THE WHISKY DISTILLER'S WIFE (Traduzione di beate)

di beate
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Scelte ***
Capitolo 3: *** Violazione di domicilio ***
Capitolo 4: *** American Business Partner ***
Capitolo 5: *** Documenti urgenti ***
Capitolo 6: *** Loch Lomond ***
Capitolo 7: *** Caledonia ***
Capitolo 8: *** Pre-programma ***
Capitolo 9: *** Aspettative ***
Capitolo 10: *** Illesi ***
Capitolo 11: *** Royal Bank of Scotland ***
Capitolo 12: *** Coronato dal successo ***
Capitolo 13: *** Frutti di mare ***
Capitolo 14: *** Lutto ***
Capitolo 15: *** Weekends ***
Capitolo 16: *** Il mercato immobiliare ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Questa storia è stata scritta in inglese da 2carm2carm2 e tradotta in italiano da Beate. Questo è il link all’originale: https://www.fanfiction.net/s/13053224/1/The-Whisky-Distiller-s-Wife





THE WHISKY DISTILLER'S WIFE



1. Prologo


In uno dei corsi di letteratura che aveva seguito quando era più giovane, alla sua classe erano stati assegnati casualmente diversi autori contemporanei di saggistica da seguire, analizzare e dibattere poi i meriti delle loro asserzioni e affermazioni in relazione alla società moderna.

In uno dei libri dell'autore che le era stato assegnato c'era un passaggio che diceva, “Non c'è limite alle sofferenze che gli esseri umani sono disposti a infliggere agli altri, non importa quanto innocenti, non importa quanto giovani o vecchi. Questo fatto deve condurre tutti gli esseri umani ragionevoli, ovvero, tutti gli esseri umani che prendono seriamente le evidenze, a trarre un'unica possibile conclusione: la natura umana non è fondamentalmente buona.”

Al tempo, si era opposta in modo veemente a questa asserzione. Aveva scritto pagine e pagine per dimostrare il contrario, riempiendole di giovanile determinazione e speranza. Aveva difeso con ardore la natura umana come se stesse difendendo gli ultimi brandelli della sua innocenza infantile.

Credeva che gli umani fossero fondamentalmente buoni.

Adesso, non era più sicura di cosa credesse.



*



Erano le cornamuse.

Le aveva già sentite prima, quando era stata giù nella chiesa.

Le note taglienti di Amazing Grace avevano oltrepassato le pietre e lei aveva sentito chiaramente la musica. Molti odiavano quello strumento e non sopportavano le note acute che produceva. Faceva pizzicare la pelle. Era uno strumento di guerra.

Lei aveva i brividi sulle braccia per altri motivi.

Era cresciuta con la musica. Era stata una casa felice, col suono dello strumento che spesso echeggiava attraverso porte e corridoi, mescolato all'odore di qualunque cosa si stesse cucinando per cena.

Era passato tanto tempo da quando le aveva sentite.

«Allora, sei pronta?» chiese la donna più anziana, traendola dalla sua pausa.

Notò che il suono delle cornamuse era stato sostituito dalle note gentili di un piano.

Quando lei annuì, la donna bussò una volta alla porta e gli uscieri dall'altra parte aprirono le doppie porte di legno di fronte a lei. Le cornamuse ricominciarono a suonare e una chiesa piena di estranei si alzò in piedi.

Deglutì.

E poi fece un passo avanti.

Poi un altro.

Gli sguardi su di lei sembravano tutti diversi. Alcuni la guardavano con curiosità, altri con sospetto, altri erano guardinghi, altri ancora completamente felici, cosa che lei non capiva del tutto. Drizzò le spalle sotto il peso dei loro sguardi mentre continuava ad avanzare.

La canzone.

La conosceva.

Era una delle sue preferite quando era ragazza. Il modo in cui la musica si gonfiava e sembrava mulinare prometteva grandezza e gioia. Si era sentita come se potesse innalzarla fino a Dio stesso.

Non riusciva a ricordare il nome del pezzo.

Mentre camminava verso l'altare, provò a visualizzare la logora copertina del disco sul tavolo del suo soggiorno.

Era la traccia numero 5.

Si accigliò cercando di ricordare le parole. Le sembrava così sciocco e deludente che non riuscisse a ricordare la canzone che aveva tanto amato da giovane. Una canzone che aveva sentito decine e decine di volte.

Ma era stato tanto tempo fa.

Era una chiesa piccola e il suo avanzare non si trascinò per molto.

Piccole misericordie, suppose.

Mentre cercava di ricordare le due parole che costituivano il titolo della canzone, registrò l'uomo di fronte a lei.

Il suo sposo.

Era la prima volta che aveva la possibilità di guardarlo come si deve. Per un secondo si bloccò, prima di riprendersi.

Il rosso scuro e il verde del suo tartan sembravano possenti, come il suo kilt. Vedeva i colori su una fusciacca fermata sulle larghe spalle da un'antica spilla. La giacca del vestito gli stava a pennello, mentre stava dritto come un fuso. Notò che la stava fissando intento come lei fissava lui.

Highland qualcosa, pensò.

Era la canzone. Era Highland… e poi un'altra parola che non riusciva a ricordare.

Non appena il pensiero le entrò in mente, la canzone e il piano rallentarono e svanirono. Era arrivata alla fine della passeggiata, pensò con totale sorpresa.

Lui annuì verso di lei e lei si fermò. Esalò un respiro dalle labbra e annuì in risposta.

«Misericordia, grazia e pace da Dio nostro Signore e che Gesù Cristo sia con tutti voi.»

Highland… qualcosa.

Highland Sound? Highland Praise? Highland...?

Mentre lui parlava e dava il benvenuto a loro e a tutta la congregazione alla cerimonia, lei continuava ad essere fissata sulla canzone che avevano appena suonato. Con la coda dell'occhio vedeva il suonatore di cornamusa, lo strumento appoggiato sul petto. Lo guardava, desiderando che il titolo del pezzo le saltasse in testa.

Il suo sposo non sembrava combattere con un simile conflitto interno. Guardava intento il ministro mentre parlava dell'amore di Dio e del perdono che si manifestava nel matrimonio. Andava abbastanza bene che lei non stesse ascoltando, non era mai stata molto brava a trattenere le risate quando le dicevano qualcosa che lei trovava palesemente falso.

Highland Games? No, naturalmente no. Highland Choir? No.

Poi erano uno di fronte all'altro, le sue mani erano scivolate in quelle di lui senza che neanche se ne accorgesse.

«Io, Edward Anthony Godfrey Cullen MacDonald-»

«Io, Edward Anthony Godfrey Cullen MacDonald-»

Sgranò gli occhi sentendo quanti nomi aveva. Edward… qualcosa, qualcosa, qualcosa MacDonald. Cos'era il qualcosa, qualcosa e l'altro qualcosa?

«Prendo te, Isabella Morag Swan, come mia moglie.»

Perchè i suoi occhi si erano increspati al suo secondo nome?

«Per amarti e onorarti da questo giorno in avanti...»

Merda, quali erano i nomi?

«Di fronte a Dio faccio questo voto.»

Lei deglutì.

Giusto.

Era il momento di recitare la sua parte.

A quanto pareva, includeva ricordarsi ognuno dei nomi di suo marito. Non pensava che sarebbero stati così tanti.

«Io, Isabella Morag Swan...» suggerì il ministro.

Lei deglutì di nuovo.

«Io, Isabella Morag Swan,» ripeté lei obbediente, forzando lentamente le parole fuori dalle labbra.

«Prendo te, Edward Anthony Godfrey Cullen MacDonald, come mio marito.»

«Prendo te, Edward Anthony...»

Lui la guardò e con il più leggero movimento delle labbra sillabò i suoi nomi propri.

«...Godfrey...Cullen MacDonald come mio marito.»

Ripeté il resto dei voti senza errori.

«Di fronte a Dio, io faccio questo voto.»

Mentre la cerimonia procedeva e l'applauso esplodeva dopo lo scambio degli anelli ed erano dichiarati marito e moglie, si chiese come Dio o la legge riguardassero due persone, che non sapevano nulla l'uno dell'altro, che entravano nella farsa di un matrimonio.







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Capitolo 2
*** Scelte ***


Questa storia è stata scritta in inglese da 2carm2carm2 e tradotta in italiano da Beate. Questo è il link all’originale:

https://www.fanfiction.net/s/13053224/2/The-Whisky-Distiller-s-Wife







2. Scelte



«Bella, Bella, Bella! Rallenta, tesoro!»

Trasalendo, Isabella rallentò il movimento del braccio in modo che facesse circoli lenti e regolari e non frenetici ed erratici. Stava cercando di tirare su quello che sembrava un pesce gigante e il pesce stava facendo del suo meglio per evitare di finire sulla barca.

Ma fu troppo tardi, quando rallentò, la tensione nella canna da pesca scomparve e non c'era più un pesce attaccato in fondo.

Si voltò a guardare suo nonno, che stava alzando le sopracciglia grige guardandola.

«Perso?»

«Già.»

«Bene, assicuriamoci che tu abbia abbastanza vermi per qualcosa di ancora più grande», disse accennando alla sua canna da pesca.

Erano fuori in una baia di uno dei laghi locali, a 15 miglia da casa. Era quasi ora di cena, ma il sole estivo era ancora caldo sulla sua faccia piena di lentiggini. Doveva inclinare la testa per sentire il sole, perché sua nonna aveva insistito che indossasse una visiera per schermare il viso.

Isabella fece un gran sospiro.

«Era grosso», brontolò.

«Sicura che non fosse altra insalata?» chiese lui ridacchiando. Aveva pescato alghe su alghe, ma lei scosse la testa.

«Era grosso», disse testarda.

Suo nonno nascose un sorriso grattandosi il mento.

«Non puoi affrontare la vita a rotta di collo, Bella», commentò mentre posava la canna dentro la barca da pesca di alluminio.

«Lo so», replicò lei come una undicenne allo stesso tempo petulante e rispettosa.

Isabella afferrò un altro verme dal contenitore di schiuma pieno di terriccio e grossi vermi che si contorcevano. Mentre si muoveva sentiva gli occhi di suo nonno su di sé.

La pagella che avevano ricevuto due mesi prima dalla scuola diceva più o meno la stessa cosa. Il suo insegnante di matematica pensava che avrebbe fatto meno errori se avesse rallentato e avesse controllato il suo lavoro invece che andare di fretta.

La nonna si era accigliata, ma suo nonno aveva ridacchiato consapevole.

«Quando avrai la mia età avrai imparato una cosa o due, tesoro», disse lui in tono familiare.

Lui aspettò che lo guardasse prima di continuare.

«Se lavori duro e in fretta nella vita, avrai un gran successo, Bella. So che ce l'avrai. Hai una bella testa sulle spalle e farai bene qualunque cosa farai.»

Fece una pausa e pensò mentre la ragazzina aspettava.

«Avrai sempre la scelta. Avrai sempre la scelta di avere successo nel modo in cui il mondo vuole che tu lo abbia. Ma non ascoltare sempre il mondo, d'accordo, Bella? Essere ricchi e potenti e lavorare in continuazione non è il modo per far felice la tua anima, non importa quale persona o sistema ti dica che è così. Mi prometti che ascolterai quella tua bella anima quando farai questa scelta?»

Isabella riconobbe il tono serio nella voce del nonno.

Non sapeva che era appena uscito da una animata discussione con suo padre, una discussione che andava avanti da più di dieci anni.

Lei annuì solennemente promettendo.

Il nonno le sorrise.

«E rallenta, ragazzina… se non lo farai, ti perderai delle cose», disse facendo un cenno verso l'acqua dove aveva appena perso il suo pesce. «Un giorno potresti renderti conto che quelle erano le cose importanti.»

*



«Gente, state guardando il castello Eilean Donan. Da ogni parte c'è un lago diverso: Loch Duich, Loch Long e Loch Alsh. Nel tredicesimo secolo era una fortezza del clan Mackenzie, e lo fu fino al diciottesimo secolo, quando il governo distrusse il castello per via del coinvolgimento dei Mackenzie nella prima ribellione Giacobita.»

Isabella ascoltava mentre la guida turistica declamava fatti su fatti a proposito del castello e i turisti ascoltavano di malavoglia, scattando foto al vecchio edificio. Il suo kilt era di un verde acceso e si abbinava alle lettere verdi del grosso van che dichiarava che questo tour era gestito da “Rabbie's”.

Il gruppo non si fermò per più di dieci minuti, il tempo di fare qualche foto e usare il bagno. Quando se ne andarono, lei tirò un sospiro di sollievo, irrazionalmente irritata dai turisti.

Era irrazionale.

L'unico motivo per cui sapeva quello che la guida stava dicendo era perchè l'aveva letto nella Guida di Rick Stevens alla Scozia non più di 20 minuti prima.

Se fosse stata di umore più introspettivo, avrebbe potuto considerare che si era irritata per un sacco di cose diverse nelle ultime settimane, ognuna di esse irrazionale come la successiva. I bambini in aereo non l'avevano mai disturbata in realtà, ma il bambino che piangeva sull'Atlantico l'aveva infastidita così tanto che le ci erano volute ore, dopo, per riuscire a rilassare le spalle.

Con un sospiro si strinse la giacca addosso per scaldarsi contro il vento invernale. Diede un'ultima occhiata al bel castello prima di voltarsi verso la macchina che aveva guidato negli ultimi giorni. Andò istintivamente alla sinistra dell'auto, poi si riprese e girò a destra.

Mentre la macchina le soffiava aria calda in faccia, tirò fuori la cartina e la studiò attentamente.

L'Isola di Skye era vicina. Questa di sicuro era stata la prima tappa del viaggio di Rabbie's sull'isola. Strizzò gli occhi guardando la distanza che le era rimasta da fare. Sembrava che ci sarebbe voluta un'ora o poco più, probabilmente di più, visto come guidava piano su quelle strade spaventosamente strette. Normalmente era una guidatrice sicura, ma si era trovata intimidita e rannicchiata ogni volta che un veicolo più grande sibilava sorpassandola su quelle stradine.

Era in Scozia da tre giorni.

Il viaggio da Newark a Glasgow era stato lungo ma tranquillo. Erano atterrati con abbastanza luce ancora da permetterle di noleggiare una macchina, trovare un hotel nel West End e passeggiare per Kelvingrove Park fiché si era fatto buio. Dato che il jetlag era quel che era, si era prontamente addormentata alle 6 del pomeriggio e poi non aveva più avuto problemi col cambio di fuso.

Aveva brevemente esplorato Glasgow la mattina, vagando per i corridoi dell'università sulla collina e nei negozi e ristoranti di Ashton Lane, ma non era un posto affollato o allegro. L'aria nei negozi era tetra e c'erano pochi clienti.

Dopo essere passata al Giardino Botanico, aveva ripreso la strada.

Oban era una città portuale piccola ma carina. Era un giorno di sole e lei aveva passato la maggior parte del pomeriggio seduta sul molo di cemento ad annusare il mare. Anche lì c'era un'atmosfera solenne, con pochissime persone che facevano compere in giro, ma era così in gran parte del mondo. Non poteva biasimare gli scozzesi di essere diversi.

In effetti, un po' di quella malinconia le si addiceva.

Glancoe e Fort William erano state quasi commoventi. La quiete e la natura aspra l'avevano ingoiata e per la prima volta in mesi aveva sentito una parvenza di pace. Sentiva la pace guardando le stesse cose che loro avevano guardato. Li sentiva con sé, sentiva i loro cuori nelle highlands con sé e con i cervi vaganti.

Le sarebbe piaciuto vagare ancora un po' nella natura, ma aveva una destinazione finale da raggiungere.

La serata a Fort William la passò in un pub di fronte al suo hotel. Era relativamente quieto, dato che era un giovedì di bassa stagione. Si sedette al bar e aspettò educatamente l'attenzione del barman.

«Un bicchiere di vino, ragazza?» chiese, piuttosto amichevolmente mentre le metteva davanti un sottobicchiere. «Magari un bel bianco?»

«Un bicchiere di Sleat 14 anni, per favore.»

Il barman emise un fischio. «Non molte ragazze bevono della roba così forte. Specie non quelle della tua parte di mondo», aggiunse, indovinando correttamente l'accento americano. «Ci vuoi insieme un po' di ginger ale?»

«Solo whisky, grazie», disse lei educatamente.

«America, allora?» chiese mentre versava.

Lei annuì, ormai abituata a questo dopo qualche giorno nel Paese.

«Di dove?»

«Sono cresciuta in una città di nome Allentown.»

«Ah sì?» chiese, avendo ovviamente zero indicazioni.

«Pennsylvania», lo informò, scegliendo di non dire dove aveva vissuto negli ultimi cinque anni.

Quando ebbe il bicchiere di superalcolico di fronte, prese un sorso e lasciò che il liquido la pizzicasse prima di scendere in gola e poi a scaldarle la pancia. Col drink in una mano, esaminò il locale, trovando il decor sufficiente ad attrarre i turisti, ma non così tanto da dispiacere ai clienti locali. C'era un televisore vicino al bar che si aspettava trasmettesse una partita di calcio, e invece c'erano le news della BBC. Discutevano del piano di salvataggio delle banche che erano vicine al collasso.

Il barman notò il suo briciolo di attenzione alla tv e commentò, «Maledetti segaioli.»

Isabella lo guardò e qualunque cosa lui avesse visto nel suo sguardo, lo indusse a continuare.

«Tutti questi banchieri sono dei codardi. Sapevano quello che stava succedendo, in questi anni. Dovrebbero buttarli tutti in galera per aver rubato tutti i nostri soldi così.»

Isabella prese un sorso del suo drink.

«Mai incontrato un banchiere che mi piacesse. Non ho mai incontrato un banchiere onesto… ora che ci penso.»

Un cliente si avvicinò al bancone per pagare e distrasse il barman da Isabella. Sentì che continuava la conversazione con l'uomo che stava pagando i suoi drink, tutti e due d'accordo sul fatto che il piano di salvataggio non fosse altro che un furto.

Isabella finì il suo drink in un colpo solo.









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Capitolo 3
*** Violazione di domicilio ***


Questa storia è stata scritta in inglese da 2carm2carm2 e tradotta in italiano da Beate. Questo è il link all’originale:

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3 - Violazione di domicilio





«Papà?»

«Mmh?» fu la risposta distratta da dietro il volante.

«Papààà», questa volta lo disse con agitazione insoddisfatta.

«Cosa? Che c'è, bambina?» chiese alzando gli occhi per vedere la ragazzina sul sedile posteriore che lo stava guardando con occhi ancora troppo grandi per la sua faccia paffuta.

«Stiamo tornando dal nonno e la nonna?» chiese.

«Sì, bambina, te l'ho già detto quando siamo saliti in macchina, ricordi?» C'era impazienza nella sua voce.

Lei tacque per un momento.

Lui tornò con l'attenzione sull'autostrada di fronte a lui. La corsia di sinistra si stava muovendo troppo lentamente per i suoi gusti e gli prudeva il piede per affondare di più sul gas. Guardò il tachimetro. Dannazione.

«Papà?»

«Sì?» sospirò alzando il piede dal pedale, infastidito.

«Perché?»

«Perché cosa?»

«Perché stiamo tornando dal nonno e la nonna?» chiese accigliata. «Ci sono appena stata.»

«Non vuoi vederli?» chiese sorpassando una macchina sulla corsia di sinistra che era troppo lenta per stare lì.

Questo la confuse ed emise un sospiro frustrato. «Sì,» replicò, «ma perché di nuovo?»

«Papà deve lavorare parecchio le prossime due settimane», le disse senza spostare lo sguardo dalla strada.

«A wall sheet?»

«Wall Street, bambina.»

«È quello che ho detto.»

Lui sospirò e tamburellò le dita contro il volante.

«Ricordi quella città con la torre dell'orologio? E il castello? Proprio in mezzo alla città?»

«No», disse con un broncio scontroso.

«Sì che te la ricordi. Londra.»

Non era sicuro, ma distinse un vago «Io odio Londra» brontolato dal sedile posteriore. Tenne gli occhi sulla strada, decidendo di ignorare il commento.

I suoi nonni potevano dirle qualcosa a proposito di quel tipo di linguaggio.

«Ti porterò qualcosa», le promise vedendola accigliarsi.

«Il nonno dice che le cose non fanno la felicità», recitò lei provocatoria.

«Ma certo che lo dice, cazzo...» borbottò sotto voce. Suo padre era sempre stato il tipo virtuoso. «Che altro dice il nonno?» chiese guardando sua figlia nello specchietto retrovisore.

«Che i soldi non fanno la felicità», aggiunse lei.

«E ti ha detto cos'è che fa la felicità?» chiese, con un tono indecifrabile per un bambino.

Quell'espressione particolarmente affettata le tornò sul viso.

«L'amore.»

«Ah sì?»

«Ha detto che anche il whisky aiuta.» Poi, come ripensandoci, «ma ha detto che io non posso berlo ancora per un sacco di tempo.»

*



La strada verso l'isola di Skye era scenografica come il resto della parte nord del paese. Se non fosse stata così concentrata a non fare un frontale con un camion che veniva nella direzione opposta su quella strada stretta, si sarebbe davvero goduta il viaggio.

Stando così le cose, tirò un sospiro di sollievo quando finalmente accostò nel parcheggio della distilleria. Parcheggiò accanto a una bella Mercedes nera e spense il motore.

Distilleria Sleat.

Alla fine, era il motivo per cui era qui.

Qui in Scozia.

Ma adesso, guardandola, per qualche motivo si sentiva nervosa, esitante ad entrare.

Con la coda dell'occhio vide il van di Rabbie's accostare vicino a lei. Con una rapida occhiata si accertò che era lo stesso gruppo che aveva visto un'ora prima. Fu una motivazione sufficiente a farla scendere dall'auto, prima che in otto si mettessero in fila davanti a lei. Mentre quelli scendevano e si raggruppavano, lei entrò nella distilleria.

Una campanella tintinnò quando entrò nell'edificio e un uomo dai capelli castani alzò gli occhi dal banco di accoglienza a cui era seduto. Le fece un sorriso educato che non raggiunse gli occhi.

«Salve», la salutò con calore. «Qui per il tour, vero?»

Le venne in mente che in realtà non sapeva perché fosse lì.

Nell'ultima settimana era semplicemente andata in automatico.

«Certo», rispose lentamente. «Quando comincia?»

«Tra venti minuti, più o meno», la informò con un pesante accento scozzese. Era leggermente più facile da capire di alcune persone con cui aveva parlato a Glasgow; non era neanche convinta che parlassero davvero inglese.

«Va bene», disse lei tirando fuori il suo portafogli Louis Vuitton che aveva di recente riempito di sterline inglesi.

«Stati Uniti?» chiese lui.

«Stati Uniti», confermò lei.

«Di dove?» chiese lui.

Lei fece un sorriso timido che non raggiunse i suoi occhi. «Quelli freddi.»

L'altro gruppo di turisti era entrato nella distilleria, la guida col kilt verde brillante che faceva strada.

«Ecco qua», disse lui con un sorriso dandole qualche sterlina di resto prima di salutare il nuovo gruppo.

Isabella si guardò intorno nel negozio di souvenir della distilleria. C'era ogni tipo di memorabilia. C'erano dei graziosi bicchieri incisi di tutte le misure, di tutte le diverse miscele di whisky, anche in forme e misure diverse, vari capi di abbigliamento con la scritta Sleat Distillery in vari caratteri, e libri sulle storie dei diversi clan, ossia il clan MacDonald.

Guardare le familiari bottiglie sugli scaffali la fece sorridere. Negli anni il marchio non era cambiato. Era amichevole e accogliente come sempre. Come lo ricordava mentre cresceva.

«Okay, allora», disse l'uomo dai capelli castani. «Andiamo!»

Oltrepassò il gruppo Rabbie's e cominciò la sua storia. Cominciò a camminare all'indietro e tutti lo seguirono.

«Salve a tutti», salutò. «Il mio nome è Jasper e vi mostrerò tutto, oggi pomeriggio. Il più grande e caloroso benvenuto a tutti voi.»

Isabella sorrise mentre lui si lanciava a raccontare la storia della distilleria. «Questa distilleria è stata fondata nel 1809 da Hugh e Kenneth MacDonald, bis-bis-bis-bisnonni dell'attuale proprietario, Edward MacDonald. È passata attraverso la famiglia per generazioni e lo stesso processo di distillazione è usato ancora oggi come allora. Sfortunatamente, un incendio nel 1948 ha distrutto la metà dell'edificio e la distilleria che, come vedremo tra breve, è stata ricostruita. Ovviamente ci sono diverse teorie sull'incendio, che sia stato doloso o per affari extraconiugali, ma di questo potremo parlare dopo. Seguitemi, prego.»

Il gruppo seguì obbediente mentre Jasper indicava le diverse caratteristiche della distilleria. Passarono parecchio tempo nella distilleria mentre Jasper spiegava ogni aspetto del processo di distillazione che portava al loro scotch famoso nel mondo.

«Il malto d'orzo usato nella nostra produzione viene da Muir o Ord. La maggior parte degli alambicchi usa tubi di rame a spirale invece dei moderni condensatori che usano oggi alcune distillerie… noi crediamo che i tubi diano un aroma più pieno per via del contenuto più alto di zuccheri.»

Isabella seguiva con interesse, anche se ogni tanto si perdeva nei dettagli del processo di distillazione.

«E noterete i tubi a collo di cigno. È una caratteristica unica di Sleat. La spira dei tubi prende il vapore della distillazione nei tubi di rame a spirale così che parte dell'alcool si condensi prima di raggiungere il refrigeratore.»

A un certo punto verso la fine del tour, la vescica ebbe la meglio su di lei e chiese di un bagno. Jasper la spedì di nuovo verso l'atrio, le disse di girare a sinistra sul corridoio. Le disse anche “di sbrigarsi, così non avrebbe mancato la parte del tour degli assaggi.”

Avendo avuto già la giusta parte, e di più, di whisky nella sua vita, sorrise educatamente e annuì.

Il corridoio non fu difficile da trovare. C'erano non solo molte porte, ma anche tante foto. Foto dei primi del 900 che mostravano la distilleria in diversi stadi di vita, sempre annidata nelle verdi colline. Le foto erano sempre più vecchie mentre si avvicinava alla fine del corridoio, dove era attaccato un disegno fatto a mano dell'edificio, datato metà Ottocento. Affascinata, osservò il disegno.

Mentre guardava i dettagli, sentì delle voci e si rese conto che probabilmente aveva oltrepassato i limiti entro cui la distilleria intendeva tenere i suoi ospiti. Alla fine del corridoio sentiva delle voci piuttosto accalorate che sembravano parlare di un contratto di qualche sorta. Dopo aver passato anni ad essere parte di queste conversazioni, le fu quasi impossibile non capire subito di cosa si trattava.

La porta era appena aperta, e lasciava i rumori uscire liberamente nel corridoio.

Sentendo come se stesse violando un domicilio, diede un'ultima occhiata al disegno e poi girò sui tacchi e si diresse verso il Water Closet.

«Questa distilleria chiuderà, che vi piaccia o no!»

A questo, si bloccò.

Non respirava.

Non Sleat.

Ci fu un silenzio nella stanza dopo questa affermazione, seguita poi da una quieta risposta femminile che non riuscì a distinguere.

«Ora ne abbiamo abbastanza! A meno che non abbiate i soldi, la banca prenderà possesso di questa proprietà e tutto quello che vi è contenuto entro lunedì!»

Era venerdì.

No, non possono.

«Non potete farlo!»

«Oh, Mr. MacDonald, scoprirà che possiamo farlo. E lo faremo.»

«MacLeod», cominciò la voce femminile, il tono tagliente. «Come pensa che possiamo trovare 150000 sterline in un fine settimana?»

«Questo non mi riguarda», disse l'altra voce. «E francamente, non mi aspetto che lo facciate. A questo punto, questa visita è semplicemente una cortesia. Mi aspetto che questa terra e tutto quello che c'è sopra diventi mio entro lunedì.»

A questa affermazione seguì un silenzio.

Chiudendo gli occhi e borbottando una serie di contumelie e una preghiera, Isabella piombò nella stanza.

«E se trovassero un business partner che provveda ai fondi necessari entro lunedì?»







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Capitolo 4
*** American Business Partner ***




Questa storia è stata scritta in inglese da 2carm2carm2 e tradotta in italiano da beate. Questo è il link all’originale:

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4 – American Business Partner



Era appena andata bere un po' d'acqua in bagno. Era martedì notte e per qualche motivo faticava ad addormentarsi i martedì notte. Probabilmente era colpa del fatto che ogni mercoledì aveva un test di grammatica.

Dopo essersi girata e rigirata nel letto, aveva scalciato via le coperte frustrata e si era alzata per spegnere la sua sete. Sentiva le voci attutite dei suoi nonni attraverso la porta e fu molto cauta, cercando di non farsi sentire.

Anche perché era sicura che stessero parlando di lei.

Oggi aveva portato a casa una nota di biasimo da Mrs. Scott.

Era la prima volta che portava a casa una cosa del genere e non sapeva come avrebbero reagito i nonni.

I posti a sedere assegnati due settimane prima l'avevano piazzata accanto a un ragazzino di nome Brian. Anche per essere uno di quarta, Brian era piuttosto spavaldo. Diceva cose solo per contrapporsi a lei («Perché passi tanto tempo sulla calligrafia che non ti viene neanche bene?»), faceva affermazioni ridicole, («Tu piaci a Mrs. Scott solo perché tuo padre è ricco»), diffondeva voci false («Ethan parlava tanto di te, ieri sera al nostro pigiama party, scommetto che ha una gran cotta per te»), e in sostanza le dava un gran fastidio.

Inoltre non si lavava mai i denti e aveva un alito orribile.

Oggi aveva esagerato nel provocarla e lei era scattata.

«Brian, sei la persona più odiosa che abbia mai conosciuto! Non fai altro che inventarti delle cose solo per infastidirmi e distrarmi! E devi davvero lavarti i denti, perché puzzi!»

Che era, grosso modo, quello che c'era scritto sulla nota che aveva dovuto dare a sua nonna.

Il nonno era uscito, era la sua serata di partite a carte, e lei aveva detto che ne avrebbero discusso al suo ritorno. Dato che lei era andata a letto prima che tornasse a casa, era fuori dai guai almeno fino al giorno dopo.

Non appena mise i piedi nudi sul tappeto nel corridoio, seppe che ne stavano parlando.

«Onestamente, Jane, non vedo che gran problema sia.»

«Non può comportarsi così a scuola.»

«Perché no? Ogni sera a cena ci ha detto quanto la infastidisse questo Brian. Perché non avrebbe dovuto metterlo al suo posto?»

«Be', Loretta Scott non pensa che sia proprio una dimostrazione di buone maniere.»

«Queste sono stronzate. La nostra Annie è una delle ragazzine che si comportano meglio a scuola.»

Isabella non sentì la risposta quieta di sua nonna.

«Quella che loro chiamano 'mancanza di buone maniere' io la chiamo determinazione. E lei mi piace così.»

Di nuovo si sforzò di sentire la risposta di sua nonna, ma non ci riuscì.

«Dovrà avere a che fare con persone del genere tutta la vita… gente come Brian, gente come suo padre. Preferisco mille volte che si tenga quel fuoco, piuttosto che pensi che hanno ragione loro.»



*



Quattro paia d'occhi stupiti atterrarono su di lei mentre piombava nella stanza. Osservò velocemente la stanza e vide che tre dei partecipanti alla conversazione erano seduti e in piedi. Un giovane uomo sedeva alla scrivania mentre un uomo di mezza età e una donna gli stavano accanto in piedi da una parte e dall'altra. Dalla parte opposta della scrivania sedeva un uomo con un completo.

Fu quello l'uomo che parlò per primo. «Un business partner americano?» chiese con un ghigno.

Isabella alzò un sopracciglio e non fece scendere le sue spalle di un millimetro.

«Forse.»

Ignorando gli altri tre, l'uomo, chiaramente della banca, non si lasciò minimamente intimidire. «Be', dato che lo chiede, se il suo prestito a un individuo è superiore a 50.000, questo è considerato IDE, che significa-»

«Investimento Diretto Estero, sì, lo so bene. Grazie.»

A questo lui alzò un sopracciglio, ma non perse il suo ghigno. «E come investimento diretto estero deve essere segnalato e liquidato tramite la FCA. Un procedimento che prende ovunque 3-5 giorni lavorativi fino alle 4-6 settimane col governo scozzese.»

Dannazione.

Non era quel rimedio semplice che aveva sperato.

