francesco, stai tranquillo" Isabella cercò di calmarlo come meglio poteva una ragazzina la cui massima esperienza in fatto di nascite era stato un puledrino nell'allevamento del suo ragazzo "pensa positivo: stai per diventare papà!" Francesco emise uno sbuffo ironico: paradossalmente non ci aveva pensato; ora, al terrore che qualcosa fosse successo ad Emma, si aggiunse l'adrenalina nel sapere che stava scoccare l'ora in cui avrebbe finalmente conosciuto suo figlio.
"Non so mica se così mi aiuti?!" le disse "E comunque, tu non dovresti essere a scuola?" "Questioni di famiglia…vuoi la giustificazione?" Francesco rise, dimenticando per un'istante quello che stava accadendo, ma il ritorno di Valeria lo riportò a prendere il controllo.
"Grazie mille!" "Ci mancherebbe, da quando Adriana non c'è più, voi siete la mia famiglia" ammise la giovane. Non era abituata a certe confessioni, tanto meno con Francesco, ma in quel momento sentì il bisogno di aprirsi a lui. "Per qualsiasi cosa, conta pure su di me." "So che prendi servizio nel pomeriggio ma … è un problema se inizi ora? Poi puoi uscire prima, è chiaro. Sei la più alta in grado dopo di me e almeno mi sostituisci" "Agli ordini capo. Ora corri da tua moglie."
 
Sulla strada verso la chiesa, Francesco individuò il punto che corrispondeva alla descrizione di Emma. Di fianco alla strada principale, una piccola strada sterrata con dei tronchi d'albero impilati l'uno sull'altro: come immaginava lui, era arrivata quasi al maso della famiglia Santer. Fermò l'auto alla buona, facendo attenzione a non prendere il fossato che c'era sul ciglio della strada e avrebbe bloccato l'auto e, aperta la staccionata che impediva l'accesso alla strada forestale ai non addetti, entrò con il fuoristrada fin dove la larghezza della strada gli consentiva. "Emma!" urlò, scendendo dall'auto "Emma!" "Sono qui!" Emma però era seduta poco più indietro, sulla base di un albero che era stato abbattuto, tranquilla. "Che ci fai là? Non eri nel bosco?" indagò Francesco, avvicinandosi a lei di corsa. "Shhh non urlare! Vuoi attirare l'attenzione dei turisti? … Ho pensato che qui ci avresti messo di meno a trovarmi" "Dio amore, mi hai fatto prendere uno spavento!" esclamò Francesco, inginocchiandosi di fronte a lei; le mani, febbrili, correvano lungo il corpo della moglie, come a voler controllare che fosse tutto apposto. "Come stai? Hai dolore?" "No, sto bene, non ho contrazioni. Solo questa bruttissima sensazione di bagnato." "Ma cosa è successo? Sei caduta?" Emma, serenamente gli spiegò come era andata. "Dai, faccio marcia indietro e ti porto in ospedale…" "No, andiamo a casa" "Come a casa? No, non se ne parla. Non ti sei sbucciata un ginocchio cadendo Emma, hai rotto le acque. È pericoloso" dichiarò l'uomo concitato ma risoluto. "Ecco, grazie per avermelo ricordato, non ce l'avrei mai fatta senza di te"
La sua Emma, riusciva a mantenere un tono spiritoso persino in circostanza come quelle. Era anche per quello che l'amava, perché riusciva ad affrontare tutto con leggerezza. "Testona, ti amo, ti darei la luna, ma per favore" la pregò "non corriamo rischi e andiamo in ospedale".  "Ascoltami bene Francesco Neri, sei pregato di non fare il melodrammatico quando non serve. Voglio lavarmi e prendere la borsa, e bisogna trovare qualcuno che si occupi di Leo. Poi andiamo in ospedale, come è giusto che sia. Va meglio così?" L'uomo sospirò, capitolando. "Tanto se non ti porto a casa saresti capace di tirare il freno a mano e metterti tu alla guida…" Emma sorrise, soddisfatta. Le piaceva sapere che la conosceva così bene.
Si misero in auto e, arrivati a casa, Emma contattò la ginecologa. Con somma gioia, la dottoressa le disse di stare tranquilla, mangiare per fare rifornimento di energia e magari fare una doccia: vista l'assenza delle contrazioni, poteva andare con calma in ospedale. Francesco non era dello stesso avviso, tant'è che sua moglie fu costretta a mettere in vivavoce la conversazione con la ginecologa per convincerlo che le parole venivano direttamente dalla specialista.
Nell'attesa, il forestale, al quale si era invece chiuso completamente lo stomaco per la tensione, aveva contattato il suo migliore amico Vincenzo per affidargli Leonardo, sicuro che Valeria sarebbe comunque andata a dargli una mano nel pomeriggio.
"Però vai a prenderlo tu a scuola" sentenziò Emma, quando il marito le ebbe spiegato la soluzione che aveva trovato "devi spiegargli tu cosa succede e voglio che sia tranquillo quando rimane da solo da Vincenzo." Seduta sul letto di Leonardo, sistemava il suo pigiamino, un cambio e altre cose per la notte in uno zainetto. Per quanto le dispiaceva doverlo affidare a qualcun altro, sperava davvero che il travaglio iniziasse il prima possibile e che il bambino potesse tornare a casa sua. Si fidava di Vincenzo, ma il timore che quella separazione di qualche giorno potesse percepirla come un nuovo abbandono era più forte. Aveva una paura folle che tutta la preparazione, tutti i discorsi, tutte le spiegazioni non erano servite a nulla. "Amore, non ti posso lasciare sola in ospedale, e se succede qualcosa mentre sono via?" "Amore qual è l'indirizzo dell'ospedale?" Francesco fece per domandare cosa c'entrasse l'indirizzo in quel momento, ma Emma rimbeccò con un laconico "Rispondi". L'uomo sbuffò, va bene assecondare una partoriente ma così sarebbe stata davvero una lunga giornata. "Via Freising 2" "E la scuola di Leo?" "Via Freising … 15" pronunciò, a voce strozzata, capendo dove voleva arrivare sua moglie. "Appunto. Quindi non è che se vai a prendere Leo all'asilo e lo porti da Vincenzo a 2 isolati di distanza io nel frattempo partorisco" "Sicura? Io mi preoccupo per te" "Lo so e ti ringrazio, ma stai tranquillo che mi ritroverai di sicuro ancora molto incinta. Te lo prometto. E adesso fammi controllare se nella borsa per l'ospedale c'è tutto che andiamo" sentenziò, risoluta, alzandosi per spostarsi nella loro camera da letto.
La sua Wonder Woman, era ufficiale: neanche il travaglio l'avrebbe fermata.
 
Ore 13.00
 
"Leonardo ha già mangiato all'asilo" "Va beh ma non dirmi che un po' di pasta al ragù napoletano di zio Vincenzo non te l'assaggi adesso, eh uagliù?" chiese Vincenzo, chinandosi di fronte al bambino e facendogli l'occhiolino. Prese il giubbino, il grembiulino e gli zainetti del bambino che Francesco aveva ancora tra mani e li poggiò sbrigativamente sul divano. Il piccolo rimaneva stretto alla gamba del padre, scrutando timidamente Mela che, seduta nel seggiolone, tamburellava una posata di plastica sul piano d'appoggio. "Come sta?" domandò il commissario all'amico, porgendogli il bicchiere d'acqua che gli aveva chiesto. "Una favola … sono io il cencio tra i due" ammise il comandante "sono un fascio di nervi. Non oso immaginare se questa cosa dovesse andare avanti fino a domani come ci arrivo alla nascita del bambino" "Devi stare calmo France' … fai un bel respiro e concentrati su Emma. Io stavo così nervoso il giorno che è nata Carmela che non mi sono goduto niente. E ho completamente perso di vista Eva. Non fare il mio stesso errore" "Ci proverò …"
Il forestale si inginocchiò davanti al bambino, per salutarlo come si deve. "Piccolo io devo andare, Emma mi aspetta" "Sta male?" "No, tranquillo. Sta benissimo, per adesso è solo tanto annoiata. Te l'avevamo spiegato che sarebbe successo. Per far nascere il bambino bisogna andare in ospedale, perché i dottori sanno come si fa" era un terreno scivoloso e Francesco aveva una paura di matta di dire cose che poi non avrebbe saputo spiegare: tra i due, in queste cose, era Emma la più brava. "Ti prometto che appena nasce il bebè che c'è nella pancia di Emma ti vengo a prendere e ti porto a conoscerlo, va bene?" Il bambino annuì. "Non mi lasci qua tanto, papà?" domandò Leo, a bassa voce, un tono quasi implorante. "Per questa sera dormi qui, domani ci vediamo però" disse, con la fronte appoggiata alla testolina del bimbo e facendogli l'occhiolino, pregando tutte le divinità che conosceva affinché potesse tenere fede a quell'impegno "e poi c'è zio Vincenzo, c'è Mela e più tardi viene anche zia Valeria. Sono sicuro che ti divertirai un sacco … se dici che non vuoi stare con loro neanche un po' poi si dispiacciono" "Va bene" rispose il bambino, mogio mogio. Francesco gli posò un bacio sulla guancia e lo lasciò con lo zio Vincenzo che tentava di distrarlo proponendogli di scegliere un cartone da vedere alla tv.
Rientrando nel reparto di Ostetricia dell'ospedale, un'infermiera accompagnò Francesco nello stanzino dove Emma era stata fatta accomodare. Entrando la trovò distesa su un lettino, le fasce elastiche per la cardiotocografia allacciate alla pancia, una mano dietro la testa e le gambe incrociate che battevano ritmicamente. Era annoiata. "Sei qui da tanto?" "No, ho appena cominciato … meno male che sei arrivato, o mi aspettava un'ora di noia" Francesco si lasciò andare ad un sorriso: non c'era molto che potesse fare ma gli faceva piacere poter essere anche di un minimo aiuto. "Quando in tv fanno vedere donne che partoriscono è tutto un aggrapparsi a qualsiasi cosa e contorcersi in agonia. Invece qui è tutto così noioso …" lamentò Emma "il tempo non passa mai" Entrambi scoppiarono a ridere. "Non ti ricordavo così iperattiva …" commentò Francesco, posandole una carezza sulla guancia "di solito ti piace stare le ore allungata su un prato a non fare nulla" "Appunto, su un prato, all'aria aperta…"
Passarono quei sessanta minuti chiacchierando alla maniera loro, confidandosi le paure per le ore che avevano davanti e le aspettative verso ciò che, ormai era solo questione di quando, stava per accadere. Sarebbe dovuto essere ormai scontato, ma si stupivano ancora di provare le stesse emozioni, vacillare di fronte alle stesse paure. La loro unica certezza era che si sarebbero sorretti a vicenda, come avevano promesso quel giorno di quasi un anno prima.
Nel corso di quell'ora, Emma avvertì tre contrazioni. Poteva giurare da quelle che aveva provato fino a quel momento, più dolorose, ma ancora non così dolorose, più lunghe e soprattutto le sentiva concentrate, questa volta, al pube e nella zona lombare. Cercò di non mostrarsi a disagio, per quanto potesse: non voleva dare false speranze a Francesco.
"Stavo pensando ad una cosa incredibile" esordì Emma. "Cosa?" "Se nasce domani, sarà ad un anno esatto dal mio intervento. Sarebbe una cosa…" "Potente" completo la frase suo marito. Sì, ci aveva pensato anche lui. Emma annuì. Quale modo migliore per buttarsi alle spalle tutto quello che di brutto avevano passato, tutte le lacrime versate, se non con la coronazione del loro amore.
Le loro mani corsero ad intrecciarsi, forti e doloranti come quel mattino di dodici mesi prima quando vennero a prenderla nella sua stanza d'ospedale per portarla in sala operatoria. Allora le era rimasto vicino con il pensiero, con il cuore; stavolta le avrebbe stretto la mano, asciugato la fronte, sorretto la schiena. Concretamente, era l'ultima battaglia che avrebbero combattuto insieme prima di siglare la tregua definitiva.
"Emma, insomma, che scherzetti ci fai?" la porta dello studio medico si aprì, rivelando la ginecologa che l'aveva seguita passo passo durante la gravidanza e che aveva appena preso servizio. Hai tempo per nascere fino alle 22, amore della mamma, pensò la donna, in un dialogo con la sua creatura, non voglio partorire di fronte ad un estraneo.
"Eh, dottoressa, io stavo solo facendo una passeggiata innocente … si vede che questo piccino ha fretta"
La dottoressa visitò Emma per controllare che tutto fosse a posto, che il corpo si stesse preparando al parto in maniera corretta e che il bambino fosse in salute.
"Allora Emma, dai che forse ci siamo!" spiegò, sorridente, mentre rimuoveva guanti "c'è una piccola dilatazione di circa un 1 cm e il collo dell'utero di sta mettendo in asse, il che è positivo. Il tracciato evidenzia delle contrazioni, ancora irregolari e non molto forti" "Quanto ci vorrà dottoressa?" "Ah voi uomini … sempre tutto e subito, non è così? È un parto, non c'è cosa più imprevedibile, soprattutto se è la prima volta. Diciamo che se tutto va bene prima di mezzanotte avrete il vostro cucciolo tra le braccia, ma potremmo anche essere ancora in alto mare …"
"Ha visto dottoressa, alla fine ho avuto ragione io … parto naturale e senza neanche l'induzione"
"Non cantare vittoria Emma. I patti sono patti." Durante la gravidanza la ginecologa aveva chiarito ad Emma che, con il problema di salute che aveva avuto, non aveva alcuna intenzione di rischiare complicazioni con un parto naturale. Alla ferma volontà di Emma di provarci, avevano raggiunto un compromesso. "Al primo segno di sofferenza tua o del bambino andiamo in sala operatoria" continuò il medico "Io con la tua storia clinica non voglio correre rischi." Francesco lanciò uno sguardo di approvazione alla ginecologa, che d'improvviso era tornata ad essere competente ed affidabile dopo che avergli impedito di portare Emma in ospedale a sirene spiegate come avrebbe voluto lui. "Anche per questo non ti rimando a casa" continuò la donna "inoltre per via della rottura delle membrane dobbiamo monitorare eventuali infezioni. Se la temperatura o la frequenza cardiaca dovessero salire ti somministreremo degli antibiotici. Non è detto che succederà di sicuro, ma io sono tenuta ad informarti. Quindi state entrambi tranquilli e tu pensa solo a risparmiare le forze per le prossime ore" "Non si preoccupi dottoressa"
 
