I sentieri del dolore

di inzaghina
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Negazione ***
Capitolo 2: *** 2. Rabbia ***
Capitolo 3: *** 3. Contrattazione ***
Capitolo 4: *** 4. Depressione ***
Capitolo 5: *** 5. Accettazione ***



Capitolo 1
*** 1. Negazione ***


Questa storia partecipa all'iniziativa Cinque fette di torta alla melassa indetta sul gruppo Facebook L’angolo di Rosmerta che prevedeva la scelta di una strofa di una canzone (nel mio caso Fix you dei Coldplay), da cui poi sarebbero state estratte cinque parole da utilizzare come ispirazione per scrivere una raccolta o una mini-long, come ho scelto di fare io.
Prompt estratto per questo primo capitolo: up above.

Quando ho intrapreso la stesura di questa storia, l’ho fatto piena di dubbi e di incertezze, dopo troppo tempo senza iniziare a scrivere qualcosa a più capitoli; ci tengo quindi a ringraziare Benni, Eli e Mery (rigorosamente in ordine alfabetico) che hanno letto in anteprima, fugato i miei dubbi e consigliata strada facendo. 


 

Nel 1969, Elizabeth Kübler-Ross ha formulato una teoria sulle fasi di elaborazione del lutto, che una persona attraversa, attualmente seguite dalla psicologia, denominandole come: negazione/rifiuto, rabbia, contrattazione/patteggiamento, depressione, accettazione. In questa mini-long vedremo come cinque diversi personaggi, legati tra loro, ai ritroveranno ad affrontare una delle cinque diverse fasi in seguito alla Battaglia del due maggio e alle perdite che essa ha portato. 

 
 


 

1. Negazione 

 
 

 
 

“And the tears come streaming down your face  

When you lose something you can't replace”  

  

Sono dei raggi di sole accecanti - sfacciati addirittura - che costringono Ginny ad aprire gli occhi, dopo una notte interminabile e fuggevole al tempo stesso, passata a osservare il blu farsi via via più profondo, per poi schiarirsi fino a raggiungere sfumature malva e lavanda che è ormai portata ad associare a Villa Conchiglia — e alla serenità che si respira tra quelle quattro mura. Se qualcuno le avesse detto che avrebbe imparato ad apprezzare Fleur, solo tre anni prima, gli sarebbe scoppiata a ridere in faccia. Eppure oggi, alla vigilia del primo anniversario della Battaglia di Hogwarts, non può che confessare di considerare la cognata come una delle pietre miliari su cui posa la sua famiglia, qualcuno su cui è felice di poter contare ogni giorno. 

La stanza è silenziosa, e accogliente, e Ginny non avrebbe alcuna intenzione di lasciare il rifugio che è il suo letto, ma è anche consapevole del fatto che sia preferibile lavarsi prima che il resto delle compagne si siano svegliate e si ritrovino a litigare per accaparrarsi la doccia più comoda. Il letto di Hermione è già perfettamente rifatto, segno che l’amica ha già dato inizio alla propria giornata, e Ginny perde qualche secondo ad accarezzare Grattastinchi e ascoltare le sue fusa rilassanti, prima di recuperare degli abiti comodi e raggiungere i bagni condivisi. 

 

La cascata d’acqua calda è un toccasana per i suoi muscoli indolenziti, ma ancor di più per la sua mente tormentata da ricordi troppo vividi e da mancanze talmente tangibili da essere riuscite a scavare un solco nella sua anima combattiva. Lei, che si era sempre vantata del proprio ottimismo e che era stata convinta che, non solo avrebbero sconfitto Voldemort, ma che tutti ce l’avrebbero fatta, si è ritrovata a far fronte a un quotidiano stravolto dalla battaglia avvenuta all’alba del due maggio dell’anno passato. Perché quel giorno aveva dovuto dire addio prematuramente a troppe persone care: un fratello, un professore che tanto aveva amato, una donna che era stata per lei fonte d’ispirazione — in numerosi ambiti diversi —, tanti compagni di scuola e colui che era stato il suo primo vero amico. 

 

Quando chiude gli occhi la sera, quello di Colin è il primo sorriso che vede, quello che più di altri riesce a trafiggerla nel profondo e farle desiderare per un attimo, uno soltanto, di essere rimasta vittima del suo medesimo crudele destino. Perché Colin si era affacciato al mondo magico con entusiasmo, un sentimento contagioso che aveva inglobato anche la Ginny undicenne quando si erano incontrati sul treno, e che lo aveva caratterizzato ogni giorno da lì in avanti — persino quelli del loro ultimo orribile anno passato a Hogwarts insieme. 

 

“Caspita, vuoi dirmi che tu hai sei fratelli maggiori e che tutti loro sono maghi e hanno studiato o studiano a Hogwarts?!” domandò Colin, sgranando gli occhi. 

Ginny annuì, scrollando le spalle. “Tutti in famiglia sono stati studenti lì.” 

“Forte! E in che Casa speri di finire?” 

“Beh, la mia famiglia è Grifondoro tradizionalmente, quindi mi auguro di avere lo stesso destino.” 

“Spero lo stesso anche io, soprattutto dopo che ho letto che anche Harry Potter è stato smistato lì,” confidò il ragazzino. 

“Ha passato parte dell’estate a casa mia, è amico di mio fratello Ron.” 

La bocca di Colin si era spalancata per lo stupore e Ginny aveva sorriso per l’eccitazione mostrata dal suo nuovo amico, sperando con tutta sé stessa di divenire sua compagna di Casa. 

 

A lezione di Babbanologia, la professoressa Burbage aveva parlato loro delle religioni e di come quella cristiana credesse nella vita dopo la morte e nell’ascesa in paradiso o nella discesa agli inferi, a seconda dell’esistenza che una persona aveva vissuto. Ginny non aveva alcun dubbio riguardo al fatto che Colin meritasse il paradiso e trovava conforto nel cielo stellato che sovrastava Hogwarts — lo stesso che aveva studiato insieme all’amico che era un vero asso in astronomia —, immaginandolo a vegliare sulla propria famiglia da lassù, un po’ come sicuramente faceva Fred con lei e i suoi cari. Le piaceva credere che il fratello maggiore avesse accolto il suo amico sotto la propria ala protettiva e lo stesse guidando, anche se in realtà dubitava che ci fosse una meta da conquistare, o un obiettivo da raggiungere, lassù… però l’immagine di loro due insieme la rincuorava, meglio ancora se accompagnati da Remus e Tonks. 

 

Si decide a uscire dalla doccia quando l’acqua è ormai quasi fredda e indossa una maglia delle Harpies e un paio di jeans, prima di asciugarsi velocemente i capelli e raccoglierli in una coda disordinata. Visto che non sono ancora le otto di sabato, il tavolo della colazione sarà tranquillo e sicuramente Hermione la starà aspettando, con una tazza di tè tra le mani e l’ultima copia del Profeta. Anche questo semplice pensiero la fa ripensare a Colin e alle loro innumerevoli colazioni insieme negli anni, con alcune che riescono ad emergere rispetto alle altre: la prima successiva al suo risveglio dopo essere stato pietrificato, quella all’indomani del Ballo del Ceppo (quando lui le aveva scritto una lunga lettera in cui chiedeva ogni dettaglio), quella del giorno della sua prima partita di Quidditch e la prima del loro sesto anno, quando iniziarono a pianificare come avrebbero affrontato Piton come preside e quelli che ipotizzavano essere i suoi due scagnozzi. Non riesce a trovare giusto che lui non sia qui, a studiare per i M.A.G.O. e a pianificare il suo futuro da Magigiornalista, certi giorni in particolare Ginny finisce con il detestarsi per la possibilità di programmare il proprio avvenire - quando la stessa facoltà è stata strappata con la forza a Colin, e a tanti altri. 
 