Mentre pensava alle alternative, chiese, «Il suo istituto non ha l'abitudine di concedere proroghe, se ho capito?»

Ridacchiando, guardò i tre proprietari della distilleria. «Perché non chiede alla famiglia MacDonald delle proroghe che la Royal Bank of Scotland gli ha concesso?»

I tre sembravano aver superato lo shock della sua entrata e adesso la stavano osservando con sospetto e curiosità.

«Sì, è vero», disse alla fine il ragazzo castano, il tono un po' amaro. Tornò poi a squadrare desolato le carte di fronte a lui.

C'erano delle regole ben precise, specialmente sul trasferimento internazionale del denaro che rendevano la situazione incredibilmente complicata. Sapeva di avere qualche modo di accedere ai fondi, ma dato lo sguardo altezzoso che le stava dando il banchiere, si chiese quante probabilità avesse.

«Se un americano dovesse trasferire loro questo denaro per pagare questo debito-»

«Sarebbe troppo tardi. Dobbiamo avere i fondi entro lunedì. Come ho detto, ogni somma oltre le 50.000 sterline è considerata IDE e se non è fatta attraverso i canali appropriati, canali che necessitano di giorni se non settimane per essere aperti, temo che sarei costretto a fare denuncia e lasciare questa azienda al rigore della legge per questa infrazione.»

Semplicemente da questa affermazione, Isabella capì che c'era qualcosa di personale. Quest'uomo era qui non solo per prendere la distilleria a nome della banca, ma doveva pensare che era qui per prenderla per se stesso, non per un compratore. Visti gli sguardi furiosi che stava ricevendo dagli altri scozzesi nella stanza, immaginò che non ci fosse un grande amore tra le parti.

Il silenzio cadde nella stanza, mentre la sua testa correva alla ricerca di possibilità, senza grandi risultati.

«Se è tutto, ci vedremo lu-»

«MacLeod», disse il giovane uomo con un ringhio. «Perfino tu sai che quei tassi sono maledettamente esorbitanti.»

«I tassi sono perfettamente ragionevoli, dato lo stato della vostra azienda, MacDonald», replicò senza neanche tentare di nascondere la sua condiscendenza. «Avete accettato.»

«Non questo!» rispose con veemenza, «e tu sai meglio di me che nessuna banca mi avrebbe dato quei soldi con questa dannata recessione!»

MacLeod scosse la testa. «Come ho detto, sfortunatamente questo non mi riguarda.»

«E se fosse denaro suo?» chiese lei all'improvviso.

Il cuore le martellava nel petto mentre si rendeva conto di quello che stava suggerendo. Era impotente di fronte alla disperazione che le era presa, disperazione di salvare una distilleria in cui non aveva mai messo piede.

«Glielo assicuro, se lei gli dà il denaro, noi lo sapremo e la denunceremo alla FCA.»

Isabella inarcò un sopracciglio. «Sì, ma se fosse suo?»

La donna la stava guardando curiosamente e finalmente parlò. Isabella realizzò che l'aveva erroneamente considerata scozzese quando, di fatto, era inglese. «Se Edward avesse accesso ai fondi e questo non richiedesse alcun trasferimento internazionale di denaro, questo sarebbe sufficiente per voi?»

«Naturalmente», concesse lui. «Per adesso.»

«Ci scusa per un momento, MacLeod?”

Prima che lui rispondesse, la donna annuì verso Isabella e poi uscì dalla stanza, seguita da Isabella. La donna chiuse bene la porta dietro di sé e poi si voltò subito verso di lei

«Chi sei tu? E hai intenzione di dirmi di che si tratta?» chiese senza mezzi termini.

«Questa distilleria non può chiudere», rispose lei con semplicità.

Mentre lo diceva, sentì un'inspiegabile convinzione.

L'idea che non poteva permettere che la distilleria chiudesse le veniva da dentro, dal profondo. Non aveva tempo di esaminare bene il perché, ma sentiva una totale certezza che non poteva lasciare che succedesse.

La donna alzò le sopracciglia.

«Non può.»

«E tu hai i fondi per fare in modo che non succeda?»

All'improvviso guardinga, Isabella annuì.

«Perché?» chiese con attenzione la donna.

«È importante. È importante per me. Questa situazione mi sembra sbagliata. E ho la possibilità di fare qualcosa.»

La donna la scrutò, esaminando il suo carattere e la sua credibilità.

«Quanto lontano sei disposta a spingerti per mantenere aperte queste porte?» chiese la donna con perfetto accento inglese.

Prima che Isabella potesse rispondere, continuò la sua linea di interrogatorio.

«Sei onestamente pronta a sposare mio nipote per far diventare i tuoi soldi i suoi soldi?»

Isabella aprì bocca, poi si congelò.

«In ricchezza e in povertà… finché morte non ci divida.»

Era la soluzione più folle, a malapena legale, che le era venuta in mente. Ma sentirlo dire ad alta voce da un'altra persona le fece fare mente locale su quell'idea bizzarra.

Lo era?

Era pronta?

Certo che no.

Era un estraneo.

Era solo una transazione di affari.

Nessuno a casa l'avrebbe saputo.

Sentì una sgradevole sensazione di peso alle budella.

«Lo farò per rimettere in piedi la distilleria.»

E non per un attimo in più.

La donna, a quanto pare la zia del proprietario, la guardò per un momento, prendendole le misure. Non era uno sguardo né duro né gentile, era semplicemente… giudicante.

«Va bene, allora.»

Tornarono in ufficio prima che Isabella potesse rimangiarsi la parola.

«Grazie, MacLeod», disse la zia, improvvisamente gentile. «Ci vediamo lunedì.»

MacLeod non fu l'unico a guardarla sorpreso.

Con un profondo respiro, Isabella si unì agli altri tre dalla loro parte della scrivania, guardando il banchiere. MacLeod si mosse lentamente, senza staccare gli occhi da Isabella. Con un caloroso sorriso completamente finto al suo sguardo, Isabella mise la mano destra sull'ampia spalla dell'uomo seduto.

A suo credito – Edward si chiamava? - non trasalì affatto a quel tocco inaspettato.

«Sappi MacDonald che questa non la farò passare. La Royal Bank of Scotland avrà questa proprietà se le leggi scozzesi saranno infrante, in qualunque modo abbiate in mente.»

«Non ho in mente nulla, MacLeod», rispose Edward, con onestà, si rese conto lei. «Carlisle ti accompagnerà fuori.»

L'uomo che era rimasto silenziosamente alla sua destra annuì e scortò gelidamente il banchiere fuori dell'ufficio e fuori dalla proprietà.

«Zia, ma che diavolo ti viene in mente?» sibilò guardando sua zia non appena la porta si chiuse. Si voltò a guardarla, strattonando via la spalla da sotto la mano di Isabella.

«Se vuoi tenere aperta la distilleria, avrai bisogno di un partner», disse lei. «E – scusa, come ti chiami, cara?»

«Isabella», disse lei.

«E Isabella può essere quel partner.»

«Non hai sentito quello che ha detto? Ci vorrebbero settimane! Settimane che non abbiamo.»

«Non solo un business partner, Edward», replicò la zia.

«Cosa intendi?»

Distrattamente, lei notò che il suo accento era più forte dell'accento che aveva sentito nelle highland. Suonava così pesante, le ricordava quello delle persone che aveva incontrato a Glasgow, che avevano accenti quasi impenetrabili.

«Quello che intende è: se ci sposiamo, il mio denaro è il tuo denaro.»

«Vuoi dirmi che hai 150.000 sterline? Così, a tua disposizione?» chiese alzando un sopracciglio e guardandola con luminosi occhi blu.

«Sì.»

«Come?»

Isabella lo guardò.

«Ti riguarda?»

«Sei una specie di criminale, allora?» chiese lui, il tono divertito.

«No, non sono una criminale.»

Nonostante l'opinione popolare.

I due si guardarono in silenzio prima che l'uomo, Carlisle, tornasse in ufficio.

«Esme, cosa stai tramando?»

«Isabella, questo è mio marito Carlisle», lo presentò Esme, ignorando lo sguardo di suo nipote.

«Piacere», disse lui con un sorriso sincero, prima di voltarsi verso sua moglie. «Esme?»

«Guarda, se si sposano domani, Isabella potrà fargli avere il denaro, non come se fosse un prestito o un trasferimento da un privato cittadino a un altro privato cittadino. Sarebbero fondi condivisi di una coppia sposata.»

A suo credito,Carlisle non reagì come se fosse la cosa più folle che avesse mai sentito. «E se li beccano?»

«Cosa?» chiese Edward.

«Lo stavo leggendo sul giornale proprio qualche giorno fa, ricordi, Esme? Il governo ha delle nuove leggi contro i matrimoni forzati. Se ti beccano sono due anni di galera, lo sai?»

«Questo non sarebbe affatto un matrimonio forzato.»

«Credi che MacLeod non penserebbe a dichiarare che invece lo è?» chiese lui con un sopracciglio alzato. «Quel tipo farebbe di tutto per prendersi questo posto per sé. È capace di stiracchiare una legge come meglio gli conviene per i suoi interessi, e ricordati che la sua famiglia ha delle connessioni con i funzionari giudiziari.»

Edward si era alzato e guardava i suoi zii con le braccia incrociate al petto.

«Bella, giusto? Posso parlarti in privato?»

Non si disturbò a correggerlo, dicendogli che nessuno la chiamava più Bella da anni. Annuì.

Esme e Carlisle uscirono dalla stanza prima che dicessero qualcos'altro, lasciando in silenzio i potenziali fidanzati.

«Chi sei tu?» chiese lui dopo un momento. «E perché sei in Scozia?»

Isabella sbatté gli occhi.

«Io sto… sto viaggiando.»

Lui continuò. «E perché mai dovresti accettare di sposare un estraneo? Ti rendi conto che è da matti, vero?» chiese con enfasi, cercando di determinare se fosse sana di mente. Dal suo tono, sembrava mettere in questione anche la salute mentale dei membri della sua famiglia. «Sei almeno mai stata in questa distilleria, prima?»

«No», ammise lei. «Mai.»

«Perché?» chiese lui semplicemente.

«Perché cosa?»

«Perché accetteresti tutto questo?» chiese, i tratti duri del viso che si ammorbidivano mentre la guardava confuso, e lei vide qualcosa che non aveva visto prima: vulnerabilità.

Lui doveva essere disperato, altrimenti, una persona sana di mente non avrebbe mai accettato un accordo simile.

Forse non era del tutto sano di mente, pensò.

Questo poteva essere un problema.

«Questo posto… questa distilleria… significa qualcosa per me.»

Comprendendo che questo era tutto quello che sarebbe riuscito a tirarle fuori, la sua faccia tornò ad essere una maschera.

«Be', su questo siamo d'accordo.»

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Capitolo 5
*** Documenti urgenti ***


Questa storia è stata scritta in inglese da 2carm2carm2 e tradotta in italiano da beate. Questo è il link all’originale:

https://www.fanfiction.net/s/13053224/5/The-Whisky-Distiller-s-Wife







5 – Documenti Urgenti



«Cari studenti, vorrei di nuovo prendermi un momento per dare il benvenuto a voi, la Classe del 2001 della Wharton School of Business! Come ha detto il preside questa mattina, questa era l'infornata di candidati più competitiva che la nostra scuola avesse mai visto; dovete essere molto fieri di essere stati accettati e unirvi ai ranghi di alcune delle menti più brillanti che questo Paese abbia mai visto.»

Diversi membri della facoltà seduti in prima fila nell'auditorium cominciarono ad applaudire e legioni di studenti si affrettarono a seguirli. Isabella si guardò intorno, sentendosi fuori posto, basandosi sul fatto che non era per nulla eccitata come sembravano essere tutti gli altri. Comunque, applaudì lo stesso lo sponsor aziendale del “College Day” della Wharton.

«Detto questo, Goldman Sachs è felice di aver portato oggi una squadra di analisti», disse gesticolando verso una ventina di persone che erano in fila accanto a lei, tutti impeccabili nei loro completi su misura. «Oltre a essere alcune delle persone più brillanti dell'industria, sono tutti laureati alla Wharton che si sono uniti a noi da Goldman Sachs dopo la laurea.»

Un altro giro di applausi a cui Isabella si unì esitante.

In cosa si era ficcata?

A parte il fatto che la Wharton le aveva dato una borsa di studio completa, l'Università della Pennsylvania era stata l'unica che aveva preso in considerazione, volendo restare vicino ai suoi nonni.

Il liceo non le aveva dato indicazioni chiare su quello che voleva fare, anche se aveva attivamente sperato in una vocazione. Sperava che biologia umana le ispirasse il sogno di diventare medico, ma i corsi erano orribilmente noiosi. Senza un sentiero chiaro da seguire, non aveva avuto buoni argomenti quando suo padre aveva insistito che la Wharton fosse un posto buono come un altro per aiutarla a scoprire quello che voleva fare.

Guardandosi intorno, realizzò che forse lei era la più riluttante in quella sala.

«Noi siamo la famiglia Wharton da Goldman Sachs», continuò la donna con un sorriso lustro. «Io ho incontrato mio marito, qui. Gli studenti della Wharton diventano i migliori analisti, ed è per questo che reclutiamo così duramente qui. Veramente, voi siete tutti così intelligenti! Non possiamo pensare a menti più brillanti con cui passare questo tempo.»

Reclutare? Non aveva fatto neanche il primo giorno di corso, ancora.

«A questo punto, ci divideremo in gruppi. A ognuno dei nostri analisti è stato assegnato un tavolo con sopra un numero. Le vostre targhette hanno i numeri corrispondenti. Per favore siate pronti a trovare il vostro tavolo assegnato. Godetevi le vostre conversazioni, e benvenuti alla Wharton!»

Anche se Isabella non aveva idea di cosa avrebbe dovuto conversare, si mosse in fretta per trovare il tavolo nell'atrio che mostrava uno spavaldo numero quattro accanto al logo della Goldman Sachs.

L'analista al suo tavolo era un maschio bianco uguale ad altri 14 analisti. Il suo completo era blu scuro e i capelli erano completamente ricoperti di gel.

Il suo abbigliamento nell'insieme doveva costare migliaia di dollari.

Isabella si strinse addosso il cardigan che sua nonna le aveva comprato da Macy's, sentendosi malvestita e desiderando che il cotone formasse una corazza contro le sue insicurezze.

L'analista, che si presentò rapidamente come Kevin a lei e agli altri sei presenti al tavolo, era abbastanza amichevole. Disse loro in che anno si era laureato in economia finanziaria con lode alla Wharton e si scusò per il suo jetlag. Era appena tornato dalla filiale di Hong Kong di Goldman Sachs.

Isabella aveva familiarità con quella rotta, dato che suo padre volava là spesso.

Dopo aver parlato del suo periodo alla Wharton e come pensasse che fossero i migliori anni della sua vita, fino a che non aveva cominciato a lavorare a Wall Street e le cose erano ancora migliorate, chiese loro di dirgli i loro nomi e in cosa pensavano di laurearsi.

Due ragazzi si presentarono, trasudando sicurezza e parlando del pedigree di Wall Street che potevano vantare, spiegando dove lavoravano i loro genitori. Isabella li guardava parlare impassibile, sentendo il cuore che le martellava irragionevolmente nel petto.

«E tu?» chiese Kevin guardando Isabella.

«Mi chiamo Isabella Swan», rispose e poi aggiunse in fretta, «Penso di studiare marketing.»

Il sorriso di Kevin si allargò.

«Quindi sei la figlia di Charles Swan!»

Isabella sorrise nervosamente.

«E io ti ho beccata al primo colpo», sorrise deliziato.

Isabella si tirò le maniche del cardigan, ma sorrise educatamente.

«Non fare marketing», le disse lui serio. «Non c'è lavoro, ed è uno spreco della laurea alla Wharton. Tu sei abbastanza in gamba da farcela a Wall Street, non sprecare i tuoi talenti da nessun altra parte.»

Isabella sentì la maglia che cominciava a sfrangiarsi sotto le sue dita che tiravano.

«Tu sei il colpo grosso di questo corso, lo sapevi? Tuo padre ha detto che potevi non essere interessata alla finanza… ha detto a tutta la compagnia che chiunque riesca a farti cambiare idea e convincerti ad unirti al family business sarà ampiamente ricompensato», le disse con una risata, tirando fuori un biglietto dalla tasca del suo completo.

«Tieniti stretto questo, Swan», le disse porgendole il suo biglietto da visita. «Ti porteremo a Wall Street, che ti piaccia o no.”

*



«Edward, ma sei diventato matto?»

Isabella osservava guardinga mentre la sorella di Edward gli urlava contro nel bar vuoto.

«Alice, smettila-» disse con fermezza.

«Sposare una donna che non hai mai visto prima? Domani?» Abbaiò una risata. «Ti fa aria il cervello!»

Al suo sguardo confuso, Carlisle si chinò e borbottò la traduzione. «Significa che sta dicendo scemenze.»

Lei gli fece un sorriso poco convinto. «Grazie.»

«Alice, non sono matto», replicò lui tagliente.

«Capisci cosa stai facendo?» chiese lei sarcastica. «Sei proprio un

coglione!»

«Hanno un accento più pesante di te», commentò Isabella sotto voce mentre i fratelli continuavano a battibeccare.

«Già», concordò Carlisle. «Sono cresciuti a Glasgow. L'hanno imparato da bambini, dalla loro madre.»

«È decisamente difficile da capire», borbottò lei.

Carlisle sorrise. «Ah, dovresti sentirli quando sono davvero emozionati», poi aggiunse con aria da cospiratore, «o ubriachi.»

«Immagino che questo sia il momento giusto.»

«», disse Carlisle mentre Alice sbuffava sonoramente e si voltava verso Isabella.

Doveva avere solo qualche anno meno del fratello, ma erano incredibilmente simili. Avevano il naso dritto, gli occhi blu leggermente a mandorla e una forte mascella. Mentre i capelli di Edward erano castani con una sfumatura ramata, quelli di lei erano di un rosso luminoso. Lei aveva i ricci e lui i capelli lisci, ma si somigliavano un sacco.

«Mi dispiace», si scusò lei. «Ma non capita tutti i giorni che il mio fratello preferito annunci il suo matrimonio con una sconosciuta con meno di 24 ore di preavviso.»

Di nuovo, Isabella fece un sorriso poco convinto. «È comprensibile, certo.»

«Ma perché tu vorresti fare una cosa simile?»

«Alice», la castigò Esme.

«È una domanda giusta», si difese. «Puoi anche avere i soldi, ma perché arrivare a questo?»

Per un momento Isabella si sentì persa. Non poteva spiegare l'istinto di proteggere la distilleria, di proteggere lo Sleat Scotch. Non poteva spiegarlo perché, a dire la verità, non lo capiva del tutto neanche lei.

Ma lo sentiva.

Ed era la prima volta che sentiva qualcosa di così forte da tanto tempo.

Non poteva lasciarselo sfuggire.

Non questa volta.

«È una meravigliosa opportunità di business», replicò onestamente Isabella. «Anche se poco ortodossa.»

«Ma sposarlo?» insisté lei.

«Alice-»

«Hai un'idea migliore che mi permetta di dare alla Sleat quel denaro?» chiese Isabella. «Se fossi arrivata lunedì o il mese scorso, forse avremmo avuto la possibilità di fare tutto come si deve, ma dato che è venerdì, fare tutto attraverso l'amministrazione non funzionerà. Ci ho pensato e ripensato, e dati regole e regolamenti scozzesi , e la tempistica con cui abbiamo a che fare, non mi è venuto in mente altro che questo accordo, e come ho detto, mi rendo conto che non è un modo ortodosso di fare business. Comunque, se hai un'idea diversa, prego, parla.»

Ora era la volta di Alice a essere persa.

Tutti rimasero in silenzio nella stanza, finché Alice non fece un sorriso riluttante.

«Sarà meglio che chiami Emmett e gli dica di portare qui il culo da Glasgow», disse roteando gli occhi. «Immagino che vorrà essere qui per il primo matrimonio del suo unico fratello.»

Quindi non erano solo due i fratelli MacDonald.

Si chiese vagamente se anche l'altro sarebbe stato altrettanto difficile da comprendere.

Erano all'Isles Inn, il locale di Esme a Portree, a pochi chilometri dalla distilleria. Era un posto intimo, a metà tra un ristorante e un bar. Di sopra c'erano stanze da affittare, che lei assicurava fossero piene in alta stagione, d'estate, ma non altrettanto nel freddo di novembre.

Era un'ora strana della giornata, non ancora ora di cena, ma quasi buio fuori. Si sedettero a un tavolo accanto a un fuoco ruggente. Sul camino c'era uno specchio in ottone e due ritratti incorniciati.

«Charles Stuart», la informò Edward distrattamente, vedendo che i suoi occhi indugiavano lì.

«Il Bonnie prince», disse lei secca.

Questo gli fece alzare un sopracciglio. «», disse, chiaramente non aspettandosi la sua conoscenza della storia scozzese.

«E quella è...»

«Fiona MacDonald», disse lui.

«Ah», disse lei sorridendo. «Una vostra parente?»

Lui ghignò. «Alla lontana.»

«Va bene», disse Esme richiamando tutti all'ordine. Jasper, la sua guida e a quanto pareva il figlio di Esme e Carlisle, si unì a loro al tavolo. «I dettagli. Prima di andare oltre, Bella, mi scuso, ma devo chiedere… sei sicura di poter andare in banca lunedì mattina e ottenere un assegno di oltre… cosa, 200.000 dollari, in dollari americani?»

«Quei maledetti bastardi della finanza non te lo renderanno facile», commentò Jasper con un ringhio. «Segaioli.»

«Jasper», disse piano Esme a suo figlio.

«È vero!» sbottò lui amaro. «Preferiscono vederti perdere tutto, prenderselo e venderlo a quattro soldi. Non vogliono che gente come noi faccia soldi.»

Carlisle borbottò qualcosa in accordo con quanto diceva il figlio. Edward annuì riluttante.

«C'è una filiale Barclays da qualche parte in Scozia?» chiese lei.

«Sì, a Glasgow», rispose Edward. «Ci passavo davanti quando andavo a scuola.»

«Devo andare lì e chiedere che mi facciano un assegno. Sì, ho questi fondi in un conto che mi permette di accedervi anche all'estero.»

Era chiaro che tutti erano curiosi del perché una donna relativamente giovane avesse accesso a una simile somma di denaro, specialmente nel bel mezzo di una recessione globale.

Curiosi e sospettosi.

Ma vedeva che tutti si mostravano educati e non avrebbero insistito sull'argomento.

«Non vuoi vedere i nostri libri contabili?» chiese alla fine Jasper. «E se Sleat fosse un terribile investimento?»

«Imbecille», borbottò Edward con un ringhio.

«Cosa?» chiese lui. «Se ti darà tutti quei soldi, sono sicuro che alla fine li rivorrà indietro. Come fa a saper se questo è possibile?»

Di nuovo tutti gli occhi erano su di lei. Aprì bocca, ma una ragazza dello staff di Esme, anche lei di nome Fiona, apparve con dei piatti di cibo in mano e li posò di fronte a loro. Il pranzo di Isabella era stato una barretta di cereali mentre guidava e il suo stomaco brontolò al profumo del cibo. Erano fish and chips, e sembravano unti e deliziosi.

«Ho un po' di esperienza di affari», disse lei vaga mentre loro erano in qualche modo distratti dalle loro patate fritte. «Guarderò i libri non appena la Barclays mi farà avere l'assegno e da lì faremo un piano.»

«Allora vuoi essere il suo business partner?» chiese Carlisle. «Davvero?»

«Per adesso sì.»

Accanto a lei, Edward era tutto intento a guardare la sua cena.

«Non hai un lavoro in America?» chiese Carlisle curioso. «Quanto tempo puoi stare in Scozia?»

A questo, Isabella si morse il labbro e esitò.

«Ho una certa flessibilità», disse alla fine.

Esme sembrava la più disposta a accettare questa risposta.

«E sei sicura che i documenti arriveranno con Scott?» chiese lei rivolgendo uno sguardo preoccupato al marito.

Carlisle si grattò la barba pensieroso. «Sì, andrà tutto bene.»

«Bene come come può andare se chiedi a uno di falsificarli.» scherzò Jasper.

Isabella sentì un colpo e un improvviso, «Cazzo!» da parte di Jasper.

«Non è contraffazione», disse Carlisle guardando di traverso suo figlio mentre quest'ultimo si massaggiava il polpaccio. «Sono… documenti urgenti.»

Esme notò le sopracciglia alzate di Isabella a quello scambio e le disse, «I matrimoni in tutto il Regno Unito sono soggetti alla pubblicazioni e in Scozia sono richiesti 21 giorni», spiegò. «Ed è la legge, non un suggerimento.»

Lei mantenne una faccia neutra, ma dentro di sé trasalì. Conosceva le leggi britanniche riguardo a industria e finanza, ma non era aggiornata sulle regole che riguardavano i matrimoni.

«Conosco Scott da quando eravamo bambini», spiegò Carlisle. «È sempre stato un buon amico per tuo padre e per me», disse rivolgendosi a Edward.

Da parte sua, Edward non disse nulla su questo flirtare precario con la legge. Guardava intento Fiona MacDonald.

«Documenti urgenti. Già, ho capito.»

Questa volta fu Esme a colpire suo figlio dietro la testa.

«Be', Emmett sta arrivando, ma non senza qualche domanda», li informò Alice tornando nella stanza e sedendosi. «Ha detto che porterà con sé le cornamuse perché sia un matrimonio scozzese appropriato. Cioè, abbastanza appropriato, considerato che nessuno ha i soldi per pagarlo.»

Un silenzio imbarazzato calò sul gruppo. Carlisle tirò un lungo sospiro e guardò la moglie. Quando nessuno replicò a Alice, lei aggiunse, «Deve essere convincente, no?»

«Se non vogliamo che qualcuno finisca in gattabuia, eh, pa?» disse Jasper con una risata. Aveva sentito le osservazioni di suo padre sul giro di vite del Regno Unito sui matrimoni illegittimi per portare nel Paese mogli straniere e non riusciva a nascondere il suo divertimento.

Edward rimase in silenzio alla prospettiva di finire in galera.

Isabella guardò critica il cugino di Edward.

Almeno c'era qualcuno che trovava la situazione divertente.

Più loro parlavano, più Isabella si rendeva conto che stavano giocando col fuoco, sotto forma di leggi scozzesi. Ad essere onesti, avrebbe dovuto semplicemente uscire dal pub, salire sulla sua auto a noleggio e andare per la sua strada.

Esme, ancora con le labbra strette al commento di Alice sulla mancanza di fondi, replicò, «Ci inventeremo qualcosa.»

«Va bene», disse Carlisle brusco. «Ora basta», scoccando a suo figlio un'occhiata tagliente. «Facciamola finita.»

«Ha ragione», disse Esme, poi guardò Alice. «Abbiamo un po' di telefonate da fare, tesoro.»

A dire la verità, il resto della serata passò un po' in una nebbia, con Isabella che più che altro si chiedeva cosa diavolo le fosse saltato in mente. Mentre Esme e Alice chiamavano tutti gli abitanti dell'isola di Skye e spedivano Edward, Jasper e Carlisle a fare commissioni avanti e indietro, Isabella pensava che avrebbe dovuto davvero mostrare un'oncia di salute mentale, fermare questa follia e salire su quella maledetta auto a noleggio.

Ma non poteva.

Non aveva niente a che fare con Edward, pensò tra sé mentre parlava con Esme e Fiona di trasformare il pub in uno spazio per il ricevimento. Era un giovane uomo piuttosto bello, ma questo era un pensiero che era arrivato dopo, non certo il motivo che l'aveva spinta. Lui sembrava un tipo equilibrato e, a parte lo scoppio iniziale, sembrava determinato quanto lei a fare tutto questo per salvare il suo business e la sua eredità familiare.

Quando si ritrovarono al pub, dove adesso c’era un considerevole numero di clienti che mangiavano e bevevano, la maggior parte dei dettagli era risolta. Avevano parlato col ministro della Chiesa d'Inghilterra, trovato un pianista, ordinato una gran quantità di cibo da servire, confermato che Scott avrebbe avuto i documenti in tempo utile, erano stati in distilleria per stoccare del whisky per gli ospiti e avevano effettivamente invitato degli ospiti.

Esme e Alice avevano un talento naturale per raccontare storie e si erano inventate una bella storia sulla giovane coppia, pazzi uno dell'altro che non potevano aspettare un altro giorno prima del matrimonio, essendo già passati 21 giorni dalle pubblicazioni. Perfino a Isabella, la romantica protagonista della storia, sembrava una storia convincente. L'interpretazione di Alice divenne anche più drammatica e teatrale mentre finiva il terzo sidro della serata.

Isabella incontrò altri due cugini di Edward che lavoravano alla distilleria, Robert e Ian. Erano chiassosi, ma lei si ritrovò a sorridere esitante alla loro turbolenza mentre prendevano in giro Edward sul matrimonio.

«Ce lo dici così, che non possiamo neanche darti una festa di addio al celibato come si deve?» accusò Robert. Edward rise e gli diede una gomitata nelle costole. «Negando ai tuoi cugini un diritto di nascita?»

«Non sarà come si deve, ma stasera ci sbronziamo!» disse Ian alzando la sua pinta di birra.

Esme si schiarì la gola.

«Una volta finito con i preparativi, naturalmente, zietta», eccepì Ian.

Esme roteò gli occhi.

«Abbiamo quasi finito per questa sera. Edward, tu hai qui i tuoi vestiti formali, vero? Non è che li hai a Glasgow o da qualche altra parte.”

Edward annuì.

«Aspetta», sbottò Alice. «E lei cosa indossa?»

Esme rimase a bocca aperta, incredula di aver dimenticato un dettaglio così importante. «Dannazione», borbottò. «Hai ragione, Alice. Hai qualcosa di formale, tesoro?» chiese a Isabella.

«No, mi dispiace», disse Isabella con aria di scusa.

«Non so se c'è tempo di andare in un negozio di abiti da sposa e tornare, domattina», si accigliò Esme. «Forse posso chiedere a Mrs. Brown se possiamo usare il vestito da sposa di sua figlia? Lui lo ha lasciato all'altare, ma immagino che abbia ancora il vestito.»

«Non è della sua taglia», disse Alice guardando Isabella. «Brown è alta un metro e cinquanta sì e no.»

«Forse se -»

«Che ne dite del vestito di Ma?»

Tutte le donne si voltarono verso Edward, che aveva seguito la conversazione con uno sguardo intenso. Guardò sua zia. «Ma' diceva sempre che era senza tempo, no?»

«Sì,» concordò quieta Alice, «ma...»

«Le starebbe bene», disse Edward con fermezza.

Isabella voleva protestare, dire che non c'era bisogno che indossasse il vestito della loro madre, specialmente perché era chiaro che lei non c'era più. Ma di fronte allo sguardo di Edward, tacque.

«Sì, le starebbe bene», concordò alla fine Esme. «Tua mamma aveva ragione. È ancora un bellissimo vestito.»

«Lo vado a prendere in magazzino», disse Alice. «Probabilmente avrà bisogno di qualche rifinitura.»

Edward strinse sua sorella con un braccio solo e le sussurrò qualcosa tra i capelli. Lei alzò lo sguardo con un sorriso affettuoso che lui ricambiò. Isabella si sentiva come una specie di terzo incomodo e abbassò gli occhi da quel momento toccante.

«Grazie, tesoro», disse Esme.

«Sembra che questa festa sia pronta a trasformarsi in un addio al celibato!» rise Robert, vedendo che erano arrivati a una conclusione. Ci furono fischi e grida dagli altri cugini, Carlisle batté le mani. Edward fece un sorriso timido mentre gli davano pacche sulle spalle.

«Va bene, va bene, okay», assentì. «Fatemi dare la buonanotte a… alla mia sposa, prima di andare.»

Grida e fischi maschili seguirono questa affermazione. O stavano provando a rendere più convincente questa farsa o gli scozzesi amavano i bei festeggiamenti e coglievano al volo ogni occasione.

Isabella alzò un sopracciglio, ma prese la sua mano quando lui gliela porse, portandola via dalla sala centrale del pub, lungo un corridoio. A quel punto lasciò la sua mano e si rivolse verso di lei.

«Sei sicura?» le chiese senza tante cerimonie. «Veramente?»

Era più facile essere sicuri di qualcosa se qualcuno non ti chiedeva continuamente se eri sicura, notò.

«Considero tutto questo soltanto una transazione d'affari non convenzionale», lo informò lei.