Ore 16.00
 
Ormai le contrazioni si susseguivano decise e costanti e all'ultimo controllo la ginecologa aveva constatato che il travaglio era ufficialmente in corso, così era stato disposto il trasferimento in sala travaglio. All'ostetrica che si era presentata in stanza per aiutarla nel trasferimento, Emma aveva ribadito il suo fermo rifiuto per la sedia a rotelle, determinata a velocizzare i tempi muovendosi - aveva passato le due ore precedenti salendo e scendendo le scale dell'ospedale, e mentre si avviavano una nuova contrazione la colpi nel mezzo del corridoio. Allungò allora le braccia verso il corrimano del corridoio e lo strinse forte, scaricando tutto il suo peso su di esso. Francesco, che aveva le mani occupate da quelle due o tre cose che potevano portare in sala travaglio le si avvicinò, poggiando la sua fronte sulla spalla della donna: poteva sentirla respirare profondamente, come le avevano insegnato al corso preparto. "Sei bravissima amore, passa subito" le sussurrava, ripetendo quelle parole come una nenia in quei sessanta secondi in cui lei sembrava chiudersi totalmente al mondo esterno, concentrandosi sul mandar via il dolore; non era sicuro che la sentisse, anzi ad ogni nuova contrazione, ad ogni aumento visibile del dolore, la avvicinava con maggior cautela, temendo di venire respinto. Ma le sue paure erano ingiustificate: non c'era nessun altro con cui avrebbe condiviso quei momenti. Passata la contrazione, la giovane lasciò la maniglia e voltatasi verso il marito si lasciò andare ad un sospiro di sollievo, sorridendo "Anche questa è andata … una in meno".
"Avevate già visitato il reparto durante il corso preparto, vero?" domando Renate, l'ostetrica che aveva preso in carico Emma e, sperava, di poter far nascere il bambino. Il fatto che nessuno sapesse se fosse maschio o femmina - al di fuori probabilmente della ginecologa che aveva l'ordine tassativo di tacere nel caso lo avesse visto - aveva incuriosito un po' tutti nel reparto. Non potevano credere che ci fosse ancora qualcuno disposto ad aspettare la nascita e non farsi prendere dalla tentazione di riempire casa di corredini rosa o azzurri.
Entrambi risposero affermativamente. "Allora non c'è bisogno che vi spieghi altro su tutto quello che c'è qui dentro. Qui siamo promotori del parto attivo quindi, mi raccomando, esplora, usa tutti gli aiuti che vuoi, l'importante è trovare una posizione comoda che ti aiuti a lenire il dolore e quindi a facilitare il parto. Ok?" "Tutto chiaro, dottoressa." Rispose Francesco, mentre Emma si dissetava con un succo, limitandosi ad un pollice in su. "Potete chiamarmi Renate e diamoci del tu, niente formalità in sala parto!" precisò la donna, di mezza età, bruna, magra ma non certo gracile che trasmetteva, dietro alla sua divisa lilla e la simpatica cuffietta con le cicogne, un'aria di dolcezza e affabilità. Era importante instaurare un rapporto confidenziale, seppur in breve tempo così l'ostetrica iniziò a porre domande alla sua paziente, fingendo scaltramente di fare semplice conversazione. "Avete altri bambini?" "Sì." "No … amore credo che Renate voglia sapere se è il mio primo parto" spiegò Emma a suo marito. L'ostetrica annuì, ridendo … non era nuova a queste risposte strampalate da genitori nel panico o stralunati dall'esperienza che stavano vivendo. "Ah ok, scusate … comunque è passato parecchio tempo, penso che da allora siano cambiate un po' di cose"
La ginecologa, gentile, non indagò oltre e Francesco le fu grato: sarebbe stato complicato e anche doloroso spiegarle. Ma alla donna, pensò, non interessavano certo i dettagli della loro vita privata.
"Chiamatemi per qualsiasi cosa, soprattutto se vuoi andare in doccia …"
Rimasti soli, Emma andò a sedere sulla palla che l'ostetrica le aveva preparato con un telo. La stanza era in penombra, la tapparella abbassata per tenere fuori la luce. Come succedeva spesso da quelle parti, il sole del mattino se n'era andato in fretta e furia per fare porto ad un pomeriggio grigio e piovoso. La donna oscillava lentamente su di essa, un po' istintivamente, per trovare sollievo, un po' seguendo le indicazioni che le avevano dato durante il corso preparto. Stava aspettando la nuova contrazione, mancavano un paio di minuti, e il ticchettio costante della pioggia sui vetri era il rumore bianco perfetto su cui focalizzare la propria attenzione per schermare tutto gli altri suoni e lasciarsi cullare delicatamente e l'aiutava a non pensare al dolore fisico che stava per arrivare.
"Non mi hai mai raccontato della nascita di Marco…" disse al marito, con noncuranza. "Non c'è molto da raccontare" rispose Francesco, preso alla sprovvista. Lei era sempre stata quella che riusciva a tirargli fuori i rospi con le pinze, tutto ciò che lo faceva star male, lei lo capiva ed era in grado di farlo sfogare; ma mai aveva posto domande precise, lo aveva sempre messo in condizione di aprirsi liberamente, di sua spontanea volontà. "Anche perché io non l'ho visto nascere" rise, nervosamente "è nato con un cesareo". "Ma come? Prima hai detto che hai assistito al parto" "Beh tecnicamente ho assistito al travaglio, ma alla fine hanno dovuto fare il cesareo"
Al di là del pudore che costantemente provava nel parlare di ricordi del suo bambino in cui era coinvolta anche Livia, Francesco non avrebbe mai avuto il coraggio di raccontarle di quel parto; né a lei, né a qualsiasi donna in dolce attesa. Era stato un'agonia: venti interminabili ore , stressanti, impersonali, in una stanza d'ospedale  con i neon accecanti, i rumori del reparto affollato e le manipolazioni di un personale freddo e stanco avevano finito col rallentare il travaglio al punto da costringe i medici a praticare il taglio cesareo. In quelle difficili ore, solo Rosa era stata un sollievo per Livia: Francesco aveva sempre pensato che la sua rudezza da militare fosse inadatta a quelle circostanze, ma ora si rendeva conto che, tanto per cambiare, anche in quell'occasione la loro mancanza di chimica aveva suonato un campanello d'allarme. "Capito … ahi … eccone un'altra" ansimò Emma, aggrappandosi di peso alla pertica in tessuto che pendeva di fronte a lei, per scaricare la tensione. Gli occhi erano chiusi, stretti stretti, la bocca contorta in una smorfia di dolore, le narici dilatate per modulare la respirazione. Questa, pensò il marito, doveva essere bella forte. Si portò alle sue spalle, in ginocchio, per massaggiarle la zona lombare della schiena e le cosce avanti e indietro; non ricordava se fosse giusto o meno, aveva la testa completamente vuota, tutte quelle informazioni che aveva cercato di assimilare nel corso dei nove mesi precedenti, come volevasi dimostrare, al momento di usarle, erano bruciate come pezzo di carta, ma sembrava che stessero facendo effetto perché Emma poggiò la testa sulla sua spalla, girandosi verso il collo a stampare un lungo bacio. Ricordava vagamente qualcosa a proposito dell'ossitocina e dell'importanza dell'intimità fisica ed emotiva in quelle fasi tanto delicate quanto perfettamente naturali. Sentì il corpo della moglie sciogliersi a ridosso del suo, segno che la contrazione stava via via scemando ed anche il suo respiro si normalizzava. "Questa è stata forte, vero?" le domandò. "Non ne hai idea" commentò Emma, buttando ancora l'aria fuori a soffi. "Sei bravissima" la incoraggiò allora Francesco; anche le sue grandi mani, poggiate sul pancione, si ridimensionavano. "Non è vero" "Sì che lo sei, stai facendo una cosa grandiosa, stai mettendo al mondo il nostro bambino" Emma sorrise, sommessamente. Il modo in cui lui la metteva sempre al centro, in ogni istante ma ancora di più in quel momento, le dava una carica di energia pazzesca, libera da ogni giudizio poteva essere pienamente sé stessa. In quel momento era una donna che partoriva, forte e fragile allo stesso tempo, istintiva e sregolata come quel processo ancestrale richiedeva. Con lui al suo fianco sentiva di potersi rilassare completamente e lasciar fare al suo corpo ciò che sa già da solo come fare.
"Amore, passa qui davanti" Francesco andò a posizionarsi di fronte ad Emma, seduto su uno sgabellino di plastica "siccome credo che la cosa sarà un po' difficile da qui in avanti…penso di doverti delle scuse anticipate" "Che?" "Scusa per alcune delle cose che sicuramente dirò in preda al dolore e che non penso assolutamente" "Tipo?" domandò Francesco, incuriosito. "Non lo so…tipo…che ti odio per avermi fatto questo" spiegò, indicando la pancia "o che la prossima volta che mi chiedi di fare l'amore ti ammazzo" Francesco rifrenò a fatica una risata fragorosa. Era nel bel mezzo del travaglio e sua moglie pensava a certe cose. Ma proprio quei pensieri inconsulti, che venivano fuori come li pensava, senza filtri, di punto in bianco, erano una delle prime cose che lo avevano affascinato di lei, che senza mezzi termini aveva ammesso di aver nuotato in un lago senza saper nuotare solo per il gusto di provarci. "Scuse respinte" le disse, sorridendo sornione "primo perché so che non lo dirai e secondo perché non ci credo neanche se te lo sento dire che non vuoi più fare l'amore con me" Emma si lasciò andare ad un sorrisetto compiaciuto. Tutti erano convinti che Francesco fosse un uomo serioso, posato, irreprensibile, difficilmente incline allo scherzo e alla battuta. Ma non era così. Quello era il vero Francesco, il suo Francesco. Sì, la stava rendendo madre, ma non era la sola cosa per cui lo amava. Lui le diceva sempre che il suo sorriso lo faceva stare bene, ma era per lui che quel sorriso esisteva; se possibile, lui era la ragione stessa che le permetteva di essere la donna che lo rendeva migliore.
 
Ore 19:00
 
Francesco saliva le scale dell'ospedale a grandi falcate. Avrebbe potuto prendere comodamente l'ascensore e tornare in reparto in men che non si dica, ma restare fermo ad aspettare l'ascensore gli dava l'impressione di star perdendo tempo. Si era allontanato per pochi minuti, il tempo Emma che uscisse dalla doccia dove si era rifugiata per alleviare il dolore e venisse visitata dall'ostetrica e dalla ginecologa. Era sceso al bar dell'ospedale per prendere qualche bevanda e snack che non fossero il tè caldo e le fette biscottate offerti dal reparto. Lui non aveva fame, ma Emma doveva fare rifornimento di energie. Non c'era mai stato un momento in cui avesse dubitato della tenacia di sua moglie: fin dal primo momento in cui si erano conosciuti glielo aveva dimostrato; in qualsiasi circostanza, anche quando tutti gettavano la spugna, lei non si arrendeva mai. Eppure rimaneva ancora incredulo nel vedere quanta forza avesse in una situazione che avrebbe messo k.o. in molti, lui incluso. "Chi è?" una voce argentina rispose dall'altro lato del citofono del reparto. "Francesco Neri, mia moglie è -" non fece in tempo a finire la frase che la serratura scattò meccanicamente. Attraversò il reparto guardando con discrezione, mentre passava, le stanze: donne con il pancione in attesa di conoscere anche loro i loro piccoli, mamme con i loro cuccioli tra le braccia. Aveva avuto nove mesi e qualche settimana in più per prepararsi all'idea eppure ancora non gli sembrava vero. L'aveva sentito muoversi, tirare calci e fare capriole quasi nella pancia di Emma, aveva visto come aveva cambiato il corpo della madre - da magro, quasi scarno e sofferente dopo l'operazione a florida e splendente, il ritratto della salute e della pace interiore. Eppure aveva difficoltà a credere che in poche ore - 4 o 10 non faceva differenza - avrebbe tenuto tra le braccia un esserino che avrebbe potuto chiamare suo.
"Oh ecco il papà" esclamò Renate, mentre con la dottoressa uscivano dalla sala travaglio. Francesco, a quelle parole, perse 10 anni di vita, quasi convinto che Emma avesse partorito. Eppure era sicuro di esser stato via meno di 10 minuti. "È tutto apposto, tutto procede a meraviglia" lo tranquillizzò la ginecologa "anzi, in 30 anni di carriera travagli così per il primo figlio ne ho visti veramente pochi". Non cantiamo vittoria troppo presto, pensò, ma ritenne anche che commentare e contraddire la dottoressa non fosse una cosa molto elegante da fare. "Vai da tua moglie, adesso" gli disse l'ostetrica, incoraggiandolo con una pacca sulla spalla "ti cerca".
Entrò e la stanza era ormai praticamente in penombra; con la tapparella scesa e la luce del giorno che scemava all'esterno, era stato necessario accendere una piccola lampada che desse un po' di luce soffusa alla stanza. Emma era a terra, carponi, appoggiata alla palla con la testa e le braccia.
"Amore stai bene?" domandò, inginocchiandosi di fianco a lei, dopo aver poggiato sul tavolino quello che aveva comprato. "Mmmm sì … più o meno" rispose telegrafica "così scarico un po' il peso" "Contrazioni?" "Appena passata una" "Perché non mangi qualcosa? La dottoressa ha vietato cibo pesante, così ho preso una macedonia … è fresca, leggera, zuccherosa … dovrebbe andare bene" "Non ho fame …" "Un succo allora …?! Emma qualcosa devi reintegrare … sei parecchio sudata" le spostò i capelli dal viso, bagnati un po' per il sudore, un po' per il vapore e l'acqua della doccia calda che aveva fatto da poco. "Va bene …"
L'aiutò a sedere su una poltroncina, il tempo necessario per bere velocemente dal brik, perché si vedeva che non gradiva più quella posizione in cui invece era stata fino ad una mezzoretta prima. Per distrarla, Francesco tirò fuori il cellulare. "Mentre ero al bar ho riattivato la connessione … sono stato sommerso di messaggi per te" Emma sorrise, per un attimo, il dolore sembrava lontano. "Lo so. Ho sbirciato il telefono mentre mi asciugavo prima della visita." "Questo non l'hai visto però…" le disse, girando il telefono per farle vedere un video che Valeria aveva appena inviato sul loro gruppo Whatsapp comune. Era il giardino di casa e Valeria stava dando da mangiare alla piccola Luna. Assieme a lei, Leonardo. Insieme salutavano Emma e le mandavano frasi d'incoraggiamento. A vedere quel video, seppure brevissimo, Emma non poté fare a meno di piangere. "No, amore, che c'è?" "Non ce la faccio più … mi fa male la schiena, ho quasi la nausea e mi sento svenire ogni volta che ho una contrazione. E non dirmi pure tu che è normale, perché per me non lo è … voglio tornare a casa!" "Lo so, lo so … ma sei stata bravissima e manca davvero poco …" "No, non manca poco" "Abbiamo aspettato 9 mesi, che saranno mai poche ore" "Parli facile tu …" gli disse, ma sia gli occhi che un angolo della sua bocca suggerivano che non era veramente arrabbiata come poteva sembrare dalla voce. "Facciamo una cosa … adesso torniamo alla palla, e ti massaggio la schiena, ti va?" "Non lo so cosa mi va …" "Shhh … va tutto bene" bisbigliò Francesco, mentre aiutava sua moglie a rimettersi in piedi "adesso con un po' di pazienza troviamo la posizione giusta"
Emma gli si strinse al collo stretta, respirando quel profumo che le piaceva tanto. La calmava, naturalmente. Niente odore di disinfettanti e ammoniaca che le entrava fino dentro ai polmoni e le ricordava dei lunghi giorni bloccata su un letto d'ospedale, con mille tubi attaccati alle macchine, drenaggi e la sensazione che non ne sarebbe uscita mai. Semplice e buono odore di casa.
 
