From this day Foward ~ Knowing the sound of your heartbeat

di My Pride
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Proposal of Marriage ~ Jonathan & Clark ***
Capitolo 2: *** How to make a (perfect) proposal ~ Jonathan & Damian ***
Capitolo 3: *** Rules of Engagement ~ Jonathan & Talia ***
Capitolo 4: *** From this day Foward ~ Damian & Bruce + famiglia ***



Capitolo 1
*** Proposal of Marriage ~ Jonathan & Clark ***


Proposal of Marriage Titolo: Proposal of Marriage
Autore: My Pride
Fandom: Batman, Super Sons
Tipologia: One-shot [ 1513 parole [info]fiumidiparole ]
Personaggi: Jonathan Samuel Kent, Clark Kent, Damian Bruce Wayne

Rating: Verde
Genere: Generale, Slice of life

Avvertimenti: What if?, Slash
Solo i fiori sanno: 28. Non ti scordar di me: promessa d’amore


BATMAN © 1939Bob Kane/DC. All Rights Reserved.

    Jon contemplò quell'anello con sguardo corrucciato, chiedendosi se nel comprarlo non avesse fatto una stupidaggine. Era da mesi che stava programmando quella cosa, ma non aveva ancora avuto l'occasione di fare quella proposta a Damian.
    Da quando aveva finito il college, si era ritrovato a pensare alla loro relazione e a tutte le avventure che avevano vissuto, e non aveva avuto il minimo dubbio di voler passare il resto della propria vita insieme a lui. Però, e lo ammetteva, non aveva ancora trovato il coraggio di chiedere al compagno di sposarlo. Sapeva com'era fatto Damian, i contatti fisici ed emotivi avevano il potere di farlo chiudere a riccio a causa del suo passato, e per lui era stata già una gran bella fatica ammettere i sentimenti che provava. Persino fargli abbassare le difese e scacciare l'imbarazzo all'idea di fare sesso era stata una vera catastrofe, per quanto poi alla fine non se ne fosse pentito affatto.
    A quei pensieri Jon trasse un lungo sospiro, scompigliandosi i capelli con una mano. Damian Wayne era un vero e proprio mistero, e non voleva che una proposta di matrimonio potesse in qualche modo sollevare nuovamente quel muro emotivo che innalzava quando aveva bisogno di riflettere da solo. Non gli piaceva quando lo escludeva, poiché in quel modo non poteva aiutarlo o consolarlo.
    «Non glielo hai ancora dato?» domandò improvvisamente Clark, arrivando alle sue spalle proprio in quel momento.
    Jon aveva udito i suoi passi, dunque non ne fu molto sorpreso, per quanto avesse chiuso la scatoletta con uno scatto e se la fosse rimessa in tasca.
«Volevo farlo ieri», ammise, gettando uno sguardo al genitore. «Ero riuscito a convincerlo ad uscire, abbiamo passato una bella giornata e avevo persino aspettato il tramonto per, sai, essere più romantico. Ma abbiamo ricevuto una chiamata dei Titani e...»
    «...la cosa è passata in secondo piano».
    «Già», affermò mogio, notando con la coda dell'occhio i movimenti del padre. Sorreggeva due tazze che prima non aveva visto, e si accomodò accanto a lui sul divano prima di porgergliene una. Jon accettò di buon grado e ringraziò, soffiando su quel the fumante prima di assumere un'aria ancora più pensosa. «Papà... credi... credi che stia correndo troppo?»
    Clark sbatté le palpebre. «Perché questa domanda?» domandò, sinceramente curioso. Per quanto fosse sicuro di sé, c'erano momenti in cui Jon aveva bisogno di rassicurazioni come quando era un bambino, e quel momento sembrava essere uno di quelli, poiché lo vide massaggiarsi dietro il collo con una mano, nervoso.
    «È che... lo so di aver compiuto ventun anni da poco e che ho appena finito il college, ma io e Damian stiamo ufficialmente insieme da tre anni e ho sempre saputo cosa provavo per lui... solo che ho paura che possa vederla come una pressione», ammise. Damian non era mai stato un tipo romantico e, nonostante sapesse quanto lo amasse, non avevano mai discusso seriamente di matrimonio. Una volta il discorso era uscito così, un po' per gioco, ma... c'erano un po' di cose di cui tener conto. Primo fra tutti, c'era il problema che era pur sempre un Wayne e sarebbe stato praticamente al centro dell'attenzione se solo si fosse venuto a sapere. D'altra parte, Damian era piuttosto fissato col fatto che le loro controparti eroiche non dovessero lasciar intendere che stessero insieme, motivo per cui sul campo di battaglia cercava sempre di mantenere una certa disciplina. Difficilmente riusciva ad ottenere almeno un bacetto dopo una lunga lotta estenuante.
    Comprensivo, Clark passò un braccio intorno alle spalle del figlio. 
«Sai, Jonny... anch'io ero nervoso quando ho chiesto la mano di tua madre», cominciò nel sorridere al ricordo. «Non facevo altro che rigirarmi l'anello fra le mani e mi chiedevo se stessi facendo la cosa giusta... e alla fine ho lasciato che fosse il mio cuore a guidarmi».
    «Ma la mamma non ha il caratteraccio di Damian».
    «Oh, ti stupiresti nel sapere che molto spesso lo ha eccome», replicò Clark con un ghignetto. «Ed è anche piuttosto competitiva, avresti dovuto vederla i primi anni al Daily quando sono arrivato io. Il punto, Jon, è che so quanto voi ragazzi teniate l'un l'altro, nel corso degli anni l'abbiamo notato tutti e non avete fatto altro che confermarlo giorno dopo giorno. E se sei davvero sicuro della tua scelta, devi provare a darti un'occasione. Fa' ciò che ti senti di fare, figliolo».
    Jon avvolse un braccio intorno alla vita del padre. «Grazie, papà. Mi sento un po' meglio», accennò rassicurato. «Non c'è nessun altro con cui desidero passare il resto della mia vita, e...» si interruppe un momento, folgorato da un pensiero che gli fece spalancare i grandi occhi azzurri, tanto che si voltò per osservare il padre. «...il signor Wayne è vecchia scuola? Pensi che... dovrei chiedere a lui il permesso di sposare Damian?»
    Clark si lasciò sfuggire una piccola risata divertita. «Bruce è legato alle tradizioni, ma non così tanto. E poi, credo che finiresti col dover chiedere il permesso prima a Dick», prese in giro, sbattendo le palpebre nel vedere l'espressione decisa che si era dipinta sul volto del figlio. «Stavo scherzando, Jon», si sentì in dovere di precisare, stringendolo un po' a sé.
    «Mhn... conoscendo Dick, non sono sicuro che sia proprio uno scherzo...» Jon parve bofonchiare tra sé e sé.
    «Per quanto Dick sia protettivo, non credo dovrai arrivare a tanto», rimbeccò Clark, dandogli una pacca su un braccio. «Cerca di non farti prendere dall'ansia. È un passo importante e capisco come tu possa sentirti, una promessa d'amore come questa può rendere nervosi... ma il segreto è essere tranquilli. Se cerchi un buon momento, fallo in uno che sai potrebbe essere speciale per entrambi».
    Senza riuscire a farne a meno, il giovane ridacchiò. Forse si stava facendo prendere inutilmente dal panico, tutt'al più Damian avrebbe potuto dirgli che era troppo presto e... basta. Giusto? «Su un tetto dopo aver preso a pugni dei cattivoni?» domandò divertito, facendo ridere anche Clark.
    «Mi spiace dirti che Bruce ti ha rubato l'idea anni fa, Jonno».
    Jon sgranò gli occhi. «Non ci credo, ha davvero fatto la proposta a Selina in questo modo?»
    «Purtroppo per te, sì. Non sarai originale come vorresti», scherzò prima di guardarlo seriamente. «Dico sul serio, figliolo. Non essere nervoso. Sai cosa piace a Damian, vi conoscete da dieci anni e sapete praticamente tutto l'uno dell'altro. Non cercare per forza la perfezione, a volte la spontaneità del momento vale più di ogni cosa. In qualunque modo tu decida di farlo, cerca di essere semplicemente te stesso».
    «Avevo davvero bisogno di un po' di incoraggiamento», sorrise il ragazzo, sentendo vibrare il suo comunicatore sferico prima ancora che potesse aggiungere altro; lo prese dalla cintola, dando una rapida occhiata a quella T lampeggiante per aggrottare poi la fronte. A quanto sembrava, c'era stata un'altra riunione straordinaria dei Titani, organizzata per di più proprio da Dick, e lui era stato categoricamente convocato a partecipare. «Purtroppo devo andare, papà. Grazie del supporto», replicò sincero, stringendolo in un abbraccio quando si alzò. «Ti farò sapere come va».
    Clark gli sorrise di rimando. «Ci conto. E ricorda il mio consiglio».
    «Lo farò. Salutami la mamma», lo lasciò andare e lo salutò con una mano, prima di sgattaiolare letteralmente fuori dalla finestra e, accertatosi che nessuno in strada o alle altre finestre stesse guardando, volò il più velocemente possibile verso il cielo per sparire fra le nubi che sovrastavano Metropolis.
    Parlare con suo padre gli aveva fatto bene. Aveva sempre avuto la convinzione di voler sposare Damian, sin dal primo momento in cui aveva capito ciò che provava per lui e che ormai facevano parte l'uno della vita dell'altro, quindi aveva pensato che una proposta perfetta sarebbe stata... beh, la cosa ideale. Invece suo padre aveva ragione: non doveva per forza cercare la perfezione, in quel modo si sarebbe fatto scappare solo le occasioni migliori, mentre farlo spontaneamente sarebbe stato proprio nelle loro corde.
    Forse Richard avrebbe potuto aiutarlo a sorprendere un po' Damian, ma a quel punto avrebbe dovuto parlargliene. Ed era certo che sarebbe andato al settimo cielo ad una notizia del genere. Persino sua madre sarebbe stata felice di saperlo, e...
mentre era in volo verso la Titans Tower, un pensiero lo fulminò seduta stante. Oh, dannazione. A proposito di madri... si era dimenticato un piccolo particolare: Talia. Era stato così concentrato sulla proposta, sul pensiero di dover chiedere il permesso a Bruce come da tradizione e persino sull'organizzare il tutto, che si era dimenticato che il suo ragazzo fosse imparentato con la donna più pericolosa del mondo. E che quella donna conosceva letteralmente mille modi per farlo fuori se solo si fosse sentita offesa in qualche modo per l'essere stata tagliata fuori.
    Jon si lasciò scappare un lamento soffocato dal sibilo del vento che gli sferzava il viso. Sarebbe stata una lunga settimana.