*
 

In Sala Grande, Hermione è al suo solito posto, quello che nessuno osa occupare, ma ciò che riesce a rallegrare Ginny è la compagnia che attornia la Caposcuola — qualcuno che avrebbe dovuto raggiungere il castello solo più tardi. Accelera il passo, quando intravede una testa spettinata e una di capelli rossi intente a confabulare accanto a quella riccia di Hermione, e il sorriso che le sta nascendo sulle labbra perde il suo calore fino a scomparire, quando la mente la riporta ancora a lui - a Colin. È passato quasi un anno dall’ultima volta che ha incrociato il suo sguardo, eppure si volta ancora a cercare i suoi occhi quando succede qualcosa di divertente, o si maledice per la propria grafia frettolosa e disordinata durante le lezioni, ora che non ha più gli appunti del compagno di banco da cui sbirciare. Delle lezioni di Babbanologia non le sono rimaste impresse solo le religioni, ma anche un argomento in apparenza più semplice eppure molto più stratificato che la riguarda particolarmente da vicino… Si riferisce agli stadi del dolore e, trattandosi di qualcosa che l’ha appassionata, è dannatamente consapevole di essere rimasta bloccata al primo stadio, quello da cui non è sicura se riuscirà mai ad emergere. Si tratta di uno dei tanti argomenti su cui i maghi non si sono interrogati, a differenza dei Babbani, e mai come ora vorrebbe tanto avere Colin accanto a sé per capire se, e quando, riuscirà ad andare avanti.  
 

Non è necessario uno psicologo per comprendere che la sua scelta inconscia è legata al timore di dimenticarsi di Colin, e di Fred e di Tonks e di Remus e di tutti gli altri, eppure Ginny non si è mai considerata una codarda e stenta a riconoscersi a causa di quest’angoscia continua. Sa di non essere sola nell’affrontare tutto questo, eppure è riuscita a confidarsi solo con Hermione e Harry, per evitare di gravare ancor di più sui genitori e il resto della sua famiglia - già alle prese con la perdita di un figlio e un fratello. Si concede un ultimo istante per immaginare la reazione di Colin alla vista di Harry al tavolo della colazione, nonostante fosse riuscito a mitigare il proprio fanatismo negli ultimi tempi, e solo così riesce a piegare gli angoli della bocca in un sorriso e a compiere gli ultimi passi che la separano dal tavolo della colazione. 

Harry è il primo a sollevare gli occhi e a sorriderle pienamente, seguito da suo fratello e da Hermione, per una volta non concentrata sul giornale piegato accanto a sé. Dopo un abbraccio a lungo desiderato e un bacio a fior di labbra, Ginny prende posto accanto a Harry, rendendosi conto che lui e Ron non sono gli unici con indosso la divisa da Auror. 

Ai tempi in cui uscivano insieme, Dean le aveva confessato che diventare Auror sarebbe stato un bel sogno, ma che non era certo di avere le carte in regola; era stata felice di scoprire che aveva deciso di perseguire quell’obiettivo, soprattutto dopo tutto quel tempo in fuga. Il sorriso tirato che le rivolge, insieme a un saluto cordiale ma fugace, la porta a realizzare una volta di più di non essere l’unica a combattere con la condanna di essere sopravvissuta e si ripromette di trovare il tempo per fare quattro chiacchiere insieme a Dean durante il weekend. Dopodiché, s’impone di concentrarsi su chi la circonda e sul vivere ogni attimo come fosse l’ultimo — proprio come le ha sempre detto Colin. 

“Sono contenta che tu sia già qui,” mormora a Harry, allungandosi per servirsi dei pancake impilati davanti a lui. 

“Mi sei mancata,” ribatte lui. 

Una frase semplice, ma ricca di sfaccettature, perché a Ginny basta osservarlo per capire quali pensieri si stanno facendo strada nella mente dell’ex Bambino Sopravvissuto. La via per la guarigione può sembrare lunga e tortuosa, ci saranno ostacoli che parranno insormontabili ma la ragazza è consapevole che, insieme, riusciranno a percorrerla e a farsi forza lungo il percorso. Non è necessario che gli dica che anche lei ha sentito la sua mancanza, Harry già lo sa, decide di avvicinarsi un po’ più di quanto sarebbe consentito, sicura che la sua presenza possa essere molto più confortante di tante banali parole. 

“Anche se rivedere questo posto risveglia brutti ricordi, preferisco concentrarmi su quelli belli,” confessa Harry qualche minuto dopo. 

“Questo è un bel modo di guardare alle cose! In effetti ne ho anch’io un paio a cui ripenso abbastanza spesso...” 

Lo sguardo complice che si scambiano vale, ancora una volta, più di mille parole e il sorriso che piega le labbra a entrambi permette a Ginny di essere certa di star tenendo fede alla promessa fatta a Colin. 


 




Nota dell'autrice:
Non credo ci sia molto da aggiungere, avevo già affrontato le fasi del dolore anni fa, all'interno di una raccolta di drabble, questa volta invece ho cercato di fare più corpo al progetto costruendo una mini-long e scegliendo un personaggio per ogni fase. Siamo partiti da Ginny e dalla negazione, anche se forse non risulta credibile che si trovi ancora lì a un anno dall'evento, ma io credo che ognuno ci metta tempi diversi per ogni fase e ogni lutto e mi è parso simbolico far iniziare questo viaggio in occasione del primo anniversario della Battaglia.
Spero che la storia possa piacervi e ci vediamo domani con il secondo capitolo, e la seconda fase.

 

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Capitolo 2
*** 2. Rabbia ***


Prompt estratto per il secondo capitolo: Let it go.

 




2. Rabbia 

 

 

“When you feel so tired, but you can’t sleep  

stuck in reverse” 

 
 

La divisa da Auror gli aderisce in maniera impeccabile al fisico faticosamente colpito, dopo quasi un anno di allenamenti intensi intervallati dallo studio, eppure Dean non riesce a essere orgoglioso dei propri traguardi e combatte costantemente con un demone che non è affatto certo di riuscire a sconfiggere. Il senso di colpa e l’incredulità hanno velocemente lasciato spazio alla rabbia che permea ogni fibra del suo corpo e che lo intossica giorno per giorno, come un veleno di cui non conosce l’antidoto. Quando ha scelto di tentare l’ammissione all’Accademia, l’ha fatto per tutti i motivi sbagliati: sete di vendetta, voglia di rivalsa, ma soprattutto per cercare di mitigare la collera che sentiva montare senza alcun freno - qualcosa che lo stava erodendo lentamente e implacabilmente. La gioia che ha provato quando gli hanno comunicato la data d’inizio delle lezioni è stata effimera; rimasto senza un obiettivo sul quale concentrare ogni suo sforzo, ha finito con il tornare ad avere la collera come unica compagnia ed è solo grazie agli allenamenti se ha imparato a conviverci e a tenerla a bada. Si era ripromesso di non lasciarsi cambiare dall’anno appena lasciatosi alle spalle, ma era stato troppo naive — e non c’era spazio per l’ingenuità ora che era stata scritta la parola fine sulla sua adolescenza. Aveva spesso immaginato il suo settimo anno scolastico, fantasticando sulle feste che avrebbe organizzato insieme a Seamus nella Stanza delle Necessità, o sul quantitativo di Whiskey Incendiario che sarebbero riusciti a introdurre sotto al naso di Gazza, e aveva anche pensato che c’erano svariate ragazze che avrebbe volentieri invitato a Hogsmeade. Poi era morto Silente e il mondo come lo conosceva, già disseminatosi di crepe profonde e di fratture difficili da ricomporre, era imploso su sé stesso investendo tutti e stravolgendo la vita di ognuno di loro — di qualcuno, come lui, in particolare. 