Lui non sembrava convinto, così lei sospirò e chiese, «Sei un criminale? Sei una persona orribile? Hai qualche caratteristica orrenda di cui dovrei sapere? Non vuoi veramente salvare la distilleria ma progetti invece di mandarla in rovina?»

Le sue labbra si piegarono in un sorriso. «No, orrendo non credo e spero niente rovina. Solo non voglio costringerti a fare nulla», disse serio prima di aggiungere, «Specie qualcosa di bizzarro… come questo.»

Isabella scosse la testa. Semmai era lei che lo stava costringendo a un finto matrimonio all'unico scopo di aggirare le leggi governative.

«Non riesco a pensare a un altro modo per tenere aperta la distilleria.»

«Già», concordò lui piano strofinandosi dietro il collo mentre guardava il tavolato del pavimento. «E voglio che sappia che farò di tutto per restituirti i soldi, un giorno, ma con l'economia che va così, adesso… be', mi dispiace ma non posso farti nessuna promessa. Io non so qual è la tua situazione finanziaria, ma non sono pochi soldi e io voglio essere sicuro che sappia cosa stai facendo e che conosca i rischi.»

«Sono rischi che voglio prendermi.»

«Va bene», disse lui lasciando cadere la mano da dietro il collo e guardandola. «Non credo che mi piacerebbe se Alice andasse in un'altra nazione e sposasse uno straniero.»

«Fortunatamente per te, non ho fratelli più grandi a cui devi rispondere.»

«Già», disse lui distratto prima di chiedere all'improvviso, «Sei mai stata innamorata?»

Questo stupì Isabella, ma non lasciò trapelare nulla dal suo viso.

«E tu?» chiese, un accenno di sfida nella voce.

Edward la guardò. «Mi pare giusto», disse, senza tradire nulla.

«Anche se questo matrimonio non sarà costruito sull'amore, io ti rispetto e rispetto la tua dedizione nel cercare di tenere aperta la distilleria», disse lei.

A questo lui annuì. «Anche se non capisco i tuoi motivi, rispetto il tuo coraggio. E il rispetto non è una brutta cosa per iniziare un matrimonio, no?»

Le labbra di Isabella si piegarono in un sorriso. «Già.»



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Capitolo 6
*** Loch Lomond ***


Questa storia è stata scritta in inglese da 2carm2carm2 e tradotta in italiano da beate. Questo è il link all’originale:

https://www.fanfiction.net/s/13053224/6/The-Whisky-Distiller-s-Wife







6 – Loch Lomond



A un certo punto, durante il secondo semestre di Isabella alla Wharton, il suo professore di economia stava restituendo i test con i voti di metà corso. Dopo aver dato a Isabella il suo le disse, «Per favore, resta alla fine del corso, Swan.»

Isabella si accigliò e guardò il test, sfogliando veloce fino all'ultima pagina per vedere il voto. 91.2%. Una A. Sentì le spalle che si rilassavano di fronte a un lavoro ben fatto.

Vicino a lei, Sandy sussurrò, «Cosa vuole?»

Isabella scrollò le spalle.

«Vuoi che ti aspetti?» si offrì mentre il resto della classe si alzava e preparava gli zaini.

Isabella scosse la testa. «Ci vediamo dopo.»

Leggermente guardinga, Isabella scese le scale dell'aula, oltrepassando il flusso degli studenti e raggiunse la cattedra del professor Wembley. Isabella non era molto interessata alla sua materia, ma lui era un uomo gentile che faceva delle lezioni discrete. Conosceva il nome di ognuno dei suoi studenti senza chiedere e senza fargli mettere i cartellini sui banchi, una cosa che Isabella aveva notato e che rispettava.

«Come va, Isabella?» chiese lui con un sorriso.

«Oh, va. Sono pronta per le vacanze di primavera.»

«Hai dei progetti?»

«Passerò un po' di tempo con i miei nonni», disse lei, emozionata alla prospettiva di stare lontana dall'università, nella casa della sua infanzia.

«Sarà rilassante», disse lui con calore.

Isabella annuì ma non replicò ulteriormente.

«Ascolta, volevo parlarti del tuo test», disse lui indicando con la testa i fogli che lei teneva in mano. «Hai fatto veramente bene.»

«Grazie», disse lei.

«È già il secondo test in cui prendi il massimo dei voti», le disse. «È veramente impressionante.»

Non avendo realizzato quali fossero stati i voti dei suoi compagni, si sentì arrossire a quelle lodi. «Grazie», disse di nuovo.

«Hai mai pensato di lavorare in finanza?» le chiese.

Immediatamente Isabella alzò la guardia.

Non era una cosa insolita, per lei. Fin dal primo giorno di scuola c'era stata gente che le chiedeva se intendeva seguire le orme di suo padre, e poi la incoraggiava a farlo quando lei rispondeva che non era nei suoi piani. Cacciatori di teste, consulenti accademici, compagni di progetti di studio, supervisori e altri professori, tutti le avevano detto che era pazza a non voler lavorare a Wall Street.

Il professor Wembley continuò col suo tono caldo. «Tu per questo hai un vero talento, Isabella. Ci sono studenti in questo corso che ucciderebbero per quei voti.»

A questo, le spalle di Isabella si rilassarono un po'.

«Sei una giovane donna molto brillante, potresti farcela. Non molte persone hanno ciò che ci vuole, ma tu ce l'hai», le disse con sicurezza. «E ci sono tante cose diverse che puoi fare in finanza. Puoi fare la differenza nella vita delle persone.»

Isabella annuì incerta.

«Promettimi solo che ci penserai, okay?»



*



«Salve a tutti! Salve, sì, questa è la parte della serata in cui faccio fare a me e a mio fratello la figura dei cretini… Oi! Ascoltate!»

La piccola folla stipata nell'Isles Inn si acquietò mentre Emmett parlava al microfono, l'accento pesante come quello dei suoi fratelli. Edward e Alice si voltarono a guardare nella sua direzione come tutti gli altri. Isabella teneva la mano in quella di Edward, appoggiate in bella vista sul tavolo perché tutti vedessero.

«Allora, devo andare in bagno, quindi la farò breve», cominciò tra le risatine degli ospiti. Aveva un vestito formale e un kilt identico a quello del fratello. Mentre Alice e Edward si somigliavano, lui era più snello, con i capelli scuri, anche se aveva gli stessi occhi azzurri.

«Per quelli che non mi conoscono-» Isabella tenne la faccia seria. «Io sono Emmett, il fratello migliore di Edward e autoproclamato testimone. È un onore essere qui con voi tutti, oggi, a festeggiare Edward e Bella.

Lasciate che vi dica qualcosa a proposito della mia relazione con Edward», cominciò.

«Ci siamo conosciuti negli anni '80», disse serio mentre tutti ridevano. «In tempi più facili. Da bambini, c'era una certa rivalità infantile, esacerbata dal fatto che Edward sembrava un bodybuilder e io invece venivo scambiato per Fiona MacDonald. Regolarmente», aggiunse ridacchiando. «Naturalmente, il mio modo preferito di compensare la mia mancanza di muscoli, era dargli degli oggetti contundenti, tipo biglie o sassi, poi mettermi alla finestra o dovunque ci fosse un vetro e procedere a farlo incazzare. A Ma’ piaceva sempre come finiva.»

Mentre tutti ridevano, Edward ridacchiò, ma lei notò il leggero rossore sul collo a quei ricordi infantili.

«Edward ha un sacco di qualità eccezionali, e lo dico sul serio e senza neanche il minimo accenno di complesso di inferiorità», disse scherzoso. «Non è che dovevo sentire Ma’ dirci che bravo bambino fossi, e come eri bravo a mangiare, a dormire e a pisciare quando eri ragazzino.» Alice alzò il sidro che stava bevendo e gridò «Udite, udite!» concordando col fratello.

«Non era difficile essere tuo fratello, per niente», scherzò alzando il bicchiere di whisky in direzione di Alice. «Scherzi a parte, tu hai reso sempre tanto orgogliosi Pa’ e Ma’. Se potessero essere qui oggi, di certo ti direbbero, in mezzo a un mare di lacrime, quanto sono orgogliosi del tuo lavoro e del tuo coraggio.»

Isabella non si era resa conto di stare stringendo la mano di Edward finché non sentì una stretta incerta in risposta.

«Qualche altra parola sulle qualità di Edward. È un gran lavoratore – il whisky che state bevendo tutti quanti ne è prova sufficiente – non ha mai avuto paura di niente, che fosse affrontare il bullo della scuola o cavalcare un cavallo non domato.» Emmett alzò gli occhi dalle sue note e sorrise nella loro direzione. «Di questo chiedimi più tardi, Bella», ammiccò.

Isabella fece un gran sorriso, dimostrandosi doverosamente divertita.

«Ha sempre avuto un grande senso di compassione – si è sempre preso cura degli altri, chiunque fosse, ci sarà sempre per prendersi cura e proteggere le persone che sono importanti per lui. A volte sono abbastanza fortunato da essere incluso tra queste e, lasciate che ve lo dica, non è una cosa da poco. La sua intelligenza – aveva sempre i voti più alti a scuola e lo stesso era forte, maledetto lui. Il suo senso dell'umorismo – oh no, scusate, questo deve essere un refuso.» Tutti ridacchiarono. Emmett aspettò il silenzio e poi continuò serio. «C'è stato e ci sarà sempre un motivo per ammirare Edward, qualunque cosa faccia.»

Isabella fece un sorriso leggero mentre imparava delle cose sul suo nuovo marito attraverso lo sguardo di chi lo conosceva da più a lungo. Era a suo agio ad avere referenze sul suo carattere da suo fratello, anche se non era mai stata incline a considerarlo una persona meno che onorevole.

«Va bene, come ho detto, il bagno sta chiamando il mio nome, ma prima di andare, voglio proporre un brindisi a mio fratello e alla sua sposa», disse alzando il bicchiere, aspettando che il resto della sala lo seguisse. «Dio maledica qualunque stupido abbastanza sciocco da darvi contro. Possano i tempi duri essere pochi e distanti tra loro, e possa il whisky non finire mai. Che il vostro camino fumi a lungo! A Edward e Bella! Salute!»

«Salute!»

Edward si chinò e baciò la guancia di lei in un apparente momento di tenerezza prima di alzarsi e andare ad abbracciare suo fratello. Isabella lo seguì e abbracciò il fratello di Edward suonatore di cornamusa. Era lui che aveva magnificamente suonato la cornamusa durante la cerimonia, il cui suono aveva evocato in lei ricordi affettuosi che ancora non si erano dissipati del tutto.

«Grazie», disse lei.

«Aye», disse solo lui, ma si chinò e le baciò la testa. «Aye», ripeté, con un cenno breve della testa mentre si scostava.

Edward aspettò che Isabella si sedesse, poi si sedette anche lui. Sua zia Esme arrivò e si mise accanto al piccolo tavolo dalla parte di Isabella.

«Be'», disse ridacchiando, «anche se non mi aspetto di seguire adeguatamente queste belle parole, anch'io devo andare in bagno, quindi cercherò di essere breve.»

Isabella sorrise alla donna e quando sentì che Edward le prendeva di nuovo la mano, scoccò un sorriso anche a lui.

«Volendo dare a Edward una tregua e risparmiare a Alice e Emmett la vergogna di confermare che Edward era senza dubbio in assoluto il bambino migliore tra loro tre, voglio parlarvi della giovane donna che stiamo accogliendo oggi nella famiglia MacDonald», sorrise Esme a una Isabella sorpresa. «Anche se non la conosco da molto, so che è coraggiosa e grande lavoratrice, come Edward.»

Esme continuò, «Avendo visto personalmente diversi bambini diventare adulti, posso immaginare che da bambina fosse senza paura e precoce, quanto compassionevole e gentile. Come adulta, è una donna forte e aggraziata e degna compagna dell'uomo che sono orgogliosa di aver visto, anche lui, diventare un adulto.»

Esme si voltò verso di loro. «Io non so cosa il futuro avrà in serbo per voi. Quello che so è che arriverà la pioggia – siamo in Scozia, dopo tutto. Avrete sfide e tempi duri, mi dispiace dirvelo. Ma sapete che attraverso i tempi più difficili, imparerete di più su voi stessi e sull'altro. C'è bellezza e felicità nel vostro futuro, e non potremmo essere più impazienti di veder crescere la relazione che avete costruito. Vi auguriamo tutta la felicità che il mondo ha da offrirvi», finì con un sorriso prima di aggiungere, «Oh, e Isabella? Da una non-scozzese a un'altra… buona fortuna. Potresti averne bisogno.»

La sala rise e applaudì mentre Esme abbracciava Isabella e il nipote. Anche se aveva abbellito qualche dettaglio, era sembrata sincera, e la folla era compiaciuta. Perfino Isabella si era sentita lusingata dalle sue parole, per quanto abbellite.

I neo-sposi dovevano avere ancora un momento per conto loro.

Da quando erano scesi dall'altare come marito e moglie, erano stati circondati da amici e famiglia. Sembrava che tutti i residenti dell'isola di Skye fossero arrivati a festeggiare le loro nozze, nonostante il breve preavviso. Molti facevano domande e accusavano scherzosamente Edward di aver tenuta nascosta la sua sposa.

Edward più che altro diede loro affascinanti sorrisi e risate, seguiti da calorose strette di mano, e questo sembrò soddisfarli. Isabella, una volta rinunciato alla speranza di ricordare quale fosse la canzone che la cornamusa suonava mentre lei andava all'altare, sorrise calorosamente agli estranei e cercò di imitare Edward nell'essere cordiale senza dire granché. Erano arrivati al silenzioso e mutuo accordo che meno dicevano della loro unione, meglio era.

Erano arrivati anche all'accordo silenzioso della necessità di toccarsi.

A un occhio poco allenato, i tocchi che si scambiavano potevano essere quelli che ci si aspettava da due sposi novelli. Lui le teneva la mano in fondo alla schiena, lei lo prendeva a braccetto – anche se, ad essere onesti, era più che altro per non perdersi nella baraonda degli highlander. Di tanto in tanto, durante il pomeriggio, le dava un bacio sulla guancia o sulla testa.

Ogni volta che la toccava, comunque, c'era un attimo di esitazione. Lui si muoveva con sicurezza, ma prima di toccarla esitava un secondo. Non sapeva se quella minima pausa fosse nervosismo o incertezza, o fosse un dimostrazione di rispetto e di scusa, come se volesse che lei sapesse che non intendeva prendersi alcuna libertà con lei. Mise da parte quel pensiero per future considerazioni.

Una volta messi da parte tavoli e sedie, cominciò la musica. Edward e Isabella condivisero un breve primo ballo su una bella canzone scozzese mentre tutti guardavano impazienti.

«Perché sono tutti così eccitati?» chiese piano Isabella, tenendo un leggero sorriso fisso in faccia.

Edward si guardò intorno e poi sorrise. «Oh sì, amano tutti il ceilidh.»

«Ceilidh?» chiese Isabella, ripetendo quella parola sconosciuta come lui l'aveva pronunciata: kay-lee.

«Sì, immagino che tu non lo conosca», scosse la testa lui. «È un ballo. Una specie della quadriglia che ballate voi americani.»

«Io ballo la quadriglia?» chiese dubbiosa.

«Sì, certo, lo fate.»

«Lo facciamo?»

«Così mi hanno detto.»

Isabella non poté evitare di ridere a quella ridicola affermazione.

«Andrai bene», le assicurò lui ridacchiando. «Devi solo stare sulla punta dei piedi e seguirmi. E cerca di non farti venire un capogiro.»

Isabella scoprì presto che stare sulle punte dei piedi e seguire lui era un compito arduo. Era in effetti qualcosa di simile ai balli country americani e alla polka che aveva visto ballare ai matrimoni. C'erano un sacco di giri e piroette e dopo la prima canzone, in cui Edward cercava di insegnarle come funzionava, decise che era senza speranza, ma non riusciva a smettere di ridere.

La vivacità degli ospiti che piroettavano a braccetto, battevano le mani e saltavano, era contagiosa e lei scoprì che anche se non riusciva a stare a tempo con quel ballo movimentato, si stava divertendo.

La fronte aggrottata di Edward mentre cercava di includerla nelle danze al loro matrimonio si spianò quando realizzò che lei non stava avendo un'esperienza orribile. Era un insegnante paziente, ma sembrava sempre più divertito, realizzando la totale mancanza di inclinazione musicale della sua sposa.

«A braccetto, sì, ora giriamo e ora prendi il suo braccio -no, non il suo braccio, il suo braccio! Sì, ora gira-» interruppe le sue spiegazioni mentre lei ridacchiava, avendo afferrato il braccio di Robert invece che quello di Donald, andando così completamente fuori tempo.

«Laggiù, ragazza», chiamò Robert, facendole girare le spalle a Edward che intanto batteva le mani a tempo.

E poi tutti cominciarono a battere le mani a ritmo.

Edward le prese le mani e rise. «Eccoci!» La condusse in mezzo alle due file di persone che battevano le mani, fino in fondo da un lato per finire con un salto laterale dall'altra parte, mentre lei cercava di non inciampare. Per fortuna lui era abbastanza sicuro, e la sosteneva anche quando incespicava.

Dopo diversi balli, lei si scusò e si fermò per riprendere fiato. Il suo cuore martellava per quello sforzo inaspettato e prese con gratitudine il bicchiere di sidro che Emmett le porse.

«Sei un talento naturale», disse lui con un ghigno.

Isabella scoppiò a ridere, facendo sorridere Emmett. «O forse no», si corresse lui. «Ma hai spirito, questo te lo riconosco.»

Con un sorriso, lei alzò il bicchiere di sidro e lo buttò giù come se fosse acqua.

«Di quello potresti avere bisogno, con mio fratello», aggiunse quasi tra sé.

Isabella non sapeva bene come rispondere e andò con un sicuro, «Mh?»

Allora Emmett la guardò dritta negli occhi e lei sentì tutta la forza della commedia che stava andando avanti intorno a loro. «So che questo non è un vero matrimonio e so che tu hai le tue ragioni, come lui ha le sue», disse a voce bassa. «E io non posso ancora dirlo, ma voi due potreste veramente aver bisogno l'uno dell'altro e non so ancora cosa questo significhi nel lungo termine, ma in questo momento, so che avete bisogno l'uno dell'altro.»

Non sapendo che dire, alzò il bicchiere e prese un gran sorso di sidro.

«L'uno dell'altro, e di un sacco di buon alcool», aggiunse ridacchiando.

Isabella deglutì, poi alzò il bicchiere in un brindisi al suo nuovo cognato.

«Una ragazza che regge bene l'alcool è una benedizione e una maledizione, per un uomo», disse ridendo, prima di buttare giù la sua pinta di birra. «Vieni, sis, ti faccio vedere come si balla lo strip-the -willow. Edward ha sempre fatto schifo con questo.»

Isabella posò il bicchiere e guardò dubbiosa la sua mano. «Prima la signora, poi l'uomo, mano destra e così via. È semplice, andiamo!

In tutta la serata, imparò decine di balli diversi. Emmett si dimostrò in effetti un meraviglioso maestro, mentre Edward fece ballare doverosamente ogni singola signora di mezz'età. Tutte le sue partner, comprese Esme e Alice, erano eccellenti ballerine e fecero un lavoro magnifico nel guidarla, così che sembrò che anche lei facesse movimenti che in qualche modo somigliavano a una danza.

Si sentiva esausta, ma non era stanca. Non poteva evitare di sentire quella felicità ubriaca che sentivano tutti gli ospiti. Dopo tanto tempo senza una vera, sincera eccitazione così, non aveva opposto alcuna resistenza.

Non sapeva quanto tempo fosse passato mentre roteava al suono del violino e della fisarmonica, fermandosi di tanto in tanto per un sidro o un whisky, a seconda di chi glielo passava. Sentiva le guance rosse per l'alcool, ma decise che non era l'unica con quell'aspetto, dato che metà della sala condivideva quel tratto indotto dall'alcool.

«Va bene, mia moglie mi informa che è tempo che la festa finisca. Ma prima di andare, spediamo fuori Edward e Isabella con stile.» Isabella guardò Carlisle che aveva rimediato un microfono, mentre tutti gli altri si avvicinavano a loro. Era confusa dalla loro anticipazione e cercò Edward per capire cosa stesse succedendo. «Bene, gente, l'ultima canzone della serata! Prendetevi per mano e cominciate a oscillare le braccia avanti e indietro!»

Edward apparve al suo fianco mentre il suono della cornamusa si diffondeva dal microfono. Tutti nella sala si presero per mano e formarono un largo circolo intorno a loro.

Il suo nuovo marito le prese la mano con un sorriso. «Questo non è complicato», le promise.

Isabella strinse le labbra per non sorridere, non gli credeva del tutto, ma lo stesso prese la sua mano. Lui se la tirò vicina e cominciò a oscillare le mani avanti e indietro mentre la cornamusa continuava e il cantante attaccava.

«By yon bonnie banks and by yon bonnie braes...»

(Su quelle belle rive e per quelle belle colline)

Isabella cominciò dopo aver sentito quelle parole familiari.

«Dove il sole brilla luminoso... sul lago Lomond...» cantò, in modo un po' teatrale, per via dell'alcool, le parole che le venivano come se andasse di nuovo in bicicletta per la prima volta dopo anni.

Edward le fece un gran sorriso.

«Allora conosci questa canzone?» chiese mentre il circolo dondolava avanti e indietro intorno a loro, palpitando come onde che si infrangono pigramente lungo la spiaggia.

«Sono cresciuta ascoltandola», replicò lei, senza neanche rendersi conto che stava rivelando la prima vera parte di se stessa, la prima breve visione che lui poteva vedere della sua vita.

Ma lui se ne rese conto.

«», disse lui tirandola un poco più vicina.

Alice era finita tra suo fratello Emmett e il cugino Donald mentre il circolo si chiudeva intorno alla nuova coppia, ed era schiacciata e trascinata avanti, ma rideva mentre cercava di non cedere a quello schiacciamento. Tutti intorno a loro sorridevano e ridevano mentre si muovevano pigramente, sazi di bevute.

La canzone si spense e cominciò il rullo dei tamburi, e tutti battevano le mani a tempo, tranne Edward e Isabella che continuavano a ballare nel mezzo.

«Siete pronti?» gridò Carlisle sopra il battito delle mani.

«Per co-»

Isabella non riuscì a finire che tutti nel circolo cominciarono a saltare su e giù, avvicinandosi e allontanandosi da loro. Edward le prese le mani tra le sue e cominciò a saltare con loro, ridendo mentre cantava con la folla.

«Ho, ho mo leannan, ho mo leannan bhiodheach.»

Tutto il sidro che aveva bevuto l'aveva lasciata con la testa leggera, e ridacchiava saltellando con tutti gli altri. Se fossero stati al secondo piano, si sarebbe preoccupata che cedesse il pavimento.

«Ho, ho mo leannan, ho mo leannan bhiodeheach», continuava a cantare Edward, mentre gli altri cantavano il più familiare coro della canzone. «Tu prenderai la strada maestra e io prenderò l'altra strada, e arriverò in Scozia prima di te. Ma io e il mio vero amore non ci incontreremo più sulle belle, belle rive del lago Lomond.”

La canzone si ripeté mentre il battito delle mani e i salti rallentavano fino a fermarsi. Suo marito la prese tra le braccia e, con sua grande sorpresa, la sollevò e la fece girare tra i fischi e gli applausi dei loro ospiti ubriachi.







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Capitolo 7
*** Caledonia ***


Questa storia è stata scritta in inglese da 2carm2carm2 e tradotta in italiano da beate. Questo è il link all’originale:

https://www.fanfiction.net/s/13053224/7/The-Whisky-Distiller-s-Wife







7 – Caledonia



Le vacanze tese con la sua famiglia erano la norma, per Isabella.

Per tutta la sua infanzia, nelle vacanze più importanti, suo padre era in viaggio. Tra gli uffici di Goldman Sachs di Hong Kong, Sidney e Londra, raramente riusciva a tornare a casa per festeggiare con i suoi genitori e sua figlia.

La maggior parte delle volte, per Isabella andava bene. Le mancava suo padre, naturalmente, ma osservando i suoi amici e le loro interazioni con i genitori, a un certo punto per lei era diventato una specie di zio inaffidabile. E quando riusciva a venire per una vacanza, lui e suo padre litigavano.

Ora che era al primo anno di college, Isabella era più consapevole della leggera animosità di suo nonno nei confronti di suo figlio. Quando era più piccola, aveva nascosto meglio i commenti sottilmente velati e occasionalmente le osservazioni sprezzanti. Ora che era più grande e suo padre voleva essere più coinvolto nella sua vita, il nonno aveva perso completamente il suo filtro.

Isabella si era nascosta in cucina con la nonna a fare una torta di zucca e il purè di patate. Stava bevendo una lattina di Pepsi e desiderava che fosse il bicchiere di vino rosso che stava bevendo sua nonna, alla ricerca di una tregua dalla tensione.

La cena in sé era stata piacevole.

Abbastanza piacevole, comunque.

Tutti i discorsi sembravano girare intorno a Isabella, sui suoi corsi del semestre prima e quelli che avrebbe preso nel semestre di primavera. Le avevano chiesto della sua compagna di stanza e avevano chiacchierato del dormitorio e la mensa.

L'unico momento rischioso fu quando suo nonno chiese, «Ora intendi restare in economia o esplorare altri corsi di laurea?»

Isabella aprì bocca per rispondere, ma non ne ebbe la possibilità.

«Non vedo niente che potrebbe offrirle una carriera stabile più della Wharton», replicò rigido suo padre.

Padre e figlio si scambiarono uno sguardo accalorato prima che nonna si lanciasse in una storia sui vicini che si erano appena trasferiti.

Più tardi,quando la nonna scese a portare gli avanzi nel congelatore di sotto, sentì suo padre e suo nonno che discutevano in soggiorno.

«… hai giurato che non me lo avresti mai rinfacciato! Eravamo d'accordo che era la cosa migliore per lei, tu – tu hai insistito!»

«E crescerla è stata una gioia enorme per tua madre e per me, Charles. È una ragazzina brillante e se...»

Isabella si sforzò di sentire il resto delle parole del nonno, ma aveva abbassato la voce. Si rese conto che tutto il suo corpo si era chinato in quella direzione, cercando di decifrare quello che stavano dicendo. Sentì la voce di suo nonno, sempre così calma, farsi agitata con suo padre.

«Non la sto spingendo verso nulla che non sia buono per lei! A volte spingere va bene. A volte l'ambizione è una buona cosa. Se tu l'amassi veramente la sosterresti...»

Questo provocò una risposta appassionata da parte del nonno.

«Io la sosterrò e la amerò così come ho sostenuto e amato te con ogni decisione su cui non ero d'accordo, ma devi sapere che stai facendo un errore con lei. Lascia che capisca cosa vuole. Wall Street prenderà quella ragazzina brillante e gentile e la distruggerà.»

«Oh, cazzate! Non può restare una ragazzina per sempre. Deve crescere, a un certo punto!»

«Lascia che capisca cosa vuole.»

Isabella non muoveva un muscolo.

«Forse è quello che sto facendo!» esclamò suo padre esasperato. «L'hai mai considerato? Hai mai pensato che potrei non essere il peggior padre del mondo se avessi una sola cosa in comune con lei? Voi due l'avete cresciuta e le avete dato tutto quello che le occorreva – ti è mai venuto in mente che anch'io potrei darle qualcosa?»

«Ti è venuto in mente che potrebbe non essere ciò di cui ha bisogno?»



*



La macchina a noleggio di Isabella li aspettava fuori del locale, dopo che furono cacciati fuori dagli allegri ospiti. Qualcuno ci aveva attaccato dietro «Appena sposati” e tutti applaudirono mentre salivano in auto. Isabella andò a sinistra per abitudine e scoppiò a ridere quando realizzò che il volante era dall'altra parte.

Più tardi, avrebbe considerato che facendo finta di essere felice nel giorno del suo finto matrimonio, si era involontariamente data il permesso di esserlo davvero.

«Non funzionerà», borbottò tra sé.

«No, direi di no», ridacchiò Edward aprendole lo sportello. «Non credo che tu possa guidare.»

«E tu sì?» lo sfidò lei.

«», replicò lui sorridendo. «Qualche whisky non mi preoccupa.»

«Immagino che, considerato il tuo business, questo sia un benefit», concordò lei salendo in macchina. Salutò con la mano Alice, che era pesantemente appoggiata a suo fratello Emmett.

Edward salì dalla parte del guidatore e accese quella macchina sconosciuta. Sentendo gridare Robert e Ian si voltò e salutò. Robert aveva alzato i pollici e Ian stava facendo un gesto provocatorio. A questo, Edward abbassò la mano e roteò gli occhi, partendo con l'auto.

E poi furono soli, per la prima volta in tutto il giorno.

Isabella fu improvvisamente consapevole di quanto fosse pesante la sua testa, sentendosi ancora vergognosamente leggera.

«Be'», disse alla fine. «È andata bene.»

Edward ridacchiò. «Aye.»

«E adesso?» chiese lei.

Edward pensò un attimo mentre svoltava dalla strada principale. «Perché sia convincente, non credo che dovresti dormire al locale.»

«No, immagino di no.»

«Ho una casa poche miglia fuori città, possiamo andare lì appena...» le sue parole si spensero quando vide che lei non lo stava più ascoltando.

Avevano appena svoltato e vedevano tutte le luci del porto che tremolavano sulle acque notturne. Brillavano coraggiosamente contro il buio immenso, e lei fu colpita dalla loro bellezza.

«Quando sei arrivata a Skye?» chiese lui.

«Circa venti minuti prima che ci incontrassimo», rispose lei.

Edward le diede un'occhiata sorpresa prima di guardare di nuovo la strada. «Allora ti faccio vedere un po' in giro? Domani?» chiese incerto.

«Sarebbe carino», disse lei. Avevano un giorno prima che le banche aprissero e si mettessero al lavoro.

Guidarono in silenzio qualche minuto prima che Isabella si rendesse conto che erano alla distilleria.

«Tu vivi qui?» chiese sorpresa.

«No,” sorrise lui. «Devo solo prendere una cosa.”

Isabella rimase impassibile e non mostrò la stilettata di delusione che provò, realizzando che a questo punto lui già stesse pensando al lavoro. Non erano più di fronte ad amici e famiglia, che presumevano che loro fossero già in luna di miele. Non c'era bisogno di continuare la farsa degli sposini, ora che nessuno guardava.

Rimase sorpresa quando lui aprì la porta per lei. «Solo una piccola sosta», disse lui.

Edward traversò con perizia, tirando fuori delle chiavi dalla piccola borsa che pendeva dal suo kilt. Qualcuno le aveva detto come si chiamava, ma non riusciva a ricordarselo, adesso, mentre camminava per i corridoi.

«Edward!» esclamò lei all'improvviso.

Lui si voltò immediatamente. «Cosa? Che c'è che non va?»

«La canzone, mentre andavo all'altare – come si chiama? Highland qualcosa, vero?»

Sentendo questo, le spalle di lui si rilassarono. «Highland Cathedral.»

«Ah! Lo sapevo!»

Edward le diede uno sguardo dubbioso.

«La conoscevo», gli disse.

«Aye», disse lui prendendola per la mano e tirandola con gentilezza. «Andiamo,ora.»

«Emmett ha suonato benissimo», commentò lei mentre camminavano.

«È uno dei migliori suonatori di cornamusa della Scozia», la informò con una nota di orgoglio nella voce. «Insegna al National Piping Centre di Glasgow.»

«È stato bello», disse lei.

«Aye», disse lui. Poi si fermò e girò un'altra chiave in una porta. Isabella aspettò sulla soglia mentre lui entrava e prendeva rapidamente quello per cui era venuto. Le passò una bottiglia mentre si girava a chiudere di nuovo la porta.

«Alcool?» chiese lei. «Non sono sicura di averne ancora bisogno.»

Edward ridacchiò. «Parli parecchio di più dopo qualche cicchetto, lo sai?»

Isabella alzò il mento con dignità.

Lui sorrise. «Credimi, questo ti piacerà.» Riprese la bottiglia e la prese per mano.

«Stai cercando di farmi ubriacare Mr. Mac-Cullen… Jeffrey James – quale diavolo è più il tuo cognome?»

Edward rise mentre uscivano dalla distilleria. «MacDonald basta», disse lui.

Consapevole di essere molto più ciarliera di quanto intendesse, Isabella decise di sedere zitta in auto per almeno cinque minuti, senza rendersi ridicola. Fortunatamente, o sfortunatamente, Edward viveva a meno di un miglio dalla distilleria e quasi subito le aprì lo sportello per farla scendere.

