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Lista capitoli: Capitolo 1: *** In principio fu amato d’amore trasparente *** Capitolo 2: *** Era pietra di scandalo, ma il costruttore ne fece pietra angolare *** Capitolo 3: *** Levò la sua mano e compì meraviglie e la voce di uno che gridava mostrò la via del Signore *** Capitolo 4: *** Dalla sua purezza fu precipitato negli inferi, si riempì di violenza e peccato *** Capitolo 5: *** Fu gettato sulla via, ma col fuoco nel cuore prese la sua croce e iniziò a camminare ***
Capitolo 1 *** In principio fu amato d’amore trasparente ***
Al nostro unico e insostituibile
Al nostro unico
e insostituibile Shisho.
Sappiamo che
molto probabilmente non sarai d’accordo e ci tirerai dietro una quantità
infinita di accidenti… ma se tu non torni al Quartier Generale a raccontarci
come stanno le cose, noi che altro possiamo fare se non immaginare?!
Ti vogliamo
bene!
10.04.2010
L'ANGOLO DELLE AUTRICI
Questa long fic
nasce da un ragionamento delle autrici relativo agli eventi della Night 189,
quando Allen, a causa dei poteri psichici del Noah Wisely, si trova per errore
nei ricordi di Kanda. Come avrete notato, da quel punto in poi non si sa più
niente di quanto accade al Kanda adulto. Seguiamo con Allen tutte le vicende che
hanno portato il Kanda bambino a diventare quel che è, ma la sensei Hoshino
evita accuratamente di spiegarci dov'è finito l'esorcista giapponese...
Ora, la teoria
dei vasi comunicanti ci spiega che il livello dell'acqua in uno o più recipienti
connessi tra loro raggiunge in tutti i punti la stessa altezza. «Chi se ne
frega!», direte voi, ma... se si potesse applicare anche in questo caso?
Se, adesso che
sono involontariamente collegati, come Allen vede e rivive i ricordi di Kanda,
anche Kanda in questo stesso momento stesse vedendo e rivivendo i ricordi di
Allen?
Ammesso e non
concesso che sia così (solo la sensei forse prima o poi ci dirà come stanno le
cose), abbiamo iniziato a interrogarci su quale possa essere il passato di Allen
- perché effettivamente non è che se ne sappia poi molto, e abbiamo finito con
il costruire una teoria che (ne siamo consapevoli) in molti potrebbero definire
azzardata. Tuttavia ci abbiamo ragionato molto e siamo giunte alla conclusione
che, per quanto ne sappiamo a tutt’oggi, questa è l’unica strada che mette
assieme troppi pezzi che altrimenti non tornerebbero.
L’impalcatura
della fic nel suo complesso è quindi già stabilita; si comporrà di sette
capitoli più un eventuale epilogo, in una sorta di Via Crucis che ci porterà a
ripercorrere le tappe che, partendo dal momento della sua nascita, hanno fatto
di Allen il ragazzo e l’esorcista che è.
Se avessimo
ragione, siamo certe che concorderete con noi che Marie non ha tutti i torti,
quando dice che quei due sono più simili di quanto si possa pensare…
Anche questa
fanfic, come la Yullen Saga (di cui attualmente non fa parte) è basata su ben
precisi riferimenti presi all’interno del corpus originale dell’opera - manga,
anime e romanzi. Ve li elenchiamo alla fine, citando anche i versetti biblici
che abbiamo rielaborato per comporre i titoli di ogni capitolo.
Hachisu no
Yume
(Il sogno del
loto)
1. In
principio fu amato di amore trasparente
La neve scende
piano in quella notte di inizio gennaio.
I fiocchi
leggeri, che sfarfallano nell'aria sospinti dal freddo vento invernale,
ricoprono lentamente le stradine che portano fuori dalla città, verso l'unica
chiesetta della zona.
Costruita in
legno, un piccolo cimitero a fianco, la costruzione è abbastanza nuova ma non
troppo sfarzosa, proprio come si addice ad una tranquilla parrocchia di
campagna. Dalle finestre della canonica lì accanto provengono le uniche luci che
illuminano la zona buia che circonda il lago vicino.
Niente di
strano, non fosse già notte inoltrata.
Ma dove cazzo
sono finito? L’ultima cosa che ricordo è quel maledetto Noah con la faccia da
schiaffi che mi ha lanciato uno dei suoi fottutissimi incantesimi (e c’era anche
quella bastarda di Road [e l’idiota del moyashi che mi ha impedito di
sfracellarle la testa]), poi ho il vuoto…
Beh, l’unica
cosa sicura è che non sono più… ‘fanculo, non so nemmeno dove fossi prima! So
solo che c’era un qualcosa sotto vetro che chiamavano Alma (ma è impossibile,
Alma è morto [l’ho ucciso io]), oltre a quel ridicolo pallone gonfiato del Conte
e un’altra serie di idioti… dovunque fossi, di certo non ero in aperta campagna
di notte sotto la neve (strano come non senta freddo)… e poi cos’è
quell’edificio? Dalle finestre filtra della luce, quindi qualcuno lì dentro è
sveglio - se faccio piano posso avvicinarmi e cercare di capirci qualcosa.
Dalla grande
finestra di quella che sembra la sala da pranzo della piccola casetta a due
piani, si intravvedono due figure, sedute al tavolo e intente a giocare a carte.
Illuminato dalla
calda luce del focolare, un uomo dai capelli color tiziano scarta bofonchiando
una coppia di carte prima di pescarne un altro paio dal mazzo appoggiato fra le
bottiglie di liquore mezze vuote. Il filo di fumo della sua sigaretta sale
pigramente verso il soffitto, facendo tossire l'altro uomo vestito da
giardiniere seduto di fronte a lui. Questi tiene fra le grandi mani le sue
cinque carte e aspetta pazientemente il suo turno, lanciando ogni tanto
un'occhiata nervosa verso la porta che dà verso le scale per il piano di sopra.
Non fosse per la stazza - che, agli occhi di chi lo osserva da lontano, lo fa
somigliare a una montagna - sembrerebbe quasi un bambino che sta giocando di
nascosto dalla mamma.
Il silenzio
quieto della notte, interrotto fino a quel momento solo dai borbottii del primo
uomo, viene improvvisamente infranto dai rapidi rumori di una persona in
avvicinamento.
Entrambi si
voltano a fissare l'uscio, la tensione che cresce a ogni passo, e le carte da
gioco finiscono quasi per aria quando la porta si spalanca e l'anziana signora
che gestisce la chiesetta (la legittima padrona di casa, insomma) entra come una
furia nella stanza.
“Disgraziato che
non sei altro, la smetti di perder tempo tra Bacco, tabacco e carte da gioco?!
Di sopra abbiamo bisogno di te! Per l'amor del cielo, alza il tuo fondoschiena
dalla mia sedia e muoviti!” esclama la vecchina, allungando una mano per
prendere il rosso per un orecchio.
“Ehi, ehi,
calma!” si lamenta lui, opponendo resistenza “Guarda che di solito gli uomini si
perdono tra Bacco, tabacco e Venere… ma non mi sembra questo il caso, sai…?”
continua poi, rimettendosi in piedi e spazzolandosi noncurante la camicia di
seta, la sigaretta accesa sempre all’angolo della bocca.
“Beh, se non
vuoi che Bacco lasci questa casa ti conviene spegnere il tabacco e salire al
piano di sopra! Il pargolo sembra aver deciso che questa è la notte giusta per
nascere, quindi vedi di renderti utile anche tu!” risponde lei, voltandosi per
precederlo alle scale.
Lui non si
muove. Per nulla turbato né toccato dalle parole della donna, si limita a
fissarla inarcando l’unico sopracciglio lasciato visibile dalla maschera. “Eh? E
perché dovrei preoccuparmi di un moccioso urlante?”
“Come «perché»?
Non penserai certo di portare qui una donna incinta, lasciarla alle mie cure e
poi fregartene, vero?! Marian, quella povera ragazza ha bisogno di te! Su, ora
fai il tuo dovere di bravo marito e vieni a dare il benvenuto al tuo
frugoletto!” insiste lei, girandogli attorno e iniziando a spingerlo verso la
rampa di scale.
L’uomo si fa
spintonare su, badando solo a non incespicare nel tragitto. È alto quasi il
doppio della vecchina e decisamente ben spallato, ma quella donna ha una forza
assolutamente fuori dal comune - e a lui non va di usare la sua altrettanto
notevole forza per opporvisi (o forse… non è del tutto sicuro di riuscirci?).
Arrivato sano e salvo sul pianerottolo, ha il tempo di realizzare le parole che
lei gli ha urlato mentre gentilmente lo accompagnava di sopra, soprattutto i
termini «marito» e «tuo frugoletto»…
Si ferma e si
volta verso l’anziana, che lo incalza a passo di marcia. “Ehi Mother! Guarda che
comunque lei mica è mia moglie! E il marmocchio non è mio figlio!” protesta,
accalorandosi tanto che la sigaretta gli cade dalle labbra. Impreca sottovoce,
schiacciandola con lo stivale.
“Marian Cross,
quante volte ti ho detto di evitare certi termini in casa mia? E smettila con
quel tabacco, fa male al bambino! Su, muoviti, se non vuoi che ti sbatta fuori
in giardino con le tue amate sigarette!” continua a urlare lei, aprendo con
impeto la porta della stanza da letto per farlo entrare.
Giuro, non ci
sto capendo più un emerito accidente! Cosa ci fa qui (qualunque luogo sia «qui»)
il generale Cross? Non era morto?!
