THE WHISKY DISTILLER'S WIFE (Traduzione di beate) di beate (/viewuser.php?uid=101469)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Scelte ***
Capitolo 3: *** Violazione di domicilio ***
Capitolo 4: *** American Business Partner ***
Capitolo 5: *** Documenti urgenti ***
Capitolo 6: *** Loch Lomond ***
Capitolo 7: *** Caledonia ***
Capitolo 8: *** Pre-programma ***
Capitolo 9: *** Aspettative ***
Capitolo 10: *** Illesi ***
Capitolo 11: *** Royal Bank of Scotland ***
Capitolo 12: *** Coronato dal successo ***
Capitolo 13: *** Frutti di mare ***
Capitolo 14: *** Lutto ***
Capitolo 15: *** Weekends ***
Capitolo 16: *** Il mercato immobiliare ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
Questa
storia è stata scritta in inglese da 2carm2carm2
e
tradotta
in italiano
da Beate. Questo è il link all’originale:
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THE
WHISKY DISTILLER'S WIFE
1.
Prologo
In
uno dei corsi di letteratura che aveva seguito quando era più
giovane, alla sua classe erano stati assegnati casualmente diversi
autori contemporanei di saggistica da seguire, analizzare e
dibattere poi i meriti delle loro asserzioni e affermazioni in
relazione alla società moderna.
In
uno dei libri dell'autore che le era stato assegnato c'era un
passaggio che diceva, “Non
c'è limite alle sofferenze che gli esseri umani sono disposti
a infliggere agli altri, non importa quanto innocenti, non importa
quanto giovani o vecchi. Questo fatto deve condurre tutti gli esseri
umani ragionevoli, ovvero, tutti gli esseri umani che prendono
seriamente le evidenze, a trarre un'unica possibile conclusione: la
natura umana non è fondamentalmente buona.”
Al
tempo, si era opposta in modo veemente a questa asserzione. Aveva
scritto pagine e pagine per dimostrare il contrario, riempiendole di
giovanile determinazione e speranza. Aveva difeso con ardore la
natura umana come se stesse difendendo gli ultimi brandelli della sua
innocenza infantile.
Credeva
che gli umani fossero fondamentalmente buoni.
Adesso,
non era più sicura di cosa credesse.
*
Erano
le cornamuse.
Le
aveva già sentite prima, quando era stata giù nella
chiesa.
Le
note taglienti di Amazing Grace avevano oltrepassato le pietre e lei
aveva sentito chiaramente la musica. Molti odiavano quello strumento
e non sopportavano le note acute che produceva. Faceva pizzicare la
pelle. Era uno strumento di guerra.
Lei
aveva i brividi sulle braccia per altri motivi.
Era
cresciuta con la musica. Era stata una casa felice, col suono dello
strumento che spesso echeggiava attraverso porte e corridoi,
mescolato all'odore di qualunque cosa si stesse cucinando per cena.
Era
passato tanto tempo da quando le aveva sentite.
«Allora,
sei pronta?» chiese la
donna più anziana, traendola dalla sua pausa.
Notò
che il suono delle cornamuse era stato sostituito dalle note gentili
di un piano.
Quando
lei annuì, la donna bussò una volta alla porta e gli
uscieri dall'altra parte aprirono le doppie porte di legno di fronte
a lei. Le cornamuse ricominciarono a suonare e una chiesa piena di
estranei si alzò in piedi.
Deglutì.
E
poi fece un passo avanti.
Poi
un altro.
Gli
sguardi su di lei sembravano tutti diversi. Alcuni la guardavano con
curiosità, altri con sospetto, altri erano guardinghi, altri
ancora completamente felici, cosa che lei non capiva del tutto.
Drizzò le spalle sotto il peso dei loro sguardi mentre
continuava ad avanzare.
La
canzone.
La
conosceva.
Era
una delle sue preferite quando era ragazza. Il modo in cui la musica
si gonfiava e sembrava mulinare prometteva grandezza e gioia. Si era
sentita come se potesse innalzarla fino a Dio stesso.
Non
riusciva a ricordare il nome del pezzo.
Mentre
camminava verso l'altare, provò a visualizzare la logora
copertina del disco sul tavolo del suo soggiorno.
Era
la traccia numero 5.
Si
accigliò cercando di ricordare le parole. Le sembrava così
sciocco e deludente che non riuscisse a ricordare la canzone che
aveva tanto amato da giovane. Una canzone che aveva sentito decine e
decine di volte.
Ma
era stato tanto tempo fa.
Era
una chiesa piccola e il suo avanzare non si trascinò per
molto.
Piccole
misericordie, suppose.
Mentre
cercava di ricordare le due parole che costituivano il titolo della
canzone, registrò l'uomo di fronte a lei.
Il
suo sposo.
Era
la prima volta che aveva la possibilità di guardarlo come si
deve. Per un secondo si bloccò, prima di riprendersi.
Il
rosso scuro e il verde del suo tartan sembravano possenti, come il
suo kilt. Vedeva i colori su una fusciacca fermata sulle larghe
spalle da un'antica spilla. La giacca del vestito gli stava a
pennello, mentre stava dritto come un fuso. Notò che la stava
fissando intento come lei fissava lui.
Highland
qualcosa,
pensò.
Era
la canzone. Era Highland… e poi un'altra parola che non
riusciva a ricordare.
Non
appena il pensiero le entrò in mente, la canzone e il piano
rallentarono e svanirono. Era arrivata alla fine della passeggiata,
pensò con totale sorpresa.
Lui
annuì verso di lei e lei si fermò. Esalò un
respiro dalle labbra e annuì in risposta.
«Misericordia,
grazia e pace da Dio nostro Signore e che Gesù Cristo sia con
tutti voi.»
Highland…
qualcosa.
Highland
Sound? Highland Praise? Highland...?
Mentre
lui parlava e dava il benvenuto a loro e a tutta la congregazione
alla cerimonia, lei continuava ad essere fissata sulla canzone che
avevano appena suonato. Con la coda dell'occhio vedeva il suonatore
di cornamusa, lo strumento appoggiato sul petto. Lo guardava,
desiderando che il titolo del pezzo le saltasse in testa.
Il
suo sposo non sembrava combattere con un simile conflitto interno.
Guardava intento il ministro mentre parlava dell'amore di Dio e del
perdono che si manifestava nel matrimonio. Andava abbastanza bene che
lei non stesse ascoltando, non era mai stata molto brava a trattenere
le risate quando le dicevano qualcosa che lei trovava palesemente
falso.
Highland
Games? No, naturalmente no. Highland Choir? No.
Poi
erano uno di fronte all'altro, le sue mani erano scivolate in quelle
di lui senza che neanche se ne accorgesse.
«Io,
Edward Anthony Godfrey Cullen MacDonald-»
«Io,
Edward Anthony Godfrey Cullen MacDonald-»
Sgranò
gli occhi sentendo quanti nomi aveva. Edward… qualcosa,
qualcosa, qualcosa MacDonald. Cos'era il qualcosa, qualcosa e l'altro
qualcosa?
«Prendo
te, Isabella Morag Swan, come mia moglie.»
Perchè
i suoi occhi si erano increspati al suo secondo nome?
«Per
amarti e onorarti da questo giorno in avanti...»
Merda,
quali erano i nomi?
«Di
fronte a Dio faccio questo voto.»
Lei
deglutì.
Giusto.
Era
il momento di recitare la sua parte.
A
quanto pareva, includeva ricordarsi ognuno dei nomi di suo marito.
Non pensava che sarebbero stati così tanti.
«Io,
Isabella Morag Swan...»
suggerì il ministro.
Lei
deglutì di nuovo.
«Io,
Isabella Morag Swan,»
ripeté lei obbediente, forzando lentamente le parole fuori
dalle labbra.
«Prendo
te, Edward Anthony Godfrey Cullen MacDonald, come mio marito.»
«Prendo
te, Edward Anthony...»
Lui
la guardò e con il più leggero movimento delle labbra
sillabò i suoi nomi propri.
«...Godfrey...Cullen
MacDonald come mio marito.»
Ripeté
il resto dei voti senza errori.
«Di
fronte a Dio, io faccio questo voto.»
Mentre
la cerimonia procedeva e l'applauso esplodeva dopo lo scambio degli
anelli ed erano dichiarati marito e moglie, si chiese come Dio o la
legge riguardassero due persone, che non sapevano nulla l'uno
dell'altro, che entravano nella farsa di un matrimonio.
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Capitolo 2 *** Scelte ***
Questa
storia è stata scritta in inglese da 2carm2carm2
e tradotta in italiano
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2.
Scelte
«Bella,
Bella, Bella! Rallenta, tesoro!»
Trasalendo,
Isabella rallentò il movimento del braccio in modo che facesse
circoli lenti e regolari e non frenetici ed erratici. Stava cercando
di tirare su quello che sembrava un pesce gigante e il pesce stava
facendo del suo meglio per evitare di finire sulla barca.
Ma
fu troppo tardi, quando rallentò, la tensione nella canna da
pesca scomparve e non c'era più un pesce attaccato in fondo.
Si
voltò a guardare suo nonno, che stava alzando le sopracciglia
grige guardandola.
«Perso?»
«Già.»
«Bene,
assicuriamoci che tu abbia abbastanza vermi per qualcosa di ancora
più grande»,
disse accennando alla sua canna da pesca.
Erano
fuori in una baia di uno dei laghi locali, a 15 miglia da casa. Era
quasi ora di cena, ma il sole estivo era ancora caldo sulla sua
faccia piena di lentiggini. Doveva inclinare la testa per sentire il
sole, perché sua nonna aveva insistito che indossasse una
visiera per schermare il viso.
Isabella
fece un gran sospiro.
«Era
grosso», brontolò.
«Sicura
che non fosse altra insalata?»
chiese lui ridacchiando. Aveva pescato alghe su alghe, ma lei scosse
la testa.
«Era
grosso», disse
testarda.
Suo
nonno nascose un sorriso grattandosi il mento.
«Non
puoi affrontare la vita a rotta di collo, Bella»,
commentò mentre posava la canna dentro la barca da pesca di
alluminio.
«Lo
so», replicò lei
come una undicenne allo stesso tempo petulante e rispettosa.
Isabella
afferrò un altro verme dal contenitore di schiuma pieno di
terriccio e grossi vermi che si contorcevano. Mentre si muoveva
sentiva gli occhi di suo nonno su di sé.
La
pagella che avevano ricevuto due mesi prima dalla scuola diceva più
o meno la stessa cosa. Il suo insegnante di matematica pensava che
avrebbe fatto meno errori se avesse rallentato e avesse controllato
il suo lavoro invece che andare di fretta.
La
nonna si era accigliata, ma suo nonno aveva ridacchiato consapevole.
«Quando
avrai la mia età avrai imparato una cosa o due, tesoro»,
disse lui in tono familiare.
Lui
aspettò che lo guardasse prima di continuare.
«Se
lavori duro e in fretta nella vita, avrai un gran successo, Bella. So
che ce l'avrai. Hai una bella testa sulle spalle e farai bene
qualunque cosa farai.»
Fece
una pausa e pensò mentre la ragazzina aspettava.
«Avrai
sempre la scelta. Avrai sempre la scelta di avere successo nel modo
in cui il mondo vuole che tu lo abbia. Ma non ascoltare sempre il
mondo, d'accordo, Bella? Essere ricchi e potenti e lavorare in
continuazione non è il modo per far felice la tua anima, non
importa quale persona o sistema ti dica che è così. Mi
prometti che ascolterai quella tua bella anima quando farai questa
scelta?»
Isabella
riconobbe il tono serio nella voce del nonno.
Non
sapeva che era appena uscito da una animata discussione con suo
padre, una discussione che andava avanti da più di dieci anni.
Lei
annuì solennemente promettendo.
Il
nonno le sorrise.
«E
rallenta, ragazzina… se non lo farai, ti perderai delle cose»,
disse facendo un cenno verso l'acqua dove aveva appena perso il suo
pesce. «Un
giorno potresti renderti conto che quelle erano le cose importanti.»
*
«Gente,
state guardando il castello Eilean Donan. Da ogni parte c'è un
lago diverso: Loch Duich, Loch Long e Loch Alsh. Nel tredicesimo
secolo era una fortezza del clan Mackenzie, e lo fu fino al
diciottesimo secolo, quando il governo distrusse il castello per via
del coinvolgimento dei Mackenzie nella prima ribellione Giacobita.»
Isabella
ascoltava mentre la guida turistica declamava fatti su fatti a
proposito del castello e i turisti ascoltavano di malavoglia,
scattando foto al vecchio edificio. Il suo kilt era di un verde
acceso e si abbinava alle lettere verdi del grosso van che dichiarava
che questo tour era gestito da “Rabbie's”.
Il
gruppo non si fermò per più di dieci minuti, il tempo
di fare qualche foto e usare il bagno. Quando se ne andarono, lei
tirò un sospiro di sollievo, irrazionalmente irritata dai
turisti.
Era
irrazionale.
L'unico
motivo per cui sapeva quello che la guida stava dicendo era perchè
l'aveva letto nella Guida
di Rick Stevens alla Scozia
non più di 20 minuti prima.
Se
fosse stata di umore più introspettivo, avrebbe potuto
considerare che si era irritata per un sacco di cose diverse nelle
ultime settimane, ognuna di esse irrazionale come la successiva. I
bambini in aereo non l'avevano mai disturbata in realtà, ma il
bambino che piangeva sull'Atlantico l'aveva infastidita così
tanto che le ci erano volute ore, dopo, per riuscire a rilassare le
spalle.
Con
un sospiro si strinse la giacca addosso per scaldarsi contro il vento
invernale. Diede un'ultima occhiata al bel castello prima di
voltarsi verso la macchina che aveva guidato negli ultimi giorni.
Andò istintivamente alla sinistra dell'auto, poi si riprese e
girò a destra.
Mentre
la macchina le soffiava aria calda in faccia, tirò fuori la
cartina e la studiò attentamente.
L'Isola
di Skye era vicina. Questa di sicuro era stata la prima tappa del
viaggio di Rabbie's sull'isola. Strizzò gli occhi
guardando la distanza che le era rimasta da fare. Sembrava che ci
sarebbe voluta un'ora o poco più, probabilmente di più,
visto come guidava piano su quelle strade spaventosamente strette.
Normalmente era una guidatrice sicura, ma si era trovata intimidita e
rannicchiata ogni volta che un veicolo più grande sibilava
sorpassandola su quelle stradine.
Era
in Scozia da tre giorni.
Il
viaggio da Newark a Glasgow era stato lungo ma tranquillo. Erano
atterrati con abbastanza luce ancora da permetterle di noleggiare una
macchina, trovare un hotel nel West End e passeggiare per Kelvingrove
Park fiché si era fatto buio. Dato che il jetlag era quel che
era, si era prontamente addormentata alle 6 del pomeriggio e poi non
aveva più avuto problemi col cambio di fuso.
Aveva
brevemente esplorato Glasgow la mattina, vagando per i corridoi
dell'università sulla collina e nei negozi e ristoranti di
Ashton Lane, ma non era un posto affollato o allegro. L'aria nei
negozi era tetra e c'erano pochi clienti.
Dopo
essere passata al Giardino Botanico, aveva ripreso la strada.
Oban
era una città portuale piccola ma carina. Era un giorno di
sole e lei aveva passato la maggior parte del pomeriggio seduta sul
molo di cemento ad annusare il mare. Anche lì c'era
un'atmosfera solenne, con pochissime persone che facevano compere in
giro, ma era così in gran parte del mondo. Non poteva
biasimare gli scozzesi di essere diversi.
In
effetti, un po' di quella malinconia le si addiceva.
Glancoe
e Fort William erano state quasi commoventi. La quiete e la natura
aspra l'avevano ingoiata e per la prima volta in mesi aveva sentito
una parvenza di pace. Sentiva la pace guardando le stesse cose che
loro avevano guardato. Li sentiva con sé, sentiva i loro
cuori nelle highlands con sé e con i cervi vaganti.
Le
sarebbe piaciuto vagare ancora un po' nella natura, ma aveva una
destinazione finale da raggiungere.
La
serata a Fort William la passò in un pub di fronte al suo
hotel. Era relativamente quieto, dato che era un giovedì di
bassa stagione. Si sedette al bar e aspettò educatamente
l'attenzione del barman.
«Un
bicchiere di vino, ragazza?»
chiese, piuttosto amichevolmente mentre le metteva davanti un
sottobicchiere. «Magari
un bel bianco?»
«Un
bicchiere di Sleat 14 anni, per favore.»
Il
barman emise un fischio. «Non
molte ragazze bevono della roba così forte. Specie non quelle
della tua parte di mondo»,
aggiunse, indovinando correttamente l'accento americano. «Ci
vuoi insieme un po' di ginger ale?»
«Solo
whisky, grazie», disse
lei educatamente.
«America,
allora?» chiese mentre
versava.
Lei
annuì, ormai abituata a questo dopo qualche giorno nel Paese.
«Di
dove?»
«Sono
cresciuta in una città di nome Allentown.»
«Ah
sì?» chiese,
avendo ovviamente zero indicazioni.
«Pennsylvania»,
lo informò, scegliendo di non dire dove aveva vissuto negli
ultimi cinque anni.
Quando
ebbe il bicchiere di superalcolico di fronte, prese un sorso e lasciò
che il liquido la pizzicasse prima di scendere in gola e poi a
scaldarle la pancia. Col drink in una mano, esaminò il locale,
trovando il decor sufficiente ad attrarre i turisti, ma non così
tanto da dispiacere ai clienti locali. C'era un televisore vicino al
bar che si aspettava trasmettesse una partita di calcio, e invece
c'erano le news della BBC. Discutevano del piano di salvataggio delle
banche che erano vicine al collasso.
Il
barman notò il suo briciolo di attenzione alla tv e commentò,
«Maledetti segaioli.»
Isabella
lo guardò e qualunque cosa lui avesse visto nel suo sguardo,
lo indusse a continuare.
«Tutti
questi banchieri sono dei codardi. Sapevano quello che stava
succedendo, in questi anni. Dovrebbero buttarli tutti in galera per
aver rubato tutti i nostri soldi così.»
Isabella
prese un sorso del suo drink.
«Mai
incontrato un banchiere che mi piacesse. Non ho mai incontrato un
banchiere onesto…
ora che ci penso.»
Un
cliente si avvicinò al bancone per pagare e distrasse il
barman da Isabella. Sentì che continuava la conversazione con
l'uomo che stava pagando i suoi drink, tutti e due d'accordo sul
fatto che il piano di salvataggio non fosse altro che un furto.
Isabella
finì il suo drink in un colpo solo.
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Capitolo 3 *** Violazione di domicilio ***
Questa
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3
- Violazione di domicilio
«Papà?»
«Mmh?»
fu la risposta distratta da dietro il volante.
«Papààà»,
questa volta lo disse con agitazione insoddisfatta.
«Cosa?
Che c'è, bambina?»
chiese alzando gli occhi per vedere la ragazzina sul sedile
posteriore che lo stava guardando con occhi ancora troppo grandi per
la sua faccia paffuta.
«Stiamo
tornando dal nonno e la nonna?»
chiese.
«Sì,
bambina, te l'ho già detto quando siamo saliti in macchina,
ricordi?» C'era
impazienza nella sua voce.
Lei
tacque per un momento.
Lui
tornò con l'attenzione sull'autostrada di fronte a lui. La
corsia di sinistra si stava muovendo troppo lentamente per i suoi
gusti e gli prudeva il piede per affondare di più sul gas.
Guardò il tachimetro. Dannazione.
«Papà?»
«Sì?»
sospirò alzando il piede dal pedale, infastidito.
«Perché?»
«Perché
cosa?»
«Perché
stiamo tornando dal nonno e la nonna?»
chiese accigliata. «Ci
sono appena stata.»
«Non
vuoi vederli?» chiese
sorpassando una macchina sulla corsia di sinistra che era troppo
lenta per stare lì.
Questo
la confuse ed emise un sospiro frustrato. «Sì,»
replicò, «ma
perché di nuovo?»
«Papà
deve lavorare parecchio le prossime due settimane»,
le disse senza spostare lo sguardo dalla strada.
«A
wall sheet?»
«Wall
Street,
bambina.»
«È
quello che ho detto.»
Lui
sospirò e tamburellò le dita contro il volante.
«Ricordi
quella città con la torre dell'orologio? E il castello?
Proprio in mezzo alla città?»
«No»,
disse con un broncio scontroso.
«Sì
che te la ricordi. Londra.»
Non
era sicuro, ma distinse un vago «Io
odio Londra» brontolato
dal sedile posteriore. Tenne gli occhi sulla strada, decidendo di
ignorare il commento.
I
suoi nonni potevano dirle qualcosa a proposito di quel tipo di
linguaggio.
«Ti
porterò qualcosa»,
le promise vedendola accigliarsi.
«Il
nonno dice che le cose non fanno la felicità»,
recitò lei provocatoria.
«Ma
certo che lo dice, cazzo...»
borbottò sotto voce. Suo padre era sempre stato il tipo
virtuoso. «Che altro
dice il nonno?» chiese
guardando sua figlia nello specchietto retrovisore.
«Che
i soldi non fanno la felicità»,
aggiunse lei.
«E
ti ha detto cos'è che fa
la felicità?»
chiese, con un tono indecifrabile per un bambino.
Quell'espressione
particolarmente affettata le tornò sul viso.
«L'amore.»
«Ah
sì?»
«Ha
detto che anche il whisky aiuta.»
Poi, come ripensandoci, «ma
ha detto che io non posso berlo ancora per un sacco di tempo.»
*
La
strada verso l'isola di Skye era scenografica come il resto della
parte nord del paese. Se non fosse stata così concentrata a
non fare un frontale con un camion che veniva nella direzione opposta
su quella strada stretta, si sarebbe davvero goduta il viaggio.
Stando
così le cose, tirò un sospiro di sollievo quando
finalmente accostò nel parcheggio della distilleria.
Parcheggiò accanto a una bella Mercedes nera e spense il
motore.
Distilleria
Sleat.
Alla
fine, era il motivo per cui era qui.
Qui
in Scozia.
Ma
adesso, guardandola, per qualche motivo si sentiva nervosa, esitante
ad entrare.
Con
la coda dell'occhio vide il van di Rabbie's accostare vicino a
lei. Con una rapida occhiata si accertò che era lo stesso
gruppo che aveva visto un'ora prima. Fu una motivazione sufficiente a
farla scendere dall'auto, prima che in otto si mettessero in fila
davanti a lei. Mentre quelli scendevano e si raggruppavano, lei entrò
nella distilleria.
Una
campanella tintinnò quando entrò nell'edificio e un
uomo dai capelli castani alzò gli occhi dal banco di
accoglienza a cui era seduto. Le fece un sorriso educato che non
raggiunse gli occhi.
«Salve»,
la salutò con calore. «Qui
per il tour, vero?»
Le
venne in mente che in realtà non sapeva perché fosse
lì.
Nell'ultima
settimana era semplicemente andata in automatico.
«Certo»,
rispose lentamente. «Quando
comincia?»
«Tra
venti minuti, più o meno»,
la informò con un pesante accento scozzese. Era leggermente
più facile da capire di alcune persone con cui aveva parlato a
Glasgow; non era neanche convinta che parlassero davvero inglese.
«Va
bene», disse lei
tirando fuori il suo portafogli Louis Vuitton che aveva di recente
riempito di sterline inglesi.
«Stati
Uniti?» chiese lui.
«Stati
Uniti», confermò
lei.
«Di
dove?» chiese lui.
Lei
fece un sorriso timido che non raggiunse i suoi occhi. «Quelli
freddi.»
L'altro
gruppo di turisti era entrato nella distilleria, la guida col kilt
verde brillante che faceva strada.
«Ecco
qua», disse lui con un
sorriso dandole qualche sterlina di resto prima di salutare il nuovo
gruppo.
Isabella
si guardò intorno nel negozio di souvenir della distilleria.
C'era ogni tipo di memorabilia. C'erano dei graziosi bicchieri incisi
di tutte le misure, di tutte le diverse miscele di whisky, anche in
forme e misure diverse, vari capi di abbigliamento con la scritta
Sleat Distillery in
vari caratteri, e libri sulle storie dei diversi clan, ossia il clan
MacDonald.
Guardare
le familiari bottiglie sugli scaffali la fece sorridere. Negli anni
il marchio non era cambiato. Era amichevole e accogliente come
sempre. Come lo ricordava mentre cresceva.
«Okay,
allora», disse l'uomo
dai capelli castani. «Andiamo!»
Oltrepassò
il gruppo Rabbie's e cominciò la sua storia. Cominciò
a camminare all'indietro e tutti lo seguirono.
«Salve
a tutti», salutò.
«Il mio nome è
Jasper e vi mostrerò tutto, oggi pomeriggio. Il più
grande e caloroso benvenuto a tutti voi.»
Isabella
sorrise mentre lui si lanciava a raccontare la storia della
distilleria. «Questa
distilleria è stata fondata nel 1809 da Hugh e Kenneth
MacDonald, bis-bis-bis-bisnonni dell'attuale proprietario, Edward
MacDonald. È passata attraverso la famiglia per generazioni e
lo stesso processo di distillazione è usato ancora oggi come
allora. Sfortunatamente, un incendio nel 1948 ha distrutto la metà
dell'edificio e la distilleria che, come vedremo tra breve, è
stata ricostruita. Ovviamente ci sono diverse teorie sull'incendio,
che sia stato doloso o per affari extraconiugali, ma di questo
potremo parlare dopo. Seguitemi, prego.»
Il
gruppo seguì obbediente mentre Jasper indicava le diverse
caratteristiche della distilleria. Passarono parecchio tempo nella
distilleria mentre Jasper spiegava ogni aspetto del processo di
distillazione che portava al loro scotch famoso nel mondo.
«Il
malto d'orzo usato nella nostra produzione viene da Muir o Ord. La
maggior parte degli alambicchi usa tubi di rame a spirale invece dei
moderni condensatori che usano oggi alcune distillerie… noi
crediamo che i tubi diano un aroma più pieno per via del
contenuto più alto di zuccheri.»
Isabella
seguiva con interesse, anche se ogni tanto si perdeva nei dettagli
del processo di distillazione.
«E
noterete i tubi a collo di cigno. È una caratteristica unica
di Sleat. La spira dei tubi prende il vapore della distillazione nei
tubi di rame a spirale così che parte dell'alcool si condensi
prima di raggiungere il refrigeratore.»
A
un certo punto verso la fine del tour, la vescica ebbe la meglio su
di lei e chiese di un bagno. Jasper la spedì di nuovo verso
l'atrio, le disse di girare a sinistra sul corridoio. Le disse anche
“di sbrigarsi, così non avrebbe mancato la parte del
tour degli assaggi.”
Avendo
avuto già la giusta parte, e di più, di whisky nella
sua vita, sorrise educatamente e annuì.
Il
corridoio non fu difficile da trovare. C'erano non solo molte porte,
ma anche tante foto. Foto dei primi del 900 che mostravano la
distilleria in diversi stadi di vita, sempre annidata nelle verdi
colline. Le foto erano sempre più vecchie mentre si avvicinava
alla fine del corridoio, dove era attaccato un disegno fatto a mano
dell'edificio, datato metà Ottocento. Affascinata, osservò
il disegno.
Mentre
guardava i dettagli, sentì delle voci e si rese conto che
probabilmente aveva oltrepassato i limiti entro cui la distilleria
intendeva tenere i suoi ospiti. Alla fine del corridoio sentiva delle
voci piuttosto accalorate che sembravano parlare di un contratto di
qualche sorta. Dopo aver passato anni ad essere parte di queste
conversazioni, le fu quasi impossibile non capire subito di cosa si
trattava.
La
porta era appena aperta, e lasciava i rumori uscire liberamente nel
corridoio.
Sentendo
come se stesse violando un domicilio, diede un'ultima occhiata al
disegno e poi girò sui tacchi e si diresse verso il Water
Closet.
«Questa
distilleria chiuderà,
che vi piaccia o no!»
A
questo, si bloccò.
Non
respirava.
Non
Sleat.
Ci
fu un silenzio nella stanza dopo questa affermazione, seguita poi da
una quieta risposta femminile che non riuscì a distinguere.
«Ora
ne abbiamo abbastanza! A meno che non abbiate i soldi, la banca
prenderà possesso di questa proprietà e tutto quello
che vi è contenuto entro lunedì!»
Era
venerdì.
No,
non possono.
«Non
potete farlo!»
«Oh,
Mr. MacDonald, scoprirà che possiamo farlo. E lo faremo.»
«MacLeod»,
cominciò la voce femminile, il tono tagliente. «Come
pensa che possiamo trovare 150000 sterline in un fine settimana?»
«Questo
non mi riguarda», disse
l'altra voce. «E
francamente, non mi aspetto che lo facciate. A questo punto, questa
visita è semplicemente una cortesia. Mi aspetto che questa
terra e tutto quello che c'è sopra diventi mio entro lunedì.»
A
questa affermazione seguì un silenzio.
Chiudendo
gli occhi e borbottando una serie di contumelie e una preghiera,
Isabella piombò nella stanza.
«E
se trovassero un business partner che provveda ai fondi necessari
entro lunedì?»
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Capitolo 4 *** American Business Partner ***
Questa
storia è stata scritta in inglese da 2carm2carm2
e tradotta in italiano
da beate. Questo è il link all’originale:
https://www.fanfiction.net/s/13053224/4/The-Whisky-Distiller-s-Wife
4
– American Business Partner
Era
appena andata bere un po' d'acqua in bagno. Era martedì notte
e per qualche motivo faticava ad addormentarsi i martedì
notte. Probabilmente era colpa del fatto che ogni mercoledì
aveva un test di grammatica.
Dopo
essersi girata e rigirata nel letto, aveva scalciato via le coperte
frustrata e si era alzata per spegnere la sua sete. Sentiva le voci
attutite dei suoi nonni attraverso la porta e fu molto cauta,
cercando di non farsi sentire.
Anche
perché era sicura che stessero parlando di lei.
Oggi
aveva portato a casa una nota di biasimo da Mrs. Scott.
Era
la prima volta che portava a casa una cosa del genere e non sapeva
come avrebbero reagito i nonni.
I
posti a sedere assegnati due settimane prima l'avevano piazzata
accanto a un ragazzino di nome Brian. Anche per essere uno di quarta,
Brian era piuttosto spavaldo. Diceva cose solo per contrapporsi a lei
(«Perché passi
tanto tempo sulla calligrafia che non ti viene neanche bene?»),
faceva affermazioni ridicole, («Tu
piaci a Mrs. Scott solo perché tuo padre è ricco»),
diffondeva voci false («Ethan
parlava tanto di te, ieri sera al nostro pigiama party, scommetto che
ha una gran cotta per te»),
e in sostanza le dava un gran fastidio.
Inoltre
non si lavava mai i denti e aveva un alito orribile.
Oggi
aveva esagerato nel provocarla e lei era scattata.
«Brian,
sei la persona più odiosa che abbia mai conosciuto! Non fai
altro che inventarti delle cose solo per infastidirmi e distrarmi! E
devi davvero lavarti i denti, perché puzzi!»
Che
era, grosso modo, quello che c'era scritto sulla nota che aveva
dovuto dare a sua nonna.
Il
nonno era uscito, era la sua serata di partite a carte, e lei aveva
detto che ne avrebbero discusso al suo ritorno. Dato che lei era
andata a letto prima che tornasse a casa, era fuori dai guai almeno
fino al giorno dopo.
Non
appena mise i piedi nudi sul tappeto nel corridoio, seppe che ne
stavano parlando.
«Onestamente,
Jane, non vedo che gran problema sia.»
«Non
può comportarsi così a scuola.»
«Perché
no? Ogni sera a cena ci ha detto quanto la infastidisse questo Brian.
Perché non avrebbe dovuto metterlo al suo posto?»
«Be',
Loretta Scott non pensa che sia proprio una dimostrazione di buone
maniere.»
«Queste
sono stronzate. La nostra Annie è una delle ragazzine che si
comportano meglio a scuola.»
Isabella
non sentì la risposta quieta di sua nonna.
«Quella
che loro chiamano 'mancanza di buone maniere' io la chiamo
determinazione. E lei mi piace così.»
Di
nuovo si sforzò di sentire la risposta di sua nonna, ma non ci
riuscì.
«Dovrà
avere a che fare con persone del genere tutta la vita… gente
come Brian, gente come suo padre. Preferisco mille volte che si tenga
quel fuoco, piuttosto che pensi che hanno ragione loro.»
*
Quattro
paia d'occhi stupiti atterrarono su di lei mentre piombava nella
stanza. Osservò velocemente la stanza e vide che tre dei
partecipanti alla conversazione erano seduti e in piedi. Un giovane
uomo sedeva alla scrivania mentre un uomo di mezza età e una
donna gli stavano accanto in piedi da una parte e dall'altra. Dalla
parte opposta della scrivania sedeva un uomo con un completo.
Fu
quello l'uomo che parlò per primo. «Un
business partner americano?»
chiese con un ghigno.
Isabella
alzò un sopracciglio e non fece scendere le sue spalle di un
millimetro.
«Forse.»
Ignorando
gli altri tre, l'uomo, chiaramente della banca, non si lasciò
minimamente intimidire. «Be',
dato che lo chiede, se il suo prestito a un individuo è
superiore a 50.000, questo è considerato IDE, che significa-»
«Investimento
Diretto Estero, sì, lo so bene. Grazie.»
A
questo lui alzò un sopracciglio, ma non perse il suo ghigno.
«E come investimento
diretto estero deve essere segnalato e liquidato tramite la FCA. Un
procedimento che prende ovunque 3-5 giorni lavorativi fino alle 4-6
settimane col governo scozzese.»
Dannazione.
Non
era quel rimedio semplice che aveva sperato.
Mentre
pensava alle alternative, chiese, «Il
suo istituto non ha l'abitudine di concedere proroghe, se ho capito?»
Ridacchiando,
guardò i tre proprietari della distilleria. «Perché
non chiede alla famiglia MacDonald delle proroghe che la Royal Bank
of Scotland gli ha concesso?»