_Note inconcludenti dell'autrice
Allora... a voler essere proprio super sincera, non avevo intenzione di cominciare una nuova raccolta. Però, vista la piega che stavano cominciando a prendere determinate storie, continuare a postarle nella 
raccolta Allegretto ~ Deux ou trois choses que je sais de nous mi sembrava un po' fuori luogo, tenendo conto che quella riguarda più la bat-family in sé che altro, e anche postarla in Midsummer Nights ~ Let me swallow the sunset era fuori discussione (quella è più rivolta a storie dallo stampo estivo)
Quindi mi sono detta: ho già tante storie all'attivo, perché non cominciarne direttamente una a tema matrimoniale? Ed eccola qui, nuda e cruda nella sua interezza, come ne posai una per i miei amori di sempre (Roy & Ed) e come lo feci a suo tempo per il fandom di One Piece. Sì, alla fine sono monotematica
Comunque, tutto questo giro di parole per dire che avevo voglia di scrivere una raccolta DamiJon incentrata sul matrimonio, con tutte le fasi che esso provoca (e gli alti e bassi che si creano persino con la famiglia). Tutto qui. Ovviamente non sono ragazzini, Jon ha ventun anni e Damian deve compierne ventiquattro, quindi non c'è niente che non va. Inoltre, per la richiesta di Jonno a Bruce, vi rimando qui Blessing, scritta da ShunDiAndromeda :p
Commenti e critiche, ovviamente, son sempre accetti
A presto! ♥



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Capitolo 2
*** How to make a (perfect) proposal ~ Jonathan & Damian ***


How to make it perfect Titolo: How to make a (perfect) proposal
Autore: My Pride
Fandom: Super Sons
Tipologia: One-shot [ 3394 parole [info]fiumidiparole ]
Personaggi: Damian Bruce Wayne, Jonathan Samuel Kent

Rating: Giallo
Genere: Generale, Slice of life, Fluff

Avvertimenti: What if?, Slash
Solo i fiori sanno: 34. Rosa rossa: amore e passione
Just stop for a minute and smile: 33. "Che tempismo!"
Writeptember:  2. Opera contenente una scena vista in un film || 3. X cura Y in un luogo ostico


SUPER SONS © 2016Peter J. Tomasi/DC. All Rights Reserved.