E poi cos’è ‘sta
storia che deve nascere un bambino che non è suo figlio ma di cui lui si deve
prendere cura? E chi diavolo è quella vecchia isterica?! (Mi ricorda quella
maledetta signora Martin…)
E soprattutto…
perché nessuno dà il minimo segno di vedermi? Cazzo, sono davanti agli occhi del
generale e lui non fa una piega! Questa faccenda sta diventando dannatamente
assurda… maledetto Noah, cosa hai fatto?!
La stanza da
letto è piccola, spartana come il resto della casa, ma decisamente confortevole
e di buon gusto. La prima cosa che colpisce lo sguardo, entrando, è un grande
armadio in legno scuro che occupa interamente la parete di fronte. Una
cassettiera coordinata occupa la parete sulla sinistra, perfettamente incastrata
sotto a una grande finestra che dà sul lago. Attorno alla porta di ingresso non
ci sono orpelli inutili o pacchiani, gli unici decori dell'intero locale sono la
biancheria ricamata e un paio di quadretti con preziose dagherrotipie di Papa
Pio IX appese proprio sopra la testiera del letto.
Tra le coperte,
si agita senza sosta una ragazza di circa ventitre anni. Pallida, i capelli neri
che ormai sfuggono alle briglie della treccia che porta adagiata sulla spalla,
stringe convulsamente le lenzuola madide di sudore. Sono già due ore che sono
cominciate le doglie e il piccolino dovrebbe nascere a momenti.
Al vederla,
l’uomo resta un attimo incerto: nella sua vita ne ha passate tante, ha visto le
situazioni più disparate e ha avuto a che fare con donne nelle circostanze più
diverse, riuscendo sempre a venirne a capo con onore. Ma adesso davanti ad una
partoriente non sa che fare.
Cerca con lo
sguardo l’anziana che già si è avvicinata al letto per controllare le condizioni
della ragazza. “Ehi, ma mi spiegate cosa devo fare qui?” mugugna, cercando (a
dire il vero con scarso successo) di suonare infastidito “Sono affari da donne
questi…”
Ecco, forse
quello era meglio se evitava di dirlo. Mother lo guarda malissimo, le mani
strette a pugno ben piantate sui fianchi, ma è la giovane che sta per partorire
a rispondere alla patetica scusa del generale. Una gelida furia le brilla nelle
iridi argentate mentre afferra il bicchiere appoggiato sul comodino lì accanto e
glielo lancia contro, iniziando a urlare.
“Cose da donne?
Cose da donne!? Oh, certo, prima fate il danno e poi tagliate la corda lasciando
tutta l'incombenza a noi! Facile, no? Ah, no caro mio, non ci provare! So
esattamente cosa stai pensando, e non ti azzardare ad allontanarti da qui!”
L'urlo della
ragazza si strozza al sopraggiungere di una nuova contrazione. Subito Mother le
è di nuovo accanto, amorevole e materna, ma non prima di urlare anch'ella in
direzione dell'esorcista ancora sulla porta.
“Marian, non
restare lì imbambolato come un baccalà! Vai nel bagno qui accanto e portami
degli altri asciugamani puliti!”
Il generale,
schivato con eleganza il bicchiere di poco prima, temendo di venir bersagliato
con altre armi non convenzionali che potrebbero rovinargli i vestiti (le
boccette di unguenti e altri preparati farmaceutici ignoti proprio lì sul
comodino, a portata di mano della giovane, non gli piacciono per niente!), alza
i palmi in segno di resa e, sbuffando esce dalla stanza, chiudendosi la porta
alle spalle.
Cazzo, fortuna
che a quanto pare non mi vede nessuno… non vorrei mai avere a che fare con due
isteriche così! Chissà poi la ragazza da dove tira fuori tutta quell’energia, se
un attimo fa sembrava praticamente moribonda…
Comunque
continuo a non capirci assolutamente nulla di tutta questa faccenda. Perché quel
maledetto Noah ha voluto che io assistessi a questa scena? (Non ho dubbi che sia
opera sua)
E poi… chi sono
queste persone? La ragazza sul letto… perché ho la sensazione di averla già
vista? I suoi occhi, mi ricordano qualcuno… qualcuno che li ha identici a lei…
ma chi, maledizione? Chi?!
Dato che a
quanto pare in questo posto non sono altro che uno spettatore invisibile (che
sensazione stupidamente familiare [è da tutta la «vita» che vedo senza essere
considerato]), non posso far altro che osservare e aspettare.
Innervosito,
faccio per appoggiarmi al muro, ma in un attimo attorno a me vedo solo buio.
Incespicando mi rimetto in piedi e mi ci vuole qualche secondo per rendermi
conto di essere finito fuori dalla stanza, nel corridoio. Fantastico… allora
oltre a non poter essere visto non posso nemmeno toccare nulla… sono come un
fantasma, niente più…
Un sorriso
amarissimo mi incurva le labbra (più a lungo del solito [se nessuno mi vede
posso concedermi di esprimere qualche emozione]) e, scuotendo la testa, rientro
nella camera sempre passando attraverso il muro.
L’urlo
improvviso della ragazza mi fa sobbalzare, riscuotendomi dai miei pensieri e
attirando tutta la mia attenzione. Che accidenti c’è adesso? Perché la vecchia
si agita in quel modo?!
Nella casa cade
improvvisamente il silenzio, un silenzio pieno di aspettativa e di tensione. Ma
l'aria si fa improvvisamente più leggera quando, appena i quattro rintocchi
delle campane della chiesa finiscono di risuonare nella fredda aria notturna,
dall'interno della stanza si ode un flebile vagito che si fa subito forte e
cocciuto.
Si sentono
sussurri e risa di donna nella stanza della partoriente, e Cross inarca un
sopracciglio perplesso, spegnendo l'ennesima sigaretta. Quando la donna che li
ha accolti nella sua dimora gli viene incontro sorridendo, il piccolo fagottino
urlante tra le braccia, non può fare a meno di tirare un impercettibile sospiro
di sollievo.
“Eccoci,
piccolino, questo qui possiamo dire che in un certo senso è il tuo papà…”
mormora lei, stringendo a sé il bimbo avvolto nella copertina azzurra. Al suono
rassicurante della voce della donna il piccolo si calma, e subito sbadiglia e si
addormenta, celando al mondo gli occhioni grigi che ha ereditato dalla madre.
Alle parole
dell’anziana che di nuovo l’ha indicato come il padre del neonato, Cross
vorrebbe protestare con veemenza, ma gli basta un’occhiata oltre la porta
socchiusa dove la giovane mamma si è addormentata sfinita sui cuscini per
rimangiarsi qualunque protesta. È vero, lei non è sua moglie e nemmeno la sua
fidanzata, ma nonostante ciò l’esorcista è profondamente affezionato a quella
ragazza così caparbia - e di conseguenza sa che non potrà fare a meno di
affezionarsi anche a suo figlio (a patto che non sia troppo rompiscatole!).
“Mother, non
mettergli in testa strane idee…” è comunque la sua replica di circostanza,
addolcita dal mezzo sorriso che gli increspa le labbra.
La donna agita
una mano facendo capire chiaramente quanto poco le importi delle sue
puntualizzazioni e concentra tutta la sua attenzione sul piccolo. Lo guarda
sorridendo intenerita, gli occhi blu, circondati dalle prime rughe, brillanti di
contentezza e orgoglio per essere stata complice dell'evento meraviglioso che è
la nascita di una nuova vita.
“Non è
splendido? È così bello perché non è tuo figlio, sai?!” scherza Mother,
strizzando l'occhio all'uomo. “Peccato per il braccino sinistro, però...”
aggiunge con tono velato di malinconia prima di allungare il fagotto verso
l'altro, costringendolo - volente o nolente - a prenderlo in braccio.
Lui se lo poggia
sull’avambraccio (basta quello, talmente è piccolo) e sorride vagamente
beffardo, incurante della tristezza della donna; quindi sposta la copertina che
avvolge il bambino, scoprendolo in parte. Quando nota la pelle violacea
dell’arto sinistro, con due dita prende la manina del neonato tirandola fuori
del tutto dal lenzuolo in cui è avvolto. Ma più che il gesto è la sua
espressione, fattasi di pura soddisfazione, a scandalizzare l’anziana.
“Come puoi
ghignare in quel modo, Marian?! Un braccio deforme come quello significa una
condanna sociale per lui! Sarà emarginato a vita!”
L’uomo scoppia a
ridere. “Credimi donna: sentirai parlare di questo marmocchio in futuro! Altro
che emarginato a vita!” esclama, mentre si allontana verso il giardino con il
bimbo.
Devo ammettere
di non sapere proprio come comportarmi in questa situazione surreale. Ad essere
onesto, mi sento francamente di troppo qui dentro (non ho mai assistito ad un
parto [e non ha niente a che fare con la spiegazione assurda di quell’Edgar…]) e
giuro che non capisco come faccia Cross ad essere così tranquillo… cazzo, va
bene che non è tuo figlio (anche se probabilmente sarebbe tranquillo lo stesso),
ma come puoi non sentirti di troppo?!
Quel bambino poi
non mi convince. Possibile che abbia il braccio sinistro deforme come il moyashi
(e i suoi stessi occhi, per giunta! [Ecco cosa mi ricordavano gli occhi della
ragazza]) e che anche su di lui come sul moyashi Cross abbia dei progetti? Ok,
non è detto che quel braccio sia una manifestazione dell’Innocence (dopotutto
gli esseri umani soffrono di innumerevoli deformità) ma è innegabile che le
somiglianze siano troppe… eppure non è possibile! Il moyashi ha almeno 15 anni
(ora che ci penso, non so nemmeno la sua età [perché mi pongo il problema?]),
quindi non può essere lui quel bambino… vorrebbe dire che sono finito nel
passato (se così fosse avrebbe senso che Cross sia vivo [ma che senso avrebbe
che io sia qui?!])