I
tre sembravano aver superato lo shock della sua entrata e adesso la
stavano osservando con sospetto e curiosità.
«Sì,
è vero», disse
alla fine il ragazzo castano, il tono un po' amaro. Tornò poi
a squadrare desolato le carte di fronte a lui.
C'erano
delle regole ben precise, specialmente sul trasferimento
internazionale del denaro che rendevano la situazione incredibilmente
complicata. Sapeva di avere qualche modo di accedere ai fondi, ma
dato lo sguardo altezzoso che le stava dando il banchiere, si chiese
quante probabilità avesse.
«Se
un americano dovesse trasferire loro questo denaro per pagare questo
debito-»
«Sarebbe
troppo tardi. Dobbiamo avere i fondi entro lunedì. Come ho
detto, ogni somma oltre le 50.000 sterline è considerata IDE e
se non è fatta attraverso i canali appropriati, canali che
necessitano di giorni se non settimane per essere aperti, temo che
sarei costretto a fare denuncia e lasciare questa azienda al rigore
della legge per questa infrazione.»
Semplicemente
da questa affermazione, Isabella capì che c'era qualcosa di
personale. Quest'uomo era qui non solo per prendere la distilleria a
nome della banca, ma doveva pensare che era qui per prenderla per se
stesso, non per un compratore. Visti gli sguardi furiosi che stava
ricevendo dagli altri scozzesi nella stanza, immaginò che non
ci fosse un grande amore tra le parti.
Il
silenzio cadde nella stanza, mentre la sua testa correva alla ricerca
di possibilità, senza grandi risultati.
«Se
è tutto, ci vedremo lu-»
«MacLeod»,
disse il giovane uomo con un ringhio. «Perfino
tu sai che quei tassi sono maledettamente esorbitanti.»
«I
tassi sono perfettamente ragionevoli, dato lo stato della vostra
azienda, MacDonald»,
replicò senza neanche tentare di nascondere la sua
condiscendenza. «Avete
accettato.»
«Non
questo!» rispose con
veemenza, «e tu sai
meglio di me che nessuna banca mi avrebbe dato quei soldi con questa
dannata recessione!»
MacLeod
scosse la testa. «Come
ho detto, sfortunatamente
questo non mi riguarda.»
«E
se fosse denaro suo?»
chiese lei all'improvviso.
Il
cuore le martellava nel petto mentre si rendeva conto di quello che
stava suggerendo. Era impotente di fronte alla disperazione che le
era presa, disperazione di salvare una distilleria in cui non aveva
mai messo piede.
«Glielo
assicuro, se lei gli dà il denaro, noi lo sapremo e la
denunceremo alla FCA.»
Isabella
inarcò un sopracciglio. «Sì,
ma se fosse suo?»
La
donna la stava guardando curiosamente e finalmente parlò.
Isabella realizzò che l'aveva erroneamente considerata
scozzese quando, di fatto, era inglese. «Se
Edward avesse accesso ai fondi e questo non richiedesse alcun
trasferimento internazionale di denaro, questo sarebbe sufficiente
per voi?»
«Naturalmente»,
concesse lui. «Per
adesso.»
«Ci
scusa per un momento, MacLeod?”
Prima
che lui rispondesse, la donna annuì verso Isabella e poi uscì
dalla stanza, seguita da Isabella. La donna chiuse bene la porta
dietro di sé e poi si voltò subito verso di lei
«Chi
sei tu? E hai intenzione di dirmi di che si tratta?»
chiese senza mezzi termini.
«Questa
distilleria non può chiudere»,
rispose lei con semplicità.
Mentre
lo diceva, sentì un'inspiegabile convinzione.
L'idea
che non poteva permettere che la distilleria chiudesse le veniva da
dentro, dal profondo. Non aveva tempo di esaminare bene il perché,
ma sentiva una totale certezza che non poteva lasciare che
succedesse.
La
donna alzò le sopracciglia.
«Non
può.»
«E
tu hai i fondi per fare in modo che non succeda?»
All'improvviso
guardinga, Isabella annuì.
«Perché?»
chiese con attenzione la donna.
«È
importante. È importante per me. Questa situazione mi sembra
sbagliata. E ho la possibilità di fare qualcosa.»
La
donna la scrutò, esaminando il suo carattere e la sua
credibilità.
«Quanto
lontano sei disposta a spingerti per mantenere aperte queste porte?»
chiese la donna con perfetto accento inglese.
Prima
che Isabella potesse rispondere, continuò la sua linea di
interrogatorio.
«Sei
onestamente pronta a sposare mio nipote per far diventare i tuoi
soldi i suoi soldi?»
Isabella
aprì bocca, poi si congelò.
«In
ricchezza e in povertà… finché morte non ci
divida.»
Era
la soluzione più folle, a malapena legale, che le era venuta
in mente. Ma sentirlo dire ad alta voce da un'altra persona le fece
fare mente locale su quell'idea bizzarra.
Lo
era?
Era
pronta?
Certo
che no.
Era
un estraneo.
Era
solo una transazione di affari.
Nessuno
a casa l'avrebbe saputo.
Sentì
una sgradevole sensazione di peso alle budella.
«Lo
farò per rimettere in piedi la distilleria.»
E
non per un attimo in più.
La
donna, a quanto pare la zia del proprietario, la guardò per un
momento, prendendole le misure. Non era uno sguardo né duro né
gentile, era semplicemente… giudicante.
«Va
bene, allora.»
Tornarono
in ufficio prima che Isabella potesse rimangiarsi la parola.
«Grazie,
MacLeod», disse la zia,
improvvisamente gentile. «Ci
vediamo lunedì.»
MacLeod
non fu l'unico a guardarla sorpreso.
Con
un profondo respiro, Isabella si unì agli altri tre dalla loro
parte della scrivania, guardando il banchiere. MacLeod si mosse
lentamente, senza staccare gli occhi da Isabella. Con un caloroso
sorriso completamente finto al suo sguardo, Isabella mise la mano
destra sull'ampia spalla dell'uomo seduto.
A
suo credito – Edward si chiamava? - non trasalì affatto
a quel tocco inaspettato.
«Sappi
MacDonald che questa non la farò passare. La Royal Bank of
Scotland avrà questa proprietà se le leggi scozzesi
saranno infrante, in qualunque modo abbiate in mente.»
«Non
ho in mente nulla, MacLeod»,
rispose Edward, con onestà, si rese conto lei. «Carlisle
ti accompagnerà fuori.»
L'uomo
che era rimasto silenziosamente alla sua destra annuì e scortò
gelidamente il banchiere fuori dell'ufficio e fuori dalla proprietà.
«Zia,
ma che diavolo ti viene in mente?»
sibilò guardando sua zia non appena la porta si chiuse. Si
voltò a guardarla, strattonando via la spalla da sotto la mano
di Isabella.
«Se
vuoi tenere aperta la distilleria, avrai bisogno di un partner»,
disse lei. «E –
scusa, come ti chiami, cara?»
«Isabella»,
disse lei.
«E
Isabella può essere quel partner.»
«Non
hai sentito quello che ha detto? Ci vorrebbero settimane! Settimane
che non abbiamo.»
«Non
solo un business partner,
Edward», replicò
la zia.
«Cosa
intendi?»
Distrattamente,
lei notò che il suo accento era più forte dell'accento
che aveva sentito nelle highland. Suonava così pesante, le
ricordava quello delle persone che aveva incontrato a Glasgow, che
avevano accenti quasi impenetrabili.
«Quello
che intende è: se ci sposiamo, il mio denaro è il tuo
denaro.»
«Vuoi
dirmi che hai 150.000 sterline? Così, a tua disposizione?»
chiese alzando un sopracciglio e guardandola con luminosi occhi blu.
«Sì.»
«Come?»
Isabella
lo guardò.
«Ti
riguarda?»
«Sei
una specie di criminale, allora?»
chiese lui, il tono divertito.
«No,
non sono una criminale.»
Nonostante
l'opinione popolare.
I
due si guardarono in silenzio prima che l'uomo, Carlisle, tornasse in
ufficio.
«Esme,
cosa stai tramando?»
«Isabella,
questo è mio marito Carlisle»,
lo presentò Esme, ignorando lo sguardo di suo nipote.
«Piacere»,
disse lui con un sorriso sincero, prima di voltarsi verso sua moglie.
«Esme?»
«Guarda,
se si sposano domani, Isabella potrà fargli avere il denaro,
non come se fosse un prestito o un trasferimento da un privato
cittadino a un altro privato cittadino. Sarebbero fondi condivisi di
una coppia sposata.»
A
suo credito,Carlisle non reagì come se fosse la cosa più
folle che avesse mai sentito. «E
se li beccano?»
«Cosa?»
chiese Edward.
«Lo
stavo leggendo sul giornale proprio qualche giorno fa, ricordi, Esme?
Il governo ha delle nuove leggi contro i matrimoni forzati. Se ti
beccano sono due anni di galera, lo sai?»
«Questo
non sarebbe affatto un matrimonio forzato.»
«Credi
che MacLeod non penserebbe a dichiarare che invece lo è?»
chiese lui con un sopracciglio alzato.
«Quel
tipo farebbe di tutto per prendersi questo posto per sé. È
capace di stiracchiare una legge come meglio gli conviene per i suoi
interessi, e ricordati che la sua famiglia ha delle connessioni con i
funzionari giudiziari.»
Edward
si era alzato e guardava i suoi zii con le braccia incrociate al
petto.
«Bella,
giusto? Posso parlarti in privato?»
Non
si disturbò a correggerlo, dicendogli che nessuno la chiamava
più Bella da anni. Annuì.
Esme
e Carlisle uscirono dalla stanza prima che dicessero qualcos'altro,
lasciando in silenzio i potenziali fidanzati.
«Chi
sei tu?» chiese lui
dopo un momento. «E
perché sei in Scozia?»
Isabella
sbatté gli occhi.
«Io
sto… sto viaggiando.»
Lui
continuò. «E
perché mai dovresti accettare di sposare un estraneo? Ti rendi
conto che è da matti, vero?»
chiese con enfasi, cercando di determinare se fosse sana di mente.
Dal suo tono, sembrava mettere in questione anche la salute mentale
dei membri della sua famiglia. «Sei
almeno mai stata in questa distilleria, prima?»
«No»,
ammise lei. «Mai.»
«Perché?»
chiese lui semplicemente.
«Perché
cosa?»
«Perché
accetteresti tutto questo?»
chiese, i tratti duri del viso che si ammorbidivano mentre la
guardava confuso, e lei vide qualcosa che non aveva visto prima:
vulnerabilità.
Lui
doveva essere disperato, altrimenti, una persona sana di mente non
avrebbe mai accettato un accordo simile.
Forse
non era del tutto sano di mente, pensò.
Questo
poteva essere un problema.
«Questo
posto… questa distilleria… significa qualcosa per me.»
Comprendendo
che questo era tutto quello che sarebbe riuscito a tirarle fuori, la
sua faccia tornò ad essere una maschera.
«Be',
su questo siamo d'accordo.»
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Capitolo 5 *** Documenti urgenti ***
Questa
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5
– Documenti Urgenti
«Cari
studenti, vorrei di nuovo prendermi un momento per dare il benvenuto
a voi, la Classe del 2001 della Wharton School of Business! Come ha
detto il preside questa mattina, questa era l'infornata di candidati
più competitiva che la nostra scuola avesse mai visto; dovete
essere molto fieri di essere stati accettati e unirvi ai ranghi di
alcune delle menti più brillanti che questo Paese abbia mai
visto.»
Diversi
membri della facoltà seduti in prima fila nell'auditorium
cominciarono ad applaudire e legioni di studenti si affrettarono a
seguirli. Isabella si guardò intorno, sentendosi fuori posto,
basandosi sul fatto che non era per nulla eccitata come sembravano
essere tutti gli altri. Comunque, applaudì lo stesso lo
sponsor aziendale del “College Day” della Wharton.
«Detto
questo, Goldman Sachs è felice di aver portato oggi una
squadra di analisti»,
disse gesticolando verso una ventina di persone che erano in fila
accanto a lei, tutti impeccabili nei loro completi su misura. «Oltre
a essere alcune delle persone più brillanti dell'industria,
sono tutti laureati alla Wharton che si sono uniti a noi da Goldman
Sachs dopo la laurea.»
Un
altro giro di applausi a cui Isabella si unì esitante.
In
cosa si era ficcata?
A
parte il fatto che la Wharton le aveva dato una borsa di studio
completa, l'Università della Pennsylvania era stata l'unica
che aveva preso in considerazione, volendo restare vicino ai suoi
nonni.
Il
liceo non le aveva dato indicazioni chiare su quello che voleva fare,
anche se aveva attivamente sperato in una vocazione. Sperava che
biologia umana le ispirasse il sogno di diventare medico, ma i corsi
erano orribilmente noiosi. Senza un sentiero chiaro da seguire, non
aveva avuto buoni argomenti quando suo padre aveva insistito che la
Wharton fosse un posto buono come un altro per aiutarla a scoprire
quello che voleva fare.
Guardandosi
intorno, realizzò che forse lei era la più riluttante
in quella sala.
«Noi
siamo la famiglia Wharton da Goldman Sachs»,
continuò la donna con un sorriso lustro. «Io
ho incontrato mio marito, qui. Gli studenti della Wharton diventano i
migliori analisti, ed è per questo che reclutiamo così
duramente qui. Veramente, voi siete tutti così intelligenti!
Non possiamo pensare a menti più brillanti con cui passare
questo tempo.»
Reclutare?
Non aveva fatto neanche il primo giorno di corso, ancora.
«A
questo punto, ci divideremo in gruppi. A ognuno dei nostri analisti è
stato assegnato un tavolo con sopra un numero. Le vostre targhette
hanno i numeri corrispondenti. Per favore siate pronti a trovare il
vostro tavolo assegnato. Godetevi le vostre conversazioni, e
benvenuti alla Wharton!»
Anche
se Isabella non aveva idea di cosa avrebbe dovuto conversare, si
mosse in fretta per trovare il tavolo nell'atrio che mostrava uno
spavaldo numero quattro accanto al logo della Goldman Sachs.
L'analista
al suo tavolo era un maschio bianco uguale ad altri 14 analisti. Il
suo completo era blu scuro e i capelli erano completamente ricoperti
di gel.
Il
suo abbigliamento nell'insieme doveva costare migliaia di dollari.
Isabella
si strinse addosso il cardigan che sua nonna le aveva comprato da
Macy's, sentendosi malvestita e desiderando che il cotone formasse
una corazza contro le sue insicurezze.
L'analista,
che si presentò rapidamente come Kevin a lei e agli altri sei
presenti al tavolo, era abbastanza amichevole. Disse loro in che anno
si era laureato in economia finanziaria con lode alla Wharton e si
scusò per il suo jetlag. Era appena tornato dalla filiale di
Hong Kong di Goldman Sachs.
Isabella
aveva familiarità con quella rotta, dato che suo padre volava
là spesso.
Dopo
aver parlato del suo periodo alla Wharton e come pensasse che fossero
i migliori anni della sua vita, fino a che non aveva cominciato a
lavorare a Wall Street e le cose erano ancora migliorate, chiese loro
di dirgli i loro nomi e in cosa pensavano di laurearsi.
Due
ragazzi si presentarono, trasudando sicurezza e parlando del pedigree
di Wall Street che potevano vantare, spiegando dove lavoravano i loro
genitori. Isabella li guardava parlare impassibile, sentendo il cuore
che le martellava irragionevolmente nel petto.
«E
tu?» chiese Kevin
guardando Isabella.
«Mi
chiamo Isabella Swan»,
rispose e poi aggiunse in fretta, «Penso
di studiare marketing.»
Il
sorriso di Kevin si allargò.
«Quindi
sei la figlia di Charles Swan!»
Isabella
sorrise nervosamente.
«E
io ti ho beccata al primo colpo»,
sorrise deliziato.
Isabella
si tirò le maniche del cardigan, ma sorrise educatamente.
«Non
fare marketing», le
disse lui serio. «Non
c'è lavoro, ed è uno spreco della laurea alla Wharton.
Tu sei abbastanza in gamba da farcela a Wall Street, non sprecare i
tuoi talenti da nessun altra parte.»
Isabella
sentì la maglia che cominciava a sfrangiarsi sotto le sue dita
che tiravano.
«Tu
sei il colpo grosso di questo corso, lo sapevi? Tuo padre ha detto
che potevi non essere interessata alla finanza… ha detto a
tutta la compagnia che chiunque riesca a farti cambiare idea e
convincerti ad unirti al family business sarà ampiamente
ricompensato», le disse
con una risata, tirando fuori un biglietto dalla tasca del suo
completo.
«Tieniti
stretto questo, Swan»,
le disse porgendole il suo biglietto da visita. «Ti
porteremo a Wall Street, che ti piaccia o no.”
*
«Edward,
ma sei diventato matto?»
Isabella
osservava guardinga mentre la sorella di Edward gli urlava contro nel
bar vuoto.
«Alice,
smettila-» disse con
fermezza.
«Sposare
una donna che non hai mai visto prima? Domani?»
Abbaiò una risata. «Ti
fa aria il cervello!»
Al
suo sguardo confuso, Carlisle si chinò e borbottò la
traduzione. «Significa
che sta dicendo scemenze.»
Lei
gli fece un sorriso poco convinto. «Grazie.»
«Alice,
non sono matto»,
replicò lui tagliente.
«Capisci
cosa stai facendo?»
chiese lei sarcastica. «Sei
proprio un
coglione!»
«Hanno
un accento più pesante di te»,
commentò Isabella sotto voce mentre i fratelli continuavano a
battibeccare.
«Già»,
concordò Carlisle. «Sono
cresciuti a Glasgow. L'hanno imparato da bambini, dalla loro madre.»
«È
decisamente difficile da capire»,
borbottò lei.
Carlisle
sorrise. «Ah, dovresti
sentirli quando sono davvero emozionati»,
poi aggiunse con aria da cospiratore, «o
ubriachi.»
«Immagino
che questo sia il momento giusto.»
«Sì»,
disse Carlisle mentre Alice sbuffava sonoramente e si voltava verso
Isabella.
Doveva
avere solo qualche anno meno del fratello, ma erano incredibilmente
simili. Avevano il naso dritto, gli occhi blu leggermente a mandorla
e una forte mascella. Mentre i capelli di Edward erano castani con
una sfumatura ramata, quelli di lei erano di un rosso luminoso. Lei
aveva i ricci e lui i capelli lisci, ma si somigliavano un sacco.
«Mi
dispiace», si scusò
lei. «Ma non capita
tutti i giorni che il mio fratello preferito annunci il suo
matrimonio con una sconosciuta con meno di 24 ore di preavviso.»
Di
nuovo, Isabella fece un sorriso poco convinto. «È
comprensibile, certo.»
«Ma
perché tu vorresti fare una cosa simile?»
«Alice»,
la castigò Esme.
«È
una domanda giusta», si
difese. «Puoi anche
avere i soldi, ma perché arrivare a questo?»
Per
un momento Isabella si sentì persa. Non poteva spiegare
l'istinto di proteggere la distilleria, di proteggere lo Sleat
Scotch. Non poteva spiegarlo perché, a dire la verità,
non lo capiva del tutto neanche lei.
Ma
lo sentiva.
Ed
era la prima volta che sentiva qualcosa di così forte da tanto
tempo.
Non
poteva lasciarselo sfuggire.
Non
questa volta.
«È
una meravigliosa opportunità di business»,
replicò onestamente Isabella. «Anche
se poco ortodossa.»
«Ma
sposarlo?» insisté
lei.
«Alice-»
«Hai
un'idea migliore che mi permetta di dare alla Sleat quel denaro?»
chiese Isabella. «Se
fossi arrivata lunedì o il mese scorso, forse avremmo avuto la
possibilità di fare tutto come si deve, ma dato che è
venerdì, fare tutto attraverso l'amministrazione non
funzionerà. Ci ho pensato e ripensato, e dati regole e
regolamenti scozzesi , e la tempistica con cui abbiamo a che fare,
non mi è venuto in mente altro che questo accordo, e come ho
detto, mi rendo conto che non è un modo ortodosso di fare
business. Comunque, se hai un'idea diversa, prego, parla.»
Ora
era la volta di Alice a essere persa.
Tutti
rimasero in silenzio nella stanza, finché Alice non fece un
sorriso riluttante.
«Sarà
meglio che chiami Emmett e gli dica di portare qui il culo da
Glasgow»,
disse roteando gli occhi. «Immagino
che vorrà essere qui per il primo matrimonio del suo unico
fratello.»
Quindi
non erano solo due i fratelli MacDonald.
Si
chiese vagamente se anche l'altro sarebbe stato altrettanto difficile
da comprendere.
Erano
all'Isles Inn, il locale di Esme a Portree, a pochi chilometri dalla
distilleria. Era un posto intimo, a metà tra un ristorante e
un bar. Di sopra c'erano stanze da affittare, che lei assicurava
fossero piene in alta stagione, d'estate, ma non altrettanto nel
freddo di novembre.
Era
un'ora strana della giornata, non ancora ora di cena, ma quasi buio
fuori. Si sedettero a un tavolo accanto a un fuoco ruggente. Sul
camino c'era uno specchio in ottone e due ritratti incorniciati.
«Charles
Stuart», la informò
Edward distrattamente, vedendo che i suoi occhi indugiavano lì.
«Il
Bonnie prince», disse
lei secca.
Questo
gli fece alzare un sopracciglio. «Sì»,
disse, chiaramente non aspettandosi la sua conoscenza della storia
scozzese.
«E
quella è...»
«Fiona
MacDonald», disse lui.
«Ah»,
disse lei sorridendo. «Una
vostra parente?»
Lui
ghignò. «Alla
lontana.»
«Va
bene», disse Esme
richiamando tutti all'ordine. Jasper, la sua guida e a quanto pareva
il figlio di Esme e Carlisle, si unì a loro al tavolo. «I
dettagli. Prima di andare oltre, Bella, mi scuso, ma devo chiedere…
sei sicura di poter andare in banca lunedì mattina e ottenere
un assegno di oltre… cosa, 200.000 dollari, in dollari
americani?»
«Quei
maledetti bastardi della finanza non te lo renderanno facile»,
commentò Jasper con un ringhio. «Segaioli.»
«Jasper»,
disse piano Esme a suo figlio.
«È
vero!» sbottò
lui amaro. «Preferiscono
vederti perdere tutto, prenderselo e venderlo a quattro soldi. Non
vogliono che gente come noi faccia soldi.»
Carlisle
borbottò qualcosa in accordo con quanto diceva il figlio.
Edward annuì riluttante.
«C'è
una filiale Barclays da qualche parte in Scozia?»
chiese lei.
«Sì,
a Glasgow», rispose
Edward. «Ci passavo
davanti quando andavo a scuola.»
«Devo
andare lì e chiedere che mi facciano un assegno. Sì, ho
questi fondi in un conto che mi permette di accedervi anche
all'estero.»
Era
chiaro che tutti erano curiosi del perché una donna
relativamente giovane avesse accesso a una simile somma di denaro,
specialmente nel bel mezzo di una recessione globale.
Curiosi
e sospettosi.
Ma
vedeva che tutti si mostravano educati e non avrebbero insistito
sull'argomento.
«Non
vuoi vedere i nostri libri contabili?»
chiese alla fine Jasper. «E
se Sleat fosse un terribile investimento?»
«Imbecille»,
borbottò Edward con un ringhio.
«Cosa?»
chiese lui. «Se ti darà
tutti quei soldi, sono sicuro che alla fine li rivorrà
indietro. Come fa a saper se questo è possibile?»
Di
nuovo tutti gli occhi erano su di lei. Aprì bocca, ma una
ragazza dello staff di Esme, anche lei di nome Fiona, apparve con dei
piatti di cibo in mano e li posò di fronte a loro. Il pranzo
di Isabella era stato una barretta di cereali mentre guidava e il suo
stomaco brontolò al profumo del cibo. Erano fish and chips, e
sembravano unti e deliziosi.
«Ho
un po' di esperienza di affari»,
disse lei vaga mentre loro erano in qualche modo distratti dalle loro
patate fritte. «Guarderò
i libri non appena la Barclays mi farà avere l'assegno e da lì
faremo un piano.»
«Allora
vuoi essere il suo business partner?»
chiese Carlisle. «Davvero?»
«Per
adesso sì.»
Accanto
a lei, Edward era tutto intento a guardare la sua cena.
«Non
hai un lavoro in America?»
chiese Carlisle curioso. «Quanto
tempo puoi stare in Scozia?»
A
questo, Isabella si morse il labbro e esitò.
«Ho
una certa flessibilità»,
disse alla fine.
Esme
sembrava la più disposta a accettare questa risposta.
«E
sei sicura che i documenti arriveranno con Scott?»
chiese lei rivolgendo uno sguardo preoccupato al marito.
Carlisle
si grattò la barba pensieroso. «Sì,
andrà tutto bene.»
«Bene
come come può andare se chiedi a uno di falsificarli.»
scherzò Jasper.
Isabella
sentì un colpo e un improvviso, «Cazzo!»
da parte di Jasper.
«Non
è contraffazione»,
disse Carlisle guardando di traverso suo figlio mentre quest'ultimo
si massaggiava il polpaccio. «Sono…
documenti urgenti.»
Esme
notò le sopracciglia alzate di Isabella a quello scambio e le
disse, «I matrimoni in
tutto il Regno Unito sono soggetti alla pubblicazioni e in Scozia
sono richiesti 21 giorni»,
spiegò. «Ed è
la legge, non un suggerimento.»
Lei
mantenne una faccia neutra, ma dentro di sé trasalì.
Conosceva le leggi britanniche riguardo a industria e finanza, ma
non era aggiornata sulle regole che riguardavano i matrimoni.
«Conosco
Scott da quando eravamo bambini»,
spiegò Carlisle. «È
sempre stato un buon amico per tuo padre e per me»,
disse rivolgendosi a Edward.
Da
parte sua, Edward non disse nulla su questo flirtare precario con la
legge. Guardava intento Fiona MacDonald.
«Documenti
urgenti. Già, ho capito.»
Questa
volta fu Esme a colpire suo figlio dietro la testa.
«Be',
Emmett sta arrivando, ma non senza qualche domanda»,
li informò Alice tornando nella stanza e sedendosi. «Ha
detto che porterà con sé le cornamuse perché sia
un matrimonio scozzese appropriato. Cioè, abbastanza
appropriato, considerato che nessuno ha i soldi per pagarlo.»
Un
silenzio imbarazzato calò sul gruppo. Carlisle tirò un
lungo sospiro e guardò la moglie. Quando nessuno replicò
a Alice, lei aggiunse, «Deve
essere convincente, no?»
«Se
non vogliamo che qualcuno finisca in gattabuia, eh, pa?»
disse Jasper con una risata. Aveva sentito le osservazioni di suo
padre sul giro di vite del Regno Unito sui matrimoni illegittimi per
portare nel Paese mogli straniere e non riusciva a nascondere il suo
divertimento.
Edward
rimase in silenzio alla prospettiva di finire in galera.
Isabella
guardò critica il cugino di Edward.
Almeno
c'era qualcuno che trovava la situazione divertente.
Più
loro parlavano, più Isabella si rendeva conto che stavano
giocando col fuoco, sotto forma di leggi scozzesi. Ad essere onesti,
avrebbe dovuto semplicemente uscire dal pub, salire sulla sua auto a
noleggio e andare per la sua strada.
Esme,
ancora con le labbra strette al commento di Alice sulla mancanza di
fondi, replicò, «Ci
inventeremo qualcosa.»
«Va
bene», disse Carlisle
brusco. «Ora basta»,
scoccando a suo figlio un'occhiata tagliente. «Facciamola
finita.»
«Ha
ragione», disse Esme,
poi guardò Alice. «Abbiamo
un po' di telefonate da fare, tesoro.»
A
dire la verità, il resto della serata passò un po' in
una nebbia, con Isabella che più che altro si chiedeva cosa
diavolo le fosse saltato in mente. Mentre Esme e Alice chiamavano
tutti gli abitanti dell'isola di Skye e spedivano Edward, Jasper e
Carlisle a fare commissioni avanti e indietro, Isabella pensava che
avrebbe dovuto davvero mostrare un'oncia di salute mentale, fermare
questa follia e salire su quella maledetta auto a noleggio.
Ma
non poteva.
Non
aveva niente a che fare con Edward, pensò tra sé mentre
parlava con Esme e Fiona di trasformare il pub in uno spazio per il
ricevimento. Era un giovane uomo piuttosto bello, ma questo era un
pensiero che era arrivato dopo, non certo il motivo che l'aveva
spinta. Lui sembrava un tipo equilibrato e, a parte lo scoppio
iniziale, sembrava determinato quanto lei a fare tutto questo per
salvare il suo business e la sua eredità familiare.
Quando
si ritrovarono al pub, dove adesso c’era un considerevole
numero di clienti che mangiavano e bevevano, la maggior parte dei
dettagli era risolta. Avevano parlato col ministro della Chiesa
d'Inghilterra, trovato un pianista, ordinato una gran quantità
di cibo da servire, confermato che Scott avrebbe avuto i documenti in
tempo utile, erano stati in distilleria per stoccare del whisky per
gli ospiti e avevano effettivamente invitato degli ospiti.
Esme
e Alice avevano un talento naturale per raccontare storie e si erano
inventate una bella storia sulla giovane coppia, pazzi uno dell'altro
che non potevano aspettare un altro giorno prima del matrimonio,
essendo già passati 21 giorni dalle pubblicazioni. Perfino a
Isabella, la romantica protagonista della storia, sembrava una storia
convincente. L'interpretazione di Alice divenne anche più
drammatica e teatrale mentre finiva il terzo sidro della serata.
Isabella
incontrò altri due cugini di Edward che lavoravano alla
distilleria, Robert e Ian. Erano chiassosi, ma lei si ritrovò
a sorridere esitante alla loro turbolenza mentre prendevano in giro
Edward sul matrimonio.
«Ce
lo dici così, che non possiamo neanche darti una festa di
addio al celibato come si deve?»
accusò Robert. Edward rise e gli diede una gomitata nelle
costole. «Negando ai
tuoi cugini un diritto di nascita?»
«Non
sarà come si deve, ma stasera ci sbronziamo!»
disse Ian alzando la sua pinta di birra.
Esme
si schiarì la gola.
«Una
volta finito con i preparativi, naturalmente, zietta»,
eccepì Ian.
Esme
roteò gli occhi.
«Abbiamo
quasi finito per questa sera. Edward, tu hai qui i tuoi vestiti
formali, vero? Non è che li hai a Glasgow o da qualche altra
parte.”
Edward
annuì.
«Aspetta»,
sbottò Alice. «E
lei cosa indossa?»
Esme
rimase a bocca aperta, incredula di aver dimenticato un dettaglio
così importante. «Dannazione»,
borbottò. «Hai
ragione, Alice. Hai qualcosa di formale, tesoro?»
chiese a Isabella.
«No,
mi dispiace», disse
Isabella con aria di scusa.
«Non
so se c'è tempo di andare in un negozio di abiti da sposa e
tornare, domattina», si
accigliò Esme. «Forse
posso chiedere a Mrs. Brown se possiamo usare il vestito da sposa di
sua figlia? Lui lo ha lasciato all'altare, ma immagino che abbia
ancora il vestito.»
«Non
è della sua taglia»,
disse Alice guardando Isabella. «Brown
è alta un metro e cinquanta sì e no.»
«Forse
se -»
«Che
ne dite del vestito di Ma?»
Tutte
le donne si voltarono verso Edward, che aveva seguito la
conversazione con uno sguardo intenso. Guardò sua zia. «Ma'
diceva sempre che era senza tempo, no?»
«Sì,»
concordò quieta Alice, «ma...»
«Le
starebbe bene», disse
Edward con fermezza.
Isabella
voleva protestare, dire che non c'era bisogno che indossasse il
vestito della loro madre, specialmente perché era chiaro che
lei non c'era più. Ma di fronte allo sguardo di Edward,
tacque.
«Sì,
le starebbe bene»,
concordò alla fine Esme. «Tua
mamma aveva ragione. È ancora un bellissimo vestito.»
«Lo
vado a prendere in magazzino»,
disse Alice. «Probabilmente
avrà bisogno di qualche rifinitura.»
Edward
strinse sua sorella con un braccio solo e le sussurrò qualcosa
tra i capelli. Lei alzò lo sguardo con un sorriso affettuoso
che lui ricambiò. Isabella si sentiva come una specie di terzo
incomodo e abbassò gli occhi da quel momento toccante.
«Grazie,
tesoro», disse Esme.
«Sembra
che questa festa sia pronta a trasformarsi in un addio al celibato!»
rise Robert, vedendo che erano arrivati a una conclusione. Ci furono
fischi e grida dagli altri cugini, Carlisle batté le mani.
Edward fece un sorriso timido mentre gli davano pacche sulle spalle.
«Va
bene, va bene, okay»,
assentì. «Fatemi
dare la buonanotte a… alla mia sposa, prima di andare.»
Grida
e fischi maschili seguirono questa affermazione. O stavano provando a
rendere più convincente questa farsa o gli scozzesi amavano i
bei festeggiamenti e coglievano al volo ogni occasione.
Isabella
alzò un sopracciglio, ma prese la sua mano quando lui gliela
porse, portandola via dalla sala centrale del pub, lungo un
corridoio. A quel punto lasciò la sua mano e si rivolse verso
di lei.
«Sei
sicura?» le chiese
senza tante cerimonie. «Veramente?»
Era
più facile essere sicuri di qualcosa se qualcuno non ti
chiedeva continuamente se eri sicura, notò.
«Considero
tutto questo soltanto una transazione d'affari non convenzionale»,
lo informò lei.
Lui
non sembrava convinto, così lei sospirò e chiese, «Sei
un criminale? Sei una persona orribile? Hai qualche caratteristica
orrenda di cui dovrei sapere? Non vuoi veramente salvare la
distilleria ma progetti invece di mandarla in rovina?»