    Aveva pensato praticamente a tutto. Ed era per quel motivo che Jon sorrideva raggiante avanti allo specchio del bagno, sistemandosi al meglio i ciuffi di capelli ribelli mentre raddrizzava la montatura degli occhiali.
    Quello sarebbe stato un giorno speciale, il giorno della cosiddetta resa dei conti. Era da due giorni che cercava di prenotare un tavolo all’unico ristorante di cucina araba presente a Metropolis, conscio che quel tipo di sapori non fossero più quelli che Damian consumava di consuetudine da quando si trovava in America. Per quanto il signor Pennyworth cercasse di accontentarlo di tanto in tanto, da quando Damian aveva cominciato a vivere da solo - e in seguito con lui - si accontentava di consumare qualcosa che preparava al volo o il cibo cinese che condividevano dopo una pesante ronda, quindi Jon aveva pensato che potesse essere un’idea carina portarlo lì con la scusa di voler assaggiare qualcosa di nuovo.
    A quei pensieri, Jon rimirò un’ultima volta la sua immagine riflessa nello specchio. In realtà doveva ammettere a sé stesso che aveva pensato di portare Damian direttamente a Dubai in volo, ma sarebbe stato molto più difficile spiegare la sua scelta di fare un viaggio del genere solo per mangiare un po’ di babaganoush, tanto per dirne una. Quindi, per quanto meno romantica, la scelta del Nagar era stata la più ovvia.
    «J?»
    La voce di Damian lo distolse dai suoi pensieri e si riscosse un po’, aggiustando un’ultima volta la cravatta prima di lanciare uno sguardo all’orologio che aveva al polso. Aveva perso la cognizione del tempo. «Eccomi!», rassicurò, andando ad aprire la porta. Era una fortuna che avessero due bagni, o non avrebbe potuto godere della visione di Damian già preparato di tutto punto. Aveva ravvivato i capelli all’indietro e indossato un completo nero che gli fasciava perfettamente il corpo e metteva in risalto i punti giusti, più una cravatta verde scuro che si intonava benissimo con il colore dei suoi occhi. Non era la prima volta che lo vedeva così tirato a lucido - aveva partecipato a molte serate di famiglia, nonché ad eventi delle Wayne Enterprises - , ma era la prima volta che lo faceva per andare in un ristorante insieme a lui, con un completo nuovo di zecca che gli calzava a pennello. E Jon sorrise trasognante.
    «Sei bellissimo». Le parole gli uscirono dalle labbra prima ancora che potesse pensarle, e Damian sogghignò.
    «Lo dici come se fosse una novità», replicò con il suo solito tono saccente, seppur divertito, allungandosi verso di lui in punta di piedi per sistemargli la cravatta. Jonathan solitamente indossava abiti casual, come felpe, camicie o jeans, quindi era piacevole vederlo più elegante nonostante non disprezzasse il suo solito outfit. «Stai bene anche tu. Ora che ne diresti se...» avrebbe anche aggiunto altro se non si fosse accorto che Jon stava sì osservando le sue labbra, ma non sembrava esattamente essere lì con la testa, visto il suo sguardo fisso. «Terra chiama Kent».
    Jon ci mise un attimo di troppo per ridestarsi, sbattendo le palpebre come un idiota nel sentire lo sguardo di Damian su di sé. «Oh. Oh, scusa, io... andiamo?» cambiò discorso nel prendergli la mano per stringerla nella sua, sentendo un piccolo sbuffo ilare da parte dell’altro che, senza fare tante storie almeno per quella sera - e Jon ringraziò Rao per le piccole cose -, si lasciò trascinare fuori dall’appartamento dopo aver preso le giacche e le chiavi dell’auto.
    Volare avrebbe sicuramente risparmiato loro un sacco di tempo, ma erano in abiti civili e non sarebbe stato facile spiegare perché Jonathan Samuel Kent, stagista al Daily Planet, stesse svolazzando in giro con il CEO della sede delle Wayne Industries di Metropolis. Per quanto la loro relazione fosse sotto i riflettori da più di un anno - nessun Wayne riusciva a fuggire dall’occhio vigile di Vicki Vale del Gotham Gazette -, non lo erano di certo i suoi poteri. Evitare di dare nell’occhio anche in quel senso era la priorità.
    Optando quindi per l’auto, la Lamborghini rossa di Damian sfrecciò ben presto fra le strade di Metropolis, macinando asfalto mentre il suo possessore osservava fuori dal finestrino tra una chiacchiera e l’altra. Difficilmente lasciava che qualcun altro mettesse le mani sulla “sua bambina”, ma di tanto in tanto, come quella sera, Jon riusciva a guidarla e si sentiva un po’ come James Bond in “La morte può attendere”. Una volta l’aveva anche detto a Damian, e lui aveva sghignazzato divertito al pensiero del figlio di Superman nelle vesti di 007.
    Per quanto avessero trovato un po’ di traffico, il viaggio fu tutt’altro che noioso o silenzioso: se non scherzavano tra loro, Damian cercava qualche canzone alla radio che poteva rallegrare l’atmosfera nell’abitacolo, ed era curioso come riuscisse a beccare ogni volta una stazione che trasmettesse “Highway to hell”, divenuta praticamente la sua canzone preferita. Jon non aveva faticato a capire perché, ma non aveva mai fatto domande, esattamente come quella sera in cui, per l’ennesima volta, si era ritrovato ad ascoltarla. Si era solo concentrato sulla voce di Damian che intonava ogni strofa con sicurezza, senza imitare la tonalità del cantante ma usando la propria, mettendoci più enfasi soprattutto quando arrivava al ritornello; Jon a volte gli scoccava un’occhiata e lo beccava a suonare una chitarra immaginaria, e a volte invece si univa al suo canto, ridendo come due idioti.
    Arrivarono al ristorante quasi senza rendersene conto, affidando le chiavi dell’auto al parcheggiatore – con tanto di ammonimento da parte di Damian se avesse trovato un solo graffio, prima che gli consegnasse un biglietto da cento dollari – per entrare e farsi accompagnare al tavolo a loro riservato.
    «Devo ammetterlo, Jon», cominciò Damian mentre si accomodava, nascondendo un vago sorriso, «mi ha stupito che tu sia riuscito ad avere un tavolo. Questo posto ha più prenotazioni del Golden Dragon».
    Jon ridacchiò, sedendosi a sua volta. Era raro riuscire a stupire uno come Damian, quindi si tenne stretto il complimento. «Che posso dire, anch’io ho degli agganci».
    «Usali più spesso», rimbeccò nel fargli un occhiolino, e Jon non poté evitare che un sorriso gli si stampasse sulle labbra. Forse in quel momento sembrava un idiota, ma Damian era abituato al fatto che sorridesse in continuazione – proprio figlio di suo padre, gli aveva detto – e non diede quindi peso alla cosa, limitandosi a guardare curiosamente il menù per vedere quali piatti avevano da offrire.
    Fu Damian stesso che finì col consigliarne alcuni a Jon e a dirgli quali avrebbe dovuto evitare per non mangiare troppo speziato, e parecchi piatti, due bottiglie e un dolce dopo, poterono finalmente dirsi soddisfatti, tanto che persino il volto di Damian apparve rilassato come non lo era stato nelle ultime due settimane. Avevano avuto così tanto da fare, tra il lavoro e le loro missioni da eroi, che passare del tempo come “coppia” era stato davvero l’ultimo dei loro pensieri. Quindi avevano davvero avuto bisogno di staccare un po’ la spina.
    «Grazie, Jon», se ne uscì d’un tratto Damian. «È stata una bella serata», ammise. Non era tipo da appuntamenti o cose del genere, ancor meno elargiva complimenti, quindi Jon apprezzò ancora di più quelle parole.
    «Sono contento che ti sia piaciuta», replicò un po’ imbarazzato, sistemandosi gli occhiali sul naso. Era più un gesto nervoso che altro, e Damian se ne rese conto, arcuando un sopracciglio.
    «Tutto bene, Jonathan?» chiese a quel punto, vedendolo annuire di getto prima di sorridere.
    «Sì, è solo che... prima di andare, c’è una cosa che devo... no, che voglio dirti», si corresse, ricevendo un’occhiata curiosa. Si aspettò che Damian replicasse qualcosa come suo solito, invece stranamente lo lasciò continuare. E lui prese maggior coraggio, allungando una mano verso la sua sul tavolo. «Ricordi... la nostra prima sera?»
    A quella domanda, Damian lo fissò. Capì di quale “prima sera” stesse parlando senza nemmeno doverlo chiedere, e l’ombra di un ghignetto si dipinse sulle sue labbra mentre allungava a propria volta la mano. «Strano che lo domandi ma, sì, lo ricordo. Come potrei dimenticarlo, Jonny-boy?» prese bonariamente in giro. «E ricordo anche che non volevi venire con me».
    «Avevo dieci anni, non puoi biasimarmi se non volevo sgattaiolare via di casa senza permesso».
    «Però alla fine l’hai fatto e ci hai preso gusto».
    «Già». Il sorriso sul suo viso divenne ancora più radioso. «E da quella notte abbiamo condiviso tutto: i momenti belli e quelli brutti, avventure che non mi sarei mai sognato di vivere se non ti fossi presentato alla mia finestra quella sera ad Hamilton, abbiamo attraversato l'intero spazio e abbiamo affrontato imprese che persino i nostri padri non si sarebbero mai sognati di vivere, e l'abbiamo sempre fatto fidandoci l'uno dell'altro». Si umettò le labbra nel vedere Damian ricominciare a fissarlo con estrema attenzione, quasi volesse capire dove volesse andare a parare. «Sei diventato un partner, il mio migliore amico, l'amore della mia vita. E quando penso al futuro, penso che non c'è nessun altro con cui desidero passare il resto della mia vita». Deglutì impercettibilmente, sentendo il suo cuore battere ad un ritmo sempre più veloce e costante. Poi riprese. «Vorresti sp...»
    Non fece in tempo a finire e a tirar fuori la scatola che un boato fendette l'aria, inghiottendo le sue parole e facendo tremare il pavimento sottostante prima che grida disarticolate si levassero tutto intorno e fuori dall'edificio; lui e Damian si gettarono un'occhiata stranita e, con gli occhi ingigantiti dalla confusione, si precipitarono a guardare fuori dalla grande vetrata, dove quelli che avevano tutta l'aria di essere due robot giganti stavano distruggendo la parte est di Metropolis.
    Jon si lasciò sfuggire un’imprecazione soffocata. Di tutte le sere in cui potevano succedere casini a Metropolis… doveva essere proprio quella dopo un mese di tranquillità? Sul serio? Che razza di tempismo! Per Rao, qualcuno lo odiava davvero.
    «Spero che tu abbia “tu sai cosa” sotto quel bel vestito», replicò Damian, afferrandogli un polso per trascinarlo fuori insieme al resto dei clienti e del personale, che avevano cominciato a sparpagliarsi per allontanarsi il più possibile da lì.
    Non seppe nemmeno quando si ritrovarono nel vicolo dietro al ristorante, ma mentre si toglieva la giacca vide che Damian si stava già sistemando i guanti e la cintura multiuso alla vita. «Non capirò mai come fai ad essere più veloce di me», affermò nel levarsi anche camicia e pantaloni per restare in uniforme, e Damian gli regalò un sorrisetto sardonico.
    «Anni di pratica, Sups», rimbeccò, sistemandosi la maschera. Da quando si era liberato del mantello e aveva apportato modifiche al suo costume, optando per tonalità di grigio scuro e rosso, il nome di Robin non sembrava più calzargli così tanto a pennello e aveva deciso di riportare in auge il vecchio Redbird solo come alias, dato che della vecchia uniforme non aveva salvato praticamente niente. «Ora datti una mossa, quei robot non ci aspetteranno di certo», lo riscosse,tirando fuori il rampino per spararlo verso l'alto e arrampicarsi sul tetto, correndo verso quei robot con salti aggraziati.
    Non lo aveva nemmeno aspettato, ma Jon sapeva già come andavano le dinamiche, così si diede un piccolo slancio con i piedi e spiccò il volo, tenendo il passo con Redbird. I robot continuavano la loro distruzione ed erano praticamente ad un isolato di distanza quando Superboy allungò una mano nel vuoto, prima ancora che alle sue orecchie echeggiasse un «Manovra n°4!» e vedesse il rampino sparato verso l'alto; lo afferrò alla svelta e non ebbe bisogno di guardare in basso per vedere il ghigno sulle labbra dell'altro, lanciandolo letteralmente sulle spalle di uno dei robot per vederlo atterrare su di esso in perfetto equilibro. Lui si concentrò sul secondo, afferrandolo per un braccio d'acciaio per sollevarlo da terra giusto un secondo prima che schiacciasse un'auto in cui c'erano ancora delle persone.
    «Dobbiamo portarli lontano da qui, J!» la voce di Redbird era un’eco lontana sotto il rumore assordante di quella ferraglia, ma lo sentì distintamente e sollevò l’altro braccio a dimostrazione di aver capito, afferrando il piede dell’altro robot; lo issò da terra nello stesso istante in cui l’altro conficcò un birdrang nella sua corteccia metallica, aggrappandosi ad esso mentre cercava di farsi strada nei suoi circuiti.
    Si allontanarono dalla città con le urla spaventate della gente che echeggiavano nelle sue orecchie, atterrando nei pressi di un magazzino abbandonato in periferia. Avrebbe potuto distruggerli con la vista calorifica o facendoli a pezzi, ma negli anni avevano imparato a loro spese che quei maledetti robot potevano avere violente reazioni ai poteri kryptoniani, in particolar modo se si trovavano in città come Metropolis. Un attacco alle loro sinapsi robotiche era il modo più efficace per abbatterli, anche se Superman poteva almeno menomarli se necessario.
    «Il portellone alla tua destra!» esclamò Damian, e nel sollevare lo sguardo Jon lo vide saltare sulla spalla destra del robot per evitare che la grossa mano lo schiacciasse seduta stante.
    Senza perdere ulteriore tempo, si lanciò in volo in quella direzione e usò la sua vista calorifica per mirare al portellone, prima di affondare le dita nell'acciaio come se fosse burro; lo tirò via con un sordo rumore metallico e lo lanciò lontano da sé, soffiando sui circuiti per congelarli seduta stante. Il robot barcollò per un momento e provò a colpirlo con un ultimo sforzo, ma Jon afferrò il braccio e lo gettò lontano, controllando il compagno con la coda dell'occhio. Non lo vide subito, ma ben presto una serie di piccole esplosioni catturò la sua attenzione e capì che Redbird aveva appena fatto saltare il portellone del suo robot, e non ci avrebbe messo molto a metterlo K.O. Con un ghignetto, si riconcentrò sul proprio avversario, schivando i suoi colpi mentre si spostavano sempre più. 
    Non seppero quanto tempo passò ma, quando la battaglia finì, poterono finalmente trarre un sospiro di sollievo. Intorno a loro c'era solo la distruzione causata dall'attacco simultaneo di quei robot e una delle braccia che Jon aveva strappato era piombata sull'edificio, abbattendolo; nell'aria persisteva un polverone che si era mescolato con la nebbiolina che si era innalzata, e Jon tossicchiò, cercando il compagno con lo sguardo per trovarlo non molto distante da lui. Seduto sulla spalla di uno dei robot, si teneva il braccio destro con una mano, il volto contratto in una piccola smorfia.
    Jon si librò in volo verso di lui, poggiando la punta dei piedi su quell'ammasso di ferraglia. «Stai bene?» chiese, vedendo Damian fare un breve cenno col capo. 
    «Gh... niente che una bella dormita non possa aggiustare».
    «Raccontala ad un altro, D», rimbeccò nello scrutarlo meglio e vedere il sangue scorrere attraverso la fessura delle dita; si inginocchiò quindi al suo fianco qualche momento dopo per controllare il braccio con la sua vita a raggi X e valutare i danni, ignorando i borbottii a cui l'altro diede vita. «Okay, niente di terribile. Ci penso io», affermò, guadagnandoci un'occhiata piuttosto scettica.
    «Credo di voler tornare a casa con il braccio ancora attaccato al corpo».
    «Non sei affatto spiritoso. Lo sai, vero?» replicò Jon, e Damian sollevò un angolo della bocca, gli occhi sorridenti al di sotto della maschera che indossava. Poi, in silenzio, allontanò la mano dalla ferita e premette un pulsante sulla sua cintura, passando a Jon il kit di primo soccorso che si portava sempre dietro.
    Prendendolo, Jon si scusò e ruppe quel che restava dell'uniforme per poter avere il braccio completamente esposto, sentendo la ferita pulsare come se avesse poggiato un orecchio sopra di essa: era profonda, ma non molto, per quanto il sangue continuasse a scorrere pigramente su quella pelle scura, rendendola quasi traslucida; cominciò a tamponarla e vide Damian mordersi giusto un po' il labbro inferiore prima di liberarsi della maschera, passandosi il dorso dell'altra mano sulla fronte per detergerla dal sudore. Cercò di fargli male il meno possibile, pur sapendo che l'altro avrebbe comunque sopportato il dolore, disifettando la ferita con estrema attenzione prima di cominciare a suturarla; era una fortuna che Redbird si portasse sempre dietro quel kit - qualcuno l'avrebbe chiamato paranoico, ma lui dopotutto era il figlio del più grande paranoico del mondo -, poiché permetteva loro di ammortizzare i danni prima di lasciare al signor Pennyworth il resto del lavoro.
    Jon fasciò il braccio solo quando fu soddisfatto dei suoi punti, sentendo ancora su di sé lo sguardo di Damian. L'aveva osservato in silenzio per tutto il tempo, e ciò faceva capire come avessero ormai consolidato il loro rapporto al punto di fidarsi completamente l'uno dell'altro. «Ecco fatto» esordì infine, stringendo un po' il nodo.
    Damian valutò la fasciatura con occhio critico - Jon sapeva che lo faceva solo per irritarlo, certe volte -, alzandosi in piedi qualche momento dopo. «Lavoro abbastanza adeguato».
    «Grazie, J, come farei senza di te? Oh, ma dai, D, avresti fatto lo stesso», lo scimmiottò Jon con ironia, al che Damian roteò gli occhi.
    «D'accordo... grazie», lo accontentò, ignorando lo sbuffo ilare del compagno. «Adesso vediamo di andarcene prima che arrivi la po--»
    Senza permettergli di terminare la frase, Jon lo baciò di slancio e Damian sgranò gli occhi, poiché non si erano mai spinti fino a quel punto quando erano in “servizio”. E, soprattutto, non mentre se ne stavano praticamente in cima ad un robot abbattuto nella periferia sud di Metropolis.
    «D... vuoi sposarmi?» sussurrò contro le sue labbra, e il giovane eroe dovette allontanare un po' il viso per osservare il compagno dritto in viso, abbassando lo sguardo quando sentì il piccolo click della sua cintura e gli vide in mano una scatoletta di velluto che non lasciava spazio a fraintendimenti.
    Damian la guardò per attimi che parvero interminabili, poi sollevò nuovamente lo sguardo, fissando l'altro. «Me lo stai davvero chiedendo su un campo di battaglia?» domandò, e Jon si freddò. Oh, mer...
    «Ehm... ecco, io... vedi...» balbettò, perso nelle iridi verdi e ingigantite di Damian. Aveva sbagliato. Dopo il fiasco totale al ristorante, si era bruciato un’altra occasione. Adesso l'avrebbe guardato stranito e... contro ogni sua aspettativa, Damian rise. Una risata sincera e liberatoria, di quelle che raramente si lasciava scappare, prima di fare qualcosa che Jon non si sarebbe mai aspettato: gli gettò le braccia al collo, stritolandolo letteralmente in una morsa.
    « che ti sposo, stupido idiota», rimbeccò ad un soffio dalle sue labbra, e Jon poté assaporare il sangue e il terriccio che le macchiava. Fece scivolare una mano lungo il suo fianco destro e lo attirò a sé, godendosi quell’istante come se lo stesse vivendo per la prima volta. Fu un bacio lento e voglioso, un brivido di adrenalina che serpeggiò lungo la spina dorsale fino a mandare una scarica al cervello, e quando si separarono Damian rise ancora, lasciando Jon un po’ incredulo.
    «P-Perché ridi...?» gli venne spontaneo chiedere, le labbra rosse e gonfie per il bacio.
    Damian scosse la testa e si asciugò gli occhi, inumiditisi per l’aver riso troppo. «Perché per una volta sei stato più veloce di me, ragazzo di campagna», sghignazzò con quel suo solito cipiglio, aprendo una delle tasche della sua cintura multiuso per tirar fuori a sua volta una... piccola scatola di velluto nero. Una maledettissima scatola di velluto nero.
    Jon la osservò stordito, spostando lo sguardo sul compagno. «Tu...» boccheggiò, e una mano guantata si poggiò sulla sua bocca.
    «Ottima deduzione, Sherlock», rimbeccò Damian con quel sorriso sardonico dipinto sulle labbra. «Anche se ero piuttosto indeciso, visto che mi hai sempre detto di voler sposare i tuoi noodles scadenti», buttò lì sarcastico, provocando a Jon una sonora risata.
    «Avevo dieci anni!»
    «E quella roba ti piace ancora».
    Jon rise di nuovo, la sua risata cristallina riecheggiò nella notte in quello spiazzo abbandonato, prima che curvasse la schiena per poggiare la fronte contro quella di Damian. «...sappi che anche il mio è un. E non sto parlando dei noodles», sussurrò, stringendo nella sua la mano con cui il compagno sorreggeva la scatola di velluto.
    Si sorrisero complici e si strinsero l'uno all'altro, con lo sguardo rivolto all'orizzonte che cominciava a tingersi dei primi colori dell'alba.