Era un cottage bianco che sembrava fosse stato ristrutturato negli ultimi anni. Non c'erano intorno altri cottage nel raggio di acri e la casa era leggermente elevata, su una collinetta. C'era una singola luce accesa sul portone di ingresso, dipinto di un bel rosso.

«Quando c'è luce puoi vedere Loch Poiltiel, le Uists, le Benbeculas e anche le Ebridi Esterne», disse lui.

«Molto bella», disse lei mentre arrivavano al portone.

«Uch, lascia che prenda la borsa», ricordò, passandole la grossa bottiglia e tornando alla macchina a prendere la piccola valigia di lei. Prese in fretta la borsa e tornò al portone. «Anche se stai molto bene con quel vestito, non credo che tu voglia dormirci dentro.»

Isabella si guardò il vestito. Era degli anni '70, ma era quasi impossibile dirlo. Aveva le maniche lunghe con dei bei pizzi sugli avambracci e intorno alla scollatura. C'erano anche dei bei ricami in fondo alla gonna che erano un po' rovinati dietro, dove Lizzie aveva dato qualche punto. A parte questo, le era andato perfettamente, sorprendendo sia lei che Lizzie.

«No, in effetti», replicò lei. «Grazie. E grazie per avermelo fatto indossare.»

«Ti sta molto bene.» Aprì la porta e la fece entrare. «Ma’ sarebbe stata felice.»

Se non fosse stato dietro di lei, avrebbe visto un rossore compiaciuto salirle alle guance.

Isabella si guardò intorno mentre Edward attraversava la grande stanza. Accese in fretta un fuoco nel piccolo camino di pietra. La grande stanza in cui si trovavano aveva numerose finestre ed era scarsamente ammobiliata da due divani rossi, qualche piccolo tavolo e un morbido tappeto che era stato qualche tipo di animale. Alla sua sinistra c'era spazio per il tavolo da pranzo e una cucina abbastanza grande che aveva, anch'essa, numerose finestre.

Fu solo quando il fuoco fu acceso che si rese conto di quanto aveva freddo. Era novembre in Scozia, dopo tutto.

«Si scalderà in fretta», si scusò lui, vedendola che si strofinava le braccia. «Qui, dammi questa», disse prendendo la bottiglia.

«Ah, sì, di nuovo a farmi ubriacare.»

Lui ghignò. «Direi che te la cavi bene anche da sola.»

«Sono piuttosto abile, sembra», replicò lei seccamente.

Con un sorriso, lui aprì la bottiglia e versò due bicchieri. Gliene porse uno riempito per metà di liquido ambrato. Lei lo guardò con un sopracciglio alzato.

«Non sto cercando di farti ubriacare, Annie», disse lui serio. «So che non hai motivo di fidarti di me, ma te lo prometto: non mi approfitterò di te.»

A Isabella venne da ridere alla sua espressione seria. «Mi fido di te», ammise quasi senza rendersene conto.

Edward fece un sorriso timido e le diede il bicchiere con meno liquido.

«Cos'è?» chiese lei annusando con discrezione.

«Uno dei nostri migliori single malt», disse lui. «L'ha distillato mio padre.»

Lei prese un sorso e notò, anche mezza ubriaca, che era probabilmente il miglior whisky che avesse mai bevuto.

«Quando li hai persi?» chiese lei dopo un minuto di silenzio.

Edward sospirò e, per la prima volta, vide che era un giovane uomo che non aveva tutte le risposte. Si era comportato in modo così sicuro, così confidente, così affascinante con i suoi amici e la sua famiglia. L'uomo che stava guardando adesso sembrava quasi… perduto.

«Ma’ quando avevo sedici anni. Cancro.» Isabella annuì con tristezza. «E Pa’… sarà un anno in febbraio.»

Isabella mise una mano sulla sua spalla in un gesto di conforto, non sapendo cosa dire.

«Mi dispiace», disse alla fine.

Sentì le sue spalle alzarsi mentre prendeva un profondo respiro dal naso e lentamente esalava, prima di alzare il bicchiere e prendere un gran sorso.

«Grazie», disse lui abbassando il bicchiere.

Isabella sospirò silenziosamente. Guardò giù il suo bicchiere prima di guardare suo marito, che fissava ancora il suo cicchetto. Lei alzò il suo bicchiere.

«Ai tuoi genitori.»

Edward la guardò e sbatté gli occhi, cacciando via i lucciconi.

«Aye», disse piano, toccando il bicchiere con quello di lei.

Presero un sorso di whisky invecchiato e probabilmente costoso, e sedettero in silenzio.

Isabella lasciò cadere la mano dalla sua spalla e prese ancora un sorso. Sentiva che era anche migliore e più morbido dello Sleat che beveva abitualmente.

Adesso era lei che doveva condividere qualcosa dei suoi genitori.

«Mio nonno amava questa roba», disse alla fine, cercando di riguadagnare un po' di senso dell'equilibrio.

Questo sembrò trarlo dalle sue meditazioni. «Scotch?» chiese lui.

«Sleat Whisky», lo corresse lei piano.

«Sì?» disse lui sorpreso.

«Lui e mia nonna erano stati in Scozia in luna di miele negli anni '40 e ovunque andassero… trovavano whisky Sleat», gli disse lei, guardando dritto davanti a sé, senza incrociare i suoi occhi mentre parlava. «Ne aveva sempre in casa», concluse.

«Swan...» borbottò lui tra sé.

«Cosa?»

«Swan», ripeté lui pensieroso. «Per oltre cinquant'anni la Sleat ha avuto un ordine di lunga data e ha spedito una partita due volte all'anno negli Stati Uniti a un uomo di nome Swan. Mi chiedo se...»

Lei sorrise. «Dovrebbe essere lui.»

A questo punto Edward la guardò, dedicandole tutta la sua attenzione. Aveva le labbra leggermente socchiuse e la fissava come se la stesse veramente vedendo, avendo avuto un indizio della complessità che lei si portava nel cuore.

Con un pesante sospiro, lei alzò il bicchiere. «Ai bei vecchi tempi?»

Lui chiuse le labbra in un sorriso morbido. «Ai bei vecchi tempi.»

Le prime ore del mattino trovarono la coppia un po' ubriaca dopo alcuni bicchieri del nuovo whisky.

Edward scoprì che quando la sua nuova moglie cominciava a ridere non c'era nulla che potesse fermarla. Era un suono dolce e sorprendente, provenendo da lei, mentre sedeva e rideva e cercava di smettere di ridere e quindi rideva ancora più forte. Lui non poteva evitare un gran sorriso a quella vista.

Lei aveva imparato che più lui beveva, più il suo accento si appesantiva e la sua scelta di vocabolario si espandeva. L'ultimo giro di risate di lei fu provocato da lui che raccontava di qualche anno prima, quando aveva avuto un dopo sbronza tale che solo l'odore delle patate fritte gli faceva venire 'da sboccare'.

Alla fine si calmò e si rilassò contro la spalliera del divano, tirando un lungo sospiro divertito prima di prendere un altro sorso. Era carina, seduta lì in un mare di bianco contro il divano rosso, un rosa caldo sulle guance e i capelli in disordine dopo una serata di balli e bevute. I suoi occhi danzavano per l'allegria e lui si ritrovò a sorridere come un idiota vedendola così contenta.

«Cos'erano le parole del saltello di prima?» chiese all'improvviso ricordando la propria confusione. «Gaelico, giusto?»

«Mo leannan, mo leannan bhiodheach», le disse lui, le strane parole che fluivano senza sforzo dalle sue labbra. La fece sorridere.

«E che significano?» chiese lei curiosa.

Edward la guardò per un momento e sbatté lentamente le ciglia prima di rispondere.

«Tesoro mio. Mio bellissimo tesoro.»

Spavalda, lei incrociò il suo sguardo per un attimo, nessuno dei due si mosse. L'unico suono nella stanza era il crepitio del fuoco, che aveva da tempo scaldato la stanza.

«È molto bello», mormorò lei alla fine, alzando il whisky alle labbra mentre sentiva all'improvviso la gola completamente secca.

Edward ridacchiò tra sé, uscendo dalla trance in cui era. Notò che non solo era più chiacchierona quando beveva, ma anche che si riferiva a quasi tutto come 'molto bello'.

Si chiese se se ne rendesse conto.

«Aye», concordò lui piano.

Isabella si dimenò un po' mentre la trentina di bottoncini che chiudevano il vestito le si piantavano nella schiena. Cercò di mettersi comoda.

Edward si rese conto di quale fosse il problema. «Sono un cretino. Mi dispiace», si scusò all'improvviso. «Probabilmente non puoi uscire da sola da quel vestito. Avrei dovuto aiutarti.»

Non si aspettava lo sguardo sorpreso ma senza dubbio compiaciuto che ricevette in risposta. «Sarebbe davvero molto bello, se non ti dispiace.»

Edward posò il bicchiere e si alzò, offrendole la mano. Una volta in piedi, si mise dietro di lei per mettersi al lavoro. «Och», borbottò vedendo quanti bottoni erano e quanto piccoli.

«Alice con le sue dita piccole era più adatta per questo, vero?»

Isabella fece una risatina. Anche Alice aveva faticato per infilarla in quel vestito, ma questo non era il momento migliore per dirlo.

Edward posò le dita incerte sulla sua schiena. Dopo aver fallito con un piccolo strattone sperimentale, si avvicinò per vedere come erano allacciati i bottoni. Le sue gambe si lamentarono quando dovette abbassarsi per arrivare al livello di lei, ma ignorò il dolore mentre con le grandi dita cercava di liberare i bottoni.

«Ah!» disse trionfante quando riuscì a slacciare il primo.

Per un uomo della sua taglia era decisamente delicato, notò lei. Non strattonò il vestito né usò alcuna forza per slacciarli. Lavorò accigliato, armeggiando scrupolosamente con ognuno.

Dopo i primi, prese un ritmo, slacciandoli con successo uno dopo l'altro. A ogni bottone aperto, la stoffa si apriva rivelando un po' della sua schiena bianca. La pelle sembrava morbida e risplendeva alla luce del fuoco. A ogni bottone slacciato sentiva la tensione salire nella stanza. Sentiva il bisogno di passare il dito lungo la sua spina dorsale, sentire quella pelle sotto le mani.

Trovava sempre più difficile deglutire.

Infine raggiunse il fondo, slacciando gli ultimi bottoni, cercando di ignorare il fatto che le sue mani aleggiavano sul suo sedere perfettamente rotondo. Per un momento, dopo che aveva finito, nessuno dei due parlò.

Nessuno dei due respirò.

«Ecco fatto», mormorò lui alla fine, le parole un po' gracchianti per la sua gola secca.

Isabella si voltò. «Grazie», disse piano.

«Giusto», disse lui sbattendo gli occhi. «La tua borsa è là, io vado e ti lascio.»

«Vai dove?»

Questo lo fece sorridere. «Sarò là in quella stanza da letto», disse indicando la porta. «Fai un fischio quando hai finito.»

Dopo che fu uscito, lei sfilò le maniche e lasciò cadere a terra il vestito. Trovò in fretta una felpa girocollo dei tempi del college di cui non si era mai sbarazzata e si infilò un paio di leggings, il suo abbigliamento notturno degli ultimi giorni. Non si disturbò a considerare perché si stesse sbrigando tanto, perché avesse tanta fretta di riunirsi a lui.

«Tutto fatto», chiamò in direzione dell'altra stanza, raccogliendo il bellissimo vestito da sposa e lo drappeggiò sul divano.

Quando Edward rientrò nella stanza, si era tolto il vestito formale e indossava un paio di pantaloni della tuta grigi e una semplice maglietta nera che gli aderiva al petto, enfatizzando i suoi muscoli. Senza il kilt e la giacca sembrava molto più… umano. Le fece girare la testa, e sorrise.

Nelle sue mani, notò, c'erano due bicchieri d'acqua.

«Sarà meglio che non sia vodka», disse lei scherzando.

Edward ridacchiò. «No, no, non è vodka», le assicurò passandole un bicchiere. «Ho pensato che avresti apprezzato.»

Isabella si sedette sul divano col suo bicchiere, sentendosi ancora ubriaca e stordita, ma sorprendentemente contenta. Edward rimase in piedi e prese un lungo sorso della sua acqua.

«Pensavo che il whisky non ti disturbasse», lo stuzzicò lei.

Lui inarcò un sopracciglio.

«Questo prima che provassi a tenere il passo con te.»

Questo fece ridere Isabella e lui sorrise.

«Abbiamo finito la bottiglia?» chiese lei battendo la mano sul divano accanto a lei, indicandogli di sedersi di nuovo.

Cortesemente, Edward si sedette di nuovo vicino a lei. «Ce n'è rimasto un paio di bicchieri.»

«Un'altra volta, allora», mormorò lei.

Lui fece un verso di gola che Isabella cominciava ad associare agli scozzesi in generale.

«Quanti anni hai?» chiese lei all'improvviso.

«Sono dell'84», rispose lui.

Isabella trasalì. «Quindi sarebbe… cioè tu avresti almeno ventidue… venticinque o – maledizione, sono proprio ubriaca.»

«Ventiquattro», disse lui.

«Ventiquattro. Esatto», ridacchiò prendendo un sorso d'acqua.

«E tu?»

«Io sono nata negli anni '70», rispose lei con aria da cospiratrice.

Questo sembrò sorprenderlo. «Sì?» chiese guardandola da capo a piedi.

«’79», aggiunse con un ghigno.

«Una hippy, allora», disse lui roteando gli occhi. «Quindi ventinove?»

«Quindi ventinove.» Cominciava a sentire gli occhi pesanti.

Edward la guardò curioso, facendosi chiaramente domande sulla sua vita e cosa l'avesse condotta ad avere così tanti soldi e così pochi legami negli States per permettersi di sposare un estraneo in terra straniera per salvare una distilleria. Ma tenne la bocca chiusa. Non voleva forzare le cose in alcun modo.

La rispettava troppo.

«Caledonia», farfugliò mezza addormentata l'antica parola per Scozia.

«Aye?» chiese lui, divertito dalla sua improvvisa mancanza di energia.

«L'abbiamo ballata», ricordò lei. Era stato il loro primo ballo, per gentile concessione di Lizzie o Collette, non era sicuro.

«Aye», concordò lui.

«Ricordi le parole?» chiese lei. «Era bella.»

Edward non poté fare a meno di ridacchiare.

«Sì, me le ricordo.»

Lei socchiuse gli occhi, ma quando lui non continuò a parlare li riaprì. Con aria assonnata lo guardò in attesa.

«Oh, uh… suppongo tu sia curiosa, allora?»

«Se non ti dispiace», disse lei chiudendo gli occhi.

«Oh», disse lui annuendo e strofinandosi dietro il collo. «Caledonia è il nome con cui i Romani chiamavano la Scozia, non so se questo lo sapevi.»

Lei annuì.

«Oh, già, preparata nella storia scozzese, mi ero dimenticato.»

«Non direi… proprio preparata», replicò lei, ma fu interrotta da uno sbadiglio troppo grande per la sua faccia.

«Certo», disse lui in tono di dissenso. «Be', la canzone è sulla Scozia. Chi canta è stato via per tanto tempo e dice che la Caledonia lo richiama a casa e che anche se sarà sempre uno straniero, cosa che rattristerebbe qualunque uomo o donna, naturalmente, questa terra è tutto quello che lui… che tutti noi, in realtà, abbiamo mai avuto.»

Fece una pausa e notò che il respiro di lei era diventato regolare.

Mentre lei si assopiva entrando nei suoi strani sogni, avrebbe giurato di sentire una voce bassa che cantava quietamente la canzone del suo secondo matrimonio.





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Capitolo 8
*** Pre-programma ***


Questa storia è stata scritta in inglese da 2carm2carm2 e tradotta in italiano da beate. Questo è il link all’originale:

https://www.fanfiction.net/s/13053224/8/The-Whisky-Distiller-s-Wife







8 – Pre-programma



Il giorno in cui compì ventuno anni sarebbe rimasto per sempre nella sua memoria.

Aveva appena cominciato il suo primo anno alla Wharton School, all'Università di Pennsylvania. Dopo aver ufficialmente dichiarato il suo corso di laurea in Finanza Aziendale, aveva passato l'estate come interna alla JP Morgan Chase e non vedeva l'ora di tornare al programma scolastico, via dai completi e dalle sessanta ore settimanali di lavoro nel mondo aziendale.

«Andiamo, Isabella!» piagnucolarono le sue compagne di stanza. «È il tuo ventunesimo compleanno, dobbiamo uscire!»

«Voi ne avete ancora venti», ricordò guardando Sandy e Tiffany, con cui condivideva l'appartamento. «E nel caso l'aveste dimenticato, i vostri documenti falsi sono stati confiscati al 303 la settimana scorsa.

Tiffany s'imbronciò e replicò, «Quelli nuovi devono arrivare da un giorno all'altro!»

Ignorandola, Sandy ghignò. «Jake sarebbe più che felice di portarti fuori.»

«Lui ha più di ventuno anni», concordò maliziosa Tiffany, lasciando perdere il proprio dilemma. «A lui piacerebbe molto portarti a bere qualcosa.»

Isabella rise, ignorando le loro manovre da paraninfe. «Ho già dei programmi.»

«La cena con i tuoi nonni non è un programma, Isabella!» esclamò Sandy. «È un pre-programma, al massimo.»

Isabella scosse la testa. «Mi dispiace, signore, ho segnato questo appuntamento da quasi dieci anni ormai.»

Mentre usciva sentì Tiffany che gridava, «Va bene, ma quando torni a casa beviamo!»

Il viaggio da Philadelphia a Allentown durò circa un'ora. Ascoltò l'ultimo pezzo dei Backstreet Boys almeno quattro volte prima si spegnere la radio e guidare in silenzio. Mentre guidava, sentì un peso scivolare via dalle sue spalle, conoscendo la sua destinazione. Il college era tosto e lei aveva corsi con studenti ferocemente competitivi. Mentre si avvicinava a casa dei suoi nonni, la tensione si allentava, anche se solo per una sera.

Non li vedeva da un paio di settimane. L'ultima volta che era stata da loro, aveva fatto giardinaggio con la nonna mentre il nonno armeggiava con delle tavole allentate sulla piccola palizzata del giardino. Brontolava sotto voce su i dannati conigli che rovinano tutte le piante” mentre la nonna condivideva un privato, divertito sorriso con lei. Avevano bevuto tè freddo alla pesca sulla veranda e avevano chiacchierato allegramente sul programma del corso imminente.

Quando stava per andare via, il nonno l'aveva presa da parte e aveva detto, «Ora, so che potresti avere altri piani per il tuo compleanno», cominciò burbero. «E noi siamo contenti di vederti ogni volta che si può. Tu e io potremo condividere quel drink anche più avanti. Non deve essere per forza il tuo compleanno.»

Lei aprì bocca, ma lui continuò serio.

«So che è di venerdì e anch'io ho avuto la tua età, una volta. So che probabilmente i tuoi amici avranno dei piani. Io e tua nonna ti prepareremo la cena quando avrai tempo.»

Lei gli aveva fatto un gran sorriso. «Sarò qui per il mio compleanno, come ho sempre detto.»

Lui le aveva dato uno dei suoi abbracci super stretti e l'aveva baciata sulla testa.

Il pensiero la fece sorridere mentre si avvicinava la sua uscita.

Certo che ci sarebbe stata.

Avevano fatto questo programma tanti anni fa.

Mentre prendeva le curve familiari verso la casa che aveva sempre amato, un sorriso le nasceva sulle labbra. Guidò in automatico, senza pensare agli stop o dove svoltare, conosceva tutto a memoria, dopo tanti anni.

Accostò di fronte alla rosa rampicante e spense il motore. Si avviò sul vialetto e bussò alla porta. Era più un bussare di saluto mentre entrava, come sempre. Ma quando girò il pomello, lo trovò chiuso. Si accigliò. Aspettò qualche secondo, immaginando che uno dei suoi nonni sarebbe subito venuto ad aprire facendola entrare.

Quando nessuno venne alla porta, si chinò e alzò lo zerbino per prendere la chiave di riserva nell'angolo a destra. La infilò nella serratura ed entrò.

C'era silenzio.

Si guardò intorno in quel posto così familiare e notò immediatamente il silenzio.

Non erano in casa.

Il sorriso che aveva in faccia cominciò a svanire.

«Nonna?» chiamò. «Nonno?»

Nessuna risposta.

Il disagio cominciava a salirle dentro mentre faceva qualche passo in soggiorno.

La nonna l'aveva chiamata la sera prima.

«Pensiamo di cenare alle sei, tesoro. Non devi portare nulla, cuciniamo noi per te! Io e il nonno faremo le cose che preferisci… quella pasta ai gamberetti che ti piace tanto.»

Isabella guardò l'orologio da polso. Le 5.52.

Loro non erano mai in ritardo.

Mai una volta in tutti quegli anni erano stati in ritardo per un impegno, specialmente uno che consideravano importante come quello.

Mentre quel senso di disagio cresceva nel suo petto, si inoltrò nella casa. Andò alla porta sul retro per assicurarsi che non fossero nel grande giardino.

Era vuoto.

Sul bancone era appoggiata una scatola di pasta cruda, spicchi d'aglio e cipolle, tutto pronto per il piatto che avevano promesso di preparare. Ma la cucina era vuota. Nessun apparecchio era acceso e anche le luci erano spente.

Dovevano essere andati al negozio di alimentari, rassicurò se stessa, sarebbero tornati presto.

I minuti passavano.

Le 6 arrivarono e passarono. Cominciò a camminare su e giù. Tornò in soggiorno e guardò dal bovindo, così da poter vedere se la loro auto accostava sul vialetto.

Mentre aspettava notò la bottiglia di whisky nel solito posto sull'angolo del tavolo, con vicino, per la prima volta, due bicchieri invece che uno. Sorrise e si voltò per vederli dalla finestra, ma non vide nulla.

Il suo sguardo indugiò sulla bottiglia di scotch.

Per la prima volta avrebbe condiviso un bicchiere del suo amato whisky con lui.

Era il più grande segno di età adulta che poteva concepire.

Passate le 6.15 Isabella cominciò a innervosirsi. Così tanto che alzò il loro telefono e fece un numero familiare – familiare, ma che non usava con regolarità. Arrotolò nervosamente in mano il cavo mentre squillava.

«Charles Swan.»

«Hey, papà. Io-»

«Isabella?» chiese con voce tesa. «Dove sei?»

«Sono dai nonni, ma non c'è nessuno. Tu-»

«Isabella.»

Le si fermò il cuore nel petto a come disse il suo nome.

«Cosa?» chiese lei quieta.

«Isabella… i tuoi nonni-»

«Papà, ti prego-»

«Stavano andando al negozio di alimentari poco fa e hanno avuto un incidente di macchina. Tutti e due… tutti e due sono morti sul colpo.»

Le cedettero le ginocchia e si accasciò a terra, senza più aria nei polmoni, soffocava.

«Isabella?»

«Isabella sei ancora lì?»

«Isabella stai bene?»

No.



*



Ow.

Mentre la coscienza andava e veniva, vagando tra i sogni, un leggero dolore le impedì di continuare a dormire.

Si era storta il collo?

Di malavoglia i suoi occhi si aprirono mentre si stirava.

Aprendo gli occhi si rese conto di dove era e perché il suo collo era in una strana posizione. Al momento era acciambellata sul divano, accoccolata contro il fianco caldo e muscoloso di Edward, col collo in un a scomoda posizione.

Edward era sveglio.

Mentre si alzava e si raddrizzava, si accorse che aveva la testa ancora pesante per tutto il whisky che aveva mandato giù.

«Quanto ho dormito?» chiese.

Edward sorrise. «Forse una trentina di minuti?»

Isabella sorrise un po' imbarazzata, passandosi la mano tra i capelli e appoggiando un gomito sul divano per guardarlo. «Questo spiega tutto.»

Edward la guardò sorridendo. C'era un calore, quasi un affetto nel suo sguardo. Ricambiò il sorriso.

«Ieri,» disse lei abbassando gli occhi, «tu mi hai chiesto se ero mai stata innamorata.”

Quando sentì che non rispondeva alzò lo sguardo e vide che il suo sorriso era svanito, ma la stava ancora guardando.

«Aye.»

Era la tenerezza nei suoi occhi che le aveva fatto chiedere.

«Perché?”

Lei si morse il labbro, ma non abbassò lo sguardo.

«Be', immagino che volessi sapere se eravamo a parità di condizioni, come diresti tu.»

Oh.

Per un attimo lei gelò, non sapeva cosa dire.

«Lo siamo?» chiese lei quieta.

Le labbra di lui si curvarono in su, quasi malinconicamente mentre rispondeva, «Ne dubito.»

«Non c'è stato nessuno?» chiese lei curiosa. Non c'era sorpresa nella sua voce.

C'era così tanto che non sapeva di Edward Anthony Godfrey Cullen MacDonald. Ma era un bellissimo giovane uomo, uno che si prendeva cura della sua famiglia, lavorava duro, e si ricordava che la sua valigia era in macchina.

Alla domanda, fu Edward a spostare lo sguardo. Prese il suo dimenticato bicchiere di whisky e prese i pochi sorsi rimasti.

«No,» rispose alla fine mentre i suoi occhi seguivano il bicchiere mentre lo appoggiava «nessuno.»

Isabella attribuì quello sgradevole senso di sollievo che galleggiava nella sua mente al troppo scotch di ottima qualità.

«Be',» ridacchiò lei, «immagino che non fosse il modo in cui pensavi di passare la tua prima notte di nozze.»

Anche lui ridacchiò. «Be', suppongo non sia così lontano, tra il whisky e una bella sposa.»

Isabella sorrise timida.

«Il resto della notte di matrimonio è sopravvalutato, comunque», scherzò lei.

Edward ridacchiò guardando il suo bicchiere, ma quel suono sembrava forzato, in qualche modo.

«Aye, mi fido della tua parola, per questo.»

Isabella rimase a bocca aperta, sorpresa. Fu una reazione spontanea, e la richiuse prima che lui si voltasse a guardarla.

Deglutì con la gola secca prima di parlare.

«Sul serio?» chiese.

Edward riprese in mano il suo bicchiere a quella domanda e buttò giù il contenuto senza esitazione, rendendosi conto di quello che gli era sfuggito dalle labbra.

«Aye», replicò, posando il bicchiere senza guardarla. Si passò la mano dietro il collo, collo che era diventato rosa all'improvviso.

Isabella era senza parole.

Come diavolo era finita in Scozia in un finto matrimonio con un higlander vergine?

Al suo silenzio, lui aggiunse, in tono più difensivo, «Mai trovata la ragazza giusta.»

Prima che potesse replicare, aggiunse, sempre senza guardarla, «Ho sempre pensato che lo avremmo imparato insieme, capisci?»

Isabella deglutì e annuì, ma lui non vide il suo movimento.

Non sapendo cosa dire, gli si avvicinò e gli appoggiò la mano sulla schiena.

«Mi dispiace», mormorò alla fine.

Edward alzò la testa e la guardò con le sopracciglia alzate.

«Per cosa?»

«Mi sembra di averti rubato qualcosa», disse lei piano. «Oggi, ieri, ormai… con la tua famiglia e i tuoi amici, bevendo e ballando, festeggiando l'uomo che loro vedono in te… io non ero parte di tutto questo. Io non dovevo indossare l'abito di tua madre né condividere il whisky con te… io, io-» si interruppe, visibilmente frustrata che non le venissero le parole che voleva.

«Ah, mo leannan», la blandì lui. «Tu non mi hai rubato niente. Veramente.»

Isabella si sentiva la testa pesante e quando era mezza ubriaca aveva preso al college la brutta abitudine di appoggiarsi a chiunque avesse una spalla disponibile. Sentì la sua testa cadere sulla spalla di suo marito con un gemito, che indicava che non trovava convincente le sue rassicurazioni.

Edward ridacchiò, appoggiando la testa su quella di lei. «Tu mi hai aiutato più di quanto avrei potuto chiedere a chiunque. Non ti sei presa nulla… hai solo dato.»

Isabella chiuse gli occhi a quelle parole dolci.

Rimasero così per un po', entrambi che quasi non osavano respirare.

«Devo mostrarti la tua stanza, prima che ti addormenti di nuovo», mormorò lui senza alzare la testa dalla sua.

Isabella sbadigliò. Edward sorrise e alzò la testa. «Allora andiamo, gallinella.»

Si alzò e le offrì la mano. Lei la prese e sorrise. La mano di lui era grande e calda e confortante. Lentamente la guidò fuori dal soggiorno, oltre la cucina e in fondo al corridoio, dove si era tolta il vestito da sposa, prima di addormentarsi sul divano. Era grata per quella lentezza, dato che alzarsi le aveva provocato un po' di vertigini, per quello che aveva bevuto e per l'improvviso cambio di posizione.

«Eccoti qua», annunciò Edward quando arrivarono alla stanza dove erano le cose di lei. Isabella notò che indugiò un poco prima di lasciarle la mano.

Lei annuì sulla soglia della stanza.

«Va bene», disse lui strofinandosi dietro il collo. «Allora, se hai bisogno di me, sono in fondo al corridoio.»

Isabella lo guardò per un momento, considerando.

La notte del suo matrimonio non era stata come doveva essere.

Era stata deludente e orribilmente solitaria.

Fosse dannata se voleva questo per chiunque altro.

«Vuoi entrare?»





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Capitolo 9
*** Aspettative ***


Questa storia è stata scritta in inglese da 2carm2carm2 e tradotta in italiano da beate. Questo è il link all’originale:

https://www.fanfiction.net/s/13053224/9/The-Whisky-Distiller-s-Wife







9 – Aspettative



Cara Bella

Buon ventunesimo compleanno! Sei diventata una così brava ragazza. Hai un grande, bellissimo cuore e una bella testa sulle spalle. Tuo nonno e io siamo sempre stati fieri della ragazzina che eri e che adesso ti porti dentro. Puoi fare tutto e puoi essere tutto, non sarai mai troppo grande per sapere questo. Ricorda sempre che ti amiamo, Bella.

Xoxo,

Nonna e nonno

Isabella lesse di nuovo la lettera, esalando un respiro tremante. Aveva gli occhi appannati. Tra qualche secondo le lacrime sarebbero scese di nuovo, come sempre.

Erano le ultime parole che aveva avuto da loro, l'ultima connessione con le persone che erano state, a tutti gli effetti, i suoi genitori.

Erano parole dolci. Guardando la calligrafia familiare di sua nonna, sembrava che fossero appena state scritte. Come se l'inchiostro potesse sbavare, se ci avesse passato sopra la mano, come se non fosse ancora asciutto.

Era stata appoggiata contro un vaso di fiori sul bancone in casa dei suoi nonni. L'immagine del suo nome scritto sulla busta bianca le bruciava nel cervello. Era quello che stava guardando mentre suo padre le aveva dato la notizia al telefono.

Era il suo nome, niente di più.

Ma non riusciva a togliersi quell'immagine dalla testa.

Era lì quando chiudeva gli occhi la sera ed era lì quando si svegliava la mattina.

L'immagine di quella lettera sarebbe stata per sempre associata al peggior momento della sua vita.

Nascose il viso tra le mani. Strinse gli occhi e cercò di bloccare le immagini, cercò di bloccare quell'assalto furioso. Cercò di non pensare al funerale che era stato solo tre giorni prima. Cercò di non pensare a quelle bare chiuse. Cercò di non ricordare l'odore di incenso che permeava la chiesa. Cercò di non ricordare il silenzio teso tra lei e suo padre. Cercò di non desiderare di poter parlare con loro.

Ma Dio come si sentiva sola.

Si sentiva sola in modo così paralizzante, seduta a gambe incrociate nella sua stanza da letto al college. Aveva dei corsi e non poteva più cercare rifugio in quella rosa rampicante a un'ora di distanza. Doveva andare avanti con la sua vita.

Passava un sacco di notti da sola, studiando o leggendo.

Le stava bene stare da sola.

Lo era sempre stata.

Ma le due persone che significavano di più per lei non erano più a un'ora di distanza, sedute sulle poltrone a guardare il baseball o le notizie della sera.

Non c'erano più.

Un leggero bussare alla porta le fece alzare la testa dalle mani.

Jake Montgomery infilò incerto la testa in camera.

«Hey», disse con gentilezza. I suoi begli occhi blu erano increspati agli angoli dalla compassione mentre la guardava.

«Ciao», disse lei con un respiro tremante e un sorriso poco convincente.