…‘fanculo, non
ci capisco davvero più niente! L’unica cosa che mi resta da fare è seguire il
generale (dove cazzo va in piena notte con un neonato?) e sperare di riuscire a
venire a capo di questo fottutissimo casino…
La neve ha
smesso di scendere, e ora la luce della luna fa splendere i prati e le stradine
imbiancate. Anche il vento si è placato, non osando quasi disturbare il sonno
del bambino addormentato. Si sente solo il rumore dei passi di Cross nella neve
mentre questi esce in giardino, dirigendosi sicuro verso la quercia sul retro
della casa, dove una figura è in attesa, nascosta nell'ombra.
All'avvicinarsi
del generale, l'uomo - perché è di un giovane moro di capelli e delicato di viso
che si tratta - esce allo scoperto facendo qualche passo verso la strana coppia.
Non sembra una
persona comune, anche il modo in cui si muove denota un'eleganza innata quasi
magica. Ma sono sentimenti umani e reali quelli che in questo momento gli fanno
brillare gli occhi dorati: l'emozione di aver contribuito ad un piccolo miracolo
e l'immenso amore che nasce nei cuori dei padri quando vedono per la prima volta
i loro figli.
Il giovane
allunga timoroso una mano, carezzando lievemente i pochi capelli castani del
neonato.
“Com'è
piccolo... è meraviglioso, Marian, guardalo! E dimmi, come l'ha chiamato?”
Cross sorride
sbieco, incerto su come reagire di fronte a quell’uomo così potente che si
commuove al pari dell’ultimo degli indifesi di fronte al miracolo della vita.
Dopo un attimo di indecisione, la strada più onorevole gli sembra quella di
ignorare quella reazione così insolita e che proprio non riesce a comprendere in
pienezza, limitandosi ai dati di fatto. L’altro gli ha posto una domanda, quindi
lui deve rispondergli.
“Mària non gli
ha ancora dato un nome, si è addormentata subito dopo il parto. Credo che il
compito spetti al padre, no?” afferma sicuro, fissando in viso il suo
interlocutore.
Davanti al
sorriso forse un po’ meravigliato che si apre sulle labbra dell’altro,
l’esorcista ha per un attimo la percezione chiarissima dei sentimenti dell’uomo
che gli sta di fronte: comprende la tenerezza di quel padre che probabilmente
non sarà mai tale per suo figlio e la gioia che in questo momento egli prova,
investito dell’onore di dare alla sua creatura un qualcosa che porterà con sé
per sempre.
“Gli antichi
dicevano che nel nome è scritto il destino di ognuno di noi. Che destino vuoi
per tuo figlio, eh «signor Quattordicesimo»?” continua poi Cross, porgendogli il
bambino perché lo tenga in braccio in quel momento così importante.
“Eh, bella
domanda. Anche mia madre ha scelto il mio nome secondo questa usanza, sai? Certo
non avrebbe mai immaginato che la sorte avrebbe portato suo figlio a far parte
della famiglia Noah, i nemici della Chiesa. Se avesse saputo, dubito mi avrebbe
chiamato Mana, che significa «potere divino»... Per il piccolino qui presente,
invece... vediamo...”
Lo sguardo
dell'uomo cade sul braccino deformato del bambino. Sul dorso della manina
immobile il brillio della pietra mandata da Dio è ancora offuscato, ma un giorno
illuminerà le tenebre, ne è sicuro. Preso da un'improvvisa ispirazione, senza
svegliarlo lo solleva leggermente per guardarlo meglio alla luce della luna.
“Ho deciso. Il
suo nome è Amiel, che ha il doppio significato di «Dio delle genti» e di «gente
di Dio». Spero che gli porti fortuna, ne avrà bisogno.”
Sorride, il
moro, prima di posare un bacio sulla fronte del neonato.
“Su, riportalo
dentro. Sua madre lo starà aspettando, e qui fuori fa troppo freddo per un
bambino così piccolo.”
Lasciato il
bimbo alle cure dell’esorcista, il Noah lancia un ultimo malinconico sguardo al
proprio figlioletto e alla casa dove la sua amata sta riposando. Sa già che non
li rivedrà per molto tempo, sempre se sarà così fortunato da incrociare la loro
strada senza metterli in pericolo.
Sta per
andarsene, ma la voce del generale lo richiama.
Prima di
scomparire all’interno della casa, infatti, Cross si è voltato indietro.
“Per adesso ne
avrò cura io, anche se da lontano - com’era nei patti. E quando sarà il momento
troverò il modo di avvisarti perché tu lo venga a prendere. Sì, questo
marmocchio è decisamente fortunato, non credi?”
“Preferirei non
avesse bisogno di tutta questa fortuna per sopravvivere, Marian... ma dopotutto,
nascere in un'epoca come la nostra, piena di conflitti e timori per il futuro, è
tutt'altro che semplice. Tienilo d'occhio, mi raccomando, e cerca di tenermi
aggiornato. Anzi, aspetta un attimo...”
Mana si avvicina
all'esorcista, frugando nelle tasche interne del cappotto elegante che indossa,
e poi avvicina il pugno chiuso al viso dell'uomo che gli sta di fronte, aprendo
pian piano le dita.
Nel palmo della
sua mano c'è uno strano oggettino, dalla forma tonda e dal colore chiaro. Cross
lo osserva molto incuriosito, non sapendo cosa aspettarsi, e quando si accosta
ulteriormente per analizzarlo lo vede come fremere per un secondo.
Improvvisamente la sferetta gialla si libra nell'aria, spalancando un paio di
alucce e srotolando una codina lunga lunga che termina a forma di fiamma.
Ora è il turno
dell'oggettino analizzare prima il bimbo e poi l'adulto: dopo aver girato
attorno a Cross un paio di volte, spalanca la bocca in un ghigno compiaciuto e
decide di accomodarsi sulla sua testa.
Quasi scoppiando
a ridere per l'espressione impagabile che si è disegnata sul viso del generale,
ovviamente poco avvezzo alla frequentazione di golem dotati di personalità, il
Noah rimette le mani in tasca e fa un passo indietro.
“Questo è
Timcanpy. Amico mio, ci conosciamo da un bel po', ormai, e so come sei fatto...
So benissimo che anche se mi dici che mi terrai aggiornato finirai per sparire,
prima o poi! Timcanpy registrerà tutto quello che succederà al bambino, e ci
consentirà di tenerci in contatto in caso di bisogno.”
L'esserino agita
la testolina su e giù, evidentemente in accordo con il suo creatore, finendo
così per scompigliare i capelli dell'esorcista che borbotta infastidito.
“Ovviamente ha
anche altre funzioni molto interessanti... ma non intendo elencartele
togliendoti il piacere di scoprirle da solo! Bene, a questo punto direi che
posso togliere il disturbo. Ci sentiamo presto, «signor esorcista»!”
Lo ammetto,
quando ho sentito il generale chiamare quell’uomo «signor Quattrodicesimo» con
tutta quella nonchalance ci sono rimasto di sale: cazzo, quello è uno dei nostri
nemici, forse uno dei peggiori (anche se ha tradito e ha tentato di uccidere il
Conte [perché questo non significa automaticamente che è nostro alleato]) e lui
ci parla come se fossero amici di vecchia data!
L’istinto
successivo è stato estrarre Mugen e attaccare… solo per poi accorgermi che,
dannazione!, non ho idea di dove sia finita la mia spada! Prima di ritrovarmi
qui sono certo che l’avessi in pugno (quell’idiota del moyashi ne ha anche
bloccato la lama con la mano maledetta) e ora mi ritrovo solo un inutile fodero!
Un ghigno storto
mi deforma il viso.
A parte che,
anche con Mugen… cosa avrei potuto fare? Non posso toccare nulla, passo
attraverso le cose come se fossi fatto d’aria e sono altrettanto invisibile… (mi
sento un emerito idiota in questa situazione…)
Comunque seguire
Cross qui fuori mi è servito almeno a capire una cosa (oltre che ad infittire il
mistero che circonda il generale): quel bambino, chiunque sia, non può essere il
moyashi. Nonostante le coincidenze eclatanti, se c’è una cosa di cui sono certo
è che il suo nome non è Amiel o cosa diavolo… il che significa che… ‘fanculo!
Significa semplicemente che non ho il minimo elemento in più per capire dove
sono, in che epoca sono o perché cazzo sono qui!
Ok Yu, ragiona,
parti dai dati di fatto. Hai Cross che, a quanto ne sai, è morto eppure te lo
vedi davanti vivo e vegeto, il Quattordicesimo che in teoria dovrebbe esser
morto pure lui (altrimenti come farebbe il moyashi ad avere le sue memorie?) e
hai appena assistito alla consegna al generale del golem che hai sempre visto in
compagnia di Walker… e per finire hai un bambino che sembra il moyashi ma che
non è possibile che lo sia (fortuna che dovevo considerare i dati di fatto… [non
ne ho, cazzo!])…
Per quanto sia
assurdo, tutto questo potrebbe trovare un minimo di senso solo supponendo di
trovarsi nel passato, indietro di almeno 15 o 16 anni rispetto al presente… ma
anche ammesso che sia così, come è possibile? È solo un’illusione? (In questo
caso, io sono un esperto…) E soprattutto io cosa c’entro?
Il sole è sorto
ormai da un bel pezzo quando Cross entra nella stanza dove Mària ancora riposa,
appoggiata ai grandi cuscini decorati del letto. Mother è nella stanza accanto,
intenta a fare il bagnetto al piccolo, mentre il giardiniere Barba fischietta
allegramente spalando la neve dal vialetto d'ingresso.