Le
sue labbra si piegarono in un sorriso. «No,
orrendo non credo e spero niente rovina. Solo non voglio
costringerti a fare nulla»,
disse serio prima di aggiungere, «Specie
qualcosa di bizzarro… come questo.»
Isabella
scosse la testa. Semmai era lei che lo stava costringendo a un finto
matrimonio all'unico scopo di aggirare le leggi governative.
«Non
riesco a pensare a un altro modo per tenere aperta la distilleria.»
«Già»,
concordò lui piano strofinandosi dietro il collo mentre
guardava il tavolato del pavimento. «E
voglio che sappia che farò di tutto per restituirti i soldi,
un giorno, ma con l'economia che va così, adesso… be',
mi dispiace ma non posso farti nessuna promessa. Io non so qual è
la tua situazione finanziaria, ma non sono pochi soldi e io voglio
essere sicuro che sappia cosa stai facendo e che conosca i rischi.»
«Sono
rischi che voglio prendermi.»
«Va
bene», disse lui
lasciando cadere la mano da dietro il collo e guardandola. «Non
credo che mi piacerebbe se Alice andasse in un'altra nazione e
sposasse uno straniero.»
«Fortunatamente
per te, non ho fratelli più grandi a cui devi rispondere.»
«Già»,
disse lui distratto prima di chiedere all'improvviso, «Sei
mai stata innamorata?»
Questo
stupì Isabella, ma non lasciò trapelare nulla dal suo
viso.
«E
tu?» chiese, un accenno
di sfida nella voce.
Edward
la guardò. «Mi
pare giusto», disse,
senza tradire nulla.
«Anche
se questo matrimonio non sarà costruito sull'amore, io ti
rispetto e rispetto la tua dedizione nel cercare di tenere aperta la
distilleria», disse
lei.
A
questo lui annuì. «Anche
se non capisco i tuoi motivi, rispetto il tuo coraggio. E il rispetto
non è una brutta cosa per iniziare un matrimonio, no?»
Le
labbra di Isabella si piegarono in un sorriso. «Già.»
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Capitolo 6 *** Loch Lomond ***
Questa
storia è stata scritta in inglese da 2carm2carm2
e tradotta in italiano
da beate. Questo è il link all’originale:
https://www.fanfiction.net/s/13053224/6/The-Whisky-Distiller-s-Wife
6
– Loch Lomond
A
un certo punto, durante il secondo semestre di Isabella alla Wharton,
il suo professore di economia stava restituendo i test con i voti di
metà corso. Dopo aver dato a Isabella il suo le disse, «Per
favore, resta alla fine del corso, Swan.»
Isabella
si accigliò e guardò il test, sfogliando veloce fino
all'ultima pagina per vedere il voto. 91.2%. Una A. Sentì le
spalle che si rilassavano di fronte a un lavoro ben fatto.
Vicino
a lei, Sandy sussurrò, «Cosa
vuole?»
Isabella
scrollò le spalle.
«Vuoi
che ti aspetti?» si
offrì mentre il resto della classe si alzava e preparava gli
zaini.
Isabella
scosse la testa. «Ci
vediamo dopo.»
Leggermente
guardinga, Isabella scese le scale dell'aula, oltrepassando il
flusso degli studenti e raggiunse la cattedra del professor Wembley.
Isabella non era molto interessata alla sua materia, ma lui era un
uomo gentile che faceva delle lezioni discrete. Conosceva il nome di
ognuno dei suoi studenti senza chiedere e senza fargli mettere i
cartellini sui banchi, una cosa che Isabella aveva notato e che
rispettava.
«Come
va, Isabella?» chiese
lui con un sorriso.
«Oh,
va. Sono pronta per le vacanze di primavera.»
«Hai
dei progetti?»
«Passerò
un po' di tempo con i miei nonni»,
disse lei, emozionata alla prospettiva di stare lontana
dall'università, nella casa della sua infanzia.
«Sarà
rilassante», disse lui
con calore.
Isabella
annuì ma non replicò ulteriormente.
«Ascolta,
volevo parlarti del tuo test»,
disse lui indicando con la testa i fogli che lei teneva in mano. «Hai
fatto veramente bene.»
«Grazie»,
disse lei.
«È
già il secondo test in cui prendi il massimo dei voti»,
le disse. «È
veramente impressionante.»
Non
avendo realizzato quali fossero stati i voti dei suoi compagni, si
sentì arrossire a quelle lodi. «Grazie»,
disse di nuovo.
«Hai
mai pensato di lavorare in finanza?»
le chiese.
Immediatamente
Isabella alzò la guardia.
Non
era una cosa insolita, per lei. Fin dal primo giorno di scuola c'era
stata gente che le chiedeva se intendeva seguire le orme di suo
padre, e poi la incoraggiava a farlo quando lei rispondeva che non
era nei suoi piani. Cacciatori di teste, consulenti accademici,
compagni di progetti di studio, supervisori e altri professori, tutti
le avevano detto che era pazza a non voler lavorare a Wall Street.
Il
professor Wembley continuò col suo tono caldo. «Tu
per questo hai un vero talento, Isabella. Ci sono studenti in questo
corso che ucciderebbero per quei voti.»
A
questo, le spalle di Isabella si rilassarono un po'.
«Sei
una giovane donna molto brillante, potresti farcela. Non molte
persone hanno ciò che ci vuole, ma tu ce l'hai»,
le disse con sicurezza. «E
ci sono tante cose diverse che puoi fare in finanza. Puoi fare la
differenza nella vita delle persone.»
Isabella
annuì incerta.
«Promettimi
solo che ci penserai, okay?»
*
«Salve
a tutti! Salve, sì, questa è la parte della serata in
cui faccio fare a me e a mio fratello la figura dei cretini…
Oi! Ascoltate!»
La
piccola folla stipata nell'Isles Inn si acquietò mentre Emmett
parlava al microfono, l'accento pesante come quello dei suoi
fratelli. Edward e Alice si voltarono a guardare nella sua direzione
come tutti gli altri. Isabella teneva la mano in quella di Edward,
appoggiate in bella vista sul tavolo perché tutti vedessero.
«Allora,
devo andare in bagno, quindi la farò breve»,
cominciò tra le risatine degli ospiti. Aveva un vestito
formale e un kilt identico a quello del fratello. Mentre Alice e
Edward si somigliavano, lui era più snello, con i capelli
scuri, anche se aveva gli stessi occhi azzurri.
«Per
quelli che non mi conoscono-»
Isabella tenne la faccia seria. «Io
sono Emmett, il fratello migliore di Edward e autoproclamato
testimone. È un onore essere qui con voi tutti, oggi, a
festeggiare Edward e Bella.
Lasciate
che vi dica qualcosa a proposito della mia relazione con Edward»,
cominciò.
«Ci
siamo conosciuti negli anni '80»,
disse serio mentre tutti ridevano. «In
tempi più facili. Da bambini, c'era una certa rivalità
infantile, esacerbata dal fatto che Edward sembrava un bodybuilder e
io invece venivo scambiato per Fiona MacDonald. Regolarmente»,
aggiunse ridacchiando. «Naturalmente,
il mio modo preferito di compensare la mia mancanza di muscoli, era
dargli degli oggetti contundenti, tipo biglie o sassi, poi mettermi
alla finestra o dovunque ci fosse un vetro e procedere a farlo
incazzare. A Ma’ piaceva sempre come finiva.»
Mentre
tutti ridevano, Edward ridacchiò, ma lei notò il
leggero rossore sul collo a quei ricordi infantili.
«Edward
ha un sacco di qualità eccezionali, e lo dico sul serio e
senza neanche il minimo accenno di complesso di inferiorità»,
disse scherzoso. «Non è
che dovevo sentire Ma’ dirci che bravo bambino fossi, e come
eri bravo a mangiare, a dormire e a pisciare quando eri ragazzino.»
Alice alzò il sidro che stava bevendo e gridò «Udite,
udite!» concordando col
fratello.
«Non
era difficile essere tuo fratello, per niente»,
scherzò alzando il bicchiere di whisky in direzione di Alice.
«Scherzi a parte, tu
hai reso sempre tanto orgogliosi Pa’ e Ma’. Se potessero
essere qui oggi, di certo ti direbbero, in mezzo a un mare di
lacrime, quanto sono orgogliosi del tuo lavoro e del tuo coraggio.»
Isabella
non si era resa conto di stare stringendo la mano di Edward finché
non sentì una stretta incerta in risposta.
«Qualche
altra parola sulle qualità di Edward. È un gran
lavoratore – il whisky che state bevendo tutti quanti ne è
prova sufficiente – non ha mai avuto paura di niente, che fosse
affrontare il bullo della scuola o cavalcare un cavallo non domato.»
Emmett alzò gli occhi dalle sue note e sorrise nella loro
direzione. «Di questo
chiedimi più tardi, Bella»,
ammiccò.
Isabella
fece un gran sorriso, dimostrandosi doverosamente divertita.
«Ha
sempre avuto un grande senso di compassione – si è
sempre preso cura degli altri, chiunque fosse, ci sarà sempre
per prendersi cura e proteggere le persone che sono importanti per
lui. A volte sono abbastanza fortunato da essere incluso tra queste
e, lasciate che ve lo dica, non è una cosa da poco. La sua
intelligenza – aveva sempre i voti più alti a scuola e
lo stesso era forte, maledetto lui. Il suo senso dell'umorismo –
oh no, scusate, questo deve essere un refuso.»
Tutti ridacchiarono. Emmett aspettò il silenzio e poi continuò
serio. «C'è
stato e ci sarà sempre un motivo per ammirare Edward,
qualunque cosa faccia.»
Isabella
fece un sorriso leggero mentre imparava delle cose sul suo nuovo
marito attraverso lo sguardo di chi lo conosceva da più a
lungo. Era a suo agio ad avere referenze sul suo carattere da suo
fratello, anche se non era mai stata incline a considerarlo una
persona meno che onorevole.
«Va
bene, come ho detto, il bagno sta chiamando il mio nome, ma prima di
andare, voglio proporre un brindisi a mio fratello e alla sua sposa»,
disse alzando il bicchiere, aspettando che il resto della sala lo
seguisse. «Dio
maledica qualunque stupido abbastanza sciocco da darvi contro.
Possano i tempi duri essere pochi e distanti tra loro, e possa il
whisky non finire mai. Che il vostro camino fumi a lungo! A Edward e
Bella! Salute!»
«Salute!»
Edward
si chinò e baciò la guancia di lei in un apparente
momento di tenerezza prima di alzarsi e andare ad abbracciare suo
fratello. Isabella lo seguì e abbracciò il fratello di
Edward suonatore di cornamusa. Era lui che aveva magnificamente
suonato la cornamusa durante la cerimonia, il cui suono aveva
evocato in lei ricordi affettuosi che ancora non si erano dissipati
del tutto.
«Grazie»,
disse lei.
«Aye»,
disse solo lui, ma si chinò e le baciò la testa. «Aye»,
ripeté, con un cenno breve della testa mentre si scostava.
Edward
aspettò che Isabella si sedesse, poi si sedette anche lui. Sua
zia Esme arrivò e si mise accanto al piccolo tavolo dalla
parte di Isabella.
«Be'»,
disse ridacchiando, «anche
se non mi aspetto di seguire adeguatamente queste belle parole,
anch'io devo andare in bagno, quindi cercherò di essere
breve.»
Isabella
sorrise alla donna e quando sentì che Edward le prendeva di
nuovo la mano, scoccò un sorriso anche a lui.
«Volendo
dare a Edward una tregua e risparmiare a Alice e Emmett la vergogna
di confermare che Edward era senza dubbio in assoluto il bambino
migliore tra loro tre, voglio parlarvi della giovane donna che stiamo
accogliendo oggi nella famiglia MacDonald»,
sorrise Esme a una Isabella sorpresa. «Anche
se non la conosco da molto, so che è coraggiosa e grande
lavoratrice, come Edward.»
Esme
continuò, «Avendo
visto personalmente diversi bambini diventare adulti, posso
immaginare che da bambina fosse senza paura e precoce, quanto
compassionevole e gentile. Come adulta, è una donna forte e
aggraziata e degna compagna dell'uomo che sono orgogliosa di aver
visto, anche lui, diventare un adulto.»
Esme
si voltò verso di loro. «Io
non so cosa il futuro avrà in serbo per voi. Quello che so è
che arriverà la pioggia – siamo in Scozia, dopo tutto.
Avrete sfide e tempi duri, mi dispiace dirvelo. Ma sapete che
attraverso i tempi più difficili, imparerete di più su
voi stessi e sull'altro. C'è bellezza e felicità nel
vostro futuro, e non potremmo essere più impazienti di veder
crescere la relazione che avete costruito. Vi auguriamo tutta la
felicità che il mondo ha da offrirvi»,
finì con un sorriso prima di aggiungere, «Oh,
e Isabella? Da una non-scozzese a un'altra… buona fortuna.
Potresti averne bisogno.»
La
sala rise e applaudì mentre Esme abbracciava Isabella e il
nipote. Anche se aveva abbellito qualche dettaglio, era sembrata
sincera, e la folla era compiaciuta. Perfino Isabella si era sentita
lusingata dalle sue parole, per quanto abbellite.
I
neo-sposi dovevano avere ancora un momento per conto loro.
Da
quando erano scesi dall'altare come marito e moglie, erano stati
circondati da amici e famiglia. Sembrava che tutti i residenti
dell'isola di Skye fossero arrivati a festeggiare le loro nozze,
nonostante il breve preavviso. Molti facevano domande e accusavano
scherzosamente Edward di aver tenuta nascosta la sua sposa.
Edward
più che altro diede loro affascinanti sorrisi e risate,
seguiti da calorose strette di mano, e questo sembrò
soddisfarli. Isabella, una volta rinunciato alla speranza di
ricordare quale fosse la canzone che la cornamusa suonava mentre lei
andava all'altare, sorrise calorosamente agli estranei e cercò
di imitare Edward nell'essere cordiale senza dire granché.
Erano arrivati al silenzioso e mutuo accordo che meno dicevano della
loro unione, meglio era.
Erano
arrivati anche all'accordo silenzioso della necessità di
toccarsi.
A
un occhio poco allenato, i tocchi che si scambiavano potevano essere
quelli che ci si aspettava da due sposi novelli. Lui le teneva la
mano in fondo alla schiena, lei lo prendeva a braccetto – anche
se, ad essere onesti, era più che altro per non perdersi nella
baraonda degli highlander. Di tanto in tanto, durante il pomeriggio,
le dava un bacio sulla guancia o sulla testa.
Ogni
volta che la toccava, comunque, c'era un attimo di esitazione. Lui si
muoveva con sicurezza, ma prima di toccarla esitava un secondo. Non
sapeva se quella minima pausa fosse nervosismo o incertezza, o fosse
un dimostrazione di rispetto e di scusa, come se volesse che lei
sapesse che non intendeva prendersi alcuna libertà con lei.
Mise da parte quel pensiero per future considerazioni.
Una
volta messi da parte tavoli e sedie, cominciò la musica.
Edward e Isabella condivisero un breve primo ballo su una bella
canzone scozzese mentre tutti guardavano impazienti.
«Perché
sono tutti così eccitati?»
chiese piano Isabella, tenendo un leggero sorriso fisso in faccia.
Edward
si guardò intorno e poi sorrise. «Oh
sì, amano tutti il ceilidh.»
«Ceilidh?»
chiese Isabella, ripetendo quella parola sconosciuta come lui l'aveva
pronunciata: kay-lee.
«Sì,
immagino che tu non lo conosca»,
scosse la testa lui. «È
un ballo. Una specie della quadriglia che ballate voi
americani.»
«Io
ballo la quadriglia?»
chiese dubbiosa.
«Sì,
certo, lo fate.»
«Lo
facciamo?»
«Così
mi hanno detto.»
Isabella
non poté evitare di ridere a quella ridicola affermazione.
«Andrai
bene», le assicurò
lui ridacchiando. «Devi
solo stare sulla punta dei piedi e seguirmi. E cerca di non farti
venire un capogiro.»
Isabella
scoprì presto che stare sulle punte dei piedi e seguire lui
era un compito arduo. Era in effetti qualcosa di simile ai balli
country americani e alla polka che aveva visto ballare ai matrimoni.
C'erano un sacco di giri e piroette e dopo la prima canzone, in cui
Edward cercava di insegnarle come funzionava, decise che era senza
speranza, ma non riusciva a smettere di ridere.
La
vivacità degli ospiti che piroettavano a braccetto, battevano
le mani e saltavano, era contagiosa e lei scoprì che anche se
non riusciva a stare a tempo con quel ballo movimentato, si stava
divertendo.
La
fronte aggrottata di Edward mentre cercava di includerla nelle danze
al loro matrimonio si spianò quando realizzò che lei
non stava avendo un'esperienza orribile. Era un insegnante paziente,
ma sembrava sempre più divertito, realizzando la totale
mancanza di inclinazione musicale della sua sposa.
«A
braccetto, sì, ora giriamo e ora prendi il suo braccio -no,
non il suo braccio, il suo
braccio! Sì, ora gira-»
interruppe le sue spiegazioni mentre lei ridacchiava, avendo
afferrato il braccio di Robert invece che quello di Donald, andando
così completamente fuori tempo.
«Laggiù,
ragazza», chiamò
Robert, facendole girare le spalle a Edward che intanto batteva le
mani a tempo.
E
poi tutti cominciarono a battere le mani a ritmo.
Edward
le prese le mani e rise. «Eccoci!»
La condusse in mezzo alle due file di persone che battevano le mani,
fino in fondo da un lato per finire con un salto laterale dall'altra
parte, mentre lei cercava di non inciampare. Per fortuna lui era
abbastanza sicuro, e la sosteneva anche quando incespicava.
Dopo
diversi balli, lei si scusò e si fermò per riprendere
fiato. Il suo cuore martellava per quello sforzo inaspettato e prese
con gratitudine il bicchiere di sidro che Emmett le porse.
«Sei
un talento naturale»,
disse lui con un ghigno.
Isabella
scoppiò a ridere, facendo sorridere Emmett. «O
forse no», si corresse
lui. «Ma hai spirito,
questo te lo riconosco.»
Con
un sorriso, lei alzò il bicchiere di sidro e lo buttò
giù come se fosse acqua.
«Di
quello potresti avere bisogno, con mio fratello»,
aggiunse quasi tra sé.
Isabella
non sapeva bene come rispondere e andò con un sicuro, «Mh?»
Allora
Emmett la guardò dritta negli occhi e lei sentì tutta
la forza della commedia che stava andando avanti intorno a loro. «So
che questo non è un vero matrimonio e so che tu hai le tue
ragioni, come lui ha le sue»,
disse a voce bassa. «E
io non posso ancora dirlo, ma voi due potreste veramente aver bisogno
l'uno dell'altro e non so ancora cosa questo significhi nel lungo
termine, ma in questo momento, so che avete bisogno l'uno
dell'altro.»
Non
sapendo che dire, alzò il bicchiere e prese un gran sorso di
sidro.
«L'uno
dell'altro, e di un sacco di buon alcool»,
aggiunse ridacchiando.
Isabella
deglutì, poi alzò il bicchiere in un brindisi al suo
nuovo cognato.
«Una
ragazza che regge bene l'alcool è una benedizione e una
maledizione, per un uomo»,
disse ridendo, prima di buttare giù la sua pinta di birra.
«Vieni, sis, ti faccio
vedere come si balla lo strip-the -willow. Edward ha sempre fatto
schifo con questo.»
Isabella
posò il bicchiere e guardò dubbiosa la sua mano. «Prima
la signora, poi l'uomo, mano destra e così via. È
semplice, andiamo!
In
tutta la serata, imparò decine di balli diversi. Emmett si
dimostrò in effetti un meraviglioso maestro, mentre Edward
fece ballare doverosamente ogni singola signora di mezz'età.
Tutte le sue partner, comprese Esme e Alice, erano eccellenti
ballerine e fecero un lavoro magnifico nel guidarla, così che
sembrò che anche lei facesse movimenti che in qualche modo
somigliavano a una danza.
Si
sentiva esausta, ma non era stanca. Non poteva evitare di sentire
quella felicità ubriaca che sentivano tutti gli ospiti. Dopo
tanto tempo senza una vera, sincera eccitazione così, non
aveva opposto alcuna resistenza.
Non
sapeva quanto tempo fosse passato mentre roteava al suono del violino
e della fisarmonica, fermandosi di tanto in tanto per un sidro o un
whisky, a seconda di chi glielo passava. Sentiva le guance rosse per
l'alcool, ma decise che non era l'unica con quell'aspetto, dato che
metà della sala condivideva quel tratto indotto dall'alcool.
«Va
bene, mia moglie mi informa che è tempo che la festa finisca.
Ma prima di andare, spediamo fuori Edward e Isabella con stile.»
Isabella guardò Carlisle che aveva rimediato un microfono,
mentre tutti gli altri si avvicinavano a loro. Era confusa dalla loro
anticipazione e cercò Edward per capire cosa stesse
succedendo. «Bene,
gente, l'ultima canzone della serata! Prendetevi per mano e
cominciate a oscillare le braccia avanti e indietro!»
Edward
apparve al suo fianco mentre il suono della cornamusa si diffondeva
dal microfono. Tutti nella sala si presero per mano e formarono un
largo circolo intorno a loro.
Il
suo nuovo marito le prese la mano con un sorriso. «Questo
non è complicato»,
le promise.
Isabella
strinse le labbra per non sorridere, non gli credeva del tutto, ma lo
stesso prese la sua mano. Lui se la tirò vicina e cominciò
a oscillare le mani avanti e indietro mentre la cornamusa continuava
e il cantante attaccava.
«By
yon bonnie banks and by yon bonnie braes...»
(Su
quelle belle rive e per quelle belle colline)
Isabella
cominciò dopo aver sentito quelle parole familiari.
«Dove
il sole brilla luminoso... sul lago Lomond...»
cantò, in modo un po' teatrale, per via dell'alcool, le parole
che le venivano come se andasse di nuovo in bicicletta per la prima
volta dopo anni.
Edward
le fece un gran sorriso.
«Allora
conosci questa canzone?»
chiese mentre il circolo dondolava avanti e indietro intorno a loro,
palpitando come onde che si infrangono pigramente lungo la spiaggia.
«Sono
cresciuta ascoltandola»,
replicò lei, senza neanche rendersi conto che stava rivelando
la prima vera parte di se stessa, la prima breve visione che lui
poteva vedere della sua vita.
Ma
lui se ne rese conto.
«Sì»,
disse lui tirandola un poco più vicina.
Alice
era finita tra suo fratello Emmett e il cugino Donald mentre il
circolo si chiudeva intorno alla nuova coppia, ed era schiacciata e
trascinata avanti, ma rideva mentre cercava di non cedere a quello
schiacciamento. Tutti intorno a loro sorridevano e ridevano mentre si
muovevano pigramente, sazi di bevute.
La
canzone si spense e cominciò il rullo dei tamburi, e tutti
battevano le mani a tempo, tranne Edward e Isabella che continuavano
a ballare nel mezzo.
«Siete
pronti?» gridò
Carlisle sopra il battito delle mani.
«Per
co-»
Isabella
non riuscì a finire che tutti nel circolo cominciarono a
saltare su e giù, avvicinandosi e allontanandosi da loro.
Edward le prese le mani tra le sue e cominciò a saltare con
loro, ridendo mentre cantava con la folla.
«Ho,
ho mo leannan, ho mo leannan bhiodheach.»
Tutto
il sidro che aveva bevuto l'aveva lasciata con la testa leggera, e
ridacchiava saltellando con tutti gli altri. Se fossero stati al
secondo piano, si sarebbe preoccupata che cedesse il pavimento.
«Ho,
ho mo leannan, ho mo leannan bhiodeheach»,
continuava a cantare Edward, mentre gli altri cantavano il più
familiare coro della canzone. «Tu
prenderai la strada maestra e io prenderò l'altra strada, e
arriverò in Scozia prima di te. Ma io e il mio vero amore non
ci incontreremo più sulle belle, belle rive del lago Lomond.”
La
canzone si ripeté mentre il battito delle mani e i salti
rallentavano fino a fermarsi. Suo marito la prese tra le braccia e,
con sua grande sorpresa, la sollevò e la fece girare tra i
fischi e gli applausi dei loro ospiti ubriachi.
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Capitolo 7 *** Caledonia ***
Questa
storia è stata scritta in inglese da 2carm2carm2
e tradotta in italiano
da beate. Questo è il link all’originale:
https://www.fanfiction.net/s/13053224/7/The-Whisky-Distiller-s-Wife
7
– Caledonia
Le
vacanze tese con la sua famiglia erano la norma, per Isabella.
Per
tutta la sua infanzia, nelle vacanze più importanti, suo padre
era in viaggio. Tra gli uffici di Goldman Sachs di Hong Kong, Sidney
e Londra, raramente riusciva a tornare a casa per festeggiare con i
suoi genitori e sua figlia.
La
maggior parte delle volte, per Isabella andava bene. Le mancava suo
padre, naturalmente, ma osservando i suoi amici e le loro interazioni
con i genitori, a un certo punto per lei era diventato una specie di
zio inaffidabile. E quando riusciva a venire per una vacanza, lui e
suo padre litigavano.
Ora
che era al primo anno di college, Isabella era più consapevole
della leggera animosità di suo nonno nei confronti di suo
figlio. Quando era più piccola, aveva nascosto meglio i
commenti sottilmente velati e occasionalmente le osservazioni
sprezzanti. Ora che era più grande e suo padre voleva essere
più coinvolto nella sua vita, il nonno aveva perso
completamente il suo filtro.
Isabella
si era nascosta in cucina con la nonna a fare una torta di zucca e il
purè di patate. Stava bevendo una lattina di Pepsi e
desiderava che fosse il bicchiere di vino rosso che stava bevendo sua
nonna, alla ricerca di una tregua dalla tensione.
La
cena in sé era stata piacevole.
Abbastanza
piacevole, comunque.
Tutti
i discorsi sembravano girare intorno a Isabella, sui suoi corsi del
semestre prima e quelli che avrebbe preso nel semestre di primavera.
Le avevano chiesto della sua compagna di stanza e avevano
chiacchierato del dormitorio e la mensa.
L'unico
momento rischioso fu quando suo nonno chiese, «Ora
intendi restare in economia o esplorare altri corsi di laurea?»
Isabella
aprì bocca per rispondere, ma non ne ebbe la possibilità.
«Non
vedo niente che potrebbe offrirle una carriera stabile più
della Wharton», replicò
rigido suo padre.
Padre
e figlio si scambiarono uno sguardo accalorato prima che nonna si
lanciasse in una storia sui vicini che si erano appena trasferiti.
Più
tardi,quando la nonna scese a portare gli avanzi nel congelatore di
sotto, sentì suo padre e suo nonno che discutevano in
soggiorno.
«…
hai giurato che non me lo avresti mai rinfacciato! Eravamo d'accordo
che era la cosa migliore per lei, tu – tu hai insistito!»
«E
crescerla è stata una gioia enorme per tua madre e per me,
Charles. È una ragazzina brillante e se...»
Isabella
si sforzò di sentire il resto delle parole del nonno, ma aveva
abbassato la voce. Si rese conto che tutto il suo corpo si era
chinato in quella direzione, cercando di decifrare quello che stavano
dicendo. Sentì la voce di suo nonno, sempre così calma,
farsi agitata con suo padre.
«Non
la sto spingendo verso nulla che non sia buono per lei! A volte
spingere va bene. A volte l'ambizione è una buona cosa. Se tu
l'amassi veramente la sosterresti...»
Questo
provocò una risposta appassionata da parte del nonno.
«Io
la sosterrò e la amerò così come ho sostenuto e
amato te con ogni decisione su cui non ero d'accordo, ma devi sapere
che stai facendo un errore con lei. Lascia che capisca cosa vuole.
Wall Street prenderà quella ragazzina brillante e gentile e la
distruggerà.»
«Oh,
cazzate! Non può restare una ragazzina per sempre. Deve
crescere, a un certo punto!»
«Lascia
che capisca cosa vuole.»
Isabella
non muoveva un muscolo.
«Forse
è quello che sto facendo!»
esclamò suo padre esasperato. «L'hai
mai considerato? Hai mai pensato che potrei non essere il peggior
padre del mondo se avessi una sola cosa in comune con lei? Voi due
l'avete cresciuta e le avete dato tutto quello che le occorreva –
ti è mai venuto in mente che anch'io potrei darle qualcosa?»
«Ti
è venuto in mente che potrebbe non essere ciò di cui ha
bisogno?»
*
La
macchina a noleggio di Isabella li aspettava fuori del locale, dopo
che furono cacciati fuori dagli allegri ospiti. Qualcuno ci aveva
attaccato dietro «Appena
sposati” e tutti applaudirono mentre salivano in auto. Isabella
andò a sinistra per abitudine e scoppiò a ridere quando
realizzò che il volante era dall'altra parte.
Più
tardi, avrebbe considerato che facendo finta di essere felice nel
giorno del suo finto matrimonio, si era involontariamente data il
permesso di esserlo davvero.
«Non
funzionerà»,
borbottò tra sé.
«No,
direi di no», ridacchiò
Edward aprendole lo sportello. «Non
credo che tu possa guidare.»
«E
tu sì?» lo sfidò
lei.
«Sì»,
replicò lui sorridendo. «Qualche
whisky non mi preoccupa.»
«Immagino
che, considerato il tuo business, questo sia un benefit»,
concordò lei salendo in macchina. Salutò con la mano
Alice, che era pesantemente appoggiata a suo fratello Emmett.
Edward
salì dalla parte del guidatore e accese quella macchina
sconosciuta. Sentendo gridare Robert e Ian si voltò e salutò.
Robert aveva alzato i pollici e Ian stava facendo un gesto
provocatorio. A questo, Edward abbassò la mano e roteò
gli occhi, partendo con l'auto.
E
poi furono soli, per la prima volta in tutto il giorno.
Isabella
fu improvvisamente consapevole di quanto fosse pesante la sua testa,
sentendosi ancora vergognosamente leggera.
«Be'»,
disse alla fine. «È
andata bene.»
Edward
ridacchiò. «Aye.»
«E
adesso?» chiese lei.
Edward
pensò un attimo mentre svoltava dalla strada principale.
«Perché sia
convincente, non credo che dovresti dormire al locale.»
«No,
immagino di no.»
«Ho
una casa poche miglia fuori città, possiamo andare lì
appena...» le sue
parole si spensero quando vide che lei non lo stava più
ascoltando.
Avevano
appena svoltato e vedevano tutte le luci del porto che tremolavano
sulle acque notturne. Brillavano coraggiosamente contro il buio
immenso, e lei fu colpita dalla loro bellezza.
«Quando
sei arrivata a Skye?»
chiese lui.
«Circa
venti minuti prima che ci incontrassimo»,
rispose lei.
Edward
le diede un'occhiata sorpresa prima di guardare di nuovo la strada.
«Allora ti faccio
vedere un po' in giro? Domani?»
chiese incerto.
«Sarebbe
carino», disse lei.
Avevano un giorno prima che le banche aprissero e si mettessero al
lavoro.
Guidarono
in silenzio qualche minuto prima che Isabella si rendesse conto che
erano alla distilleria.
«Tu
vivi qui?» chiese
sorpresa.
«No,”
sorrise lui. «Devo solo
prendere una cosa.”
Isabella
rimase impassibile e non mostrò la stilettata di delusione che
provò, realizzando che a questo punto lui già stesse
pensando al lavoro. Non erano più di fronte ad amici e
famiglia, che presumevano che loro fossero già in luna di
miele. Non c'era bisogno di continuare la farsa degli sposini, ora
che nessuno guardava.
Rimase
sorpresa quando lui aprì la porta per lei. «Solo
una piccola sosta»,
disse lui.
Edward
traversò con perizia, tirando fuori delle chiavi dalla piccola
borsa che pendeva dal suo kilt. Qualcuno le aveva detto come si
chiamava, ma non riusciva a ricordarselo, adesso, mentre camminava
per i corridoi.
«Edward!»
esclamò lei all'improvviso.
Lui
si voltò immediatamente. «Cosa?
Che c'è che non va?»
«La
canzone, mentre andavo all'altare – come si chiama? Highland
qualcosa, vero?»
Sentendo
questo, le spalle di lui si rilassarono. «Highland
Cathedral.»
«Ah!
Lo sapevo!»
Edward
le diede uno sguardo dubbioso.
«La
conoscevo», gli disse.
«Aye»,
disse lui prendendola per la mano e tirandola con gentilezza.
«Andiamo,ora.»
«Emmett
ha suonato benissimo»,
commentò lei mentre camminavano.
«È
uno dei migliori suonatori di cornamusa della Scozia»,
la informò con una nota di orgoglio nella voce. «Insegna
al National Piping Centre di Glasgow.»
«È
stato bello», disse
lei.
«Aye»,
disse lui. Poi si fermò e girò un'altra chiave in una
porta. Isabella aspettò sulla soglia mentre lui entrava e
prendeva rapidamente quello per cui era venuto. Le passò una
bottiglia mentre si girava a chiudere di nuovo la porta.
«Alcool?»
chiese lei. «Non sono
sicura di averne ancora bisogno.»
Edward
ridacchiò. «Parli
parecchio di più dopo qualche cicchetto, lo sai?»
Isabella
alzò il mento con dignità.
Lui
sorrise. «Credimi,
questo ti piacerà.»
Riprese la bottiglia e la prese per mano.
«Stai
cercando di farmi ubriacare Mr. Mac-Cullen… Jeffrey James –
quale diavolo è più il tuo cognome?»
Edward
rise mentre uscivano dalla distilleria. «MacDonald
basta», disse lui.
Consapevole
di essere molto più ciarliera di quanto intendesse, Isabella
decise di sedere zitta in auto per almeno cinque minuti, senza
rendersi ridicola. Fortunatamente, o sfortunatamente, Edward viveva a
meno di un miglio dalla distilleria e quasi subito le aprì lo
sportello per farla scendere.
Era
un cottage bianco che sembrava fosse stato ristrutturato negli ultimi
anni. Non c'erano intorno altri cottage nel raggio di acri e la casa
era leggermente elevata, su una collinetta. C'era una singola luce
accesa sul portone di ingresso, dipinto di un bel rosso.