Ore 22:00
 
"Non voglio stare allungata …" si lamentava la giovane donna di fronte all'ostetrica che la invitava a salire sul letto. Ormai era completamente dilatata e aveva persino lo stimolo a spingere. "No Emma, tranquilla. Puoi stare nella posizione che preferisci, ma perché io possa aiutarti mi devi aiutare anche tu e devi andare sul lettino" "Non ce la faccio…" "Sì che ce la fai" la incoraggiò il marito, prendendole le mani "e poi ci sono io qua, ti appoggi a me"
Se Emma non ce la faceva più fisicamente, Francesco era uno straccio mentalmente. Erano nove ore che assisteva impotente mentre sua moglie si contorceva e il massimo dell'aiuto che poteva offrirle erano le sue mani, qualcosa da bere e delle parole di sostegno che non era sicuro lei avesse sentito. Aveva avuto paura. Di svenire, di non sopportare quanto avveniva sotto i suoi occhi. Paura che qualcosa andasse storto. Per settimane ogni notte aveva sognato quella scena e finiva sempre allo stesso modo: svegliandosi. E lei gli era accanto, con quel pancione che conteneva il più grande dei segreti e dei doni che si potessero custodire. In quel momento provava la stessa impotenza che sentiva quando Emma era riversa su un letto d'ospedale, esanime, e non c'era nulla che potesse fare per svegliarla. Fate partorire me, toglietele questo dolore e datelo a me! continuava a ripetere una voce dentro la sua testa, ma era altrettanto conscio che se fosse toccato a lui non sarebbe durato mezzo secondo. Erano quasi dieci ore che Emma aveva reso quei dolori i suoi migliori amici e a parte qualche piccolo, momentaneo cedimento, non aveva fatto una piega. Nell'ultima ora si era lasciata andare modulando dei vocalizzi, ma quella era stata la sua massima esternazione di dolore.
L'aiutò ad alzarsi e a posizionarsi, ancora carponi, sul letto, le gambe divaricate più che poteva, di spalle all'ostetrica che si preparava ad accogliere il loro bambino seduta ad uno sgabello.
"La dottoressa è in sala operatoria per un cesareo d'urgenza" disse un'infermiera a bassa voce a Renate, ma ad Emma nonostante il dolore e la stanchezza non sfuggì quel dettaglio. "Non posso partorire ora! Non senza la dottoressa!" Nella sua voce tutto lo smarrimento del sentirsi solo di fronte ad un qualcosa più grande di sé, senza la guida dei mesi passati. "Certo che puoi!" esclamò l'ostetrica "Emma hai avuto un travaglio perfetto, la testolina inizia già a vedersi, poche spinte ed è tutto finito. Puoi fare benissimo senza la dottoressa. E poi io e tuo marito siamo qui!" Se quello che le aveva detto non fosse stato già abbastanza convincente, la voce della donna, decisa ma rassicurante, riuscì a riportare la calma in quel momento di concitazione. La sua dolcezza era riuscita a conquistare in poche ore la sua fiducia, la presenza di Francesco era la certezza di avere una roccia a cui aggrapparsi e quelle nove ore trascorse erano una garanzia sulle sue capacità: solo lei poteva mettere al mondo quel figlio e lo avrebbe fatto in quel momento.
"Emma ora ascoltami bene, respiri profondi e lunghissimi appena senti la contrazione vai con la testa verso la pancia e spingi come se dovessi fare gli addominali"
Emma annuiva, in silenzio, aggrappando forte le mani alle staffe sulla spalliera del letto, tirato completamente su per favorirle la presa. Francesco, concentrato, le pinzò i capelli alla buona in una crocchia, accarezzandole a mani nude il volto per asciugare il sudore. Senza dire nulla - che parole usare in un momento come quello - le baciava la guancia, ripetutamente.
Le spinte iniziarono. Chiuse gli occhi: non voleva, non poteva guardare verso l'ostetrica; decise di prendere una mano di Emma e con l'altro braccio cingerla in un abbraccio. Non stava facendo assolutamente nulla eppure il suo cuore batteva come se stesse correndo i metri finali di una maratona. Poi comprese: era il loro momento, il punto più alto del loro essere coppia. Ad ogni spinta la sentiva muoversi, scendere verso il basso per raggomitolarsi e contrarre la pancia. Sentiva la voce dell'ostetrica che scandiva i secondi, le infermiere che la incoraggiavano e lui non era capace di aprire bocca. Ma l'intensità di quel suo silenzio riecheggiava più forte alle orecchie di Emma di quanto non facessero le istruzioni delle donne che l'assistevano. Nonostante il forte dolore fisico, l'odore aromatico e legnoso del suo uomo, la sua terra e le sue radici, le restituiva tutta potenza di quel momento, l'eccitazione intensa e irreprimibile per quell'incontro imminente.
"Un'ultima spinta ed è tutto finito"
Emma spinse forte, come se fosse l'ultima cosa che avrebbe fatto in vita sua e con lei anche Francesco, al quale sembrava di aver esaurito l'ossigeno nei polmoni. Un'apnea lunga sette anni, da quando era diventato un padre senza figli. Le mani di entrambi, intrecciate, erano quasi livide per la stretta, ma il loro centro era un altro e sentivano, ma mano che i secondi passavano - lenti come fossero minuti, ore - la gravità spostarsi: stavano diventando due pianeti che giravano attorno ad un unico sole.
"Eccola! È una bambina! Congratulazioni!" esclamò l'ostetrica, tenendo un batuffolo raggomitolato, umido e rossiccio tra le sue mani. Era quella la prima immagine che Francesco ebbe di sua figlia - Figlia! Ho una figlia! Mia figlia! - ma fece a malapena in tempo a buttare uno sguardo a quello scriccioletto che i suoi occhi si riempirono di lacrime.
Emma si sentiva … non lo sapeva nemmeno lei come si sentiva. Era stanca, era sollevata, era felice, era … una madre. Non era mai stata tipa da piangere per una cosa bella, ma era passata attraverso troppo dolore perché quella felicità assoluta non assomigliasse ad un fiume in piena. L'ostetrica poggiò la piccolina sul piano del letto, tra le sue gambe, affinché potesse prenderla con le sue mani. Un'infermiera l'aiutò a sollevare la camicia da notte che indossava per accogliere la bambina sul suo petto, avvolta ad un leggero lenzuolino per scaldarla.
"Ciao amore! Piccolina mia … sono la mamma, la tua mamma" le baciava la testolina ancora sporca, ma non le importava, non ci faceva nemmeno caso, per lei era solo la sua bambina tanto attesa che sapeva di buono, profumava di lei e di Francesco. Era lei e Francesco, insieme. Si girò verso Francesco, le cui gambe avevano ceduto ed era in ginocchio di fianco al letto che le guardava, ancora con gli occhi pieni di lacrime, come si guarda un miracolo, con stupore ed estasi. Erano il suo miracolo. Si guardarono e sorrisero, ma non riuscivano a smettere di piangere. Francesco allora si fece forza e portò le sue labbra su quelle della moglie, un bacio speranzoso e disperato allo stesso tempo.
Dopo un primo pianto di vita, la piccolina se ne stava buona tra le braccia della mamma. Un braccino usciva fuori dal lenzuolino in cui era stata avvolta per aggrapparsi al seno di sua madre.
"Guarda piccolina" le disse Emma "c'è il tuo papà" "Ciao piccina … benvenuta … sono il tuo papà"
I loro cuori erano pieni d'amore, quell'amore che avevano imparato a ricevere e donare reciprocamente, quello che si era perso per lunghi mesi lontani, quello ritrovato e confessato, quello interrotto dei loro silenzi, quello che non poteva essere nascosto e taciuto nonostante i tradimenti e le offese, quello totale di fronte alla sofferenza e alla paura di perdersi, quello del per sempre che si erano giurati.

Ritorna all'indice


Capitolo 26
*** Ieri e Oggi ***


Capitolo 26 - Ieri e oggi

 



 

Era ormai notte fonda. Sicuramente era passata l'una, forse erano quasi le 2, non lo sapeva con certezza. Dalle 22.32, orario di nascita della bambina, era come se il tempo si fosse fermato. Come se si fosse creata una bolla che li aveva inglobati, lasciando che il mondo continuasse a scorrere per conto suo al di fuori. Aveva tagliato il cordone e l'aveva portata lui stesso nella stanza affianco, per il bagnetto e la prima visita di routine. Emma era e sarebbe sempre rimasta la sua casa, il suo rifugio, Francesco sarebbe stato la mano che l'avrebbe accompagnata e protetta nel mondo che esterno.
Non aveva potuto farle lui stesso il bagnetto, l'ospedale non lo permetteva, ma i suoi occhi, svegli e attenti come se non avesse trascorso una giornata d'attesa e preoccupazione, e le sue orecchie avevano registrato tutto. 3250 grammi per 48 cm, Apgar 9/10. Non ci stava capendo granché, talmente era frastornato dall'emozione, ma i volti della puericultrice e del neonatologo erano più che soddisfatti, doveva essere positivo.
L'aveva riportata da Emma avvolta nella sua copertina e insieme, tutti e tre, per la prima volta, erano rimasti soli per un paio d'ore in uno stanzino accanto alla sala parto, in osservazione. La piccola, sdraiata sul petto nudo della madre si era fatta strada istintivamente verso il seno e piano piano si era attaccata, sempre più convinta. Loro la osservavano incantati, non sapendo dove posare prima lo sguardo, venerandola come un piccolo Buddha.
Alla fine entrambe avevano ceduto alle fatiche del parto e si erano addormentate non appena vennero riportate in stanza.
Francesco invece sentiva ancora l'adrenalina scorrere nel suo corpo, non riusciva a pensare di tornare a casa e stendersi nel letto, né di allungare lo schienale della poltroncina nella stanza di Emma e provare a chiudere gli occhi per qualche ora. Avesse potuto, avrebbe preso Oliver e si sarebbe messo a galoppare lungo qualche radura nei dintorni, per sentire l'aria fresca tagliargli la faccia e il vento scompigliargli i capelli. Ma ora, ai suoi occhi, quell'immagine di libertà sembrava quasi come una fuga e lui era lì per proteggere le sue donne, vegliarle nel riposo. Le sue donne…mentre ci pensava un sorriso gli si irradiava immediatamente  sul volto. Era totalmente felice e pieno di vita, come quando, dopo la fatica della scalata, si arriva in cima alla montagna: affaticati sì, ma ricompensati dalla meraviglia del paesaggio che si apre tutto intorno.
Scese al pianterreno per prendere qualcosa al bar, del resto era dalla colazione del giorno prima che non toccava cibo e, alla fine, dopo quasi venti ore, il suo organismo reclamava di essere sfamato dignitosamente. A quell'ora però, nel deserto dell'ospedale, era già un miracolo che il bar fosse aperto e l'unica opzione era qualche tramezzino freddo. "Le paste arrivano tra qualche ora" spiegò il cameriere. "Un panino prosciutto cotto e formaggio andrà benissimo, grazie" "Glielo scaldo, se vuole" "No no, stia tranquillo".
Andò a prendere una bottiglia di birra nel frigo e si sedette su uno sgabello ad un bancone per le consumazioni addossato al muro, di fianco allo scaffale dei giornali e delle riviste. Intanto rispondeva ai messaggi di auguri che erano arrivati sul telefonino - aveva mandato un messaggio generale sbrigativamente intorno a mezzanotte. Sperava di non svegliare nessuno, data l'ora, ma per lui era come se fosse mezzogiorno. Mangiava, beveva e intanto rideva, mentre sceglieva la foto più bella da mandare agli amici. La sua principessa era nata da un paio d'ore, e già avrebbe potuto riempiere un album con tutte le foto che le aveva fatto: non era sicuro che la sua memoria potesse ricordare ogni dettaglio di quella lunga notte e così affidò i suoi ricordi alla fotocamera. 
 
Arrivò in ospedale dal piccolo monolocale che aveva preso in affitto. Gli avevano detto che Padova era una bellissima città, ma le uniche strade che conosceva erano quelle che percorreva nel tragitto verso il nosocomio e gli sembravano tutte uguali. Forse avrebbe dovuto guardarsi un po' intorno, invece che limitarsi a tenere la testa bassa su marciapiede e asfalto, ma era come se fosse calata la notte da giorni. Salì in reparto meccanicamente, ogni gesto uguale al giorno precedente, in una routine mesta e stanca. Un operatore lo aiutò ad infilare la cuffia, il camice e i calzari. Prima di entrare in stanza il medico di turno lo ragguagliò del bollettino quotidiano; era fiducioso, tutto procedeva secondo la tabella di marcia: non c'era stata febbre, il battito era tornato regolare, c'era stata una risposta agli stimoli esterni e tutta una sfilza di altri valori in miglioramento che avrebbero permesso di completare l'interruzione della sedazione iniziata il giorno prima. Poco a poco, si sperava, si sarebbe risvegliata … in teoria. A Francesco, che non era un medico, di tutti quei dati che gli erano stati elencati interessava fino ad un certo punto; alla domanda "è fuori pericolo?" - la stessa, da giorni - la risposta rimaneva troppo vaga "vediamo … è presto per dirlo … valuteremo del prossimi giorni".
Prese un grosso respiro, fermo davanti alla porta che lo divideva dalla stanza di Emma, ed entrò.
 
La stanza era buia, illuminata solo dal fascio di luce che veniva dalle luci di cortesia del corridoio. Girata sul fianco, Emma dormiva, placida. Di fianco al letto, la culla. Francesco si avvicinò, lentamente, per non svegliarle. Lasciò una lieve carezza con il dorso della mano sul viso di sua moglie. Non so più in che modo amarti, pensò. Fino a neanche ventiquattro ore prima pensava alla nascita di un figlio come un evento straordinario che ti cambia la vita, ma non aveva ancora realmente capito quale atto d'amore estremo fosse per loro due come coppia: il loro amore aveva preso forma e vita, non era solo più per loro ma era visibile ad occhio nudo, si poteva toccare, aveva un profumo irresistibile, dolce e pulito e pochi capelli in testa.
Dalla culla, un piccolo gemito, quasi impercettibile, venne da quel batuffolo di gioia. L'uomo si curvò sulla piccola, imbambolato e rapito, a stento conscio che quella lì dentro fosse davvero sua figlia. Forse, pensava tra sé e sé, sarebbe arrivato qualcuno a dirgli che era il protagonista di qualche esperimento sociale o candid camera e che tutti attorno a lui erano attori, pronti ad interrompere quella sceneggiata da un momento all'altro; alla piccolina però, di tutte le capriole mentali del padre, non interessava niente: si era svegliata e, dopo 9 mesi al caldo in compagnia della mamma, quella culletta con i lenzuolini freschi di cotone non era di suo gradimento. "È ancora presto per svegliare la mamma, principessina" le sussurrò suo padre, posandole un bacio sulla guancia.  Ma la piccola non ne voleva sapere, le gambine sfrenate tiravano via le lenzuola e le braccine tirate verso l'alto, sembravano invitarlo a prenderla in braccio. Francesco non se lo fece dire due volte e, fatte passare le mani sotto la schiena della bambina, facendo attenzione alla testolina, la tirò su portandola contro il suo petto.
 
Entrando nella stanza, Francesco si sentì mancare. La luce fredda del neon, i suoni dei macchinari, l'odore forte del disinfettante erano niente a confronto dell'immagine che aveva davanti a sé. Era passata quasi una settimana ma era difficile farci l'abitudine. Come poteva, del resto, accettare quella situazione? Emma se ne stava distesa nel letto, immobile, diafana, smagrita. Si ripeteva che era solo in un sonno più profondo del normale, ma faceva fatica a crederci lui stesso. Attorno a lei un muro di macchinari per aiutarla a respirare e registrare ogni tipo di cambiamento nella sua situazione. Dietro a quei cavi e a quei tubi, quasi faticava riconoscere la donna che, così piena di vita, lo aveva tirato fuori da quello stato comatoso che era diventata la sua vita dopo la morte del figlio. Ma non poteva tirarsi indietro. Era stata una sua scelta ed era stata così coraggiosa a portarla avanti, conscia di tutti i rischi. E lui doveva rispettarla. Era pronto a giurare di amarla ed onorarla per tutti i giorni della sua vita, anche in quelli brutti anche nella malattia, finché … no, a quella eventualità non voleva pensare. L'avrebbe trattenuta per i capelli se necessario, ma Emma DOVEVA vivere, non c'erano altre opzioni.
Si avvicinò al letto e le sorrise, come potesse vederla. "Ciao amore mio!" la salutò, tentando di ricacciare tutte le lacrime e la voce tremolante e strozzata che in quel momento stavano avendo la meglio su di lui. Era fondamentale, gli avevano detto, che mantenesse un atteggiamento normale, come se nulla fosse successo, che tutto andasse come se fosse un ricovero normale. Le accarezzò la testa, attardandosi sui capelli sciolti che, lunghi, le cadevano sulle spalle. Da un lato, la fasciatura dell'operazione era ancora ben visibile, ma in quel groviglio di cavi e tubi era la cosa meno evidente. Ripensava a quando la loro unica preoccupazione era che la cicatrice fosse il meno visibile possibile: si sentiva così stupido e superficiale.
Si sedette su una sedia che era accanto al letto, prendendola per mano, iniziando a raccontarle di cose stupide, superflue anche, che aveva saputo dagli amici a casa. A lui, in quel momento, interessava meno di zero dei piccoli fatti di cronaca dal paesello, men che meno dei pettegolezzi da parrucchiera, ma era solo per raccontarli a lei che restava al telefono tutti i giorni con Vincenzo, Valeria e Huber e fingeva di essere interessato alla vita di San Candido.
"E naturalmente Leo ti saluta e chiede sempre di te … vuole sapere quando finalmente torniamo a casa perché vuole andare a vedere i lupi prima che faccia la neve. Dobbiamo sbrigarci perché è prevista neve in quota già a fine mese … hai capito, Emma? Tu neanche te lo immagini quanto è bello il lago d'inverno…"
Le strinse la mano tra le sue più che poteva, facendo finta che non fosse un pezzo di ghiaccio, ma non come d'inverno quando basta strofinarle un po' e metterle davanti alla stufa. Si immaginava la palafitta calda, il piumone e qualche altra coperta, il profumo di una zuppa calda sul fuoco e la neve che cadeva fuori silenziosa e lenta. Doveva vederlo, non poteva essere altrimenti.
 
Nelle sue grandi mani, quel corpicino minuscolo quasi si perdeva, col suo palmo riusciva a coprire il culetto e l'intera schiena.  Pur sapendo come fare - paradossalmente era come andare in bicicletta, in men che non si dica aveva ripreso tutti gli automatismi - la maneggiava con cura, quasi fosse di porcellana pregiatissima, un po' per timore di farle male e un po' perché aveva paura che piangesse e svegliasse la madre.
Andò a sedere nella poltroncina di fianco al letto. Lo schienale era già parzialmente reclinato perché Emma aveva insistito che almeno, visto che non voleva tornare a casa, provasse a riposare un po' lì. Ma come potevano venirle in mente certe strane idee? Aveva passato quasi 48 ore senza dormire quando gli aveva detto che sarebbe diventato padre, figurarsi ora che poteva tenere la bambina tra le braccia.
Delicatamente, la fece scivolare leggermente su un lato, in modo da poterla vedere bene. Quel po' di luce che veniva dal corridoio era sufficiente delineare per bene i dettagli di quel piccolo volto. Dei grandi occhioni grigio blu si intravedevano da due finestrelle e nonostante il buio e le smorfiette mentre si stiracchiava, riconosceva i suoi occhi in quelli della bambina. Tutto il resto prendilo da mamma, però, mi raccomando, pensò. Era così che se l'era immaginata una figlia femmina: una piccola Emma, dolce e ribelle, delicata ed intraprendente. "Ehi principessa!" le sussurrò ammaliato. Dubitava che riuscisse a vederlo nitidamente eppure in quella penombra, i loro volti così vicini, sembrava che lo stesse squadrando con cura. "Eh sì" le disse "sono io il tuo papà. Non sono bello come la mamma e sono pure un bel casino" le confessò, la voce dolce e rapita "ma ti prometto che insieme sarà bellissimo"
Nella sua mente progetti di pic nic sul prato, escursioni in montagna, gite in barca, vacanze al mare, pupazzi di neve e castelli di sabbia. Non erano più sogni, speranze, era qualcosa che presto sarebbe diventato realtà. "E poi c'è Leo, il tuo fratellone che non vede l'ora di conoscerti"
 
"Hai capito Emma? Abbiamo scherzato abbastanza, adesso è ora di tornare a casa. Ci sono un sacco di cose che dobbiamo fare insieme" aggiunse "l'hai scritta tu la lista". Quella lista che aveva stilato qualche giorno prima, in cui aveva scritto tutte le cose che avrebbero dovuto fare una volta fuori dall'ospedale, che doveva servire a darle un buon motivo, dieci buoni motivi per tornare. Iniziò a scandire quella lista lentamente, a memoria, guardando in volto quasi potesse guardarla dritta negli occhi, immaginando come sarebbe stato esaudire quei desideri: una notte sotto le stelle sulla Croda del Becco, per vedere dall'alto l'alba che illumina il lago sottostante poco a poco; il tramonto sul mare, magari passeggiando a piedi nudi sulla sabbia che disperde il calore accumulato durante le ore più calde; le lezioni di ballo, ma lui pensava solo a sé stesso che le pesta i piedi, mentre disperatamente lei tenta di insegnargli a ballare almeno un valzer; e poi il giorno del loro matrimonio.
L'avrebbe sposata, quella era una certezza. Non importava come: in un letto d'ospedale, in un ufficio freddo e spoglio del comune, in jeans e maglietta; l'importante era poter dire davanti a tutti che l'amava e che, sì, voleva essere suo per sempre.
Mentre si perdeva nei suoi pensieri, gli sembrò che il suo inconscio volesse accanirsi su di lui, facendogli credere che la mano inerte che stringeva tra le sue ricambiasse la sua stretta, seppur lievemente. Con gli occhi, tanto per essere sicuro che non stesse impazzendo definitivamente, corse alla mano di Emma. "Emma!" la chiamò "Emma!"
La mano si mosse, impercettibile forse agli occhi, ma la pressione, anche se leggera, era distinta al tatto. Lo aveva sperato e desiderato troppo a lungo e ora che stava accadendo stentava a credere che stesse succedendo davvero. Avrebbe  voluto tirarsi uno schiaffo per essere sicuro di non star sognando. "Emma! Emma!" ripeté, alzandosi della sedia, con una mano ancora stretta a quella della sua compagna e l'altra corsa immediatamente sul suo volto. Lei lo faceva sempre con lui e aveva per lui effetto benefico, il calmante per le sue crisi, il porto per le sue tempeste: magari, sperava, valeva lo stesso per lei.
 