«Mi ha fatto entrare Sandy», disse lui.

Lei annuì, senza sapere cosa fare.

Jake era un suo amico già da un po'. Era in una delle associazioni professionali con Sandy e Isabella era uscita con loro diverse volte negli ultimi mesi. Isabella sapeva bene che sia Sandy che Jake pensavano che lei e Jake sarebbero stati una bella coppia.

«Come va?» chiese entrando nella stanza. Jake era stato al funerale insieme ad alcuni dei suoi amici, offrendo sorrisi incoraggianti ogni volta che la guardava.

«Me la cavo», rispose spostandosi per fargli posto accanto a lei sul letto.

«È dura», offrì lui con empatia. «Stai andando bene, sei forte, Isabella.»

Lei sbuffò in disaccordo.

«Hey», disse lui dandole una spallata leggera. «Sul serio.»

Isabella gli diede un'occhiata con gli occhi gonfi e disse di malavoglia, «Grazie.»

Jake annuì e continuò a parlare. «Io fui devastato quando morì mia nonna, da ragazzino.»

Isabella non disse nulla, troppo assorbita dalla sua infelicità.

Jake continuò, mettendosi comodo sul letto. «Ho scoperto che l'unica cosa che mi aiutava era impedirmi di pensarci troppo.»

«È esattamente quello che sto facendo», disse lei con una risata desolata. «Tutto quello che faccio è pensarci troppo. Non so neanche quando è stata l'ultima volta che ho sentito qualcosa.»

Jake le passò lentamente le dita sulla guancia.

«Be'», disse piano, avvicinando il viso a quello di lei. «Io posso aiutarti a sentire qualcosa.»

La baciò.

E dato che lui era lì e lei era sola e i suoi occhi le facevano credere che gli importasse… lo lasciò fare.



*



Per un secondo, non poté credere a quello che aveva detto.

Lì, in piedi sulla porta di una stanza con un letto che le era estraneo, in una casa che non era la sua, non poteva credere di aver appena invitato un estraneo nella sua camera alle prime ore del mattino.

Non un estraneo.

Suo marito.

L'uomo che sembrava aver dimenticato come si respirava.

Chiaramente non si aspettava quell'invito.

Lei mantenne gli occhi su di lui.

Lentamente, il viso di lui si scongelò. Chiuse le labbra poi le riaprì appena, un sopracciglio si alzò mentre la guardava.

Le sembrò che passassero dei minuti, in quel silenzio pesante, ma sicuramente non era così. Lei continuò a guardarlo mentre centinaia di pensieri sembravano lampeggiare attraverso gli occhi di lui.

«Aye?» alitò infine lui. «Posso baciarti, allora, mo muirmìn?»

Allora fu lei a restare senza fiato.

Lentamente annuì.

Un brivido le scese lungo la schiena mentre lui si chinava verso di lei, strusciando leggermente le labbra contro le sue. Fu quando le prese con gentilezza il labbro inferiore tra le sue che lei realizzò che, tra un bicchiere di whisky e l'altro, lui l'aveva eccitata.

Gli passò la lingua sulle labbra. Lui emise un respiro pesante, pericolosamente vicino a un gemito. Sentì le sue mani andare ai suoi capelli, intrecciarvi le dita e tirarla leggermente dietro il collo.

Isabella fu sorpresa quando lui si ritrasse. Ma forzò i suoi occhi annebbiati ad aprirsi e vide il suo leggero sorriso mentre le baciava il viso, le guance, la mascella, il mento. Il suo respiro caldo era sul suo viso mentre lui ne esplorava i contorni, tenendolo con delicatezza. Chiuse di nuovo gli occhi godendosi la sensazione.

Quando sentì le sue labbra dietro l'orecchio, aprì di nuovo gli occhi.

C'era un'innegabile lussuria negli occhi di lui mentre la guardava con un'intensità che la stupì e la fece deglutire. Baciandola, l'aveva tirata contro di sé e poteva sentire il suo desiderio.

Ma c'era una lieve esitazione nei suoi occhi, appena una traccia di incertezza che attirò la sua attenzione.

Questo era territorio più suo che di lui.

Con un sorriso, gli prese la mano e lo guidò oltre la soglia, nella camera da letto che lui le aveva offerto. Lui la seguì obbediente, dandole una stretta alla mano.

«Cominciamo così», mormorò lei alzando la maglietta scura di lui. Lui alzò le braccia per aiutarla a togliere l'indumento. Per un momento, lei semplicemente lo ammirò. Era ben costruito. La maglietta era stretta e lei aveva già visto che lui aveva bei muscoli e niente grasso.

Vedere per credere.

Questo pensiero assurdo le filtrò nel cervello e la fece sorridere.

Lui ricambiò il sorriso appoggiando le grandi mani sui suoi fianchi. Guardandola con lo stesso sguardo acceso, lentamente lui alzò la sua felpa e gliela tolse.

Quando si era tolta il vestito da sposa, mezza ubriaca, aveva lasciato su il reggiseno bianco senza spalline che le copriva a malapena il seno.

Sorprendendola, lui la tirò contro di sé che i loro caldi petti nudi furono a contatto. Lei quasi sospirò a quella piacevole sensazione, ma lui le passò la punta delle dita sul volto, tenendo l'altra sulla schiena di lei.

«Io non mi aspetto questo, Bella», sussurrò. «Cristo, non ti ho sposato con questo in mente, te lo giuro.»

Isabella sorrise.

«Lo so.» Anche lei alzò la mano e gli accarezzò il viso. «E tu… tu non devi farlo per forza», gli sussurrò.

Lui non rispose subito. Invece, si chinò e strofinò di nuovo le labbra su quelle di lei. La baciò fino a farle girare la testa, e lei lo prese come una risposta. Gli passò piano le unghie sulla schiena, godendosi la sensazione dei solidi muscoli sotto le sue mani.

Ma poi di nuovo lui disse qualcosa che non si aspettava e che non capì del tutto.

«Aye, ma io mi fido di te, mo chroi.»

Le loro labbra si incontrarono mentre lui apriva il gancio del suo reggiseno, facendolo cadere ai suoi piedi. Le sue mani andarono al viso di lei e la accarezzarono con reverenza, con un sorriso sulle labbra. Lei ricambiò il sorriso, un po' impacciata.

La fece stendere sul letto, baciandola più forte e strofinandosi leggermente contro di lei. Lei boccheggiò alla sensazione quando lui le prese il labbro inferiore tra i denti.

Le prese la mano e le sussurrò sulle labbra, «Fammi vedere.»

Le parole furono come un ringhio morbido.

Quando lui aprì gli occhi, lei sorrise e annuì. Si spostò così da poter avvolgere le gambe intorno a lui. Lui la guardò, una domanda nelle iridi brucianti.

Lei annuì.

Fu lento mentre entrava, muovendosi con attenzione, come per non farle male. Mentre prendeva sicurezza e cominciava a muoversi a un cauto ritmo, lei cominciò a muovere i fianchi per incontrare le sue spinte, aiutandolo e muovendosi con lui.

Lui si muoveva con una tenerezza che le fece male al cuore. Sul viso di lui c'era uno sguardo di meraviglia mentre sperimentava per la prima volta quella nuova estasi. Sentì un travolgente, sorprendente affetto per lui, di cui non poteva incolpare il whisky.

Mentre si muoveva i suoi muscoli si strinsero e lei sentì una sensazione dolce che cominciava a crescere. Quando sentì che lui si tratteneva ostinatamente, sussurrò, «Lasciati andare, Edward. Lasciati andare.»

Lui emise un gemito che divenne un sospiro prima che i suoi muscoli si rilassassero.

Isabella sorrise mentre voltava il suo corpo languido sulla schiena, appoggiandosi sul suo petto mentre guardava il suo respiro che si regolarizzava.

«Oh, Bella», sussurrò lui, stringendola a sé e tenendola con reverenza.

Si chinò per baciarla sulla testa mentre lei, assonnata, si accoccolava contro di lui.

«Mo leannan bhiodheach.»

Prima di addormentarsi, ricordò quelle parole dalla sua traduzione dal gaelico.

Mio bellissimo tesoro.





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Capitolo 10
*** Illesi ***


Questa storia è stata scritta in inglese da 2carm2carm2 e tradotta in italiano da beate. Questo è il link all’originale:

https://www.fanfiction.net/s/13053224/10/The-Whisky-Distiller-s-Wife





10. Illesi



Charles Swan era in ritardo.

In tutta la vita di Isabella, suo padre era stato in ritardo una manciata di volte.

Pulizia, devozione e puntualità, diceva sempre.

Perciò a Isabella sembrava particolarmente strano che suo padre fosse in ritardo a qualcosa di così importante. Scoccò un sorriso alla sua futura suocera, Elizabeth Montgomery, mentre portava alle labbra la sua limonata.

Era un bel pomeriggio di primavera ed era stata un'idea di Jake quella di invitare i loro genitori per pranzo al loro country club per festeggiare il loro recente fidanzamento. I loro padri si erano incontrati in diversi eventi sociali negli anni passati, si sa che nella upper class chi si somiglia si piglia, ma mai come futuri suoceri.

Isabella guardò l'orologio e si accigliò. Era in ritardo di dieci minuti.

Jake e suo padre discutevano del fratello più giovane di Jake, Tom, e il suo imminente internato che sarebbe cominciato dopo l'estate alla Bank of America.

Finalmente, con la coda dell'occhio, vide suo padre che veniva verso di loro, un gran sorriso in faccia e una bottiglia di vino in mano.

«Michael, Elizabeth, che bello vedervi!» esclamò galante, stringendo la mano al padre di Jake e dando a sua madre un breve bacio sulla guancia.

«Isabella, sei bellissima», disse spostandosi per dare a sua figlia un bacio sulla guancia. Diede al futuro genero una vigorosa stretta di mano prima che si sedessero sulle loro poltrone.

Un inserviente fu subito lì.

«Sir, desidera che la stappi?» offrì rigido.

«Sì, cosa ci hai portato Charles?» chiese Michael guardando la bottiglia.

«È un Domaine Leroy Richebourg, Grand Cru 1949 dalla Cote de Nuits di Francia», spiegò il connoisseur di vini.

Isabella sbiancò.

Quella era una bottiglia da 5000 dollari della cantina di suo padre.

«Questo significa che hai buone notizie dal SEC?» chiese Jake con un sorriso da lupo. (Security and Exchange Commission, agenzia governativa che monitora la negoziazione di titoli e acquisizioni aziendali ndt)

Charles sorrise indulgente, incapace di mascherare la sua eccitazione. «Ah, sì, ero in ufficio ad aspettare la chiamata, chiedo scusa per il ritardo. Il cambio di regole è stato approvato all'unanimità dal SEC», rispose.

«Meraviglioso!» applaudì Michael.

«Bello! E questo cosa significa per la vostra impresa?» chiese educatamente Elizabeth.

«Intermediatori finanziari come noi possono usare il nostro modello per calcolare il nostro fabbisogno netto di capitale per il mercato e il rischio creditizio correlato ai derivati», rispose l'executive di Goldman Sachs.

Jake, evidentemente impaziente di impressionare il futuro suocero, non poté fare a meno di aggiungere, «Sostanzialmente questo ridurrà i nostri costi permettendo alle nostre aziende di usare le nostre pratiche di gestione del rischio interne. Col cambio di regole, le nostre deduzioni per il mercato e il rischio di credito sarà più basso. Potremo ricollocare capitali per finanziare diverse attività commerciali e gestire meglio il nostro rischio.»

Isabella e Jake, entrambi al lavoro a Wall Street e fuori dal college, avevano discusso del possibile cambio di regole, tenendo lì un occhio mentre preparavano il loro fidanzamento e matrimonio.

Là dove Jake era elettrizzato, Isabella era più che altro ambivalente. Se suo padre e il suo fidanzato, due delle persone più brillanti che conosceva, pensavano che fosse una buona mossa, si trovava in difficoltà ad andare contro di loro e tutto il resto di Wall Street. Non era direttamente correlato al suo lavoro di preparazione del matrimonio, quindi non aveva spazio nel cervello per analizzare troppo accuratamente.

«Udite udite! Ora torniamo alla mia bella figlia e al suo futuro sposo», disse Charles elegantemente, riempiendosi il bicchiere con uno dei vini più costosi del mondo. «Ai bei tempi!»



*



Nella sua casa natia di Glasgow, avevano un set di cuscini di seta blu sul divano. Erano appoggiati contro il divano beige nel loro salotto e avevano sopportato la crescita di tre ragazzini senza strappi o macchie esagerati, impresa notevole, ora che la considerava. In tutta la sua infanzia, sua madre non aveva pensato neanche una volta di rimpiazzarli con qualcosa di nuovo.

Si era svegliato da un sogno che coinvolgeva quei cuscini, che già era strano in sé. Ma mentre passava le dita su e giù sulla schiena nuda di Isabella lentamente capì come mai poteva aver agito così il suo subconscio.

La pelle di lei era morbida e liscia mentre gli accarezzava le spalle e lui sorrise mentre realizzava perché aveva avuto quel sogno bizzarro sulle scelte decorative di sua madre.

Lei era morbida come seta.

A dire la verità, era possibile che tutte le donne dessero quella sensazione, ma lui non ne era del tutto convinto.

Mentre muoveva le dita distrattamente, sorrise a se stesso.

Piegò il collo per guardare sua moglie, attento a non muovere il corpo. Per quanto ne sapeva, lei si era addormentata sul suo petto e non si era mossa di un millimetro. Non sapeva bene se era per via del whisky o se normalmente dormiva così pesantemente, ma il pensiero lo fece sorridere divertito.

Nonostante i suoi sforzi, il suo movimento l'aveva disturbata. Si spostò di qualche centimetro e strofinò il naso sul suo petto, esalando dal naso.

Lui si immobilizzò finché fu assolutamente sicuro che stesse ancora dormendo.

Anche se era totalmente inesperto, la sua conclusione preliminare fu che svegliarsi con una bella donna nuda accoccolata contro di lui era un modo piacevole di iniziare la giornata.

Le mise una ciocca di capelli che le era scivolata sul viso, dietro l'orecchio e sorrise.

Forse il loro poteva essere un matrimonio basato su qualcosa di più del solo rispetto.



*



Isabella si svegliò sentendo discutere.

Sbattendo gli occhi confusa, si guardò intorno, ritrovandosi in un comodo letto in una stanza estranea. C'era freddo nell'aria, e rendeva le coperte calde ancora più confortevoli. Si grattò la testa mentre si guardava attorno. Sentiva dolore dietro gli occhi.

Sentiva il brontolio delle voci da qualche parte nella casa. Sentiva la voce bassa di Edward che discuteva con qualcuno dalla voce più alta. Mentre si strofinava la faccia, riuscì a distinguere qualche parola.

«Questo è illegale! Non puoi sposare qualcuno solo per aggirare la legge, MacDonald!»

Isabella fu immediatamente allerta.

Riconobbe la voce di MacLeod. Sembrava avesse deciso di fare una visita agli sposini, e non necessariamente per congratularsi con loro per la loro nuova felicità.

La risposta di Edward fu inafferrabile, ma le sembrò ugualmente appassionata.

Con un gemito, Isabella si alzò dal letto. I suoi arti impigriti si muovevano rapidi nell'aria fredda che le sfiorava la pelle. Con un ringhio e senza considerare minimamente quanto era accaduto la notte precedente, afferrò una delle pesanti coperte di lana del letto, se la arrotolò al corpo nudo e uscì dalla stanza.

«Ma falla finita!» esclamò Edward rabbioso.

«Edward, tesoro?» chiamò lei, seguendo le voci, la voce rauca per il sonno. Si sentiva un'idiota, ma svoltò l'angolo del corridoio e trovò i due uomini sulla porta.

Edward si voltò vedendola. «Sì, mo leannan?»

Gli occhi di lui si sgranarono leggermente vedendola con solo la coperta addosso.

«Che succede?» chiese lei con uno sbadiglio.

«MacLeod stava proprio per andarsene», la informò Edward scoccando un'occhiata dura al banchiere in casa sua. MacLeod guardava lei, le labbra piegate in un ringhio. «Se non lo facessi?»

Isabella scivolò a fianco di Edward e lui le mise un braccio intorno alle spalle, tirandosela vicina.

«Questa è una cosa diversa tra qui e gli States», commentò innocente.

«Cosa?» chiese Edward, sinceramente curioso.

Isabella lo guardò accigliata. «In America la gente non ti piomba in casa senza essere annunciata nel bel mezzo di una luna di miele. Sarebbe considerato decisamente maleducato.»

MacLeod ridacchiò senza allegria. «Luna di miele? È così che la chiamate?»

Edward le strinse le spalle con gentilezza, chinandosi teatralmente a baciarle la testa prima di rivolgersi all'uomo di fronte a loro. «Lei ha ragione, MacLeod. Ti sei trattenuto anche troppo.»

MacLeod roteò gli occhi. «Non finisce qui», promise. «Non la passerete liscia.»

Isabella lo guardò confusa. «Passarla liscia per cosa?» chiese, guardando Edward incerta.

Una parte di lei sapeva che stava calcando un po' la mano.

Alla parte che stava recuperando la sbronza e che non aveva ancora preso il caffè, non importava.

MacLeod rise, un suono cattivo che verbalizzava la sua crescente frustrazione. «Non so dove diavolo hai trovato questa stronza, ma è-»

In un istante Edward aveva sbattuto le spalle di MacLeod contro la porta, torreggiando minaccioso su di lui. «Tu non parli in questo modo di mia moglie.»

Lasciò le sue spalle e spalancò la porta. «Fuori dalla mia proprietà. Adesso.»

MacLeod drizzò le spalle e lo guardò in cagnesco.

«Ci vedremo domani», disse freddamente. «Quando ti renderai conto che non hai i fondi per ripagare la RBS, mi aspetto che tu e la tua finta moglie sgomberiate i locali immediatamente.»

La faccia di Edward si indurì mentre lo guardava.

«Per domani pomeriggio, Sleat non avrà più debiti pendenti con la Royal Bank of Scotland», lo informò seccamente Isabella.

«E tu non sei il benvenuto, qui», aggiunse Edward. «Se torni qui chiamerò la Polizia.»

MacLeod fece di nuovo quella risata cattiva. «La Polizia non sarà tua amica dopo questa bravata, MacDonald. Questo… questo… questo matrimonio forzato è una truffa! Lo dimostrerò.»

Edward annuì verso la porta aperta. «Prova a tornare e li chiamerò. Mi prenderò i miei rischi.»

Con un ultimo ringhio verso Isabella, MacLeod drizzò le spalle, girò sui tacchi e uscì. Aveva a malapena varcato la soglia che Edward sbatté la porta dietro di lui, con più forza del necessario. Quel colpo rumoroso fu seguito da un lungo silenzio.

«Grazie», disse Edward alla fine.

Isabella si strinse la coperta attorno, perché la casa era fredda. Annuì.

Nessuno disse nulla per un po', invece guardarono in punti diversi del pavimento. Alla luce del giorno, insieme da soli, erano degli estranei. La notte scorsa a entrambi si era sciolta la lingua, per la generosa quantità di whisky e per l'aria di festa, ma alla luce del giorno, sapevano molto poco l'uno dell'altro, e l'imbarazzo era evidente.

Edward si strofinò dietro il collo qualche momento, aprì bocca per parlare e poi la richiuse.

Isabella si strinse ancora di più la coperta attorno mentre Edward faceva scrocchiare la mano destra.

«Be' io-»

«Dovrei-»

Si fermarono tutti e due.

«Vai ava-»

«Che cosa stavi-»

Bloccarono di nuovo entrambi il loro discorso.

«Dopo di te», disse alla fine Isabella.

«Aye», ridacchiò lui nervosamente. «Immagino che vogliamo fare colazione, adesso?»

Lo stomaco di Isabella brontolò al pensiero. «Se per te non è un problema», rispose.

Edward fece un gran sorriso, scegliendo di ignorare quell'imbarazzo. «Mi hanno detto che è buona norma tenere le mogli ben nutrite… anche quelle finte», aggiunse sfacciato.

Questo fece roteare gli occhi a Isabella, ma non disputò la legittimità del consiglio.

«Toast? Uova? Funghi? Polpette? Salsicce? Porridge? Yogurt?» chiese dirigendosi in cucina. «Cosa posso prepararti?»

Isabella sgranò gli occhi, travolta da tutte quelle opzioni.

Edward aprì il frigo e cominciò a rovistare mentre parlava per riempire il silenzio. «Oh, certo, posso cucinare. Quando ci trasferimmo di nuovo a Skye dopo che era morta ma’, Lizzie prese me e pa’ e ci insegnò… disse qualcosa a proposito di Collette che andava nutrita di tanto in tanto.»

Isabella si accigliò, ripensando a quello che gli aveva detto sulla morte dei suoi genitori. Quando si accorse che la guardava in attesa, rimase momentaneamente confusa. «Oh! Quello che hai va bene. Grazie», disse sedendosi su uno degli sgabelli al bancone.

«Naturalmente, come risultato della tutela di Lizzie», continuò lui tirando fuori delle cose dal frigo, «più che altro ho imparato a cucinare piatti tradizionali scozzesi che lei serve alla locanda a turisti e simili.»

Lei fece un verso di assenso giocherellando con la coperta che aveva addosso.

«Aye», disse lui interpretando quel suono come sorpresa. «Black pudding, cranachan, zuppa di porri e pollo, sformato di carne, patate stufate con cipolle, zuppa di pesce affumicato con patate e porri, e patate e rape, naturalmente.»

«Naturalmente», concordò lei.

Lui ridacchiò sottovoce, tirò fuori delle uova dalla credenza e si voltò verso i fornelli.

Tornarono al silenzio mentre lui armeggiava. Fu un silenzio meno impacciato del primo, e Isabella trovò che non era così sgradevole.

Ma Edward, dopo qualche minuto, sembrò trovarsi a disagio con quel silenzio prolungato.

«Collette ha una stanza qui», la informò. «Di sopra. Ma lavora alla locanda con Lizzie da questa estate, da quando ha compiuto 18 anni, per cui sta là più notti che no.»

Isabella annuì ma rimase in silenzio.

Lui le dava le spalle, così non poteva vedere che si era accigliato.

«Anche Robert e Ian vivono qui vicino», continuò dopo un momento. Mentre lui cucinava con attenzione una robusta colazione, le parlò della sua famiglia, sia quella estesa che quella più ristretta.

Più parlava, più si chiedeva se lei lo stesse realmente ascoltando.

Ma le mise il piatto di fronte e quando lei gli offrì un morbido, sincero «Grazie», lui continuò a parlarle, cercando di suscitare una risposta.

Mentre mangiavano, le disse che Wilson e Donald alternavano il lavoro alla distilleria con il lavoro alla locanda, mentre Robert e Ian erano impiegati a tempo pieno alla distilleria prima che l'economia rallentasse, e adesso lavorava alcuni giorni e alcune notti sulle barche da pesca a Portree Harbour. Spiegò anche che Robert era un cugino di secondo grado e Ian un cugino di terzo grado.

Sembrava che fosse molto a disagio alla luce del giorno, dato che era più ciarliero di quanto lo avesse mai visto.

Quando lui finì di parlare, ricadde un lungo silenzio. Isabella, che aveva giocherellato con le sue uova, alla fine posò la forchetta.

«Ach», fece lui, un verso scozzese. «Cosa hai fatto sul braccio per rimediare quel brutto livido?»

Isabella si guardò il braccio, sorpresa che fosse scivolato fuori da sotto la coperta. Il livido stava svanendo, ma era ancora di un brutto colore giallognolo.

«Mi vengono facilmente i lividi», replicò lei coprendo il braccio.

«Certo», disse lui con uno strano sguardo prima di schiarirsi la gola. «Bene. Ti ho promesso di farti da guida, giusto?»

Lei si accigliò, cercando di ricordare tale promessa. «Ieri sera», disse lui, con un accenno di risata.

«Oh», ricordò lentamente. «Sì… sì, sarebbe grandioso.»

Edward si alzò e cominciò a togliere i piatti, ignorando l'ovvia esitazione nel suo tono. «Potresti andare a metterti un paio di pantaloni.»

Isabella si era completamente dimenticata di stare lì seduta avvolta in una coperta. Quando se ne rese conto, lottò contro il rossore che le saliva in viso e tenne il mento alto, annuendo, poi si alzò per andare a vestirsi.

Lasciando la cucina, avrebbe giurato di sentirlo ridacchiare.

Una volta infilati giacche invernali e stivali, si avventurarono fuori per esplorare l'isola, con Edward che guidava la piccola auto a noleggio di Isabella, accartocciato con le sue lunghe gambe e le lunghe braccia, ma non sembrava dispiacergli. Le parlò dell'isola di Skye.

Per la prima parte della giornata la guidò intorno alla Penisola Trotternish, accostando di tanto in tanto per indicarle alcune fondazioni geologiche come Kilt Rock, una scogliera che effettivamente somigliava a un kilt, e alcune isole sparse all'orizzonte. Isabella guardava tutto senza dire molto, ascoltando con attenzione quando lui parlava con il suo strano, smorzato accento di Glasgow.

Alla fine Edward si fermò in uno slargo dove erano già parcheggiate altre due macchine. Isabella si guardò intorno scendendo dalla macchina. «Una passeggiata, ti va?»

Lei rimase in silenzio.

Il tempo di novembre era mite e le nuvole sparse lasciavano ogni tanto che il sole occhieggiasse sulle highland. L'aria era frizzante, ma anche dolce. A lui non dispiaceva quel freddo leggero sulla punta del naso e sulle orecchie. Mentre camminavano su per la collina, col verde che svaniva nel marrone, sua moglie non diceva molto.

La parola 'moglie' gli galleggiò incerta in testa, ancora poco familiare e scomoda dopo sole 48 ore. Il giorno prima era stato una girandola, piena di amici e famiglia, bevute e risate.

E finzione.

Quando tutto era si era calmato, era ubriaco fradicio di buon whisky, con la sua sposa davanti al fuoco. Lui stesso aveva avuto a malapena il tempo di considerare il fatto che era legalmente sposato a una donna americana sconosciuta, anche se solo per salvare l'azienda di famiglia.

Quando la vedeva in questo modo, non poteva certo incolparla per il suo silenzio.

Però non si sarebbe tanto turbato, se lei avesse deciso di dire qualcosa.

Non sapeva praticamente niente di lei, tranne il suo cognome e il fatto che suo nonno era stato il più vecchio cliente della Sleat, fino alla sua morte. Voleva sapere di più, ma resisteva.

Conosceva il tocco delle sue mani e la sensazione delle sue labbra, e anche se di certo non era poco, alla luce del giorno non era molto per andare avanti.

Anche se non aveva molta esperienza con lei, era incline a credere che la notte scorsa era stata una eccezione, non una regola. Di fronte al fuoco, le guance rosa per il whisky, era stata affascinante e divertente e piena di vita.

Lo aveva portato nel suo letto e le aveva dato quella parte di sé, come aveva fatto lui con lei. L'aveva stretto e l'aveva toccato, traendo da lui sensazioni e anche suoni di cui lui non aveva mai fatto esperienza.

Alla luce del giorno, si era ritirata in se stessa.

Anche se annuiva e sembrava ascoltarlo, aveva l'impressione che fosse completamente da un'altra parte.

Era una situazione maledettamente strana, ricordò a se stesso.

Mentre salivano uno dei picchi, lei camminava davanti a lui. Teneva il passo con lei senza difficoltà, a volte cadendo nel ritmo della salita, senza concentrarsi su di lei. Altre volte, però, osservava.

E anche nel silenzio – specialmente nel silenzio – imparava cose di lei.

Imparava che lei era cauta, ma non troppo. Se c'erano delle rocce smosse, si fermava per mezzo secondo prima di scavalcarle, leggera sulle punte. Imparava che era ostinata. Dopo un tratto particolarmente ripido, non si fermava, anche se probabilmente avrebbe dovuto. Imparava che aveva il senso della meraviglia. Spesso rallentava e si prendeva un momento per guardarsi intorno e osservare lo scenario, esalando un lungo respiro. Lui prendeva queste osservazioni e provava a metterle insieme per capire chi fosse veramente quella donna.

Non era molto, ma lui era ottimista.

Dopo circa un'ora, arrivarono in cima e si misero seduti su un masso. Le nubi si erano assottigliate e il sole era fresco e confortante sulla sua faccia gelata dal vento freddo. Il Quiraing era bello con ogni tempo, ma illuminato dal sole ti levava il fiato.

Rimasero seduti per un bel po' in silenzio. Alla fine il sole si nascose dietro una nuvola e tutto intorno la luce si attenuò. Isabella si voltò verso di lui, col viso impassibile. «Qual è la storia con MacLeod?»

Edward alzò le sopracciglia, sorpreso a quella domanda.

«Cosa ti fa dire questo?» chiese lui, grattandosi la corta barba rossa sulla guancia

Isabella scrollò le spalle.

«Aye», disse lui, considerando.

Lei aspettò.

«A dire la verità, non gli sono mai piaciuto molto», spiegò grattandosi il mento. «Io sono cresciuto a Glasgow, non so se lo sai. Aye. Be' dopo che ma’ morì e ci trasferimmo a Skye, io avevo due anni di scuola ancora, per finire. Non era una scuola molto grande… non lo so, in realtà. Fin dal primo giorno sembrò che non gli piacessi. Non ci ho mai pensato molto, in realtà, non puoi piacere a tutti, no?»

Isabella annuì.

«Pa’ diceva che era perché era abituato ad avere l'attenzione di tutte le ragazze a scuola», disse ridacchiando. «Non so se era vero o no, ma non gli ho mai prestato molta attenzione.»

Lei alzò un sopracciglio, scettica.

«Be'», emendò lui. «Non proprio, ma… ma eravamo abbastanza competitivi. Io andavo forte con i voti e con l'atletica, e così lui. Immagino ci sia stata, a volte una sorta di… di rivalità tra noi.»

Isabella si accigliò.

«Dopo che Pa’ morì però, Carlisle disse qualcosa tra le nostre famiglie che andava più indietro di quanto pensassi», continuò Edward. «Io pensavo che McLeod fosse una testa di cazzo naturale. Carlisle mi disse che c'era qualcosa di più che… drammi scolastici, suppongo. Penso che la ma’ di MacLeod abbia avuto qualche pensiero su pa’, a un certo punto, ma non lo so.»

Lei annuì, sembrava sprofondata nei suoi pensieri.

«E ad essere onesti, non ho tempo di preoccuparmi di queste cose. Sleat aveva un debito con RBS già da prima che MacLeod cominciasse – avevamo allargato la distilleria, l'hai visto nel tour con Jasper, vero? Dopo che Pa morì e l'economia rallentò, diventò difficile stare al passo con i pagamenti del prestito… era grosso.» La guardò in uno strano modo. «Be', grosso per noi, almeno.»

Isabella abbassò gli occhi, a disagio.

«Comunque», continuò lui schiarendosi la gola. «Non appena le piccole imprese sono state colpite dal rallentamento dell'economia, la RBS si è avventata e prima che me ne rendessi conto, il debito di Sleat si era triplicato e andava pagato immediatamente.»

A questo, lei sospirò e guardò dritto davanti a sé.

«Nessuno aveva soldi per comprare whisky, né qui né nel resto del mondo, capisci?» disse lui. «Tutti i mercati crollarono, e la gente pensò che l'economia globale sarebbe crollata con loro. Be', noi non saremo crollati, ma… ma ti dirò… nessuno ne è uscito illeso, capisci?»

Isabella guardava la terra poco familiare intorno a lei.

Quando parlò, le parole furono così quiete che avrebbero potute essere anche vento.

«Lo so.»





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Capitolo 11
*** Royal Bank of Scotland ***


Questa storia è stata scritta in inglese da 2carm2carm2 e tradotta in italiano da beate. Questo è il link all’originale:

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11 – Royal Bank of Scotland



ISABELLA SWAN SPOSA JACOB BLACK MONTGOMERY.

Il 7 di agosto.

Isabella M. Swan, figlia di Bianca M. Swan di Palm Beach, Florida, e Charles J. Swan di New York, New York, sposerà domenica Jacob Montgomery, figlio di Elizabeth Black Montgomery e Michael B. Montgomery di Livingstone, New Jersey. Il ministro Patrick Jacobson officerà la cerimonia che avrà luogo alla residenza Montgomery in Bedminster, N.J.

La sposa, 24 anni, continuerà professionalmente ad usare il suo nome. Lavora a New York come vice presidente di sviluppo e acquisizioni alla Goldman Sachs, sotto suo padre, capo dell'ufficio finanziario dell'impresa dal 1994. Si è laureata all'Università di Pennsylvania, alla Warthon School of Business.