«Quando
c'è luce puoi vedere Loch Poiltiel, le Uists, le Benbeculas e
anche le Ebridi Esterne»,
disse lui.
«Molto
bella», disse lei
mentre arrivavano al portone.
«Uch,
lascia che prenda la borsa»,
ricordò, passandole la grossa bottiglia e tornando alla
macchina a prendere la piccola valigia di lei. Prese in fretta la
borsa e tornò al portone. «Anche
se stai molto bene con quel vestito, non credo che tu voglia dormirci
dentro.»
Isabella
si guardò il vestito. Era degli anni '70, ma era quasi
impossibile dirlo. Aveva le maniche lunghe con dei bei pizzi sugli
avambracci e intorno alla scollatura. C'erano anche dei bei ricami in
fondo alla gonna che erano un po' rovinati dietro, dove Lizzie aveva
dato qualche punto. A parte questo, le era andato perfettamente,
sorprendendo sia lei che Lizzie.
«No,
in effetti», replicò
lei. «Grazie. E grazie
per avermelo fatto indossare.»
«Ti
sta molto bene.» Aprì
la porta e la fece entrare. «Ma’
sarebbe stata felice.»
Se
non fosse stato dietro di lei, avrebbe visto un rossore compiaciuto
salirle alle guance.
Isabella
si guardò intorno mentre Edward attraversava la grande stanza.
Accese in fretta un fuoco nel piccolo camino di pietra. La grande
stanza in cui si trovavano aveva numerose finestre ed era scarsamente
ammobiliata da due divani rossi, qualche piccolo tavolo e un morbido
tappeto che era stato qualche tipo di animale. Alla sua sinistra
c'era spazio per il tavolo da pranzo e una cucina abbastanza grande
che aveva, anch'essa, numerose finestre.
Fu
solo quando il fuoco fu acceso che si rese conto di quanto aveva
freddo. Era novembre in Scozia, dopo tutto.
«Si
scalderà in fretta»,
si scusò lui, vedendola che si strofinava le braccia. «Qui,
dammi questa», disse
prendendo la bottiglia.
«Ah,
sì, di nuovo a farmi ubriacare.»
Lui
ghignò. «Direi
che te la cavi bene anche da sola.»
«Sono
piuttosto abile, sembra»,
replicò lei seccamente.
Con
un sorriso, lui aprì la bottiglia e versò due
bicchieri. Gliene porse uno riempito per metà di liquido
ambrato. Lei lo guardò con un sopracciglio alzato.
«Non
sto cercando di farti ubriacare, Annie»,
disse lui serio. «So
che non hai motivo di fidarti di me, ma te lo prometto: non mi
approfitterò di te.»
A
Isabella venne da ridere alla sua espressione seria. «Mi
fido di te», ammise
quasi senza rendersene conto.
Edward
fece un sorriso timido e le diede il bicchiere con meno liquido.
«Cos'è?»
chiese lei annusando con discrezione.
«Uno
dei nostri migliori single malt»,
disse lui. «L'ha
distillato mio padre.»
Lei
prese un sorso e notò, anche mezza ubriaca, che era
probabilmente il miglior whisky che avesse mai bevuto.
«Quando
li hai persi?» chiese
lei dopo un minuto di silenzio.
Edward
sospirò e, per la prima volta, vide che era un giovane uomo
che non aveva tutte le risposte. Si era comportato in modo così
sicuro, così confidente, così affascinante con i suoi
amici e la sua famiglia. L'uomo che stava guardando adesso sembrava
quasi… perduto.
«Ma’
quando avevo sedici anni. Cancro.»
Isabella annuì con tristezza. «E
Pa’… sarà un anno in febbraio.»
Isabella
mise una mano sulla sua spalla in un gesto di conforto, non sapendo
cosa dire.
«Mi
dispiace», disse alla
fine.
Sentì
le sue spalle alzarsi mentre prendeva un profondo respiro dal naso e
lentamente esalava, prima di alzare il bicchiere e prendere un gran
sorso.
«Grazie»,
disse lui abbassando il bicchiere.
Isabella
sospirò silenziosamente. Guardò giù il suo
bicchiere prima di guardare suo marito, che fissava ancora il suo
cicchetto. Lei alzò il suo bicchiere.
«Ai
tuoi genitori.»
Edward
la guardò e sbatté gli occhi, cacciando via i
lucciconi.
«Aye»,
disse piano, toccando il bicchiere con quello di lei.
Presero
un sorso di whisky invecchiato e probabilmente costoso, e sedettero
in silenzio.
Isabella
lasciò cadere la mano dalla sua spalla e prese ancora un
sorso. Sentiva che era anche migliore e più morbido dello
Sleat che beveva abitualmente.
Adesso
era lei che doveva condividere qualcosa dei suoi genitori.
«Mio
nonno amava questa roba»,
disse alla fine, cercando di riguadagnare un po' di senso
dell'equilibrio.
Questo
sembrò trarlo dalle sue meditazioni. «Scotch?»
chiese lui.
«Sleat
Whisky», lo corresse
lei piano.
«Sì?»
disse lui sorpreso.
«Lui
e mia nonna erano stati in Scozia in luna di miele negli anni '40 e
ovunque andassero… trovavano whisky Sleat»,
gli disse lei, guardando dritto davanti a sé, senza incrociare
i suoi occhi mentre parlava. «Ne
aveva sempre in casa»,
concluse.
«Swan...»
borbottò lui tra sé.
«Cosa?»
«Swan»,
ripeté lui pensieroso. «Per
oltre cinquant'anni la Sleat ha avuto un ordine di lunga data e ha
spedito una partita due volte all'anno negli Stati Uniti a un uomo di
nome Swan. Mi chiedo se...»
Lei
sorrise. «Dovrebbe
essere lui.»
A
questo punto Edward la guardò, dedicandole tutta la sua
attenzione. Aveva le labbra leggermente socchiuse e la fissava come
se la stesse veramente vedendo, avendo avuto un indizio della
complessità che lei si portava nel cuore.
Con
un pesante sospiro, lei alzò il bicchiere. «Ai
bei vecchi tempi?»
Lui
chiuse le labbra in un sorriso morbido. «Ai
bei vecchi tempi.»
Le
prime ore del mattino trovarono la coppia un po' ubriaca dopo alcuni
bicchieri del nuovo whisky.
Edward
scoprì che quando la sua nuova moglie cominciava a ridere non
c'era nulla che potesse fermarla. Era un suono dolce e sorprendente,
provenendo da lei, mentre sedeva e rideva e cercava di smettere di
ridere e quindi rideva ancora più forte. Lui non poteva
evitare un gran sorriso a quella vista.
Lei
aveva imparato che più lui beveva, più il suo accento
si appesantiva e la sua scelta di vocabolario si espandeva. L'ultimo
giro di risate di lei fu provocato da lui che raccontava di qualche
anno prima, quando aveva avuto un dopo sbronza tale che solo l'odore
delle patate fritte gli faceva venire 'da sboccare'.
Alla
fine si calmò e si rilassò contro la spalliera del
divano, tirando un lungo sospiro divertito prima di prendere un altro
sorso. Era carina, seduta lì in un mare di bianco contro il
divano rosso, un rosa caldo sulle guance e i capelli in disordine
dopo una serata di balli e bevute. I suoi occhi danzavano per
l'allegria e lui si ritrovò a sorridere come un idiota
vedendola così contenta.
«Cos'erano
le parole del saltello di prima?»
chiese all'improvviso ricordando la propria confusione. «Gaelico,
giusto?»
«Mo
leannan, mo leannan bhiodheach»,
le disse lui, le strane parole che fluivano senza sforzo dalle sue
labbra. La fece sorridere.
«E
che significano?»
chiese lei curiosa.
Edward
la guardò per un momento e sbatté lentamente le ciglia
prima di rispondere.
«Tesoro
mio. Mio bellissimo tesoro.»
Spavalda,
lei incrociò il suo sguardo per un attimo, nessuno dei due si
mosse. L'unico suono nella stanza era il crepitio del fuoco, che
aveva da tempo scaldato la stanza.
«È
molto bello», mormorò
lei alla fine, alzando il whisky alle labbra mentre sentiva
all'improvviso la gola completamente secca.
Edward
ridacchiò tra sé, uscendo dalla trance in cui era. Notò
che non solo era più chiacchierona quando beveva, ma anche che
si riferiva a quasi tutto come 'molto bello'.
Si
chiese se se ne rendesse conto.
«Aye»,
concordò lui piano.
Isabella
si dimenò un po' mentre la trentina di bottoncini che
chiudevano il vestito le si piantavano nella schiena. Cercò di
mettersi comoda.
Edward
si rese conto di quale fosse il problema. «Sono
un cretino. Mi dispiace»,
si scusò all'improvviso. «Probabilmente
non puoi uscire da sola da quel vestito. Avrei dovuto aiutarti.»
Non
si aspettava lo sguardo sorpreso ma senza dubbio compiaciuto che
ricevette in risposta. «Sarebbe
davvero molto bello, se non ti dispiace.»
Edward
posò il bicchiere e si alzò, offrendole la mano. Una
volta in piedi, si mise dietro di lei per mettersi al lavoro. «Och»,
borbottò vedendo quanti bottoni erano e quanto piccoli.
«Alice
con le sue dita piccole era più adatta per questo, vero?»
Isabella
fece una risatina. Anche Alice aveva faticato per infilarla in quel
vestito, ma questo non era il momento migliore per dirlo.
Edward
posò le dita incerte sulla sua schiena. Dopo aver fallito con
un piccolo strattone sperimentale, si avvicinò per vedere come
erano allacciati i bottoni. Le sue gambe si lamentarono quando
dovette abbassarsi per arrivare al livello di lei, ma ignorò
il dolore mentre con le grandi dita cercava di liberare i bottoni.
«Ah!»
disse trionfante quando riuscì a slacciare il primo.
Per
un uomo della sua taglia era decisamente delicato, notò lei.
Non strattonò il vestito né usò alcuna forza per
slacciarli. Lavorò accigliato, armeggiando scrupolosamente con
ognuno.
Dopo
i primi, prese un ritmo, slacciandoli con successo uno dopo l'altro.
A ogni bottone aperto, la stoffa si apriva rivelando un po' della sua
schiena bianca. La pelle sembrava morbida e risplendeva alla luce del
fuoco. A ogni bottone slacciato sentiva la tensione salire nella
stanza. Sentiva il bisogno di passare il dito lungo la sua spina
dorsale, sentire quella pelle sotto le mani.
Trovava
sempre più difficile deglutire.
Infine
raggiunse il fondo, slacciando gli ultimi bottoni, cercando di
ignorare il fatto che le sue mani aleggiavano sul suo sedere
perfettamente rotondo. Per un momento, dopo che aveva finito, nessuno
dei due parlò.
Nessuno
dei due respirò.
«Ecco
fatto», mormorò
lui alla fine, le parole un po' gracchianti per la sua gola secca.
Isabella
si voltò. «Grazie»,
disse piano.
«Giusto»,
disse lui sbattendo gli occhi. «La
tua borsa è là, io vado e ti lascio.»
«Vai
dove?»
Questo
lo fece sorridere. «Sarò
là in quella stanza da letto»,
disse indicando la porta. «Fai
un fischio quando hai finito.»
Dopo
che fu uscito, lei sfilò le maniche e lasciò cadere a
terra il vestito. Trovò in fretta una felpa girocollo dei
tempi del college di cui non si era mai sbarazzata e si infilò
un paio di leggings, il suo abbigliamento notturno degli ultimi
giorni. Non si disturbò a considerare perché si stesse
sbrigando tanto, perché avesse tanta fretta di riunirsi a lui.
«Tutto
fatto», chiamò
in direzione dell'altra stanza, raccogliendo il bellissimo vestito da
sposa e lo drappeggiò sul divano.
Quando
Edward rientrò nella stanza, si era tolto il vestito formale e
indossava un paio di pantaloni della tuta grigi e una semplice
maglietta nera che gli aderiva al petto, enfatizzando i suoi muscoli.
Senza il kilt e la giacca sembrava molto più… umano.
Le fece girare la testa, e sorrise.
Nelle
sue mani, notò, c'erano due bicchieri d'acqua.
«Sarà
meglio che non sia vodka»,
disse lei scherzando.
Edward
ridacchiò. «No,
no, non è vodka»,
le assicurò passandole un bicchiere. «Ho
pensato che avresti apprezzato.»
Isabella
si sedette sul divano col suo bicchiere, sentendosi ancora ubriaca e
stordita, ma sorprendentemente contenta. Edward rimase in piedi e
prese un lungo sorso della sua acqua.
«Pensavo
che il whisky non ti disturbasse»,
lo stuzzicò lei.
Lui
inarcò un sopracciglio.
«Questo
prima che provassi a tenere il passo con te.»
Questo
fece ridere Isabella e lui sorrise.
«Abbiamo
finito la bottiglia?»
chiese lei battendo la mano sul divano accanto a lei, indicandogli di
sedersi di nuovo.
Cortesemente,
Edward si sedette di nuovo vicino a lei. «Ce
n'è rimasto un paio di bicchieri.»
«Un'altra
volta, allora», mormorò
lei.
Lui
fece un verso di gola che Isabella cominciava ad associare agli
scozzesi in generale.
«Quanti
anni hai?» chiese lei
all'improvviso.
«Sono
dell'84», rispose lui.
Isabella
trasalì. «Quindi
sarebbe… cioè tu avresti almeno ventidue…
venticinque o – maledizione, sono proprio ubriaca.»
«Ventiquattro»,
disse lui.
«Ventiquattro.
Esatto», ridacchiò
prendendo un sorso d'acqua.
«E
tu?»
«Io
sono nata negli anni '70»,
rispose lei con aria da cospiratrice.
Questo
sembrò sorprenderlo. «Sì?»
chiese guardandola da capo a piedi.
«’79»,
aggiunse con un ghigno.
«Una
hippy, allora», disse
lui roteando gli occhi. «Quindi
ventinove?»
«Quindi
ventinove.» Cominciava
a sentire gli occhi pesanti.
Edward
la guardò curioso, facendosi chiaramente domande sulla sua
vita e cosa l'avesse condotta ad avere così tanti soldi e così
pochi legami negli States per permettersi di sposare un estraneo in
terra straniera per salvare una distilleria. Ma tenne la bocca
chiusa. Non voleva forzare le cose in alcun modo.
La
rispettava troppo.
«Caledonia»,
farfugliò mezza addormentata l'antica parola per Scozia.
«Aye?»
chiese lui, divertito dalla sua improvvisa mancanza di energia.
«L'abbiamo
ballata», ricordò
lei. Era stato il loro primo ballo, per gentile concessione di Lizzie
o Collette, non era sicuro.
«Aye»,
concordò lui.
«Ricordi
le parole?» chiese lei.
«Era bella.»
Edward
non poté fare a meno di ridacchiare.
«Sì,
me le ricordo.»
Lei
socchiuse gli occhi, ma quando lui non continuò a parlare li
riaprì. Con aria assonnata lo guardò in attesa.
«Oh,
uh… suppongo tu sia curiosa, allora?»
«Se
non ti dispiace», disse
lei chiudendo gli occhi.
«Oh»,
disse lui annuendo e strofinandosi dietro il collo. «Caledonia
è il nome con cui i Romani chiamavano la Scozia, non so se
questo lo sapevi.»
Lei
annuì.
«Oh,
già, preparata nella storia scozzese, mi ero dimenticato.»
«Non
direi… proprio preparata»,
replicò lei, ma fu interrotta da uno sbadiglio troppo grande
per la sua faccia.
«Certo»,
disse lui in tono di dissenso. «Be',
la canzone è sulla Scozia. Chi canta è stato via per
tanto tempo e dice che la Caledonia lo richiama a casa e che anche se
sarà sempre uno straniero, cosa che rattristerebbe qualunque
uomo o donna, naturalmente, questa terra è tutto quello che
lui… che tutti noi, in realtà, abbiamo mai avuto.»
Fece
una pausa e notò che il respiro di lei era diventato regolare.
Mentre
lei si assopiva entrando nei suoi strani sogni, avrebbe giurato di
sentire una voce bassa che cantava quietamente la canzone del suo
secondo matrimonio.
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Capitolo 8 *** Pre-programma ***
Questa
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da beate. Questo è il link all’originale:
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8
– Pre-programma
Il
giorno in cui compì ventuno anni sarebbe rimasto per sempre
nella sua memoria.
Aveva
appena cominciato il suo primo anno alla Wharton School,
all'Università di Pennsylvania. Dopo aver ufficialmente
dichiarato il suo corso di laurea in Finanza Aziendale, aveva passato
l'estate come interna alla JP Morgan Chase e non vedeva l'ora di
tornare al programma scolastico, via dai completi e dalle sessanta
ore settimanali di lavoro nel mondo aziendale.
«Andiamo,
Isabella!»
piagnucolarono le sue compagne di stanza. «È
il tuo ventunesimo compleanno, dobbiamo uscire!»
«Voi
ne avete ancora venti»,
ricordò guardando Sandy e Tiffany, con cui condivideva
l'appartamento. «E nel
caso l'aveste dimenticato, i vostri documenti falsi sono stati
confiscati al 303 la settimana scorsa.
Tiffany
s'imbronciò e replicò, «Quelli
nuovi devono arrivare da un giorno all'altro!»
Ignorandola,
Sandy ghignò. «Jake
sarebbe più che felice di portarti fuori.»
«Lui
ha più di ventuno
anni»,
concordò maliziosa Tiffany, lasciando perdere il proprio
dilemma. «A
lui piacerebbe molto
portarti a bere qualcosa.»
Isabella
rise, ignorando le loro manovre da paraninfe. «Ho
già dei programmi.»
«La
cena con i tuoi nonni non è un programma, Isabella!»
esclamò Sandy. «È
un pre-programma, al massimo.»
Isabella
scosse la testa. «Mi
dispiace, signore, ho segnato questo appuntamento da quasi dieci anni
ormai.»
Mentre
usciva sentì Tiffany che gridava, «Va
bene, ma quando torni a casa beviamo!»
Il
viaggio da Philadelphia a Allentown durò circa un'ora. Ascoltò
l'ultimo pezzo dei Backstreet Boys almeno quattro volte prima si
spegnere la radio e guidare in silenzio. Mentre guidava, sentì
un peso scivolare via dalle sue spalle, conoscendo la sua
destinazione. Il college era tosto e lei aveva corsi con studenti
ferocemente competitivi. Mentre si avvicinava a casa dei suoi nonni,
la tensione si allentava, anche se solo per una sera.
Non
li vedeva da un paio di settimane. L'ultima volta che era stata da
loro, aveva fatto giardinaggio con la nonna mentre il nonno
armeggiava con delle tavole allentate sulla piccola palizzata del
giardino. Brontolava sotto voce su “i
dannati conigli che rovinano tutte le piante” mentre la
nonna condivideva un privato, divertito sorriso con lei. Avevano
bevuto tè freddo alla pesca sulla veranda e avevano
chiacchierato allegramente sul programma del corso imminente.
Quando
stava per andare via, il nonno l'aveva presa da parte e aveva detto,
«Ora, so che potresti
avere altri piani per il tuo compleanno»,
cominciò burbero. «E
noi siamo contenti di vederti ogni volta che si può. Tu e io
potremo condividere quel drink anche più avanti. Non deve
essere per forza il tuo compleanno.»
Lei
aprì bocca, ma lui continuò serio.
«So
che è di venerdì e anch'io ho avuto la tua età,
una volta. So che probabilmente i tuoi amici avranno dei piani. Io e
tua nonna ti prepareremo la cena quando avrai tempo.»
Lei
gli aveva fatto un gran sorriso. «Sarò
qui per il mio compleanno, come ho sempre detto.»
Lui
le aveva dato uno dei suoi abbracci super stretti e l'aveva baciata
sulla testa.
Il
pensiero la fece sorridere mentre si avvicinava la sua uscita.
Certo
che ci sarebbe stata.
Avevano
fatto questo programma tanti anni fa.
Mentre
prendeva le curve familiari verso la casa che aveva sempre amato, un
sorriso le nasceva sulle labbra. Guidò in automatico, senza
pensare agli stop o dove svoltare, conosceva tutto a memoria, dopo
tanti anni.
Accostò
di fronte alla rosa rampicante e spense il motore. Si avviò
sul vialetto e bussò alla porta. Era più un bussare di
saluto mentre entrava, come sempre. Ma quando girò il
pomello, lo trovò chiuso. Si accigliò. Aspettò
qualche secondo, immaginando che uno dei suoi nonni sarebbe subito
venuto ad aprire facendola entrare.
Quando
nessuno venne alla porta, si chinò e alzò lo zerbino
per prendere la chiave di riserva nell'angolo a destra. La infilò
nella serratura ed entrò.
C'era
silenzio.
Si
guardò intorno in quel posto così familiare e notò
immediatamente il silenzio.
Non
erano in casa.
Il
sorriso che aveva in faccia cominciò a svanire.
«Nonna?»
chiamò. «Nonno?»
Nessuna
risposta.
Il
disagio cominciava a salirle dentro mentre faceva qualche passo in
soggiorno.
La
nonna l'aveva chiamata la sera prima.
«Pensiamo
di cenare alle sei, tesoro. Non devi portare nulla, cuciniamo noi per
te! Io e il nonno faremo le cose che preferisci… quella pasta
ai gamberetti che ti piace tanto.»
Isabella
guardò l'orologio da polso. Le 5.52.
Loro
non erano mai in ritardo.
Mai
una volta in tutti quegli anni erano stati in ritardo per un impegno,
specialmente uno che consideravano importante come quello.
Mentre
quel senso di disagio cresceva nel suo petto, si inoltrò nella
casa. Andò alla porta sul retro per assicurarsi che non
fossero nel grande giardino.
Era
vuoto.
Sul
bancone era appoggiata una scatola di pasta cruda, spicchi d'aglio e
cipolle, tutto pronto per il piatto che avevano promesso di
preparare. Ma la cucina era vuota. Nessun apparecchio era acceso e
anche le luci erano spente.
Dovevano
essere andati al negozio di alimentari, rassicurò se stessa,
sarebbero tornati presto.
I
minuti passavano.
Le
6 arrivarono e passarono. Cominciò a camminare su e giù.
Tornò in soggiorno e guardò dal bovindo, così da
poter vedere se la loro auto accostava sul vialetto.
Mentre
aspettava notò la bottiglia di whisky nel solito posto
sull'angolo del tavolo, con vicino, per la prima volta, due bicchieri
invece che uno. Sorrise e si voltò per vederli dalla finestra,
ma non vide nulla.
Il
suo sguardo indugiò sulla bottiglia di scotch.
Per
la prima volta avrebbe condiviso un bicchiere del suo amato whisky
con lui.
Era
il più grande segno di età adulta che poteva concepire.
Passate
le 6.15 Isabella cominciò a innervosirsi. Così tanto
che alzò il loro telefono e fece un numero familiare –
familiare, ma che non usava con regolarità. Arrotolò
nervosamente in mano il cavo mentre squillava.
«Charles
Swan.»
«Hey,
papà. Io-»
«Isabella?»
chiese con voce tesa. «Dove
sei?»
«Sono
dai nonni, ma non c'è nessuno. Tu-»
«Isabella.»
Le
si fermò il cuore nel petto a come disse il suo nome.
«Cosa?»
chiese lei quieta.
«Isabella…
i tuoi nonni-»
«Papà,
ti prego-»
«Stavano
andando al negozio di alimentari poco fa e hanno avuto un incidente
di macchina. Tutti e due… tutti e due sono morti sul colpo.»
Le
cedettero le ginocchia e si accasciò a terra, senza più
aria nei polmoni, soffocava.
«Isabella?»
«Isabella
sei ancora lì?»
«Isabella
stai bene?»
No.
*
Ow.
Mentre
la coscienza andava e veniva, vagando tra i sogni, un leggero dolore
le impedì di continuare a dormire.
Si
era storta il collo?
Di
malavoglia i suoi occhi si aprirono mentre si stirava.
Aprendo
gli occhi si rese conto di dove era e perché il suo collo era
in una strana posizione. Al momento era acciambellata sul divano,
accoccolata contro il fianco caldo e muscoloso di Edward, col collo
in un a scomoda posizione.
Edward
era sveglio.
Mentre
si alzava e si raddrizzava, si accorse che aveva la testa ancora
pesante per tutto il whisky che aveva mandato giù.
«Quanto
ho dormito?» chiese.
Edward
sorrise. «Forse una
trentina di minuti?»
Isabella
sorrise un po' imbarazzata, passandosi la mano tra i capelli e
appoggiando un gomito sul divano per guardarlo. «Questo
spiega tutto.»
Edward
la guardò sorridendo. C'era un calore, quasi un affetto nel
suo sguardo. Ricambiò il sorriso.
«Ieri,»
disse lei abbassando gli occhi, «tu
mi hai chiesto se ero mai stata innamorata.”
Quando
sentì che non rispondeva alzò lo sguardo e vide che il
suo sorriso era svanito, ma la stava ancora guardando.
«Aye.»
Era
la tenerezza nei suoi occhi che le aveva fatto chiedere.
«Perché?”
Lei
si morse il labbro, ma non abbassò lo sguardo.
«Be',
immagino che volessi sapere se eravamo a parità di condizioni,
come diresti tu.»
Oh.
Per
un attimo lei gelò, non sapeva cosa dire.
«Lo
siamo?» chiese lei
quieta.
Le
labbra di lui si curvarono in su, quasi malinconicamente mentre
rispondeva, «Ne
dubito.»
«Non
c'è stato nessuno?»
chiese lei curiosa. Non c'era sorpresa nella sua voce.
C'era
così tanto che non sapeva di Edward Anthony Godfrey Cullen
MacDonald. Ma era un bellissimo giovane uomo, uno che si prendeva
cura della sua famiglia, lavorava duro, e si ricordava che la sua
valigia era in macchina.
Alla
domanda, fu Edward a spostare lo sguardo. Prese il suo dimenticato
bicchiere di whisky e prese i pochi sorsi rimasti.
«No,»
rispose alla fine mentre i suoi occhi seguivano il bicchiere mentre
lo appoggiava «nessuno.»
Isabella
attribuì quello sgradevole senso di sollievo che galleggiava
nella sua mente al troppo scotch di ottima qualità.
«Be',»
ridacchiò lei, «immagino
che non fosse il modo in cui pensavi di passare la tua prima notte di
nozze.»
Anche
lui ridacchiò. «Be',
suppongo non sia così lontano, tra il whisky e una bella
sposa.»
Isabella
sorrise timida.
«Il
resto della notte di matrimonio è sopravvalutato, comunque»,
scherzò lei.
Edward
ridacchiò guardando il suo bicchiere, ma quel suono sembrava
forzato, in qualche modo.
«Aye,
mi fido della tua parola, per questo.»
Isabella
rimase a bocca aperta, sorpresa. Fu una reazione spontanea, e la
richiuse prima che lui si voltasse a guardarla.
Deglutì
con la gola secca prima di parlare.
«Sul
serio?» chiese.
Edward
riprese in mano il suo bicchiere a quella domanda e buttò giù
il contenuto senza esitazione, rendendosi conto di quello che gli era
sfuggito dalle labbra.
«Aye»,
replicò, posando il bicchiere senza guardarla. Si passò
la mano dietro il collo, collo che era diventato rosa all'improvviso.
Isabella
era senza parole.
Come
diavolo era finita in Scozia in un finto matrimonio con un higlander
vergine?
Al
suo silenzio, lui aggiunse, in tono più difensivo, «Mai
trovata la ragazza giusta.»
Prima
che potesse replicare, aggiunse, sempre senza guardarla, «Ho
sempre pensato che lo avremmo imparato insieme, capisci?»
Isabella
deglutì e annuì, ma lui non vide il suo movimento.
Non
sapendo cosa dire, gli si avvicinò e gli appoggiò la
mano sulla schiena.
«Mi
dispiace», mormorò
alla fine.
Edward
alzò la testa e la guardò con le sopracciglia alzate.
«Per
cosa?»
«Mi
sembra di averti rubato qualcosa»,
disse lei piano. «Oggi,
ieri, ormai… con la tua famiglia e i tuoi amici, bevendo e
ballando, festeggiando l'uomo che loro vedono in te… io non
ero parte di tutto questo. Io non dovevo indossare l'abito di tua
madre né condividere il whisky con te… io, io-»
si interruppe, visibilmente frustrata che non le venissero le parole
che voleva.
«Ah,
mo leannan», la blandì
lui. «Tu non mi hai
rubato niente. Veramente.»
Isabella
si sentiva la testa pesante e quando era mezza ubriaca aveva preso al
college la brutta abitudine di appoggiarsi a chiunque avesse una
spalla disponibile. Sentì la sua testa cadere sulla spalla di
suo marito con un gemito, che indicava che non trovava convincente le
sue rassicurazioni.
Edward
ridacchiò, appoggiando la testa su quella di lei. «Tu
mi hai aiutato più di quanto avrei potuto chiedere a chiunque.
Non ti sei presa nulla… hai solo dato.»
Isabella
chiuse gli occhi a quelle parole dolci.
Rimasero
così per un po', entrambi che quasi non osavano respirare.
«Devo
mostrarti la tua stanza, prima che ti addormenti di nuovo»,
mormorò lui senza alzare la testa dalla sua.
Isabella
sbadigliò. Edward sorrise e alzò la testa. «Allora
andiamo, gallinella.»
Si
alzò e le offrì la mano. Lei la prese e sorrise. La
mano di lui era grande e calda e confortante. Lentamente la guidò
fuori dal soggiorno, oltre la cucina e in fondo al corridoio, dove si
era tolta il vestito da sposa, prima di addormentarsi sul divano. Era
grata per quella lentezza, dato che alzarsi le aveva provocato un po'
di vertigini, per quello che aveva bevuto e per l'improvviso cambio
di posizione.
«Eccoti
qua», annunciò
Edward quando arrivarono alla stanza dove erano le cose di lei.
Isabella notò che indugiò un poco prima di lasciarle la
mano.
Lei
annuì sulla soglia della stanza.
«Va
bene», disse lui
strofinandosi dietro il collo. «Allora,
se hai bisogno di me, sono in fondo al corridoio.»
Isabella
lo guardò per un momento, considerando.
La
notte del suo matrimonio non era stata come doveva essere.
Era
stata deludente e orribilmente solitaria.
Fosse
dannata se voleva questo per chiunque altro.
«Vuoi
entrare?»
|
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Capitolo 9 *** Aspettative ***
Questa
storia è stata scritta in inglese da 2carm2carm2
e tradotta in
italiano
da beate.
Questo è il link all’originale:
https://www.fanfiction.net/s/13053224/9/The-Whisky-Distiller-s-Wife
9
– Aspettative
Cara
Bella
Buon
ventunesimo compleanno! Sei diventata una così brava ragazza.
Hai un grande, bellissimo cuore e una bella testa sulle spalle. Tuo
nonno e io siamo sempre stati fieri della ragazzina che eri e che
adesso ti porti dentro. Puoi fare tutto e puoi essere tutto, non
sarai mai troppo grande per sapere questo. Ricorda sempre che ti
amiamo, Bella.
Xoxo,
Nonna
e nonno
Isabella
lesse di nuovo la lettera, esalando un respiro tremante. Aveva gli
occhi appannati. Tra qualche secondo le lacrime sarebbero scese di
nuovo, come sempre.
Erano
le ultime parole che aveva avuto da loro, l'ultima connessione con le
persone che erano state, a tutti gli effetti, i suoi genitori.
Erano
parole dolci. Guardando la calligrafia familiare di sua nonna,
sembrava che fossero appena state scritte. Come se l'inchiostro
potesse sbavare, se ci avesse passato sopra la mano, come se non
fosse ancora asciutto.
Era
stata appoggiata contro un vaso di fiori sul bancone in casa dei suoi
nonni. L'immagine del suo nome scritto sulla busta bianca le bruciava
nel cervello. Era quello che stava guardando mentre suo padre le
aveva dato la notizia al telefono.
Era
il suo nome, niente di più.
Ma
non riusciva a togliersi quell'immagine dalla testa.
Era
lì quando chiudeva gli occhi la sera ed era lì quando
si svegliava la mattina.
L'immagine
di quella lettera sarebbe stata per sempre associata al peggior
momento della sua vita.
Nascose
il viso tra le mani. Strinse gli occhi e cercò di bloccare le
immagini, cercò di bloccare quell'assalto furioso. Cercò
di non pensare al funerale che era stato solo tre giorni prima. Cercò
di non pensare a quelle bare chiuse. Cercò di non ricordare
l'odore di incenso che permeava la chiesa. Cercò di non
ricordare il silenzio teso tra lei e suo padre. Cercò di non
desiderare di poter parlare con loro.
Ma
Dio come si sentiva sola.
Si
sentiva sola in modo così paralizzante, seduta a gambe
incrociate nella sua stanza da letto al college. Aveva dei corsi e
non poteva più cercare rifugio in quella rosa rampicante a
un'ora di distanza. Doveva andare avanti con la sua vita.
Passava
un sacco di notti da sola, studiando o leggendo.
Le
stava bene stare da sola.
Lo
era sempre stata.
Ma
le due persone che significavano di più per lei non erano più
a un'ora di distanza, sedute sulle poltrone a guardare il baseball o
le notizie della sera.
Non
c'erano più.
Un
leggero bussare alla porta le fece alzare la testa dalle mani.
Jake
Montgomery infilò incerto la testa in camera.
«Hey»,
disse con gentilezza. I suoi begli occhi blu erano increspati agli
angoli dalla compassione mentre la guardava.
«Ciao»,
disse lei con un respiro tremante e un sorriso poco convincente.
«Mi
ha fatto entrare Sandy»,
disse lui.
Lei
annuì, senza sapere cosa fare.
Jake
era un suo amico già da un po'. Era in una delle associazioni
professionali con Sandy e Isabella era uscita con loro diverse volte
negli ultimi mesi. Isabella sapeva bene che sia Sandy che Jake
pensavano che lei e Jake sarebbero stati una bella coppia.