"Dovremo trovarti anche un nome" aggiunse, rendendosi conto che non poteva ancora chiamarla per nome "lo so che ti sembrerà strano che in nove mesi non siamo stati capaci di trovarne uno, ma siamo strani, te l'ho detto. Mamma e papà volevano conoscerti e non ci si conosce così, con uno sguardo. Sai quante ne ha dovute passare la tua mamma prima che io capissi che non potevo vivere senza di lei … ho i miei tempi …"
Tenendo quel corpicino stretto al suo corpo, così fragile eppure in grado di fare una cosa così enorme come venire al mondo, in mente gli veniva solo una parola: amore. Ne era così pieno, quasi sopraffatto, da non riuscire a pensare ad altro. Lei era la forma di quello che c'era nei loro cuori, da quel giorno al lago quando era rimasto stranito di fronte a quella ragazza tutta matta fino al giorno in cui aveva corso a perdifiato con Oliver per raggiungerla in strada per impedirle di andare via.
Si ritrovò a raccontarle di quel primo incontro, quello che cambiò totalmente le loro vite, di quei giorni in cui anche gli estranei li scambiavano per una coppia e loro non avevano il coraggio di ammettere nemmeno a sé stessi i loro sentimenti e di quella lunga notte, un po' come quella che stavano vivendo padre e figlia in quel momento, in cui erano rimasti svegli dopo la bella notizia del suo arrivo.
"Ci sono tante cose che dovrò farmi perdonare anche da te" affermò, pensando a quei fratelli che lei non avrebbe mai conosciuto "ma non oggi, oggi non è il giorno per essere tristi. Mi hai resto la persona più felice del mondo, lo sai principessina?"
La piccola stava con le gambette rannicchiate, come una ranocchietta, e i palmi delle manine allargati contro il suo petto, all'altezza del visino. L'uomo non seppe resistere e passò un dito lungo sotto la mano della bambina. Lei, forse per un riflesso, forse no, poco importava, agguantò l'indice del padre tra le sue dita minuscole su cui lui portò le labbra per stamparvi un bacio.
Se qualcuno gli avesse chiesto come si sentiva in quel momento, non sarebbe stato in grado di spiegarlo. Non era felice: di più, molto di più; sentiva che il cuore stava quasi per scoppiare, come se fosse cresciuto di quattro taglie e non ci stava più nel torace. Era come se, per una volta nella sua vita, non ci fossero ombre, né problemi. Era in un'oasi di serenità che, finalmente, non aveva una data di scadenza.
Complice il calore del corpo del padre e la sua stretta forte e sicura, la piccina stava tranquilla, ma faceva fatica a tenere gli occhi aperti: la voce vellutata del padre la cullava verso un dolce sonno ristoratore, e la boccuccia rossa, socchiusa, come a formare un piccolo cuore, ogni tanto si apriva per uno sbadiglio. Francesco posò un bacio sulla testa della piccola, respirando profondamente il suo profumo, dolce, come le caramelle latte e miele che la mamma gli regalava da bambino quando portava a casa un bel voto da scuola. Ecco, se avesse dovuto fare un paragone, profumava di casa, d'infanzia, della sua mamma, il profumo di tutto ciò che di bello conservava nei suoi ricordi. Senza che se ne fosse accorto, una lacrima gli rigava il viso.
"Dormi stellina" sussurrò "tra le braccia di papà sei al sicuro"
 
Le palpebre di Emma erano tremanti e trasmettevano visibilmente tutta la fatica che stavano facendo, dopo giorni, per aprirsi di fronte alla luce artificiale. Lui continuava a chiamarla, doveva tornare da lui, ma la voce da agitata ed impaziente virò verso note più dolci, quasi un sussurro. Stava tornando, non doveva metterle fretta. Per lei, immaginava, era come dover attraversare una strada trafficata senza strisce pedonali. "Sono qui amore" le sussurrò "torna da me, ti sto aspettando"
Emma finalmente aprì i suoi occhi, all'inizio incerti, quasi persi nel vuoto, esitanti di fronte a quel luogo sconosciuto. Lui continuò a chiamarla e, mancandole completamente le forze, il massimo che poteva fare in quel momento era seguire la voce con lo sguardo, tentando di girare la testa debolmente verso di lui. "Ehi!" fu tutto quello che era stato capace di dirle, in un soffio, mentre il suo volto si apriva in un sorriso smagliante, come non faceva da giorni, come forse non aveva mai fatto, di quei sorrisi capaci di riempire di gioia ogni singolo poro della pelle e di luce gli occhi.
Invece di ricambiare, almeno con lo sguardo la sua felicità, Emma chiuse le palpebre e le sue guance si rigarono di lacrime composte, che facevano ancora più male. L'uomo capì che, pur nello stato parzialmente confusionale, era cosciente che qualcosa non andava: intubata, tentava di parlare ma non riusciva, nonostante provasse con tutta sé stessa. Quello sforzo le provocava una fatica enorme e, agitata, provò a dimenarsi ma invano finché, sconfitta, accasciò la testa sul cuscino. L'uomo tentava di consolarla come poteva, in un misto di strazio, che gli lacerava il cuore nel vederla in quelle condizioni, e di gioia lo faceva battere forte.
"Emma, Emma per favore non fare così. Va tutto bene. Va tutto bene" le disse, continuando a  guardarla dritta negli occhi, sorridendole, mentre premeva con tutta la forza che aveva il campanello per chiamare il personale. In lui si fece largo un baleno di consapevolezza: per quanto ne sapeva, poteva non ricordare nulla; lui stesso, in quel momento, per lei, poteva essere un estraneo. "Emma sono io, sono Francesco, mi riconosci?" domandò. Forse era una domanda stupida, forse in quel momento era l'ultima cosa da fare. Ma aveva bisogno di sapere.
"Che succede?" il medico di turno e un infermiere entrarono nella stanza, preoccupati. "Si è svegliata!" rispose. I due si avvicinarono al letto. "Ora deve uscire signor Neri, per favore" lo invitò il rianimatore. "Aspetti un attimo" domandò, implorante. L'uomo, gentile e comprensivo, fece un passo indietro, facendo finta di dare qualche istruzione all'infermiere che era con lui.
"Emma tu sai chi sono, vero?" ma era evidente che la giovane non poteva rispondere. "Basta … basta un cenno o…oppure, mi puoi stringere la mano." Avrebbe giurato che, quei dolci occhi color nocciola, avessero ripreso tutta la luce con cui lui si sentiva amato, ma doveva rimanere con i piedi per terra, poteva essere solo suggestione. La vide chiudere le palpebre lentamente e poi riaprirle e di nuovo sentì quella tenue pressione sul palmo. Era un sì. Le sue mani corsero istintivamente sul suo viso ed era come se tutti i tubi e i macchinari con quel sì si era volatilizzati. Il tempo poteva tornare a scorrere, il suo cuore poteva tornare a battere. Era tutto finito, tutto passato.
"Signor Neri, adesso deve proprio uscire, mi dispiace" "Va tutto bene Emma. Te lo prometto. Io sono qui fuori. Non me ne vado. Hai capito?" Lei chiuse di nuovo gli occhi per annuire e poteva giurare che stavolta quei lucciconi che le riempivano gli occhi non erano di tristezza o angoscia, ma di pura e totale felicità. Lui era con lei, Lei era tornata per restare. Avevano mantenuto le loro promesse.
 
Il reparto tornava a prendere vita. Il personale di turno al mattino si avvicendava con quello notturno accendendo le luci in corsia e dando avvio alle proprie mansioni. In lontananza, dietro la porta chiusa di una delle sale parto, si sentivano le urla di dolore di una donna che stava per diventare madre. Guardando lo scricciolo che aveva tra le braccia si lasciò andare ad un sorriso: ancora non poteva sapere, quella donna, quanta gioia sarebbe seguita a tutta quella fatica.
Emma, nel letto, apriva lentamente gli occhi. La bambina tra le braccia del padre, il suo buongiorno. Sorrise, orgogliosa e felice. Tante volte aveva fantasticato su quel momento ma la realtà superava la fantasia. Lei lo sapeva bene che il suo Francesco non era quello che gli altri conoscevano, ma la paternità gli aveva tolto quel po' di scorza dura che ancora portava su di sé: ogni difesa era crollata; stringeva tra le braccia una fagottina - Huber aveva avuto ragione - di 50 cm ma era lei a tenerlo al guinzaglio. Il suo sguardo era dolce, pacato, la voce calma, rassicurante. È vero, quando aveva desiderato un figlio per lei e Francesco, l'idea di ridargli quello che aveva perso era uno dei motivi che l'avevano spinta a rischiare, ma non era l'unico: quella creatura era come un ponte tra il presente e il per sempre, per proiettare il loro amore verso l'infinito; quando loro non ci sarebbero stati più, una traccia di quell'amore sarebbe rimasto visibile e tangibile.
Rimase a guardarli in silenzio, a godersi lo spettacolo di un papà che, innamorato pazzo, non riusciva a staccare gli occhi dalla sua bambina, nemmeno se lei dormiva tranquilla tra le sue braccia, e continuava a parlarle, come non avessero un'intera vita davanti. Finché Francesco non si accorse di quello sguardo che li vegliava e li ammirava.
"Buongiorno!" mormorò, teneramente. Emma ricambio con un sorriso, strofinando gli occhi gonfi e ancora un po' incollati. "Non l'hai lasciata un attimo, vero?" domandò, ancora assonnata, stiracchiandosi come poteva in quello stretto letto d'ospedale, con un filo di voce. "Come si può resistere?!" la domanda retorica di Francesco. Emma sospirò, ma aveva ragione, lo avrebbe fatto anche lei.
"Quanto ho dormito?" domandò, mettendosi a sedere. Era ancora indolenzita e non pienamente in forze ma voleva prendere in braccio la piccolina. "Cinque ore, più o meno, sono le 6 e mezza" "Pensavo fosse più tardi… meglio così, almeno abbiamo un po' di tempo per stare un po' insieme prima che te ne vai" "Ma io non vado da nessuna parte. Vado a prendere Leo da Vincenzo, lo porto all'asilo e torno" "Uno. Non puoi stare in reparto durante le visite mediche. Due. Non ho bisogno di uno zombie al mio fianco, quindi per favore torna a casa, fai una doccia e dormi un po' ai anche tu che ne hai bisogno." Francesco provò a ribattere ma era chiaro che Emma non era disposta ad accettare compromessi o discussioni. "E ora per favore fai prendere la bambina un po' anche a me …" disse, fingendo gelosia e allungando le braccia. Nel passare tra le braccia del padre a quelle della madre, la piccolina si svegliò. Stiracchiava le braccine, sfilando via involontariamente il berretto che Francesco le aveva messo per tenerle calda la testina, mentre le gambine erano comodamente rannicchiate come se fosse ancora nella pancia di Emma. Forse la luce naturale che filtrava dalle tapparelle era inusuale per lei, nata di notte in una stanza in penombra, perché ad ogni tentativo di aprire gli occhi li richiudeva portando le manine davanti agli occhi. O forse, più semplicemente, non era ancora convinta che svegliarsi fosse la cosa giusta da fare. Poco alla volta però, attirata dalla voce della sua mamma, riuscì ad abituarsi a quella luce naturale e a mostrare ben aperti i suoi occhioni di un meraviglioso blu intenso. Dei piccoli, brevi vagiti furono il suo buongiorno. "Buongiorno anche a te amore della mamma! Buongiorno anche a te! Che c'è … eh?" domandò, con una vocina dolce e leziosa, alla piccola che la guardava incuriosita e attratta da quella voce che già le era familiare "ti sei addormentata in braccio a papà e ora ti svegli in braccio a mamma? Mi sa che ti ci devi abituare, eh? La culla e il carrozzino li vedrai poco poco …"
Prese a posarle baci ovunque, sulle manine, sulle guanciotte, sulla fronte. Era una sensazione meravigliosa. Era amore, certo, ma nulla di comparabile a ciò che aveva sperimentato fino a quel momento: una connessione naturale, perfetta, instancabile, che sentiva crescere esponenzialmente con il passare dei secondi, dei minuti.
Francesco, seduto sul letto di fianco a loro, le ammirava in silenzio, sognante.
"Buongiorno!" un'infermiera interruppe l'idillio entrando nella stanza "Se non vi dispiace alzo un po' la serrandina". Il sole non ancora alto, faceva capolino illuminando i tetti delle case attorno all'ospedale, preannunciando una giornata serena, calda e soleggiata. "Signor Neri, non vorrei ma le devo chiederle di andare via, tra un po' iniziamo il giro delle medicazioni e delle visite e non può stare"
Francesco sbuffò senza farsi troppo vedere né sentire. "Che ti avevo detto?" disse Emma, accarezzandogli la guancia. "Dai, vai da Leo che sono sicura vorrà sapere ogni novità sulla sua sorellina." disse Emma, strofinando la sua mano su quella del marito. "E poi mi prometti che riposi un po'? E non su una panchina fuori dal reparto, eh … che ti conosco, saresti capace di farlo!" Francesco rise, abbassando la testa: lo conosceva troppo bene da anticipare le sue mosse. "Agli ordini!" rispose sornione, posando un bacio sulle labbra della moglie e sulla testolina della figlia. "Vi amo" esclamò. "Anche noi"
L'uomo prese il telefono e le chiavi dal comodino e si diresse verso la porta. Sulla soglia si fermò, indugiando, per portare via con sé un ultimo istante da conservare per tutto il giorno, fino a quando non fosse tornato a far loro visita.