Lo sposo, 26 anni, è il Responsabile Globale del Credito Strutturato nella Divisione Investimenti di Lehman Brothers. Si è laureato all'Università di Pennsylvania, alla Wharton School of Business e ha preso il master in Business Administration alla Columbia. Il padre dello sposo, che è il fondatore dell'attività immobiliare di famiglia, si è dimesso da presidente della società l'anno scorso, per i suoi problemi legali, ma da allora ha ripreso il suo titolo.”



*



La mattina successiva, i due neosposi erano sulla strada per Glasgow in corteo. Edward guidava davanti un piccolo, strambo veicolo che somigliava a un camioncino e Isabella lo seguiva con la sua auto a noleggio che stava riportando alla Hertz, a Glasgow. La separazione dei veicoli dava a entrambi tempo per pensare e, per estensione, per preoccuparsi.

Isabella passò la maggior parte del viaggio attraverso le highlands convincendosi che non ci sarebbero stati problemi col prelievo. Ripassò mentalmente tutte le leggi della finanza internazionale con cui aveva familiarità e che avevano a che fare con lo strano scenario in cui si trovavano.

La conclusione di lei fu che doveva funzionare.

Il problema con doveva era che era parecchio da basare su un matrimonio, reale o no.

Quando uscirono da Barclays con un assegno circolare di 150.000 sterline in mano a Isabella, Edward esalò un respiro pesante e poi inalò lentamente. Si voltò verso di lei con un leggero alzarsi delle labbra e lei ebbe l'impressione che fosse il primo vero respiro che prendeva da mesi.

Isabella si sentiva sollevata, ma ancora in agitazione per lo scambio che aveva avuto col bancario. Non vedendo problemi con la presenza di Edward accanto a lei, dato che era adesso suo marito, aveva annuito verso la sedia libera lì vicino mentre l'impiegato tirava fuori i suoi conti.

«Swan… Swan», borbottò il bancario sotto voce mentre muoveva il mouse sul suo desktop.

Con la coda dell'occhio notò la gamba di Edward che faceva su e giù incessantemente. I suoi piedi erano piantati a terra, ma le gambe si muovevano costantemente e tutto il suo corpo era teso mentre sedeva nel lussuoso ufficio della Barclays nel centro città di Glasgow.

«Ci sarebbe il conto congiunto Swan e Montgo-»

«No.»

Isabella sentì il cuore che cominciava a martellare, ma riuscì a restare calma. «No, non quello.»

Il bancario alzò un sopracciglio, poi tornò allo schermo. «Naturalmente… miss...»

«Mrs. MacDonald», disse con un forzato sorriso amichevole, guardando in direzione di Edward con quello che sperò passasse per affetto.

Edward colse il segnale e ricambiò il sorriso prendendole la mano. «Aye», concordò.

Il bancario guardò lo scambio col sopracciglio leggermente alzato. Dopo diversi controlli di identità e risposte a domande leggermente velate che cercavano ovviamente di chiarire la situazione, Isabella e Edward uscirono con la busta dell'assegno in mano.

Se Edward pensava che c'era stato qualcosa di strano nello scambio col bancario, non lo diede a vedere. Invece la guidò all'auto aprendole lo sportello e sedendosi poi alla guida. «Lo lasciamo da MacLeod e poi torniamo alla Sleat?» chiese lui.

Isabella annuì, guardando di fronte a sé.

Edward sembrò capire che non era in vena di fare conversazione, nonostante fosse stata sicura e amichevole poco prima, in banca. Si accigliò mentre usciva dal parcheggio. Non riusciva a capire cosa le passasse esattamente per la testa mentre guidava per le strade di Glasgow e si dirigeva di nuovo verso le Highlands.



*



La fermata alla Royal Bank of Scotland fu fortunatamente senza incidenti.

MacLeod, a quanto pareva, non era in ufficio.

Edward fornì le informazioni necessarie sul prestito mentre Isabella parlava con voce netta e diretta con la bancaria. La donna sgranò gli occhi davanti all'assegno, poi guardò alternativamente loro due, poi lo schermo del suo computer prima di chiedere loro di aspettare un attimo che chiamasse il suo supervisore.

«Questo è il protocollo standard?» chiese Isabella col sopracciglio alzato mentre la mano della donna aleggiava sul telefono.

«Mi scusi?» chiese la bancaria sbattendo gli occhi.

Edward guardava Isabella con curiosità mentre lei accennava al telefono.

«RBS ha l'abitudine di scoraggiare i clienti dal pagare integralmente i loro prestiti?» chiese Isabella. «Mi sembra incredibilmente controproducente.»

«Be'… be', capisce, dato l'ammontare della cifra, è lo standard passare per diverse… procedure.»

«Io so che la maggior parte di queste procedure esistono come misure anti-terrorismo in relazione ai contanti, non agli assegni», disse Isabella sfidandola. «Inoltre, in confronto ad altri affari e prestiti della RBS, mi aspetto che questa non sia considerata una cifra così enorme. Mi sbaglio?»

L'impiegata perse sicurezza di fronte al tono autoritario di Isabella. «Be', c'è una bandierina sul conto, messa da Mr. MacLeod – dice che desidera che gli venga notificato ogni grosso rimborso su questo conto.»

A quel punto, Edward si alzò in piedi.

«E allora glielo notifichi.»

«Be', mm, ci sono diversi, um, essendo un versamento internazionale, e sa con gli Investimenti Diretti Esteri – potrebbero esserci vari motivi per cui non può essere elaborato.»

Isabella si alzò e prese la mano di Edward.

«Se viene fuori qualcuno di questi motivi, può raggiungerci al numero di telefono di mio marito. Fino ad allora, penso che abbiate tutto quello che vi serve. Grazie per il suo aiuto.»

Uscirono dalla RBS mano nella mano, liberi del debito della Sleat.

Se Edward si sentiva in colpa per star commettendo una frode, lo ignorò mirabilmente. Lei sentiva il suo sguardo su di sé mentre camminavano, come se fosse sorpreso dal suo atteggiamento e dal suo tono professionale. Sembrava avere delle domande sulla punta della lingua, ma per qualche motivo, le tenne per sé.

E lei gliene fu grata.



*



Quando tornarono a Skye e alla distilleria, era già metà pomeriggio.

Edward spense il motore e si grattò dietro il collo.

«Vuoi fare un tour, allora?»

«Jasper è stato piuttosto accurato», replicò lei.

Edward annuì. «Aye.»

«Ma forse potremmo preparare un piano per far affrontare questa recessione alla Sleat?» suggerì lei.

«Oh, aye», concordò lui rapido. «Va bene, okay, ti farò vedere i libri così potrai… be', vedere i dati finanziari.»

Isabella annuì e lo seguì scendendo dalla macchina.

Jasper e Ian erano dietro il desk quando entrarono nella lobby dall'entrata laterale. Le loro teste si voltarono insieme quando la campanella attaccata alla porta tintinnò. Per un momento, Isabella vide la preoccupazione sui loro volti.

«Com'è andata?» chiese Jasper cauto, uno sguardo grave in faccia.

«Sleat vedrà un altro giorno per lottare, ragazzi», replicò Edward, il sollievo evidente nella sua voce. Diede una pacca sulla spalla a Jasper e Isabella vide le spalle di lui rilassarsi, come se si fossero liberate di un peso. Ian tirò un braccio intorno a Edward, scuotendolo con un gran sorriso in faccia.

Anche Isabella non poté evitare di sorridere, anche se si sentiva un'estranea, in quell'incontro.

Jasper la guardò e fece un gran sorriso. «E dobbiamo ringraziare la ragazza Bella per tutto quanto!»

Edward seguì il suo sguardo su sua moglie e le offrì un sorriso ugualmente grato.

«Aye, proprio così.»

E per la prima volta in tanto tempo, Isabella sentì le guance scaldarsi sotto i loro sguardi.

«Be', non ringraziatemi, ancora», disse lei sbrigativa. «Sleat non è ancora fuori dai guai.»

Chiunque, nel suo passato, sarebbe stato d'accordo – gli affari hanno molta strada da fare prima di essere considerati stabili. Ma gli uomini di fronte a lei non erano cresciuti a Wall Street come lei. Non avevano esperienza di executive development o investimenti bancari. Non erano addestrati in valutazione di attività commerciali e proprietà o a gestire investimenti a rischio.

Questo era il loro sostentamento, e per il momento non sarebbe scomparso.

Questa consapevolezza lasciò Isabella senza parole.

Edward sembrò capire, per la maggior parte. Diede una pacca a Ian e annuì. «Bene, sono in ufficio, se hai bisogno.»

«Ho stampato tutti quei documenti che mi hai chiesto», disse Jasper. «Non so cosa significhino per la maggior parte, ma sono là.»

«Grazie», disse Isabella con un sorriso. Sentiva un senso crescente di trepidazione a quello che la aspettava in ufficio.

E quando lei e Edward entrarono, la sua trepidazione sembrò giustificata.

Sulla scrivania stava un grosso scatolone pieno di cartelline, buste e fogli sparsi, alcuni documenti fermati con delle ricevute, altri liberi.

Vedendo l'espressione sulla faccia di lei, Edward trasalì.

«La maggior parte sono dell'anno scorso», spiegò mentre Isabella cominciava a dare un'occhiata ai fogli. «Pa’ era più organizzato.»

Isabella annuì mentre guardava delle fatture di spedizione random.

Edward si chinò e aprì un grande cassetto della scrivania. Il cassetto era meglio organizzato rispetto allo scatolone, le cartelle ordinate e etichettate con una calligrafia precisa. «Questi sono degli ultimi otto anni, penso. La maggior parte sono di pa’, ma alcune cose potrebbero essere di Carlisle, ancora prima. Lui può spiegarti, se trovi qualcosa che non ha senso.»

Isabella si strofinò la faccia mentre guardava la pila davanti a lei. «Avete uno stato patrimoniale?» chiese lei. «O qualche documento aggiornato di un bilancio consolidato?»

«Oh aye», disse Edward strofinandosi il collo. «Quando la GRG arrivò, mesi fa… lo stratagemma di RBS, ricordi? Aye, be', richiesero documenti aggiornati come parte del loro processo di 'consulenza' per dare una svolta agli affari», spiegò con l'amarezza nella voce. «Devono essere là, da qualche parte. Naturalmente sono di quattro mesi fa e MacLeod non era d'accordo su come erano stati fatti,o almeno così ha detto, quindi… non so quanto possano essere utili.»

Isabella esalò un respiro e si mise seduta sulla sedia di pelle dietro la scrivania.

Edward la guardò grattandosi il mento. A parte una chiara diffidenza verso il casino disorganizzato di fronte a lei, non riusciva a capire nulla dei suoi pensieri o se rimpiangesse di essersi infilata in quel ginepraio.

«Se vuoi posso darti una mano a capirci qualcosa», offrì lui. Si fermò di colpo – non sapeva molto di lei, ma da come parlava non sembrava una principiante riguardo alle materie finanziarie.

«Grazie, ma va tutto bene», replicò lei.

«Va bene, allora. Be', quindi suppongo che ti lascerò… fare conoscenza con la Sleat. Sarò in distilleria se hai bisogno, okay?»

Isabella annuì, guardando una fattura datata tre settimane prima.

«Sì, be', allora ti lascio.»



*



Come si scoprì, Sleat in effetti non aveva un piano aziendale.

Isabella passò quattro ore a smistare tutti i documenti dello scatolone in categorie generali e sapeva che restava ancora tanto da smistare, ma mentre identificava e divideva in categorie i documenti, cominciò a mettere insieme il fatto che Sleat faticava sia per il rallentamento dell'economia, sia per il fatto che usava un modello di business che aveva avuto successo nel Novecento, ma che non permetteva loro di competere nel 2008.

Oltre queste preoccupazioni, doveva ammettere che MacLeod aveva ragione ad accusare Sleat per aver fatto dichiarazioni improprie. Una volte estratte le dichiarazioni dallo scatolone e dato un'occhiata rapida, individuò subito parecchi errori marchiani che la fecero trasalire. Era passato un po' di tempo dai suoi corsi di Finanza Internazionale, ma riusciva facilmente e rapidamente a identificare gli errori.

Accanto a lei stava un taccuino con delle note casuali, inclusa una sempre crescente lista delle cose da fare e parecchie osservazioni su alcuni documenti che stava guardando. Stava ancora dividendo i documenti in piccole pile quando qualcuno bussò alla porta. Isabella guardò sorpresa l'orologio e vide che era passato molto tempo da quando Edward l'aveva lasciata nell'ufficio.

Una testa rossa si infilò nella porta.

«Come va finora?» chiese lui, con un tono gradevole ma guardingo.

Isabella guardò i mucchi di documenti di fronte a lei con espressione neutra.

«Così male, aye?»

Lei si fece la nota mentale di lavorare sul suo sguardo neutro.

«È un inizio», rispose.

Le labbra di Edward si piegarono all'insù. «Aye. Non hai fame?» chiese. «Esme ha chiamato e potrebbe aver bisogno di aiuto per ripulire dopo i festeggiamenti a Isles.»

Isabella annuì, rianimandosi all'idea di rivedere la donna inglese.

Edward si mise di lato e aprì di più la porta per lei. «E da quello che vedo, a te potrebbe far bene un buon bicchiere.»

Isabella esalò un gran sospiro e lo guardò. «Oserei dire che hai ragione, MacDonald.»

Arrivati all'Isles Inn, seppero che a Esme serviva solo che alcuni tavoli che erano stati portati dentro, fossero riportati in magazzino. Edward e Jasper si misero subito al lavoro, lasciando Isabella e Esme relativamente sole nel pub. C'erano pochi clienti al focolare, ma avevano le loro pinte piene e erano immersi nelle loro conversazioni.

Era sorpresa di come fosse familiare stare nel pub. L'atmosfera era calda e intima, accogliente in un modo che le fece rilassare le spalle, almeno un po'.

«Felice di vederti, tesoro,” aveva detto Esme quando loro tre erano entrati. Isabella aveva lasciato che la donna la abbracciasse.

«Vieni, siedi con me», la invitò caldamente. «Posso portarti qualcosa da bere? Whisky? Birra? Vino?»

Isabella scosse la testa.

Intanto Edward e Jasper cercavano di capire come far passare il tavolo per la porta. Isabella sentì Jasper tirare una sfilza di parole che doveva essere gaelico, e che avrebbe scommesso fossero parolacce.

Isabella si mise seduta dove Esme indicava. Mentre si sedeva, vide che il tavolo era coperto di varie carte. Incapace di staccare gli occhi, lesse qualche riga e le sembrò che fossero fatture. Erano datate sabato e c'erano parecchie tasse ritardate in aggiunta a un grosso ammontare di alcool con alti prezzi segnati sulla destra.

Il loro matrimonio.

Esme si sedette e raccolse in fretta tutte le carte, con aria imbarazzata.

«Per favore, dimmi quando avrai i costi totali di sabato», disse calma Isabella. «Ti farò un assegno.»

«Oh, tesoro», disse Esme facendo un gesto con la mano. «Non farti problemi.»

«Era… era il nostro matrimonio», tentò di replicare con veemenza, ma si trovò ad inciampare nelle parole e nella nozione che era sposata. «Questo non è un tuo fardello finanziario. Pagheremo noi per questo.»

Era stato un matrimonio semplice – esitò a chiamarlo piccolo dato che era sicura che la maggior parte dell'isola vi aveva preso parte - e come tale non poteva essere costato una gran quantità di soldi. Ma tutti quelli che avevano mai preparato un matrimonio sapevano che c'erano costi enormi associati a cibo e alcool.

Esme scosse la testa e replicò con fermezza. «Noi siamo il padrino e la madrina di Edward. Ce la caveremo in qualche modo.»

Ma Isabella vedeva una certa apprensione nei suoi occhi mentre guardava quei conti.

«Ma noi-»

«Bella… so che tutto questo è spaventosamente poco familiare, per te, e non ti biasimo certo per questo. Detto questo, mi trovo nella situazione di avere una migliore comprensione delle condizioni finanziarie di Edward rispetto a te. Questi ultimi mesi sono stati… tosti. Per tutti noi, in un certo senso. Edward è stato colpito duramente… non ha i fondi per contribuire e io e Carlisle non vogliamo che lo faccia. Troveremo un modo per coprire tutto.»

Isabella aveva tanti pensieri che cercavano di uscirle dalle labbra e, non per la prima volta, si ritrovò a non dire nulla.

Esme sorrise. «Quando diventi genitore ti abitui a prenderti cura degli altri. È una strana parte della natura umana che ti viene fuori.»

Non viene fuori a tutti.

Il pensiero scivolò fuori dalla sua mente.

«D'altronde… cosa stai facendo tu per la distilleria? Quello è molto più importante di questi conti. Sleat è stata la vita di Carlisle per… 20 anni. E di Jasper fin da quando è stato abbastanza grande. Tutti e due lavorano altrove quando possono, ma...» la sua voce si spense con un desolato scrollare di spalle, un gesto come a dire cosa puoi farci?

Edward e Jasper tornarono dentro ridendo. Isabella guardò mentre prendevano su l'altro tavolo con facilità e Edward faceva un commento sarcastico sulla carenza di orientamento spaziale di Jasper. Mentre si muovevano, fu lieta che il suo nuovo marito non vedesse il suo sguardo, dandole la possibilità di osservarlo con chiarezza.

Poco dopo, Edward sentì sua zia e Isabella che chiacchieravano amichevolmente con qualche bicchiere di vino. Anche se la conversazione era dominata dall'accento britannico, sentiva anche una morbida voce americana, di tanto in tanto.

Alice era tornata in cucina, a pulire o a cucinare, non sapeva. Lo aveva abbracciato quando lo aveva visto. Lui gli aveva chiesto quando sarebbe tornata a casa, ma lei aveva ridacchiato e aveva detto che non aveva intenzione di intromettersi nella loro luna di miele.

Non riusciva a sentire cosa si dicevano le due donne, non che ci provasse, ma sembrava che Esme le stesse dicendo quali posti di Skye attiravano più turisti e in quali periodi, fermandosi occasionalmente per chiederle se Edward glieli avesse mostrati, dopo aver saputo del loro giro il giorno prima. Edward sentiva gli occhi sulla sua schiena, ma non si voltò mentre stringeva la sua Tennent's Lager.

«Eee. Ma’ ha trovato una nuova migliore amica», commentò Jasper roteando gli occhi. Era seduto accanto a Edward al bar, bevendo la sua birra e flirtando qua e là con Fiona.

A quel punto, Edward diede un'occhiata alle due donne. Esme gesticolava con gli occhi sgranati mentre Isabella ascoltava e sorrideva. Sua zia era sempre stata una narratrice – e sembrava che questa cosa fosse diventata ancora più pronunciata da quando si era trasferita in Scozia, secondo suo marito.

Tornò alla sua pinta. «Aye», disse sbrigativo.

Quella a quanto pareva, non era la risposta che cercava suo cugino.

Il biondo lo guardò sospettoso.

«Allora, come sta andando fra voi due?»

«Bene», disse lui alzando la sua birra. «Date le circostanze.»

Jasper evidentemente non era convinto.

«Sembravate una bella coppia, al matrimonio. Felici l'uno con l'altro», commentò. «Adesso non più tanto.»

Edward alzò le sopracciglia, fastidio e accento scozzese gli scivolarono nel tono. «Con tutti gli amici e i parenti che osservavano ogni mia mossa? Aye, era meglio che sembrassimo una bella coppia, al matrimonio.»

«Era tutto uno show?» insisté lui. «Tutto quanto? Ti ho visto, socio.»

«Buon per te, cretino. La tua ma’ sarà contenta che ti funzionano gli occhi.»

Jasper ignorò il tono acido nella sua voce.

«È carina.»

«Già.»

Jasper aprì bocca, ma Edward continuò.

«Ed è occupata ad aiutare Sleat. È un accordo commerciale. Né più né meno.»

Suo cugino finalmente prese nota del suo tono, riconoscendo che stava premendo su un nervo scoperto.

«La ragazza ha un bel culo», commentò prendendo un'altra birra.

Si sentì un colpo e la birra di Jasper finì sulla sua maglietta.

«Oi! E questo per cos'è?»

«Chiudi quella boccaccia! Finta o no, la ragazza è ancora mia moglie.»

La bocca di Jasper rischiava di aprirsi in un gran sorriso, ma Edward era già tornato alla sua birra, chiudendo, a quanto pareva, la conversazione.

Jasper alzò alle labbra quanto era rimasto della sua birra, e il bicchiere nascondeva il suo ghigno.









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Capitolo 12
*** Coronato dal successo ***


Questa storia è stata scritta in inglese da 2carm2carm2 e tradotta in italiano da beate. Questo è il link all’originale:

https://www.fanfiction.net/s/13053224/12/The-Whisky-Distiller-s-Wife









12 – Coronato dal successo



«Wise men say, only fools rush in, but I can't help falling in love with you...»

Isabella rise mentre Jake cantava e dondolavano avanti e indietro al suono della canzone di Elvis. Jake arricciò il labbro alla maniera di Elvis prima di farla girare e poi tirarla contro di sé.

«Cazzo, sei così bella!» le alitò all'orecchio.

Isabella sorrise al complimento.

«Sono un figlio di puttana fortunato», sorrise lui, chinandosi per darle un bacio sulle labbra.

Un «Aww» collettivo arrivò da un gruppo di donne che guardavano il loro primo ballo sulla pista. La proprietà Black Montgomery era stata trasformata da bellissimo giardino a stupendo luogo di matrimonio. C'erano fiori bianchi e luci intermittenti ovunque.

«Tua madre si è davvero superata», commentò Isabella, guardando intorno quel luogo fatato.

Jake le baciò la tempia. «Vuole solo il meglio per te, tesoro.»

Isabella scosse la testa, ancora in qualche modo scioccata da quel posto. I decoratori per cui i loro genitori avevano speso migliaia di dollari, non li avevano delusi. Tutto il verde era perfettamente curato e scolpito, tutte le luci e i fiori piazzati alla perfezione. La magione dei Montgomery sullo sfondo era illuminata da una soffice luce dorata, dando a tutto il grande giardino un bellissimo bagliore.

Il Washington Post e il New York Times avevano inviato dei fotografi per catturare la bella magione e il matrimonio di uno dei più giovani e ricchi scapoli d'America, Jake Montgomery. Dato che lei era una figlia di Wall Street di diritto, i Swan e i Montgomery si erano impegnati al massimo per impressionare la lunga lista di ospiti.

«Certe cose sono destinate ad accadere», cantò lui, intonato, ma con un sorriso goffo in faccia che la fece ridere. «Di sicuro.»

Le ultime parole di Elvis svanirono alla fine e il DJ andò avanti. «E adesso, Mr. Swan danzerà con la sua sola e unica figlia, se Jacob la lascerà andare per qualche momento.» Jake la afferrò giocosamente per la vita mentre tutti guardavano e ridevano. «Solo qualche momento», rise il DJ.

Il papà di Isabella si avvicinò e Jake gli fece un gran sorriso stringendogli la mano.

«Balliamo?» chiese suo padre, porgendo le mani aperte. Lei annuì e prese le sue mani.

Mr. Swan, uomo ricco e di grande rilievo, sapeva come tenere la pista da ballo. La fece piroettare da vero esperto e ondeggiò perfettamente a ritmo mentre tutti quelli che guardavano erano affascinati dalla dimostrazione di affetto tra padre e figlia.

«Hai salutato ancora la senatrice Clinton?» le chiese a voce bassa mentre la canzone rallentava.

Isabella si guardò intorno, per vedere se riusciva a individuare la senatrice di New York. «No, non ne ho ancora avuto la possibilità.»

«Verrò io con te, dopo questo», la informò. «Goldman Sachs ha bisogno del suo supporto per questa nuova proposta di legge che sta passando adesso alla Casa Bianca.»

«Okay.»

«Alan Greenspan è là al bar», la informò facendo un cenno in direzione del Presidente della Federal Reserve. «Dopo te lo presenterò.»

Isabella aveva intravisto Sandy che flirtava con uno degli uscieri di Jake e le fece una risata quando l'altra la notò. Suo padre si accigliò. «Isabella, ma mi stai ascoltando?»

Lei lo guardò e annuì. «Clinton e Greenspan. Il Presidente Bush non è potuto venire, allora?» chiese lei ironicamente.

«Mr. Montgomery dice che manda i suoi saluti e vi fa gli auguri. Aveva una cena di stato, stasera.»

Isabella alzò le sopracciglia, ma le riabbassò allo sguardo tagliente di suo padre. Era in scena, stasera, la bella figlia di Charles Swan e neo sposa della prossima grande novità di Wall Street, il golden boy Jacob Montgomery.

«Tuo marito lo capisce», commentò a voce bassa mentre la faceva girare.

Isabella seguì il suo sguardo e vide Jake con il CEO di Goldman Sachs, che rideva e lo affascinava, come fossero vecchi amici. Era un networker naturale (networker = persona che coltiva contatti sociali in vista di possibili vantaggi professionali ndt), e dopo 30 secondi di conversazione con un potenziale rapporto di affari, sembravano già grandi amici.

«Starai bene con lui», le disse con sincerità. «Sarete coronati dal successo, insieme.»



*



Lei era di nuovo silenziosa.

Sempre così dannatamente silenziosa.

Edward aprì la porta e si spostò di lato, facendo entrare Isabella prima di lui. La casa era rimasta vuota fin da quando erano partiti per Glasgow la mattina presto, ed era fredda. Lui posò le chiavi e cominciò ad accendere le luci, per cominciare.

«Posso accendere il fuoco», disse. «Se vuoi.»

Lei sembrava riluttante a togliere il cappotto mentre lentamente lo sbottonava.

«Come vuoi», disse, anche se stava rabbrividendo.

Edward la studiò per un momento, cercando per la centesima volta di capirla. Lei lo notò e spostò lo sguardo, a disagio con quello scrutinio.

«Vuoi altro vino? Ho la stessa roba che stavi bevendo con Esme, è il suo preferito… sono sicuro che te l'abbia detto. Penso venga dall'Austria. Roba buona. Lo prendo dalle spedizioni dell'Isles Inn quando arrivano, Carlisle lo fa portare.»

Stava straparlando, e lo sapeva.

«No, è tutto a posto», rispose lei.

«Posso offrirti qualcos'altro?» chiese con un leggero sorriso. «Sei a casa di un distillatore di whisky, quindi di quello ne abbiamo, ma posso darti della birra, se preferisci.»

Lei scosse di nuovo la testa.

«Sto bene così, grazie.»

A questo, gli cadde un po' il cuore.

Non era certo suo intento farla ubriacare. Era un pensiero orribile in sé che qualcuno facesse una cosa simile a una ragazza in una terra sconosciuta e si sentì a disagio considerando che quello fosse lontanamente il suo intento.

Ma lei era più morbida, più leggera quando era stata un po' ubriaca la notte delle loro nozze. Aveva riso e scherzato e aveva le guance rosate. Diceva troppo spesso “molto bello” e c'era curiosità nei suoi occhi e un morbido sorriso sul viso quando ascoltava.

Lo aveva completamente affascinato.

Non doveva essere stato un gran lavoro per lei. Era stato senza sforzo.

Era lei.

Ma il giorno prima del matrimonio e i giorni successivi erano stati molto diversi.

Era distante e controllata. Era educata, mai rude o scostante. Ma di certo ritirata, come se ci fosse una parte di lei, una gran parte di lei, che nascondeva dietro un muro invisibile.

E lui sentiva che quella notte era stata la vera lei, anche se l'evidenza mostrava che era stata solo una donna ubriaca, niente di più.

«Vuoi vedere qualcosa alla tv? Posso mostrarti come usarla, se vuoi. Trasmettono anche degli show americani qua e là, possiamo trovarli.»

Lei si strinse le braccia addosso, ancora con il cappotto su.

«Apprezzo, ma sto bene così.»

Edward annuì con un'espressione neutra.

«È stata una giornata lunga», disse lei. «Penso che andrò a dormire.»

«Aye, certo.»

Calcolò mentalmente la quantità di indumenti puliti che gli erano rimasti di quelli che aveva preso al volo quando le aveva lasciato la sua stanza. Secondo i suoi conti, gli rimanevano due giorni di biancheria pulita prima di dover prendere altra roba.

«Hai bisogno di qualcosa?» chiese lui.

A questo, Bella gli fece un piccolo sorriso. Era il primo sorriso con un po' di emozione in tutta la giornata, e fu sorpreso di vedere della tristezza nei suoi occhi.

«Grazie, Edward. Sto bene.»

Lui stava nella terza stanza da letto della casa, la più piccola, quella che era stata di Alice quando era più giovane, prima che lei si trasferisse nella vecchia stanza sua e di Emmett quando era morto il loro papà. Lei aveva insistito che si trasferisse nella stanza del padre, dicendo che era più grande e il letto più comodo, e che lei si sarebbe sentita più al sicuro con lui nella stanza più vicina alla porta. Non sapeva bene se c'era stata un po' di manipolazione da parte sua per fargli lasciare la stanza di sopra.

Dopo qualche notte nella stanza, di sicuro capiva perché lei se ne fosse voluta andare. Era una stanza d'angolo, con vecchie finestre piene di spifferi su ogni parete. Era la più lontana dal riscaldamento centrale della casa ed era piena di correnti d'aria. Le finestre andavano cambiate con altre di miglior qualità da anni, ma non avevano avuto i soldi.

C'era un letto singolo, una piccola scrivania e un cassettone. Il pavimento di legno scricchiolava e lui rabbrividiva a quel rumore che sembrava così forte alle sue stesse orecchie. Se si stendeva , i suoi piedi pendevano dal fondo del letto. Ma era troppo stretto perché si raggomitolasse sul fianco. E Alice a quanto pareva non esagerava quando diceva che il materasso sembrava pieno di freddi pesci morti.

Non si sarebbe mai sognato di dare questa stanza alla sua nuova moglie.

Era fredda e solitaria, abbandonata, al contrario del resto della casa, che era accogliente.

Lui sapeva ancora così poco di lei, ma che fosse dannato se quello di cui aveva bisogno era freddo, solitudine e abbandono.

Così si sistemò nel letto senza lamentele da parte della sua coscienza. Aveva trovato delle coperte extra che Esme gli aveva mandato l'inverno scorso. Erano pesanti e gli tenevano caldo, e rendevano la stanza non così male, alla fine.

Mentre chiudeva gli occhi e i suoi pensieri cominciavano ad andare da tutte le parti, sentì il desiderio di familiarità della sua stanza. Ma mentre, assonnato, seguiva quella linea di pensieri, la sua nostalgia non era per il suo letto matrimoniale con un materasso migliore.

No, lui sentiva uno strano e sempre più familiare desiderio per quello che c'era nel suo letto.

Non lo capiva, ma sapeva che voleva conoscerla. Voleva capire meglio questa donna audace, bella e testarda con cui condivideva il tetto. Voleva conoscerla così da poterla fare felice… o almeno contenta.

Per ragioni che lui doveva ancora capire del tutto aveva messo in gioco i suoi soldi, il suo tempo e il suo corpo… tutto quanto.

Voleva darle tutto quello che poteva, molto poco rispetto a tutto quello che aveva fatto lei.

Quando lei si era ritirata per la notte, lui era rimasto in piedi. Si sentiva irrequieto, anche dopo la giornata che aveva avuto. Spostò dei mobili solo per spostarli e pulì aggressivamente la cucina, attento a non fare troppo rumore. Tirò fuori la sua frustrazione con lo sporco e la ruggine accumulati negli angoli più nascosti della cucina.

Se doveva essere onesto con se stesso, la sua frustrazione quasi sicuramente nasceva dalla confusione che sentiva per tutta quella situazione.

La confusione e il dolore.

Il dolore veniva dalla sensazione di rifiuto di Isabella, che lo aveva chiuso fuori.

Non era sicuro che fosse pentita di averlo preso nel suo letto, ma di sicuro cominciava a sembrare proprio così. Il suo orgoglio era ferito alla possibilità di essere stato un amante orribile, il che, se era onesto con se stesso, non era al di fuori del campo delle possibilità, dato che lui era nuovo del gioco.

Ma una parte più profonda di lui era ferita e confusa all'idea che non erano state solo le sue azioni, ma lui stesso a giustificare pentimento da parte sua.

Qual è il tipo di uomo che approfitta di una donna ubriaca e vulnerabile?

Era così che l'aveva vista la mattina dopo?

Fece una pausa.