_Note inconcludenti dell'autrice
Decimo giorno del #writeptember sul gruppo facebook Hurt/comfort Italia.
I prompt si adattavano bene a questa storia, così l'ho terminata visto che era rimasta ferma in cantiere da un bel pezzo. Però l'ho allungata un po' troppo, ne sono consapevole, e la cosa... beh, mi è sfuggita piuttosto di mano, lo ammetto. Ci sono ben due scene ispirate a dei film come richiesto da uno dei prompt: quella con i robot (Pacific Rim) e quella del bacio (Top Gun)
Jonno ovviamente prova in tutti i modi di fare una proposta decente a Damian, ma alla fine quella che conta di più è quella fatta col cuore nel momento più strano ahah

Commenti e critiche, ovviamente, son sempre accetti
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Capitolo 3
*** Rules of Engagement ~ Jonathan & Talia ***


Rules of Engagement Titolo: Rules of Engagement
Autore: My Pride
Fandom: Batman, Super Sons
Tipologia: One-shot [ 4161 parole [info]fiumidiparole ]
Personaggi: Damian Bruce Wayne, Jonathan Samuel Kent, Talia Al Ghul

Rating: Giallo
Genere: Generale, Slice of life

Avvertimenti: What if?, Slash
Writeptember: 2. Salvataggio || 3. X ha un parente di cui non parla volentieri


SUPER SONS © 2016Peter J. Tomasi/DC. All Rights Reserved.