“Buongiorno!” lo
saluta la ragazza, la stanchezza e la gioia che le fanno brillare gli occhi
grigi.
“Stanotte ho
incontrato Mana.” Inizia subito l’esorcista, senza troppi giri di parole,
andando a sedersi sulla sedia all’angolo della stanza. “Ha visto il bambino e
gli ha dato un nome: l’ha chiamato Amiel.”
Cross non è mai
stato una persona particolarmente educata, quindi Mària non si offende per la
mancanza di risposta al suo saluto. Non può fare a meno di preoccuparsi, però,
quando lo vede sedersi in quell'angolo lontano. Sembra che voglia mantenere le
distanze, e tutto ciò sta a significare brutte notizie in arrivo.
“Oh… bel nome,
sì. Era un personaggio biblico, giusto? Mi piace! E Mana? Mana come sta? Cos'ha
detto del piccolo? Gli somiglia, vero?”
Parla
rapidamente, la felicità nel suo sguardo che pian piano si offusca mentre
distoglie gli occhi dal viso dell'uomo seduto sulla sedia, mille pensieri che le
vorticano nella testa tutti assieme.
Sapeva che
avrebbero dovuto affrontare nuovamente l'argomento, prima o poi. Lo sapeva, se
lo aspettava. Però ora che il bimbo è nato, ora che l'ha stretto tra le braccia
e lo ha nutrito, cullandolo verso i suoi primi bei sogni... è tutto molto più
difficile, accidenti.
La giovane
esorcista sospira, fissando l'azzurro del cielo che splende fuori dalla
finestra, e scuote la testa cercando poi di ricomporsi, di imbrigliare
nuovamente le sue emozioni. «Per Amiel», si ripete, «Per Amiel».
Ma non vuole,
non riesce a guardare Cross in faccia, perché sente che non resisterebbe, che
scoppierebbe a piangere al solo pensiero di...
“Gli somiglia,
sì.” L’uomo risponde subito e quasi senza pensarci, la mente che già si è
allontanata dietro altre riflessioni molto meno piacevoli (non che in tutta
quella faccenda ci sia granché di piacevole…). Ora a lui tocca la parte del duro
- lo sa e non ne va particolarmente fiero, ma qualcuno deve pur accollarsi
l’onere di riportare Mària con i piedi per terra.
Nove mesi prima,
quando aveva scoperto di essere rimasta incinta, il patto che lei, Cross stesso
e il Quattordicesimo hanno stretto è stato ben chiaro: il bambino non avrebbe
potuto rimanere con la madre, né tantomeno col padre. Ma ora ricordare alla
ragazza l’impegno assunto di abbandonare suo figlio appena nato è difficile,
anche per un uomo freddo come lui.
L’esorcista si
accende l’ennesima sigaretta, imprecando tra sé contro il pacchetto già
desolatamente vuoto (e l’ha iniziato solo la sera prima, dannazione!), quindi
apre un poco la finestra e soffia fuori uno sbuffo nervoso. Infine si volta
verso la ragazza che dal letto lo osserva seria, ben conscia di quel che sta per
sentire.
“Il bambino
dev’essere immediatamente esposto alla ruota; o, se preferisci, portato in un
orfanotrofio.” Cross parla con tono basso, impersonale. Davanti al tentativo di
protesta di Mària, alza una mano e la fissa severo “Non voglio sentire commenti
di sorta. Questi erano i patti.”
Silenzio. La
giovane chiude gli occhi e si appoggia stancamente alla spalliera del letto.
Quelli erano i
patti, lo sa benissimo. Ma sa anche che non le resta poi molto da vivere, a
causa degli effetti devastanti dell'Innocence di tipo parassita che hanno reso
ancora più fragile il suo corpo di giovane donna.
“Marian,
chissenefrega dei patti. Sai benissimo che non arriverò alla prossima estate,
no? E lasciare un bimbo così piccolo in balia degli eventi è una mossa troppo
azzardata, potremmo perderlo e tutto questo sarebbe stato vano. L’hai visto
anche tu: è nato compatibile, è la dimostrazione che la nostra teoria è esatta…
pensa a che potenzialità enormi potrebbe avere!
Fammelo tenere,
fammelo crescere. Consentimi di dargli l'amore e la forza sufficienti per poter
affrontare il mondo. E quando arriverà il giorno in cui la mia vita si spegnerà
potrai portarlo all'orfanotrofio, potrai portarlo dove ti pare... tanto so che,
come da accordi, veglierai sempre su di lui.”
È un sussurro,
la voce di Mària, ma gli occhi che ha appena riaperto per puntarli in quelli di
Cross sono pieni di lucida, incredibile e testarda determinazione.
“E io sarò lì,
accanto a te, a vegliarlo con te. Ti ricordi quel progetto di cui mi avevi
parlato tempo fa e che all’epoca avevo considerato blasfemo? Beh, ci ho pensato
tanto, stanotte. Fammi diventare la tua arma anti-akuma, Marian. Consentimi di
rimanere al vostro fianco, anche se non sarò altro che un corpo senza vita, ti
prego!”
Davanti alle
parole della donna, il generale non può che ringraziare il suo sangue freddo e
la maschera che gli copre metà del volto - è solo grazie a questi che riesce a
celare lo stupore per quel che si è appena sentito proporre. A tanto può
arrivare l’amore di una madre?
Ma quel suo
stupore dura solo un istante, presto dissolto in una punta ammirazione per la
caparbietà e il coraggio di Mària, oltre che nel lavorio frenetico della sua
mente, già protesa a considerare i pro e i contro dell’idea che gli è balenata
davanti agli occhi.
È con il suo
tipico sorriso strafottente (che tuttavia miete più di una vittima tra i cuori
femminili) che Cross si volta verso di lei, gettando il mozzicone di sigaretta
fuori dalla finestra.
“Sei
incredibile, donna… ed è per questo che mi piaci, oltre che per la tua indubbia
bellezza. Quel marmocchio è fortunato ad avere una madre come te.”
PREVIEW:
Capitolo 2 -
Era
pietra di scandalo, ma il costruttore ne fece pietra angolare
Ok, e adesso che
cazzo è successo così di botto? Ho visto per un attimo tutto buio e poi mi sono
ritrovato… beh, in un posto qualunque, ma sicuramente non lo stesso in cui ero
prima (che odiosa sensazione di déjà-vu…). E probabilmente, tanto per gradire,
non sono solo in un luogo diverso, ma anche in un tempo diverso.
Non ho ancora
capito cosa voglia mostrarmi il burattinaio che ha organizzato tutto questo,
quindi tanto vale cercare di scoprirlo (almeno mi sembrerà di aver fatto
qualcosa di mia iniziativa).
[…]
“La cosa più
terribile, Madre, è la mano di quel bambino! La sua mano sinistra porta sul
dorso una croce nera!” esclama scandalizzata la giovane religiosa “Capisce Madre
Superiora? Una croce! Il simbolo del martirio di Nostro Signore marchiato a
fuoco sulla mano e nel colore del demonio! E se quel piccino - Dio ce ne scampi
e liberi! - fosse posseduto?!”
[…]
Non è ancora il
momento, Amiel non è ancora pronto per sfidare Millennio. Il progetto che lui e
Cross hanno su quel piccino è ambizioso e richiede tempi lunghi, ma il Noah è
certo che alla fine avrà successo.
Il bambino torna
con lo sguardo alla tomba del cane.
“Hmph, piacere
di conoscerti, signor Mana Walker. Senti un po', aveva un bel nome, il tuo
cane... secondo te posso prenderlo in prestito, almeno per un po'?”
IL POST-IT DELLE
AUTRICI
Come detto in
precedenza, elenchiamo di seguito tutte le citazioni contenute nel capitolo che
avete appena letto.
-Il
titolo: citazione da Gn 1,1 e Gv 1,1. Entrambi i libri iniziano infatti con
l’espressione “In principio…”.
“Amore
trasparente”
è invece un chiaro riferimento alla canzone omonima di Ivano Fossati. Ok, questa
è assai poco biblica come fonte, ma a me quel pezzo piace tantissimo XD (ndMistral)
-Mother e Barba: questi due personaggi appaiono nel primo capitolo del romanzo
“D.Gray-Man: Reverse” vol. 1, di Hoshino Katsura e Kizaki Kaya, dove viene
raccontata l’ultima parte del viaggio di Allen dall’India verso la Sede
dell’Ordine. Ovviamente li abbiamo sviluppati in maniera indipendente, pur
restando entro i limiti di quanto suggerito dalle autrici. Sempre da quel
capitolo sono tratte le descrizioni degli ambienti esterni e di Timcanpy.
Per questo
capitolo è tutto! Se avete un qualsiasi dubbio, chiedete pure!
Capitolo 2 *** Era pietra di scandalo, ma il costruttore ne fece pietra angolare ***
L
L’ANGOLO DELLE
AUTRICI
Eccoci qui con il
secondo capitolo di Hachisu no Yume. Prima di lasciarvi alla lettura,
permetteteci una piccola precisazione, utile soprattutto per chi sta seguendo
anche l’altra fanfic che stiamo pubblicando. Come sapete Anata Ga Koko Ni Iru
Riyuu è il terzo capitolo della Yullen Saga, di cui al momento questa fanfic non
fa parte. Inizialmente ci eravamo ripromesse di sciogliere la riserva
sull’inserirla o meno nella serie dopo aver visto “l’uscita dal sogno”, ossia
come si fosse conclusa la vicenda di Allen spettatore dei ricordi di Kanda. Ciò
è avvenuto con la Night 194 appena uscita, tuttavia in quel capitolo gli
avvenimenti sono ancora troppo nebulosi per permetterci di pronunciarci
definitivamente (diciamocelo, la storia va avanti poco o nulla purtroppo!). Di
conseguenza rimandiamo il tutto al mese prossimo.