Si sarebbe sbagliata se l'avesse vista in questo modo?

Edward non realizzò che stava strofinando una macchia che era scomparsa diversi minuti fa.

Quando aveva finalmente cominciato a sentirsi stanco, aveva finito di strofinare il lavello e poi aveva spento le luci e si era avviato verso il primo piano.

Quando passò davanti alla stanza da letto principale, vide una lama di luce che brillava sotto la porta.

Si accigliò realizzando che lei era ancora sveglia.

Era andata a letto due ore fa.

Con un sospiro, continuò verso la sua stanza.

Non gli venne in mente che lei potesse averlo sentito nel corridoio e fermarsi davanti alla sua stanza.



*



Alle prime ore del mattino, non c'era una sola luce accesa nella casa situata nel borgo sparpagliato di Fasach sulla penisola Durnish dell'isola di Skye.

La casa stava risoluta contro il freddo della notte di novembre.

E tutti e due gli occupanti giacevano svegli.

Lui con la sua crescente sensazione di rimpianto.

Lei con i suoi fantasmi.







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Capitolo 13
*** Frutti di mare ***


Questa storia è stata scritta in inglese da 2carm2carm2 e tradotta in italiano da beate. Questo è il link all’originale:

https://www.fanfiction.net/s/13053224/13/The-Whisky-Distiller-s-Wife





13 – Frutti di mare



Isabella non riuscì a restare fino all'ultimo ballo del suo matrimonio.

A metà del ballo il suo nuovo marito era sparito. Lei era troppo occupata a essere presentata a banchieri importanti, uomini d'affari e avvocati con suo padre per notare che non c'era più. A parte la prima danza, non aveva più ballato con lui e aveva invece fatto pubbliche relazioni con un bicchiere di vino bianco in mano per quasi due ore. Mentre continuava ad accettare congratulazioni, cominciò a chiedersi che fine avesse fatto.

«Vai a cercarlo», la istruì suo padre. «C'è un membro del Congresso che voglio che tu conosca, e deve conoscerlo anche Jacob.»

Con un sorriso educato e un cenno della testa, si voltò e si diresse verso la grande magione. Dando un'occhiata rapida per vedere che nessuno stesse guardando, buttò giù il resto del vino e mise il bicchiere vuoto sul vassoio di un cameriere che passava.

Dentro, Sandy la stava cercando. «Oh, eccoti! Jake ti vuole di sopra nella vostra stanza», le disse in fretta.

Isabella annuì, tirando su il vestito gigantesco e gonfio che indossava e salendo la grande scalinata. Le ci volle un po' ad arrivare di sopra per il semplice peso del vestito e l'altezza dei tacchi. Mrs. Montgomery lo aveva disegnato con Vera Wang ed era un bellissimo abito su misura, ma era anche straordinariamente pesante.

Il fratello più giovane di Jake, Tom, aprì la porta non appena bussò. «Oh, eccoti qua!»

«Che c'è che non va?» chiese lei.

«È Isabella? Isabella, baby? Isabella ho bisogno di te.»

Isabella scambiò uno sguardo con Tom prima di oltrepassarlo e dirigersi in bagno, dove Jake sedeva per terra, la testa appoggiata sulla tavoletta del water. Il suo compagno di college, Bollig, era vicino a lui e fumava un sigaro. Il fumo aveva formato una nebbia in bagno che fece arricciare il naso a Isabella.

«Ci penso io adesso», gli disse mentre lui sbuffava una tirata. «Vai fuori con Tom.»

«Ecco perché ti ama!» rise Bollig, saltando giù dal lavabo su cui era appollaiato. «Ci vediamo dopo, Jakey-boy!»

«Isabella», borbottò in un gemito. «Isabella, baby, ho bisogno di te.»

Con un sospiro, Isabella si accovacciò accanto al suo pallido marito. «Sono qui», disse.

«Dio, sei ancora così eccitante», alitò guardandola, prima di chiudere gli occhi. «Non vedo l'ora di tirarti fuori da quel vestito e-»

Il suo pensiero fu interrotto da un attacco di vomito che gli spingeva in gola. «Water!» gridò lei prendendogli la testa per assicurarsi che vomitasse nel water e non in giro in quel bellissimo bagno bianco.

Jake era così ubriaco che non riusciva neanche a tenere su la testa, si rese conto lei. Con un pesante sospiro calciò via i tacchi e cercò di manovrare per tenergli su la testa mentre il suo stomaco si svuotava. Così vicina, sentiva la puzza di alcool e fumo di sigaro che aveva addosso.

«Hai notato che Madison non si è fatto vedere?» farfugliò lui dopo aver finito di vomitare. «Quel bastardo del cazzo.»

Isabella non commentò il fatto che il Presidente di Harvard non si fosse visto.

Jake cominciò con i singulti.

«Cazzo, sto di merda», bofonchiò tra i singulti.

«Quanto hai bevuto?»

«Che cazzo ne so», borbottò cercando di appoggiare la testa sul water.

Isabella sospirò e si sistemò sul pavimento del bagno mentre lui alternava vomito e lamentele su vari aspetti del matrimonio che non erano andati come voleva lui. «La mia bistecca era fredda quando mi è arrivata», gemette a un certo punto.

Poco dopo, Isabella era abbastanza certa che non gli fosse rimasto nulla da vomitare e cercò di farlo alzare per portarlo sul loro gigantesco letto a baldacchino e farlo dormire un po'.

«No, no, no. Ferma!» si rifiutò lui. «Resto qui. Lasciami in pace.»

Con un altro sospiro, Isabella alla fine lo lasciò stare, acciambellato sul pavimento del bagno nel suo smoking costoso. Lei si lavò dalla faccia tutto il trucco pesante e poi tentò di uscire dal suo vestito.

Era attentamente allacciato e infiocchettato e lei non riusciva a raggiungere i lacci. Con lacrime di frustrazione agli occhi, non trovò il coraggio di lasciare la stanza, dove tutti li credevano immersi nella nuova felicità coniugale, per chiedere a qualcuno di aiutarla ad uscire da quel vestito enorme. Per quanto si agitasse e contorcesse, non riuscì a venir fuori da quella massa di seta bianca.

Alla fine si mise sul letto da sola nel suo enorme vestito e chiuse gli occhi, passando la sua notte di nozze in sprazzi di sonno interrotti.



*



Nei giorni seguenti, Isabella cadde in una sorta di routine.

I giorni cominciavano con lei si svegliava da un sonno agitato, per niente riposata, ma abbastanza ostinata da alzarsi comunque e affrontare la giornata. Gli scozzesi, in genere, erano un po' più lenti ad alzarsi di un banchiere di investimenti di Wall Street e preferivano cominciare la giornata ben dopo le nove.

Quando aveva fatto la doccia e si era vestita, Edward aveva già preparato la colazione per lei. Aveva preso l'abitudine di aspettarla con una tazza di caffè in mano che le passava non appena entrava in cucina. Lei lo prendeva con un cenno di gratitudine, e lui la ricambiava con un sorriso.

Dopo colazione, salivano in auto e andavano alla distilleria. Edward l'accompagnava in ufficio, che aveva preso l'aspetto di una specie di sala operativa, e la lasciava con l'offerta di assisterla e un cenno incerto della testa quando lei educatamente declinava.

Poi c'era il processo inverso all'ora di cena, quando tornavano a casa.

Anche se c'era questa sorta di routine, lei si sentiva ancora sbilanciata.

La loro notte di nozze le aveva smosso dentro emozioni e pensieri che per lei era stato facile seppellire e lasciare sepolti.

La finestra dell'ufficio dava sul lago su cui era costruita la distilleria. Era un lago così piccolo che, se non c'era molto vento, era immobile e rifletteva le highland che lo circondavano. Più di una volta si era trovata a fissarlo, persa nei pensieri.

Era clamorosamente e orribilmente bloccata.

Veniva spinta così duramente nel passato, dentro memorie che diventavano sempre più oscure, mentre ci pensava. La tenevano i ostaggio, non permettendole di fare altro che rivivere e riconsiderare così tanto di ciò che pensava fosse certo.

Dall'altra parte della medaglia, c'era un richiamo, un'attrazione – verso adesso, e verso il futuro. La notte del suo matrimonio, danzando e bevendo con amici e famiglie che non aveva mai conosciuto, era stata contenta – così contenta che le mancava il respiro, se ci pensava.

C'era un richiamo verso la vivace donna inglese e suo marito e suo figlio.

C'era un richiamo verso i chiassosi cugini che sentiva all'ingresso salutare gli ospiti.

C'era un richiamo verso l'uomo che la guardava con occhi gentili e cercava costantemente di assicurarsi che avesse tutto ciò che le serviva e che fosse ben nutrita.

C'era un richiamo verso la notte che avevano passato insieme, ubriachi o no.

Ma l'impulso a ritrarsi era altrettanto forte e molto più oscuro.

Era una battaglia costante nella sua mente, una battaglia di cui si sentiva spettatrice, piuttosto che un generale con qualche controllo.

La battaglia la travolgeva, consumava la sua energia e la lasciava paralizzata.

Di notte, da sola nel suo letto, il ritrarsi vinceva ogni volta. La sbatteva nel passato così forte da darle un colpo di frusta.

E le faceva sentire così tanta rabbia.

Lacrime calde e furiose le rigavano il viso più notti che no, perché si sentiva impotente a bloccare l'assalto della sua vita e perché non voleva pensare a tutto quello che era stata.

Lontano da tutto, tutti i soldi e tutta l'avidità, riusciva a vedere con chiarezza.

E mentre esaminava cosa era stata la sua vita, si arrabbiava.

Non era stata per niente la donna che disperatamente avrebbe voluto essere.

Né la donna che progettava di diventare. Né la donna che era stata cresciuta per essere.

Diventava difficile respirare quando indugiava troppo in questa linea di pensieri.

Cosa avrebbero detto i suoi nonni?

Quel pensiero riecheggiava nella battaglia giorno dopo giorno.

Ed era difficile respirare perché lei sapeva cosa avrebbero detto.

E lei non li aveva mai delusi, finché erano in vita.

Era dura realizzare che l'aveva fatto dopo che erano morti.

Nonostante tutto il caos che regolarmente la paralizzava, cercava di seppellirsi nel lavoro, e a volte anche con successo. Le ore passavano mentre lei era persa in tutti i documenti che le raccontavano la storia della distilleria scozzese e poteva arrivare la luna prima che lei se ne accorgesse.

Comunque, sentiva ancora di non aver fatto progressi.

Il venerdì, una settimana dopo il suo arrivo sull'isola di Skye, bussarono alla porta dell'ufficio verso l'ora di pranzo.

«Avanti», disse quando fu chiaro che era una richiesta di permesso e non un avvertimento prima che la porta venisse aperta.

Edward entrò con un cartone di take-away tra le mani.

«Ricordi il consiglio che mi hanno dato, che è buona pratica tenere la moglie ben nutrita?» disse un po' timidamente porgendo il contenitore.

Isabella si strofinò le tempie stancamente ma non resisté a offrirgli un sorriso.

Edward appoggiò il contenitore sulla scrivania davanti a lei. Curiosa, lei lo aprì. Uno spiegamento di frutti di mare la salutò: cozze, capesante, granchi, ostriche, gamberi e quello che sembrava salmone affumicato. Era così pieno che un gambero cadde sulla scrivania quando aprì il cartone.

«Non ero sicuro che ti piacessero i frutti di mare», disse strofinandosi dietro il collo. «Se preferisci qualcos'altro non ci sono problemi.»

«Grazie», disse lei. «Sembra meraviglioso.»

Edward annuì e si voltò per andarsene.

Un verso di protesta le uscì dalle labbra, facendolo voltare e guardarla confuso.

«È troppa roba per una persona sola!» esclamò lei.

Edward sbatté gli occhi sorpreso.

«Ah, be'», disse lui. «Sei così minuta che ho pensato ti avrebbe fatto comodo.»

Lei alzò un sopracciglio. «Chiunque ti abbia dato il consiglio di tenere tua moglie ben nutrita, non ti ha anche detto di tenere per te i commenti sul suo peso?»

Un lento sorriso si allargò sul viso di Edward.

«No, questa devono essersela scordata.»

Isabella guardò puntuta al cibo e poi alla sedia di fronte alla scrivania.

Nel giro di poco, Edward era seduto di fronte a lei e avevano mutuamente stabilito quale zona del cartone fosse per i gusci e le parti inedibili dei frutti di mare. Isabella sapeva che stava prendendo tutti i gamberetti ed evitava le ostriche, ma a Edward non sembrava dispiacere.

Fu un silenzio amichevole mentre mangiavano. Isabella si godeva il cibo e la tregua che le forniva quella distrazione e non notò neanche gli occhi di Edward che vagavano per la scrivania.

«Ooch!» grugnì quello strano verso scozzese. «Quella è la tua lista delle cose da fare?»

Isabella seguì il suo sguardo verso il foglio su cui aveva cominciato a scrivere ai margini e trasalì. Quando lo guardò, c'era ostinazione nello sguardo di lui.

«Di sicuro c'è qualcosa che posso fare per esserti utile, Bella.»

Isabella diede un morso alla capasanta, non rispose subito.

Anche se lo ammirava e di certo ammirava il whisky che produceva, era piuttosto guardinga sulla sua utilità in relazione a qualunque cosa che richiedesse un po' di acume finanziario.

Come leggendole la mente, lui replicò, «Qualcosa che non abbia a che fare con i flussi di cassa.»

Isabella diede un secondo morso alla capasanta e si pulì le dita sul tovagliolino. Guardò giù la sua lista e poi lui, vedendo l'espressione determinata dei suoi occhi.

Nei giorni scorsi, Edward era diventato più quieto con lei. Poteva essere presa da quello che stava facendo, ma era ancora una buona osservatrice. Lui continuava a sorridere e a tenerla ben nutrita, ma i suoi tentativi di attirarla nelle conversazioni erano diventati più rari. Temeva che fosse perché era stata una pessima conversatrice, ultimamente.

Vedendo quel suo sguardo determinato e concludendo che non aveva motivo di renderlo ancora più infelice, concesse.

«Devo smistare tutta quella roba», disse guardando i due scatoloni pieni fino all'orlo di documenti. «Non solo per anno, ma per tipo di dichiarazione, che siano spese per le forniture o estratti conto bancari o fatture di fornitura dei grossisti. Ci ho dato un'occhiata, e non c'è né capo né coda in tutta quella roba.»

«Be',» disse Edward, «immagino di aver fatto io tutto quel casino e spetta a me ripulire.»

Isabella non rispose. Lui prese una cozza e prima di infilarla in bocca la guardò serio e disse, «Ti aiuterò, di qualunque cosa tu abbia bisogno, Bella.»

Poche ore dopo, nel pomeriggio, Jasper apparve con due bicchieri di whisky. «Hey boss – e boss lady», aggiunse con un sorriso rivolgendosi a Isabella. «Pa’ ha detto che se stavate lavorando in ufficio vi dovevo portare questo.»

Edward ghignò e prese il bicchiere. Quando Jasper si voltò e vide che Isabella stava per rifiutare, la fermò. «Ha pensato che potevi non essere incline e mi ha detto di ricordarti delle magiche proprietà del whisky di… far scorrere la vena creativa.»

Isabella alzò le sopracciglia e guardò lui e il suo sorriso premuroso. Alzando gli occhi al cielo, prese il bicchiere. Suo nonno aveva detto un'esagerazione simile sull'utilità del whisky, e questo, pensandoci, la fece sorridere.

Vuotato il bicchiere e mettendosi al lavoro sulle centinaia di documenti random di fronte a lui, Edward cominciò a canticchiare. Isabella lo guardò sorpresa, ma lui non se ne accorse e continuò a canticchiare mentre lavorava.

Dopo qualche minuto, Isabella fece un sorriso ironico. «Puoi mettere della musica, se vuoi.»

Edward alzò lo sguardo, stupito.

«Och, scusa. Non mi ero reso conto che lo stavo facendo.»

Isabella fece un cenno verso la radio in un angolo della stanza. «Non mi dispiace.»

«Ah, va bene allora, se ti va.»

La radio BBC Gaelic riempì la stanza mentre lavoravano, suonando un mix di musica vecchia e nuova, qualcosa che Isabella riconobbe e qualcosa no. A dire la verità, non prestava molta attenzione alla musica, completamente assorbita dai suoi pensieri.

Come d'abitudine, lanciava occasionalmente uno sguardo al lago, che le ricordava sempre casa sua, le estati con i nonni vicino al lago.

Era così presa dai suoi pensieri che non si rese conto per un po' che nell'ufficio c'era un suono in più.

Edward stava cantando.

Tamburellava le dita cantando a bassa voce, con un bell'accento scozzese, insieme ai Proclaimers mentre guardava il documento che aveva di fronte.

«Camminerei 500 miglia e poi altre 500, solo per essere l'uomo che...»

La sua voce si spense all'improvviso quando si accorse che lei lo stava guardando.

«Oh», disse. «Scusa.»

Isabella fece un gran sorriso. «Non smettere per me.»

Lui non ricominciò subito a cantare, aveva invece un sorriso timido in faccia. «Tutti quelli che nascono in Scozia conoscono quella canzone.»

«Don't Stop Believing in America è la stessa cosa da noi.»

«Aye?» chiese lui.

«Aye», disse lei con un sorriso giocoso in faccia.

Tornò il coro e Edward si unì ai cantanti scozzesi con un sorriso. «Solo per essere l'uomo che ha camminato per mille miglia...»

Isabella non poté evitare di mettersi a ridere mentre lui continuava a colorire col suo accento scozzese la canzone. Edward la guardò piacevolmente sorpreso quando sentì quella risata, poi rapidamente tornò con gli occhi al suo documento, cantando con un po' più di entusiasmo.

Dopo i Proclaimers arrivarono altre canzoni più vecchie e tradizionali. Con sua sorpresa, Edward le canticchiava quasi tutte, riconoscendo chiaramente la melodia. Cantò tutte le parole di I Belong to Glasgow (Io appartengo a Glasgow ndt) sempre ondeggiando la testa avanti e indietro.

Isabella cercò di non guardare, ma il modo in cui cantava di pancia con quell'accento scozzese era sorprendentemente affascinante, per non dire anche divertente.

Se gli dispiaceva la sua attenzione, non lo diede a vedere.

«But when I get a couple of drinks on a Saturday, Glasgow belong to meeee.» (ma dopo un paio di bicchieri al sabato, Glasgow appartiene a me ndt)

«Ma’ amava questa canzone», spiegò quando la canzone svanì. «Tutta questa stazione radio, veramente. Era sempre accesa in casa, mi faceva diventare matto.»

«Lei era di Glasgow, vero?»

Edward annuì. «Aye. Non solo era di lì, ma cantava sempre questa canzone a mio padre, dicendo che lei apparteneva a Glasgow, che le piacesse o no.»

«E lui ha lasciato Skye per lei?»

Edward sorrise con affetto.

«Aye», rispose. «Penso che niente al di fuori di Ma’ avrebbe potuto smuoverlo da Skye. Ma lui avrebbe fatto qualunque cosa per lei.» Un sorriso malinconico apparve sul suo volto mentre pensava ai genitori.

Anche Isabella sorrise.

«Anche Ma’ lo sapeva», aggiunse. «Disse a Collette di non accontentarsi mai di niente di meno, in un ragazzo.»

Il sorriso non svanì subito dal viso di Isabella, ma sentì l'impulso di accigliarsi.

L'uomo di fronte a lei era cresciuto in una famiglia con genitori che si adoravano. Probabilmente aveva progetti e sogni per la famiglia che avrebbe avuto, a giudicare da come parlava di loro. Ed eccola, di nuovo a sentirsi orribilmente indegna, inadatta a quei sogni e non ricordando più neanche i suoi, di sogni.

Tanto tempo fa erano stati simili a quelli di lui, ne era certa.

Voleva un amore come quello dei suoi nonni.

Voleva una casa piena di risate e calore.

Ma da qualche parte, lungo la strada, aveva perso tutto.



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Capitolo 14
*** Lutto ***


Questa storia è stata scritta in inglese da 2carm2carm2 e tradotta in italiano da beate. Questo è il link all’originale:

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14 – Lutto



«Di nuovo diamo il benvenuto a tutti voi, e grazie ancora per aver scelto Delta Airlines. Abbiamo finito di imbarcare tutti quelli che avevano bisogno di assistenza e ora vorremmo estendere l'invito a tutti gli altri nella nostra Prima Classe Zona A a cominciare a imbarcarsi.»

Isabella guardò malinconica il gate vicino dove molti uomini di affari si erano alzati e si dirigevano verso il desk per scansionare i biglietti. Loro avevano ancora 45 minuti da aspettare prima che il loro volo per Tahiti cominciasse a imbarcare la prima classe.

Accanto a lei, Jake stringeva in mano un bicchiere di caffè nero. Aveva il braccio pigramente appoggiato sulla sedia di lei, una caviglia sul ginocchio, gli occhiali da sole tirati sulla testa. Anche se stava bevendo caffè, non c'era alcun segno di sfinimento sulla sua faccia, niente occhi stanchi o pallore.

Isabella, invece, si sentiva esausta. Dopo il loro matrimonio e tutto il tempo che aveva passato a prendersi cura di Jake prima di cercare di dormire bloccata nel suo vestito da sposa, alla fine non si era riposata affatto. I suoi capelli erano una coda disordinata in cima alla testa e la sua faccia era stanca e cascante. Non si era truccata perché aveva gli occhi secchi e pruriginosi per tutte le lacrime della sera precedente, e continuava a strofinarseli. Jake aveva alzato un sopracciglio quando l'aveva vista, ma saggiamente era stato zitto.

«Siamo vicini a una settimana sulla spiaggia, Mrs. Montgomery», disse Jake stringendole la spalla e scuotendola leggermente con un gran sorriso.

Nonostante il suo umore acido, fece un sorriso riluttante alle sue fossette.

Vedendo che lei non aveva una reazione entusiastica, il sorriso di lui cadde un po'. «Tutto a posto, tesoro?»

Isabella inarcò un sopracciglio, il sorriso scomparve.

Glielo stava chiedendo sul serio?

«Immagino si possa dire che non sono elettrizzata dal fatto che hai bevuto fino a svenire la sera in cui festeggiavamo la nostra beatitudine coniugale.»

Jake rise, per nulla disturbato dal suo tono.

«È questo che ti scoccia? Mi dispiace tesoro, ma io di solito non vomito.»

Di nuovo, Isabella alzò il sopracciglio.

«Oh, andiamo», disse di buon umore. «Non lo facevo dai tempi del college.»

«Sono sicura che non è vero.»

Jake sorrise ed emendò. «Be', okay, immagino di non aver vomitato da quando tu eri al college, comunque.»

Di nuovo, Isabella alzò un sopracciglio dubbiosa.

«Scusami se ero impegnato, ma non è che fosse una prima notte di nozze, non veramente.»

«Cosa?»

«Oh, lo sai cosa intendo», sbuffò lui. «Sono anni che scopiamo.»

Isabella strinse le labbra disgustata da quelle parole volgari.

«Dai, Mrs. Montgomery», disse stringendola con il braccio, ignorando la sua resistenza. «Hai intenzione di passare la nostra sola e unica luna di miele arrabbiata con me per questa sciocchezza? Anche se ti prometto di rimediare?»



*



Più tardi, quella sera, dopo un po' di aiuto da parte di Jasper a convincere la sua sposa, i due si diressero all'Isles Inn.

Alice era al bar e li salutò quando entrarono.

«Oh! Grazie al cielo siete qui!» esclamò. I suoi capelli rossi erano stretti in un nodo sopra la testa con delle ciocche che uscivano incorniciando il suo viso arrossato.

«Fiona è malata e Esme sta ancora tornando da Inverness. Bella, tu sai cucinare?» Quando Isabella non rispose immediatamente, aggiunse impaziente. «Niente? Non sai cucinare niente?»

«Qualcosa», rispose lei vaga.

«Posso aiutarti io, Alice,cosa ti serve?» si intromise Edward.

«Mi servi al bar», disse e poi fece un cenno a Isabella. «E tu mi servi in cucina. Qualcosa farai.»

«Alice, puoi farlo da sola, tu-»

«Vengo», disse Isabella interrompendolo e spostandosi dietro il bar per seguire Alice in cucina.

Edward ringhiò sotto voce, ma prese posto dietro il bar. Aveva intenzione di cenare con lei dopo il bel pomeriggio che avevano condiviso alla Sleat. Invece era stato in qualche modo destinato a una sera di assistenza clienti e nessuna cena nell'immediato futuro.

Sentiva occasionalmente le direttive di sua sorella dalla cucina. Lei era un tipetto prepotente, lo era sempre stata. Sua madre chiamava la sua una personalità “assertiva”, per metterla leggera. Anche se capiva che era sopraffatta dal gestire quel posto da sola il venerdì sera, non apprezzava il tono che usava con Isabella e stava quasi per entrare in cucina per dirgliene quattro quando sentì la replica secca di Isabella.

«Quando ho detto che sapevo cucinare qualcosa, speravo che capissi che significava che ero abbastanza competente da fare a pezzi un pollo senza tagliarmi un dito o rovinare la carne.»

Edward sorrise quando non sentì una risposta da parte di sua sorella.

C'erano un bel numero di clienti nel pub, la maggior parte locali, ma c'erano anche un certo numero di turisti che sfidava la bassa stagione e cercava rifugio dal freddo all'Inn. Versò le loro pinte e i loro whisky, prese ordini per Alice e chiacchierò con alcuni dei locali. Tirò anche un osso a Blaze, il cane da soccorso anti-incendio che era un cliente regolare come gli altri.

Alice sbucò fuori portando del cibo e afferrando le ordinazioni che aveva preso lui, sempre più ciocche davanti al viso ogni volta che usciva.

«Non state lavorando troppo, spero?» le chiese una volta mentre gli passava accanto.

Alice alzò gli occhi al cielo. «Tutto il contrario. Tua moglie è testarda come un mulo. E anche prepotente.»

Edward scosse la testa al modo in cui sua sorella lo disse come un complimento.

Un nuovo cliente si era seduto al bar, così lui andò a mettergli un sottobicchiere davanti.

«La birra chiara va bene», disse facendo un cenno verso la spina.

Edward annuì e si accinse a riempire la pinta di birra locale. «Nient'altro, per ora?»

L'uomo scosse la testa mentre Edward gli posava davanti il suo drink.

«Ho sentito che c'è stato un matrimonio, qui, lo scorso week end», commentò mentre prendeva la birra.

Edward, abituato a come andavano le cose nelle piccole comunità, di solito sarebbe stato imperturbabile, ma dato la natura sensibile della faccenda, si accigliò a quel commento. «Aye, sabato.»

«Isles ospita parecchi matrimoni? Non mi sembra di ricordarne molti.»

Prima che Edward potesse replicare, Alice uscì dalla cucina con una zuppa su un vassoio. «Edward, puoi portare questo questo a Mr. Brown? Tavolo 4?»

«Aye», annuì e fece come richiesto da Alice.

Pochi minuti dopo tornò allo sconosciuto che si era seduto al bar; l'incontro con lui fu inevitabile.

«Tu sei Edward MacDonald?» chiese.

«Aye.»

L'uomo sorrise e alzò leggermente il suo bicchiere. «Ah, erano le tue nozze, allora. Le congratulazioni a te a tua moglie sono d'obbligo, no?»

«Grazie», disse Edward con un sorriso tirato.

«È stato l'argomento delle chiacchiere dell'isola per tutto il fine settimana», disse lui ridacchiando.

Edward non rispose subito, ma l'uomo sembrava aspettare. «Aye, certo, la gente parla.»

«Be', puoi biasimarli?» disse lui bonario. «Il golden boy di Skye annuncia una fuga d'amore con una donna americana che nessuno sull'isola ha mai visto prima. Fatto apposta per il gossip.»

«Siamo nelle highlands», replicò Edward, intenzionalmente mimando il tono dell'altro. «Tutto è fatto per il gossip.»

L'altro ridacchiò. «Non hai torto.»

Edward osservò l'area del bar, sperando in un altro cliente con un ordine.

«Perché tutta quella fretta?» disse sopo un altro sorso di birra.

«Scusa?»

«Il tuo matrimonio. Da dove veniva tutta quella fretta?»

Edward aveva considerato che sarebbe incappato in questa domanda dopo la sera del suo matrimonio, quando aveva potuto sfuggirla con una risata, una stretta di mano o un abbraccio.

«Era in progetto da un po'», mentì lui. «La decisione di invitare mezza isola è stata un'idea dell'ultimo minuto. Volevamo una piccola cerimonia finché mia zia non ci ha convinto a fare dei festeggiamenti appropriati.»

«Ah», rise. «Tua zia è una signora formidabile.»

«È vero», concordò Edward, voltandosi per prendere uno straccio e cominciando a pulire la spina, nello sforzo di indicare educatamente che la conversazione era finita.

«Dove hai incontrato tua moglie, allora?» chiese lui colloquiale.

Edward sentì le spalle irrigidirsi per il fastidio, ma continuò a pulire.

«Quali sono le teorie preferite sull'isola?» chiese.

L'uomo rise. «Oh,di tutto. Da una turista che si era persa ai folletti. Non è emerso alcun preferito, finora.»

«È stato un viaggio a Londra col mio Pa’, l'anno scorso,” mentì lui. Per fortuna lui e suo padre erano dovuti davvero andare a Londra per incontrare uno dei loro maggiori grossisti. Non era stata una conversazione piacevole, dato che il venditore aveva voluto rinegoziare i tassi, col rallentamento dell'economia.

«Lei cosa faceva a Londra?» continuò l'altro. «Di dov'è degli States?»

Edward non era solo infastidito; era allerta da quando l'uomo aveva cominciato a fare domande. Lo fissò. L'uomo restituì lo sguardo.

«Edward, tesoro?»

I due uomini videro Isabella che usciva dalla cucina. Edward quasi rise vedendola con i capelli annodati in testa e le maniche arrotolate.

«Ah, salve mo leannan», la salutò lui con un sorriso, realizzando immediatamente che stava recitando la sua parte. Lei lo guardò e riconobbe lo sguardo di intesa che le dava.

«Alice ha detto che dovevo venire e presentarmi allo sceriffo di Skye», disse con un sorriso ammaliante all'uomo con cui Edward stava parlando.

Cazzo.

Ecco perché gli era familiare.

«È un piacere incontrarla, Sceriffo Miller», disse lei sicura porgendogli la mano.

«Piacere mio, Mrs. MacDonald», disse lui, sottolineando il nome in uno strano modo.

«Lo Sceriffo stava giusto chiedendo da dove vieni», le disse Edward con leggerezza.

Isabella non perse un colpo. «Una piccola città della Pennsylvania», disse sorridendo.

«E ha deciso di sistemarsi a Skye», disse lui, una domanda nella voce.

Isabella sorrise di nuovo. «Non credo che qualcuno possa scegliere di vivere altrove, dopo aver visto Skye. Per non parlare del whisky, che qui è decisamente buono», disse giocosa dando un colpetto col fianco a Edward.

Edward ridacchiò e le fece un sorriso che, realizzò, era completamente sincero.

Lo Sceriffo Miller, impassibile, osservò quella dimostrazione da dietro il bordo del suo bicchiere mentre prendeva un altro sorso.

«Piacere di averla conosciuta, Sceriffo. Meglio che torni dentro da tua sorella», disse a Edward dopo un cenno verso lo Sceriffo. «Gestisce tutto con pugno di ferro, là», aggiunse con aria cospiratoria.

Edward alzò il sopracciglio. «Lei ha detto la stessa cosa di te.»

La sola risposta di Isabella fu un occhiolino mentre tornava in cucina.

«Ti sei trovato una bella ragazza», commentò lui dopo che se ne fu andata, guardando ancora Edward in uno strano modo.

«Aye», concordò lui, ripassando la loro interazione nella sua mente. «Aye, è così.»

Lo Sceriffo finì la sua birra e uscì, ma non senza fare un cenno finale a Edward, un cenno che sembrava indicare che questo era solo l'inizio di una serie di conversazioni, conversazioni basate su una notevole quantità di sospetti.

L'ultima cosa di cui avevano bisogno lui e la sua finta moglie erano sospetti.

Alice guardò curiosa la strana donna con lei in cucina.

Sua “cognata” suppose, facendo una smorfia tra sé mentre preparava un'insalata. Era ancora una cosa a cui non si era abituata, non che ci avesse provato granché, francamente.

Forse strana non era la parola giusta, concesse. Doveva ammettere che la donna era acuta, e si portava in un modo rispettabile che indicava che era in qualche modo realizzata.