«Come
va?» chiese entrando
nella stanza. Jake era stato al funerale insieme ad alcuni dei suoi
amici, offrendo sorrisi incoraggianti ogni volta che la guardava.
«Me
la cavo», rispose
spostandosi per fargli posto accanto a lei sul letto.
«È
dura», offrì
lui con empatia. «Stai
andando bene, sei forte, Isabella.»
Lei
sbuffò in disaccordo.
«Hey»,
disse lui dandole una spallata leggera. «Sul
serio.»
Isabella
gli diede un'occhiata con gli occhi gonfi e disse di malavoglia,
«Grazie.»
Jake
annuì e continuò a parlare. «Io
fui devastato quando morì mia nonna, da ragazzino.»
Isabella
non disse nulla, troppo assorbita dalla sua infelicità.
Jake
continuò, mettendosi comodo sul letto. «Ho
scoperto che l'unica cosa che mi aiutava era impedirmi di pensarci
troppo.»
«È
esattamente
quello che sto facendo»,
disse lei con una risata desolata. «Tutto
quello che faccio è pensarci troppo. Non so neanche quando è
stata l'ultima volta che ho sentito
qualcosa.»
Jake
le passò lentamente le dita sulla guancia.
«Be'»,
disse piano, avvicinando il viso a quello di lei. «Io
posso aiutarti a sentire qualcosa.»
La
baciò.
E
dato che lui era lì e lei era sola e i suoi occhi le facevano
credere che gli importasse… lo lasciò fare.
*
Per
un secondo, non poté credere a quello che aveva detto.
Lì,
in piedi sulla porta di una stanza con un letto che le era estraneo,
in una casa che non era la sua, non poteva credere di aver appena
invitato un estraneo nella sua camera alle prime ore del mattino.
Non
un estraneo.
Suo
marito.
L'uomo
che sembrava aver dimenticato come si respirava.
Chiaramente
non si aspettava quell'invito.
Lei
mantenne gli occhi su di lui.
Lentamente,
il viso di lui si scongelò. Chiuse le labbra poi le riaprì
appena, un sopracciglio si alzò mentre la guardava.
Le
sembrò che passassero dei minuti, in quel silenzio pesante, ma
sicuramente non era così. Lei continuò a guardarlo
mentre centinaia di pensieri sembravano lampeggiare attraverso gli
occhi di lui.
«Aye?»
alitò infine lui. «Posso
baciarti, allora, mo
muirmìn?»
Allora
fu lei a restare senza fiato.
Lentamente
annuì.
Un
brivido le scese lungo la schiena mentre lui si chinava verso di lei,
strusciando leggermente le labbra contro le sue. Fu quando le prese
con gentilezza il labbro inferiore tra le sue che lei realizzò
che, tra un bicchiere di whisky e l'altro, lui l'aveva eccitata.
Gli
passò la lingua sulle labbra. Lui emise un respiro pesante,
pericolosamente vicino a un gemito. Sentì le sue mani andare
ai suoi capelli, intrecciarvi le dita e tirarla leggermente dietro il
collo.
Isabella
fu sorpresa quando lui si ritrasse. Ma forzò i suoi occhi
annebbiati ad aprirsi e vide il suo leggero sorriso mentre le baciava
il viso, le guance, la mascella, il mento. Il suo respiro caldo era
sul suo viso mentre lui ne esplorava i contorni, tenendolo con
delicatezza. Chiuse di nuovo gli occhi godendosi la sensazione.
Quando
sentì le sue labbra dietro l'orecchio, aprì di nuovo
gli occhi.
C'era
un'innegabile lussuria negli occhi di lui mentre la guardava con
un'intensità che la stupì e la fece deglutire.
Baciandola, l'aveva tirata contro di sé e poteva sentire il
suo desiderio.
Ma
c'era una lieve esitazione nei suoi occhi, appena una traccia di
incertezza che attirò la sua attenzione.
Questo
era territorio più suo che di lui.
Con
un sorriso, gli prese la mano e lo guidò oltre la soglia,
nella camera da letto che lui le aveva offerto. Lui la seguì
obbediente, dandole una stretta alla mano.
«Cominciamo
così», mormorò
lei alzando la maglietta scura di lui. Lui alzò le braccia per
aiutarla a togliere l'indumento. Per un momento, lei semplicemente lo
ammirò. Era ben costruito. La maglietta era stretta e lei
aveva già visto che lui aveva bei muscoli e niente grasso.
Vedere
per credere.
Questo
pensiero assurdo le filtrò nel cervello e la fece sorridere.
Lui
ricambiò il sorriso appoggiando le grandi mani sui suoi
fianchi. Guardandola con lo stesso sguardo acceso, lentamente lui
alzò la sua felpa e gliela tolse.
Quando
si era tolta il vestito da sposa, mezza ubriaca, aveva lasciato su il
reggiseno bianco senza spalline che le copriva a malapena il seno.
Sorprendendola,
lui la tirò contro di sé che i loro caldi petti nudi
furono a contatto. Lei quasi sospirò a quella piacevole
sensazione, ma lui le passò la punta delle dita sul volto,
tenendo l'altra sulla schiena di lei.
«Io
non mi aspetto questo, Bella»,
sussurrò. «Cristo,
non ti ho sposato con questo in mente, te lo giuro.»
Isabella
sorrise.
«Lo
so.» Anche lei alzò
la mano e gli accarezzò il viso. «E
tu… tu non devi farlo per forza»,
gli sussurrò.
Lui
non rispose subito. Invece, si chinò e strofinò di
nuovo le labbra su quelle di lei. La baciò fino a farle girare
la testa, e lei lo prese come una risposta. Gli passò piano le
unghie sulla schiena, godendosi la sensazione dei solidi muscoli
sotto le sue mani.
Ma
poi di nuovo lui disse qualcosa che non si aspettava e che non capì
del tutto.
«Aye,
ma io mi fido di te, mo
chroi.»
Le
loro labbra si incontrarono mentre lui apriva il gancio del suo
reggiseno, facendolo cadere ai suoi piedi. Le sue mani andarono al
viso di lei e la accarezzarono con reverenza, con un sorriso sulle
labbra. Lei ricambiò il sorriso, un po' impacciata.
La
fece stendere sul letto, baciandola più forte e strofinandosi
leggermente contro di lei. Lei boccheggiò alla sensazione
quando lui le prese il labbro inferiore tra i denti.
Le
prese la mano e le sussurrò sulle labbra, «Fammi
vedere.»
Le
parole furono come un ringhio morbido.
Quando
lui aprì gli occhi, lei sorrise e annuì. Si spostò
così da poter avvolgere le gambe intorno a lui. Lui la
guardò, una domanda nelle iridi brucianti.
Lei
annuì.
Fu
lento mentre entrava, muovendosi con attenzione, come per non farle
male. Mentre prendeva sicurezza e cominciava a muoversi a un cauto
ritmo, lei cominciò a muovere i fianchi per incontrare le sue
spinte, aiutandolo e muovendosi con lui.
Lui
si muoveva con una tenerezza che le fece male al cuore. Sul viso di
lui c'era uno sguardo di meraviglia mentre sperimentava per la prima
volta quella nuova estasi. Sentì un travolgente, sorprendente
affetto per lui, di cui non poteva incolpare il whisky.
Mentre
si muoveva i suoi muscoli si strinsero e lei sentì una
sensazione dolce che cominciava a crescere. Quando sentì che
lui si tratteneva ostinatamente, sussurrò, «Lasciati
andare, Edward. Lasciati andare.»
Lui
emise un gemito che divenne un sospiro prima che i suoi muscoli si
rilassassero.
Isabella
sorrise mentre voltava il suo corpo languido sulla schiena,
appoggiandosi sul suo petto mentre guardava il suo respiro che si
regolarizzava.
«Oh,
Bella»,
sussurrò lui, stringendola a sé e tenendola con
reverenza.
Si
chinò per baciarla sulla testa mentre lei, assonnata, si
accoccolava contro di lui.
«Mo
leannan bhiodheach.»
Prima
di addormentarsi, ricordò quelle parole dalla sua traduzione
dal gaelico.
Mio
bellissimo tesoro.
|
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Capitolo 10 *** Illesi ***
Questa
storia è stata scritta in inglese da 2carm2carm2
e tradotta in
italiano
da beate.
Questo è il link all’originale:
https://www.fanfiction.net/s/13053224/10/The-Whisky-Distiller-s-Wife
10.
Illesi
Charles
Swan era in ritardo.
In
tutta la vita di Isabella, suo padre era stato in ritardo una
manciata di volte.
Pulizia,
devozione e puntualità, diceva sempre.
Perciò
a Isabella sembrava particolarmente strano che suo padre fosse in
ritardo a qualcosa di così importante. Scoccò un
sorriso alla sua futura suocera, Elizabeth Montgomery, mentre portava
alle labbra la sua limonata.
Era
un bel pomeriggio di primavera ed era stata un'idea di Jake quella di
invitare i loro genitori per pranzo al loro country club per
festeggiare il loro recente fidanzamento. I loro padri si erano
incontrati in diversi eventi sociali negli anni passati, si sa che
nella upper class chi si somiglia si piglia, ma mai come futuri
suoceri.
Isabella
guardò l'orologio e si accigliò. Era in ritardo di
dieci minuti.
Jake
e suo padre discutevano del fratello più giovane di Jake, Tom,
e il suo imminente internato che sarebbe cominciato dopo l'estate
alla Bank of America.
Finalmente,
con la coda dell'occhio, vide suo padre che veniva verso di loro, un
gran sorriso in faccia e una bottiglia di vino in mano.
«Michael,
Elizabeth, che bello vedervi!»
esclamò galante, stringendo la mano al padre di Jake e dando a
sua madre un breve bacio sulla guancia.
«Isabella,
sei bellissima», disse
spostandosi per dare a sua figlia un bacio sulla guancia. Diede al
futuro genero una vigorosa stretta di mano prima che si sedessero
sulle loro poltrone.
Un
inserviente fu subito lì.
«Sir,
desidera che la stappi?»
offrì rigido.
«Sì,
cosa ci hai portato Charles?»
chiese Michael guardando la bottiglia.
«È
un Domaine Leroy Richebourg, Grand Cru 1949 dalla Cote de Nuits di
Francia», spiegò
il connoisseur di vini.
Isabella
sbiancò.
Quella
era una bottiglia da 5000 dollari della cantina di suo padre.
«Questo
significa che hai buone notizie dal SEC?»
chiese Jake con un sorriso da lupo. (Security and Exchange
Commission, agenzia governativa che monitora la negoziazione di
titoli e acquisizioni aziendali ndt)
Charles
sorrise indulgente, incapace di mascherare la sua eccitazione. «Ah,
sì, ero in ufficio ad aspettare la chiamata, chiedo scusa per
il ritardo. Il cambio di regole è stato approvato
all'unanimità dal SEC»,
rispose.
«Meraviglioso!»
applaudì Michael.
«Bello!
E questo cosa significa per la vostra impresa?»
chiese educatamente Elizabeth.
«Intermediatori
finanziari come noi possono usare il nostro modello per calcolare il
nostro fabbisogno netto di capitale per il mercato e il rischio
creditizio correlato ai derivati»,
rispose l'executive di Goldman Sachs.
Jake,
evidentemente impaziente di impressionare il futuro suocero, non poté
fare a meno di aggiungere, «Sostanzialmente
questo ridurrà i nostri costi permettendo alle nostre aziende
di usare le nostre pratiche di gestione del rischio interne. Col
cambio di regole, le nostre deduzioni per il mercato e il rischio di
credito sarà più basso. Potremo ricollocare capitali
per finanziare diverse attività commerciali e gestire meglio
il nostro rischio.»
Isabella
e Jake, entrambi al lavoro a Wall Street e fuori dal college, avevano
discusso del possibile cambio di regole, tenendo lì un occhio
mentre preparavano il loro fidanzamento e matrimonio.
Là
dove Jake era elettrizzato, Isabella era più che altro
ambivalente. Se suo padre e il suo fidanzato, due delle persone più
brillanti che conosceva, pensavano che fosse una buona mossa, si
trovava in difficoltà ad andare contro di loro e tutto il
resto di Wall Street. Non era direttamente correlato al suo lavoro di
preparazione del matrimonio, quindi non aveva spazio nel cervello per
analizzare troppo accuratamente.
«Udite
udite! Ora torniamo alla mia bella figlia e al suo futuro sposo»,
disse Charles elegantemente, riempiendosi il bicchiere con uno dei
vini più costosi del mondo. «Ai
bei tempi!»
*
Nella
sua casa natia di Glasgow, avevano un set di cuscini di seta blu sul
divano. Erano appoggiati contro il divano beige nel loro salotto e
avevano sopportato la crescita di tre ragazzini senza strappi o
macchie esagerati, impresa notevole, ora che la considerava. In tutta
la sua infanzia, sua madre non aveva pensato neanche una volta di
rimpiazzarli con qualcosa di nuovo.
Si
era svegliato da un sogno che coinvolgeva quei cuscini, che già
era strano in sé. Ma mentre passava le dita su e giù
sulla schiena nuda di Isabella lentamente capì come mai poteva
aver agito così il suo subconscio.
La
pelle di lei era morbida e liscia mentre gli accarezzava le spalle e
lui sorrise mentre realizzava perché aveva avuto quel sogno
bizzarro sulle scelte decorative di sua madre.
Lei
era morbida come seta.
A
dire la verità, era possibile che tutte le donne dessero
quella sensazione, ma lui non ne era del tutto convinto.
Mentre
muoveva le dita distrattamente, sorrise a se stesso.
Piegò
il collo per guardare sua moglie, attento a non muovere il corpo. Per
quanto ne sapeva, lei si era addormentata sul suo petto e non si era
mossa di un millimetro. Non sapeva bene se era per via del whisky o
se normalmente dormiva così pesantemente, ma il pensiero lo
fece sorridere divertito.
Nonostante
i suoi sforzi, il suo movimento l'aveva disturbata. Si spostò
di qualche centimetro e strofinò il naso sul suo petto,
esalando dal naso.
Lui
si immobilizzò finché fu assolutamente sicuro che
stesse ancora dormendo.
Anche
se era totalmente inesperto, la sua conclusione preliminare fu che
svegliarsi con una bella donna nuda accoccolata contro di lui era un
modo piacevole di iniziare la giornata.
Le
mise una ciocca di capelli che le era scivolata sul viso, dietro
l'orecchio e sorrise.
Forse
il loro poteva essere un matrimonio basato su qualcosa di più
del solo rispetto.
*
Isabella
si svegliò sentendo discutere.
Sbattendo
gli occhi confusa, si guardò intorno, ritrovandosi in un
comodo letto in una stanza estranea. C'era freddo nell'aria, e
rendeva le coperte calde ancora più confortevoli. Si grattò
la testa mentre si guardava attorno. Sentiva dolore dietro gli occhi.
Sentiva
il brontolio delle voci da qualche parte nella casa. Sentiva la voce
bassa di Edward che discuteva con qualcuno dalla voce più
alta. Mentre si strofinava la faccia, riuscì a distinguere
qualche parola.
«Questo
è illegale! Non puoi sposare qualcuno solo per aggirare la
legge, MacDonald!»
Isabella
fu immediatamente allerta.
Riconobbe
la voce di MacLeod. Sembrava avesse deciso di fare una visita agli
sposini, e non necessariamente per congratularsi con loro per la loro
nuova felicità.
La
risposta di Edward fu inafferrabile, ma le sembrò ugualmente
appassionata.
Con
un gemito, Isabella si alzò dal letto. I suoi arti impigriti
si muovevano rapidi nell'aria fredda che le sfiorava la pelle. Con un
ringhio e senza considerare minimamente quanto era accaduto la notte
precedente, afferrò una delle pesanti coperte di lana del
letto, se la arrotolò al corpo nudo e uscì dalla
stanza.
«Ma
falla finita!» esclamò
Edward rabbioso.
«Edward,
tesoro?» chiamò
lei, seguendo le voci, la voce rauca per il sonno. Si sentiva
un'idiota, ma svoltò l'angolo del corridoio e trovò i
due uomini sulla porta.
Edward
si voltò vedendola. «Sì,
mo
leannan?»
Gli
occhi di lui si sgranarono leggermente vedendola con solo la coperta
addosso.
«Che
succede?» chiese lei
con uno sbadiglio.
«MacLeod
stava proprio per andarsene»,
la informò Edward scoccando un'occhiata dura al banchiere in
casa sua. MacLeod guardava lei, le labbra piegate in un ringhio. «Se
non lo facessi?»
Isabella
scivolò a fianco di Edward e lui le mise un braccio intorno
alle spalle, tirandosela vicina.
«Questa
è una cosa diversa tra qui e gli States»,
commentò innocente.
«Cosa?»
chiese Edward, sinceramente curioso.
Isabella
lo guardò accigliata. «In
America la gente non ti piomba in casa senza essere annunciata nel
bel mezzo di una luna di miele. Sarebbe considerato decisamente
maleducato.»
MacLeod
ridacchiò senza allegria. «Luna
di miele? È così che la chiamate?»
Edward
le strinse le spalle con gentilezza, chinandosi teatralmente a
baciarle la testa prima di rivolgersi all'uomo di fronte a loro. «Lei
ha ragione, MacLeod. Ti sei trattenuto anche troppo.»
MacLeod
roteò gli occhi. «Non
finisce qui», promise.
«Non la passerete
liscia.»
Isabella
lo guardò confusa. «Passarla
liscia per cosa?»
chiese, guardando Edward incerta.
Una
parte di lei sapeva che stava calcando un po' la mano.
Alla
parte che stava recuperando la sbronza e che non aveva ancora preso
il caffè, non importava.
MacLeod
rise, un suono cattivo che verbalizzava la sua crescente
frustrazione. «Non so
dove diavolo hai trovato questa stronza, ma è-»
In
un istante Edward aveva sbattuto le spalle di MacLeod contro la
porta, torreggiando minaccioso su di lui. «Tu
non parli in questo modo di mia moglie.»
Lasciò
le sue spalle e spalancò la porta. «Fuori
dalla mia proprietà. Adesso.»
MacLeod
drizzò le spalle e lo guardò in cagnesco.
«Ci
vedremo domani», disse
freddamente. «Quando ti
renderai conto che non hai i fondi per ripagare la RBS, mi aspetto
che tu e la tua finta moglie sgomberiate i locali immediatamente.»
La
faccia di Edward si indurì mentre lo guardava.
«Per
domani pomeriggio, Sleat non avrà più debiti pendenti
con la Royal Bank of Scotland»,
lo informò seccamente Isabella.
«E
tu non sei il benvenuto, qui»,
aggiunse Edward. «Se
torni qui chiamerò la Polizia.»
MacLeod
fece di nuovo quella risata cattiva. «La
Polizia non sarà tua amica dopo questa bravata, MacDonald.
Questo… questo… questo matrimonio forzato
è una truffa! Lo dimostrerò.»
Edward
annuì verso la porta aperta. «Prova
a tornare e li chiamerò. Mi prenderò i miei rischi.»
Con
un ultimo ringhio verso Isabella, MacLeod drizzò le spalle,
girò sui tacchi e uscì. Aveva a malapena varcato la
soglia che Edward sbatté la porta dietro di lui, con più
forza del necessario. Quel colpo rumoroso fu seguito da un lungo
silenzio.
«Grazie»,
disse Edward alla fine.
Isabella
si strinse la coperta attorno, perché la casa era fredda.
Annuì.
Nessuno
disse nulla per un po', invece guardarono in punti diversi del
pavimento. Alla luce del giorno, insieme da soli, erano degli
estranei. La notte scorsa a entrambi si era sciolta la lingua, per la
generosa quantità di whisky e per l'aria di festa, ma alla
luce del giorno, sapevano molto poco l'uno dell'altro, e l'imbarazzo
era evidente.
Edward
si strofinò dietro il collo qualche momento, aprì bocca
per parlare e poi la richiuse.
Isabella
si strinse ancora di più la coperta attorno mentre Edward
faceva scrocchiare la mano destra.
«Be'
io-»
«Dovrei-»
Si
fermarono tutti e due.
«Vai
ava-»
«Che
cosa stavi-»
Bloccarono
di nuovo entrambi il loro discorso.
«Dopo
di te», disse alla fine
Isabella.
«Aye»,
ridacchiò lui nervosamente. «Immagino
che vogliamo fare colazione, adesso?»
Lo
stomaco di Isabella brontolò al pensiero. «Se
per te non è un problema»,
rispose.
Edward
fece un gran sorriso, scegliendo di ignorare quell'imbarazzo. «Mi
hanno detto che è buona norma tenere le mogli ben nutrite…
anche quelle finte»,
aggiunse sfacciato.
Questo
fece roteare gli occhi a Isabella, ma non disputò la
legittimità del consiglio.
«Toast?
Uova? Funghi? Polpette? Salsicce? Porridge? Yogurt?»
chiese dirigendosi in cucina. «Cosa
posso prepararti?»
Isabella
sgranò gli occhi, travolta da tutte quelle opzioni.
Edward
aprì il frigo e cominciò a rovistare mentre parlava per
riempire il silenzio. «Oh,
certo, posso cucinare. Quando ci trasferimmo di nuovo a Skye dopo che
era morta ma’, Lizzie prese me e pa’ e ci insegnò…
disse qualcosa a proposito di Collette che andava nutrita di tanto in
tanto.»
Isabella
si accigliò, ripensando a quello che gli aveva detto sulla
morte dei suoi genitori. Quando si accorse che la guardava in attesa,
rimase momentaneamente confusa. «Oh!
Quello che hai va bene. Grazie»,
disse sedendosi su uno degli sgabelli al bancone.
«Naturalmente,
come risultato della tutela di Lizzie»,
continuò lui tirando fuori delle cose dal frigo, «più
che altro ho imparato a cucinare piatti tradizionali scozzesi che
lei serve alla locanda a turisti e simili.»
Lei
fece un verso di assenso giocherellando con la coperta che aveva
addosso.
«Aye»,
disse lui interpretando quel suono come sorpresa. «Black
pudding, cranachan, zuppa di porri e pollo, sformato di carne,
patate stufate con cipolle, zuppa di pesce affumicato con patate e
porri, e patate e rape, naturalmente.»
«Naturalmente»,
concordò lei.
Lui
ridacchiò sottovoce, tirò fuori delle uova dalla
credenza e si voltò verso i fornelli.
Tornarono
al silenzio mentre lui armeggiava. Fu un silenzio meno impacciato del
primo, e Isabella trovò che non era così sgradevole.
Ma
Edward, dopo qualche minuto, sembrò trovarsi a disagio con
quel silenzio prolungato.
«Collette
ha una stanza qui», la
informò. «Di
sopra. Ma lavora alla locanda con Lizzie da questa estate, da quando
ha compiuto 18 anni, per cui sta là più notti che no.»
Isabella
annuì ma rimase in silenzio.
Lui
le dava le spalle, così non poteva vedere che si era
accigliato.
«Anche
Robert e Ian vivono qui vicino»,
continuò dopo un momento. Mentre lui cucinava con attenzione
una robusta colazione, le parlò della sua famiglia, sia quella
estesa che quella più ristretta.
Più
parlava, più si chiedeva se lei lo stesse realmente
ascoltando.
Ma
le mise il piatto di fronte e quando lei gli offrì un morbido,
sincero «Grazie»,
lui continuò a parlarle, cercando di suscitare una risposta.
Mentre
mangiavano, le disse che Wilson e Donald alternavano il lavoro alla
distilleria con il lavoro alla locanda, mentre Robert e Ian erano
impiegati a tempo pieno alla distilleria prima che l'economia
rallentasse, e adesso lavorava alcuni giorni e alcune notti sulle
barche da pesca a Portree Harbour. Spiegò anche che Robert era
un cugino di secondo grado e Ian un cugino di terzo grado.
Sembrava
che fosse molto a disagio alla luce del giorno, dato che era più
ciarliero di quanto lo avesse mai visto.
Quando
lui finì di parlare, ricadde un lungo silenzio. Isabella, che
aveva giocherellato con le sue uova, alla fine posò la
forchetta.
«Ach»,
fece lui, un verso scozzese. «Cosa
hai fatto sul braccio per rimediare quel brutto livido?»
Isabella
si guardò il braccio, sorpresa che fosse scivolato fuori da
sotto la coperta. Il livido stava svanendo, ma era ancora di un
brutto colore giallognolo.
«Mi
vengono facilmente i lividi»,
replicò lei coprendo il braccio.
«Certo»,
disse lui con uno strano sguardo prima di schiarirsi la gola. «Bene.
Ti ho promesso di farti da guida, giusto?»
Lei
si accigliò, cercando di ricordare tale promessa. «Ieri
sera», disse lui, con
un accenno di risata.
«Oh»,
ricordò lentamente. «Sì…
sì, sarebbe grandioso.»
Edward
si alzò e cominciò a togliere i piatti, ignorando
l'ovvia esitazione nel suo tono. «Potresti
andare a metterti un paio di pantaloni.»
Isabella
si era completamente dimenticata di stare lì seduta avvolta in
una coperta. Quando se ne rese conto, lottò contro il rossore
che le saliva in viso e tenne il mento alto, annuendo, poi si alzò
per andare a vestirsi.
Lasciando
la cucina, avrebbe giurato di sentirlo ridacchiare.
Una
volta infilati giacche invernali e stivali, si avventurarono fuori
per esplorare l'isola, con Edward che guidava la piccola auto a
noleggio di Isabella, accartocciato con le sue lunghe gambe e le
lunghe braccia, ma non sembrava dispiacergli. Le parlò
dell'isola di Skye.
Per
la prima parte della giornata la guidò intorno alla Penisola
Trotternish, accostando di tanto in tanto per indicarle alcune
fondazioni geologiche come Kilt Rock, una scogliera che
effettivamente somigliava a un kilt, e alcune isole sparse
all'orizzonte. Isabella guardava tutto senza dire molto, ascoltando
con attenzione quando lui parlava con il suo strano, smorzato accento
di Glasgow.
Alla
fine Edward si fermò in uno slargo dove erano già
parcheggiate altre due macchine. Isabella si guardò intorno
scendendo dalla macchina. «Una
passeggiata, ti va?»
Lei
rimase in silenzio.
Il
tempo di novembre era mite e le nuvole sparse lasciavano ogni tanto
che il sole occhieggiasse sulle highland. L'aria era frizzante, ma
anche dolce. A lui non dispiaceva quel freddo leggero sulla punta del
naso e sulle orecchie. Mentre camminavano su per la collina, col
verde che svaniva nel marrone, sua moglie non diceva molto.
La
parola 'moglie' gli galleggiò incerta in testa, ancora poco
familiare e scomoda dopo sole 48 ore. Il giorno prima era stato una
girandola, piena di amici e famiglia, bevute e risate.
E
finzione.
Quando
tutto era si era calmato, era ubriaco fradicio di buon whisky, con la
sua sposa davanti al fuoco. Lui stesso aveva avuto a malapena il
tempo di considerare il fatto che era legalmente sposato a una donna
americana sconosciuta, anche se solo per salvare l'azienda di
famiglia.
Quando
la vedeva in questo modo, non poteva certo incolparla per il suo
silenzio.
Però
non si sarebbe tanto turbato, se lei avesse deciso di dire qualcosa.
Non
sapeva praticamente niente di lei, tranne il suo cognome e il fatto
che suo nonno era stato il più vecchio cliente della Sleat,
fino alla sua morte. Voleva sapere di più, ma resisteva.
Conosceva
il tocco delle sue mani e la sensazione delle sue labbra, e anche se
di certo non era poco, alla luce del giorno non era molto per andare
avanti.
Anche
se non aveva molta esperienza con lei, era incline a credere che la
notte scorsa era stata una eccezione, non una regola. Di fronte al
fuoco, le guance rosa per il whisky, era stata affascinante e
divertente e piena di vita.
Lo
aveva portato nel suo letto e le aveva dato quella parte di sé,
come aveva fatto lui con lei. L'aveva stretto e l'aveva toccato,
traendo da lui sensazioni e anche suoni di cui lui non aveva mai
fatto esperienza.
Alla
luce del giorno, si era ritirata in se stessa.
Anche
se annuiva e sembrava ascoltarlo, aveva l'impressione che fosse
completamente da un'altra parte.
Era
una situazione maledettamente strana, ricordò a se stesso.
Mentre
salivano uno dei picchi, lei camminava davanti a lui. Teneva il passo
con lei senza difficoltà, a volte cadendo nel ritmo della
salita, senza concentrarsi su di lei. Altre volte, però,
osservava.
E
anche nel silenzio – specialmente nel silenzio – imparava
cose di lei.
Imparava
che lei era cauta, ma non troppo. Se c'erano delle rocce smosse, si
fermava per mezzo secondo prima di scavalcarle, leggera sulle punte.
Imparava che era ostinata. Dopo un tratto particolarmente ripido, non
si fermava, anche se probabilmente avrebbe dovuto. Imparava che aveva
il senso della meraviglia. Spesso rallentava e si prendeva un momento
per guardarsi intorno e osservare lo scenario, esalando un lungo
respiro. Lui prendeva queste osservazioni e provava a metterle
insieme per capire chi fosse veramente quella donna.
Non
era molto, ma lui era ottimista.
Dopo
circa un'ora, arrivarono in cima e si misero seduti su un masso. Le
nubi si erano assottigliate e il sole era fresco e confortante sulla
sua faccia gelata dal vento freddo. Il Quiraing era bello con ogni
tempo, ma illuminato dal sole ti levava il fiato.
Rimasero
seduti per un bel po' in silenzio. Alla fine il sole si nascose
dietro una nuvola e tutto intorno la luce si attenuò. Isabella
si voltò verso di lui, col viso impassibile. «Qual
è la storia con MacLeod?»
Edward
alzò le sopracciglia, sorpreso a quella domanda.
«Cosa
ti fa dire questo?»
chiese lui, grattandosi la corta barba rossa sulla guancia
Isabella
scrollò le spalle.
«Aye»,
disse lui, considerando.
Lei
aspettò.
«A
dire la verità, non gli sono mai piaciuto molto»,
spiegò grattandosi il mento. «Io
sono cresciuto a Glasgow, non so se lo sai. Aye. Be' dopo che ma’
morì e ci trasferimmo a Skye, io avevo due anni di scuola
ancora, per finire. Non era una scuola molto grande… non lo
so, in realtà. Fin dal primo giorno sembrò che non gli
piacessi. Non ci ho mai pensato molto, in realtà, non puoi
piacere a tutti, no?»
Isabella
annuì.
«Pa’
diceva che era perché era abituato ad avere l'attenzione di
tutte le ragazze a scuola»,
disse ridacchiando. «Non
so se era vero o no, ma non gli ho mai prestato molta attenzione.»
Lei
alzò un sopracciglio, scettica.
«Be'»,
emendò lui. «Non
proprio, ma… ma eravamo abbastanza competitivi. Io andavo
forte con i voti e con l'atletica, e così lui. Immagino ci sia
stata, a volte una sorta di… di rivalità tra noi.»
Isabella
si accigliò.
«Dopo
che Pa’ morì però, Carlisle disse qualcosa tra le
nostre famiglie che andava più indietro di quanto pensassi»,
continuò Edward. «Io
pensavo che McLeod fosse una testa di cazzo naturale. Carlisle mi
disse che c'era qualcosa di più che… drammi scolastici,
suppongo. Penso che la ma’ di MacLeod abbia avuto qualche
pensiero su pa’, a un certo punto, ma non lo so.»
Lei
annuì, sembrava sprofondata nei suoi pensieri.
«E
ad essere onesti, non ho tempo di preoccuparmi di queste cose. Sleat
aveva un debito con RBS già da prima che MacLeod cominciasse –
avevamo allargato la distilleria, l'hai visto nel tour con Jasper,
vero? Dopo che Pa morì e l'economia rallentò, diventò
difficile stare al passo con i pagamenti del prestito… era
grosso.» La guardò
in uno strano modo. «Be',
grosso per noi, almeno.»
Isabella
abbassò gli occhi, a disagio.
«Comunque»,
continuò lui schiarendosi la gola. «Non
appena le piccole imprese sono state colpite dal rallentamento
dell'economia, la RBS si è avventata e prima che me ne
rendessi conto, il debito di Sleat si era triplicato e andava pagato
immediatamente.»
A
questo, lei sospirò e guardò dritto davanti a sé.
«Nessuno
aveva soldi per comprare whisky, né qui né nel resto
del mondo, capisci?»
disse lui. «Tutti i
mercati crollarono, e la gente pensò che l'economia globale
sarebbe crollata con loro. Be', noi non saremo crollati, ma…
ma ti dirò… nessuno ne è uscito illeso,
capisci?»
Isabella
guardava la terra poco familiare intorno a lei.
Quando
parlò, le parole furono così quiete che avrebbero
potute essere anche vento.
«Lo
so.»
|
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Capitolo 11 *** Royal Bank of Scotland ***
Questa
storia è stata scritta in inglese da 2carm2carm2
e tradotta in italiano da beate.
Questo è il link all’originale:
https://www.fanfiction.net/s/13053224/11/The-Whisky-Distiller-s-Wife
11
– Royal Bank of Scotland
ISABELLA
SWAN SPOSA JACOB BLACK MONTGOMERY.
Il
7 di agosto.
“Isabella
M. Swan, figlia di Bianca M. Swan di Palm Beach, Florida, e Charles
J. Swan di New York, New York, sposerà domenica Jacob
Montgomery, figlio di Elizabeth Black Montgomery e Michael B.
Montgomery di Livingstone, New Jersey. Il ministro Patrick Jacobson
officerà la cerimonia che avrà luogo alla residenza
Montgomery in Bedminster, N.J.
La
sposa, 24 anni, continuerà professionalmente ad usare il suo
nome. Lavora a New York come vice presidente di sviluppo e
acquisizioni alla Goldman Sachs, sotto suo padre, capo dell'ufficio
finanziario dell'impresa dal 1994. Si è laureata
all'Università di Pennsylvania, alla Warthon School of
Business.