 
 

Sdraiato sulle rive del Lago Nero, quando mancano pochi minuti all’inizio della cena commemorativa, contempla le nuvole rincorrersi nel cielo e riesce finalmente a respirare. La cerimonia pomeridiana gli è parsa priva di significato, anche se non ha avuto il coraggio di confessarlo a nessuno, ma la cruda realtà è che nulla di tutto questo restituirà la vita ai caduti. Si rende conto di quanto sia importante ricordare il loro sacrificio, trasmetterne ricordo alle generazioni future nella speranza che tutto questo non accada più, eppure tutto questo potrebbe comunque non bastare — e le loro morti si trasformerebbero in uno dei tanti momenti che il professor Rüf è solito sciorinare durante le lezioni. Questo concetto lo spaventa ed è come benzina sulle braci di un fuoco, la cui scintilla è stata la scelta di mettersi in fuga per preservare la propria famiglia, che per mesi si è alimentato di quella rabbia mai davvero sopita, diventata una fedele anche se indesiderata compagna. È un lato che lotta per far rimanere sconosciuto ai più: qualcosa che lo inquieta e che teme potrebbe finire per distruggerlo, se non riuscirà a porvi un freno, ciononostante sente che ormai è parte di lui e non gli pesa conviverci. E forse è questo che lo terrorizza più di tutto il resto, il fatto di aver stravolto così tanto la sua personalità senza aver posto una resistenza abbastanza forte per dimostrarsi migliore di loro 

 

Quando sente qualcuno prendere posto al suo fianco, non distoglie nemmeno per un attimo lo sguardo dal cielo, perché il profumo fiorito che l’accompagna è sufficiente a confermargli che si tratta di Ginny. Non sa per quanto, esattamente, sia rimasta lì ad osservarlo in silenzio, però nel periodo in cui si sono frequentati hanno passato numerosi pigri pomeriggi sdraiati in questo stesso posto a baciarsi e parlare di tutto e di niente - quindi sapeva di poterlo trovare lì. E non può negare che gli faccia piacere che abbia scelto di venire a cercarlo, anche se non era affatto convinto di voler essere trovato, fino a pochi attimi prima.  

“Temo di non essere una gran compagnia…” 

“Se avessi voluto compagnia, sarei rimasta nel castello.” 

“Se avevi paura che non sarei rientrato per la cena, ti rassicuro subito, perché stavo per farlo,” è una bugia bella e buona, ma se sarà fortunato Ginny potrebbe cascarci. 

“Non mi interessa niente del fatto che tu stia cercando di saltare una ridicola cena, Dean.” 

“Oh… è così evidente?” 

“Considerando che il banchetto inizierà tra circa 60 secondi, direi di sì.” 

È solo che, ecco, sembra tutto così… così inutile…” confessa, riuscendo a togliersi un piccolo macigno dal cuore “e mi sento un emerito idiota nel dire tutto questo ad alta voce, ma è quello che penso e non riesco a fingere che mi vada bene…” 

“Non sei affatto un idiota, Dean.” 

Sentendole pronunciare quelle parole, il ragazzo annuisce senza convinzione, strappando una manciata di fili d’erba e lasciandoseli scivolare tra le dita, un po’ come hanno fatto i mesi che si sono susseguiti tra il due maggio dell’anno precedente e questo. 

“Non oso nemmeno immaginare cosa tu abbia passato nel periodo in fuga, un po’ come tu non puoi sapere come sia stata la vita qui per me e gli altri, o cosa abbiano affrontato Harry, Hermione e mio fratello nella ricerca degli Horcrux, ma se c’è una cosa che so è che gli amici che abbiamo perso meritano di essere ricordati da noi e celebrati, anche se questa festa non sarebbe stata la mia prima scelta. Quindi credo che dovremmo raggiungere insieme la Sala Grande e fare un brindisi a Colin, e Fred, e Tonks, e Lupin, e a tutti loro…” 

“Per un attimo avevo scordato che anche la figlia di Ted era morta,” confessa Dean, incrociando lo sguardo di Ginny. 

“E così suo marito, lasciando un orfano di poche settimane.” 

“Mi spieghi cosa c’è di giusto in tutto questo?” s’infervora Dean, scuotendo con veemenza la testa. 

“E chi ti ha detto che dovrebbe esserci qualcosa di giusto?” 

“Non lo so, vorrei solo credere che questa guerra sia servita a qualcosa, ma più passa il tempo e più temo di essermelo dimenticato, o di non averlo mai capito.” 

“La guerra è servita a riportare la pace dopo mesi di terrore, dopo eventi difficili da dimenticare e dopo una serie di morti che sono state decisamente troppe e soprattutto dolorose. Purtroppo non possiamo fare nulla per cambiare il passato, Dean, ma possiamo scegliere ogni giorno di vivere al meglio il nostro presente e sperare che questo ci aiuti a scrivere un futuro pacifico.” 

“Vorrei avere le tue stesse certezze…” 

“Le mie sono speranze di qualcuno che ancora stenta a credere di aver perso un fratello, oltre a tanti amici a cui volevo bene.” 

Una singola lacrima sfugge al controllo della ragazza, che la cancella con un gesto veloce della mano destra, per poi sospirare e mordicchiarsi il labbro inferiore. 

“Io sono furioso, Ginny, e temo che se non riuscirò a parlarne con qualcuno potrebbe avere effetto sulla mia salute mentale, presto o tardi…” 

“Sai che potrai sempre parlare con me, vero?” mormora la ragazza, afferrandogli con impeto la mano nel tentativo di dare ancor più forza alle proprie parole.  

Dean si sofferma per un fugace attimo sulle loro dita intrecciate, una reminiscenza dolorosa di quanto insieme hanno condiviso, ma sceglie di non ostacolare quel semplice contatto, quanto invece accoglierlo e ricambiare quella stretta che si presenta come un’ancora di salvezza che lo possa condurre fuori da questo periodo sofferto e a tratti maledetto. 

“Non vorrei finire con l’incupirti… i pensieri che ho sono decisamente negativi e poco confortanti,” le confessa quindi, alleggerendo di qualche altro grammo il proprio fardello.  

“Non crederai forse di essere il solo, vero? Chi più e chi meno, stiamo tutti cercando di venire a patti con la realtà di essere sopravvissuti, a discapito di altri…” le parole di Ginny riescono ad alimentare, anche se a stento, la speranza di Dean - un sentimento che era ormai diventato sconosciuto. 

“Mia madre pensa che dovrei andare in analisi...” 

“Se pensi che ti sia utile, dovresti farlo.” 

“Sì, mi ci vedi a raccontare a uno strizzacervelli quanto mi sento in colpa per essere vivo, quando invece Ted che aveva una famiglia è stato brutalmente ucciso? O quanto mi senta inutile in questo tentativo di diventare Auror, visto che il povero Colin non ha nemmeno festeggiato i suoi 17 anni?!” 

“In effetti potrebbe non essere il caso di parlarne con un professionista, ma potresti farlo con qualcun altro… per esempio con me, se credi che possa servirti.” 

“Davvero saresti disposta a perdere il tuo tempo con me?” 

“Quello passato ad aiutare gli amici non è mai tempo perso,” sentenzia Ginny, alzandosi in piedi e tendendogli la mano, il miglior gesto per simboleggiare questa rinnovata affinità tra loro. 
 