    Jon osservava da una certa distanza la fortificazione che si innalzava tra neve e cielo, col mantello che svolazzava nella brezza ad alta quota.
    Era una pazzia, ma conosceva abbastanza bene la persona con cui avrebbe dovuto parlare da sapere che, se avessero svolto le cose a sua insaputa, sarebbe stato anche peggio. E, se proprio doveva essere sincero con sé stesso, preferiva togliersi quel dente prima che il suddetto dente gli venisse strappato via a sangue da chissà quale tipo di vendetta.
    «Non sei costretto a farlo per forza, J».
    La voce di Damian appariva preoccupata anche attraverso il comunicatore che aveva all'orecchio. Quando gli aveva detto che sarebbe andato a Nanda Parbat, l'aveva guardato con un'espressione talmente indecifrabile che, per un momento, Jon pensò si fosse spento come un automa. Salvo poi cominciare a sbraitargli contro che era un idiota e che se ci teneva tanto a morire l'avrebbe accoppato lui senza complimenti. Gli ci era voluta più di un'ora e mezza per riuscire a calmarlo - o almeno per far sì che il rossore della rabbia defluisse dal suo viso -, ma alla fine gli aveva spiegato le sue ragioni e perché sentiva che fosse la cosa giusta da fare. Una pericolosa ripicca era l’ultima cosa che avrebbe voluto nella nuova vita che stavano costruendo, motivo per cui adesso, dopo le svariate imprecazioni e i pugni che Damian gli aveva rifilato a vuoto sulle braccia, si trovava a troneggiare fra le nubi che sovrastavano il cielo della dimora della Lega degli Assassini.
    «Tranquillo, D...» esordì finalmente Jon, perdendo un po' di quota mentre il primo strato di nuvole cominciava a diradarsi dinanzi a lui. «Cosa potrebbe mai succedermi...» parve ironizzare, sentendo distintamente il dignignare dei denti dell'altro anche attraverso il comunicatore.
    Damian diede vita a quel suo solito schiocco di lingua sotto il palato. «Oltre a farti ammazzare da mia madre? Oh, niente di che, in effetti...» rimbeccò e, dal tono che usò, Jon fu più che sicuro che avesse arcuato un sopracciglio con scettico cinismo. «Alla minima minaccia, sappi che io...»
    Jon lo interruppe bruscamente. Il suo caro futuro consorte non aveva voluto saperne di restare a Gotham e l'aveva seguito in sella a Goliath e, per quanto fosse almeno riuscito a farlo restare a distanza, quella era una cosa che doveva fare da solo. O non avrebbe avuto senso. «Se intervieni, sembrerò debole; e se sembrerò debole, lei non mi darà mai il suo consenso».
    «Se muori, il suo consenso non lo avrai comunque, razza di idiota!»
    «Puoi smetterla di fare il tragico, tesoro?»
    «Non chiamarmi tesoro, testa aliena! Sono io quello che ha accettato la tua proposta, non avevi bisogno di chiedere il consenso di mia madre per chissà quali stupide regole del fidanzamento!» gli urlò direttamente all'orecchio, al punto che Jon dovette togliersi per un momento il comunicatore nello storcere il naso. Gli aveva letteralmente trapanato un timpano.
    «D... ne abbiamo già parlato...» riprese nel sistemare quell'aggeggio di nuovo all’orecchio. «...sai che quando voglio posso essere testardo quanto te».
    «Questa tua testardaggine ti condurrà alla tomba».
    «Ti amo anch’io, mio bel pettirosso», rimbeccò Jon con fare sarcastico, sapendo che Damian cercava sempre di nascondere la sua preoccupazione con frasi caustiche. «Ti sembra davvero il momento giusto per litigare?»
    Dal comunicatore si sentì solo un crepitio, come se la linea fosse stata disturbata; poi il lungo sospiro di Damian. «Se ti farà cambiare idea sull’entrare a Nanda Parbat... allora sì», ammise con quello che parve essere un pigolio. «Stai correndo un rischio inutile».
    «Ricordi cos’è successo quando tua madre ha scoperto che tuo padre frequentava quella Vicki?» domandò di punto in bianco il giovane Superboy, e dall’altro lato della trasmissione arrivò un suono stranito.
    «J, non vedo cosa...»
    «Rispondi».
    Damian tergiversò un po’, e Jon poté benissimo sentirlo picchiettare con le dita sulla sella di Goliath. «Le ha mandato dei fiori secchi e un pipistrello morto come avvertimento... prima che dei ninja l’attaccassero a Gotham Plaza».
    «E quando tuo padre voleva sposare Selina?» incalzò, aspettando una risposta che non arrivò. Era come se Damian fosse scomparso, evaporato nelle nuvole fra cui lui se ne stava a braccia conserte.  «Il tuo silenzio mi fa capire che ho ragione», sentenziò infine, e fu a quel punto che Damian sospirò. Jon era piuttosto certo che si stesse raschiando con i denti il labbro inferiore in un gesto di stizza.
    «Non mi piace parlare molto di mia madre e dei suoi modi, J. Lo sai».
    Jon sorrise, anche se Damian non avrebbe potuto vederlo. «Proprio per questo credo che sia una cosa che dovrei fare. Se ha reagito male su cose che riguardavano Bruce, pensa allora cosa farebbe se sapesse che suo figlio si è sposato senza dirle nulla», rimbeccò, e a quel punto Damian sbuffò pesantemente.
    «Dannazione». Pur non potendolo vedere, il giovane Superboy fu certo che si fosse passato una mano fra i capelli. «Io e Goliath aspetteremo qui. Tu cerca di stare attento, habibi».
    «Non preoccuparti... lo farò», provò a rassicurarlo, prima di chiudere la comunicazione per volare in fretta verso la fortezza, lasciando dietro di sé solo un boom sonico. Il vento gli sferzò il viso e per un secondo fu inghiottito dalle nuvole, atterrando proprio nel bel mezzo del cortile con un tonfo che fece tremare i vetri circostanti e crepare il terreno sotto ai suoi piedi.
    Non dovette nemmeno aspettare che il polverone che aveva creato si disperdesse, sentendo distintamente il sibilo dell’acciaio tutto intorno a sé. Un manipolo di guerrieri l’aveva accerchiato e puntava le armi contro di lui, pronti a fronteggiare la minaccia nonostante fossero tutti consapevoli del simbolo che svettava sul suo petto.
    «Non ho intenzione di farvi del male», esordì, osservando quegli uomini uno ad uno. «Sono qui solo per Talia Al Ghul».
    «Taci, infedele!» esclamò uno degli assassini, facendo un passo avanti con la spada ben sguainata. «Non osare pronunciare il nome della Testa del Demone».
    Jon lo guardò con estrema attenzione, senza muoversi dal punto in cui era atterrato. Tutto, dalla postura dell’uomo al modo in cui ognuno di loro sorreggeva le armi, gli faceva capire che non si sarebbero tirati indietro nemmeno se lui avesse rotto loro tutte le ossa. Non che l’avrebbe fatto, però... avevano una tale e cieca devozione per Talia, da non temere niente e nessuno.
    «Abbassate le armi».
    Una voce, pacata e calda come il sole del deserto, interruppe i movimenti di Jon sul nascere, e non appena si voltò in quella direzione il suo sguardo incrociò quello di Talia. Indossava un lungo abito di colore verde, talmente scuro da sembrare nero - e che metteva in risalto le sue forme prominenti e longilinee - con rifiniture dorate agli orli delle maniche; lo scollo a V lasciava ben intravedere le forme prosperose del suo seno nonostante le ciocche castane che ricadevano in morbidi boccoli ai lati di esso, ma era così a proprio agio da non curarsi dell’effetto che poteva provocare a chi la guardava, bella e letale come una pantera.
    «Quindi saresti tu il pretendente», affermò, e Jon per poco non sbiancò. Già lo sapeva? Come aveva fatto a saperlo? Sgranò impercettibilmente gli occhi, incredulo, ma la donna parve notarlo. «Non fare quella faccia», continuò nel fare un passo verso di lui. «Non si addice a chi ha l’ardire di pensare di poter venire qui a richiedere la mano di mio figlio».
    Jon inspirò pesantemente dal naso, facendo giusto un passo in avanti a propria volta. Per quanto superasse di parecchi centimetri la donna e con la sua velocità avrebbe potuto colpirla prima ancora che pensasse anche solo di muoversi, lei appariva comunque più minacciosa di lui. E non aveva idea di come facesse. «Ciao... mhn... Talia», cominciò. Essere formale e chiamarla Signora Al Ghul non gli era sembrata una buona idea, in quel momento. «Non so come tu l'abbia saputo, ma... saltiamo i convenevoli. Sai perché sono qui».
    «Hai una spada?»
    La domanda spiazzò Jon, che si guardò intorno come se stesse cercando una risposta ai quei modi di fare nei volti degli assassini che lo circondavano. Avrebbe potuto spazzarli via in un attimo, eppure nessuno di loro aveva mostrato segni di cedimento o paura. Se quella non era dedizione alla causa… «Mhn… no?» provò, al che Talia estrasse quella che portava alla cintola, puntandone la lama verso di lui.
    «Prendine una». In un attimo, almeno un centinaio di spade caddero letteralmente ai suoi piedi, lasciate una ad una dai devoti uomini della donna. «Combatti. O muori», disse ancora lei, senza segno di emozione nella voce. Era sempre così teatralmente melodrammatica? Damian l’aveva avvertito riguardo i modi di fare della madre, ma sembrava davvero determinata nonostante avesse dinanzi a lei un ragazzo che non poteva essere ferito. E la sua spada, apparentemente, non sembrava fatta di kryptonite. A che gioco stava giocando?
    Decise comunque di assecondarla - non si era comunque di certo aspettato che si sarebbero seduti ad un tavolo con una bella tazza di the -, senza perderla d'occhio mentre si abbassava a recuperare una delle spade tra la catasta di armi che troneggiava davanti a lui. Non fece nemmeno in tempo a stringere le mani intorno all'elsa che Talia sparì letteralmente dalla sua visuale, salvo ricomparire alla sua destra con la lama pronta a trafiggergli il cuore; Jon sgranò gli occhi, colpito da quella velocità che non si era aspettato, scartando di lato come gli aveva insegnato Damian. Per ogni eventualità, dopo tante suppliche, anni addietro l'aveva addestrato anche all'uso della spada, e mai avrebbe creduto che tutto quell'addestramento gli sarebbe servito contro la madre stessa del compagno.
    «Ti consideri suo pari?»
    «Come?»
    «Ti ho chiesto se ti consideri al pari di mio figlio».
    Jon sbatté le palpebre più volte, non capendo se la donna lo stesse dicendo seriamente o per scherzo. Non era certo di cosa intendesse, se a livello di forza fisica o intellettualmente, quindi non aveva la minima idea di che risposta volesse da lui. «Siamo compagni. Lo amo», replicò ovvio, prima che la lama di Talia gli sfiorasse il viso.
    «Non era questa la domanda a cui avresti dovuto rispondere», affermò lei in tono schietto, tornando a colpirlo con fendenti rapidi e sicuri che Jon faceva fatica a parare. Se avesse avuto una spada di kryptonite, non avrebbe avuto il minimo scampo. «Damian è l'erede degli Al Ghul», continuò. «Dovrà cercare una donna forte e continuare la dinastia, generare un figlio. Cosa ti fa pensare che averti al suo fianco potrebbe essere anche solo lontanamente accettabile?»
    «Non ho bisogno del tuo permesso», replicò Jon spudoratamente. Indietreggiò, tenendo alta la propria lama mentre Talia compiva passi sempre più veloci verso di lui, col terreno sotto i suoi piedi che si sollevava in piccole nuvolette di polvere ogni qualvolta sembrava danzare con quella spada fra le mani. «Ma so di cosa sei capace. Sono venuto ad informarti per evitare che ti sentissi offesa e trasformassi le nozze in un bagno di sangue».
    Talia rise sprezzante, ma un sorriso parve formarsi nella curva morbida delle sue labbra. «Onorata per la tua premura, kryptoniano». La sua voce era densa come miele, ma tagliente come l'acciaio che reggeva. «Sei folle abbastanza da venire fin qui di tua spontanea volontà, potrei persino pensare di considerare le tue parole. Ma dovrai dimostrare di valere ben più del simbolo che hai sul petto», sentenziò, tornando all'attacco prima ancora che Jon potesse anche solo rendersene conto.  
    Era veloce, quasi inumana, proprio ciò che ci si sarebbe aspettato dalla Testa del Demone. Ma lui aveva avuto un grande insegnante e, passato il momento di smarrimento iniziale, cominciò a tener testa alla donna, i cui occhi parvero ingigantirsi per la confusione. Fu un solo attimo, ma a Jon bastò per cogliere l'opportunità di ricambiare quei fendenti, mirando a gambe o braccia e cercando in tutti i modi di evitare i punti vitali; più combattevano, più il clangore delle spade che si scontravano le une contro le altre sembrava rimbombare tutto intorno a loro, seguito da una moltitudine di cuori pulsanti che Jon insonorizzò. Voleva concentrarsi solo su Talia, unicamente sui suoi movimenti e sul suono dei muscoli del suo corpo, sulle articolazioni che scricchiolavano silenziosamente e sul suo respiro che appariva calmo e controllato nonostante stessero combattendo con furia.