Da ultimo grazie
mille a tutti coloro che hanno letto e in particolare a coloro che hanno
recensito!
§ Cara
Flowermoon,
siamo contente
che la storia ti piaccia e soprattutto che abbia contribuito a risollevarti il
morale ^^ le fanfic servono anche a questo e il fatto che sia stata proprio la
nostra storia a tirarti su ci fa apprezzare il doppio i tuoi complimenti.
Siamo
perfettamente d’accordo con te sul fatto che se Kanda e Allen conoscessero i
rispettivi passati riuscirebbero a capirsi molto meglio… chissà se succederà
davvero o se rimarrà tutto una nostra fic! Aspettiamo e vedremo!
§ Cara Retsu,
è un piacere
anche per noi sapere che non siamo le sole ad aver elaborato la teoria del “se
Allen è nei ricordi di Kanda, allora magari Kanda è nei ricordi di Allen” XD
E siamo contente
di sentire che l’idea di Mària come madre di Allen piaccia, non solo a te ma
anche alle altre lettrici… ad essere oneste quello lo consideravamo uno dei due
gradi azzardi di questa fanfic (assieme all’identificazione
Mana=Quattordicesimo=padre di Allen) ma non sappiamo spiegarci altrimenti la sua
figura: è troppo particolare per essere solo la seconda arma anti-akuma di
Cross. E poi, con un nome così e Allen il cui compleanno è stato arbitrariamente
stabilito al 25 dicembre… dai, è troppo per essere una coincidenza! (anche
perché le coincidenze non esistono, CLAMP docent)
Comunque siamo
curiose di sapere cosa ne pensi dei prossimi sviluppi. Facci sapere!
§ Carissima BBJ,
innanzitutto
calma! Non ci svenire che sennò poi non riesci a leggere il capitolo.
Grazie infinite
dei complimenti, siamo contentissime di riuscire a produrre ogni volta una
storia che ti piaccia e ti appassioni. Sono le lettrici come te e i vostri
commenti che danno lo stimolo giusto per continuare a scrivere e pubblicare
(perché alle volte è difficile, sai?)
§ Fratellino
caro,
sappiamo
benissimo che non concordi affatto sulla nostra teoria XD Ma questo non fa che
renderci più graditi i tuoi complimenti, soprattutto perché hai apprezzato il
modo con cui rendiamo Cross - sappiamo quanto tu sia affezionato a questo
personaggio e proprio per questo il tuo giudizio su di lui è per noi
importantissimo.
Quanto a Kanda…
ehm, sì, effettivamente ci è uscito un po’ più volgare del solito ^^” ma come
dici tu la situazione delicatissima in cui si è venuto a trovare non favorisce
certo un eloquio fine e raffinato… a volte scrivendone ci veniva voglia di
fargli patpat sulla spalla, povero disgraziato!
Grazie ancora per
i complimenti e speriamo che il secondo capitolo ti piaccia quanto il primo!
§ Cara Kicchina,
grazie
innanzitutto per il tuo commento. Con la tua recensione così dettagliata ci hai
fatto un grande favore, dandoci adesso l'opportunità di spiegare a voi lettori
alcuni punti del nostro ragionamento che probabilmente vi possono sfuggire (non
siete nelle nostre teste, quindi è normale XD). Ci permettiamo perciò di
riprendere punto per punto la tua recensione, così da avere una traccia da
seguire.
“Prima di
reincarnarsi il quattordicesimo deve essere morto - eh sì, uno non si reincarna
se è ancora vivo, sapete com'è- e, se Mana era il quattordicesimo - cosa che
comunque è stata esplicitamente negata nel manga (Cross dice ad Allen che Mana
ne era il fratello, e non vedo perché a quel punto avrebbe dovuto mentire)- ed
allo stesso tempo era il padre naturale di Allen, allora qualcosa non quadra
hehe”
È vero che Cross
dice che Mana era il fratello del 14esimo, ma personalmente abbiamo dei
seri dubbi che stesse dicendo la verità visto e considerato che lui e Allen si
trovavano in una stanza, circondati da membri dei Crow, con Lavi presente e in
collegamento audio con un'altra stanza dove c'erano altri Crow, Bookman Sr.,
Komui e Leverrier.
Che Cross stesse
manipolando almeno in parte i fatti è suggerito anche dalla palese arrampicata
sugli specchi che fa con la questione del “quando” sono state passate le memorie
ad Allen.
È da notare
inoltre il disagio di Bookman Sr.: è nervoso, e non solo perché si fa
riferimento a fatti dei quali è presumibilmente al corrente... ma anche perché,
con quest’arrampicata sugli specchi, Cross confonde la scena, in ogni caso
rischiando molto.
Il motivo che
avrebbe spinto Cross a mentire è semplice: dire a tutti che Allen è figlio
(anche solo adottivo) del 14esimo (quindi complice, magari volontario,
soprattutto durante gli anni della fuga) lo avrebbe messo ancor più in pericolo
rispetto a dire che “è stato usato dal 14esimo perché è stato sfigato e
soprattutto non ne sapeva niente”.
Secondariamente,
la teoria che Mana fosse il 14esimo stesso e non semplicemente suo fratello,
secondo noi è supportata da due osservazioni, da cui ne discende una terza:
1) Quando mai si
è visto un akuma che si ribella così apertamente all'ordine del Conte di
eliminare l’essere umano che ne ha richiamato l’anima? Mana in fondo non ha
attaccato Allen per ucciderlo, ma semplicemente per “maledirlo”. Inoltre imporre
una maledizione richiede autonomia d’azione e forza di volontà, cosa che in
teoria ad un akuma, benché ancora incompleto, dovrebbe essere negata già a
quello stadio.
2) Un semplice
essere umano non avrebbe potuto, a maggior ragione dopo essere già morto,
imporre una maledizione che rendesse in grado di vedere le anime degli akuma.
3) Dato per
assodato che Mana è il 14esimo, il momento in cui maledice Allen è l'unico in
cui c'è un contatto tra loro tale per cui fosse possibile attuare il
trasferimento delle memorie. In un certo senso era previsto e necessario che
Allen trasformasse Mana in un akuma, affinché questi lo maledicesse e si
verificasse nel contempo il passaggio del ricordo di Noah.
Se Mana non fosse
il 14esimo, infatti, quando e come il 14esimo avrebbe passato le memorie ad
Allen? Da quel che sappiamo, possiamo supporre che normalmente il passaggio del
ricordo di Noah avvenga a random (il Conte infatti, dopo la morte di Skinn
Boric, dice chiaramente che “bisogna cercare” il prossimo essere umano in cui il
ricordo della Rabbia si risveglierà [cap. 187, pag.15]). Quando un Noah muore,
il ricordo prima o poi si riattiva casualmente in un altro uomo; ma in questo
caso, oltre ad essere la memoria del Suonatore particolare di per sé (ai tempi
della guerra di 7000 anni fa infatti i Noah erano 13, il Musicista è comparso
solo successivamente[cap. 137, pag.06 e cap.187, pag.12]), il
trasferimento è stato forzato, perché il 14esimo voleva che fosse proprio
quella persona, in quel momento e in quel tempo, a portare avanti le sue
memorie.
Il 14esimo ha
quindi dovuto fare qualcosa per trasferire coercitivamente le memorie; è
possibile che per una cosa del genere serva contatto fisico e che, vista la
necessità di impiantare una memory all’interno dell’ospite, non sia
un’operazione che non lascia segni.
“In più, Wisely
prima di spedire Allen e Kanda nei ricordi di Kanda e Alma, afferma esattamente
“Let Alma himself prove it to you” (che vuol dire “Lascia che sia lo stesso Alma
a provartelo”) e la frase è indubbiamente diretta a Kanda quindi...ehm...Kanda è
nei suoi ricordi. Per forza, sennò come farebbe Alma a provargli di essere lui?
Semplicemente Yu al momento sta rivivendo il tutto, e non è con Allen”
Innanzitutto
premettiamo che tutta la vicenda si svolge nel “mondo del sogno” governato da
Road (molto Tsubasa-style, se conosci il manga).
Wisely spedisce
tutti quanti nel regno di Road, dove i ricordi di chi è segnato dal suo sigillo
sono interconnessi.
Non è corretto
dire che “Wisely spedisce Allen e Kanda nei ricordi di Alma e Kanda” per due
motivi:
1) Allen finisce
nel sogno non perché Wisely lo vuole, ma solo perché tocca Mugen e così facendo
stabilisce un collegamento diretto con Kanda.
2) Non finiscono
nei ricordi di Alma, perché quelli sono inaccessibili anche a Wisely (lo dice
lui stesso [cap. 188, pag.31]), a causa del sigillo imposto su Alma
probabilmente nel momento in cui è stato fatto cadere in coma nove anni prima.
Inoltre è Road,
in forma di bambola, (e non Wisely) a dire a Kanda “Lascia che sia lo stesso
Alma a provartelo” [cap. 189, pag.30]. È implicito che intenda “...nel momento
in cui si sveglierà”, dato che, essendo in coma, al momento Alma non può provare
proprio nulla. Sia Wisely che altri dicono chiaro e tondo più volte che a loro
serve il cervello (le memorie) di Kanda per svegliare Alma: senza quelle Alma è
un corpo vuoto, o quasi.