Dean si dice che potrà farcela, un passo alla volta, comincia con il tentare di godersi la serata, anche se non è certo di esserci riuscito appieno. Quando scocca la mezzanotte sta brindando con Ginny, Seamus, Harry, Ron, Hermione, Neville, Calì e con Lavanda che ha fatto del suo meglio per esserci e lancia un’occhiata al cielo incantato della Sala Grande e ripensa alle numerose serate passate in fuga con Ted e a come l’uomo più grande gli abbia salvato la vita in un paio di occasioni. Forse il suo primo amore aveva ragione… Ted e tutti gli altri meritano di essere celebrati. 
 

Una volta tornato alla sua nuova quotidianità, prende l’ex ragazza in parola, e le scrive settimanalmente, confessandole per lettera quello che ad alta voce ha ancora una gran paura di ammettere. Tutto questo gli fa bene, molto più di uno stupido analista, eppure per tranquillizzare sua madre si inventa che G. Weasley sia uno psicologo magico da cui sta andando. Settimana dopo settimana percepisce la furia affievolirsi, mentre la fiducia in sé e nel proprio futuro cominciano pian piano a crescere e a farlo sentire più simile al sedicenne che era stato - prima che avesse inizio tutto questo. È felice di essere invitato alla cerimonia del diploma, innanzitutto perché l’anno precedente, quando era il suo turno, l’evento è stato decisamente funestato da quanto appena accaduto e in secondo luogo perché vuole rivedere Hogwarts per riviverla e godersi il weekend, come non ha fatto in occasione della cerimonia commemorativa. 

 

* 

 

L’abbraccio spontaneo di Ginny, seguito da quello con Hermione e con Luna, riescono a strappargli un vero sorriso, così come la presenza di Seamus e di tutti i compagni con cui avrebbe dovuto, e voluto, condividere il suo settimo anno. Il discorso della McGranitt tratta tanti argomenti, con una particolare attenzione alla criticità del periodo che stanno vivendo e al ruolo che tutti loro sono chiamati a interpretare; Dean riesce a trovare conforto nelle parole della sua ex Capocasa e si rende conto che la strada accidentata che ha davanti a sé non è mai sembrata più luminosa che in questo momento. 

Dopo la consegna dei diplomi, si stupisce nel trovarsi faccia a faccia con il suo compagno d’Accademia Roger Davies, che si affretta a presentargli la sorella minore Emily, raggiante nella sua divisa Corvonero. 

“Ecco chi ha ereditato il cervello in famiglia,” confessa a mezza voce Roger, schivando una gomitata della sorella maggiore Sally. 

“Congratulazioni,” commenta Dean, notando la somiglianza tra loro e la straordinaria avvenenza dei fratelli Davies. 

“Grazie,” ribatte Emily, dedicandogli un sorriso radioso che tornerà a far capolino nella sua mente quella stessa sera, dopo essere rientrato nell’appartamento che condivide con Seamus. 

 
 



Nota dell'autrice:
In questo secondo capitolo affrontiamo la rabbia insieme a Dean, che ha tutte le ragioni per essersi abbandonato a questo sentimento, ma che merita anche tantissima feicità, secondo la mia modesta opinione, quindi spero che questo excursus nella vita del giovane Grifondoro vi sia piaciuto e lo abbiate trovato credibile. Ci aggiorniamo domani con il prossimo protagonista e la fase del dolore successiva...

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Capitolo 3
*** 3. Contrattazione ***


Prompt estratto per il terzo capitolo: Try.

Dedico questo capitolo a Eli, che è un po’ la cheerleader di questo personaggio che ho fatto mio e che lo adora in una certa coppia a cui qui non ho certo reso giustizia, temo.❤️


3. Contrattazione



“And high up above, or down below

When you're too in love to let it go

But if you never try, you'll never know

Just what you're worth”


Nel cielo estivo, l’azzurro sta lasciando spazio all’arancio, al rosso e a tutte le loro sfumature, quando Roger si dirige verso lo stadio che è stato teatro di numerosi successi e di un egual numero di sconfitte, durante i suoi anni a Hogwarts. Non può negare che tornare a vivere momenti gioiosi tra le mura del castello che ha chiamato casa per sette anni sia stato emozionante, così come avere l’occasione di riunire la famiglia — ora che anche Emily probabilmente lascerà la casa dei genitori. Al tempo stesso però, ritrovandosi a Hogwarts, non è possibile evitare che la mente faccia ritorno a quanto accaduto in questo stesso luogo pochi mesi prima, alla battaglia combattuta, alle vite perse e a quelle che, come la sua, sono state irrimediabilmente cambiate. Per anni Roger si è crogiolato nella consapevolezza di essere uno dei ragazzi più invidiati della scuola: affascinante, popolare, abile giocatore di Quidditch, discretamente intelligente, dotato della capacità di ammaliare entrambi i sessi alquanto indistintamente. Tanti hanno creduto, a torto, che Roger tenesse il conto del numero delle ragazze con cui usciva, come in una sorta di gara con il resto dei suoi amici; per non parlare di coloro i quali fossero convinti che avesse sfruttato la propria bellezza per ottenere buoni voti — come se un simile piano potesse avere successo con professori del calibro della McGranitt, Vitious o Piton. Eppure aveva imparato a fare i conti con gli sguardi invidiosi, senza sapere che tutto ciò gli sarebbe stato utile per riuscire a confrontarsi con qualcosa di inaspettato e decisamente peggiore: le occhiate ricolme di pietà che gli venivano rivolte ogni qualvolta qualcuno nominava Stephen¹ in sua presenza.

Il loro primo incontro avvenne proprio sul terreno da Quidditch nel giorno in cui si occupò per la prima volta di dirigere i provini in qualità di capitano della squadra; nonostante il ragazzo più giovane fosse suo compagno di casa e si trovasse al secondo anno, Roger non ricordava di averci mai scambiato due parole negli anni precedenti. Rimase stupito dall’apparente timidezza di Stephen, che sapeva trasformarsi in furia agonistica sul campo da gioco, oltre che in un’ottima capacità di far gioco di squadra — dote fondamentale per ogni giocatore. Per sua sfortuna aveva scelto di presentarsi come Cercatore, e Cho Chang si era dimostrata decisamente superiore, eppure tutto questo non aveva fatto demordere l’aspirante giocatore, che si era accontentato del ruolo di riserva e si era dimostrato un valido conoscitore dei diversi schemi di gioco. Roger aveva iniziato a confrontarsi con Stephen a seguito degli allenamenti e, soprattutto, prima di ogni partita del campionato, affidandosi ai consigli del più giovane e dimostrandosi un buon capitano sin dal suo primo anno. Quando il settembre successivo il ragazzo si era ripresentato, lo aveva fatto proponendosi per occupare il posto da portiere che era rimasto libero e Roger era rimasto soddisfatto dalle abilità che aveva dimostrato — non degne di Wood, certamente, ma decisamente migliori di quelle del suo predecessore. Gli capitò un esordio di fuoco, visto che quell’anno i Corvonero inaugurarono il campionato giocando proprio contro i Grifondoro capitanati da Wood; Stephen riuscì quantomeno a limitare i danni, nonostante il formidabile attacco dei rosso-oro, ma si crucciò per giorni alla fine della partita. Fu anche grazie a quella partita, che l’amicizia tra lui e Stephen si cementò, Roger riuscì a far comprendere al più giovane che, molto spesso, erano proprio le sconfitte — piuttosto che le vittorie — a contribuire alla crescita personale e del gruppo.