Ritorna all'indice


Capitolo 27
*** Sunshine ***


Capitolo 27 - Sunshine



 
 
Mentre erano seduti a tavola a fare colazione, il citofono di Vincenzo squillò. Valeria, in piedi vicino ai fornelli in attesa che l'acqua del suo tè bollisse, si fece avanti per andare a rispondere, ma Vincenzo la bloccò, precipitandosi all'ingresso. "Tanto, chiunque sia, se salgono io non mi vado mica a nascondere" commento Valeria, sarcastica. Vincenzo però scacciò quella battuta con un gesto della mano "Ma come ti vengono in mente certe cose … Ueeeè! Sali pure!" esclamò il commissario, sorridente, allo schermo del videocitofono.
"Leo, è papà!" disse, aprendo leggermente la porta d'ingresso. Leonardo, ancora nel pigiamino, lasciò cadere il biscotto mezzo mangiucchiato sul tavolo e, con un baffetto di latte, si precipitò sul pianerottolo, ad aspettare che Francesco uscisse dall'ascensore; inutili le proteste di Vincenzo riguardo al freddo e al fatto che non avesse nemmeno le ciabattine ai piedi.
Il forestale entrò nell'appartamento con il bambino in braccio, accolto dalle ovazioni festanti e dagli auguri degli amici. La piccola Mela, in braccio a Valeria, non sembrava molto sicura del perché di quei festeggiamenti ma aveva l'aria di essere un bel gioco e li assecondava, divertita.
"Auguri papà!" lo abbracciò il commissario "Uà France', ho visto la foto … hai fatto proprie nu bbabbà!" "Ah lui l'ha fatto? Ed Emma in questi nove mesi cosa ha fatto? Si è grattata la pancia?" protestò Valeria, prima di abbracciare anche lei l'uomo "Auguri capo!!!"
"Grazie a tutti!!" rispose l'uomo, visibilmente stanco seppur emozionato e felice. La tensione stava scendendo e, in quel momento, era come se stesse pagando tutto lo stress del giorno prima e la notte senza sonno. "Ti vedo provato comandante, siedi che ti faccio un caffè" lo invitò l'amico, cordialmente. "No, no, niente caffè, grazie …" disse, sbadigliando "ho bisogno solo di una bella dormita."
Si sedette al posto di Leonardo, con il bimbo sopra le sue gambe che terminava il latte. Mentre gli altri continuavano la colazione, lui raccontava di quanto era stata brava Emma, della bambina che gli aveva stretto il dito nel suo pugnetto, di quanto assomigliasse ad Emma, ad eccezione degli occhi. Quelli erano suoi , affermava con una punta non troppo velata di orgoglio.
"Andiamo a casa, papà?" chiese Leonardo. "No, tu devi andare all'asilo" "Eddai!!!" "Non ci provare …" lo riprese "ora ci prepariamo e andiamo all'asilo. Poi all'una ti vengo a prendere e andiamo da Emma in ospedale a conoscere la sorellina. Va bene?" "La sorellina?" "Te l'ho spiegato ieri sera Leo" intervenne Valeria "il bimbo che era nella pancia di Emma è una bambina" "E perché è mia sorella?" Emma e Francesco gli avevano spiegato tante volte che stava per diventare un fratello maggiore, che presto avrebbe avuto un fratellino o una sorellina, ma avendo già avuto attorno a sé dei ragazzi che aveva chiamato fratelli e sorelle i quali, chi più chi meno, erano scomparsi dalla sua vita, forse gli era difficile ancora capire come funzionasse questa faccenda dei fratelli. "Io sono il tuo papà, giusto?" il bimbo annuì "e sono anche il papà della bimba che è appena nata quindi quando due bambini hanno gli stessi genitori sono fratelli." "E come si chiama?" "Non lo abbiamo ancora deciso. Non è facile dare un nome … magari ci aiuti anche tu a trovarne uno…mmm?" Convinto o meno, in televisione risuonò la sigla del suo cartone animato preferito e per il resto della colazione la sua attenzione si spostò sul piccolo schermo.
Preparato il bimbo, i due lasciarono la casa del commissario.
"È andato tutto bene, visto?" considerò Vincenzo, affilando le stoviglie della colazione nel lavastoviglie "Francesco non ha fatto domande trovandoti qui." "Diciamo pure che non è molto capace di intendere e di volere in questo momento"  commentò Valeria, alzandosi da tavola "anzi, tra dieci minuti ricordami di chiamarlo. Voglio essere sicura che sia tornato a casa sano e salvo, non aveva una bella cera!" "Ià Valè, quanto sei esagerata!" esclamò l'uomo, stringendo a sé la compagna "mai sottovalutare la forza di uomo quando ama, nenné …"
Quelle parole gli erano uscite così, di botto. Non senza senso, perché filavano logiche e giuste, tanto al suo cuore, quanto alla sua testa, ma non aveva fatto i conti con il fatto che lei  non si sentiva pronta ad esporsi. Invece aveva usato quella parola e avrebbe voluto mordersi la lingua per averlo fatto, perché così, temeva, le aveva in pratica imposto una reazione.
Valeria lo guardò dritto negli occhi, curiosa e sorniona, le braccia incrociate sulle sue spalle, umettando il labbro inferiore sorridendo maliziosa. Stava arrivando una battuta delle sue. "Ti sei svegliato filosofo questa mattina, amore mio?" "Filosofo … ho solamente detto che …" ma Vincenzo frenò le sue parole in gola ripensando a ciò che aveva sentito, ma non era sicuro di aver capito bene "come mi hai chiamato?"
Valeria fece spallucce "È inutile girarci attorno … io ti amo." Era tranquilla, pacata. Aveva temuto il momento in cui avrebbe dovuto fare i conti con sé stessa ed i suoi sentimenti, se l'era immaginato diverse volte: la sua voce tremante, lo sguardo basso; invece era completamente all'opposto di ogni sua fantasia. Si sentiva sicura tra le braccia del suo uomo, sicura dei suoi sentimenti e, per la prima volta dopo tanto tempo, sicura di sé. Era bello non sentirsi fuori posto, sbagliata, immeritevole di avere un po' di felicità. "Vale, non devi sentirti obbligata…" "Ma non mi sento obbligata. Posso avere tutta la paura del mondo e nascondermi quanto voglio, ma questa cosa non posso cambiarla né voglio farlo, francamente."
Aveva davanti ai suoi occhi l'immagine di Francesco: quanto era cambiato negli ultimi mesi, quanto aveva messo in discussione sé stesso e le sue paure per ottenere quello che voleva. Bisognava rischiare per provare a realizzare i proprio sogni; a restare nella propria comfort zone, non si ha mai la controprova.
Vincenzo prese il mento della giovane donna tra le sue mani, alzandolo leggermente. La guardava serioso, ma lei poteva scorgere facilmente un luccichio in quegli occhi color caffè, come se la sua mente fosse proiettata in avanti e gli piaceva quello che stava vedendo o architettando. Lei gli rispose, tirando su l'angolo della bocca un po' arricciata in un sorriso malizioso. "Questo è un bel problema" "Ah sì?" "Eh beh certo … questo è un plagio bello e buono perché pure io ti amo e tu mo mi stai copiando…" "Certo eh che sei antipatico" rimbrottò Valeria, posandogli uno scappellotto sul petto. "Perché?" domandò l'uomo, stranito. "Perché io mi dichiaro e tu rovini tutta l'atmosfera …" "Nenné, nenné … ma mi ci vedi a fare l'eroe romantico? Diciamocelo, non sono credibile … ti 'a rassegnà" "L'importante è che tu sia credibile come mio compagno" "Ah per quello sono credibilissimo! Guai a chi non ci crede!"
Il buon'umore si ammutolì solo quando le loro labbra si incontrarono, ma anche allora i due non smisero di ridacchiare, quasi come due adolescenti. L'amore, Valeria lo stava sperimentando, poteva essere la cosa più complessa e più semplice del mondo: mesi di patemi volati via, il tempo di pronunciare una parolina molto semplice. L'amore non era gesti plateali, eroici, niente di quanto si vedesse nei film romantici con i violini e la pioggia: basta, si far per dire, riconoscere chi ci far sta bene quando stiamo male. Ed insieme, loro due stavano benissimo.
 
 
"Vuoi che avverta tuo padre o tua madre? Giulio mi ha detto che lui non li vuole sentire e comunque non sapeva se a te avrebbe fatto piacere"
Anche Giulio, alla fine, aveva tagliato i ponti con i loro genitori. Quando aveva deciso di restare a San Candido, non lo aveva fatto tanto per la comunità - ce ne sono tante in tutto lo stivale - quanto piuttosto perché lì aveva tutta la famiglia di cui aveva bisogno, sua sorella, suo cognato e i loro bambini. In pochi mesi, erano riusciti a ridargli quel senso di casa che era rimasto solo nei pochi ricordi sbiaditi dell'infanzia.
"No zia, va bene così" "Emma …" "Sì, lo so che è  tuo fratello…" "No, non si tratta di questo. Ma la bambina è anche loro nipote, anche loro hanno diritto …" "Quale diritto, zia? Sinceramente…" Emma, seduta sul bordo del letto, si ricordò di dover tenere il volume della voce basso e non scomporsi troppo. Si girò verso la culla, dove la piccolina dormiva beata. Non riusciva a non sorridere, anche solo guardandola dormire. Era come se fosse il suo personale erogatore di gioia: bastava poggiare lo sguardo su di lei per qualche secondo e ci si sentiva felici. "Dov'erano i miei diritti di figlia quando avevo bisogno di loro e non c'erano?" continuò "Dov'erano i diritti di Giulio, quando lo hanno spedito qui come scarto da nascondere ai loro amici per bene? I loro diritti di genitori li hanno persi quando hanno deciso che noi eravamo un di più nelle loro vite"
Vittoria tacque dall'altro capo del telefono.
"Per quanto mi riguarda puoi fare quello che credi" concluse Emma, tirando fuori un ampio respiro. Odiava avere contrasti con sua zia "Ma non cambierà quello che provo nei loro confronti. Mi dispiace."
La zia comprese perfettamente le parole della nipote. Non poteva pretendere da Emma che avesse un rapporto normale con i suoi genitori; lei l'aveva cresciuta, sapeva meglio di chiunque altro cosa aveva provato e solo il cielo sapeva come era stato possibile che Emma venisse su così com'era: dolce, aperta, sensibile e con quel giusto pizzico di ironia mista ad una forza interiore che le permetteva di tollerare e combattere, con classe e contegno, i torti che aveva subito. La donna cambiò argomento, avvertendo la nipote che l'avrebbe raggiunta presto a San Candido.
"No, zia, tranquilla, non c'è bisogno che vieni"
Emma comprendeva bene perché sua zia era così insistente: quando si era sottoposta all'intervento per l'aneurisma la donna era nel pieno della fisioterapia dopo essersi rotta una gamba. Non poteva muoversi da Milano, ma nonostante questo era rimasta in contatto con Francesco e con la nipote ogni singolo giorno. Conoscendola, voleva farsi perdonare per quella che considerava un'assenza, a suo dire, imperdonabile. 
"Non incominciare Emma … tempo di organizzarmi con il lavoro e sono su da te. Le prime settimane sono le più difficili e tu devi riposare" "E secondo te Francesco che ci sta a fare? Insieme ce la caveremo benissimo" "Emma ti conosco, so come sei fatta e che non vuoi mai essere un peso per nessuno, ma non è come dici tu. In poche settimane siete passati dall'essere in due ad essere in quattro … non è così semplice come sembra adesso che sei in ospedale … e poi voglio venire a conoscere la mia nuova nipotina e spupazzarmela come si deve per qualche giorno!"
"Beh … se la metti così alzo e la mani e mi arrendo! Però non farai tutto tu, come al tuo solito, mi aiuterai solo a rimettermi in carreggiata … il tempo necessario a prendere il ritmo giusto. Sono stata chiara?"
"Chiarissima" affermò la donna, facendo il verso al tono perentorio della nipote "La mia Emma è diventata mamma, ora si che mi sento vecchia!" "Zia ancora con questa storia, basta!!! … Dai ti devo lasciare, c'è Giulio, ci risentiamo … un bacione!"
Suo fratello avanzava nella stanza titubante ed emozionato, avvicinandosi al letto e alla culletta con attenzione, per paura di non svegliare la bambina.
"Giulio!!!!" esclamò Emma, allargando le braccia per accoglierlo in un abbraccio "che ci fai qui? Come sei arrivato?" "Ho avuto uno strappo dal bussino che porta i ragazzi ai lavori socialmente utili" spiegò "… non potevo non venire a farti visita. Tu che ci fai già in piedi?" "Ho approfittato della nanna dopo la poppata per darmi una sistemata" disse, indicando il beauty case e la camicia da notte, che stava riponendo nell'armadio quando la zia l'aveva chiamata al telefono.
"Mio Dio, ma … ma è lei …" esclamò Giulio. "Eh già" affermò Emma, orgogliosa e solenne "Giulio, ti presento ufficialmente tua nipote" "Che bambolina! Emma è bellissima!!!"
Gli occhi e la voce del ragazzo si riempirono di emozione e di luce nel vedere quell'angioletto addormentato nella sua culletta "Ciao piccola innominata, sono zio Giulio" commentò il ragazzo, chinandosi sulla culla per accarezzarle il visino beato dal sonno. "Come prego?" "Emma dai" scherzò Giulio, facendo un verso alla sorella "non si può sentire che non avete ancora scelto il nome! Avete avuto nove mesi … non ci credo che non hai pensato neanche ad un nome!" "Non ho mai detto questo. C'ho pensato, è ovvio. Solo che volevamo conoscerla per trovarne uno che le calzasse a pennello. E ora tutti i nomi che avevo pensato mi sembrano così insulsi, banalotti … Anna, Sara, Chiara…" "Vorrei ben vedere! Il festival della banalità …" "Hai capito, insomma. Per come è arrivata ha bisogno di un nome speciale che non può essere scelto così…a caso"
"Spero che non ci vogliano altri nove mesi però" ironizzò Giulio. I fratelli sorrisero, complici. Lei era diventata madre e lui, poco a poco, stava diventando un adulto, ma quando erano insieme si ritrovavano bambini nella casa al mare, quando la distanza della separazione e la competizione e le liti dei genitori diventavano, per qualche settimana, un vago ricordo. Ora, per fortuna, non c'era più alcun ritorno a scuola a separarli di nuovo per riportarli nelle rispettive città e quella consapevolezza gli dava la serenità necessaria per godersi ogni momento completamente, senza ansie o paure.
"Dov'è Francesco?" "È andato a prendere Leo all'asilo, immagino sarà qui a breve …" "Come sta?" "Ehm … allucinato credo sia l'aggettivo più adatto per definirlo" rispose Emma, lasciandosi andare ad una risata "ha passato tutta la notte sveglio su quella sedia con la bambina in braccio. Non l'ho mai visto così felice, nemmeno il giorno del nostro matrimonio …" "Vorrei ben vedere" giudicò Giulio "non capita tutti i giorni di ritrovarsi con te e il tuo doppione. Sa di essere un uomo fortunato" "Non so mica se è tanto una fortuna …" "Lo è, lo è… e tu?" "Come mi vedi. Stanca ma al settimo cielo"  
Mentre discutevano di quando sarebbe tornata a casa e dell'arrivo della zia, qualcuno bussò all'anta della porta. Entrambi si voltarono: Francesco stava alla porta con Leonardo che, timidamente, era rimasto fermo sull'uscio, con ancora addosso il suo grembiulino azzurro a quadrettini e lo zainetto sulle spalle. "Leo amore, vieni!!!" esclamò Emma, spalancando le braccia.
Ringraziava il cielo che fosse arrivato in un momento in cui la bambina dormiva nella culletta, così che lui non avesse l'impressione che ora ci fosse una nuova protagonista principale per lei e Francesco. Mentre i cognati si abbracciavano Leonardo timorosamente si avvicinava al letto di Emma, in punta di piedi, allungando il collo per sbirciare furtivamente la culletta che era dall'altra parte. Nemmeno la presenza dello zio preferito sembrava distoglierlo dalla novità. Emma lo aiutò a salire sul letto, togliendogli le scarpine.
"Lo sai che mi sei mancato tanto cucciolotto?!" gli disse, sistemando quella chioma costantemente arruffata. "Anche tu …" rispose il bimbo, abbracciandola "voglio tornare a casa, non ci voglio stare da zio Vincenzo!" "Nooo cucciolo, perché dici così, non ti sei trovato bene?" Ma il piccolo scosse la testa, mortificato, e tenendo la testolina bassa "è solo … è solo che io voglio stare con te e papà"
Emma lo abbracciò forte, posandogli un lungo bacio sulla guancia e tirandolo a sé, facendolo sedere sulle sue gambe mentre lui stropicciava gli occhi per non far vedere che dei lacrimoni stavano spuntando. "Stasera torni a casa con papà, ma io devo stare qui un altro giorno" "Perché?" "Guarda …" disse indicando la culletta "… lo sai chi è questa bimba?" Leonardo annuì. Francesco, nel frattempo si avvicinò al letto. Insieme gli spiegarono che farla uscire dalla pancia era stato faticoso per tutte e due e avevano bisogno di riposare un paio di giorni in ospedale. Per fortuna era troppo preso dal studiare quel cambiamento, strano e curioso, che dormiva accanto al letto di Emma, per fare troppe domande. "La vuoi tenere in braccio? Mm?" domandò Emma. Leonardo la guardò attraverso la culletta trasparente per qualche istante, in silenzio, forse per ponderare la situazione e alla fine rispose semplicemente spalancando le braccia. Francesco prese la neonata e con attenzione la appoggiò sulle gambe incrociate di Leo, con l'aiuto di Emma che le teneva la testolina. "Fai attenzione, mi raccomando, è piccola piccola" lo ammonì il padre, gentile, mentre lasciava a presa. Leo, dopo un primo momento di impaccio, iniziò ad accarezzarla, prima sul visino, poi sulla fronte, ispezionando le manine, incuriosito dalla tutina che le copriva anche i piedini. "È calda!" esclamò. "E morbida e profumata, vero?" chiese Emma, dolcemente. Lentamente, il piccoletto prese confidenza con quella creaturina che non gli sembrava più così pericolosa ed estranea come forse se l'era immaginata. Emma si domandava cosa passasse nella sua testolina complicata: era così diversa da lui, così piccola ed innocua che forse gli dava l'impressione di non poter certamente farlo passare in secondo piano. Lui poteva parlare, sapeva camminare, correre, cantare, disegnare; quell'esserino se ne stava fermo immobile a dormire tutto il tempo.  Magari, speravano Francesco ed Emma, ora riusciva a figurarsi meglio tutto quello che gli avevano raccontato nelle settimane precedenti sui fratelli maggiore che proteggono e guidano i loro fratellini.
"Leo dalle un bacio!" lo spronò lo zio, ai piedi del letto con il telefono tra le mani che riprendeva tutto. Avrebbe voluto andarsene, si sentiva di troppo, ma suo cognato aveva ribadito forte il concetto che era parte della famiglia e non era neanche in questione la sua presenza lì con loro in quel momento. Il bambino strinse la sorellina tra le braccia e le stampò un bacio, lungo a sufficienza perché anche Francesco riuscisse a fermare quel momento nella sua fotocamera. La stretta un po' più energica aveva messo in allerta la neonata: pur con gli occhi ancora chiusi, aveva iniziato a sbadigliare e a portare le manine alla bocca, emettendo dei versetti, segno che presto avrebbe reclamato il suo biberon naturale.
"Devo scappare proprio, mi dispiace, mi stanno chiamando i ragazzi per tornare in comunità" interruppe Giulio, rispondendo ad un messaggio sul telefono, quasi mortificato. "Resta dai" obiettò Francesco "ti riaccompagno io" "No, davvero, sono di turno in cucina per pulire dopo pranzo e devo assolutamente rientrare con gli altri. Appena sono libero ti mando il video e ci sentiamo, ok? Fammi sapere quando torni a casa, mi raccomando." "Ma certo" lo rassicurò sua sorella, baciandogli la guancia al volo prima che lasciasse la stanza.
"Cantiamo la ninna nanna alla bimba?" domandò Leonardo. "Certo, quale vuoi cantare?"
Nei mesi che precedettero il parto Emma usò l'escamotage di insegnare a Leonardo le canzoncine per il bimbo per poterlo addormentare usando la ninna nanna, che all'inizio, quando ancora stava in casa famiglia, rifiutava affermando che erano  per i bambini piccoli e che lui era grande invece. Ma loro sapevano che, quando parlava così, era solo perché si portava dietro gli insegnamenti della sua vecchia famiglia affidataria. Fosse stato per loro, avrebbe imbracciato un fucile e sarebbe andato a caccia con gli altri uomini della famiglia.
"Sansciai!" "You are my sunshine?" "Sì" Emma si sistemò come meglio poteva, cullandoli entrambi mentre lasciava credere a Leonardo che fosse lui a dondolare la neonata e cantava la canzone scelta dal piccolino. In realtà sapeva che l'ormai fratellone maggiore aveva solo cercato a modo suo una normale razione di coccole dopo un giorno intero senza la sua mamma di fatto. Si era raggomitolato con la testa sul suo petto e, pur biascicando le paroline inglesi il cui suono aveva imparato ad imitare, teneva gli occhi chiusi; il batuffolino, dal canto suo, invece, non ne aveva poi tanto bisogno: si stava svegliando piano piano, indisturbata e senza disturbare.
Francesco li guardava dal di fuori eppure si sentiva parte integrante di quella bolla ospitale e confortevole, ripensando alla strada che avevano fatto per arrivare lì dov'erano in quel momento. Non solo ai nove mesi precedenti, né a quell'intero anno che ormai li separava dal giorno dell'operazione. I loro sguardi si incontrarono e si capirono e riconobbero all'istante la felicità che in quel momento li permeava. Spesso, nei momenti felici, si fa fatica a ricordare i momenti difficili, ma per loro non era così: era necessario tenere vivo il ricordo di quella lunga e ardua salita. Sarebbe stato comodo ricordare solo quel lampo di luce che lo aveva accecato quando l'aveva conosciuta, meno facile ricordare quei piccoli raggi di sole con cui, poco alla volta, la presenza di Emma, giorno dopo giorno, aveva rischiarato la sua vita, rendendogliela di nuovo degna di essere vissuta appieno: quei giorni in cui dimenticava di mangiare e lei arrivava anche solo con dei panini, quando lui non voleva vedere e sentire nessuno e lei, con il suo ennesimo thermos di tè verde, riusciva a cavargli anche solo un no in favore di una birra, oppure le loro improbabili lezioni di cucina, quando anche un piatto immangiabile riusciva a metterlo di buon umore. Era stato proprio come diceva Marco: dopo il temporale arriva sempre il sole.
"… You'll never know dear, how much I love you/Please don't take my sunshine away" cantava Emma, e Francesco si sentiva stupido per l'idea che gli era venuta, ma gli sembrava assolutamente perfetta. Emma, alzando lo sguardo dai bambini, lo vide illuminarsi mentre, con lo sguardo, correva da lei alla bambina, compiaciuto. "Che c'è?" gli domandò. "È un'idea che mi è venuta … è stupida e di sicuro la boccerai" "No che non la boccio" ribattè, accarezzandogli il volto "non a priori almeno … mettimi alla prova" "Sole" "Sole?" "Ho pensato che potrebbe essere un bel nome per la bambina, ma se non ti piace o lo trovi ridicolo fai conto che non ho detto nulla" "È perfetto" affermò Emma, senza neanche doverci pensare un secondo, la voce spezzata da un nodo in gola "assolutamente perfetto" "Sì?" Emma cercò le labbra del marito per rassicurarlo che fosse la scelta giusta e non una cretinata detta in un momento di follia.
Quella creatura aveva portato armonia e luce nelle loro vite da quando era con loro, anche quando era nascosta al caldo e al sicuro dentro di lei. Lo aveva percepito fin dal primo momento che tutto girava per il verso giusto questa volta e che niente, nessun ostacolo, li avrebbe fermati; nemmeno quando i fantasmi del passato erano tornati a bussare alla loro porta, nemmeno quando sembrava che avrebbero perso la battaglia che stavano combattendo per costruire la loro famiglia.
"Leo? E tu che dici?" lo interpellò Francesco "ti piace il nome Sole per la sorellina?" Leonardo ci pensò un po' su, guardandola attentamente. La piccola, ignara che si stesse decidendo una cosa tanto importante come il suo nome, li osservava tutti in silenzio ma concentrata, come se stesse imparando a riconoscere i loro volti e i loro odori, imprimendoli per sempre nella sua memoria.
Leonardo pronunciò il nome un paio di volte, come per richiamare l'attenzione della bambina che, sicuramente per un riflesso, ma non importava, accennò un sorriso. "Le piace!" decretò il bambino, soddisfatto che la neonata avesse, in qualche modo, risposto alla sua chiamata. "Ciao Sole! Ben svegliata principessa" esclamò Francesco, commosso "questo è il tuo fratellone, Leonardo. Ti vuole un mondo di bene …" Leonardo sorrise, emozionato all'idea di essere il fratello maggiore di qualcuno. "Neanche te lo immagini quanto ti vogliamo bene, fagottina!" affermò Emma, portandola di fronte a sé e baciandole la fronte.
Nei mesi che avevano preceduto l'arrivo di Sole, specialmente da quando Leonardo era andato finalmente a casa con loro, si era domandata come sarebbe stato dividersi tra un figlio suo ed un bambino che amava profondamente ma che suo non era e non la riconosceva ancora come mamma. Nel migliore dei casi, immaginava il suo cuore diviso in due, come uno di quei ciondoli per fidanzatini, una metà per la sua creatura e l'altra metà per quel bambino che il cuore glielo aveva rubato e aveva bisogno di loro, avrebbe tolto ad uno per dare all'altro.  Nel peggiore, temeva un'esplosione d'amore verso il bambino appena nato che le avrebbe fatto dimenticare tutto il resto, completamente assorbita da una simbiosi in cui il mondo del piccolino avrebbe coinciso con il suo. Rifuggiva questa ipotesi, ma sapeva che sarebbe potuto succedere.
Ma ci aveva messo poco, meno di mezzora, a capire che non era affatto così.
Era vero, Leonardo era già grande quando è entrato nella loro vita: parlava - più o meno, camminava, mangiava e si lavava da solo, ma esattamente come un figlio concepito era stato cercato, voluto, amato. Un atto d'amore aveva fatto nascere Sole, un atto d'amore aveva aperto le porte della loro casa a Leonardo.
No, non sentiva il suo cuore diviso. Era tutto intero, uguale a prima, perché i suoi figli erano uguali ai suoi occhi e al suo cuore. Ma si sentiva pronta a ridistribuire quell'amore: le attenzioni che avrebbe dedicato inevitabilmente a Sole, rosicchiando del tempo a Leonardo, sarebbero state ripagate dall'affetto che la piccolina avrebbe imparato a provare per suo fratello e dalla complicità e dal legame che i due avrebbero formato. E allora era vero, seppure in un modo totalmente diverso e sorprendente, che l'amore si moltiplica.