E Alice non poteva certo dire che fosse meschina.

Comunque, era una completa estranea con un inspiegabile attaccamento a Sleat che era saltata fuori dal nulla e aveva sposato suo fratello, con a malapena un paio di parole nel mezzo.

Quindi forse strana era davvero l'unica parola giusta.

Tuttavia erano sposati.

Ed era nell'interesse della sua famiglia che tutti sull'isola lo credessero. Alice aveva considerato tutto questo fin dalle nozze ed era ancora confusa su quale fosse la sua parte in quel gran casino.

Conversazione, fu la sua traballante conclusione. Conversazione e potenzialmente compagnia. Al bisogno e su base temporanea.

«Allora», cominciò, odiando l'imbarazzo nella sua voce. «Come era il whisky?»

Isabella la guardò da sopra il mix che stava mescolando sui fornelli. Il suo viso non tradiva niente e per un momento, Alice non fu neanche sicura di aver parlato.

«Temo che dovrai essere più specifica», disse asciutta.

Alice ridacchiò suo malgrado.

«Il whisky di Pa’», elaborò.

La settimana scorsa, Alice si era fermata nella sua… be', in quella che sembrava sempre più casa di Edward, per prendere alcune delle sue cose. Esme aveva suggerito che magari era carino se lei stava all'Isles Inn mentre i due “si conoscevano meglio”.

Aveva visto la bottiglia appoggiata sul tavolo e aveva riconosciuto la calligrafia di suo padre e la data. Sapeva che lei e suo fratello, Finlay, avevano da parte bottiglie simili nelle profondità di Sleat che avrebbero ricevuto il giorno del matrimonio.

A questo la faccia di Isabella cambiò. Corrugò la fronte chiedendo, «Cosa?»

«Sai», disse Alice, «il whisky della notte di nozze.»

La faccia di Isabella rimase perplessa.

Alice considerò di fare retro marcia o semplicemente lasciar cadere l'argomento. Perché mai Edward aveva recuperato quella bottiglia se non aveva intenzione di dirle cosa significava per lui? E lei, perché aveva pensato che questa conversazione fosse una buona idea, tanto per cominciare?

«Il giorno in cui i miei genitori si sono sposati», decise di spiegare contro ogni buon giudizio, «Pa’ finì di distillare un lotto di whisky e lo lasciò in un barile per ognuno dei suoi figli, per condividerne una bottiglia con i loro partner il giorno delle nozze.»

Isabella aveva ancora la fronte corrugata. Sembrava aver perso un po' di rosa sulle guance.

Alice la guardò incuriosita.

Di tutti e tre i figli MacDonald, quel dono del loro padre di certo per Edward significava più di tutti.

«Non ti ha detto niente?»

Isabella deglutì.

«No. No, non me l'ha detto.»

Esme si presentò un'ora dopo che lo sceriffo se n'era andato e la folla della cena cominciava a scemare. Edward sorrise quando vide sua zia, ma si accorse subito che era agitata, per qualche ragione.

«Ciao, zietta», disse baciandole la guancia quando lei entrò dietro il bar.

«Ciao tesoro», sorrise lei, lo baciò e si tolse la giacca. «Come ti hanno incastrato al bar di venerdì sera?»

Lui spiegò che Fiona aveva l'influenza e lei annuì, distratta.

«Che succede?» chiese lui.

Riconoscendo la sua preoccupazione, gli toccò la guancia con tenerezza. «Niente di cui tu debba preoccuparti, tesoro.»

Edward si accigliò mentre lei spariva in cucina a controllare Alice e Isabella. Non aveva sentito grandi rumori provenire dalla cucina nell'ultima ora. Dovevano essere arrivate a una sorta di tregua.

Esme tornò al bar mentre Edward dava il resto a un cliente per il suo giro di drink.

«È stato gentile da parte vostra aiutare», lo ringraziò.

«Va tutto bene», assicurò lui. «Sei sicura che non ci sono problemi?»

Esme sospirò. «Un semplice screzio con uno dei miei fornitori.»

«Ah», disse lui consapevole. «Ti sta alzando i prezzi?»

«Come tutti», sbuffò lei. «Ma questo è un mio problema, tu hai già i tuoi mal di testa con i fornitori.»

«Aye», ammise.

Esme prese un bicchiere d'acqua dal dispenser e prese un sorso, guardandolo da sopra l'orlo del bicchiere con i suoi acuti occhi verdi.

«Come va con miss Bella? Andate d'accordo?»

Edward diede un'occhiata verso la cucina prima di rispondere. «Abbastanza.»

Esme aspettò con le sopracciglia alzate.

Edward ripensò al loro pomeriggio a Sleat con la radio e le sue risate. Era la prima volta che la sentiva ridere dal giorno del matrimonio.

Magari non era proprio la felicità coniugale, ma era qualcosa.

«Stiamo cercando di capire», disse con fermezza.

Esme annuì, contemplativa.

«So che non sono affari miei, ma non posso evitare di essere curiosa della sua vita negli States. Ti ha detto niente?»

La smorfia sulla faccia di Edward fu la risposta.

«Immaginavo», disse lei.

Rimasero in silenzio per un momento e poi Esme chiese, «Non ti ricorda tuo padre?»

Edward alzò le sopracciglia, preso alla sprovvista.

«Cosa?»

«Bella», ripeté Esme. «Non ti ricorda tuo padre?»

«A te sì?» chiese confuso. Quel paragone non gli era mai passato per la testa, anche se c'erano delle caratteristiche che ammirava in entrambi.

Lei annuì con aria pensierosa.

«Sì. Quando voi quattro siete tornati a Skye.»

«Dopo che era morta Ma’?» chiese lui lentamente.

Esme annuì. «Non posso spiegarti bene questa somiglianza. Il massimo che posso dire è che vostro padre era ancora forte e testardo quando per voi figli e per Sleat era necessario che lo fosse. Ma era… distante, anche se forse c'è una parola migliore… ritirato, isolato, forse. Probabilmente, è naturale.”

«Naturalmente», assentì lui distratto.

«Mi piace quella donna», ammise Esme. «È intelligente e dolce. Ma tu devi farla parlare, sai?»

L'espressione di Edward indicava chiaramente che lo sapeva.

«Certo che lo sai», disse lei, castigandosi prima di continuare la sua contemplativa linea di pensieri. «C'è come una pesantezza in lei. E se riuscirai a farglielo dimenticare anche solo un po', avrai una bellissima donna.»

Privatamente, Edward era arrivato alla stessa conclusione, ma replicò solo con un “mmm”, i suoi pensieri erano altrove, bloccato al precedente commento di sua zia.

Suo padre era in lutto per la perdita di sua madre. La sua compagna. La metà del suo cuore.

Per chi era in lutto sua moglie?









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Capitolo 15
*** Weekends ***


Questa storia è stata scritta in inglese da 2carm2carm2 e tradotta in italiano da beate. Questo è il link all’originale:

https://www.fanfiction.net/s/13053224/15/The-Whisky-Distiller-s-Wife





15 – Weekends



«Mr. Montgomery, Mrs. Montgomery è qui per vederla, la faccio entrare?»

L'assistente di Jake, che aveva solo pochi anni più di lei, le scoccò un sorriso educato mentre chiudeva il telefono. «Può andare, Mrs. Montgomery.»

«Isabella va bene», le disse. «Oppure Miss Swan.»

L'assistente sorrise di nuovo educatamente. «Mr. Montgomery insiste di chiamarla Mrs. Montgomery.»

Isabella alzò un sopracciglio, ma mormorò un grazie prima di dirigersi nel pretenzioso ufficio di Jake. Era al 34° piano, ed era regolarmente un viaggio di dieci minuti di ascensore, con gli stop. Era al telefono, i talloni incrociati sulla scrivania e la giacca del completo che pendeva dalla poltrona dietro di lui, bretelle e cravatta allentata in bella vista, molto simile al ragazzo copertina di Wall Street che in effetti era.

Sorrise quando la vide e alzò un dito per dire che avrebbe finito in un attimo. Isabella sedette sulla poltrona di fronte a lui, sentendo la stanchezza che le saliva mentre si sedeva. Era giovedì e lei aveva già lavorato 60 ore quella settimana. La maggior parte dei giorni, il tempo volava quando stava in ufficio. Ma non appena usciva dall'ufficio, perdeva tutta la sua energia.

«Hey, piccola», disse lui dopo aver chiuso la telefonata. «Come va?»

«Bene», rispose lei. «E tu?»

«Fantasticamente», disse sorridendo. «Così affamato che potrei anche darti un morso, però. Mi piacciono i tuoi capelli così.»

Isabella alzò gli occhi al cielo ma sorrise.

«Hey, prima che mi dimentico, era mio fratello al telefono.»

«Come sta Tom?» chiese Isabella. Thomas era il più giovane dei due, stava finendo l'ultimo anno a Harvard.

Jake sorrise, i denti bianchi e scintillanti e le sue fossette lampeggiarono. «Sta bene. Ha prenotato per Vegas questo weekend prima di andare troppo in là con il trimestre.»

«Vegas?» chiese lei accigliandosi. «Tipo partire domani?»

Jake rise. «Sì, un po' improvvisato, ma sai com'è lui. E non lo vedo da mesi.»

«Pensavo saremmo andati a Broadway questo weekend. Abbiamo i biglietti da mesi.»

Jake sbatté gli occhi.

«Oh, merda, è vero. Perché non chiami Sandy? Fate una cosa tra ragazze?»

«Come ho fatto a quel galà il mese scorso? O nel weekend agli Hamptons in giugno?» chiese lei con le sopracciglia alzate. «Quando a Bollig serviva qualcuno con cui uscire?»

«Hey – lo sai che sta passando un brutto periodo da quando sua moglie lo ha mollato», disse difendendo uno dei suoi migliori amici.

«Già, perché le metteva le corna in continuazione», replicò secca Isabella.

«Guarda, piccola,” disse lui imperterrito. «Rimedierò, con te, okay? Potremo fare tutto quello che vuoi il prossimo weekend.»

«Io sono a Los Angeles per lavoro il prossimo weekend», gli ricordò. Per la terza volta.

Jake le scoccò il suo sorriso con le fossette. «Quello dopo, allora.»

«Se lo dici tu», borbottò Isabella, irritata, ma chiaramente intenzionata a lasciar perdere.

«Ti ho mai mentito, piccola?»



*



Come si scoprì, se gestisci un piccolo business che dipende dai turisti, non sempre ci si può prendere un weekend libero. Isabella e Edward lavorarono alla distilleria il sabato, col posto tutto per loro fino al tour di assaggi del pomeriggio. Dato che era bassa stagione, avevano un solo tour prenotato.

Per Isabella non era una cosa strana lavorare nei weekend e non ne pensava niente di particolare, ma Edward sembrava scusarsi.

«Puoi stare qui, se vuoi, solo perché devo stare là io non vuol dire che devi starci anche tu», aveva detto allacciandosi gli stivali sul portone di ingresso.

«Mi divertirò là», disse lei.

Edward si accigliò.

«Se vai tu, vado anch'io», aggiunse lei.

Edward le diede un'occhiata poi si spostò di lato per farla passare. La seguì fuori chiudendosi la giacca contro il freddo sempre crescente. Rimase accigliato per tutto il tragitto fino alla distilleria. Non sapeva quasi niente di lei, ma avrebbe scommesso che era abituata a lavori lunedì-venerdì con orari prevedibili.

Lui era cresciuto in una famiglia dove i weekend erano sacri. I suoi genitori non avevano mai lavorato il sabato e la domenica e loro cinque passavano un sacco di tempo insieme in quei giorni. Quando sua madre era morta e si erano trasferiti a Skye, suo padre aveva preso un turno a rotazione e lavorava un sabato al mese.

Isabella lo guardò interrogativa quando scesero dall'auto.

Edward sospirò.

«Mi sento male a farti lavorare nel weekend», ammise.

«Non mi dispiace», replicò lei onestamente. «Tu perché lavori se ti dà fastidio?»

Era raro che si impegnasse in una conversazione con lui e come minimo, pensò che le doveva onestà.

«Non lo facevo, di solito», disse tirando fuori la chiave e dirigendosi all'entrata dello staff.

Isabella oltrepassò l'ingresso e aspettò che continuasse.

«Ma da quando l'economia è crollata, c'è molta meno gente che viene per i tour e a comprare whisky. Non posso permettermi di pagare a Jasper o Carlisle o Robert… o a Ian o James, le ore che lavoravano prima… è meglio se lavorano sulle barche con i pescatori, al porto, quando possono.»

Isabella annuì accigliata.

«Se il business è il tuo, tu vieni pagato per ultimo, capisci?»

Isabella fece un mezzo sorriso malinconico e annuì di nuovo.

Attraversarono il corridoio e arrivarono all'ufficio. Edward aprì la porta per lei. «Alzo il riscaldamento», disse notando il freddo nella stanza.

Si ritrasse internamente considerando quanto sarebbe costato scaldare l'edificio ora che stava diventando più freddo.

Isabella lo ricompensò con un sorriso di gratitudine mentre si dirigeva alla scrivania dove aveva lasciato tutte le sue cose.

«E dovremo trovarti degli indumenti più caldi ora che arriva l'inverno.»

Isabella aprì bocca per protestare, ma vedendo le sopracciglia alzate di Edward, la richiuse.

«Avrai bisogno di qualcosa di più di quel tuo maglione grigio.» La vecchia felpa con la scritta sbiadita University of Pennsylvania” era l'elemento basilare del suo guardaroba, da quello che lui aveva visto.

«È una felpa che va ancora benissimo», disse lei sulla difensiva.

«A meno che tu non voglia indossarla tutto l'inverno, potrebbe essere una buona idea prenderti qualcosa con cui… cambiarti a rotazione, almeno.»

«Forse hai ragione», concesse lei, riconoscendo che col bucato sarebbe stata una sfida.

«Fammi un fischio se ti serve qualcosa», disse lui ridacchiando.

«Grazie», disse lei sedendosi con la giacca ancora su. Lo guardò con un breve sorriso prima di dedicarsi al blocco dove c'erano tutti i suoi appunti.

Edward lasciò la stanza e andò con la sua routine quotidiana, preparando la distilleria per i tour. Accese tutte le luci, alzò il riscaldamento e selezionò i soliti whisky che usavano per i tour di assaggio, lasciandoli nella stanza dove si concludeva il giro. Mentre faceva tutte quelle cose, la sua mente era fissa su sua moglie, come sembrava essere ormai in ogni momento libero che aveva avuto nell'ultima settimana.

Erano sposati da una settimana ormai, e non sapeva ancora come coesistere con lei.

Il loro matrimonio e la loro notte di nozze non erano che bei ricordi. Ballare e bere con lei, ondeggiare con lei mentre famiglia e amici li circondavano a Loch Lomond era esattamente come lui aveva immaginato le sue nozze.

Era stato tutto così reale.

La felicità di lei era sembrata sincera, quella sera, incluso quando avevano lasciato Isles ed erano andati a casa, condividendo qualche bevuta.

Anche quando avevano fatto l'amore, era sembrata sincera nella sua passione.

Quando si era svegliata il giorno dopo, e aveva parlato solo se interpellata ed era rimasta silenziosa e appartata, lui ne era rimasto deluso.

Non aveva mai approfittato di una donna in tutta la sua vita.

Ma quella mattina, quando sua moglie aveva parlato a malapena dopo essere stata a letto con lui da ubriaca, si era sentito maledettamente sicuro di averlo fatto.

Mentre i giorni passavano e lei rimaneva quieta e cupa con lui, il suo senso di paura crebbe. Per la prima volta nella sua vita non aveva idea di come andare avanti. Non sapeva se lei voleva spazio per lavorare a Sleat e nient'altro o se aveva bisogno della sua amicizia e del suo sostegno.

A dire la verità, se voleva spazio, lui non era così sicuro di poterglielo dare.

Quella parte di lei, quella parte luminosa e scintillante di lei che aveva visto al loro matrimonio era lì. Non sapeva perché la tenesse così rinchiusa dentro di sé.

Ma lui era testardamente sicuro che fosse ancora lì.

Così, aveva fatto l'unica cosa a cui era riuscito a pensare… quello che aveva visto fare a suo padre con sua madre durante il loro matrimonio e nel periodo in cui lei era malata. Era il minimo e il massimo che potesse fare.

Assicurarsi di prendersi cura di lei e che avesse tutto ciò di cui aveva bisogno.



*



La domenica fu più indaffarata del sabato.

Sia Jasper che Carlisle li raggiunsero a Sleat. Carlisle e Edward avevano del lavoro da fare nella distilleria, dato che l'ultimo lotto che stavano distillando era a un punto critico che non poteva aspettare fino a lunedì.

Isabella raggiunse Jasper nella lobby e lo guardò mentre salutava gli ospiti che entravano. Era sempre carismatico come era stato quando lei aveva fatto il tour, stabilendo facilmente un rapporto con i nove visitatori che lo seguivano. Cinque venivano dall'America, due dal Giappone e due dal Canada. Da come sembrava, erano tutti molto presi da quello che stava dicendo Jasper mentre si presentava e parlava un po' della Sleat.

Lei rimase alla reception nel caso arrivasse qualcuno, ma tranne rispondere a una telefonata per dare gli orari dei tour a un futuro visitatore, tutto tacque.

Fu una sorpresa quando sentì la voce di Carlisle dal corridoio dietro di lei.

«Esme, amore, ho appena ricevuto il tuo messaggio. Che c'è che non va?»

Isabella gelò.

«Ma lei sta bene?» chiese, poi fece una pausa aspettando la risposta. «E Chase? Ha avuto degli episodi ultimamente?»

Isabella si accigliò, chiedendosi se avesse mai incontrato un Chase. Pensava di no, ma data la quantità di gente che si stipava all'Isles Inn, era possibile che qualcuno si chiamasse Chase.

«Ti ha detto questo? La sfrattano? Ha parlato col padrone di casa?»

Carlisle rimase per un po' in silenzio.

«Se è stata licenziata, il mantenimento dei figli non sarà sufficiente per pagare le spese mediche di Chase.»

Chase era un bambino, quindi.

«Esme, lo so, lo so», cercò in fretta di calmarla dopo la sua ultima affermazione. «Andrà tutto bene. Elizabeth… amore… ssh, va tutto bene. Ssh, lo so. Lo so che è la tua sorellina.»

Isabella aspettò. Non aveva mai sentito Carlisle così scosso.

«Non è che non stai facendo nulla», le assicurò con gentilezza. «Le stiamo mandando già tutto quello che possiamo… anche col contributo di Jasper», sospirò. «Lo so, lo so… anch'io penso che non basti. Io… lo so… ci penseremo», le promise. «Ci inventeremo qualcosa.»

Ci fu un'altra pausa e lei sentì i passi mentre lui faceva avanti e indietro.

«Maledetto servizio sanitario americano… così maledettamente costoso», ringhiò. «Deve esserci un programma… un'assistenza, qualcosa, qualcosa dal loro governo magari, qualcosa che possa aiutare i bambini con problemi medici. Ci guarderemo stasera, tesoro. Deve esserci qualcosa.»

A Isabella fece male il cuore sapendo che la zia e il nipote di Edward avessero una tale angoscia per la sorella. Non aveva capito tutta la storia, naturalmente, ma sentì quella fitta troppo familiare vedendo gli effetti della crisi finanziaria che colpiva persone con cui interagiva quotidianamente, persone che non avevano mostrato altro che gentilezza nei suoi confronti.

Gentilezza che non era sicura di meritare.

«Non è giusto, lo so», disse prima di ringhiare, «Non c'è lavoro per nessuno da nessuna parte di questi tempi, dopo quello che è successo. Quei bastardi avidi di quelle banche hanno rovinato delle vite. Che il diavolo se li porti...»

Isabella non sentì il resto.

Si accucciò di fronte al cestino dell'immondizia dietro la scrivania e vomitò.









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Capitolo 16
*** Il mercato immobiliare ***




Questa storia è stata scritta in inglese da 2carm2carm2 e tradotta in italiano da beate. Questo è il link all’originale:

https://www.fanfiction.net/s/13053224/16/The-Whisky-Distiller-s-Wife





16 – Il mercato immobiliare



«Piccola! Piccola! Sei in casa?»

Isabella alzò lo sguardo dalla valutazione di proprietà di ottantanove pagine che aveva letto nelle ultime due ore. Sentiva che le stava venendo mal di testa e continuava a guardare con desiderio l'armadietto dei liquori nell'angolo.

Da quando era stata promossa vice presidente, il mese scorso, i suoi giorni a Wall Street erano diventati ancora più lunghi. Era ben consapevole che i colleghi pensavano che avesse avuto la promozione perché suo padre era CEO di quella stessa banca. Anche se poteva ammettere che c'era della verità in questo, era fieramente determinata a provare loro che non era solo per via di chi era suo padre.

In questo sforzo di dare prova di sé ai suoi colleghi executive finanziari, vedeva a malapena Jake, figurarsi i suoi amici del college. È solo una cosa temporanea, continuava a ripetere a se stessa nei momenti di quieta angoscia e di sfinimento. Doveva solo dedicare tempo alla sua carriera, adesso, e in futuro avrebbe avuto un maggiore equilibrio.

Questo non era mai stato il caso di suo padre, drogato di lavoro, ma diceva a se stessa che per lei sarebbe stato diverso.

Quando sentì diverse voci maschili di sotto e realizzò che non era solo Jake, pensò che avrebbe avuto bisogno di qualcosa di più forte di un bicchiere di vino bianco.

«Quassù», rispose lei.

«Porta giù subito il culo», gridò lui con una risata. «Ho una sorpresa!»

Con un sospiro, lasciò il suo studio dove era rimasta imbucata quel venerdì sera e scese la grande scalinata a balaustra. Sentiva almeno altri due uomini con lui, che ridevano chiassosamente.

«Hey ragazzi», li salutò prima di guardare il marito sorridente. «Che succede?»

«Abbiamo avuto un… eccezionale quarto trimestre, da Lehman», cominciò, con l'aria del gatto che si è mangiato il canarino.

Lehman Brothers aveva appena visto un inaudito aumento dei profitti del 27%. Era in prima pagina nella sezione business del New York Times. Anche la sua banca aveva avuto un simile aumento di guadagni, che si era manifestato in un grosso bonus che aveva ricevuto sulla sua scrivania proprio quel giorno.

Bollig e Wulff buttarono giù uno shot di una vodka molto costosa alla dichiarazione di Jake. «Cazzo sì, proprio così!»

Jake rise e ingoiò l'alcool quando gli passarono il bicchierino.

«Come ho detto», rise tirandosela di fianco così che lei sentì l'odore di alcool mescolato alla sua colonia costosa. «Un buon trimestre», disse lui abbracciandola e lei sorrise alla sua tenerezza.

Le cose tra loro non andavano benissimo, ultimamente, ma lui era sempre molto dolce.

«E la sorpresa?» chiese lei dubbiosa.

«Diglielo, Jakie boy!» lo incitò Wulff. «Dille cosa le hai comprato!»

Jake si voltò e sorrise adorante a sua moglie. «Ti ho comprato un'isola intera, piccola! A largo della costa della Florida.»

Isabella rimase a bocca aperta per la sorpresa.

Wulff e Bollig risero, applaudirono e presero un altro drink.

«Sul serio?» chiese lei. Aveva appena comprato un'intera striscia di proprietà a Martha's Vineyard dopo la performance di Lehman nel secondo trimestre dell'anno. «Perché?»

«Perché no? Diavolo! Perché posso», sorrise e le mollò un bacio sulle labbra. «Sei emozionata?»

Isabella era senza parole.

«Già, non vedo l'ora di vederla.»

«Ooh andiamo, piccola, è un asset! Un altro investimento. Il mercato immobiliare è solido come la roccia, sarei un idiota se non comprassi delle proprietà. Il valore può solo salire, cazzo!»

Isabella forzò un sorriso.

Mentre Jake aveva una fede immensa nell'economia e credeva che il mercato immobiliare fosse infallibile, Isabella aveva i suoi dubbi sull'investire così tanto in immobili. L'ultima volta che ne avevano discusso, erano andati a letto senza parlarsi dato che Jake non era stato neanche disposto a considerare quello che gli stava dicendo. Adesso lui era sorridente e affascinante e lei non aveva nessuna voglia di affrontare l'argomento con lui. Di nuovo.

«È grandioso, Jake.»

«Al mercato immobiliare!» rise Bollig, chiaramente intossicato mentre versava un altro giro di alcool da 400 dollari per tutti.

Isabella prese il bicchierino e brindò con gli altri.

«Al mercato immobiliare!»



*



Lei era di nuovo silenziosa.

Era un passo avanti e due indietro, con sua moglie.

Erano lentamente arrivati a un accordo, un punto confortevole in cui parlavano e interagivano gentilmente l'uno con l'altro.

E non era più così.

Domenica pomeriggio, quando avevano finito di lavorare ed erano tornati a casa, Isabella era tornata ai monosillabi ed era in camera sua già alle 7.30 di sera.

«Non mi sento bene», aveva borbottato come motivo.

«Vuoi delle medicine?» offrì lui.

«No, grazie», disse Isabella scuotendo la testa. Prima che potesse offrire qualcos'altro, lei disse, «Buonanotte.»

A suo credito, sembrava davvero malata.

Una parte del suo cervello, una parte che desiderava restasse silenziosa, si chiedeva se stava solo evitando lui di nuovo, rimpiangendo di averlo sposato e di essere bloccata su Skye.

Ma ignorò quella parte del cervello e aprì una bottiglia di birra.

Quando avevano lasciato la distilleria, lui era passato per l'ufficio e aveva preso un mucchio di carte, alcuni documenti che le stavano dando guai. Anche se lei era troppo educata per dirglielo in faccia, lui sapeva che erano stati fatti così a casaccio che neanche lei riusciva a decifrare cosa fossero.

Con un sospiro, si sedette al tavolo, si mise comodo e cominciò a leggere con attenzione i resoconti.

Da qualche parte lungo la strada, forse perfino dal quel primo giorno in cui era piombata in ufficio, lui si era appassionato a lei.

E se per lei la cosa migliore era andarsene da Skye il prima possibile… lui l'avrebbe aiutata.

Edward si era svegliato col mal di testa che si era solo intensificato mentre il mercoledì cominciava.

Sua moglie aveva pronunciato un totale di otto parole durante la colazione e il viaggio in macchina alla distilleria, prima di ritirarsi nel suo ufficio nascondendosi per la giornata. Aveva cercato di vedere qualche segno che ce l'avesse con lui, ma non era riuscito a vedere niente che lo portasse a credere che fosse neanche irritata.

Semplicemente appartata.

Non trovò neanche segni che non fosse irritata con lui.



*



Mentre distillava, Wilson aveva scoperto una perdita in uno dei loro barili. Non era una perdita enorme, ma non sarebbe stato economico sistemarla.

E Jasper e Robert erano di pessimo umore.

Era una tempesta perfetta e francamente, non fu per nulla sorpreso quando si trovò nella lobby mentre Robert e Jasper accoglievano i pochi ospiti che avevano per il tour alla Sleat. C'era una famiglia inglese di quattro persone che chiacchierava cordialmente della vicinanza di casa loro con la casa della nonna materna di Jasper, poi c'era una coppia di pensionati americani con gli zaini e una grossa macchina fotografica.

La campanella tintinnò e apparvero due americani che sembravano essere sui trentacinque. Stavano sghignazzando su qualcosa , senza preoccuparsi di quanto fosse rumoroso il loro ingresso.

Edward alzò gli occhi e vide lo sguardo diffidente di Jasper.

«Salve, ragazzi, benvenuti alla Sleat», forzò un sorriso mentre i due si acquietavano e arrivavano al banco.

«Siamo qui per un tour di degustazione», disse uno senza preamboli mentre l'altro ridacchiava. «Perché a quanto pare i veri tour di degustazione sono solo in certi giorni stabiliti, in questa distilleria.»

Jasper inarcò un sopracciglio, per nulla impressionato. A sua insaputa, Edward aveva la stessa espressione.

«», replicò rigido. «Non c'è molta richiesta nei mesi invernali, e quei tour sono solo per gli intenditori di whisky.»

«Amico», lo schernì, «stai guardando due dei migliori cazzo di intenditori che abbia mai visto New York City.»

«Mostra un po' di rispetto», aggiunse l'altro con una risata mentre tirava fuori il portafogli dalla tasca posteriore.

«Cosa fate a New York?» chiese Jasper mentre i due frugavano i loro portafogli sfogliando con noncuranza centinaia di sterline.

Edward salutò amichevolmente gli americani, ma tenne gli occhi su suo cugino.

«Lavoriamo alla Bank of America», rispose il secondo.

«Siete banchieri, allora.»

Lo disse in tono freddo, più un'accusa che una domanda.

«Aye aye capitano», ridacchiò lui, «come direste qui. Banca di investimento.»

Il suo compare rise.

Chiaramente questo non sarebbe stato il loro primo drink.

«Siete ancora a Wall Street?» chiese Robert., intervenendo in tono altrettanto freddo.

Edward vide tutti e due i suoi cugini drizzare le spalle di fronte a quei due pieni di pretese.

«Stai scherzando?» disse uno.

«Perché diavolo ce ne dovremmo andare?» finì l'altro esuberante. «Il denaro abbonda ancora, di qualunque cosa si lamentino i media. Sempre a vedere tutto nero, quei cazzoni… esagerano tutto, tutti i giorni.»

Jasper e Robert erano silenziosi.

Edward considerò di intervenire, ma onestamente non si sentiva obbligato a schierarsi contro i suoi cugini arrabbiati.

I due giovani stavano per diventare maggiorenni in un periodo in cui non c'era lavoro né opportunità per loro. Non avevano nessuna stabilità per guardare avanti visto che i datori di lavoro lottavano per restare a galla, senza pensare all'espansione ma semplicemente alla sopravvivenza.

Edward sapeva che Jasper voleva lavorare, sapeva che era un buon lavoratore. Ma Sleat semplicemente non si poteva permettere di dargli le ore e le ore che lavorava sulle barche da pesca erano poche e rare. Sapeva che la sorella di Esme stava entrando in una spirale di debiti in America, cercando di pagare le spese mediche del suo bambino e sapeva che Jasper spediva loro i pochi soldi che guadagnava.

Robert riusciva a malapena a pagarsi un tetto sulla testa e aveva cominciato a parlare di trasferirsi di nuovo dai genitori. Prima parlava di trasferirsi e provare a vivere in città… ora non riusciva a immaginarlo, coi risparmi che diminuivano per la mancanza di uno stipendio fisso.

Erano arrabbiati e avevano tutto il diritto di esserlo.

Edward stesso era arrabbiato. Arrabbiato all'indifferente privilegio che aveva di fronte.

E per quella ragione non intervenne nell'orribile servizio clienti che stava avendo luogo nella sua azienda.

Alla fine, sempre senza toccare i loro soldi, Jasper respirò profondamente dal naso.

«Fuori dal cazzo, pezzi di merda. Non avete idea dei danni che voi e quelli come voi hanno fatto? Non avete idea delle vite che sono andate in pezzi per le azioni di banche come la vostra? Nessuna idea di quante imprese stanno lottando per tenere aperto mentre le banche come la vostra aspettano come maledetti avvoltoi che girano su cadaveri freschi per comprarli e mandarli sugli scaffali degli alimentari? Nessuna cazzo di idea di quanta gente sta lottando e faticando perché a delle merde come voi è stato permesso di avere una cazzo di autorità su tutto e tutti? Nessuna idea di quanti contribuenti hanno pagato per salvare il culo a voi?»

Edward strinse le labbra.

I due americani spalancarono la bocca.

E gli altri visitatori guardavano.

Nessuno di loro aveva mai sentito qualcuno parlare in quel modo a un cliente.

«O semplicemente non ve ne frega un cazzo? A voi non frega di niente tranne i vostri soldi, le vostre bevute e le vostre ragazze. Siete solo bastardi egoisti e segaioli. Se a voi non vi frega di niente, a me non mi frega di passare del maledetto tempo con voi o di vendervi questo whisky. Fuori dal cazzo!»

Robert prese il denaro e lo sbatté sul bancone.

Prendete armi e bagagli e fuori di qui. Non vogliamo gente del cazzo come voi, qui.»

Ammutoliti, i due banchieri girarono sui tacchi e fecero un'uscita ben diversa dall'entrata.

Edward si passò stancamente una mano sulla faccia.

Non vide sua moglie, bianca come un fantasma che sfrecciava verso il bagno, avendo sentito la loro invettiva.





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