“Togliti quel broncio dalla faccia, Steve.”

“Scusami se non riesco a gioire dopo una batosta simile...”

“Non ti chiedo di essere felice, ma di guardare le cose in prospettiva; abbiamo affrontato la squadra più forte del campionato!”

“Perdendo miseramente...”

“E imparando un nuovo tipo di attacco che possiamo cercare di replicare contro Tassorosso,” fece notare Roger, strizzandogli l’occhio e passandogli una Burrobirra.

“Vorrei avere il tuo ottimismo.”

“Continua a starmi vicino e vedrai che pian piano lo acquisirai anche tu,” ridacchiò Roger.

Si erano rincontrati proprio in occasione della Battaglia, senza nemmeno il tempo di salutarsi in maniera vera e propria, con la promessa di aggiornarsi più tardi destinata a non realizzarsi, proprio come i desideri di Stephen che non sarebbero mai riusciti a esaudirsi. Stephen, che studiava per ottenere i M.A.G.O. necessari ad essere ammesso all’Accademia del San Mungo, che si prodigava sempre per supportare i più giovani nello studio, che non rifiutava mai aiuto agli amici e che era sempre disponibile per una chiacchierata davanti al camino. Rivederlo sfrecciare tra i membri dell’ES aveva avuto uno strano effetto su Roger, troppo abituato a essere quello che guidava gli altri — invece di colui che seguiva —, ma non aveva esitato nemmeno un attimo a fidarsi della guida di Stephen. Lo aveva perso di vista per una manciata di minuti, soccorrendo insieme ad altri una Grifondoro del suo stesso anno assalita da un lupo mannaro, e quando era tornato sui suoi passi per raggiungerlo si era invece trovato di fronte solo un corpo martoriato e un’infinità di rimpianti.

Nonostante sia passato più di un anno ormai, Roger fa ancora fatica a fare i conti con l’assenza di quello che, a tutti gli effetti, ha sempre considerato come un fratello minore — lui che è cresciuto con due sorelle. Gli duole ammettere che sono più i giorni in cui si chiede se non sarebbe stato più giusto che fosse lui a morire, con la sua totale mancanza di aspirazioni e la scelta di diventare Auror maturata solo in seguito all’evento traumatico che gli aveva portato via Stephen. Il Destino però non offre seconde occasioni, non a tutti per lo meno, e l’unica cosa costruttiva che Roger può fare è tentare di costruire un futuro migliore, anche se ciò a cui anela con ogni fibra del suo essere è qualcosa che non può ottenere. Darebbe qualsiasi cosa per tornare indietro e prendere il posto di Stephen, dandogli l’occasione di diventare Guaritore e salvare vite, ma è ben consapevole che il suo sia un desiderio irrealizzabile. Si chiede continuamente cos’avrebbe potuto fare di diverso, o se ci sia qualcosa in particolare che abbia portato a questo epilogo, rendendosi conto di girare in tondo, ma non riuscendo a smettere di farlo.

Il due maggio dell’anno precedente ha scelto di scrivere la parola fine alla sua carriera come giocatore di Quidditch, pensando che l’essere sopravvissuto fosse un segno che lo spingeva verso un futuro ben più degno. Per la prima volta sentiva di avere un piano preciso da seguire: entrare nell’Accademia Auror e, a pochi giorni dalla fine del primo anno, Roger poteva dirsi soddisfatto della sua scelta. Non solo ha dimostrato a se stesso, e agli altri, di essere ben più di una bella faccia, ma ha conosciuto altri ragazzi con i suoi stessi ideali, tormentati dagli stessi dubbi e dalle medesime incertezze. Il peso con cui tutti loro convivono li fa vivere sulle montagne russe, con giornate in cui tutto sembra facile e altre in cui invece appare tutto impossibile e insormontabile; momenti in cui i pensieri neri sono un abisso seducente per ognuno di loro — e sono state proprio questi a convincerlo di non essere solo.

*

L’ultimo giorno del luglio successivo, Roger si sta apprestando a raggiungere casa Weasley e partecipare alla festa per il compleanno di Harry, quando qualcuno bussa alla sua porta e si ritrova davanti entrambe le sue sorelle, pronte a seguirlo nel Devon. La giornata è calda e il giardino incolto è già relativamente pieno di persone, quando i tre fratelli arrivano a piedi, dopo essersi smaterializzarti nelle vicinanze.

“Chi vi ha invitate, esattamente?”

“Io sono amica della fidanzata di Percy,” gli fa notare Sally.

“E io invece conosco bene la fidanzata del festeggiato,” aggiunge Emily, sbirciando tra i presenti.

“Eppure sono certo che tu non ti stia affannando a cercare Ginny Weasley,” ribatte Roger, inarcando le sopracciglia.

“È forse gelosia quella che traspare dalle tue parole, fratellone?”

“Non so di cosa tu stia parlando, Em...”

“Eppure ho il sospetto che qualcuno abbia già fatto due parole con un altro futuro Auror di nostra conoscenza...” ridacchia Sally, trascinando con sé la sorella.

Roger scuote la testa e riesce a sorridere pensando a quella volta in cui Stephen gli aveva confessato di avere una cotta colossale per Sally, scatenando la sua ilarità. È ancora perso nei suoi ricordi, mentre cammina verso il tavolo su cui è disposto il cibo, tanto da non rendersi conto di chi sia presente proprio di fronte a lui.

“Roger? Quelle surprise!”

“Fleur,” mormora in risposta, come sempre turbato dalla sua bellezza eterea.

“Harry sci aveva detto di aver invitato tutti i suoi compagni...”

“Eh già, è un bel modo per festeggiare anche la fine delle lezioni. Tu come stai?”

“Io sto bene, grazie. Spero valga lo stesso per te.”

“Sì, tutto bene. Pronto a godermi qualche settimana di libertà, prima di tornare all’accademia... e tu? Programmi per l’estate?”

“Sì, io e Bill partiamo stasera per la Provenza; domani sarà il nostro secondo anniversario di matrimonio...”

L’allusione al suo imminente viaggio ricorda a Roger quello che avrebbe potuto avere, se solo non fosse stato un adolescente che seguiva passivamente il flusso. Dopo aver portato Fleur al Ballo del Ceppo infatti, si erano frequentati prima per scherzo e poi piuttosto seriamente, ma quando il gioco si era fatto duro il Corvonero aveva rinunciato senza combattere — proprio come da prassi. Ha già capito il Natale precedente, che è Bill Weasley il vero amore di Fleur, eppure non riesce a smettere di pensare a come le cose avrebbero potuto essere diverse, se solo avesse lottato per lei — per loro.

“Tutto bene, Roger?” domanda Fleur, calcando l’accento sulla prima sillaba del suo nome e facendo rotolare la r nello stesso modo in cui lo fa sua madre.

“Certo, mi ero solo distratto...”

La francese gli sorride, prima di allontanarsi per andare a recuperare altre torte.

“Eccoti qui,” lo saluta Ron, tallonato da Harry, che gli dà un’amichevole pacca sulla spalla.

“Ciao ragazzi! Grazie ancora per l’invito.”

“Più siamo e meglio è,” ribatte il festeggiato, mentre un’ombra quasi impercettibile adombra il volto del suo migliore amico. Roger non ha bisogno di chiedere cosa stia passando per la sua testa, sa che la mente dell’altro è sicuramente rivolta a qualcuno perso durante la Battaglia del 2 maggio — qualcuno che avrebbe dovuto essere qui con loro.

“Ti ho portato un regalo,” dice quindi, cercando di cambiare argomento.

“Grazie amico, non dovevi!”