Ritorna all'indice


Capitolo 28
*** Noi Casomai ***


Capitolo 28 - Noi casomai
 
 


 
Sei tutto quello che non mi aspettavo
Sei quella che aspettavo io da tempo
Riempi la distanza da chi non sarò mai
Tra le disfatte e tutti i miei vorrei
E spero solo che non finirà
Sei la destinazione che mi corre incontro
 
Quella mattina, la stanza di ospedale era piena di luce, inondata dal calore di quella giornata assolata che rischiarava tutto il paese. Era un bel giorno per tornare a casa. Sul letto, che maniacalmente aveva lasciato ordinato, il suo trolley e la borsa della bambina erano pronte, in attesa di Francesco che arrivasse da casa con il carrozzino. Vincenzo aveva passato la sera precedente, durante l'orario visite, a prendere in giro Francesco per le prove attacco e sgancio della navicella dall'automobile, ma per Emma era una cosa dolcissima invece che si stesse dando da fare perché tutto fosse perfetto e sicuro.
Se ne stava ad aspettarlo appoggiata al davanzale della finestra, con Sole stretta e rannicchiata sul suo petto, approfittando del tepore e della luce che arrivava diretta sul suo viso.
"Emma!" la ginecologa che la seguì durante tutta la gravidanza entrò nella stanza "Come andiamo?"
A causa del turno di riposo, era la prima volta che Emma e la dottoressa si incontravano dopo il lieto evento. "Benissimo dottoressa, grazie. E poi oggi porto a casa la mia bimba …"
Lei che aveva frequentato gli ospedali per molti anni conosceva bene la gioia che si provava a tornare a casa, togliersi di dosso l'odore di chiuso e di disinfettante che impregna persino pareti e pavimenti. Sebbene questa volta il ricovero fosse stato dovuto ad un bel motivo, era un sollievo poter tornare tra le proprie mura, nel comfort dei propri spazi e dei propri affetti.
"Mi è dispiaciuto tantissimo non essere presente al parto, ma ahimè non possiamo decidere sulle urgenze" "Non si preoccupi dottoressa, capisco perfettamente. E poi, senza offesa, Renate è stata all'altezza della situazione" "Non lo metto in dubbio. Anzi, non ti avrei lasciata nelle mani di nessun'altra, credimi. E poi mi ha detto l'uccellino che sei stata veramente brava" "Oh è stato un lavoro di squadra" minimizzò. Emma ne era convinta: se era riuscita a partorire velocemente e senza particolari patemi lo doveva anche al supporto di suo marito, e quella presenza positiva aveva aiutato anche la bambina.
"Qui c'è il foglio di dimissioni e tutti i referti dei tuoi esami e quelli della bambina" disse la dottoressa, poggiando una cartellina con il logo dell'ospedale sul tavolo addossato alla parete "per qualsiasi problema non esitare a chiamare. Ho segnato anche i controlli di routine da fare con me tra quaranta giorni e una TAC, come consigliato dal tuo neurochirurgo, mi raccomando…" Emma annui, educatamente. Anche se era passato solo un anno, a volte la sua nuova vita le faceva dimenticare che, per anni, aveva camminato sull'orlo del precipizio.
Date le ultime indicazioni e gli ultimi consigli il medico lasciò la donna da sola in stanza con la bambina che, svegliatasi, reclamava a pieni polmoni il latte materno. Emma andò a sedere sul letto e, aiutandosi con un cuscino, iniziò ad allattare la bambina da sola. Solo quando la piccola era ben attaccata e tirava il latte con decisione, dimostrando che non era una voglia di coccole, ma vera fame, Emma si rese conto che per la prima volta aveva fatto tutto da sola, senza dover suonare il campanello e farsi aiutare dall'ostetrica di turno. Avendo tolto il pigiama, dismessi i panni della paziente, si era sentita già fuori dall'ospedale, pronta ad affrontare quella nuova vita a quattro che l'attendeva a casa. Non aveva paura, era solo orgogliosa.
Mentre Emma allattava, Francesco entrò nella stanza. Emma di spalle, assorta, non si era neanche accorta del marito. La luce del sole che entrava nella stanza, il gioco di luci ed ombre, rendevano quella scena un piccolo quadro impressionista, a cui nessuna istantanea scattata con un cellulare avrebbe potuto rendere giustizia. Non si considerava un abile fotografo a sufficienza da poter fissare in uno scatto la pace e la dolcezza di quel momento. Emma, la testa bassa ed inclinata leggermente di lato teneva gli occhi fissi sulla bambina che, aggrappata al seno quasi con tutto il corpicino, teneva stretta la mano della madre che le favoriva l'attacco.
Era una immagine così straordinaria a cui faceva fatica ad abituarsi: l'universo intero, l'emblema della vita, compresso in una stanza o poco meno. Marco aveva avuto la fortuna di allattarlo lui stesso dall'inizio perché Livia non aveva latte a sufficienza e, quando poteva, non si faceva scappare la possibilità di dargli il biberon. Ma non era affatto invidioso; lui e Sole, ne era certo, avrebbero trovato il modo di ritagliarsi uno spazio tutto loro.
Lasciata la carrozzina ai piedi del letto, Francesco si sedette di fianco a sua moglie, facendo scivolare un braccio delicatamente dietro la schiena, ma Emma non si scompose, si lasciò solo andare ad un sorriso sereno e delicato. "Pensavo che non ti fossi accorta del mio arrivo …" le disse, poggiando un bacio sulla sua guancia. "Sole, papà è convinto ancora che io abbia bisogno degli occhi per accorgermi di lui" ironizzò, sarcastica, voltandosi finalmente verso il marito "ciao!"
Gli stampò un bacio sulle labbra per essere sicura che non se la fosse presa per quella battuta, ma Francesco non era permaloso; o almeno, non con lei.
"È tutto pronto per andare via?" domandò l'uomo "C'è Leo che scalpita, stamattina mi ha buttato giù dal letto … per convincerlo ad andare all'asilo gli ho promesso che andiamo a prenderlo prima di pranzo" "Francesco!" lo rimproverò Emma "eravamo d'accordo che …." "Dai Emma!" la interruppe "Un'uscita anticipata non è la fine del mondo e poi è un giorno speciale anche per lui!" "Sì ma …" "Niente ma" ribatté Francesco "sono sicuro che anche tu muori dalla voglia di riaverlo tutto per te. Non è così?" "Touché!" ammise, arrendevole. Non sentiva ancora di essere al pieno delle sue forze, ma le mancava la sua routine giornaliera, le coccole con il suo bambino, Luna che scorrazza per casa, il chiasso dei suoi ragazzi che giocano in giardino, persino asciugare il lago d'acqua che Leo faceva durante il bagno. Mentre Emma terminava la poppata, Francesco portò le valige in auto: era talmente euforico all'idea di incominciare questa nuova vita a quattro con la piccola Sole che non riusciva a stare fermo. Aveva incolpato Leonardo, ma la verità era che, un po' per aver dormito la mattina precedente, un po' per l'adrenalina, anche lui aveva dormito pochissimo.
Rientrò in reparto che Emma stava sistemando la piccola nella navicella. Ogni piccolo gesto, quella mattina, seppur banale, aveva un sapore particolare. Nessuno dei due poteva evitare di sorridere ad ogni minima cosa: mentre Francesco metteva le valigie in auto, mentre Emma controllava che non avesse lasciato nulla negli armadietti, pregustavano l'emozione dell'uscita dall'ospedale e del ritorno a casa.
"Coprila bene, mi raccomando" "Amore non incominciare!" lo riprese Emma "non mi sembra stia nevicando fuori, basterà il lenzuolino"
Prima di tornare a casa, uscendo dall'ospedale, decisero di andare a prendere Leonardo all'asilo a piedi, approfittando della bella giornata e dei pochi metri di distanza della scuola dall'ospedale. Vista l'eccezionalità dell'orario i corridoi erano silenziosi, i bimbi ancora impegnati nelle attività giornaliere. Aspettare fuori dall'aula che la collaboratrice andasse ad avvisare la maestra del loro arrivo con la bambina accanto a loro che dormiva nel passeggino era una sensazione stranissima. Bella, certo, ma totalmente surreale. L'idea che quell'esserino innocente fino a pochi giorni prima era poco più di un'idea, di una presenza nascosta ed era stato in grado di sconvolgere totalmente le vite di tutti loro era destabilizzante. Lei non poteva saperlo ma il suo nome rendeva meravigliosamente l'idea di quanto tutta la sua famiglia, fratellino compreso, gravitasse intorno a lei.
"Signori Neri" si sentirono chiamare, chini di fronte al carrozzino. La maestra si avvicinava con Leonardo al suo fianco che le teneva la mano. Il piccolo, repentinamente, lasciò la presa per correre incontro ad Emma che, inginocchiatasi, lo accolse a braccia aperte. "Volevo farvi i miei auguri di persona" disse la donna, cordiale, ma Emma, sperando che l'insegnante potesse comprendere e perdonarla, non aveva che occhi per Leonardo.
"Questo è per te" le disse il bambino, dandole una busta da lettere. "Per me?" la maestra spiegò che ci aveva lavorato su per due giorni. "Grazie cucciolo!" Emma aprì la busta, ma con difficoltà: le mani le tremavano. Leonardo le aveva regalato già tante volte dei disegnini, eppure - forse per colpa degli ormoni o del momento particolare - questa volta c'era qualcosa di diverso. La donna estrasse un cartoncino piegato a metà: sulla copertina aveva composto un bouquet colorato fatto con la tempera e le impronte delle sue mani e, all'interno, il disegno della loro famiglia al completo. C'era la loro casa, con il grande castagno e la legnaia, c'era Luna con il manto grigio e le orecchie a punta, c'era Sole, disegnata come meglio poteva in braccio ad Emma.
"Siamo noi?" domandò, emozionata. "Sì, ho scritto anche i nomi" disse ma, avvicinandosi all'orecchio di Emma con la mano davanti alla bocca chiarì "mi ha aiutato la maestra, io non lo so ancora fare da solo" "Vediamo: papà, Leo, Luna, Sole, Emma. Ci siamo proprio tutti!!! Sei stato bravissimo" lo incoraggiò Emma. "No, non c'è scritto Emma. Vero, maestra?" domandò il piccolo all'insegnante, timoroso di aver fatto un errore. La donna si curvò per vedere il bigliettino. "Eh no, legga bene signora Neri, Leo ha ragione." Emma si scusò per non mortificarlo, incolpando la fretta. Tornò sul disegno e si rese conto che, in effetti, quella che aveva scambiato per Emma era in realtà … Mamma. "Leo!" esclamò, la voce che le tremava "Hai scritto … mamma?" Leo annuì, orgoglioso. "Papà ha detto che Sole è mia sorella perché lui è papà di lei e anche di me" spiegò, come meglio poteva "quindi se tu sei la sua mamma, sei anche mia mamma. È giusto?" "Sì amore mio, certo che è giusto. Io sono la tua mamma!"
Emma si alzò e lo prese in braccio e ringraziò il cielo che non il pancione non fosse più d'ostacolo perché sentiva il bisogno viscerale di stringerlo a sé più forte che poteva e il bambino non se lo fece ripetere due volte che subito si gettò al suo collo, aggrappandosi anche con le gambe come un cucciolo di koala con la sua mamma. La sua mamma. Finalmente l'aveva scelta. E non poteva che essere riconoscente e fiera che lo avesse fatto, ma avrebbe aspettato tutta la vita perché fosse pronto, se fosse stato necessario, senza pretendere nulla, perché è quell'amore incondizionato che fa di una persona un genitore. Non un'etichetta, non un certificato, né una goccia di sangue o una sequenza di DNA.
Tornati verso il parcheggio dell'ospedale, smaltita la commozione e riconquistata l'emozione, salirono in auto: Emma seduta dietro vicino ai bambini, ciascuno sul suo seggiolino auto che Francesco aveva montato alla perfezione, a dispetto degli sfottò del loro testimone di nozze.
 