    Per quanto lui fosse invulnerabile, Talia riuscì comunque a colpirlo un paio di volte con il lato piatto della lama: lo spintonò lontano, lo colse impreparato nello sbattere quella spada contro il suo fianco destro, lo fece cadere colpendolo dietro al ginocchio e sentì il sapore della polvere in bocca quando sbatté il viso sul terreno, avendo giusto il tempo di voltarsi prima che un calcio ben assestato si abbattesse sulla sua faccia e i gambali di Talia si rompessero in mille pezzi, schizzando ornamenti d'oro e d'acciaio ovunque; ciò non la fermò, quasi non avesse avvertito niente, spingendolo con un piede sulla schiena per schiacciarlo contro la terra sottostante. Non ne fu certo, ma gli parve di sputare sangue - era mai possibile? -, boccheggiando per un attimo prima di richiamare a sé tutte le energie e rotolare di lato nello stesso istante in cui la lama si abbatteva su di lui.
    Jon sgranò gli occhi, stringendo l'elsa che reggeva prima di gettarsi nuovamente all'attacco. La donna era una combattente eccezionale, non si meravigliava se riuscisse a tenere testa persino ad un super - per di più senza essere munita di kryptonite -, ma lui aveva una motivazione più che valida e importante per essere lì e per vincere. Si spinse verso di lei, scartando di lato per evitare il nuovo colpo e ricordando ciò che gli aveva insegnato Damian: lasciò che la spada diventasse un'estensione del suo braccio, divenne un tutt'uno con essa, la ascoltò, e il primo fendente andò a segno e ferì Talia al viso; la vide portarsi il pollice sul taglio e passò il polpastrello su di esso ma, anziché infuriarsi maggiormente come Jon aveva pensato, sulle sue labbra si dipinse un sorriso sardonico che non riuscì a definire prima di lanciarsi contro di lui con rinnovata prontezza.
    Non seppe quanto durò quel combattimento, gli sembrava che fossero passate intere ore - forse giorni? Okay, era consapevole che stesse esagerando -, ma Talia non appariva desiderosa di fermarsi. Aveva un leggero fiatone, ma dai movimenti che continuava a fare e dai fendenti che gli rivolgeva, sembrava pronta ad andare avanti fino a perdere le sue ultime forze. Fu a quel punto, però, che scorse una breccia nelle sue movenze; la donna era sicura e decisa, si muoveva con la grazia ferina di una tigre decisa ad uccidere la propria preda, ma compiva ogni volta un preciso movimento col piede sinistro su cui poggiava l'intero peso, e Jon sfruttò quel movimento a proprio vantaggio: si sporse verso di lei, quasi al punto che avrebbe potuto trapassarlo con la spada senza problemi, e affondò la lama della propria spada nel suo braccio destro senza nemmeno pensarci due volte. E Talia urlò. Allentò la presa sull'elsa della propria arma, che cadde a terra con un tonfo sordo mentre gli assassini intorno a loro si muovevano all'unisono come un'onda pronta a sommergerli.
    «Non osate fare un passo!» tuonò lei con voce ferma, con gli occhi fissi sulla figura dell'uomo che l'aveva ferita; mosse le labbra senza emettere alcun suono, l'aria intorno a lei parve farsi carica di elettricità, e Jon rimase immobile al suo posto, senza capire che cosa stesse succedendo finché un ruggito non si levò fra le nubi della fortezza proprio in quell'istante. Gli sguardi di tutti furono rivolti verso l'alto e gli occhi ne cercarono la provenienza con espressioni smarrite, finché quel suono non divenne più forte e un grosso drago-pipistrello, l'ultimo della sua specie, atterrò con forza proprio in mezzo a loro, facendo tremare la terra e spaccandola sotto le grosse zampe; allargò le gigantesche ali color cremisi, annusando l'aria e facendo guizzare la grande lingua viola fra le fauci, come se stesse pregustando il sapore degli uomini lì presenti. Fu a quel punto che scese qualcuno dal suo dorso, e gli sguardi concitati corsero dalla bestia al figlio del demone, che li osservava nella sua fulgida compostezza. In vesti molto simili a quelle di Talia, sembrava un principe nella sua scintillante armatura: portava una corazza nera con intricati rifinimenti in oro ai lati, e i fianchi fasciati da una cintura verde scuro che fermava il pantalone sottostante; aveva con sé due katan appese alla cintola, e i parabraccia corazzati, su cui svettava l'effige di un animale molto simile ad un pipistrello, brillavano ai deboli raggi del sole e sembravano esser stati ideati per diventare un'arma in caso di necessità. Se sua madre avesse mosso un singolo muscolo, in quel momento, probabilmente non avrebbe esitato a far scattare il meccanismo e a colpirla mortalmente con la lama nascosta.
    Talia lo squadrò difatti per un lungo istante, facendo scorrere lo sguardo su quella pelle scura baciata dal sole e su quegli zigomi pronunciati, con le lunghe ciglia spesse che gli conferivano una bellezza che solo l'ambiente desertico poteva donare. Dopo anni in cui l'aveva visto solo da lontano, se non con fugaci contatti, suo figlio era finalmente lì davanti ai suoi occhi. «Damian», esordì nel far cenno, con il braccio sano, di abbassare le armi, e i suoi uomini si mossero come una marea per far scivolare le spade lungo i fianchi.
    «Madre», replicò lui, fermo dinanzi a Goliath e con lo sguardo puntato sulla donna e sul compagno non molto distante da lei. Jon sorreggeva ancora la spada e, a differenza di sua madre che sanguinava copiosamente, sembrava star bene. O, in ogni caso, era bravo a nasconderlo. Soprattutto tenendo conto di quanto fosse sporco e ricoperto di polvere.
    Non un fiato si levò tra loro mentre si squadravano, persino il grosso respiro di Goliath sembrava scandire il tempo con battiti lenti e costanti, quasi un'agonia che tutti cercavano di sopportare, almeno finché lo sguardo di Talia non si fermò sul viso di suo figlio per perdersi in quelle iridi smeraldine così simili alle sue.
    «…quindi lui è il tuo fidanzato?» domandò senza tanti giri di parole nel tenersi una mano premuta sulla spalla, mentre il sangue che grondava dalla ferita rendeva le sue dita estremamente appiccicose.
    «Sì, madre», affermò Damian senza esitazione, trattenendo il fiato per un momento quando gli occhi verdi e taglienti della donna si fermarono su di lui. Quell’occhiata avrebbe potuto significare qualunque cosa, in particolar modo se teneva conto del tempo e della distanza che li aveva tenuti lontani fino a quel momento, ma Damian non distolse lo sguardo, seppur sentendosi come fissato da un grosso felino che attendeva il momento giusto per saltare alla gola della propria preda; poi, contro ogni sua aspettativa… Talia sorrise.
    «Mhn. Combatte bene», replicò semplicemente nel dar loro le spalle, venendo raggiunta da Ubu che le scostò delicatamente una mano per premere una garza sterile sulla ferita. «Avete la mia benedizione».
    I due giovani restarono interdetti ad osservare la sua schiena mentre si allontanava, sbattendo le palpebre in simultanea senza proferir parola. Persino gli assassini intorno a loro non avevano fiatato nemmeno per un secondo, limitandosi a portare un pugno chiuso al petto in segno di saluto - verso... verso di loro? Jon era interdetto - prima di congedarsi a loro volta e lasciarli lì come due perfetti idioti. Che... diavolo era successo?
    Fu Jon il primo a riprendersi, con lo sguardo ancora puntato verso l'edificio in cui Talia e i suoi uomini erano spariti. «Ho... ho appena... avuto il consenso di Talia Al Ghul?» domandò incerto, come se non credesse ancora alle sue orecchie, e persino Damian ci mise un secondo di troppo a ridestarsi da quella consapevolezza che li aveva letteralmente investiti come una secchiata d'acqua gelida.
    «...s-sì. A quanto pare sì».
    «...cristo. Ho appena avuto il consenso di Talia Al Ghul», ripeté Jon incredulo, sbattendo le palpebre così velocemente che per un attimo abbe dinanzi agli occhi solo lampi sfocati dell'ambiente che li circondava. «Pensavo che mi avrebbe infilzato e lasciato in fin di vita».
Damian gli diede una gomitata in un fianco. «A quel punto sarei stato a finirti», gli rese noto, facendolo ridacchiare.       
    «Mpf, e poi come avresti fatto senza di me?» scherzò con un sorriso che andava da un orecchio all'altro, decisamente molto più rilassato di quanto non lo fosse stato fino a quel momento. «Comunque non c'era bisogno che arrivassi sul tuo cavallo bianco - pardon, pipistrello rosso - e mi salvassi, sai? Avevo tutto sotto controllo», disse, ma fu a quel punto che lo sguardo di Damian sondò completamente la sua figura.
    Con estrema attenzione, girandogli persino intorno, Damian lo controllò da capo a piedi come se stesse studiando un raro esemplare di chissà quale animale, e Jon rimase immobile sotto il suo sguardo ferino. Quando faceva così, e lo ammetteva, gli incuteva un po' di timore.
    «Non avevi sotto controllo un bel niente», sentenziò infine nello sciogliere la fascia che aveva ai fianchi per rivelare la sua cintura multiuso, dalle cui tasche tirò fuori un kit di pronto soccorso sotto lo sguardo confuso di Jon.
    «Che stai facendo?» chiese lui, al che Damian gli lanciò l'ennesima occhiata scettica.
    «Curo le tue ferite, idiota. Levati il mantello e abbassa l'uniforme».
    Jon si accigliò. «Non sono ferito», gli disse in tono sicuro, ma Damian non fu dello stesso avviso; gli strappò lui stesso il mantello, facendolo imprecare quando l'aria fredda si scontrò con dei tagli che aveva dietro la schiena e lui sgranò gli occhi, incredulo. «Eh!? Ma quando...?»
    «Mia madre sa usare la magia. Non c'è di che per averti salvato, super-idiota».
    «Oh».
    «Già. Oh».
    Dire che Jon era rimasto scombussolato sarebbe stato un eufemismo. Boccheggiando, sbatté le palpebre più volte e fece quanto gli era stato detto di fare, lasciandosi cadere seduto sul terreno polveroso mentre abbassava la parte superiore della propria uniforme; la schiena era percorsa da un reticolo di tagli che lui non si era minimamente accorto di avere, poiché non aveva sentito e non sentiva tuttora il minimo dolore. Era forse per l'uso della magia che, durante il combattimento, si era sentito così sopraffatto dalla donna? Non l'avrebbe mai detto.
    Così, immobile e a occhi chiusi, lasciò che Damian si inginocchiasse dietro di lui e si occupasse delle sue ferite, arricciando un po' il naso mentre lo sentiva disinfettare quella che sarbebe dovuta essere una pelle d'acciaio ma che, in quel momento, gli sembrava avere la stessa consistenza di quella umana. Che fosse quello l'influsso della magia sui kryptoniani come lui? Trasse un sospiro mentre quel batuffolo di cotone impregnato di disinfettante correva sulla sua schiena, muovendo giusto un po' le spalle quando gli sembrava di sentire un pizzico di dolore; ben presto la sua pelle venne ricoperta di cerotti e si beccò persino una fasciatura al braccio, finché Damian non gli batté pesantemente una mano su una spalla mentre si rimetteva in piedi.
    «Ecco fatto. Ora muoviti», affermò nell'incamminarsi verso l'edificio, e Jon, nell'alzarsi a sua volta e rivestirsi, arcuò un sopracciglio.
    «Cosa? Dove stiamo andando?»
    «Dentro. O pensavi che mia madre ci avrebbe lasciati andare senza ufficializzare la cosa?»
Jon si freddò senza muovere un altro passo. «Vuoi dire che dobbiamo...» si umettò le labbra e deglutì, guadagnandoci uno sguardo divertito quando Damian, sorridendo sardonico, si voltò verso di lui.
    «Credevi davvero che sarebbe bastato batterla a duello? Illuso. Sei fortunato che non ti chiederà il Mahr, hai già pagato col sangue», lo schernì, ma Jon aggrottò la fronte; qualunque cosa avesse voluto intendere, non era per nulla rincuorato dalla cosa.
    «...è qualcosa che non mi sarebbe piaciuto, vero?»
    Damian agitò semplicemente una mano. «Solo una dote che sarebbe stata espressione di affetto, eternità del vincolo matrimoniale e del tuo farti carico dei miei bisogni materiali, quindi non farti prendere inutilmente dal panico», rimbeccò sarcastico e, per quanto Jon si fosse in parte rilassato, il pensiero che non fosse ancora finita un po' lo faceva agitare come un bambino alle prime armi.
    Avrebbe dovuto passare un'intera giornata al cospetto di Talia Al Ghul, circondato da migliaia di assassini della Lega? Forse adesso si pentiva un po' di essere volato fin laggiù per affrontare una donna di cui il suo compagno non amava parlare mai. Però, mentre osservava la schiena di Damian e ascoltava il suo battito cardiaco, calmo come non lo era mai stato dal momento in cui l'ombra di Talia sembrava essere gravata su di loro e sulla loro futura vita, Jon non poté fare a meno di sorridere.
    Sarebbe andato tutto bene
.