“Ma figurati...” si schermisce, “tanti auguri ancora.”

“Che ne dite di qualcosa da bere?” propone Ron, ritrovando il sorriso.

I tre si spostano verso il tavolo delle bevande, accanto al quale Lee Jordan ha improvvisato un’area deejay amplificata magicamente. Oggi per Roger è una giornata positiva, ma la convinzione che non valga lo stesso per Ron gli ricorda come sia importante vivere ogni giorno al massimo e quanto siano importanti gli amici che ti capiscono.

¹Si tratta di Stephen Cornfoot, studente Corvonero dello stesso anno di Harry, che la Rowling ha nominato nello speciale “Harry Potter and me”.



Nota dell’autrice:

Eccomi qui con il terzo capitolo, dedicato alla contrattazione, che trovo sia la fase più ostica da trattare — almeno per quanto mi riguarda. Mi sono salvata scegliendo di rendere protagonista Roger, che in fondo è un po’ come un OC, e su cui ultimamente ho riflettuto molto. Se vi interessa scoprirne di più su di lui, mi permetto di suggerirvi la lettura di “Futuro in frantumi”, una raccolta di tre flash dedicate a lui e Fleur. Ci vediamo domani con il prossimo protagonista e con la fase seguente, la penultima.

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Capitolo 4
*** 4. Depressione ***


Vale, che ama Ron come e più di me, perchè il nostro testone merita tanto amore.

Prompt estratto per il quarto capitolo: 
worth. 

  
 


 

 

4. Depressione 
 

"Tears stream down your face
I promise you I will learn from my mistakes"

 

La festa di Harry sta ormai volgendo al termine, quando Ron sente la necessità di allontanarsi dalla confusione che l’ha avviluppato, come le spire d’un serpente che striscia lentamente e inesorabilmente verso te — dal quale è impossibile trovarescampo. Nonostante sia cresciuto con sei fratelli, oppureforse proprio a causa di questo, ha sempre percepito la necessità di ritagliarsi i propri spazi per cercare di seguire il filo dei propri pensieri senza essere interrotto, anche se forse, ultimamente, ha semplicemente iniziato a farlo per sparire. Se deve essere sincero, negli ultimi tempi, le giornate sì sono state decisamente maggiori di quelle no, però non ha comunque abbassato la guardia — sarebbe stato da sciocchi farlo. Se c’è una cosa che ha imparato da quando ha a che fare con il lutto, è che i sentimenti che scatena ricalcano il movimento della risacca, ripetendosi all’infinito, e tornando a colpirti nei momenti più inaspettati, come ad esempio in quelli teoricamente festosi come i compleanni.  

Ma Ron non può stupirsi di trovarsi a pensare a Fred in un giorno come questo; come potrebbe? È cresciuto all’ombra di due fratelli che sono sempre stati senza sforzo l’anima della festa, quindi è più che normale che l’assenza del gemello diventi ancor più tangibile in situazioni conviviali. Non è difficile immaginare come sarebbe stata diversa la festa in sua presenza, perché quando Fred se n’è andato ha portato con sé un pezzo di George, e il gemello sopravvissuto non è più stato lo stesso da quel dannato due maggio. Nonostante siano passati mesi, quasi 15 ormai, Ron non smette di sorridere quando si sveglia al mattino — prima di ricordarsi che Fred non c’è più e sentire la gioia abbandonarlo a poco a poco. Sarà sciocco, ma quello che più gli manca è proprio ciò che più lo infastidiva quando il fratello era ancora vivo, probabilmente per una sorta di perverso scherzo del destino.  

Orienta gli occhi verso il cielo e prende un lungo respiro, trovando pace nella consapevolezza che questo sia lo stesso cielo che era solito osservare insieme ai fratelli ogni estate, nella spasmodica ricerca delle stelle cadenti a cui esprimere un desiderio. La sua famiglia ha amato quella tradizione sin dal momento in cui Charlie è tornato dal suo primo anno di scuola, raccontando dell’amica Tassorosso dai capelli multicolori e dal papà nato Babbano che gli aveva parlato di una serie di consuetudini per loro sconosciute. Anche questo pensiero, ora, è imbrattato dal dolore, perché Tonks e suo padre sono morti, proprio come Fred, e non ci sono stelle cadenti a cui appellarsi — per nessuno di loro. Questo per lo meno è quello che crede lui, ma forse anche nella vita dopo la morte ci sono sogni da realizzare? Non si è mai fermato a rifletterci sopra, ma ora che lo fa gli piace credere che sia così, perché non riesce a immaginare Fred senza uno scherzo a cui pensare e a progetti da realizzare. 

“Ti dispiace se mi siedo qui?” 

Ron non si è accorto che qualcuno lo ha raggiunto, e questo non si può decisamente considerare un punto a favore di un futuro Auror. 

“Fai pure.”  

“Casa vostra è davvero stupenda...” 

“Dici sul serio?” domanda, intercettando lo sguardo entusiasta di Roger Davies. 

“Scherzi? Credo che sia la dimora magica più interessante che io abbia mai visto.” 

Sono passati anni, Ron non è più l’insicuro ragazzino partito per Hogwarts incerto sulla capacità di trovarsi degli amici che non fossero anche dei suoi fratelli, eppure percepisce le proprie orecchie diventare cremisi ed è letteralmente a corto di parole. 

“Uhm, grazie... in effetti mio padre l’ha allargata più e più volte...” 

“Per far sì che ci steste tutti?” 

Il tono di Roger è interessato, non denigratorio, e Ron annuisce, tornando con la mente alla sua infanzia. “Sì, non credo che avessero davvero preventivato di avere sette figli...” 

I figli ora sono sei, ma la loro sarà sempre una famiglia di nove persone, su questo Ron non ha dubbi. 

“E tu avevi una camera tutta per te?” 

“Sì, più che altro perché mio fratello Percy era un vero secchione e non voleva scocciatori. I gemelli erano gli unici che condividevano con gioia, così come Bill e Charlie quando erano più piccoli...” 

Alla menzione dei gemelli, il tono di Ron si è incrinato leggermente e a Roger questo non è sfuggito. 

“Mi sembra ancora impossibile che lui non sia qui.” 

Non c’è bisogno di chiedere chi sia lui, non è importante per nessuno di loro: ci sono un'infinità di lui, o lei, per ognuno dei sopravvissuti, ma i sentimenti che provano nei loro confronti li accomunano nell’affrontare questo dolore in apparenza insormontabile. 

“Mi hanno sempre fatto ridere,” dice quindi, senza elaborare troppo. 

“Già, era la loro specialità...” 

“Sono stato felice di vedere che il negozio è stato riaperto.” 

“George ha deciso di continuare, anche per Fred,” non sa spiegarsi perché Roger sia venuto a cercarlo, ma si scopre riconoscente che lo abbia fatto.  

“Credo che tutti possano beneficiare di qualche risata in più.” 

“Era proprio ciò che li aveva spinti a inaugurarlo, nonostante tutto.” 

“Spero che tu non mi stia considerando invadente, Ron, mi piace credere che siamo diventati amici in questo anno, ma non vorrei infastidirti.” 

“Grazie del pensiero, quando nasci in una famiglia numerosa spesso hai bisogno dei tuoi spazi, ma forse oggi ho sbagliato a isolarmi...” 

“Beh, ti assicuro che io ho solo due sorelle, ma agli spazi ci tengo davvero molto,” ironizza il più grande. 

“Di sorella mene basta e avanza una...” mormora, prima di sospirare. “È che quando mi trovo a ridere, finisce che in sento in colpa nei suoi confronti e non so nemmeno se sia una cosa normale, o se ci sia qualcosa che non va in me.” 