Lo
sposo, 26 anni, è il Responsabile Globale del Credito
Strutturato nella Divisione Investimenti di Lehman Brothers. Si è
laureato all'Università di Pennsylvania, alla Wharton School
of Business e ha preso il master in Business Administration alla
Columbia. Il padre dello sposo, che è il fondatore
dell'attività immobiliare di famiglia, si è dimesso da
presidente della società l'anno scorso, per i suoi problemi
legali, ma da allora ha ripreso il suo titolo.”
*
La
mattina successiva, i due neosposi erano sulla strada per Glasgow in
corteo. Edward guidava davanti un piccolo, strambo veicolo che
somigliava a un camioncino e Isabella lo seguiva con la sua auto a
noleggio che stava riportando alla Hertz, a Glasgow. La separazione
dei veicoli dava a entrambi tempo per pensare e, per estensione, per
preoccuparsi.
Isabella
passò la maggior parte del viaggio attraverso le highlands
convincendosi che non ci sarebbero stati problemi col prelievo.
Ripassò mentalmente tutte le leggi della finanza
internazionale con cui aveva familiarità e che avevano a che
fare con lo strano scenario in cui si trovavano.
La
conclusione di lei fu che doveva funzionare.
Il
problema con doveva era che era parecchio da basare su un
matrimonio, reale o no.
Quando
uscirono da Barclays con un assegno circolare di 150.000 sterline in
mano a Isabella, Edward esalò un respiro pesante e poi inalò
lentamente. Si voltò verso di lei con un leggero alzarsi delle
labbra e lei ebbe l'impressione che fosse il primo vero respiro che
prendeva da mesi.
Isabella
si sentiva sollevata, ma ancora in agitazione per lo scambio che
aveva avuto col bancario. Non vedendo problemi con la presenza di
Edward accanto a lei, dato che era adesso suo marito, aveva annuito
verso la sedia libera lì vicino mentre l'impiegato tirava
fuori i suoi conti.
«Swan…
Swan», borbottò
il bancario sotto voce mentre muoveva il mouse sul suo desktop.
Con
la coda dell'occhio notò la gamba di Edward che faceva su e
giù incessantemente. I suoi piedi erano piantati a terra, ma
le gambe si muovevano costantemente e tutto il suo corpo era teso
mentre sedeva nel lussuoso ufficio della Barclays nel centro città
di Glasgow.
«Ci
sarebbe il conto congiunto Swan e Montgo-»
«No.»
Isabella
sentì il cuore che cominciava a martellare, ma riuscì a
restare calma. «No, non
quello.»
Il
bancario alzò un sopracciglio, poi tornò allo schermo.
«Naturalmente…
miss...»
«Mrs.
MacDonald», disse con
un forzato sorriso amichevole, guardando in direzione di Edward con
quello che sperò passasse per affetto.
Edward
colse il segnale e ricambiò il sorriso prendendole la mano.
«Aye»,
concordò.
Il
bancario guardò lo scambio col sopracciglio leggermente
alzato. Dopo diversi controlli di identità e risposte a
domande leggermente velate che cercavano ovviamente di chiarire la
situazione, Isabella e Edward uscirono con la busta dell'assegno in
mano.
Se
Edward pensava che c'era stato qualcosa di strano nello scambio col
bancario, non lo diede a vedere. Invece la guidò all'auto
aprendole lo sportello e sedendosi poi alla guida. «Lo
lasciamo da MacLeod e poi torniamo alla Sleat?»
chiese lui.
Isabella
annuì, guardando di fronte a sé.
Edward
sembrò capire che non era in vena di fare conversazione,
nonostante fosse stata sicura e amichevole poco prima, in banca. Si
accigliò mentre usciva dal parcheggio. Non riusciva a capire
cosa le passasse esattamente per la testa mentre guidava per le
strade di Glasgow e si dirigeva di nuovo verso le Highlands.
*
La
fermata alla Royal Bank of Scotland fu fortunatamente senza
incidenti.
MacLeod,
a quanto pareva, non era in ufficio.
Edward
fornì le informazioni necessarie sul prestito mentre Isabella
parlava con voce netta e diretta con la bancaria. La donna sgranò
gli occhi davanti all'assegno, poi guardò alternativamente
loro due, poi lo schermo del suo computer prima di chiedere loro di
aspettare un attimo che chiamasse il suo supervisore.
«Questo
è il protocollo standard?»
chiese Isabella col sopracciglio alzato mentre la mano della donna
aleggiava sul telefono.
«Mi
scusi?» chiese la
bancaria sbattendo gli occhi.
Edward
guardava Isabella con curiosità mentre lei accennava al
telefono.
«RBS
ha l'abitudine di scoraggiare i clienti dal pagare integralmente i
loro prestiti?» chiese
Isabella. «Mi sembra
incredibilmente controproducente.»
«Be'…
be', capisce, dato l'ammontare della cifra, è lo standard
passare per diverse… procedure.»
«Io
so che la maggior parte di queste procedure esistono come misure
anti-terrorismo in relazione ai contanti, non agli assegni»,
disse Isabella sfidandola. «Inoltre,
in confronto ad altri affari e prestiti della RBS, mi aspetto che
questa non sia considerata una cifra così enorme. Mi sbaglio?»
L'impiegata
perse sicurezza di fronte al tono autoritario di Isabella. «Be',
c'è una bandierina sul conto, messa da Mr. MacLeod –
dice che desidera che gli venga notificato ogni grosso rimborso su
questo conto.»
A
quel punto, Edward si alzò in piedi.
«E
allora glielo notifichi.»
«Be',
mm, ci sono diversi, um, essendo un versamento internazionale, e sa
con gli Investimenti Diretti Esteri – potrebbero esserci vari
motivi per cui non può essere elaborato.»
Isabella
si alzò e prese la mano di Edward.
«Se
viene fuori qualcuno di questi motivi, può raggiungerci al
numero di telefono di mio marito. Fino ad allora, penso che abbiate
tutto quello che vi serve. Grazie per il suo aiuto.»
Uscirono
dalla RBS mano nella mano, liberi del debito della Sleat.
Se
Edward si sentiva in colpa per star commettendo una frode, lo ignorò
mirabilmente. Lei sentiva il suo sguardo su di sé mentre
camminavano, come se fosse sorpreso dal suo atteggiamento e dal suo
tono professionale. Sembrava avere delle domande sulla punta della
lingua, ma per qualche motivo, le tenne per sé.
E
lei gliene fu grata.
*
Quando
tornarono a Skye e alla distilleria, era già metà
pomeriggio.
Edward
spense il motore e si grattò dietro il collo.
«Vuoi
fare un tour, allora?»
«Jasper
è stato piuttosto accurato»,
replicò lei.
Edward
annuì. «Aye.»
«Ma
forse potremmo preparare un piano per far affrontare questa
recessione alla Sleat?»
suggerì lei.
«Oh,
aye», concordò
lui rapido. «Va bene,
okay, ti farò vedere i libri così potrai… be',
vedere i dati finanziari.»
Isabella
annuì e lo seguì scendendo dalla macchina.
Jasper
e Ian erano dietro il desk quando entrarono nella lobby dall'entrata
laterale. Le loro teste si voltarono insieme quando la campanella
attaccata alla porta tintinnò. Per un momento, Isabella vide
la preoccupazione sui loro volti.
«Com'è
andata?» chiese Jasper
cauto, uno sguardo grave in faccia.
«Sleat
vedrà un altro giorno per lottare, ragazzi»,
replicò Edward, il sollievo evidente nella sua voce. Diede una
pacca sulla spalla a Jasper e Isabella vide le spalle di lui
rilassarsi, come se si fossero liberate di un peso. Ian tirò
un braccio intorno a Edward, scuotendolo con un gran sorriso in
faccia.
Anche
Isabella non poté evitare di sorridere, anche se si sentiva
un'estranea, in quell'incontro.
Jasper
la guardò e fece un gran sorriso. «E
dobbiamo ringraziare la ragazza Bella per tutto quanto!»
Edward
seguì il suo sguardo su sua moglie e le offrì un
sorriso ugualmente grato.
«Aye,
proprio così.»
E
per la prima volta in tanto tempo, Isabella sentì le guance
scaldarsi sotto i loro sguardi.
«Be',
non ringraziatemi, ancora»,
disse lei sbrigativa. «Sleat
non è ancora fuori dai guai.»
Chiunque,
nel suo passato, sarebbe stato d'accordo – gli affari hanno
molta strada da fare prima di essere considerati stabili. Ma gli
uomini di fronte a lei non erano cresciuti a Wall Street come lei.
Non avevano esperienza di executive development o investimenti
bancari. Non erano addestrati in valutazione di attività
commerciali e proprietà o a gestire investimenti a rischio.
Questo
era il loro sostentamento, e per il momento non sarebbe scomparso.
Questa
consapevolezza lasciò Isabella senza parole.
Edward
sembrò capire, per la maggior parte. Diede una pacca a Ian e
annuì. «Bene,
sono in ufficio, se hai bisogno.»
«Ho
stampato tutti quei documenti che mi hai chiesto»,
disse Jasper. «Non so
cosa significhino per la maggior parte, ma sono là.»
«Grazie»,
disse Isabella con un sorriso. Sentiva un senso crescente di
trepidazione a quello che la aspettava in ufficio.
E
quando lei e Edward entrarono, la sua trepidazione sembrò
giustificata.
Sulla
scrivania stava un grosso scatolone pieno di cartelline, buste e
fogli sparsi, alcuni documenti fermati con delle ricevute, altri
liberi.
Vedendo
l'espressione sulla faccia di lei, Edward trasalì.
«La
maggior parte sono dell'anno scorso»,
spiegò mentre Isabella cominciava a dare un'occhiata ai fogli.
«Pa’ era più
organizzato.»
Isabella
annuì mentre guardava delle fatture di spedizione random.
Edward
si chinò e aprì un grande cassetto della scrivania. Il
cassetto era meglio organizzato rispetto allo scatolone, le cartelle
ordinate e etichettate con una calligrafia precisa. «Questi
sono degli ultimi otto anni, penso. La maggior parte sono di pa’,
ma alcune cose potrebbero essere di Carlisle, ancora prima. Lui può
spiegarti, se trovi qualcosa che non ha senso.»
Isabella
si strofinò la faccia mentre guardava la pila davanti a lei.
«Avete uno stato
patrimoniale?» chiese
lei. «O qualche
documento aggiornato di un bilancio consolidato?»
«Oh
aye», disse Edward
strofinandosi il collo. «Quando
la GRG arrivò, mesi fa… lo stratagemma di RBS, ricordi?
Aye, be', richiesero documenti aggiornati come parte del loro
processo di 'consulenza' per dare una svolta agli affari»,
spiegò con l'amarezza nella voce. «Devono
essere là, da qualche parte. Naturalmente sono di quattro mesi
fa e MacLeod non era d'accordo su come erano stati fatti,o almeno
così ha detto, quindi… non so quanto possano essere
utili.»
Isabella
esalò un respiro e si mise seduta sulla sedia di pelle dietro
la scrivania.
Edward
la guardò grattandosi il mento. A parte una chiara diffidenza
verso il casino disorganizzato di fronte a lei, non riusciva a capire
nulla dei suoi pensieri o se rimpiangesse di essersi infilata in quel
ginepraio.
«Se
vuoi posso darti una mano a capirci qualcosa»,
offrì lui. Si fermò di colpo – non sapeva molto
di lei, ma da come parlava non sembrava una principiante riguardo
alle materie finanziarie.
«Grazie,
ma va tutto bene»,
replicò lei.
«Va
bene, allora. Be', quindi suppongo che ti lascerò… fare
conoscenza con la Sleat. Sarò in distilleria se hai bisogno,
okay?»
Isabella
annuì, guardando una fattura datata tre settimane prima.
«Sì,
be', allora ti lascio.»
*
Come
si scoprì, Sleat in effetti non aveva un piano aziendale.
Isabella
passò quattro ore a smistare tutti i documenti dello scatolone
in categorie generali e sapeva che restava ancora tanto da smistare,
ma mentre identificava e divideva in categorie i documenti, cominciò
a mettere insieme il fatto che Sleat faticava sia per il
rallentamento dell'economia, sia per il fatto che usava un modello di
business che aveva avuto successo nel Novecento, ma che non
permetteva loro di competere nel 2008.
Oltre
queste preoccupazioni, doveva ammettere che MacLeod aveva ragione ad
accusare Sleat per aver fatto dichiarazioni improprie. Una volte
estratte le dichiarazioni dallo scatolone e dato un'occhiata rapida,
individuò subito parecchi errori marchiani che la fecero
trasalire. Era passato un po' di tempo dai suoi corsi di Finanza
Internazionale, ma riusciva facilmente e rapidamente a identificare
gli errori.
Accanto
a lei stava un taccuino con delle note casuali, inclusa una sempre
crescente lista delle cose da fare e parecchie osservazioni su alcuni
documenti che stava guardando. Stava ancora dividendo i documenti in
piccole pile quando qualcuno bussò alla porta. Isabella guardò
sorpresa l'orologio e vide che era passato molto tempo da quando
Edward l'aveva lasciata nell'ufficio.
Una
testa rossa si infilò nella porta.
«Come
va finora?» chiese lui,
con un tono gradevole ma guardingo.
Isabella
guardò i mucchi di documenti di fronte a lei con espressione
neutra.
«Così
male, aye?»
Lei
si fece la nota mentale di lavorare sul suo sguardo neutro.
«È
un inizio», rispose.
Le
labbra di Edward si piegarono all'insù. «Aye.
Non hai fame?» chiese.
«Esme ha chiamato e
potrebbe aver bisogno di aiuto per ripulire dopo i festeggiamenti a
Isles.»
Isabella
annuì, rianimandosi all'idea di rivedere la donna inglese.
Edward
si mise di lato e aprì di più la porta per lei. «E
da quello che vedo, a te potrebbe far bene un buon bicchiere.»
Isabella
esalò un gran sospiro e lo guardò. «Oserei
dire che hai ragione, MacDonald.»
Arrivati
all'Isles Inn, seppero che a Esme serviva solo che alcuni tavoli che
erano stati portati dentro, fossero riportati in magazzino. Edward e
Jasper si misero subito al lavoro, lasciando Isabella e Esme
relativamente sole nel pub. C'erano pochi clienti al focolare, ma
avevano le loro pinte piene e erano immersi nelle loro conversazioni.
Era
sorpresa di come fosse familiare stare nel pub. L'atmosfera era calda
e intima, accogliente in un modo che le fece rilassare le spalle,
almeno un po'.
«Felice
di vederti, tesoro,” aveva detto Esme quando loro tre erano
entrati. Isabella aveva lasciato che la donna la abbracciasse.
«Vieni,
siedi con me», la
invitò caldamente. «Posso
portarti qualcosa da bere? Whisky? Birra? Vino?»
Isabella
scosse la testa.
Intanto
Edward e Jasper cercavano di capire come far passare il tavolo per la
porta. Isabella sentì Jasper tirare una sfilza di parole che
doveva essere gaelico, e che avrebbe scommesso fossero parolacce.
Isabella
si mise seduta dove Esme indicava. Mentre si sedeva, vide che il
tavolo era coperto di varie carte. Incapace di staccare gli occhi,
lesse qualche riga e le sembrò che fossero fatture. Erano
datate sabato e c'erano parecchie tasse ritardate in aggiunta a un
grosso ammontare di alcool con alti prezzi segnati sulla destra.
Il
loro matrimonio.
Esme
si sedette e raccolse in fretta tutte le carte, con aria imbarazzata.
«Per
favore, dimmi quando avrai i costi totali di sabato»,
disse calma Isabella. «Ti
farò un assegno.»
«Oh,
tesoro», disse Esme
facendo un gesto con la mano. «Non
farti problemi.»
«Era…
era il nostro matrimonio»,
tentò di replicare con veemenza, ma si trovò ad
inciampare nelle parole e nella nozione che era sposata. «Questo
non è un tuo fardello finanziario. Pagheremo noi per questo.»
Era
stato un matrimonio semplice – esitò a chiamarlo piccolo
dato che era sicura che la maggior parte dell'isola vi aveva preso
parte - e come tale non poteva essere costato una gran quantità
di soldi. Ma tutti quelli che avevano mai preparato un matrimonio
sapevano che c'erano costi enormi associati a cibo e alcool.
Esme
scosse la testa e replicò con fermezza. «Noi
siamo il padrino e la madrina di Edward. Ce la caveremo in qualche
modo.»
Ma
Isabella vedeva una certa apprensione nei suoi occhi mentre guardava
quei conti.
«Ma
noi-»
«Bella…
so che tutto questo è spaventosamente poco familiare, per te,
e non ti biasimo certo per questo. Detto questo, mi trovo nella
situazione di avere una migliore comprensione delle condizioni
finanziarie di Edward rispetto a te. Questi ultimi mesi sono stati…
tosti. Per tutti noi, in un certo senso. Edward è stato
colpito duramente… non ha i fondi per contribuire e io e
Carlisle non vogliamo che lo faccia. Troveremo un modo per coprire
tutto.»
Isabella
aveva tanti pensieri che cercavano di uscirle dalle labbra e, non per
la prima volta, si ritrovò a non dire nulla.
Esme
sorrise. «Quando
diventi genitore ti abitui a prenderti cura degli altri. È una
strana parte della natura umana che ti viene fuori.»
Non
viene fuori a tutti.
Il
pensiero scivolò fuori dalla sua mente.
«D'altronde…
cosa stai facendo tu per la distilleria? Quello è molto più
importante di questi conti. Sleat è stata la vita di Carlisle
per… 20 anni. E di Jasper fin da quando è stato
abbastanza grande. Tutti e due lavorano altrove quando possono,
ma...» la sua voce si
spense con un desolato scrollare di spalle, un gesto come a dire
cosa puoi farci?
Edward
e Jasper tornarono dentro ridendo. Isabella guardò mentre
prendevano su l'altro tavolo con facilità e Edward faceva un
commento sarcastico sulla carenza di orientamento spaziale di Jasper.
Mentre si muovevano, fu lieta che il suo nuovo marito non vedesse il
suo sguardo, dandole la possibilità di osservarlo con
chiarezza.
Poco
dopo, Edward sentì sua zia e Isabella che chiacchieravano
amichevolmente con qualche bicchiere di vino. Anche se la
conversazione era dominata dall'accento britannico, sentiva anche una
morbida voce americana, di tanto in tanto.
Alice
era tornata in cucina, a pulire o a cucinare, non sapeva. Lo aveva
abbracciato quando lo aveva visto. Lui gli aveva chiesto quando
sarebbe tornata a casa, ma lei aveva ridacchiato e aveva detto che
non aveva intenzione di intromettersi nella loro luna di miele.
Non
riusciva a sentire cosa si dicevano le due donne, non che ci
provasse, ma sembrava che Esme le stesse dicendo quali posti di Skye
attiravano più turisti e in quali periodi, fermandosi
occasionalmente per chiederle se Edward glieli avesse mostrati, dopo
aver saputo del loro giro il giorno prima. Edward sentiva gli occhi
sulla sua schiena, ma non si voltò mentre stringeva la sua
Tennent's Lager.
«Eee.
Ma’ ha trovato una nuova migliore amica»,
commentò Jasper roteando gli occhi. Era seduto accanto a
Edward al bar, bevendo la sua birra e flirtando qua e là con
Fiona.
A
quel punto, Edward diede un'occhiata alle due donne. Esme gesticolava
con gli occhi sgranati mentre Isabella ascoltava e sorrideva. Sua zia
era sempre stata una narratrice – e sembrava che questa cosa
fosse diventata ancora più pronunciata da quando si era
trasferita in Scozia, secondo suo marito.
Tornò
alla sua pinta. «Aye»,
disse sbrigativo.
Quella
a quanto pareva, non era la risposta che cercava suo cugino.
Il
biondo lo guardò sospettoso.
«Allora,
come sta andando fra voi due?»
«Bene»,
disse lui alzando la sua birra. «Date
le circostanze.»
Jasper
evidentemente non era convinto.
«Sembravate
una bella coppia, al matrimonio. Felici l'uno con l'altro»,
commentò. «Adesso
non più tanto.»
Edward
alzò le sopracciglia, fastidio e accento scozzese gli
scivolarono nel tono. «Con
tutti gli amici e i parenti che osservavano ogni mia mossa? Aye, era
meglio che sembrassimo una bella coppia, al matrimonio.»
«Era
tutto uno show?»
insisté lui. «Tutto
quanto? Ti ho visto, socio.»
«Buon
per te, cretino. La tua ma’ sarà contenta che ti
funzionano gli occhi.»
Jasper
ignorò il tono acido nella sua voce.
«È
carina.»
«Già.»
Jasper
aprì bocca, ma Edward continuò.
«Ed
è occupata ad aiutare Sleat. È un accordo commerciale.
Né più né meno.»
Suo
cugino finalmente prese nota del suo tono, riconoscendo che stava
premendo su un nervo scoperto.
«La
ragazza ha un bel culo»,
commentò prendendo un'altra birra.
Si
sentì un colpo e la birra di Jasper finì sulla sua
maglietta.
«Oi!
E questo per cos'è?»
«Chiudi
quella boccaccia! Finta o no, la ragazza è ancora mia moglie.»
La
bocca di Jasper rischiava di aprirsi in un gran sorriso, ma Edward
era già tornato alla sua birra, chiudendo, a quanto pareva, la
conversazione.
Jasper
alzò alle labbra quanto era rimasto della sua birra, e il
bicchiere nascondeva il suo ghigno.
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Capitolo 12 *** Coronato dal successo ***
Questa
storia è stata scritta in inglese da 2carm2carm2
e tradotta in italiano da beate.
Questo è il link all’originale:
https://www.fanfiction.net/s/13053224/12/The-Whisky-Distiller-s-Wife
12
– Coronato dal successo
«Wise
men say, only fools rush in, but I can't help falling in love with
you...»
Isabella
rise mentre Jake cantava e dondolavano avanti e indietro al suono
della canzone di Elvis. Jake arricciò il labbro alla maniera
di Elvis prima di farla girare e poi tirarla contro di sé.
«Cazzo,
sei così bella!»
le alitò all'orecchio.
Isabella
sorrise al complimento.
«Sono
un figlio di puttana fortunato»,
sorrise lui, chinandosi per darle un bacio sulle labbra.
Un
«Aww»
collettivo arrivò da un gruppo di donne che guardavano il loro
primo ballo sulla pista. La proprietà Black Montgomery era
stata trasformata da bellissimo giardino a stupendo luogo di
matrimonio. C'erano fiori bianchi e luci intermittenti ovunque.
«Tua
madre si è davvero superata»,
commentò Isabella, guardando intorno quel luogo fatato.
Jake
le baciò la tempia. «Vuole
solo il meglio per te, tesoro.»
Isabella
scosse la testa, ancora in qualche modo scioccata da quel posto. I
decoratori per cui i loro genitori avevano speso migliaia di dollari,
non li avevano delusi. Tutto il verde era perfettamente curato e
scolpito, tutte le luci e i fiori piazzati alla perfezione. La
magione dei Montgomery sullo sfondo era illuminata da una soffice
luce dorata, dando a tutto il grande giardino un bellissimo bagliore.
Il
Washington Post e il New York Times avevano inviato dei fotografi per
catturare la bella magione e il matrimonio di uno dei più
giovani e ricchi scapoli d'America, Jake Montgomery. Dato che lei era
una figlia di Wall Street di diritto, i Swan e i Montgomery si erano
impegnati al massimo per impressionare la lunga lista di ospiti.
«Certe
cose sono destinate ad accadere»,
cantò lui, intonato, ma con un sorriso goffo in faccia che la
fece ridere. «Di
sicuro.»
Le
ultime parole di Elvis svanirono alla fine e il DJ andò
avanti. «E
adesso, Mr. Swan danzerà con la sua sola e unica figlia, se
Jacob la lascerà andare per qualche momento.»
Jake la afferrò giocosamente per la vita mentre tutti
guardavano e ridevano. «Solo
qualche momento»,
rise il DJ.
Il
papà di Isabella si avvicinò e Jake gli fece un gran
sorriso stringendogli la mano.
«Balliamo?»
chiese suo padre, porgendo le mani aperte. Lei annuì e prese
le sue mani.
Mr.
Swan, uomo ricco e di grande rilievo, sapeva come tenere la pista da
ballo. La fece piroettare da vero esperto e ondeggiò
perfettamente a ritmo mentre tutti quelli che guardavano erano
affascinati dalla dimostrazione di affetto tra padre e figlia.
«Hai
salutato ancora la senatrice Clinton?»
le chiese a voce bassa mentre la canzone rallentava.
Isabella
si guardò intorno, per vedere se riusciva a individuare la
senatrice di New York. «No,
non ne ho ancora avuto la possibilità.»
«Verrò
io con te, dopo questo»,
la informò. «Goldman
Sachs ha bisogno del suo supporto per questa nuova proposta di legge
che sta passando adesso alla Casa Bianca.»
«Okay.»
«Alan
Greenspan è là al bar»,
la informò facendo un cenno in direzione del Presidente della
Federal Reserve. «Dopo
te lo presenterò.»
Isabella
aveva intravisto Sandy che flirtava con uno degli uscieri di Jake e
le fece una risata quando l'altra la notò. Suo padre si
accigliò. «Isabella,
ma mi stai ascoltando?»
Lei
lo guardò e annuì. «Clinton
e Greenspan. Il Presidente Bush non è potuto venire, allora?»
chiese lei ironicamente.
«Mr.
Montgomery dice che manda i suoi saluti e vi fa gli auguri. Aveva una
cena di stato, stasera.»
Isabella
alzò le sopracciglia, ma le riabbassò allo sguardo
tagliente di suo padre. Era in scena, stasera, la bella figlia di
Charles Swan e neo sposa della prossima grande novità di Wall
Street, il golden boy Jacob Montgomery.
«Tuo
marito lo capisce»,
commentò a voce bassa mentre la faceva girare.
Isabella
seguì il suo sguardo e vide Jake con il CEO di Goldman Sachs,
che rideva e lo affascinava, come fossero vecchi amici. Era un
networker naturale (networker = persona che coltiva contatti
sociali in vista di possibili vantaggi professionali ndt), e
dopo 30 secondi di conversazione con un potenziale rapporto di
affari, sembravano già grandi amici.
«Starai
bene con lui»,
le disse con sincerità. «Sarete
coronati dal successo, insieme.»
*
Lei
era di nuovo silenziosa.
Sempre
così dannatamente silenziosa.
Edward
aprì la porta e si spostò di lato, facendo entrare
Isabella prima di lui. La casa era rimasta vuota fin da quando erano
partiti per Glasgow la mattina presto, ed era fredda. Lui posò
le chiavi e cominciò ad accendere le luci, per cominciare.
«Posso
accendere il fuoco»,
disse. «Se
vuoi.»
Lei
sembrava riluttante a togliere il cappotto mentre lentamente lo
sbottonava.
«Come
vuoi»,
disse, anche se stava rabbrividendo.
Edward
la studiò per un momento, cercando per la centesima volta di
capirla. Lei lo notò e spostò lo sguardo, a disagio con
quello scrutinio.
«Vuoi
altro vino? Ho la stessa roba che stavi bevendo con Esme, è il
suo preferito… sono sicuro che te l'abbia detto. Penso venga
dall'Austria. Roba buona. Lo prendo dalle spedizioni dell'Isles Inn
quando arrivano, Carlisle lo fa portare.»
Stava
straparlando, e lo sapeva.
«No,
è tutto a posto»,
rispose lei.
«Posso
offrirti qualcos'altro?»
chiese con un leggero sorriso. «Sei
a casa di un distillatore di whisky, quindi di quello ne abbiamo, ma
posso darti della birra, se preferisci.»
Lei
scosse di nuovo la testa.
«Sto
bene così, grazie.»
A
questo, gli cadde un po' il cuore.
Non
era certo suo intento farla ubriacare. Era un pensiero orribile in sé
che qualcuno facesse una cosa simile a una ragazza in una terra
sconosciuta e si sentì a disagio considerando che quello fosse
lontanamente il suo intento.
Ma
lei era più morbida, più leggera quando era stata un
po' ubriaca la notte delle loro nozze. Aveva riso e scherzato e aveva
le guance rosate. Diceva troppo spesso “molto bello”
e c'era curiosità nei suoi occhi e un morbido sorriso sul viso
quando ascoltava.
Lo
aveva completamente affascinato.
Non
doveva essere stato un gran lavoro per lei. Era stato senza sforzo.
Era
lei.
Ma
il giorno prima del matrimonio e i giorni successivi erano stati
molto diversi.
Era
distante e controllata. Era educata, mai rude o scostante. Ma di
certo ritirata, come se ci fosse una parte di lei, una gran parte di
lei, che nascondeva dietro un muro invisibile.
E
lui sentiva che quella notte era stata la vera lei, anche se
l'evidenza mostrava che era stata solo una donna ubriaca, niente di
più.
«Vuoi
vedere qualcosa alla tv? Posso mostrarti come usarla, se vuoi.
Trasmettono anche degli show americani qua e là, possiamo
trovarli.»
Lei
si strinse le braccia addosso, ancora con il cappotto su.
«Apprezzo,
ma sto bene così.»
Edward
annuì con un'espressione neutra.
«È
stata una giornata lunga»,
disse lei. «Penso
che andrò a dormire.»
«Aye,
certo.»
Calcolò
mentalmente la quantità di indumenti puliti che gli erano
rimasti di quelli che aveva preso al volo quando le aveva lasciato
la sua stanza. Secondo i suoi conti, gli rimanevano due giorni di
biancheria pulita prima di dover prendere altra roba.
«Hai
bisogno di qualcosa?»
chiese lui.
A
questo, Bella gli fece un piccolo sorriso. Era il primo sorriso con
un po' di emozione in tutta la giornata, e fu sorpreso di vedere
della tristezza nei suoi occhi.
«Grazie,
Edward. Sto bene.»
Lui
stava nella terza stanza da letto della casa, la più piccola,
quella che era stata di Alice quando era più giovane, prima
che lei si trasferisse nella vecchia stanza sua e di Emmett quando
era morto il loro papà. Lei aveva insistito che si trasferisse
nella stanza del padre, dicendo che era più grande e il letto
più comodo, e che lei si sarebbe sentita più al sicuro
con lui nella stanza più vicina alla porta. Non sapeva bene se
c'era stata un po' di manipolazione da parte sua per fargli lasciare
la stanza di sopra.
Dopo
qualche notte nella stanza, di sicuro capiva perché lei se ne
fosse voluta andare. Era una stanza d'angolo, con vecchie finestre
piene di spifferi su ogni parete. Era la più lontana dal
riscaldamento centrale della casa ed era piena di correnti d'aria. Le
finestre andavano cambiate con altre di miglior qualità da
anni, ma non avevano avuto i soldi.
C'era
un letto singolo, una piccola scrivania e un cassettone. Il pavimento
di legno scricchiolava e lui rabbrividiva a quel rumore che sembrava
così forte alle sue stesse orecchie. Se si stendeva , i suoi
piedi pendevano dal fondo del letto. Ma era troppo stretto perché
si raggomitolasse sul fianco. E Alice a quanto pareva non esagerava
quando diceva che il materasso sembrava pieno di freddi pesci morti.
Non
si sarebbe mai sognato di dare questa stanza alla sua nuova moglie.
Era
fredda e solitaria, abbandonata, al contrario del resto della casa,
che era accogliente.
Lui
sapeva ancora così poco di lei, ma che fosse dannato se quello
di cui aveva bisogno era freddo, solitudine e abbandono.
Così
si sistemò nel letto senza lamentele da parte della sua
coscienza. Aveva trovato delle coperte extra che Esme gli aveva
mandato l'inverno scorso. Erano pesanti e gli tenevano caldo, e
rendevano la stanza non così male, alla fine.
Mentre
chiudeva gli occhi e i suoi pensieri cominciavano ad andare da tutte
le parti, sentì il desiderio di familiarità della sua
stanza. Ma mentre, assonnato, seguiva quella linea di pensieri, la
sua nostalgia non era per il suo letto matrimoniale con un materasso
migliore.
No,
lui sentiva uno strano e sempre più familiare desiderio per
quello che c'era nel suo letto.
Non
lo capiva, ma sapeva che voleva conoscerla. Voleva capire meglio
questa donna audace, bella e testarda con cui condivideva il tetto.
Voleva conoscerla così da poterla fare felice… o almeno
contenta.
Per
ragioni che lui doveva ancora capire del tutto aveva messo in gioco i
suoi soldi, il suo tempo e il suo corpo… tutto quanto.
Voleva
darle tutto quello che poteva, molto poco rispetto a tutto quello che
aveva fatto lei.
Quando
lei si era ritirata per la notte, lui era rimasto in piedi. Si
sentiva irrequieto, anche dopo la giornata che aveva avuto. Spostò
dei mobili solo per spostarli e pulì aggressivamente la
cucina, attento a non fare troppo rumore. Tirò fuori la sua
frustrazione con lo sporco e la ruggine accumulati negli angoli più
nascosti della cucina.
Se
doveva essere onesto con se stesso, la sua frustrazione quasi
sicuramente nasceva dalla confusione che sentiva per tutta quella
situazione.
La
confusione e il dolore.
Il
dolore veniva dalla sensazione di rifiuto di Isabella, che lo aveva
chiuso fuori.
Non
era sicuro che fosse pentita di averlo preso nel suo letto, ma di
sicuro cominciava a sembrare proprio così. Il suo orgoglio era
ferito alla possibilità di essere stato un amante orribile, il
che, se era onesto con se stesso, non era al di fuori del campo delle
possibilità, dato che lui era nuovo del gioco.
Ma
una parte più profonda di lui era ferita e confusa all'idea
che non erano state solo le sue azioni, ma lui stesso a giustificare
pentimento da parte sua.
Qual
è il tipo di uomo che approfitta di una donna ubriaca e
vulnerabile?
Era
così che l'aveva vista la mattina dopo?
Fece
una pausa.
Si
sarebbe sbagliata se l'avesse vista in questo modo?
Edward
non realizzò che stava strofinando una macchia che era
scomparsa diversi minuti fa.