Ripenso a quando ero rimasto solo
Per un motivo che io non ho mai capito
Sentivo di essere inciampato nel destino
Poi sei arrivata tu e mi hai sorriso
Ad occhi chiusi andiamo verso il mondo
Vivendoci la gioia del momento
 
"Allora signora Neri" Francesco richiamò l'attenzione di sua moglie, guardandola dallo specchietto retrovisore mentre sistemava la cintura dell'ovetto attorno a Sole "andiamo a casa?"
"Decisamente signor Neri" dichiarò, con un sorriso orgoglioso. Vide nello specchietto gli occhi del marito e riconobbe nel suo volto la stessa gioia che illuminava il suo, la stessa energia che li spingeva a tutta forza verso quell'avventura lunga una vita intera. Durante il viaggio in auto il forestale buttava uno sguardo, di tanto in tanto, verso i sedili posteriori. Emma era così immersa nella conversazione con Leonardo, che aveva una lista lunghissima di domande sulla sorella, che nemmeno si accorse che la strada che stavano percorrendo andava nella direzione opposta rispetto al maso. "Ma non siamo ancora arriva- Francesco dove stiamo andando?" domandò alzando per un attimo la testa e buttando lo sguardo fuori dal finestrino. "So che sei un po' stanca ma c'è una sorpresa che non può aspettare" L'uomo gongolò, essendo riuscito a tenerle nascosta quell'improvvisata ben più a lungo delle sue aspettative. Erano, infatti, ormai a destinazione.
"Perché siamo venuti al lago?" "Adesso vedrai …"
L'uomo aiutò la sua famiglia a scendere dall'auto e mentre smontava l'ovetto dalla base per l'auto, Emma si incamminò verso il sentiero assieme a Leonardo con la piccola tra le braccia, avvolta nella sua copertina. Si fermò sul ponticello, in quel tratto in cui gli alberi, nonostante il sole alto del mezzogiorno, ancora garantivano un discreto cono d'ombra e frescura.
"Andiamo!" esclamò Francesco, raggiungendoli e Leonardo corse verso la palafitta. "Che sta succedendo? " Francesco rise, sornione, poggiando il braccio libero attorno alle spalle di sua moglie e, lentamente si incamminarono verso la loro vecchia casa sul lago. Erano settimane che non ci metteva piede e la vedeva sola, vuota, mettendole addosso una tristezza e una nostalgia incredibili. Certo la sua vita era cambiata radicalmente, la loro casa era a misura della loro famiglia, ma sopra quei pali di legno aveva lasciato parte del suo cuore. Arrivati sulle scalette d'ingresso, Emma notò che non solo la porta era aperta ma Leonardo, percorrendo la banchina, trovò Luna ad accoglierlo. "Mi vuoi spiegare per favore?" "Ho organizzato un piccolo benvenuto per Sole … insomma, lei qui ci è nata, non potevamo non portarla" Emma si lasciò andare ad un sospiro di meraviglia, perché suo marito si definiva un non romantico, diceva sempre di non essere in grado di fare grandi gesti sentimentali o dichiarazioni sdolcinate, ma alla fine dei conti, era il re dei sottoni e aveva il sospetto che, con l'arrivo della sua principessa, la situazione sarebbe anche peggiorata.
"E poi" proseguì il forestale "c'è un piccolo regalo" "Sarebbe a dire?"
Francesco salì i due gradini del casotto d'ingresso e porse la mano a sua moglie per aiutarla a salire. Lei, titubante, salì le scalette con attenzione, guardandosi anche attorno per capire cos'altro avesse da tirare fuori dal cilindro. "Bentornata a casa!" proclamò l'uomo, fiero. "Non … non capisco" "Non mi andava che la palafitta finisse nelle mani di qualcuno che la usasse solo per fare profitti e snaturare questo posto riempiendolo di turisti che non lo rispetterebbero. Così … così l'ho comprata" "Cosa?" "Sì, lo so, avrei dovuto consultarti, ma volevo che fosse una sorpresa e poi ero sicuro che per te fosse importante quanto lo è per me e non mi avresti mai detto di no"
Emma si guardò intorno, guardo le acque smeraldine di quel lago baciato dal sole, il verde ancora brillante degli alberi e qualche larice qua e là si tingeva d'oro, la caserma nascosta tra gli alberi e la chiesetta a ridosso della spiaggia, là dove era iniziato tutto. Per quanto gli resistevano, quel lago si era legato a loro a doppio nodo, li attirava sempre a sé in un modo o nell'altro.
Emma accarezzò il viso del marito delicatamente, emozionata. "Come avrei potuto dire di no"
Non importava quanto avrebbero dovuto stringere la cinghia per far quadrare i conti, con tutte le spese che avevano affrontato e il mutuo già aperto: quella casa sul lago, si poteva azzardare, era parte integrante della loro famiglia, non si poteva lasciarla indietro. 
"Sarà il nostro rifugio per quando vorremo staccare da amici invadenti e figli capricciosi" puntualizzò Francesco, abbracciando sua moglie. "Nostra figlia non è nata neanche da 3 giorni e già hai già voglia di staccare?" protestò Emma. "Sia mai …" scherzò l'uomo alzando le mani in alto, la voce scurita quel tanto che bastava a far tremare le gambe della moglie "puntualizzavo semplicemente sul fatto che potrebbe tornarci utile in futuro…"
"Mamma! Papà! Perché non entrate?" domandò Leonardo, affacciandosi sulla banchina. Luna, la compagna fidata di Leonardo, uscì dalla palafitta, avvicinandosi ad Emma per farle le feste. La donna si inginocchiò e altrettanto fece Francesco che prese la cucciola tra le braccia, accarezzandola per tranquillizzarla. "Cosa c'è Luna?" domandò Emma alla lupacchiotta che, scodinzolando freneticamente, annusava indiavolata a ripetizione quel batuffolino, avvolto nella copertina bianca che Rosa aveva sferruzzato per l'occasione, Emma e Francesco, per sincerarsi che l'odore fosse lo stesso e facesse parte anche lei del suo branco "Chi è? Chi è? È Sole, la sorellina di Leo!" "Brava Luna!" la gratificò Francesco per essere rimasta tranquilla di fronte alla piccola.
"Dai mamma andiamo dentro!" insistette Leonardo. "Sì, eccomi, quanta fretta" rispose Emma, rialzandosi.
Uno scroscio di applausi e grida li accolse sul terrazzo "SORPRESAAAA!!!". C'erano tutti. Giulio, Isabella e Klaus, Huber e la sua famiglia, la piccola Mela in braccio al suo papà e Valeria. "Ma cosa …? Vale!" esclamò Emma, dirigendosi verso la sua amica "Dovevo capirlo che c'era il tuo zampino!" "Nasce la mia nipote preferita e secondo te non trovo cinque minuti di tempo per andare a trovarla in ospedale?" domandò ironica Valeria, accarezzando la testolina di Sole che, ancora sazia dall'ultima poppata, non aveva fatto una piega al trambusto della festa a sorpresa organizzata per lei. Valeria confessò alla sua migliore amica di essere stata impegnata a complottare con Francesco ed era fondamentale che le stesse lontana per non far saltare la sorpresa. "Mi perdoni?" implorò. "Solo se mi prometti di non nascondermi più niente" "Promesso!" assicurò la forestale, che corse con la mano a stringere quella del commissario che stava al suo fianco. Ad Emma quel particolare non sfuggì, sebbene Valeria non fece nulla per evitare di essere il più plateale possibile. "No! Non mi dire?!" La forestale annuì, sorridente. La giovane etologa, lasciando la figlia tra le braccia del marito, corse ad abbracciare i suoi amici. Aveva tanto penato per loro e, sebbene sospettasse che ci fosse stato un riavvicinamento o anche qualcosa di più, come le aveva suggerito il marito qualche giorno prima, aveva quasi perso ogni speranza di vederli un giorno insieme. Il suo istinto glielo diceva che stavano bene insieme e, che nel loro essere scombinati, casinisti e chiassosi, sarebbero stati in grado di trovare un equilibrio tutto loro.
"Poi mi devi raccontare tutto" "Spero non i dettagli intimi …" si raccomandò Vincenzo, mentre le due donne erano in un mondo tutto loro. "Soprattutto i dettagli intimi, commissario" lo prese in giro Emma, strizzando l'occhio furbescamente. Il commissario avrebbe voluto controbattere, ma Francesco, avvicinandosi, gli ricordò che era inutile provarci perché contro due donne - Emma e Valeria in particolare - un uomo non avrebbe mai avuto l'ultima parola.
Tutti, a turno, vollero prendere la nuova mascotte della comitiva in braccio. La sua mamma non poteva che essere orgogliosa della sua piccolina, che era entrata nelle grazie di tutti - eccetto di Mela, che guardava con timore quella piccoletta che le rubava le attenzioni degli adulti, ma con il tempo avrebbe imparato anche lei a volerle bene. Francesco era meno d'accordo con questa staffetta, lui che avrebbe voluto tenere la piccola tutta per sé, quasi come fosse una reliquia da mostrare e manipolare con cura.
"Non te la sgualciamo, non ti preoccupare" lo prese in giro Vincenzo, all'ennesima raccomandazione di fare attenzione. Valeria, al suo turno, l'aveva accolta tra le sue braccia con l'emozione e lo stupore di chi non aveva mai visto un neonato in vita sua. Isabella, scherzosamente, le ricordò di essere già zia e di aver accudito Mela quasi fin dal primo giorno, ma la donna fece finta di non sentire. C'era qualcosa di speciale in quella piccolina: era come se tutto l'amore dei suoi genitori emanasse da lei, diffondendo un'aura di pace e serenità in chi l'abbracciava. Forse si era rammollita da quando era tornata a casa, da quando aveva iniziato a prendersi cura di Mela e soprattutto da quando Vincenzo aveva iniziato a far parte della sua vita, ma poteva giurare di aver sentito una fitta allo stomaco quando, mentre teneva la piccola Sole tra le sue braccia, Vincenzo la cinse alle spalle, per vezzeggiare la piccolina con dei versetti e qualche piccola carezza.
"È proprie na bellezza, vero?" "Un angioletto" commentò, estasiata. Quando si era presa cura di Mela, neonata senza la mamma, aveva provato poco inconsciamente il desiderio che fosse sua, ma era ben consapevole che non poteva cambiare lo stato delle cose e, man mano che la bimba cresceva, diventava sempre più evidente che Carmela era figlia di Vincenzo e di Eva, la somiglianza non mentiva e, grazie anche al rapporto migliorato tra i due, la bambina stava iniziando a legare con la madre e lei non poteva mettersi tra di loro. In quel momento però, un altro genere di allarme le risuonò in petto: voleva un bambino tutto suo, che fosse per lei quello che era Sole per Francesco ed Emma. Sapeva che era troppo presto, ma sentiva anche che era giusto e, con un po' di pazienza, ci sarebbe arrivata. Lei che aveva aspettato quasi un anno per lasciarsi andare, ora voleva tutto e lo voleva subito: non si riconosceva ma, in un certo senso, andava bene così; non si era mai sentiva così viva.
"U-una gioovane e u-un veecchio empion la c-c-ccasa e il tetto" esclamò Huber, osservando il commissario in atteggiamento così intimo con Valeria. Nessuno dei due aveva fatto proclami ufficiali, ma si stavano comportando in maniera così naturale che nessuno aveva avuto dubbi, nemmeno il poliziotto che a volte era un po' lento ad intuire certe cose.
"Uèè! Vecchio a chi?" si indignò Vincenzo, alzando la voce. "Sshhhh che mi svegli la bambina!" lo rimproverò Francesco, approfittando del momento di vaga concitazione per riappropriarsi della piccola, che per i suoi gusti aveva passato troppo tempo in braccio ad estranei. Emma, seduta su una panca a parlare con suo fratello e Klaus lo guardava ridendo sotto i baffi. Se lo era immaginato tante volte con il loro bambino tra le braccia e certo, lo vedeva protettivo e dolce, ma non aveva mai pensato ad una deriva così adorabile e buffa, quasi comica. Un gigante buono in scacco a quello scricciolo che stava quasi in una sua mano.
Mentre i grandi facevano un brindisi e chiacchieravano, Leo, un po' annoiato, sfuggì al controllo dei grandi entrando nella casetta. Mela era troppo piccola per giocare con lui, il gioco che stavano facendo i figli di Huber non lo conosceva, Klaus stava sempre appiccicato ad Isabella, e Luna se ne stava spaparanzata al sole mezza addormentata. Su quella palafitta ci aveva passato l'inizio dell'estate, il tavolino vicino alla stufa spenta era il suo banco per disegnare quando fuori pioveva e il lettone lo aveva spesso accolto per le pennichelle del pomeriggio quando per ripararsi dal caldo non bastava l'ombra della tettoia del terrazzo. Tutto era rimasto pressappoco com'era, poca roba era stata portata nella casa nuova. Non c'erano più le cataste di legna per la stufa o gli attrezzi di Francesco. Sul letto, a pancia in su e con le braccine sopra la testa, la sorellina dormiva tranquilla, contornata dai cuscini usati a mo' di protezione. Il bambino si avvicinò quatto quatto, in punta di piedi. Non capiva perché dormisse così tanto. Da quando l'aveva conosciuta l'aveva vista sì e no un paio di volte con gli occhi aperti. Salì sul letto e non gli fu molto difficile perché non era molto alto. Non voleva darle fastidio, la mamma e il papà erano stati chiari a riguardo, ma guardarla sì, sperando magari che la sua presenza bastasse a svegliarla o ad attirare l'attenzione di qualcuno. Non sapeva nemmeno cosa fosse la gelosia, ma le attenzioni che tutti rivolgevano a lui e Mela ora erano tutte le per la nuova arrivata ed era decisamente strano. Non era un bambino che cercava attenzioni particolari, ed Emma e Francesco non gli facevano mai mancare le coccole, ma l'esclusività dei mesi trascorsi già gli mancava. Guardava la sua sorellina dormire e pensava che le sue compagnucce sarebbero state molto invidiose; le accarezzò il visino ed era calda, morbida, non era più rugosa e rossastra come il pomeriggio che l'aveva conosciuta, le si avvicinò per posarle un bacio sulla fronte, come gli aveva insegnato Emma e aveva un buon profumo, il profumo di casa al mattino, di colazione. Gli piaceva: era decisamente molto più umana e vera dei bambolotti con cui giocavano le bimbe a scuola.
"Che fai Leo?" Emma stava sulla porta d'ingresso, con un piattino in mano. Leonardo, temendo di essere rimproverato scese di scatto dal letto. "Non ho fatto niente" "No amore non ti stavo sgridando" gli si avvicinò la donna, inginocchiandosi davanti a lui "C'è la torta e non ti trovavo…nocciola e pistacchio, come piace a te. La vuoi?"
Il piccolo annuì ma, mentre uscivano, lasciò per un istante la mano della madre e si voltò. "Che c'è?" "A Sole non la diamo la torta?" "No amore, Sole è ancora troppo piccola, non ha nemmeno i dentini. Per ora solo il latte …" "Poverina…" esclamò il piccolo, sconsolato "…non sa che si perdere"
Emma lo guardò sbalordita dal vedere il piccolo ometto che era diventato, ricordando com'era stato portarlo in casa famiglia, solo, impaurito, ferito, bisognoso di qualcuno che gli disse che anche lui, come tutti i bambini del mondo, aveva diritto a qualcuno che gli volesse veramente bene.
Forse fisicamente aveva poco a che fare con loro, eppure più lo vedeva, e più, in lui, rivedeva sé stessa e rivedeva Francesco. Era figlio loro.
 