In effetti anche
Alma è compreso nel “pacchetto incantesimo” delle connessioni create da Wisely,
ma è come se i suoi ricordi fossero chiusi in una cassaforte: da questa non
entra e non esce nulla, se non dopo un po' di contatti con le memorie di Kanda
che, avendo ricordi in comune con Alma, ha come la chiave per sciogliere il
sigillo e aprirgli la mente.
“Kanda è nei suoi
ricordi”
Questo non lo
dice nessuno.
Il collegamento
operato da Wisely consente di sondare i ricordi altrui e farne una trasfusione
da un cervello donante a un corpo ricevente.
Nel collegamento
Allen-Kanda-Alma che si è stabilito, Kanda si trova…
…nei suoi
ricordi? Nah, e a fare che?
…in quelli di
Alma? Impossibile: sono sigillati, quindi Wisely non può avercelo spedito.
…in quelli di
Allen? Lo stiamo dicendo noi XD
“Per forza, sennò
come farebbe Alma a provargli di essere lui?”
Come già detto,
glielo proverà quando si sveglia. Nessuno ha detto che lo deve fare mentre
ancora dorme/è in coma.
“Perché, a
differenza sua, Allen è estraneo alla situazione, non c'entra un ciufolo,
insomma, quindi fa semplicemente da spettatore... oddio, questo è quello che ho
capito io XD”
Sì, qui hai
ragione: Allen non c’entra, è lì per caso. O meglio... è lì per una coincidenza
voluta dall'autrice. Fa da spettatore, e da lettore. È un espediente narrativo,
l'unico modo per mostrare il passato di Kanda inserendolo nella storia, senza
fare flashback inutili e scollegati da tutto il resto.
“Poi, cioè,
Wisely è entrato nel cervello di Kanda, i ricordi di Allen non c'entrano proprio
niente…”
Wisely non è
entrato nel cervello di Kanda. Si è limitato a creare la connessione tra lui e
Alma (e Allen, ma involontariamente), per far sì che i ricordi dell'uno
fluissero nell'altro per risvegliarlo.
I ricordi di
Allen effettivamente non c'entrano nella storia originale, li abbiamo messi in
mezzo noi, ipotizzando che quel che succede ad Allen con i ricordi di Kanda,
succeda di riflesso a parti invertite.
“Il fatto che
Kanda veda il passato di Allen sarebbe totalmente inutile ai fini del piano dei
Noah, e non penso che il potere di Wisely sia una cosa tipo “scambio di anime” o
“se tu sei nella mia testa, io sono nella tua”, anche perché dovreste tenere
conto che anche Road è con Allen - quindi perché Kanda sarebbe dovuto finire
nella testa di Allen invece che in quella di Road?”
Il fatto che
Kanda veda il passato di Allen è totalmente inutile, e infatti Wisely non
cercava quello. È solo un “effetto collaterale” ipotizzato da noi.
Nella testa di
Road non si può entrare senza il suo permesso. Lei è lì perche lo vuole e basta,
non per un collegamento creato da Wisely né per aver toccato l'Innocence. Il
collegamento se l'è creato da sola e finisce con Allen perché vuole così... in
più va e viene a piacere.
E ovviamente sì,
il suo potere le permette di farlo. Road domina e controlla i sogni e la psiche,
proprio come aveva fatto nel caso di Lavi (e senza l'aiuto di Wisely!)
“Però a questo
punto c'è da tenere in considerazione anche Alma. Lo spirito di Alma, nella
vostra storia, dov'è finito? Perché nel capitolo 192 Road afferma che, al
momento, dopo che Yu “muore”, si trovano nei ricordi di Alma. Anche Alma è nei
ricordi di Allen?”
Alma è sigillato.
Lo scopo dei Noah è proprio raggiungerne la mente, e se Wisely avesse potuto
arrivarci senza sforzo, non avrebbe fatto tutto quel casino con Kanda.
Nel capitolo 192
i ricordi di Alma iniziano a dissigillarsi e a girare. Allen e Road a quel punto
iniziano sì a vedere i ricordi di Alma, ma solo perché questi sono confluiti
assieme a quelli di Kanda.
Che Alma sia nei
ricordi di Allen... siam sempre lì, finché sei incosciente le memorie escono e
girano, ma non entrano da sole.
“E, se sia Alma
che Yu sono nei ricordi di Allen, esattamente quel che sta facendo Wisely a che
servirebbe? A far scoprire al protagonista un po' in più sul passato di Kanda?”
Lo dice l'autrice
stessa cosa vuol fare Wisely. Prendi i ricordi di Kanda e li usi per aprire il
lucchetto di quelli di Alma per svegliarlo. Tutto qui.
“Behhh diciamo
che comunque su questa parte della storia non mi trovate molto d'accordo, ma
ognuno ha le proprie opinioni e supposizioni, quindi va bene lo stesso XD è una
what if? dopotutto XD
Vabbè vabbè,
comunque come scrivete mi piace, e c'è da ammettere che avete una fantasia
portentosa, invidiabile potrei dire - il fatto di Maria è sul serio un colpo di
classe LOL”
Ti ringraziamo
nuovamente per la recensione e per il complimento riguardo Maria. L'abbiamo
messa lì perché è l'unico modo per darle un senso e uno scopo: la consideriamo
una figura troppo particolare per avere solo il ruolo che le abbiamo visto
ricoprire finora… e la sensei Hoshino non fa mai niente per caso, no?
Sul fatto che
abbiamo fantasia... beh, noi preferiamo parlare più di ragionamento ^_^ La
fantasia per definizione va da sola, senza appigli, mentre noi gli appigli li
abbiamo mi sembra! XD
Poi vabbè, in
fondo il mondo è bello perché è vario! ^_^ Precisiamo però che abbiamo
classificato la storia come what if (per ora), solo perché vogliamo avere
delle conferme prima di sbilanciarci e considerarla per la maggior parte
corretta. Come detto in prefazione potremmo sbagliarci, come potremmo averci
azzeccato. Solo il tempo e la sensei Hoshino potranno dirlo!
“(Ah, a
proposito, è una sciocchezza, ma... prima di venire maledetto gli occhi di Allen
erano castani asd)”
Abbiamo
ricontrollato l'anime, e effettivamente lì gli occhi di Allen prima della
maledizione sono castani. Personalmente la consideriamo una libertà che si sono
presi gli incaricati della colorazione dell'anime: in fondo anche Road è
disegnata con gli occhi viola, benché la sensei precisi che i Noah hanno gli
occhi dorati.
Nella nostra
ricerca abbiamo stabilito una gerarchia delle fonti, in cima alla quale c’è
quella più autorevole - vale a dire quella più vicina all’autrice - ossia il
manga. Al secondo posto vengono i romanzi, poi i vari art book e
character guide (“Gray ARK” e “Noche”) e solo all’ultimo gradino l’anime,
perché non sappiamo quanto la sensei ci abbia messo mano o abbia verificato ciò
che è stato fatto. In caso di conflitto nelle fonti, quindi, bibliografia
insegna che prevale quella più autorevole.
In più, sul
colore degli occhi di Allen (pre- e post- maledizione) si è dibattuto a lungo,
perché proprio l'autrice era indecisa. Capita spesso di trovare vecchi disegni
dove Allen ha gli occhi rossi, e i peluche lo raffigurano sempre con gli occhi
viola. La canzone del 14esimo, però, parla di occhi argentati, colore che si
avvicina molto di più al colore finale degli occhi di Allen (quel grigio-azzurro
delle ultime copertine, per intenderci). Sinceramente non sapremmo a chi possa
fare riferimento quella strofa, se non ad Allen... e dato che la canzone l'ha
messa su Timcanpy il 14esimo, l'ha fatto sicuramente prima di maledire (o che
Mana maledicesse) Allen.
“Vi ho messo tra
le seguite, le what if? mi piacciono parecchio XD spero venga fuori una cosa
bella come la trilogia hihi
Jaa ne! <333”
Speriamo che tu
continui a seguirci e che la storia continui a piacerti anche se, come ci
auguriamo, saremo “costrette” a toglierla dalle what if per renderla un
missing moment a tutti gli effetti e parte integrante della saga.
Hachisu no
Yume
(Il sogno del
loto)
2.Era
pietra di scandalo,
ma il
costruttore ne fece pietra angolare
Piove. È tutta
settimana che piove quasi ininterrottamente, grosse gocce d'acqua che cadono dal
cielo come inconsolabile pianto di angeli.
Anche le verdi
foglie degli alberi, che fino a pochi giorni prima si sono allargate ai caldi
raggi del sole di fine primavera, sembrano quasi ingrigirsi e schiacciarsi sotto
il peso del diluvio. La città è silenziosa, nessuno si azzarda a uscire, e solo
il ritmico tamburellare della pioggia sui vetri e sulle grondaie fa da colonna
sonora all'ormai prossimo spegnersi di una vita.
La ragazza
tossisce piano, mentre culla dolcemente il piccolo Amiel.
Il bimbo dorme
sereno, inconsapevole del fatto che la sua esistenza sta per cambiare per
sempre. Ancora non lo sa, ma presto dovrà dire addio alle calde braccia di sua
madre, che con le ultime energie rimaste gli ha donato la forza di sei mesi
colmi di amore.
Ok, e adesso che
cazzo è successo così di botto? Ho visto per un attimo tutto buio e poi mi sono
ritrovato… beh, in un posto qualunque, ma sicuramente non lo stesso in cui ero
prima (che odiosa sensazione di déjà-vu…). E probabilmente, tanto per gradire,
non sono solo in un luogo diverso, ma anche in un tempo diverso. Prima a
giudicare dalla neve dovevamo essere in inverno, mentre ora è piuttosto tarda
primavera, se non addirittura estate… quindi sono passati minimo sei mesi,
ammesso e non concesso di essere sempre nello stesso anno… (giuro, appena avrò
quel Noah tra le mani si pentirà d’esser nato!)