Quando
aveva finalmente cominciato a sentirsi stanco, aveva finito di
strofinare il lavello e poi aveva spento le luci e si era avviato
verso il primo piano.
Quando
passò davanti alla stanza da letto principale, vide una lama
di luce che brillava sotto la porta.
Si
accigliò realizzando che lei era ancora sveglia.
Era
andata a letto due ore fa.
Con
un sospiro, continuò verso la sua stanza.
Non
gli venne in mente che lei potesse averlo sentito nel corridoio e
fermarsi davanti alla sua stanza.
*
Alle
prime ore del mattino, non c'era una sola luce accesa nella casa
situata nel borgo sparpagliato di Fasach sulla penisola Durnish
dell'isola di Skye.
La
casa stava risoluta contro il freddo della notte di novembre.
E
tutti e due gli occupanti giacevano svegli.
Lui
con la sua crescente sensazione di rimpianto.
Lei
con i suoi fantasmi.
|
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Capitolo 13 *** Frutti di mare ***
Questa
storia è stata scritta in inglese da 2carm2carm2
e tradotta in italiano da beate.
Questo è il link all’originale:
https://www.fanfiction.net/s/13053224/13/The-Whisky-Distiller-s-Wife
13
– Frutti di mare
Isabella
non riuscì a restare fino all'ultimo ballo del suo matrimonio.
A
metà del ballo il suo nuovo marito era sparito. Lei era
troppo occupata a essere presentata a banchieri importanti, uomini
d'affari e avvocati con suo padre per notare che non c'era più.
A parte la prima danza, non aveva più ballato con lui e aveva
invece fatto pubbliche relazioni con un bicchiere di vino bianco in
mano per quasi due ore. Mentre continuava ad accettare
congratulazioni, cominciò a chiedersi che fine avesse fatto.
«Vai
a cercarlo», la istruì
suo padre. «C'è
un membro del Congresso che voglio che tu conosca, e deve conoscerlo
anche Jacob.»
Con
un sorriso educato e un cenno della testa, si voltò e si
diresse verso la grande magione. Dando un'occhiata rapida per vedere
che nessuno stesse guardando, buttò giù il resto del
vino e mise il bicchiere vuoto sul vassoio di un cameriere che
passava.
Dentro,
Sandy la stava cercando. «Oh,
eccoti! Jake ti vuole di sopra nella vostra stanza»,
le disse in fretta.
Isabella
annuì, tirando su il vestito gigantesco e gonfio che indossava
e salendo la grande scalinata. Le ci volle un po' ad arrivare di
sopra per il semplice peso del vestito e l'altezza dei tacchi. Mrs.
Montgomery lo aveva disegnato con Vera Wang ed era un bellissimo
abito su misura, ma era anche straordinariamente pesante.
Il
fratello più giovane di Jake, Tom, aprì la porta non
appena bussò. «Oh,
eccoti qua!»
«Che
c'è che non va?»
chiese lei.
«È
Isabella? Isabella, baby? Isabella ho bisogno di te.»
Isabella
scambiò uno sguardo con Tom prima di oltrepassarlo e dirigersi
in bagno, dove Jake sedeva per terra, la testa appoggiata sulla
tavoletta del water. Il suo compagno di college, Bollig, era vicino a
lui e fumava un sigaro. Il fumo aveva formato una nebbia in bagno che
fece arricciare il naso a Isabella.
«Ci
penso io adesso», gli
disse mentre lui sbuffava una tirata. «Vai
fuori con Tom.»
«Ecco
perché ti ama!»
rise Bollig, saltando giù dal lavabo su cui era appollaiato.
«Ci vediamo dopo,
Jakey-boy!»
«Isabella»,
borbottò in un gemito. «Isabella,
baby, ho bisogno di te.»
Con
un sospiro, Isabella si accovacciò accanto al suo pallido
marito. «Sono qui»,
disse.
«Dio,
sei ancora così eccitante»,
alitò guardandola, prima di chiudere gli occhi. «Non
vedo l'ora di tirarti fuori da quel vestito e-»
Il
suo pensiero fu interrotto da un attacco di vomito che gli spingeva
in gola. «Water!»
gridò lei prendendogli la testa per assicurarsi che vomitasse
nel water e non in giro in quel bellissimo bagno bianco.
Jake
era così ubriaco che non riusciva neanche a tenere su la
testa, si rese conto lei. Con un pesante sospiro calciò via i
tacchi e cercò di manovrare per tenergli su la testa mentre il
suo stomaco si svuotava. Così vicina, sentiva la puzza di
alcool e fumo di sigaro che aveva addosso.
«Hai
notato che Madison non si è fatto vedere?»
farfugliò lui dopo aver finito di vomitare. «Quel
bastardo del cazzo.»
Isabella
non commentò il fatto che il Presidente di Harvard non si
fosse visto.
Jake
cominciò con i singulti.
«Cazzo,
sto di merda»,
bofonchiò tra i singulti.
«Quanto
hai bevuto?»
«Che
cazzo ne so», borbottò
cercando di appoggiare la testa sul water.
Isabella
sospirò e si sistemò sul pavimento del bagno mentre lui
alternava vomito e lamentele su vari aspetti del matrimonio che non
erano andati come voleva lui. «La
mia bistecca era fredda quando mi è arrivata»,
gemette a un certo punto.
Poco
dopo, Isabella era abbastanza certa che non gli fosse rimasto nulla
da vomitare e cercò di farlo alzare per portarlo sul loro
gigantesco letto a baldacchino e farlo dormire un po'.
«No,
no, no. Ferma!» si
rifiutò lui. «Resto
qui. Lasciami in pace.»
Con
un altro sospiro, Isabella alla fine lo lasciò stare,
acciambellato sul pavimento del bagno nel suo smoking costoso. Lei si
lavò dalla faccia tutto il trucco pesante e poi tentò
di uscire dal suo vestito.
Era
attentamente allacciato e infiocchettato e lei non riusciva a
raggiungere i lacci. Con lacrime di frustrazione agli occhi, non
trovò il coraggio di lasciare la stanza, dove tutti li
credevano immersi nella nuova felicità coniugale, per chiedere
a qualcuno di aiutarla ad uscire da quel vestito enorme. Per quanto
si agitasse e contorcesse, non riuscì a venir fuori da quella
massa di seta bianca.
Alla
fine si mise sul letto da sola nel suo enorme vestito e chiuse gli
occhi, passando la sua notte di nozze in sprazzi di sonno interrotti.
*
Nei
giorni seguenti, Isabella cadde in una sorta di routine.
I
giorni cominciavano con lei si svegliava da un sonno agitato, per
niente riposata, ma abbastanza ostinata da alzarsi comunque e
affrontare la giornata. Gli scozzesi, in genere, erano un po' più
lenti ad alzarsi di un banchiere di investimenti di Wall Street e
preferivano cominciare la giornata ben dopo le nove.
Quando
aveva fatto la doccia e si era vestita, Edward aveva già
preparato la colazione per lei. Aveva preso l'abitudine di aspettarla
con una tazza di caffè in mano che le passava non appena
entrava in cucina. Lei lo prendeva con un cenno di gratitudine, e lui
la ricambiava con un sorriso.
Dopo
colazione, salivano in auto e andavano alla distilleria. Edward
l'accompagnava in ufficio, che aveva preso l'aspetto di una specie di
sala operativa, e la lasciava con l'offerta di assisterla e un cenno
incerto della testa quando lei educatamente declinava.
Poi
c'era il processo inverso all'ora di cena, quando tornavano a casa.
Anche
se c'era questa sorta di routine, lei si sentiva ancora sbilanciata.
La
loro notte di nozze le aveva smosso dentro emozioni e pensieri che
per lei era stato facile seppellire e lasciare sepolti.
La
finestra dell'ufficio dava sul lago su cui era costruita la
distilleria. Era un lago così piccolo che, se non c'era molto
vento, era immobile e rifletteva le highland che lo circondavano. Più
di una volta si era trovata a fissarlo, persa nei pensieri.
Era
clamorosamente e orribilmente bloccata.
Veniva
spinta così duramente nel passato, dentro memorie che
diventavano sempre più oscure, mentre ci pensava. La tenevano
i ostaggio, non permettendole di fare altro che rivivere e
riconsiderare così tanto di ciò che pensava fosse
certo.
Dall'altra
parte della medaglia, c'era un richiamo, un'attrazione – verso
adesso, e verso il futuro. La notte del suo matrimonio, danzando e
bevendo con amici e famiglie che non aveva mai conosciuto, era stata
contenta – così contenta che le mancava il respiro, se
ci pensava.
C'era
un richiamo verso la vivace donna inglese e suo marito e suo figlio.
C'era
un richiamo verso i chiassosi cugini che sentiva all'ingresso
salutare gli ospiti.
C'era
un richiamo verso l'uomo che la guardava con occhi gentili e cercava
costantemente di assicurarsi che avesse tutto ciò che le
serviva e che fosse ben nutrita.
C'era
un richiamo verso la notte che avevano passato insieme, ubriachi o
no.
Ma
l'impulso a ritrarsi era altrettanto forte e molto più oscuro.
Era
una battaglia costante nella sua mente, una battaglia di cui si
sentiva spettatrice, piuttosto che un generale con qualche controllo.
La
battaglia la travolgeva, consumava la sua energia e la lasciava
paralizzata.
Di
notte, da sola nel suo letto, il ritrarsi vinceva ogni volta. La
sbatteva nel passato così forte da darle un colpo di frusta.
E
le faceva sentire così tanta rabbia.
Lacrime
calde e furiose le rigavano il viso più notti che no, perché
si sentiva impotente a bloccare l'assalto della sua vita e perché
non voleva pensare a tutto quello che era stata.
Lontano
da tutto, tutti i soldi e tutta l'avidità, riusciva a vedere
con chiarezza.
E
mentre esaminava cosa era stata la sua vita, si arrabbiava.
Non
era stata per niente la donna che disperatamente avrebbe voluto
essere.
Né
la donna che progettava di diventare. Né la donna che era
stata cresciuta per essere.
Diventava
difficile respirare quando indugiava troppo in questa linea di
pensieri.
Cosa
avrebbero detto i suoi nonni?
Quel
pensiero riecheggiava nella battaglia giorno dopo giorno.
Ed
era difficile respirare perché lei sapeva cosa avrebbero
detto.
E
lei non li aveva mai delusi, finché erano in vita.
Era
dura realizzare che l'aveva fatto dopo che erano morti.
Nonostante
tutto il caos che regolarmente la paralizzava, cercava di seppellirsi
nel lavoro, e a volte anche con successo. Le ore passavano mentre lei
era persa in tutti i documenti che le raccontavano la storia della
distilleria scozzese e poteva arrivare la luna prima che lei se ne
accorgesse.
Comunque,
sentiva ancora di non aver fatto progressi.
Il
venerdì, una settimana dopo il suo arrivo sull'isola di Skye,
bussarono alla porta dell'ufficio verso l'ora di pranzo.
«Avanti»,
disse quando fu chiaro che era una richiesta di permesso e non un
avvertimento prima che la porta venisse aperta.
Edward
entrò con un cartone di take-away tra le mani.
«Ricordi
il consiglio che mi hanno dato, che è buona pratica tenere la
moglie ben nutrita?»
disse un po' timidamente porgendo il contenitore.
Isabella
si strofinò le tempie stancamente ma non resisté a
offrirgli un sorriso.
Edward
appoggiò il contenitore sulla scrivania davanti a lei.
Curiosa, lei lo aprì. Uno spiegamento di frutti di mare la
salutò: cozze, capesante, granchi, ostriche, gamberi e quello
che sembrava salmone affumicato. Era così pieno che un gambero
cadde sulla scrivania quando aprì il cartone.
«Non
ero sicuro che ti piacessero i frutti di mare»,
disse strofinandosi dietro il collo. «Se
preferisci qualcos'altro non ci sono problemi.»
«Grazie»,
disse lei. «Sembra
meraviglioso.»
Edward
annuì e si voltò per andarsene.
Un
verso di protesta le uscì dalle labbra, facendolo voltare e
guardarla confuso.
«È
troppa roba per una persona sola!»
esclamò lei.
Edward
sbatté gli occhi sorpreso.
«Ah,
be'», disse lui. «Sei
così minuta che ho pensato ti avrebbe fatto comodo.»
Lei
alzò un sopracciglio. «Chiunque
ti abbia dato il consiglio di tenere tua moglie ben nutrita, non ti
ha anche detto di tenere per te i commenti sul suo peso?»
Un
lento sorriso si allargò sul viso di Edward.
«No,
questa devono essersela scordata.»
Isabella
guardò puntuta al cibo e poi alla sedia di fronte alla
scrivania.
Nel
giro di poco, Edward era seduto di fronte a lei e avevano mutuamente
stabilito quale zona del cartone fosse per i gusci e le parti
inedibili dei frutti di mare. Isabella sapeva che stava prendendo
tutti i gamberetti ed evitava le ostriche, ma a Edward non sembrava
dispiacere.
Fu
un silenzio amichevole mentre mangiavano. Isabella si godeva il cibo
e la tregua che le forniva quella distrazione e non notò
neanche gli occhi di Edward che vagavano per la scrivania.
«Ooch!»
grugnì quello strano verso scozzese. «Quella
è la tua lista delle cose da fare?»
Isabella
seguì il suo sguardo verso il foglio su cui aveva cominciato a
scrivere ai margini e trasalì. Quando lo guardò, c'era
ostinazione nello sguardo di lui.
«Di
sicuro c'è qualcosa che posso fare per esserti utile, Bella.»
Isabella
diede un morso alla capasanta, non rispose subito.
Anche
se lo ammirava e di certo ammirava il whisky che produceva, era
piuttosto guardinga sulla sua utilità in relazione a qualunque
cosa che richiedesse un po' di acume finanziario.
Come
leggendole la mente, lui replicò, «Qualcosa
che non abbia a che fare con i flussi di cassa.»
Isabella
diede un secondo morso alla capasanta e si pulì le dita sul
tovagliolino. Guardò giù la sua lista e poi lui,
vedendo l'espressione determinata dei suoi occhi.
Nei
giorni scorsi, Edward era diventato più quieto con lei. Poteva
essere presa da quello che stava facendo, ma era ancora una buona
osservatrice. Lui continuava a sorridere e a tenerla ben nutrita, ma
i suoi tentativi di attirarla nelle conversazioni erano diventati più
rari. Temeva che fosse perché era stata una pessima
conversatrice, ultimamente.
Vedendo
quel suo sguardo determinato e concludendo che non aveva motivo di
renderlo ancora più infelice, concesse.
«Devo
smistare tutta quella roba»,
disse guardando i due scatoloni pieni fino all'orlo di documenti.
«Non solo per anno, ma
per tipo di dichiarazione, che siano spese per le forniture o
estratti conto bancari o fatture di fornitura dei grossisti. Ci ho
dato un'occhiata, e non c'è né capo né coda in
tutta quella roba.»
«Be',»
disse Edward, «immagino
di aver fatto io tutto quel casino e spetta a me ripulire.»
Isabella
non rispose. Lui prese una cozza e prima di infilarla in bocca la
guardò serio e disse, «Ti
aiuterò, di qualunque cosa tu abbia bisogno, Bella.»
Poche
ore dopo, nel pomeriggio, Jasper apparve con due bicchieri di whisky.
«Hey boss – e
boss lady», aggiunse
con un sorriso rivolgendosi a Isabella. «Pa’
ha detto che se stavate lavorando in ufficio vi dovevo portare
questo.»
Edward
ghignò e prese il bicchiere. Quando Jasper si voltò e
vide che Isabella stava per rifiutare, la fermò. «Ha
pensato che potevi non essere incline e mi ha detto di ricordarti
delle magiche proprietà del whisky di… far scorrere la
vena creativa.»
Isabella
alzò le sopracciglia e guardò lui e il suo sorriso
premuroso. Alzando gli occhi al cielo, prese il bicchiere. Suo nonno
aveva detto un'esagerazione simile sull'utilità del whisky, e
questo, pensandoci, la fece sorridere.
Vuotato
il bicchiere e mettendosi al lavoro sulle centinaia di documenti
random di fronte a lui, Edward cominciò a canticchiare.
Isabella lo guardò sorpresa, ma lui non se ne accorse e
continuò a canticchiare mentre lavorava.
Dopo
qualche minuto, Isabella fece un sorriso ironico. «Puoi
mettere della musica, se vuoi.»
Edward
alzò lo sguardo, stupito.
«Och,
scusa. Non mi ero reso conto che lo stavo facendo.»
Isabella
fece un cenno verso la radio in un angolo della stanza. «Non
mi dispiace.»
«Ah,
va bene allora, se ti va.»
La
radio BBC Gaelic riempì la stanza mentre lavoravano, suonando
un mix di musica vecchia e nuova, qualcosa che Isabella riconobbe e
qualcosa no. A dire la verità, non prestava molta attenzione
alla musica, completamente assorbita dai suoi pensieri.
Come
d'abitudine, lanciava occasionalmente uno sguardo al lago, che le
ricordava sempre casa sua, le estati con i nonni vicino al lago.
Era
così presa dai suoi pensieri che non si rese conto per un po'
che nell'ufficio c'era un suono in più.
Edward
stava cantando.
Tamburellava
le dita cantando a bassa voce, con un bell'accento scozzese, insieme
ai Proclaimers mentre guardava il documento che aveva di fronte.
«Camminerei
500 miglia e poi altre 500, solo per essere l'uomo che...»
La
sua voce si spense all'improvviso quando si accorse che lei lo stava
guardando.
«Oh»,
disse. «Scusa.»
Isabella
fece un gran sorriso. «Non
smettere per me.»
Lui
non ricominciò subito a cantare, aveva invece un sorriso
timido in faccia. «Tutti
quelli che nascono in Scozia conoscono quella canzone.»
«Don't
Stop Believing in America è la stessa cosa da noi.»
«Aye?»
chiese lui.
«Aye»,
disse lei con un sorriso giocoso in faccia.
Tornò
il coro e Edward si unì ai cantanti scozzesi con un sorriso.
«Solo per essere
l'uomo che ha camminato per mille miglia...»
Isabella
non poté evitare di mettersi a ridere mentre lui continuava a
colorire col suo accento scozzese la canzone. Edward la guardò
piacevolmente sorpreso quando sentì quella risata, poi
rapidamente tornò con gli occhi al suo documento, cantando con
un po' più di entusiasmo.
Dopo
i Proclaimers arrivarono altre canzoni più vecchie e
tradizionali. Con sua sorpresa, Edward le canticchiava quasi tutte,
riconoscendo chiaramente la melodia. Cantò tutte le parole di
“I Belong to
Glasgow” (Io
appartengo a Glasgow ndt) sempre ondeggiando la testa avanti e
indietro.
Isabella
cercò di non guardare, ma il modo in cui cantava di pancia con
quell'accento scozzese era sorprendentemente affascinante, per non
dire anche divertente.
Se
gli dispiaceva la sua attenzione, non lo diede a vedere.
«But
when I get a couple of drinks on a Saturday, Glasgow belong to
meeee.»
(ma
dopo un paio di bicchieri al sabato, Glasgow appartiene a me ndt)
«Ma’
amava questa canzone»,
spiegò quando la canzone svanì. «Tutta
questa stazione radio, veramente. Era sempre accesa in casa, mi
faceva diventare matto.»
«Lei
era di Glasgow, vero?»
Edward
annuì. «Aye. Non
solo era di lì, ma cantava sempre questa canzone a mio padre,
dicendo che lei apparteneva a Glasgow, che le piacesse o no.»
«E
lui ha lasciato Skye per lei?»
Edward
sorrise con affetto.
«Aye»,
rispose. «Penso che
niente al di fuori di Ma’ avrebbe potuto smuoverlo da Skye. Ma
lui avrebbe fatto qualunque cosa per lei.»
Un sorriso malinconico apparve sul suo volto mentre pensava ai
genitori.
Anche
Isabella sorrise.
«Anche
Ma’ lo sapeva»,
aggiunse. «Disse a
Collette di non accontentarsi mai di niente di meno, in un ragazzo.»
Il
sorriso non svanì subito dal viso di Isabella, ma sentì
l'impulso di accigliarsi.
L'uomo
di fronte a lei era cresciuto in una famiglia con genitori che si
adoravano. Probabilmente aveva progetti e sogni per la famiglia che
avrebbe avuto, a giudicare da come parlava di loro. Ed eccola, di
nuovo a sentirsi orribilmente indegna, inadatta a quei sogni e non
ricordando più neanche i suoi, di sogni.
Tanto
tempo fa erano stati simili a quelli di lui, ne era certa.
Voleva
un amore come quello dei suoi nonni.
Voleva
una casa piena di risate e calore.
Ma
da qualche parte, lungo la strada, aveva perso tutto.
|
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Capitolo 14 *** Lutto ***
Questa
storia è stata scritta in inglese da 2carm2carm2
e tradotta in italiano da beate.
Questo è il link all’originale:
https://www.fanfiction.net/s/13053224/14/The-Whisky-Distiller-s-Wife
14
– Lutto
«Di
nuovo diamo il benvenuto a tutti voi, e grazie ancora per aver scelto
Delta Airlines. Abbiamo finito di imbarcare tutti quelli che avevano
bisogno di assistenza e ora vorremmo estendere l'invito a tutti gli
altri nella nostra Prima Classe Zona A a cominciare a imbarcarsi.»
Isabella
guardò malinconica il gate vicino dove molti uomini di affari
si erano alzati e si dirigevano verso il desk per scansionare i
biglietti. Loro avevano ancora 45 minuti da aspettare prima che il
loro volo per Tahiti cominciasse a imbarcare la prima classe.
Accanto
a lei, Jake stringeva in mano un bicchiere di caffè nero.
Aveva il braccio pigramente appoggiato sulla sedia di lei, una
caviglia sul ginocchio, gli occhiali da sole tirati sulla testa.
Anche se stava bevendo caffè, non c'era alcun segno di
sfinimento sulla sua faccia, niente occhi stanchi o pallore.
Isabella,
invece, si sentiva esausta. Dopo il loro matrimonio e tutto il tempo
che aveva passato a prendersi cura di Jake prima di cercare di
dormire bloccata nel suo vestito da sposa, alla fine non si era
riposata affatto. I suoi capelli erano una coda disordinata in cima
alla testa e la sua faccia era stanca e cascante. Non si era truccata
perché aveva gli occhi secchi e pruriginosi per tutte le
lacrime della sera precedente, e continuava a strofinarseli. Jake
aveva alzato un sopracciglio quando l'aveva vista, ma saggiamente era
stato zitto.
«Siamo
vicini a una settimana sulla spiaggia, Mrs. Montgomery»,
disse Jake stringendole la spalla e scuotendola leggermente con un
gran sorriso.
Nonostante
il suo umore acido, fece un sorriso riluttante alle sue fossette.
Vedendo
che lei non aveva una reazione entusiastica, il sorriso di lui cadde
un po'. «Tutto a posto,
tesoro?»
Isabella
inarcò un sopracciglio, il sorriso scomparve.
Glielo
stava chiedendo sul serio?
«Immagino
si possa dire che non sono elettrizzata dal fatto che hai bevuto fino
a svenire la sera in cui festeggiavamo la nostra beatitudine
coniugale.»
Jake
rise, per nulla disturbato dal suo tono.
«È
questo che ti scoccia? Mi dispiace tesoro, ma io di solito non
vomito.»
Di
nuovo, Isabella alzò il sopracciglio.
«Oh,
andiamo», disse di buon
umore. «Non lo facevo
dai tempi del college.»
«Sono
sicura che non è vero.»
Jake
sorrise ed emendò. «Be',
okay, immagino di non aver vomitato da quando tu eri al
college, comunque.»
Di
nuovo, Isabella alzò un sopracciglio dubbiosa.
«Scusami
se ero impegnato, ma non è che fosse una prima notte di nozze,
non veramente.»
«Cosa?»
«Oh,
lo sai cosa intendo»,
sbuffò lui. «Sono
anni che scopiamo.»
Isabella
strinse le labbra disgustata da quelle parole volgari.
«Dai,
Mrs. Montgomery», disse
stringendola con il braccio, ignorando la sua resistenza. «Hai
intenzione di passare la nostra sola e unica luna di miele arrabbiata
con me per questa sciocchezza? Anche se ti prometto di rimediare?»
*
Più
tardi, quella sera, dopo un po' di aiuto da parte di Jasper a
convincere la sua sposa, i due si diressero all'Isles Inn.
Alice
era al bar e li salutò quando entrarono.
«Oh!
Grazie al cielo siete qui!»
esclamò. I suoi capelli rossi erano stretti in un nodo sopra
la testa con delle ciocche che uscivano incorniciando il suo viso
arrossato.
«Fiona
è malata e Esme sta ancora tornando da Inverness. Bella, tu
sai cucinare?» Quando
Isabella non rispose immediatamente, aggiunse impaziente. «Niente?
Non sai cucinare niente?»
«Qualcosa»,
rispose lei vaga.
«Posso
aiutarti io, Alice,cosa ti serve?»
si intromise Edward.
«Mi
servi al bar», disse e
poi fece un cenno a Isabella. «E
tu mi servi in cucina. Qualcosa farai.»
«Alice,
puoi farlo da sola, tu-»
«Vengo»,
disse Isabella interrompendolo e spostandosi dietro il bar per
seguire Alice in cucina.
Edward
ringhiò sotto voce, ma prese posto dietro il bar. Aveva
intenzione di cenare con lei dopo il bel pomeriggio che avevano
condiviso alla Sleat. Invece era stato in qualche modo destinato a
una sera di assistenza clienti e nessuna cena nell'immediato futuro.
Sentiva
occasionalmente le direttive di sua sorella dalla cucina. Lei era un
tipetto prepotente, lo era sempre stata. Sua madre chiamava la sua
una personalità “assertiva”, per metterla leggera.
Anche se capiva che era sopraffatta dal gestire quel posto da sola
il venerdì sera, non apprezzava il tono che usava con Isabella
e stava quasi per entrare in cucina per dirgliene quattro quando
sentì la replica secca di Isabella.
«Quando
ho detto che sapevo cucinare qualcosa, speravo che capissi che
significava che ero abbastanza competente da fare a pezzi un pollo
senza tagliarmi un dito o rovinare la carne.»
Edward
sorrise quando non sentì una risposta da parte di sua sorella.
C'erano
un bel numero di clienti nel pub, la maggior parte locali, ma c'erano
anche un certo numero di turisti che sfidava la bassa stagione e
cercava rifugio dal freddo all'Inn. Versò le loro pinte e i
loro whisky, prese ordini per Alice e chiacchierò con alcuni
dei locali. Tirò anche un osso a Blaze, il cane da soccorso
anti-incendio che era un cliente regolare come gli altri.
Alice
sbucò fuori portando del cibo e afferrando le ordinazioni che
aveva preso lui, sempre più ciocche davanti al viso ogni volta
che usciva.
«Non
state lavorando troppo, spero?»
le chiese una volta mentre gli passava accanto.
Alice
alzò gli occhi al cielo. «Tutto
il contrario. Tua moglie è testarda come un mulo. E anche
prepotente.»
Edward
scosse la testa al modo in cui sua sorella lo disse come un
complimento.
Un
nuovo cliente si era seduto al bar, così lui andò a
mettergli un sottobicchiere davanti.
«La
birra chiara va bene»,
disse facendo un cenno verso la spina.
Edward
annuì e si accinse a riempire la pinta di birra locale.
«Nient'altro, per ora?»
L'uomo
scosse la testa mentre Edward gli posava davanti il suo drink.
«Ho
sentito che c'è stato un matrimonio, qui, lo scorso week end»,
commentò mentre prendeva la birra.
Edward,
abituato a come andavano le cose nelle piccole comunità, di
solito sarebbe stato imperturbabile, ma dato la natura sensibile
della faccenda, si accigliò a quel commento. «Aye,
sabato.»
«Isles
ospita parecchi matrimoni? Non mi sembra di ricordarne molti.»
Prima
che Edward potesse replicare, Alice uscì dalla cucina con una
zuppa su un vassoio. «Edward,
puoi portare questo questo a Mr. Brown? Tavolo 4?»
«Aye»,
annuì e fece come richiesto da Alice.
Pochi
minuti dopo tornò allo sconosciuto che si era seduto al bar;
l'incontro con lui fu inevitabile.
«Tu
sei Edward MacDonald?»
chiese.
«Aye.»
L'uomo
sorrise e alzò leggermente il suo bicchiere. «Ah,
erano le tue nozze, allora. Le congratulazioni a te a tua moglie sono
d'obbligo, no?»
«Grazie»,
disse Edward con un sorriso tirato.
«È
stato l'argomento delle chiacchiere dell'isola per tutto il fine
settimana», disse lui
ridacchiando.
Edward
non rispose subito, ma l'uomo sembrava aspettare. «Aye,
certo, la gente parla.»
«Be',
puoi biasimarli?»
disse lui bonario. «Il
golden boy di Skye annuncia una fuga d'amore con una donna americana
che nessuno sull'isola ha mai visto prima. Fatto apposta per il
gossip.»
«Siamo
nelle highlands»,
replicò Edward, intenzionalmente mimando il tono dell'altro.
«Tutto è fatto
per il gossip.»
L'altro
ridacchiò. «Non
hai torto.»
Edward
osservò l'area del bar, sperando in un altro cliente con un
ordine.
«Perché
tutta quella fretta?»
disse sopo un altro sorso di birra.
«Scusa?»
«Il
tuo matrimonio. Da dove veniva tutta quella fretta?»
Edward
aveva considerato che sarebbe incappato in questa domanda dopo la
sera del suo matrimonio, quando aveva potuto sfuggirla con una
risata, una stretta di mano o un abbraccio.
«Era
in progetto da un po'»,
mentì lui. «La
decisione di invitare mezza isola è stata un'idea dell'ultimo
minuto. Volevamo una piccola cerimonia finché mia zia non ci
ha convinto a fare dei festeggiamenti appropriati.»
«Ah»,
rise. «Tua zia è
una signora formidabile.»
«È
vero», concordò
Edward, voltandosi per prendere uno straccio e cominciando a pulire
la spina, nello sforzo di indicare educatamente che la conversazione
era finita.
«Dove
hai incontrato tua moglie, allora?»
chiese lui colloquiale.
Edward
sentì le spalle irrigidirsi per il fastidio, ma continuò
a pulire.
«Quali
sono le teorie preferite sull'isola?»
chiese.
L'uomo
rise. «Oh,di tutto. Da
una turista che si era persa ai folletti. Non è emerso alcun
preferito, finora.»
«È
stato un viaggio a Londra col mio Pa’, l'anno scorso,”
mentì lui. Per fortuna lui e suo padre erano dovuti davvero
andare a Londra per incontrare uno dei loro maggiori grossisti. Non
era stata una conversazione piacevole, dato che il venditore aveva
voluto rinegoziare i tassi, col rallentamento dell'economia.
«Lei
cosa faceva a Londra?»
continuò l'altro. «Di
dov'è degli States?»
Edward
non era solo infastidito; era allerta da quando l'uomo aveva
cominciato a fare domande. Lo fissò. L'uomo restituì lo
sguardo.
«Edward,
tesoro?»
I
due uomini videro Isabella che usciva dalla cucina. Edward quasi rise
vedendola con i capelli annodati in testa e le maniche arrotolate.
«Ah,
salve mo leannan»,
la salutò lui con un sorriso, realizzando immediatamente che
stava recitando la sua parte. Lei lo guardò e riconobbe lo
sguardo di intesa che le dava.
«Alice
ha detto che dovevo venire e presentarmi allo sceriffo di Skye»,
disse con un sorriso ammaliante all'uomo con cui Edward stava
parlando.
Cazzo.
Ecco
perché gli era familiare.
«È
un piacere incontrarla, Sceriffo Miller»,
disse lei sicura porgendogli la mano.
«Piacere
mio, Mrs. MacDonald»,
disse lui, sottolineando il nome in uno strano modo.
«Lo
Sceriffo stava giusto chiedendo da dove vieni»,
le disse Edward con leggerezza.
Isabella
non perse un colpo. «Una
piccola città della Pennsylvania»,
disse sorridendo.
«E
ha deciso di sistemarsi a Skye»,
disse lui, una domanda nella voce.
Isabella
sorrise di nuovo. «Non
credo che qualcuno possa scegliere di vivere altrove, dopo aver visto
Skye. Per non parlare del whisky, che qui è decisamente
buono», disse giocosa
dando un colpetto col fianco a Edward.
Edward
ridacchiò e le fece un sorriso che, realizzò, era
completamente sincero.
Lo
Sceriffo Miller, impassibile, osservò quella dimostrazione da
dietro il bordo del suo bicchiere mentre prendeva un altro sorso.
«Piacere
di averla conosciuta, Sceriffo. Meglio che torni dentro da tua
sorella», disse a
Edward dopo un cenno verso lo Sceriffo. «Gestisce
tutto con pugno di ferro, là»,
aggiunse con aria cospiratoria.
Edward
alzò il sopracciglio. «Lei
ha detto la stessa cosa di te.»
La
sola risposta di Isabella fu un occhiolino mentre tornava in cucina.
«Ti
sei trovato una bella ragazza»,
commentò lui dopo che se ne fu andata, guardando ancora Edward
in uno strano modo.
«Aye»,
concordò lui, ripassando la loro interazione nella sua mente.
«Aye, è così.»
Lo
Sceriffo finì la sua birra e uscì, ma non senza fare un
cenno finale a Edward, un cenno che sembrava indicare che questo era
solo l'inizio di una serie di conversazioni, conversazioni basate su
una notevole quantità di sospetti.
L'ultima
cosa di cui avevano bisogno lui e la sua finta moglie erano sospetti.
Alice
guardò curiosa la strana donna con lei in cucina.
Sua
“cognata” suppose, facendo una smorfia tra sé
mentre preparava un'insalata. Era ancora una cosa a cui non si era
abituata, non che ci avesse provato granché, francamente.
Forse
strana non era la parola giusta, concesse. Doveva ammettere
che la donna era acuta, e si portava in un modo rispettabile che
indicava che era in qualche modo realizzata.