Erano andati tutti via, persino il sole aveva abbandonato il lago per far posto alla luna nuova che, con uno spicchio appena visibile, si mostrava nel cielo sopra il lago.
Mentre Emma nel cucinino sistemava gli avanzi del piccolo rinfresco da portare via, Leo giocava con Luna, lanciandole una pallina affinché gliela riportasse.
"Leo ricordati che siamo su un lago" si raccomandò il padre, mettendo via nello sgabuzzino alcune assi di legno che avevano usato come tavolo di fortuna. "Emma io non capisco che bisogno c'era di mandare via tutti. Alla fine ti sei dovuta rimboccare tu le maniche per mettere a posto" "Non ti preoccupare, non sto facendo nulla di che … e dopo due giorni e mezzo d'ospedale mi va proprio di fare qualcosa di normale" "Fatti aiutare almeno" si mise in mezzo il marito, prendendole il vassoio di paste dalle mani "Lascia!" esclamò Emma, divertita, tirando uno scappellotto scherzoso sulla mano dell'uomo "Se vuoi aiutarmi vai a controllare Sole" "Molto volentieri" sentenziò Francesco, posando un bacio sulla guancia della moglie
La bambina era sveglia ma silenziosa, una manina chiusa a pugnetto davanti alla bocca e gli occhi che si muovevano come fosse concentrata a distinguere e seguire con lo sguardo i suoni che sentiva intorno a lei. Francesco si chinò su di lei, per posarle un bacio fugace sulla fronte calda. Le sorrise mentre Sole, forse infastidita dalla barba del padre, strofinava le braccine sul viso. "Dorme?" domandò Emma dal cucinino. "No, ma è tranquilla"
Al forestale piaceva pensare che avesse riconosciuto istintivamente quel luogo fondamentale per la sua famiglia, il posto dove era nata ed era casa tanto quanto il maso in cui non era ancora stata. "Andiamo principessa" sussurrò, come se fosse una cosa solo per loro, tra padre e figlia e la piccola dovesse mantenere il segreto "ti faccio vedere una cosa". Francesco avvolse Sole nella copertina che le avevano messo addosso e la strinse a sé: a quelle alture, la temperatura scendeva sempre notevolmente dopo il tramonto. Camminando lentamente, come se avesse paura di agitarla con gli scricchiolii del legno sotto i suoi passi, uscì all'esterno dove Leo se ne stava allungato sul terrazzo, la testa che sporgeva dal parapetto e Luna che aveva la coda e le orecchie ritte, in allerta di fianco al suo padroncino.
"Leo che fai? Via da lì" lo richiamò, mentre il sangue che gli si era gelato nelle vene riprese a scorrere. "La palla è caduta in acqua" "Ti avevo detto di fare attenzione! È troppo buio per riprenderla adesso …"
Con attenzione Francesco fece due scalini della gradinata che scende verso il lago e si sedette. Di fronte a lui, le acque nere del lago e il cielo blu con la luna che sorgeva ad est. Tutto, dalle montagne agli alberi si era colorato di una tinta tra il blu e l'argento, e il riflesso della luna si allungava tra le leggere increspature della superficie dell'acqua che una leggera brezza stava movimentando. Le stelle, ad una ad una, spuntavano in cielo come tante piccole luci, man mano che la notte diventava più profonda.
"Leo, vieni qui" disse a suo figlio, che ci aveva messo poco a riprendersi dalla delusione per la pallina smarrita ed insieme alla sua migliore amica aveva trovato comunque il modo di divertirsi, provando ad insegnarle a giocare ad Un Due Tre Stella, nella più totale perplessità della lupacchiotta che non capiva perché dovesse rimanere ferma. "Troviamo le costellazioni insieme alla sorellina?"
Leo corse di fianco al padre e Luna, che era la sua ombra, le corse dietro, rimanendo leggermente in disparte ma abbastanza vicina da controllare Leonardo e anche la piccolina, che l'affascinava ma al tempo stesso doveva ancora inquadrare con precisione. Insieme, padre e figlio si divertivano a passare le sere d'estate ad imparare i nomi delle stelle e delle costellazioni, seduti in giardino con le teste e i nasi all'insù, approfittando della lontananza dal centro abitato e dalle luci artificiali.
"Ma Sole è troppo piccola!" fece notare Leonardo "Non sa nemmeno cosa sono le costellazioni!" "E tu cosa ci stai a fare?" lo pungolò il padre "È a questo che servono i fratelli maggiori … glielo devi spiegare tu" "Alloraaa" esordì il bimbo "quei puntini bianchi sono le stelle e tante stelle vicine nel cielo fanno formano come dei disegni e si chiamano costellazioni. Va bene così papà?" Francesco alzò il pollice, facendo l'occhiolino. Per avere 5 anni era un bambino estremamente sveglio ed intelligente.
"Quello è Pesago!" esclamò Leo, dopo aver scrutato per un po' in silenzio, indicando sopra le loro teste con tutto il braccio. "Pegaso" lo corresse Francesco "e comunque sì. Bravissimo! E a fianco cosa c'è? Le vedi quelle stelle che sembrano una croce?" "Sì … il Cigno!" "Sei diventato più bravo di me" Leonardo sorrise, soddisfatto. Francesco però si accorse che era sudaticcio e, con le temperature che scendevano di molto la notte a quelle altezze era meglio non correre rischi. "Vai da mamma e metti il giacchino, per favore" dopo un po' di rimostranze, riuscì a convincerlo. "Va beeeneee" fece la lagna, ancora convinto di non sentire freddo "Vieni Luna"
"Hai visto che bravo tuo fratello, eh Sole? Penso proprio che sarà lui ad insegnarti un sacco di cose al posto mio …"
Ma la piccola, tra le braccia del suo papà, aveva finito per addormentarsi di nuovo. Francesco le coprì le manine e anche la testolina con la copertina, posandole di nuovo un bacio sulle manine e sulla fronte. Non sapeva fare altro, ma il suo visino placido, il profumo dolce e quell'espressione di assoluta calma e amore erano dei tirabaci naturali. Più gliene dava e più non riusciva a resistere, una dolce condanna a cui non si sarebbe sottratto.
"Quando tuo fratello Marco era piccolo aveva paura del buio" prese a raccontarle, di getto, anche se non l'avrebbe sentito e non avrebbe capito "per aiutarlo avevo attaccato tante stelline fluorescenti sul soffitto della sua camera. Ma noi siamo più fortunati, la tua mamma aveva ragione … qui ce le abbiamo vere … non dobbiamo avere paura di niente. E poi abbiamo due angeli custodi speciali che ci vegliano. Imparerai presto a volergli bene anche se non li hai conosciuti."
Marco e quell'angioletto che non avevano mai conosciuto avrebbero continuato a far parte delle loro vite, comunque, di questo era fermamente convinto. Qualche anno prima, l'idea che rifarsi una vita potesse significare dimenticarsi di chi non c'era più lo terrorizzava e lo bloccava, obbligandosi a rimanere fisso in quel passato che era fonte di dolore. Ma poi aveva capito che si poteva andare avanti portando con sé il ricordo, senza che questo procurasse dolore. Ci sarebbero stati giorni in cui sarebbe stato più difficile, ma ora si rendeva conto di quanto nel vuoto e nel silenzio era anche peggio.
"Che meraviglia!" esclamò Emma, uscendo e andando a sedere di fianco a Francesco sulla scalinata. Leonardo stava un gradino più in basso, in mezzo alle gambe della madre. Luna, impaurita dal buio e dall'acqua, non osava, per una volta, seguire il suo compagno: se n'era rimasta sul terrazzino, alle spalle di Francesco, accucciata come se non volesse vedere Leonardo fare una cosa tanto pericolosa.
"Cosa?" le domandò il marito "Le stelle?" Si guardarono per qualche istante, in silenzio, sorridendo furbescamente. Scoppiarono a ridere al riferimento che entrambi avevano colto. La prima volta che si erano trovati insieme su quel terrazzo Emma fece un commento sul paesaggio che sembrava un complimento verso l'uomo che non era certo passato inosservato. Lei aveva corretto il tiro, non senza imbarazzo, spiegando di riferirsi alle stelle. "Noi la nostra stella ce l'abbiamo qua … è lei la nostra meraviglia. Anzi" si corresse, accarezzando la testa di Leonardo che si accucciato sulle sue gambe come fossero un cuscino "siete tutti voi la mia meraviglia" "E tu la nostra" dichiarò Francesco. Emma arrossì visibilmente, anche alla luce rossastra del lampione che illuminava la terrazza, correndo altrove con lo sguardo, sminuendo la lusinga del marito.  "Emma parlo sul serio. Nessuno di noi sarebbe qui senza di te … ti ricordi com'ero io quando ci siamo conosciuti, sì?" Emma quasi avrebbe voluto dimenticare quell'uomo burbero e solitario che sopravviveva, apatico, non accettando di dare un significato ai suoi giorni, che si crogiolava nel senso di colpa e nel rimorso. Quanta fatica per riportarlo nel mondo dei vivi … lei non poteva accettare che lui, che aveva molti più anni a venire di lei, si rifiutasse di andare avanti, lei che di voglia di vivere ne aveva da vendere ma sentiva il countdown farsi più veloce ed inevitabile. Si era scoperta innamorata ma avrebbe fatto anche un passo indietro, voleva solo che trovasse un qualcosa per cui valesse la pena vivere: che non fosse lei, poco importava. Ed invece, per qualche miracolo o allineamento di stelle, era stata proprio lei.
 
Io credo che il segreto
È respirare mentre tutto va come deve andare
Troppe parole non servono a niente
Ma un'esplosione nel cuore cura la mente
Perché un abbraccio è come guardarsi dentro
Perché pelle su pelle io mi perdo
E andare via da noi vuol dire strapparsi
Guardare i nostri pezzi sparsi tra i passi
 
E Francesco ne era convinto: senza di lei, non avrebbe mai accettato di prendersi cura di Leonardo e, abbastanza ovviamente, non ci sarebbe mai stata Sole. Sarebbe rimasto un ex ufficiale dell'esercito, congedato per motivi di salute e prestato alla forestale altoatesina per non essere riformato. Solo e senza alcuno scopo, avrebbe lasciato scorrere il tempo in attesa di non si sa bene cosa. Della fine, probabilmente.
"Te l'ho sempre detto" ribatté la donna, incrociando il suo braccio con quello del marito "hai il brutto vizio di buttarti giù. Tu hai deciso di accettare quello che io avevo da offrirti. Non sei mai stato tipo da poter obbligare a fare nulla, o sbaglio?" L'uomo scosse la testa, lasciandosi andare ad un timido sorriso. "Una relazione si vive in due, nei momenti belli e in quelli brutti, quindi abbiamo entrambi colpe e meriti.." continuò lei "in questo momento però preferirei concentrarmi sui meriti. Ne abbiamo fatta di strada dalla prima volta che ci siamo ritrovati su questa terrazza!"
"Papà!" esclamò Leonardo "ci siamo scordati di quella cosa!!!" "Che cosa?" chiese Emma, ma il piccoletto, con la manina davanti alla bocca, le intimò il silenzio, alzandosi e correndo in palafitta.
"È un piccolo regalo" spiegò il marito "lo abbiamo fatto ieri pomeriggio, quando siamo venuti a sistemare qui per la festa" "Siete terribili insieme" decretò Emma, frastornata, scuotendo la testa "non posso lasciarvi soli un attimo…"
Tornando Leonardo le portò una scatolina di cartone semplice, una di quelle avanzate dai confetti che Emma aveva preparato per nascita di Sole, con un semplice fiocchetto di corda anziché il nastrino rosa. Emma lo aprì, ma le mani le tremavano come se davanti a sé avesse la custodia un diamante o un gioiello prezioso.
Dentro c'era un Tao, una piccola croce francescana, che pendeva da una collanina di corda. "L'ho fatto io con papà" affermò orgoglioso Leonardo "mi ha raccontato la storia di questo signore che non aveva paura dei lupi e allora io gli ho detto che nemmeno noi abbiamo paura dei lupi, vero papà?" "Per niente" Francesco aggiunse che allora gli era venuta l'idea di fare quella collanina che sentiva rappresentarli.
"Va beh che ti chiami Francesco, ma non avrai mica la presunzione di paragonarci al fraticello d'Assisi…" ironizzò Emma. "No" rispose il marito "ma si può dire che come lui tu hai salvato questo vecchio lupo cattivo"
Emma sospirò, sorridente, non staccando un attimo lo sguardo dall'uomo. Con le labbra pronunciò un ti amo, muto, come capitava a volte quando erano in mezzo ad altra gente e voleva un momento solo per loro due. Indossata la collana, appoggiò la testa sulla spalla del marito, guardando la loro bambina il cui visino addormentato spuntava dalla copertina, accoccolata com'era contro il petto di suo padre. Anche Leo stava iniziando a cedere. Era ora di spegnere le luci, chiudere le porte con catene e lucchetti ed andare via, tornare alla loro nuova casa e alla loro nuova vita.
"Vogliamo andare?" suggerì Francesco, a mezza voce, quasi impaurito di svegliare tutto quello che dormiva intorno. "Ancora cinque minuti".
L'uomo annuì, posando un bacio fra i capelli di sua moglie. Conosceva bene quella sensazione, la condivideva, la sentiva dentro ogni cellula del suo corpo: quel bisogno viscerale di fare il pieno della magia del lago. Delle sue luci, anche di notte, dei suoi rumori, anche nel pieno del silenzio, dei suoi odori, della sua calma. Alzò lo sguardo verso il nero della notte: verso il lago che gli aveva fatto compagnia in innumerevoli serate solitarie, cercando di poter sparire in quelle acque, verso quel cielo trapunto di stelle che era l'unico spiraglio di luce e speranza. Spesso gli aveva fatto paura, non un sollievo ma un'oppressione, ma considerava di meritarsi quella sorta di purgatorio sulla terra. Ora tutto era diverso: non era solo, aveva abbattuto ogni paura e si sentiva bene. Non aveva riavvolto la sua vita daccapo, come in un sogno, no, tutto quello che era accaduto era vero, e aveva fatto male. Stava andando avanti e non per sentirsi bene, ma per sentirsi vivo.
Ne era sicuro: non poteva esserci più vita di quella che era lì, davanti a lui, tra le sue braccia, gli stringeva la mano, profumava di latte e di cannella e lo avrebbe tenuto stretto, al meglio delle sue possibilità.

 
Chissà, chissà
Se noi casomai
Ci riconosceremo
Anche più in là
Chissà, chissà
Come sarà
Trovarsi non è mai per caso
Per questo amore
Non ti farò andar via
Adesso amore, non ti farò andar via


 


Angolo dell'autrice

Salve a tutti! Siamo arrivati alla fine della storia. Emma e Francesco hanno finalmente avuto quel lieto fine che meritavano. Ma la loro vita non finisce qui, perché entrambi sono attaccati alla vita e hanno lottato per vivere, dacché si sono incontrati sulle sponde di quel lago che li ha fatti innamorare.
Per questo la mia idea è di non lasciarli qui. Di tanto in tanto voglio aggiungere degli extra ( qui il link) a questa storia, per vedere come continua la loro vita e quella della loro tribù. Fatemi sapere cosa ne pensate di questa idea e anche della storia, ora che è conclusa.
A presto! La vostra 
crazyfred

 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3908798