_Note inconcludenti dell'autrice
Venticinquesimo giorno del #writeptember sul gruppo facebook Hurt/comfort Italia.
Quello che succede qui si ri fa in parte a quanto visto in Batman 34, ovvero quando Selin a e Talia si ritrovano a lottare l'una contro l'altra e Talia le chiede se si considera una pari di Bruce.
Talia è una drama queen e fa le stesse domande (o quasi) anche a Jonno, sì. Ma dopotutto vuole essere sicura che l'uomo che vivrà al fianco di suo figlio (perché Talia in fondo quando vuole - e quando viene scritta bene - può essere una specie di buona madre) sarà in grado di proteggerlo anche se suo figlio può tranquillamente proteggersi da solo. Ah, l'amore di una madre
Commenti e critiche, ovviamente, son sempre accetti
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Capitolo 4
*** From this day Foward ~ Damian & Bruce + famiglia ***


From this day Foward Titolo: From this day Foward
Autore: My Pride
Fandom: Batman, Super Sons
Tipologia: One-shot [ 3510 parole [info]fiumidiparole ]
Personaggi: Damian Bruce Wayne, Bruce Wayne, Jonathan Samuel Kent + Tutta la famiglia e Justice League

Rating: Giallo
Genere: Generale, Slice of life, Commedia

Avvertimenti: What if?, Slash
Solo i fiori sanno: 29. Orchidea: armonia, celebrazione d’amore
Just stop for a minute and smile: 10. "Poteva andare peggio..."


SUPER SONS © 2016Peter J. Tomasi/DC. All Rights Reserved.