“Non c’è nulla che non va in te, Ron.” 

“Poco fa mi sembrava che mi mancasse l’aria, nonostante fossimo all’aperto, quasi come se fossimo in presenza dei Dissennatori, anche se so bene che ormai non si allontanano più da Azkaban e ho pensato che venendo qui mi sarei sentito meglio, ma... non ha funzionato granché... per lo meno finché non mi hai raggiunto tu.” 

“Capitano anche a me dei giorni così, credo succeda a tutti noi.” 

“E cosa fai di solito?” 

“Cerco di trovare il modo per stare con le persone che amo, anche solo per pochi attimi, per ricordarmi il motivo per il quale abbiamo combattuto.” 

“Non ti credevo così saggio, Davies!” 

“Sono pur sempre più grande di te...” 

Il commento gli strappa un sorriso e Ron si stiracchia, prima di alzarsi in piedi. 

“Credo che seguirò il tuo consiglio... c’è una certa ragazza che mi aspetta per organizzare un paio di settimane di ferie in compagnia.” 

“Felice di esserti stato d’aiuto.” 

“Grazie davvero per aver capito, Roger...” 

“Figurati, amico.” 
 

I due ritornano davanti alla Tana e si dividono, quando Ron intercetta Hermione insieme a Bill e Fleur, mentre Roger si dirige verso Dean e la sorella minore. 

“Eccoti qui, iniziavo a credere di dover venire a cercarti...” 

“Qualcuno ti ha battuta,” ribatte Ron, affiancandosi alla ragazza. 

Hermione inarca le sopracciglia interessata, in una muta domanda. 

“Roger deve aver capito che ero un po’ giù ed è venuto a fare quattro chiacchiere.” 

La ragazza gli stringe affettuosamente un braccio, comprendendo che lui non abbia voglia di elaborare oltre, mentre Bill e Fleur si scambiano un cenno d’intesa. 

“Hermione ci stava raccontando che vorreste andare in Grecia per le vacanze!” esclama infatti la francese, evitando di tornare sul motivo che ha spinto Ron ad allontanarsi. 

“Sì, dovremmo essere un bel gruppo.” 

“Se volete qualche dritta io sono disponibile, ci sono stato qualche anno fa.” 

“Quando ancora viaggiavi per lavoro?” 

Bill annuisce, sfiorando il braccio della moglie. 

“Sì, allora ci interesserebbe davvero il tuo aiuto.” 

Ron si allontana velocemente per recuperare quattro Burrobirre, e tornare ad ascoltare il fratello raccontare delle isole Cicladi e dei tesori nascosti nei templi disseminati per la Grecia. Cambiare aria per un po’ gli sembra il modo migliore per ricaricare le batterie prima del nuovo anno in Accademia. 

 

* 

 

È autunno inoltrato ormai, quando Ron ha occasione di rivedere il mare dopo le vacanze estive; è una fredda domenica di fine ottobre e tutta la famiglia è riunita a Villa Conchiglia davanti al camino. Hermione è seduta al suo fianco e le loro dita intrecciate sono la bussola che lo ha aiutato a tenere la rotta in queste prime settimane di Accademia — più difficili di quelle dell’anno precedente. Ci sono ancora giornate no, nelle quali anche solo il pensiero di alzarsi dal letto sembra una conquista impossibile, l’ultima è stata la settimana precedente, ma ormai può dire di contarle sulla punta delle dita e forse può sperare di essere in procinto di lasciarsi alle spalle questo periodo difficile.  

Bill si alza dal tavolo per andare a prendere altra legna e Ron gli si accoda, spinto dalla necessità di controllare che anche il fratello maggiore stia bene. 

“Hai bisogno di aiuto?” 

“Grazie, perché no,” gli risponde, conducendolo verso il capanno posto accanto alla casa. 

“È davvero un posto meraviglioso questo...” 

“Grazie, mi sento proprio come a casa, sai?” 

“Fleur non è tanto diversa da mamma in effetti,” si lascia sfuggire Ron con una risatina. 

“Sì, sanno essere entrambe spaventose in effetti,” concede Bill, “ma soprattutto hanno un cuore grandissimo e mettono il benessere degli altri davanti al proprio.” 

“Non farti sfuggire che le ho paragonate, mi raccomando...” 

“Il tuo segreto è al sicuro, fratellino...” 

“Sicuro di star bene?” domanda Ron, dopo una pausa. 

“Sì, perché?” 

“Non so, ti vedo diverso.” 

“Beh, c’è un motivo per cui vi abbiamo invitati e ormai è quasi l’ora di svelarlo e sono un po’ nervoso...” 

“Io e Hermione ce lo chiedevamo, in effetti...” 

“Avete fatto qualche ipotesi?” 

“Lei soprattutto, alla fine abbiamo concordato su una in particolare.” 

“E sarebbe?” 

“Ci comunicherete che la famiglia si allarga, probabilmente.” 

“Oh,” Bill si passa una mano tra i capelli, “dici che è ovvio per tutti?” 

“Mhmm, eccetto che per Percy e Harry, direi.” 

Il maggiore scoppia in una risata quasi eccessiva. 

“Congratulazioni comunque, sarete genitori fantastici.” 

“Grazie, fratellino.” 

Ron scrolla le spalle, ripensando all’undicenne che era stato e a quello che è diventato. Non sarebbe diventato quello che è senza l’apporto della sua famiglia e dei suoi amici — sia coloro che sono presenti, che quelli che non sono più qui. Gli piace credere che Fred, e tutti gli altri, veglino su di loro e li aiutino anche a superare il dolore per le perdite subite. 

 

 


 

Nota dell’autrice: 

Eccoci qui con la depressione, che non potevo non associare a Ron, soprattutto anche per via del prompt e delle sue infinite insicurezze. Trovo però che nel settimo libro soprattutto, lui sia cresciuto molto e abbia iniziato ad apprezzarsi di più e conoscersi meglio. Domani concluderò la storia con l’ultima fase e l’ultimo personaggio, sperando sempre che la mia storia possa esservi piaciuta. 

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Capitolo 5
*** 5. Accettazione ***


Prompt estratto per il terzo capitolo: Never

 


 

 

5. Accettazione

 

“Lights will guide you home

And ignite your bones

And I will try to fix you”


Dopo aver ravvivato con cura le fiamme del camino, Bill si prende qualche istante per fermarsi a osservare la famiglia riunita; un chiacchiericcio fitto e piuttosto cacofonico riempie la stanza illuminata dalla tenue luce pomeridiana che filtra dalle tende color lavanda e illumina la tavola imbandita con dolci, whiskey, amari e caffè. Fleur ha insistito tanto per organizzare il tradizionale pranzo domenicale mensile, che sono soliti fare alla Tana e, inaspettatamente, sua madre non ha protestato, limitandosi invece a portare una torta alle mele e cannella e una alla zucca. I secondi scorrono inesorabili, ma Bill rimane ipnotizzato a guardare la moglie ridere con Charlie e Ginny, beandosi ancora per un po’ del segreto che sono in procinto di confessare al resto dei presenti. Ron ha probabilmente ragione: è piuttosto probabile che la gran parte di loro abbia indovinato la ragione di quell’invito, ma ciò non toglie che Bill sia impaziente di scorgere la sorpresa apparire sui volti dei suoi familiari, insieme alla gioia che spera che una notizia simile possa donare. Eppure una parte di sé, sempre più piccola deve ammettere, è ancora tormentata dal senso di colpa per essere sopravvissuto, una sensazione con cui ormai ha imparato a convivere, oltre che da quello di impotenza per non aver fatto di più per salvare Fred ─ e tutti gli altri. E sa bene quanto sia inutile rimuginarci, perché avevano combattuto una guerra, e purtroppo le vittime erano da tenere in preventivo; e non si può tornare indietro nel tempo e rivivere la battaglia, come faceva per frequentare tutte le lezioni ai tempi dei G.U.F.O., anche se lo desidererebbe con tutte le proprie forze.