Mi guardo
intorno, circospetto ma non troppo (tanto nessuno mi vede né mi sente), notando
che ci troviamo in un bosco - probabilmente alla periferia di qualche città,
considerata la larga carreggiata in terra battuta.
Le fitte fronde
degli alberi schermano in parte la pioggia, ma anche se così non fosse, dubito
che essa potrebbe toccarmi. Lui invece a quanto pare non ha la mia stessa
fortuna… (chiamala fortuna poi, essere invisibile e incorporeo)
Mi avvicino
senza cautela alcuna (non servirebbe [ma ugualmente mi fa strano, non l’ho mai
fatto]) all’uomo che sta immobile sul ciglio della strada, cercando di ritirarsi
il più possibile sotto un pino. Quando riesco a vederlo bene in faccia, quasi mi
prende un colpo: quello è il Quattordicesimo! Rimango come ipnotizzato a
osservarne i lineamenti (scacciando un’assurda sensazione di familiarità [quasi
somigliasse a qualcuno che conosco…]), ma all’improvviso uno scalpiccio di
passi, accompagnato dal borbottare di un uomo e dal pianto di un bambino, attrae
la mia attenzione. Mi volto, sgranando involontariamente gli occhi quando
riconosco le due figure che si avvicinano, strette sotto un unico ombrello nero.
Che cazzo ci
fanno qui…?!
Piove. Continua
a piovere, dannata pioggia che non smette nemmeno un minuto!
Né il bimbo né
la donna dovrebbero essere sotto le intemperie, nonostante la temperatura
dell'aria non sia poi così male, e il piccolo sembra tenerci particolarmente a
farlo notare a Cross. Piange sconsolato, buttando fuori più aria possibile dai
polmoni, costringendo quasi l'uomo a tapparsi un orecchio con la mano libera
dall'ombrello che li ripara tutti e tre.
“Mària,
dannazione a te! Fallo stare zitto!” brontola, allontanando teatralmente la
testa dalla donna, fin quasi ad uscire dal riparo del parapioggia (e ovviamente
tirandoselo istintivamente dietro nel movimento, così da scoprire la compagna)
“Tu tieni fermo
quell'ombrello, Marian! Lo sai benissimo, avremmo potuto aspettare che
spiovesse... sicuramente il bambino avrebbe continuato a dormire, al caldo e al
riparo!” sibila lei, stringendo un po' più a sé il fagottino urlante “Su,
tesoro, non piangere... ancora un po' di pazienza e sarai all'asciutto, va
bene?”
Il piccolo Amiel
la guarda con gli occhioni grigi spalancati, una ciocca dei capelli neri di lei
stretta nel pugnetto chiuso.
Ha smesso di
piangere, per adesso, ma potrebbe ricominciare da un momento all'altro: vispo e
dall'ottimo appetito - conseguenza naturale dell'essere compatibile con
un'Innocence di tipo parassita - nei suoi primi sei mesi di vita il bimbo ha già
dimostrato di sapersi spiegare benissimo con il solo uso di espressioni e
versetti... e soprattutto di essere decisamente testardo, quando vuole.
“Ecco bravo,
così. Ora la mamma ti canta una canzone, che ne dici? Così fai ancora un po' di
nanna...”
Il generale
mugugna stizzito, ma non osa allontanarsi dalla donna e dal bambino: da una
parte perché, sotto sotto (ma così tanto sotto che quasi nemmeno se ne rende
conto lui stesso) sa che Mària ha ragione a rimproverargli di aver insistito a
uscire sotto quell’acquazzone - però è stato Mana a sollecitare quell’incontro -
e dall’altra perché (e pure questo non l’ammetterà mai) ama ascoltare la donna,
trova che abbia una voce eccezionale.
Quindi, quando
lei inizia a cantare, si lascia cullare volentieri anche lui dalle note di
quella malinconica e ormai familiare ninnananna.
“Soshite bouya
wa nemurini tsuite
Ikizuku haino
nakano hono o
Hitotsu,
futatsuto ukabu fukurami itoshii yokogao
Daichini taruru
ikusenno yume, yume
Ginno hitomino
yuragu yoruni
Umareochita
kagayaku omae
Ikuo kuno
toshitsukiga
Ikutsu inoriwo
tsuchihe kaeshitemo
Watashiwa
inoritsuzukeru mou kakonnokotoni aiwo
Tsunaidateni
kisu wo”
Anche Mana si
mette in ascolto, appoggiato al tronco umido del pino che lo nasconde alla vista
dei due. Non è la prima volta che la sente cantare quelle parole così piene
d'amore - benché fino a questo momento abbia potuto udirle solo da lontano - e
adesso si ritrova a seguirne il ritmo tamburellando le dita sulla corteccia.
Non vede l'ora
di tornare nella sua stanza e chiudersi dentro, per ricreare al pianoforte
quella melodia: parole della madre, note del padre... nessuno dei due lo vedrà
crescere, lo sa, e allora quale ricordo migliore da lasciare al proprio piccolo?
Appena lei
termina di cantare, il Noah fa un passo avanti, rendendosi visibile ma restando
al riparo sotto le fronde. “Si è addormentato, vedo…” sussurra.
Mària alza la
testa, un sorriso tenero che le increspa le labbra. È più di un mese che non
vede l'uomo che ama, nonostante ne abbia percepito più volte la presenza vicino
a sé e al bambino.
“Mana!” esclama
sottovoce di rimando, aumentando il passo e raggiungendolo per poi abbracciarlo.
Nella stretta calda dei genitori anche il piccolo Amiel sorride nel sonno,
sentendosi finalmente circondato dall'amore che gli spetta di diritto.
Il momento di
tenerezza, però, viene interrotto dal generale che ormai ha raggiunto la
coppia.
“Signori, mi
spiace interrompere la vostra bella rimpatriata familiare, ma vorrei ricordarvi
perché siamo qui...”
“Cross ha
ragione, Mària, è ora di donare al nostro bambino la sua nuova vita. Dobbiamo
farlo adesso, mentre è ancora protetto dal nostro amore, non quando sarà immerso
nella tristezza e nell'angoscia per la nostra morte. Così a livello conscio non
si ricorderà di noi, perché è ancora troppo piccolo, ma inconsciamente saprà di
essere stato amato da qualcuno.”
“Ma come farà?
All'orfanotrofio lo vestiranno e lo nutriranno, lo so, ma chi lo stringerà al
petto durante i temporali? Chi lo consolerà quando si farà male? Chi gli canterà
una canzone prima di metterlo a dormire?”
“Dobbiamo
fidarci della provvidenza, Mària, e sperare e pregare per lui. Per quanto
riguarda la ninnananna, invece, ho un'idea... che ne dici se registriamo la tua
voce su Timcanpy?”
“Davvero posso?”
“Certo, mia
cara! Gli sarà di conforto nei momenti bui, e assieme alla melodia che riporterò
su uno spartito gli tornerà utile quando sarà più grande. Ci ho pensato, sai, e
ho intenzione di lasciargli la mia Arca. Questa ninnananna sarà la chiave di cui
avrà bisogno per sbloccarla e utilizzarla a suo piacimento. Non avrà un futuro
facile, lo sappiamo entrambi, ma almeno così gli saremo d'aiuto anche se non ci
saremo più!”
“Oh, lo spero
tanto, Mana!” risponde lei, stringendo il figlio a sé.
“Ora però è
meglio muoversi, non abbiamo molto tempo... Tim, vieni qui! Segui Mària e
registra attentamente la canzone che lei ti canterà, d'accordo?”
Il golem dorato
annuisce e ghigna, prima di posarsi delicatamente sulla spalla destra della
donna che, dopo aver lasciato il bimbo al padre, si allontana di qualche passo
dai due uomini.
Osservo la scena
che si sta svolgendo davanti ai miei occhi con una (ormai quasi familiare)
sensazione di disagio: mi sento schifosamente di troppo, cazzo! Oltre al fatto
che sto invadendo un momento familiare privato, a darmi ancor più fastidio è che
loro non possano vedermi - se sapessero che sono qui, mi avrebbero già mandato
(giustamente) a farmi gli affari miei da un’altra parte… (ma non è solo questo…
[è che io momenti così non ricordo di averli mai vissuti]).
Stizzito,
d’istinto tiro un calcio al tronco di un albero, ma questo non fa che accrescere
la mia frustrazione quando il mio piede attraversa indifferente la corteccia.
Colto alla sprovvista, mi sbilancio all’indietro, finendo seduto a terra, senza
minimamente inzaccherarmi i vestiti di fango ed erba. Digrigno i denti e stringo
il pugno, sentendo con sollievo le unghie penetrarmi nel palmo.
Quando mi
rimetto in piedi, torno ad osservare il terzetto e noto che ora accanto a me
sono rimasti solo Cross e il Quattordicesimo (un generale e un Noah: se ci penso
quasi mi vengono i brividi [allora non è solo nella Sede Asia il marcio]); la
donna invece si è spostata, forse per registrare con più tranquillità nel golem
la ninnananna (tra l’altro anche quella melodia mi ricorda qualcosa… l’ho già
sentita da qualche parte, ma non riesco a capire dove […fottutissimi ricordi a
brandelli!]). I due uomini la osservano da lontano, mentre il padre (si chiama
Mana, vero?) culla piano il neonato.