    Tra un'imprecazione e l'altra, Damian cercò di annodare il cravattino con mani tremanti, non riuscendoci. Non aveva alcun motivo per essere nervoso, quel giorno sarebbe dovuto essere completamente dedicato ai sorrisi e alla gioia, eppure non poteva non provare una bizzarra sensazione alla bocca dello stomaco - Grayson le avrebbe scherzosamente chiamate farfalle - mentre si fissava davanti allo specchio.
    A voler essere sincero, non avrebbe mai creduto che quel giorno sarebbe giunto anche per lui. Aveva sempre pensato che, soprattutto a causa del suo passato, avrebbe finito col ferire chiunque avrebbe provato ad avvicinarsi e non avrebbe mai potuto avere una vita felice, e si era portato dietro quel pensiero fin quando non aveva conosciuto Jon. All'inizio non avrebbe mai potuto crederlo possibile, eppure gli alti e bassi che avevano vissuto non avevano fatto altro che avvicinarli più di quanto loro stessi avessero pensato. E forse, adesso, era proprio per quel motivo che non faceva altro che fissare il suo riflesso in quel completo bianco.
    Era così... strano. Non sapeva da quanto tempo stesse fissando le rifiniture eleganti della giacca monopetto che indossava, ma il suo sguardo correva da essa alla camicia bianca, fin verso i pantaloni classici con le bande di raso laterali; non aveva voluto dire di no al gilet, quindi non solo alla fine l'aveva indossato per una questione d'eleganza, ma anche per nascondere le bretelle e la cintura. Si era persino ravvivato i capelli all'indietro, mettendo in risalto i lineamenti decisi del suo volto e il taglio orientale dei suoi occhi verdi. Si sentiva perfetto, però... era normale sentirsi così nervosi?
    «Damian?» La voce incerta di suo padre si fece sentire timidamente da dietro la porta, distogliendolo dai suoi pensieri. «Posso entrare, figliolo?»
    Damian si prese un momento prima di rispondere, traendo un lungo sospiro mentre continuava a lottare con quello stupido cravattino. Perché aveva insistito tanto col volersi preparare da solo? Una mano, ora come ora, non gli sembrava affatto una pessima idea. «Entra pure, padre», disse infine nel vedere, attraverso lo specchio, la porta aprirsi poco a poco e rivelare la figura del genitore. Indossava un completo nero ed elegante che metteva in mostra la sua prestanza fisica, e la cravatta, anch'essa nera, svettava fin troppo bene sulla camicia bianca.
    «Stai benissimo», esordì Bruce, senza nascondere la nota di orgoglio che trasudava dalle sue parole. Solitamente non si lasciava andare in quel modo, ma quello era un giorno speciale in tutto e per tutto. Suo figlio era cresciuto e stava per sposarsi... e gli sembrava fosse passato poco meno di un giorno da quando era arrivato nella sua vita.
    «...grazie», disse Damian con un pizzico di imbarazzo, volgendo il capo verso di lui. «Ma proprio non riesco a fare questo maledetto nodo», ammise, accennando al cravattino che cadeva mollemente intorno al colletto della sua camicia. «E Grayson è più impedito di me».
    «Avresti potuto chiamare Alfred».
    «No, io... voglio che Pennyworth si goda la giornata».
    Bruce sbatté le palpebre, ma poi scosse il capo, divertito. «Ad Alfred non dispiacerebbe, credimi. Sogna un momento simile da quando io stesso avevo la tua età», replicò prima di fargli un cenno con la mano destra. «Girati, ti do una mano io».
    «Sicuro di riuscirci?» ironizzò il giovane, rimediandoci una breve occhiataccia dal genitore.
    «Alla veneranda età di cinquantacinque anni, credo di aver imparato anch'io come annodare un cravattino».
    Damian mugugnò qualcosa in tono sarcastico, ma doveva arrendersi all'evidenza: quel cravattino non si sarebbe sistemato da solo e il padre, in quella stanza, ci sarebbe riuscito sicuramente meglio di lui; così si girò, sistemandosi giusto un po' la giacca per lasciare che fosse l'altro ad occuparsi del resto. Le sue mani, grandi e forti, si allungarono verso il suo collo e sollevarono il colletto della camicia, posizionando nel modo corretto il cravattino intorno al suo collo per far sporgere maggiormente un'estremità, prima di incrociarla su quella corta.
    «Ricordi la prima volta che tua madre ci ha fatti incontrare?» esordì d'un tratto l'uomo mentre manteneva con l'altra mano le due estremità che si incrociavano davanti al colletto, e Damian, seppur sorpreso da quella domanda, si lasciò sfuggire un piccolo sbuffo ilare, sollevando lo sguardo al soffitto.
    «Sembra ieri. Ti puntai una spada alla gola e ti dissi: “Padre...»
    «...ti credevo più alto”», rise Bruce, e sulle sue labbra comparve l'ombra di un sorriso. Damian non l'aveva mai visto così... felice. «E avevi soltanto dieci anni. Da allora, ne abbiamo passate tante... ci sono stati momenti in cui abbiamo discusso, litigato, combattuto». Tirò entrambe le estremità del cravattino, stringendole in base alla larghezza del suo collo e continuando a sistemare quel pezzo di stoffa con estrema attenzione, quasi avesse paura di farlo scivolare via dalle proprie dita. «Sei partito per trovare la tua strada e hai guadagnato nuove esperienze, hai imparato ad accettare l'aiuto degli altri e a capire che i sentimenti non sono una debolezza. E adesso eccoti qui... pronto a sposarti», replicò nel tirare infine le anse del cravattino per sistemare il fiocco, raddrizzandolo prima di squadrare il figlio, in modo di assicurarsi di aver fatto un buon lavoro, per poggiargli poi una mano su una spalla. «Non potrei essere più fiero dell'uomo che sei diventato, Damian».
    Damian dovette mordersi il labbro inferiore, ma quelle parole l'avevano commosso. E, con gli occhi un po' lucidi, dovette abbassare lo sguardo per poter incrociare quello del genitore, essendo diventato più alto di lui. «Vuoi farmi piangere il giorno del mio matrimonio, padre?»
    «Se possiamo, cerchiamo di evitarlo. Non vorrei che Jonathan si preoccupasse nel vederti con gli occhi arrossati», replicò l'uomo, facendo ridacchiare l'altro.
    «Non sarebbe il solo. È dalle sei di questa mattina che Todd e Drake cercano di far star buono Richard. È praticamente diventato il mio wedding planner». Roteò gli occhi al pensiero, ma appariva divertito. «Se sapesse che mi hai fatto piangere, stavolta sarebbe lui a prenderti a pugni», ghignò.
    «Mphf», rimbeccò Bruce, dandogli un'ultima pacca sulla spalla prima di afferrare lui stesso i gemelli sul tavolino accanto allo specchio, porgendoli al figlio. «Sarà meglio che tu finisca di prepararti».
    Ringraziando, Damian allungò la mano per prenderli e ripiegò il polsino destro all'indietro, tenendo unite le due estremità per poter allineare i buchi e appuntare uno dei gemelli. Erano dei classici gemelli a catena, che raccordavano i due lati rifiniti in oro e che, nella loro semplicità, apparivano decisamente belli ed eleganti sul completo bianco che indossava. Erano un regalo di Clark. Gli aveva detto, senza nascondere la commozione nella sua voce, che erano appartenuti a suo padre e che sarebbe stato fiero di vederli indossare da lui, e Damian ne era stato contento.
    Aveva conosciuto Jonathan Senior, era stato un brav'uomo, vecchia scuola, genuino proprio come sembrava esserlo. Persino lui, di solito così composto, aveva pianto al suo funerale. Quindi, quando quello stesso mattino gli erano stati consegnati da Clark in persona, Damian aveva sorriso, veramente grato. Sapeva che, come da tradizione, suo padre aveva fatto lo stesso con Jon, ed era certo che Jon si fosse commosso all'inverosimile alla vista dei gemelli che erano appartenuti addirittura a Thomas Wayne. E ciò voleva significare molto. Così finì di sistemarsi quei gemelli e si rimirò allo specchio, e Bruce osservò ogni suo movimento, dal modo in cui si stava raddrizzando ancora un po' il cravattino al lieve tremolio delle sue dita. Damian non tremava. Mai.
    «Nervoso?» gli chiese comprensivo, e Damian gli gettò un'occhiata tramite lo specchio.
    «Non vedo perché dovrei», affermò il giovane nell'ostentare la sua solita sicurezza, ma vacillò un po'. Raschiò difatti i denti sul labbro inferiore, traendo un lungo sospiro. «Dannazione, », ammise, abbandonando le braccia lungo i fianchi. Se avesse continuato a tormentarsi quel cravattino, suo padre avrebbe dovuto aggiustarglielo da capo. «Ma è stupido, giusto? Insomma... io e Jon ci conosciamo da quasi tredici anni, abbiamo vissuto mille avventure, abbiamo lottato fianco a fianco, abbiamo affrontato minacce intergalattiche... non dovrei essere nervoso per una semplice cerimonia».
    «È del tutto normale, Damian», provò a tranquillizzarlo Bruce. «È un passo importante nella tua vita, un cambiamento, ed essere nervosi ed emotivi fa parte dell'essere umano. Ma oltre le responsabilità e gli impegni che un matrimonio comporta, ricorda che affronterai tutto insieme alla persona che ami. E le vostre famiglie vi supporteranno sempre», soggiunse nel poggiargli nuovamente una mano sulla spalla destra. «Jonathan è un bravo ragazzo. Vedere il modo in cui ha sempre creduto in te, standoti accanto nei momenti belli e in quelli brutti, mi ha fatto capire che le mie paure erano infondate. So che vi prenderete sempre cura l'uno dell'altro».
    Damian scosse la testa, ma stava sorridendo come non mai. «Attento a quello che dici quando ci sono kryptoniani a portata d'orecchio. Se Jon fosse qui, ti guadagneresti un abbraccio alla Kent, padre».
    «Dio voglia di no», replicò immediatamente Bruce, ed entrambi si guardarono per un lungo momento, silenziosi, prima di ridacchiare nello stesso istante. Era confortante vedere il padre sotto una luce diversa, una luce che lo aveva fatto uscire poco a poco da quell'oscurità che aveva sempre avvolto entrambi, in un modo o nell'altro. «Sono tutti in posizione, ci stanno aspettando», soggiunse poi nel portarsi due dita all'orecchio destro, simbolo che gli era appena stato detto qualcosa tramite il comunicatore da cui non si separava mai, prima di lanciare una nuova occhiata a Damian. «Sei pronto?»
    «No», esordì lui di rimando, per quanto non avesse smesso per un momento di sorridere. «Ma non vedo l'ora».
    Bruce rise divertito e gli diede una pacca su una spalla, notando Damian sistemarsi la katana alla cintola prima di attraversare con lui la soglia per richiudersi la porta alle spalle; furono piuttosto silenziosi per tutto il tragitto lungo il corridoio e fino alle grandi scalinate dell'atrio, finché non fu Bruce stesso, una volta scesi gli ultimi gradini, a lanciare un rapido sguardo al figlio mentre si incamminavano verso la cucina.
    «Sei ancora sicuro di voler tagliare la torta con la spada di tuo nonno?» chiese incerto, giacché non gli era sfuggito il modo in cui Damian aveva poggiato una mano sull'elsa di quell'arma, stringendola in parte. Per quanto Ra's facesse parte del suo passato, un passato che preferiva dimenticare, quello che aveva con sé era pur sempre un cimelio di famiglia. Difatti Damian sospirò pesantemente, ricambiando il suo sguardo prima di attraversare l'enorme vetrata che dava in giardino.
    «Padre... è tradizione. E a mia madre piacerebbe vedere che rispetterò almeno quella», gli disse di rimando, gettandogli un'occhiata piuttosto eloquente. Era già stato fin troppo faticoso riuscire a farle promettere di comportarsi bene, giacché non aveva voluto sentir ragioni e si era praticamente invitata da sola. «Poteva andare peggio».
    «Tipo?»
    «Avrebbe potuto portare l'intera Lega», affermò Damian in tono lugubre, e per un lungo istate entrambi tacquero, limitandosi a fissarli. Fu Bruce a spezzare la tensione, ridendo fragorosamente come non aveva mai fatto. Una risata contagiosa che fece scoppiare a ridere Damian stesso.
    «Sarebbe stato proprio da lei».
    Dopo essersi scambiati un'ultima occhiata e un altro rapido sorriso, attraversarono quegli addobbi floreali che si estendevano davanti a loro e che creavano diverse fantasie nell'intrecciarsi gli uni con gli altri, galleggiando nell'aria come se fossero stati incantati; probabilmente c'era lo zampino di Zatanna e Damian sorrise un po' al pensiero che tutta la Justice League si fosse adoperata per il suo matrimonio, cosa che gli fece anche scaldare il cuore. Sapeva che Arthur si era occupato del rinfresco e che Diana aveva pensato alle fedi, che Clark aveva steso il tappeto bianco e che J'onn aveva creato una cupola mentale per rendere la zona sicura per qualunque evenienza, e tutte le decorazioni erano state appese a tempo di record da Wally e Barry, i quali avevano corso da una parte all'altra come delle schegge impazzite. E Damian era grato a tutti loro per averci messo così tanta passione. Non sentiva davvero di meritarselo. 
    Arrivò nell'enorme spiazzale del giardino addobbato a festa insieme a suo padre, trattenendo un po' il respiro quando lo sguardo si posò sulla figura di Jon. Nervoso quanto lui e in piedi sotto l'arco di rose rigorosamente blu - Damian non aveva voluto saperne di avere niente di diverso, essendo le rose coltivate da Pennyworth -, si stava torcendo le mani e gettava sguardi veloci agli invitati accomodati sulle poltroncine riposte ordinatamente in fila sotto le fronde degli alberi, vedendoli chiacchierare tra loro in attesa dell'inizio della cerimonia.
    Seduti in prima fila, Drake e Todd davano qualche pacca sulla spalla a Grayson, che piagnucolava borbottando chissà cosa con uno dei suoi soliti sorrisetti dipinti in volto mentre si soffiava il naso; al suo fianco c'era anche Barbara che ridacchiava e gli carezzava la testa, ma persino Stephanie stava tirando su col naso nell'asciugarsi le lacrime. Cassandra era quella più composta, per quanto stesse sorridendo come Damian non l'aveva mai vista sorridere. E poi c'erano Lois, Clark, Conner e Kara, l'uno più felice e commosso dell'altro; Iris era impeccabile nel suo vestito mentre se ne stava seduta proprio tra Barry e Wally, a braccetto con Linda e con i gemelli che chiacchieravano allegramente con Colin e Kathy, la quale si era trascinata dietro anche Maya; quest'ultima, cercando di non piangere, teneva lo sguardo basso e borbottava chissà cosa, nonostante l'aria felice che aveva dipinta sul suo volto.
    Seppur in un angolo, quasi nascosta alla vista, c'era persino Talia, dietro la quale svettava anche la possente figura di Goliath con le grosse ali spiegate e il muso affondato nelle piante. Sua madre aveva indossato un caffettano marocchino verde tiffany che modellava le forme sinuose del suo corpo, e sembrava brillare sotto i tiepidi raggi del sole grazie alle rifiniture e il modo pregiato in cui le lunghe maniche nascondevano in parte la cintura dorata.
    Damian era contento che alla fine fosse davvero venuta, ma il suo sguardo si soffermò soprattutto su Jon, poiché non l'aveva mai visto così: essendo una cosa praticamente in famiglia, aveva deciso di non indossare gli occhiali e si era ravvivato i capelli all'indietro, con indosso un completo bianco vagamente simile al suo; al collo portava una cravatta azzurra che metteva ancora più in risalto i suoi occhi, luminosi come non li aveva mai visti. E quando Jon ricambiò il suo sguardo, il sorriso che gli rivolse fu così radioso da far impallidire il sole.
    «Va' a prenderlo, ragazzo».
    La pacca sulla spalla e il sussurro di suo padre all'orecchio lo riscossero dalla sua visione e quasi arrossì, sbottandogli contro qualcosa nel tentativo di ritrovare la sua compostezza mentre seguiva con lo sguardo il genitore che si allontanava, vedendolo sedersi accanto a Pennyworth e Selina; vide quest'ultima trattenere una risata quando Bruce si accasciò col capo contro la sua spalla, e fu nel tenere quell'omone grande e grosso a sé che la donna ricambiò lo sguardo di Damian, sorridendogli raggiante.
    Deglutendo, Damian si fece coraggio e si incamminò su quel lungo tappeto bianco nell'esatto momento in cui le note della marcia nuziale riempirono l'aria intorno a loro, sentendo il nervosismo tornare ad ogni passo che faceva per avvicinarsi a Jon. La tradizione avrebbe richiesto dei testimoni o l'essere accompagnati all'altare,  ma avevano voluto fare entrambi di testa loro e lasicare che tutti si godessero la cerimonia in prima fila; Diana aveva invece insistito col pensarci lei ad unirli in matrimonio, e vederla fiera sotto l'arco floreale, nel suo bell'abito e con la sua espressione austera ma felice, metteva a Damian un po' di soggezione.
    Quando finalmente raggiunse Jon, quest'ultimo gli rivolse un sorriso ancor più luminoso di prima, sollevando una mano per sfiorargli uno zigomo e carezzargli poi un angolo dell'occhio sinistro. Damian aveva contornato i suoi occhi con una sottile linea di kajal, così fine che chiunque non possedesse una vista microscopica non avrebbe potuto vederlo se non a minima distanza, e nel vedere le labbra di Jon aprirsi per dire qulcosa, Damian lo fulminò subito. 
    «...non dire niente», lo mise in guardia, ma Jon rise e abbassò un po' il viso verso di lui, dovendolo raddrizzare imbarazzato quando qualcuno - Jason - gli fece notare che non era ancora il momento di baciare lo sposo, rimediandoci un sibilo scocciato da parte di Damian al quale non diede comunque peso.
    Riprendendosi, Jon sollevò un angolo della bocca in un nuovo sorriso. «Mi piace... mette in risalto i tuoi occhi», sussurrò, e a quel punto Damian distolse lo sguardo con un borbottio, come a voler nascondere il rossore che sembrava essersi dipinto sulle sue guance già scure.
    «Non ti ci abituare», tagliò corto, ed entrambi vennero poi richiamati all'attenzione da un piccolo colpo di tosse di Diana, la quale sorrise prima di fare un breve cenno col capo; in quello stesso istante arrivò Tito con gli anelli, e la scena quasi fece ridere Damian visto il modo in cui camminava fiero con quegli anelli legati al grosso collare che indossava.
    Fu Jon ad allungarsi verso di lui per prendere quelle fedi con mani tremanti,  fluttuando ad un pelo da terra per quant'era eccitato; cercò di riprendere un certo contegno nonostante avesse un sorriso da una parte all'altra del viso, e quando anche Damian prese il suo anello e lo guardò dritto negli occhi, quasi tornò a galleggiare in aria. Deglutendo nervoso, cercò di stabilizzare il battito del suo cuore, lo sguardo chino sul volto di Damian prima di cominciare a pronunciare i voti.
    «La prima volta che ci siamo incontrati, eri un piccoletto irascibile e testardo che voleva sempre averla vinta. E le cose non sono cambiate molto». La frase di Jon provocò un gran numero di risate nei presenti, e lui nascose un sorriso al modo in cui Damian stava cercando di non prenderlo a calci proprio davanti a tutti. «Ma ho capito che sotto quella scorza dura c'era più di quanto volessi dare a vedere... e non avrei potuto sperare in un amico, un partner e un compagno migliore».
    Un coro di «Ohh» parve innalzarsi dalla fila di sedie, e Damian si sforzò davvero molto per non voltarsi a guardarli, forse un po' imbarazzato dalle parole di Jon. «Sei il solito sdolcinato», sussurrò ad una frequenza così bassa che solo lui - e gli altri kryptoniani presenti - avrebbe potuto sentirlo, prima che Jon gli afferrasse la mano e lui ricambiasse la stretta. «Io ti avevo considerato una minaccia... adesso l'unica minaccia che rappresenti è quella di farmi morire di diabete».
    «Ehi».
    «Sta' zitto», lo ammonì Damian, sentendo le risatine dei loro invitati. «Quello che sto cercando di dire... è che sei la cosa migliore che mi sia capitata, Jonathan», soggiunse nel fissarlo dritto negli occhi, sentendo distintamente Dick tirare su col naso e, al tempo stesso, Jon sorrise come non mai.
    «Chi è quello sdolcinato, adesso?»
    «Sta' zitto».
    I cuori di entrambi battevano all'impazzata per l'agitazione e il nervosismo, e quando fu il momento dello scambio degli anelli sentirono le labbra secche e furono costretti a deglutire più e più volte; nonostante tutti i tipi di vista che possedeva, il modo in cui le mani di Jon tremarono per l'emozione non gli consentirono di infilare subito la fede al dito di Damian, e lui stesso, per quanto addestrato fosse e potesse essere capace di bucare un occhio con uno spillo da chissà quale distanza, ebbe il medesimo problema.
    Si guardarono entrambi per un lungo istante, e quando Diana pronunciò il fatidico «Puoi baciare lo sposo» fu Jon stesso ad attirare a sé Damian prima ancora che lui potesse muoversi, unendo le loro labbra in un caldo bacio; Damian insinuò le dita nei suoi capelli e glieli scompigliò mentre si alzava sulle punte, e Jon gli cinse i fianchi con un braccio, sollevandosi a qualche centimetro da terra insieme a lui.
    «Risparmia qualcosa per la camera da letto, spruzzetto di sole!» esclamò Jason con fare divertito, unendosi agli applausi che si innalzarono come una marea che li investì appieno.
    Damian e Jon, nonostante l'imbarazzo, sembravano così felici che Tim sorrise radioso per loro, alzandosi in piedi per applaudire insieme agli altri nel sentire Conner accostarsi a lui e cingergli le spalle con un braccio, commosso quanto lui; Tim sbuffò ilare, sorridendo qualche momento dopo.
    «Non credevo che avrei mai visto quel moccioso sposarsi».
    «Quei due se lo meritano». Conner abbassò lo sguardo verso di lui, sfiorandogli la fronte con la sua. «Magari i prossimi saremo noi», scherzò, e Tim rise prima di sollevare il capo verso di lui e unire le loro labbra in un bacio nello stesso istante in cui, mentre Damian sguainava la spada per poter tagliare la torta, Jon gli spalmava un po' di panna in faccia, ridendo
.





_Note inconcludenti dell'autrice
Siamo giunti alla conclusione di questa piccola raccolta che ha seguito i passi verso il matrimonio di Jon e Damian
Non è stato esattamente un percorso facile (sia per quanto riguarda l'organizzazione, sia per le avventure che hanno vissuto prima ancora di arrivare a questo punto), ma alla fine sono riusciti a coronare il loro sogno e, anche se a modo loro, sono comunque riusciti a sposarsi (e la storia è ciclica. Si apre con Jon e Clark e si chiude con Damian e Bruce. Padri e figli) .
Ovviamente non poteva mancare la nota finale in cui rendo palese la TimKon e, chissà, magari un giorno uscirà fuori una raccolta anche su quei due scemotti. Mai dire mai.
Nel frattempo, le avventure di Jon e Damian continuano sulle pagine della raccolta Smile in a cornfield ~ a flower that has the breath of a thousand sunsets e sulla long fiction Swap (bodies)
Commenti e critiche, ovviamente, son sempre accetti
A presto! ♥



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