E
Alice non poteva certo dire che fosse meschina.
Comunque,
era una completa estranea con un inspiegabile attaccamento a Sleat
che era saltata fuori dal nulla e aveva sposato suo fratello, con a
malapena un paio di parole nel mezzo.
Quindi
forse strana era davvero l'unica parola giusta.
Tuttavia
erano sposati.
Ed
era nell'interesse della sua famiglia che tutti sull'isola lo
credessero. Alice aveva considerato tutto questo fin dalle nozze ed
era ancora confusa su quale fosse la sua parte in quel gran casino.
Conversazione,
fu la sua traballante conclusione. Conversazione e potenzialmente
compagnia. Al bisogno e su base temporanea.
«Allora»,
cominciò, odiando l'imbarazzo nella sua voce. «Come
era il whisky?»
Isabella
la guardò da sopra il mix che stava mescolando sui fornelli.
Il suo viso non tradiva niente e per un momento, Alice non fu neanche
sicura di aver parlato.
«Temo
che dovrai essere più specifica»,
disse asciutta.
Alice
ridacchiò suo malgrado.
«Il
whisky di Pa’»,
elaborò.
La
settimana scorsa, Alice si era fermata nella sua… be', in
quella che sembrava sempre più casa di Edward, per prendere
alcune delle sue cose. Esme aveva suggerito che magari era carino se
lei stava all'Isles Inn mentre i due “si conoscevano
meglio”.
Aveva
visto la bottiglia appoggiata sul tavolo e aveva riconosciuto la
calligrafia di suo padre e la data. Sapeva che lei e suo fratello,
Finlay, avevano da parte bottiglie simili nelle profondità di
Sleat che avrebbero ricevuto il giorno del matrimonio.
A
questo la faccia di Isabella cambiò. Corrugò la fronte
chiedendo, «Cosa?»
«Sai»,
disse Alice, «il whisky
della notte di nozze.»
La
faccia di Isabella rimase perplessa.
Alice
considerò di fare retro marcia o semplicemente lasciar cadere
l'argomento. Perché mai Edward aveva recuperato quella
bottiglia se non aveva intenzione di dirle cosa significava per lui?
E lei, perché aveva pensato che questa conversazione fosse una
buona idea, tanto per cominciare?
«Il
giorno in cui i miei genitori si sono sposati»,
decise di spiegare contro ogni buon giudizio, «Pa’
finì di distillare un lotto di whisky e lo lasciò in
un barile per ognuno dei suoi figli, per condividerne una bottiglia
con i loro partner il giorno delle nozze.»
Isabella
aveva ancora la fronte corrugata. Sembrava aver perso un po' di rosa
sulle guance.
Alice
la guardò incuriosita.
Di
tutti e tre i figli MacDonald, quel dono del loro padre di certo per
Edward significava più di tutti.
«Non
ti ha detto niente?»
Isabella
deglutì.
«No.
No, non me l'ha detto.»
Esme
si presentò un'ora dopo che lo sceriffo se n'era andato e la
folla della cena cominciava a scemare. Edward sorrise quando vide sua
zia, ma si accorse subito che era agitata, per qualche ragione.
«Ciao,
zietta», disse
baciandole la guancia quando lei entrò dietro il bar.
«Ciao
tesoro», sorrise lei,
lo baciò e si tolse la giacca. «Come
ti hanno incastrato al bar di venerdì sera?»
Lui
spiegò che Fiona aveva l'influenza e lei annuì,
distratta.
«Che
succede?» chiese lui.
Riconoscendo
la sua preoccupazione, gli toccò la guancia con tenerezza.
«Niente di cui tu debba
preoccuparti, tesoro.»
Edward
si accigliò mentre lei spariva in cucina a controllare Alice e
Isabella. Non aveva sentito grandi rumori provenire dalla cucina
nell'ultima ora. Dovevano essere arrivate a una sorta di tregua.
Esme
tornò al bar mentre Edward dava il resto a un cliente per il
suo giro di drink.
«È
stato gentile da parte vostra aiutare»,
lo ringraziò.
«Va
tutto bene»,
assicurò lui. «Sei
sicura che non ci sono problemi?»
Esme
sospirò. «Un
semplice screzio con uno dei miei fornitori.»
«Ah»,
disse lui consapevole. «Ti
sta alzando i prezzi?»
«Come
tutti», sbuffò
lei. «Ma questo è
un mio problema, tu hai già i tuoi mal di testa con i
fornitori.»
«Aye»,
ammise.
Esme
prese un bicchiere d'acqua dal dispenser e prese un sorso,
guardandolo da sopra l'orlo del bicchiere con i suoi acuti occhi
verdi.
«Come
va con miss Bella? Andate d'accordo?»
Edward
diede un'occhiata verso la cucina prima di rispondere. «Abbastanza.»
Esme
aspettò con le sopracciglia alzate.
Edward
ripensò al loro pomeriggio a Sleat con la radio e le sue
risate. Era la prima volta che la sentiva ridere dal giorno del
matrimonio.
Magari
non era proprio la felicità coniugale, ma era qualcosa.
«Stiamo
cercando di capire»,
disse con fermezza.
Esme
annuì, contemplativa.
«So
che non sono affari miei, ma non posso evitare di essere curiosa
della sua vita negli States. Ti ha detto niente?»
La
smorfia sulla faccia di Edward fu la risposta.
«Immaginavo»,
disse lei.
Rimasero
in silenzio per un momento e poi Esme chiese, «Non
ti ricorda tuo padre?»
Edward
alzò le sopracciglia, preso alla sprovvista.
«Cosa?»
«Bella»,
ripeté Esme. «Non
ti ricorda tuo padre?»
«A
te sì?» chiese
confuso. Quel paragone non gli era mai passato per la testa, anche se
c'erano delle caratteristiche che ammirava in entrambi.
Lei
annuì con aria pensierosa.
«Sì.
Quando voi quattro siete tornati a Skye.»
«Dopo
che era morta Ma’?»
chiese lui lentamente.
Esme
annuì. «Non
posso spiegarti bene questa somiglianza. Il massimo che posso dire è
che vostro padre era ancora forte e testardo quando per voi figli e
per Sleat era necessario che lo fosse. Ma era… distante,
anche se forse c'è una parola migliore… ritirato,
isolato, forse. Probabilmente, è naturale.”
«Naturalmente»,
assentì lui distratto.
«Mi
piace quella donna»,
ammise Esme. «È
intelligente e dolce. Ma tu devi farla parlare, sai?»
L'espressione
di Edward indicava chiaramente che lo sapeva.
«Certo
che lo sai», disse lei,
castigandosi prima di continuare la sua contemplativa linea di
pensieri. «C'è
come una pesantezza in lei. E se riuscirai a farglielo dimenticare
anche solo un po', avrai una bellissima donna.»
Privatamente,
Edward era arrivato alla stessa conclusione, ma replicò solo
con un “mmm”, i suoi pensieri erano altrove,
bloccato al precedente commento di sua zia.
Suo
padre era in lutto per la perdita di sua madre. La sua compagna. La
metà del suo cuore.
Per
chi era in lutto sua moglie?
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Capitolo 15 *** Weekends ***
Questa
storia è stata scritta in inglese da 2carm2carm2
e tradotta in italiano da beate.
Questo è il link all’originale:
https://www.fanfiction.net/s/13053224/15/The-Whisky-Distiller-s-Wife
15
– Weekends
«Mr.
Montgomery, Mrs. Montgomery è qui per vederla, la faccio
entrare?»
L'assistente
di Jake, che aveva solo pochi anni più di lei, le scoccò
un sorriso educato mentre chiudeva il telefono. «Può
andare, Mrs. Montgomery.»
«Isabella
va bene», le disse.
«Oppure Miss Swan.»
L'assistente
sorrise di nuovo educatamente. «Mr.
Montgomery insiste di chiamarla Mrs. Montgomery.»
Isabella
alzò un sopracciglio, ma mormorò un grazie prima di
dirigersi nel pretenzioso ufficio di Jake. Era al 34° piano, ed
era regolarmente un viaggio di dieci minuti di ascensore, con gli
stop. Era al telefono, i talloni incrociati sulla scrivania e la
giacca del completo che pendeva dalla poltrona dietro di lui,
bretelle e cravatta allentata in bella vista, molto simile al ragazzo
copertina di Wall Street che in effetti era.
Sorrise
quando la vide e alzò un dito per dire che avrebbe finito in
un attimo. Isabella sedette sulla poltrona di fronte a lui, sentendo
la stanchezza che le saliva mentre si sedeva. Era giovedì e
lei aveva già lavorato 60 ore quella settimana. La maggior
parte dei giorni, il tempo volava quando stava in ufficio. Ma non
appena usciva dall'ufficio, perdeva tutta la sua energia.
«Hey,
piccola», disse lui
dopo aver chiuso la telefonata. «Come
va?»
«Bene»,
rispose lei. «E tu?»
«Fantasticamente»,
disse sorridendo. «Così
affamato che potrei anche darti un morso, però. Mi piacciono i
tuoi capelli così.»
Isabella
alzò gli occhi al cielo ma sorrise.
«Hey,
prima che mi dimentico, era mio fratello al telefono.»
«Come
sta Tom?» chiese
Isabella. Thomas era il più giovane dei due, stava finendo
l'ultimo anno a Harvard.
Jake
sorrise, i denti bianchi e scintillanti e le sue fossette
lampeggiarono. «Sta
bene. Ha prenotato per Vegas questo weekend prima di andare troppo in
là con il trimestre.»
«Vegas?»
chiese lei accigliandosi. «Tipo
partire domani?»
Jake
rise. «Sì, un
po' improvvisato, ma sai com'è lui. E non lo vedo da mesi.»
«Pensavo
saremmo andati a Broadway questo weekend. Abbiamo i biglietti da
mesi.»
Jake
sbatté gli occhi.
«Oh,
merda, è vero. Perché non chiami Sandy? Fate una cosa
tra ragazze?»
«Come
ho fatto a quel galà il mese scorso? O nel weekend agli
Hamptons in giugno?»
chiese lei con le sopracciglia alzate. «Quando
a Bollig serviva qualcuno con cui uscire?»
«Hey
– lo sai che sta passando un brutto periodo da quando sua
moglie lo ha mollato»,
disse difendendo uno dei suoi migliori amici.
«Già,
perché le metteva le corna in continuazione»,
replicò secca Isabella.
«Guarda,
piccola,” disse lui imperterrito. «Rimedierò,
con te, okay? Potremo fare tutto quello che vuoi il prossimo
weekend.»
«Io
sono a Los Angeles per lavoro il prossimo weekend»,
gli ricordò. Per la terza volta.
Jake
le scoccò il suo sorriso con le fossette. «Quello
dopo, allora.»
«Se
lo dici tu», borbottò
Isabella, irritata, ma chiaramente intenzionata a lasciar perdere.
«Ti
ho mai mentito, piccola?»
*
Come
si scoprì, se gestisci un piccolo business che dipende dai
turisti, non sempre ci si può prendere un weekend libero.
Isabella e Edward lavorarono alla distilleria il sabato, col posto
tutto per loro fino al tour di assaggi del pomeriggio. Dato che era
bassa stagione, avevano un solo tour prenotato.
Per
Isabella non era una cosa strana lavorare nei weekend e non ne
pensava niente di particolare, ma Edward sembrava scusarsi.
«Puoi
stare qui, se vuoi, solo perché devo stare là io non
vuol dire che devi starci anche tu»,
aveva detto allacciandosi gli stivali sul portone di ingresso.
«Mi
divertirò là»,
disse lei.
Edward
si accigliò.
«Se
vai tu, vado anch'io»,
aggiunse lei.
Edward
le diede un'occhiata poi si spostò di lato per farla passare.
La seguì fuori chiudendosi la giacca contro il freddo sempre
crescente. Rimase accigliato per tutto il tragitto fino alla
distilleria. Non sapeva quasi niente di lei, ma avrebbe scommesso che
era abituata a lavori lunedì-venerdì con orari
prevedibili.
Lui
era cresciuto in una famiglia dove i weekend erano sacri. I suoi
genitori non avevano mai lavorato il sabato e la domenica e loro
cinque passavano un sacco di tempo insieme in quei giorni. Quando sua
madre era morta e si erano trasferiti a Skye, suo padre aveva preso
un turno a rotazione e lavorava un sabato al mese.
Isabella
lo guardò interrogativa quando scesero dall'auto.
Edward
sospirò.
«Mi
sento male a farti lavorare nel weekend»,
ammise.
«Non
mi dispiace», replicò
lei onestamente. «Tu
perché lavori se ti dà fastidio?»
Era
raro che si impegnasse in una conversazione con lui e come minimo,
pensò che le doveva onestà.
«Non
lo facevo, di solito»,
disse tirando fuori la chiave e dirigendosi all'entrata dello staff.
Isabella
oltrepassò l'ingresso e aspettò che continuasse.
«Ma
da quando l'economia è crollata, c'è molta meno gente
che viene per i tour e a comprare whisky. Non posso permettermi di
pagare a Jasper o Carlisle o Robert… o a Ian o James, le ore
che lavoravano prima… è meglio se lavorano sulle barche
con i pescatori, al porto, quando possono.»
Isabella
annuì accigliata.
«Se
il business è il tuo, tu vieni pagato per ultimo, capisci?»
Isabella
fece un mezzo sorriso malinconico e annuì di nuovo.
Attraversarono
il corridoio e arrivarono all'ufficio. Edward aprì la porta
per lei. «Alzo il
riscaldamento», disse
notando il freddo nella stanza.
Si
ritrasse internamente considerando quanto sarebbe costato scaldare
l'edificio ora che stava diventando più freddo.
Isabella
lo ricompensò con un sorriso di gratitudine mentre si dirigeva
alla scrivania dove aveva lasciato tutte le sue cose.
«E
dovremo trovarti degli indumenti più caldi ora che arriva
l'inverno.»
Isabella
aprì bocca per protestare, ma vedendo le sopracciglia alzate
di Edward, la richiuse.
«Avrai
bisogno di qualcosa di più di quel tuo maglione grigio.»
La vecchia felpa con la scritta sbiadita “University
of Pennsylvania” era l'elemento basilare del suo guardaroba, da
quello che lui aveva visto.
«È
una felpa che va ancora benissimo»,
disse lei sulla difensiva.
«A
meno che tu non voglia indossarla tutto l'inverno, potrebbe essere
una buona idea prenderti qualcosa con cui… cambiarti a
rotazione, almeno.»
«Forse
hai ragione», concesse
lei, riconoscendo che col bucato sarebbe stata una sfida.
«Fammi
un fischio se ti serve qualcosa»,
disse lui ridacchiando.
«Grazie»,
disse lei sedendosi con la giacca ancora su. Lo guardò con un
breve sorriso prima di dedicarsi al blocco dove c'erano tutti i suoi
appunti.
Edward
lasciò la stanza e andò con la sua routine quotidiana,
preparando la distilleria per i tour. Accese tutte le luci, alzò
il riscaldamento e selezionò i soliti whisky che usavano per i
tour di assaggio, lasciandoli nella stanza dove si concludeva il
giro. Mentre faceva tutte quelle cose, la sua mente era fissa su sua
moglie, come sembrava essere ormai in ogni momento libero che aveva
avuto nell'ultima settimana.
Erano
sposati da una settimana ormai, e non sapeva ancora come coesistere
con lei.
Il
loro matrimonio e la loro notte di nozze non erano che bei ricordi.
Ballare e bere con lei, ondeggiare con lei mentre famiglia e amici li
circondavano a Loch Lomond era esattamente come lui aveva immaginato
le sue nozze.
Era
stato tutto così reale.
La
felicità di lei era sembrata sincera, quella sera, incluso
quando avevano lasciato Isles ed erano andati a casa, condividendo
qualche bevuta.
Anche
quando avevano fatto l'amore, era sembrata sincera nella sua
passione.
Quando
si era svegliata il giorno dopo, e aveva parlato solo se interpellata
ed era rimasta silenziosa e appartata, lui ne era rimasto deluso.
Non
aveva mai approfittato di una donna in tutta la sua vita.
Ma
quella mattina, quando sua moglie aveva parlato a malapena dopo
essere stata a letto con lui da ubriaca, si era sentito
maledettamente sicuro di averlo fatto.
Mentre
i giorni passavano e lei rimaneva quieta e cupa con lui, il suo senso
di paura crebbe. Per la prima volta nella sua vita non aveva idea di
come andare avanti. Non sapeva se lei voleva spazio per lavorare a
Sleat e nient'altro o se aveva bisogno della sua amicizia e del suo
sostegno.
A
dire la verità, se voleva spazio, lui non era così
sicuro di poterglielo dare.
Quella
parte di lei, quella parte luminosa e scintillante di lei che aveva
visto al loro matrimonio era lì. Non sapeva perché la
tenesse così rinchiusa dentro di sé.
Ma
lui era testardamente sicuro che fosse ancora lì.
Così,
aveva fatto l'unica cosa a cui era riuscito a pensare… quello
che aveva visto fare a suo padre con sua madre durante il loro
matrimonio e nel periodo in cui lei era malata. Era il minimo e il
massimo che potesse fare.
Assicurarsi
di prendersi cura di lei e che avesse tutto ciò di cui aveva
bisogno.
*
La
domenica fu più indaffarata del sabato.
Sia
Jasper che Carlisle li raggiunsero a Sleat. Carlisle e Edward avevano
del lavoro da fare nella distilleria, dato che l'ultimo lotto che
stavano distillando era a un punto critico che non poteva aspettare
fino a lunedì.
Isabella
raggiunse Jasper nella lobby e lo guardò mentre salutava gli
ospiti che entravano. Era sempre carismatico come era stato quando
lei aveva fatto il tour, stabilendo facilmente un rapporto con i nove
visitatori che lo seguivano. Cinque venivano dall'America, due dal
Giappone e due dal Canada. Da come sembrava, erano tutti molto presi
da quello che stava dicendo Jasper mentre si presentava e parlava un
po' della Sleat.
Lei
rimase alla reception nel caso arrivasse qualcuno, ma tranne
rispondere a una telefonata per dare gli orari dei tour a un futuro
visitatore, tutto tacque.
Fu
una sorpresa quando sentì la voce di Carlisle dal corridoio
dietro di lei.
«Esme,
amore, ho appena ricevuto il tuo messaggio. Che c'è che non
va?»
Isabella
gelò.
«Ma
lei sta bene?» chiese,
poi fece una pausa aspettando la risposta. «E
Chase? Ha avuto degli episodi ultimamente?»
Isabella
si accigliò, chiedendosi se avesse mai incontrato un Chase.
Pensava di no, ma data la quantità di gente che si stipava
all'Isles Inn, era possibile che qualcuno si chiamasse Chase.
«Ti
ha detto questo? La sfrattano? Ha parlato col padrone di casa?»
Carlisle
rimase per un po' in silenzio.
«Se
è stata licenziata, il mantenimento dei figli non sarà
sufficiente per pagare le spese mediche di Chase.»
Chase
era un bambino, quindi.
«Esme,
lo so, lo so», cercò
in fretta di calmarla dopo la sua ultima affermazione. «Andrà
tutto bene. Elizabeth… amore… ssh, va tutto bene. Ssh,
lo so. Lo so che è la tua sorellina.»
Isabella
aspettò. Non aveva mai sentito Carlisle così scosso.
«Non
è che non stai facendo nulla»,
le assicurò con gentilezza. «Le
stiamo mandando già tutto quello che possiamo… anche
col contributo di Jasper»,
sospirò. «Lo so,
lo so… anch'io penso che non basti. Io… lo so…
ci penseremo», le
promise. «Ci
inventeremo qualcosa.»
Ci
fu un'altra pausa e lei sentì i passi mentre lui faceva avanti
e indietro.
«Maledetto
servizio sanitario americano… così maledettamente
costoso», ringhiò.
«Deve esserci un
programma… un'assistenza, qualcosa, qualcosa dal loro governo
magari, qualcosa che possa aiutare i bambini con problemi medici. Ci
guarderemo stasera, tesoro. Deve esserci qualcosa.»
A
Isabella fece male il cuore sapendo che la zia e il nipote di Edward
avessero una tale angoscia per la sorella. Non aveva capito tutta la
storia, naturalmente, ma sentì quella fitta troppo familiare
vedendo gli effetti della crisi finanziaria che colpiva persone con
cui interagiva quotidianamente, persone che non avevano mostrato
altro che gentilezza nei suoi confronti.
Gentilezza
che non era sicura di meritare.
«Non
è giusto, lo so»,
disse prima di ringhiare, «Non
c'è lavoro per nessuno da nessuna parte di questi tempi, dopo
quello che è successo. Quei bastardi avidi di quelle banche
hanno rovinato delle vite. Che il diavolo se li porti...»
Isabella
non sentì il resto.
Si
accucciò di fronte al cestino dell'immondizia dietro la
scrivania e vomitò.
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Capitolo 16 *** Il mercato immobiliare ***
Questa
storia è stata scritta in inglese da 2carm2carm2
e tradotta in italiano da beate.
Questo è il link all’originale:
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16
– Il mercato immobiliare
«Piccola!
Piccola! Sei in casa?»
Isabella
alzò lo sguardo dalla valutazione di proprietà di
ottantanove pagine che aveva letto nelle ultime due ore. Sentiva che
le stava venendo mal di testa e continuava a guardare con desiderio
l'armadietto dei liquori nell'angolo.
Da
quando era stata promossa vice presidente, il mese scorso, i suoi
giorni a Wall Street erano diventati ancora più lunghi. Era
ben consapevole che i colleghi pensavano che avesse avuto la
promozione perché suo padre era CEO di quella stessa banca.
Anche se poteva ammettere che c'era della verità in questo,
era fieramente determinata a provare loro che non era solo per
via di chi era suo padre.
In
questo sforzo di dare prova di sé ai suoi colleghi executive
finanziari, vedeva a malapena Jake, figurarsi i suoi amici del
college. È solo una cosa temporanea, continuava a ripetere a
se stessa nei momenti di quieta angoscia e di sfinimento. Doveva solo
dedicare tempo alla sua carriera, adesso, e in futuro avrebbe avuto
un maggiore equilibrio.
Questo
non era mai stato il caso di suo padre, drogato di lavoro, ma diceva
a se stessa che per lei sarebbe stato diverso.
Quando
sentì diverse voci maschili di sotto e realizzò che non
era solo Jake, pensò che avrebbe avuto bisogno di qualcosa di
più forte di un bicchiere di vino bianco.
«Quassù»,
rispose lei.
«Porta
giù subito il culo»,
gridò lui con una risata. «Ho
una sorpresa!»
Con
un sospiro, lasciò il suo studio dove era rimasta imbucata
quel venerdì sera e scese la grande scalinata a balaustra.
Sentiva almeno altri due uomini con lui, che ridevano chiassosamente.
«Hey
ragazzi», li salutò
prima di guardare il marito sorridente. «Che
succede?»
«Abbiamo
avuto un… eccezionale quarto trimestre, da Lehman»,
cominciò, con l'aria del gatto che si è mangiato il
canarino.
Lehman
Brothers aveva appena visto un inaudito aumento dei profitti del
27%. Era in prima pagina nella sezione business del New York Times.
Anche la sua banca aveva avuto un simile aumento di guadagni, che si
era manifestato in un grosso bonus che aveva ricevuto sulla sua
scrivania proprio quel giorno.
Bollig
e Wulff buttarono giù uno shot di una vodka molto costosa
alla dichiarazione di Jake. «Cazzo
sì, proprio così!»
Jake
rise e ingoiò l'alcool quando gli passarono il bicchierino.
«Come
ho detto», rise
tirandosela di fianco così che lei sentì l'odore di
alcool mescolato alla sua colonia costosa. «Un
buon trimestre», disse
lui abbracciandola e lei sorrise alla sua tenerezza.
Le
cose tra loro non andavano benissimo, ultimamente, ma lui era sempre
molto dolce.
«E
la sorpresa?» chiese
lei dubbiosa.
«Diglielo,
Jakie boy!» lo incitò
Wulff. «Dille cosa le
hai comprato!»
Jake
si voltò e sorrise adorante a sua moglie. «Ti
ho comprato un'isola intera, piccola! A largo della costa della
Florida.»
Isabella
rimase a bocca aperta per la sorpresa.
Wulff
e Bollig risero, applaudirono e presero un altro drink.
«Sul
serio?» chiese lei.
Aveva appena comprato un'intera striscia di proprietà a
Martha's Vineyard dopo la performance di Lehman nel secondo trimestre
dell'anno. «Perché?»
«Perché
no? Diavolo! Perché posso»,
sorrise e le mollò un bacio sulle labbra. «Sei
emozionata?»
Isabella
era senza parole.
«Già,
non vedo l'ora di vederla.»
«Ooh
andiamo, piccola, è un asset! Un altro investimento. Il
mercato immobiliare è solido come la roccia, sarei un idiota
se non comprassi delle proprietà. Il valore può solo
salire, cazzo!»
Isabella
forzò un sorriso.
Mentre
Jake aveva una fede immensa nell'economia e credeva che il mercato
immobiliare fosse infallibile, Isabella aveva i suoi dubbi
sull'investire così tanto in immobili. L'ultima volta che ne
avevano discusso, erano andati a letto senza parlarsi dato che Jake
non era stato neanche disposto a considerare quello che gli stava
dicendo. Adesso lui era sorridente e affascinante e lei non aveva
nessuna voglia di affrontare l'argomento con lui. Di nuovo.
«È
grandioso, Jake.»
«Al
mercato immobiliare!»
rise Bollig, chiaramente intossicato mentre versava un altro giro di
alcool da 400 dollari per tutti.
Isabella
prese il bicchierino e brindò con gli altri.
«Al
mercato immobiliare!»
*
Lei
era di nuovo silenziosa.
Era
un passo avanti e due indietro, con sua moglie.
Erano
lentamente arrivati a un accordo, un punto confortevole in cui
parlavano e interagivano gentilmente l'uno con l'altro.
E
non era più così.
Domenica
pomeriggio, quando avevano finito di lavorare ed erano tornati a
casa, Isabella era tornata ai monosillabi ed era in camera sua già
alle 7.30 di sera.
«Non
mi sento bene», aveva
borbottato come motivo.
«Vuoi
delle medicine?» offrì
lui.
«No,
grazie», disse Isabella
scuotendo la testa. Prima che potesse offrire qualcos'altro, lei
disse, «Buonanotte.»
A
suo credito, sembrava davvero malata.
Una
parte del suo cervello, una parte che desiderava restasse silenziosa,
si chiedeva se stava solo evitando lui di nuovo, rimpiangendo di
averlo sposato e di essere bloccata su Skye.
Ma
ignorò quella parte del cervello e aprì una bottiglia
di birra.
Quando
avevano lasciato la distilleria, lui era passato per l'ufficio e
aveva preso un mucchio di carte, alcuni documenti che le stavano
dando guai. Anche se lei era troppo educata per dirglielo in faccia,
lui sapeva che erano stati fatti così a casaccio che neanche
lei riusciva a decifrare cosa fossero.
Con
un sospiro, si sedette al tavolo, si mise comodo e cominciò a
leggere con attenzione i resoconti.
Da
qualche parte lungo la strada, forse perfino dal quel primo giorno in
cui era piombata in ufficio, lui si era appassionato a lei.
E
se per lei la cosa migliore era andarsene da Skye il prima possibile…
lui l'avrebbe aiutata.
Edward
si era svegliato col mal di testa che si era solo intensificato
mentre il mercoledì cominciava.
Sua
moglie aveva pronunciato un totale di otto parole durante la
colazione e il viaggio in macchina alla distilleria, prima di
ritirarsi nel suo ufficio nascondendosi per la giornata. Aveva
cercato di vedere qualche segno che ce l'avesse con lui, ma non era
riuscito a vedere niente che lo portasse a credere che fosse neanche
irritata.
Semplicemente
appartata.
Non
trovò neanche segni che non fosse irritata con lui.
*
Mentre
distillava, Wilson aveva scoperto una perdita in uno dei loro barili.
Non era una perdita enorme, ma non sarebbe stato economico
sistemarla.
E
Jasper e Robert erano di pessimo umore.
Era
una tempesta perfetta e francamente, non fu per nulla sorpreso quando
si trovò nella lobby mentre Robert e Jasper accoglievano i
pochi ospiti che avevano per il tour alla Sleat. C'era una famiglia
inglese di quattro persone che chiacchierava cordialmente della
vicinanza di casa loro con la casa della nonna materna di Jasper,
poi c'era una coppia di pensionati americani con gli zaini e una
grossa macchina fotografica.
La
campanella tintinnò e apparvero due americani che sembravano
essere sui trentacinque. Stavano sghignazzando su qualcosa , senza
preoccuparsi di quanto fosse rumoroso il loro ingresso.
Edward
alzò gli occhi e vide lo sguardo diffidente di Jasper.
«Salve,
ragazzi, benvenuti alla Sleat»,
forzò un sorriso mentre i due si acquietavano e arrivavano al
banco.
«Siamo
qui per un tour di degustazione»,
disse uno senza preamboli mentre l'altro ridacchiava. «Perché
a quanto pare i veri tour di degustazione sono solo in certi giorni
stabiliti, in questa distilleria.»
Jasper
inarcò un sopracciglio, per nulla impressionato. A sua
insaputa, Edward aveva la stessa espressione.
«Sì»,
replicò rigido. «Non
c'è molta richiesta nei mesi invernali, e quei tour sono solo
per gli intenditori di whisky.»
«Amico»,
lo schernì, «stai
guardando due dei migliori cazzo di intenditori che abbia mai visto
New York City.»
«Mostra
un po' di rispetto»,
aggiunse l'altro con una risata mentre tirava fuori il portafogli
dalla tasca posteriore.
«Cosa
fate a New York?»
chiese Jasper mentre i due frugavano i loro portafogli sfogliando con
noncuranza centinaia di sterline.
Edward
salutò amichevolmente gli americani, ma tenne gli occhi su suo
cugino.
«Lavoriamo
alla Bank of America»,
rispose il secondo.
«Siete
banchieri, allora.»
Lo
disse in tono freddo, più un'accusa che una domanda.
«Aye
aye capitano»,
ridacchiò lui, «come
direste qui. Banca di investimento.»
Il
suo compare rise.
Chiaramente
questo non sarebbe stato il loro primo drink.
«Siete
ancora a Wall Street?»
chiese Robert., intervenendo in tono altrettanto freddo.
Edward
vide tutti e due i suoi cugini drizzare le spalle di fronte a quei
due pieni di pretese.
«Stai
scherzando?» disse uno.
«Perché
diavolo ce ne dovremmo andare?»
finì l'altro esuberante. «Il
denaro abbonda ancora, di qualunque cosa si lamentino i media. Sempre
a vedere tutto nero, quei cazzoni… esagerano tutto, tutti i
giorni.»
Jasper
e Robert erano silenziosi.
Edward
considerò di intervenire, ma onestamente non si sentiva
obbligato a schierarsi contro i suoi cugini arrabbiati.
I
due giovani stavano per diventare maggiorenni in un periodo in cui
non c'era lavoro né opportunità per loro. Non avevano
nessuna stabilità per guardare avanti visto che i datori di
lavoro lottavano per restare a galla, senza pensare all'espansione ma
semplicemente alla sopravvivenza.
Edward
sapeva che Jasper voleva lavorare, sapeva che era un buon lavoratore.
Ma Sleat semplicemente non si poteva permettere di dargli le ore e le
ore che lavorava sulle barche da pesca erano poche e rare. Sapeva che
la sorella di Esme stava entrando in una spirale di debiti in
America, cercando di pagare le spese mediche del suo bambino e sapeva
che Jasper spediva loro i pochi soldi che guadagnava.
Robert
riusciva a malapena a pagarsi un tetto sulla testa e aveva cominciato
a parlare di trasferirsi di nuovo dai genitori. Prima parlava di
trasferirsi e provare a vivere in città… ora non
riusciva a immaginarlo, coi risparmi che diminuivano per la mancanza
di uno stipendio fisso.
Erano
arrabbiati e avevano tutto il diritto di esserlo.
Edward
stesso era arrabbiato. Arrabbiato all'indifferente privilegio che
aveva di fronte.
E
per quella ragione non intervenne nell'orribile servizio clienti che
stava avendo luogo nella sua azienda.
Alla
fine, sempre senza toccare i loro soldi, Jasper respirò
profondamente dal naso.
«Fuori
dal cazzo, pezzi di merda. Non avete idea dei danni che voi e quelli
come voi hanno fatto? Non avete idea delle vite che sono andate in
pezzi per le azioni di banche come la vostra? Nessuna idea di quante
imprese stanno lottando per tenere aperto mentre le banche come la
vostra aspettano come maledetti avvoltoi che girano su cadaveri
freschi per comprarli e mandarli sugli scaffali degli alimentari?
Nessuna cazzo di idea di quanta gente sta lottando e faticando perché
a delle merde come voi è stato permesso di avere una cazzo di
autorità su tutto e tutti? Nessuna idea di quanti
contribuenti hanno pagato per salvare il culo a voi?»
Edward
strinse le labbra.
I
due americani spalancarono la bocca.
E
gli altri visitatori guardavano.
Nessuno
di loro aveva mai sentito qualcuno parlare in quel modo a un cliente.
«O
semplicemente non ve ne frega un cazzo? A voi non frega di niente
tranne i vostri soldi, le vostre bevute e le vostre ragazze. Siete
solo bastardi egoisti e segaioli. Se a voi non vi frega di niente, a
me non mi frega di passare del maledetto tempo con voi o di vendervi
questo whisky. Fuori dal cazzo!»
Robert
prese il denaro e lo sbatté sul bancone.
Prendete
armi e bagagli e fuori di qui. Non vogliamo gente del cazzo come voi,
qui.»
Ammutoliti,
i due banchieri girarono sui tacchi e fecero un'uscita ben diversa
dall'entrata.
Edward
si passò stancamente una mano sulla faccia.
Non
vide sua moglie, bianca come un fantasma che sfrecciava verso il
bagno, avendo sentito la loro invettiva.
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