 

Si era ripromesso di non focalizzarsi su pensieri negativi ─ non oggi quantomeno , ma è impossibile non seguire il flusso dei propri pensieri e ricordare che manca un membro insostituibile della famiglia, qualcuno che ha lasciato un vuoto tangibile che nessuno potrà mai colmare. Gli è stato difficile ammettere quanto fossero contrastanti le sue emozioni, anche se Fleur non lo ha giudicato nemmeno per un momento, ricordandogli quanto anche lei sentisse la mancanza del cognato e sottolineando che sarebbe stato assurdo non pensare a lui in una simile situazione. È stato guardando il proprio riflesso nello specchio che si è trovato al cospetto del giudice più severo ─ lui stesso ─ e ciò lo ha condotto a una serie di notti insonni, tormentate dal timore di non aver fatto abbastanza e dall’ansia per il futuro che lo aspettava. Ancora una volta, Fleur aveva dato prova della propria forza e dell’amore che nutriva nei suoi confronti, attendendo paziente che Bill fosse pronto ad aprirsi con lei e dandogli preziosi consigli su come aprirsi alla felicità per una paternità a lungo sognata, pur non dimenticando il dolore della perdita del fratello.

 

“Vivere una simile gioia non ti impedirà di continuare a soffrire per la perdita di Fred, Williàm,” gli aveva sussurrato nel buio, conducendo le loro mani intrecciate sul ventre ancora piatto.

“Temo di non poter essere un buon padre, perché la sofferenza che ho provato per la morte di mio fratello ha contaminato il mio cuore…”

“Questa è una sciocchezza, amour, il nostro bebé sarà fortunato ad avere te come padre, sei un uomo coraggioso e forte, ma anche sensibile e intelligente e saprai essere un buon esempio per i nostri figli,” l’aveva rassicurato Fleur, asciugando con la punta delle dita le lacrime che gli scorrevano lungo le guance.

“È solo che avevo sempre immaginato di comunicare l’arrivo del mio primo figlio a tutta la famiglia riunita e… non sarà lo stesso… non senza Fred… lui avrebbe dovuto sopravvivere, era così giovane… la maggior parte delle vittime lo era e invece… invece io sono qui, e loro no. Io che sono considerabile alla stregua di un mostro ho visto la fine della guerra mentre tanti, troppo, ragazzi non hanno avuto la stessa fortuna,” aveva ammesso Bill, sgravandosi di un peso con cui aveva convissuto troppo a lungo.

“Guardami, Williàm,” l’aveva implorato Fleur. “Tu non sei un mostro. Il solo fatto che temi di poterlo essere, è indicativo sul tuo grado di sensibilità…”

“Certi giorni mi sento così vuoto che ho il timore di non essere più in grado di amare te, o il nostro bambino…” nel buio trovava il coraggio di confessare tutti i propri dubbi, senza la paura di leggere la delusione nelle iridi acquamarina di Fleur.

“Ogni giorno mi dimostri il tuo amore e la tua devozione, Williàm. Sono una donna fortunata e lo stesso vale anche per il nostro bambino,” gli aveva mormorato a fior di labbra, prima di accoccolarsi a lui e lasciare che i loro corpi si modellassero l’uno contro l’altro.

 

Fleur aveva acconsentito ad aspettare che Bill si sentisse pronto, prima di condividere la notizia, convenendo con lui che fosse speciale poterla tenere solo per loro ─ almeno per un po’. E alla fine lui, improvvisamente, pochi giorni prima aveva finalmente capito che Fred sarebbe sempre stato presente, anche se non nel modo chiassoso in cui li aveva abituati per i vent’anni passati su questa terra. E si era sentito egoista, perché una nuova vita sarebbe stata motivo di gioia per i suoi familiari e non era giusto tenerli all’oscuro.

A essere sinceri, stava ancora facendo l’abitudine a vedere la loro casa piena di vita, proprio com’era stata la dimora della sua infanzia, lui e Fleur avevano a disposizione ancora pochi mesi per godersela così, ma Bill era elettrizzato persino all’idea del pianto che li avrebbe tenuti svegli.

 

Raggiunge nuovamente il proprio posto, posando un bacio tra i capelli profumati di Fleur, intercetta uno sguardo d’intesa di Ron e afferra la mano della moglie nella propria, prima di schiarirsi la gola.

“Possiamo avere un attimo di silenzio?” 

Il brusio va scemando fino a sparire, lasciando spazio a una serie di sguardi divisi tra l’ammiccante e il curioso.

“Vi starete chiedendo come mai abbiamo voluto fare ici il pranzo della domenica…”

“In effetti cara, devo ammettere che ho apprezzato la vostra proposta, non è male un po’ di relax,” ribatte svelta Molly, indirizzando un sorriso grato alla nuora.

“Se ti fa piascere, potremmo farlo qui più spesso…”

“Sei davvero un tesoro, Fleur.”

“Immagino che non fosse perché mamma è stanca,” commenta quindi Percy, pulendosi gli occhiali.

“In effetti no,” ribatte Bill, prendendo un lungo respiro e incrociando lo sguardo di Fleur, come in attesa del suo via libera a procedere.

“Volevamo dirvi che tra circa sette mesi nascerà il vostro primo nipote!” esclama infine, senza più riuscire a contenere la propria gioia.

Un coro di “lo sapevo” e “che bella notizia” s’innalza nell’aria, intervallato da un paio di “che sorpresa!” provenienti da Percy e Harry che riescono a farlo scoppiare a ridere quando Ron borbotta “te l’avevo detto…”

“Sono così contenta,” sospira Molly commossa, abbracciando forte Fleur che la ricambia deliziata.

“Speriamo che sia femmina,” aggiunge Arthur con gli occhi lucidi.

“Chissà perché temo che lei o lui sarà estremamente viziato da voi nonni,” ribatte Bill, abbracciando il padre.

“Ci mancherebbe altro, per chi ci hai preso?!” lo redarguisce sua madre, facendo ridere tutti.

 

È proprio il due maggio, il giorno scelto da Victoire per venire al mondo ─ in ritardo di quasi una settimana. E Bill è convinto , ancor più di quanto già non lo fosse, che questo sia un segno tangibile che come Fred continui a far parte delle loro vite. George è tra i primi a raggiungerli al San Mungo dopo la commemorazione, lo hanno scelto come padrino anche per sentire Fred ancora più vicino e Bill si commuove ancora un volta, quando assiste al fratello che prende tra le braccia la nipotina. Il sorriso che appare sul volto del gemello sopravvissuto è emozionato e coinvolgente, ma è soprattutto smagliante come quello dei vecchi tempi. A poco a poco, Bill è certo che la piccola Victoire saprà guarire i cuori feriti di ognuno di loro ─ un sorriso alla volta. 

 



Nota dell’autrice: 

Eccoci qui con l’ultimo capitolo di questa mini-long, che ho trovato davvero catartica da scrivere e che spero possa esservi piaciuta. L’idea di iniziare il 2 maggio 1999 e terminare il 2 maggio successivo, mi pareva un bel simbolo della chiusura di un cerchio partendo dal primo anniversario e arrivando al successivo. Alla prossima!

Francy 

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