Visto che, da
bravo gentiluomo qual è, Cross ha lasciato l’ombrello a Mària, l’esorcista si
accosta maggiormente all’altro per trovare un minimo di riparo dall’acquazzone
sotto la chioma del pino. Alza il bavero del cappotto e si scosta i capelli dal
viso, quindi fruga nelle tasche alla ricerca dell’ennesima sigaretta (sperando
poi di riuscire ad accenderla nonostante questa maledetta umidità).
Mana lo osserva
in silenzio e, quand’è il momento, gli porge la fiamma dell’accendino, il suo
tipico sorriso dolce e canzonatorio a increspargli le labbra.
Il generale tira
una profonda boccata di fumo, i lineamenti che si distendono per un attimo,
quindi punta gli occhi sull’amico.
“Ma… dimmi un
po’…” inizia infine, con un ghigno divertito “…cos’è questa bella storiella
dell’Arca bloccata?”
“Oh…?” l’uomo
sembra cadere dalle nuvole “Ah sì, lo scherzetto che ho fatto al caro signor
fratello, il Conte…” Al nominare il capo della famiglia Noah, istintivamente
Mana stringe un poco più a sé il figlio e la sua voce, di solito così leggera,
si fa cupa e seria. “Ti ho già raccontato cosa tentai di fare, purtroppo senza
successo, vent’anni fa, no? Quel che non sai è che, prima di mettere in atto il
mio piano, per cautelarmi creai una stanza segreta all’interno dell’Arca, di cui
solo io sono a conoscenza e alla quale si può accedere solo tramite Timcanpy. Lì
dentro è collocato un pianoforte, l’unico mezzo per controllare l’Arca stessa.
Ho deciso che le parole della canzone di Mària e la melodia che comporrò saranno
la chiave per sciogliere la mia maledizione. Li registrerò nella memoria di Tim,
so che ne avrai la massima cura.”
L’uomo si
interrompe e il suo sguardo si solleva dal bambino per perdersi lontano - oltre
la figura di Mària, oltre l’orizzonte, oltre quel luogo e quel momento. Vedendo
le iridi dorate brillare e farsi vacue, Cross non osa proferire parola: ha
capito che Mana sta esercitando uno dei poteri donatigli dalla sua memoria di
Noah, la capacità di leggere i segni del tempo per predire il futuro.
“Verrà il giorno
in cui il Distruttore busserà di nuovo alla porta di Millennio. Colui che
raccoglierà la mia eredità sarà più forte di me e porterà a compimento la mia
volontà, riuscendo dove io ho fallito.
Vorrei che quel
giorno tu fossi con lui, Marian: guida i suoi passi e conducilo nella mia
stanza, là dove io potrò manifestarmi in lui.”
“Certo che hai
delle belle pretese tu, eh?” sogghigna Cross, davanti alla richiesta del Noah.
Questi in
risposta gli sorride. “Fosse stato un compito semplice non avrei scelto te…”
replica poi, la voce tornata quella di sempre. Quindi abbassa nuovamente gli
occhi sul figlio, gli posa un bacio sulla fronte e lo porge all’esorcista.
“Marian Cross, ti affido Amiel. Quando il Conte mi troverà e riuscirà ad
uccidermi, farò in modo che sia questo bambino a ricevere le mie memorie. Già
fin d’ora, ma in particolar modo da quel momento in poi, ti chiedo di
proteggerlo finché giungerà il tempo in cui tutto sia compiuto.”
“Sarà fatto.”
assente il generale, annegando la sigaretta in una pozzanghera e prendendo il
bambino “Sai benissimo che sono d’accordo sul tuo progetto di liberare il mondo
dalle palle di lardo, quindi se questo marmocchio potrà essere utile allo scopo
lo terrò sotto controllo.”
Il sorriso di
Mana si allarga mentre accenna di sì con la testa. “Sapevo di poter contare su
di te. Ora va’, porta via Amiel prima che torni Mària: per lei sarebbe troppo
straziante essere presente al momento dell’addio. Registrerò la musica nella
memoria di Tim e poi lo manderò da te.”
Cross annuisce
con aria grave, quindi si allontana rapidamente, con il piccolo ancora
addormentato stretto tra le braccia.
Non ci credo…
quindi quella specie di ranocchietto urlante è l’erede del Quattordicesimo! E
per di più quel Noah se l’era scelto fin da quando era in fasce, anzi, forse
l’ha persin fatto nascere apposta per questo… pazzesco! (Cazzo, gli è andata
quasi peggio che a me…!)
Ehi, aspetta un
momento! L’attuale ospite delle memorie del Suonatore è il moyashi… vuoi dire
che questo bambino nel frattempo è morto e il ricordo di Noah si è trasferito in
Walker? Non ci credo: Cross sarà anche un anarchico che se ne fotte dei
regolamenti dell’Ordine (non lo biasimo), ma non permetterebbe mai che qualcuno
affidato alla sua custodia finisca all’altro mondo prima del tempo. E allora…
Merda, no! Quel
marmocchio non può essere Allen Walker… il moyashi non può essere il
figlio del Quattordicesimo! Eppure…
Prendo un
profondo sospiro, forzandomi a ragionare (per quel poco che mi è possibile senza
un minimo di certezza da cui partire) e mi copro gli occhi con la mano. Ogni mio
tentativo di concentrazione viene però gentilmente mandato a quel paese
dall’improvviso buio che scende più fitto (troppo fitto [non è normale!] oltre
le palpebra chiuse. Che cazzo succede adesso?!
Il vento soffia
forte, quando il generale arriva davanti alla porta dell'orfanotrofio. Non c'è
anima viva in giro, e anche dall'interno dell'edificio non si ode alcun rumore.
Il piccolo Amiel
dorme ancora nel momento in cui il fagottino che lo avvolge viene deposto
all'ingresso, al riparo dalla pioggia, attaccato ad un angolo della copertina un
pezzo di carta con quattro righe che riassumono la sua vita.
Ma il destino,
non contento di aver sottratto quell'anima ancora pura all'amore dei suoi cari,
sembra avere una gran voglia di accanirsi contro di lui. Infatti, appena il
generale si allontana con passo rapido per non esser visto, una raffica più
violenta delle altre strappa via il foglio e lo fa volare lontano, cancellando
in pochi secondi l'unica cosa che al bambino è rimasta: la sua identità.
Un tuono
rimbomba cupo nell'aria, svegliando il piccolo; i suoi vagiti richiamano sulla
soglia alcune delle suore che si occupano degli orfani, e il bimbo senza nome
viene portato all'interno della casa, mentre qualche decina di metri più in là
l’inchiostro si scioglie nella pozzanghera fangosa.
Vedendo quel
pezzo di carta trascinato via dal vento, d’istinto faccio due passi avanti,
nell’intento di recuperarlo o almeno di richiamare Cross (perché lo faccio?
[Perché so cosa vuol dire non avere più nemmeno il proprio nome]) - salvo poi
rendermi conto di quanto sia inutile un gesto del genere. Io non sono nulla qui,
in questo luogo e in questo tempo, qualunque essi siano (tra l’altro ci siamo
spostati di nuovo [sta diventando esasperante come faccenda]).
Osservo con una
vaga malinconia le suore che, quasi infastidite, raccolgono il fagotto e lo
portano all’interno (per loro è solo una bocca in più da sfamare). Chiunque sia
quel bambino, che sia Walker o no, non avrà certo una vita facile…
Prendo un
profondo sospiro, cercando di interpretare le sensazioni che sto provando. È
strano per me, ma mi sento come svuotato, senza più voglia né forza di far nulla
(non è poi così strano, sono solo passati molti anni da quando questo era il mio
stato d'animo usuale).
Accenno a
sedermi sulla panchina, ma ci rinuncio prima di finire per terra (non riesco
ancora a rendermi conto di essere un fantasma [che ingenuo sono! Come se fossi
mai stato qualcosa di diverso...]); scuoto la testa, innervosito, mettendomi ad
osservare le gocce di pioggia che continuano a martellare indifferenti la
pozzanghera sotto i miei piedi e mi preparo al prossimo cambio di scena:
qualunque sia il piano assurdo di quel Noah che mi sta mostrando questa
illusione, è evidente che ormai qui lo spettacolo è finito… non mi resta che
aspettare e vedere cosa ha in serbo per me quel bastardo.
La pioggia cessa
e le nuvole si aprono, lasciando passare i primi tiepidi raggi del sole di
primavera. Davanti all'edificio, circondato da un'alta cancellata in ferro
battuto mezza consumata dalla ruggine, iniziano a passare le prime carrozze
della giornata.
Una di queste
rallenta e si ferma, e il vetturino smonta in fretta e corre ad aprire la
portiera. Dal mezzo scende una signora elegante che con passo rapido oltrepassa
il cancello e suona alla porta. Il marito fa appena in tempo a raggiungerla;
l'uscio viene socchiuso e i due entrano nell'orfanotrofio.
Ne escono poco
dopo, felici e contenti, un bimbo di circa cinque anni tenuto per mano. Il
piccolo, che saltella allegramente tra i due, ha i capelli castani come quelli
della donna che ora lo sta prendendo in braccio: quasi non si direbbe che
l'abbiano appena adottato. Ha perfino gli occhi verdi come quelli del suo nuovo
papà...
Nel frattempo,
seminascosto dietro la tendina della stanza al pianterreno, un suo coetaneo
segue la scena con un'espressione seria, troppo adulta per l'età che dovrebbe
avere. Ma ne ha già visti tanti di bimbi che trovano una famiglia che li ami, e
lui sa che non sarà mai uno di loro.
In fondo, chi
vorrebbe mai un bambino senza nome, senza età e con un braccio malformato?
Sbuffa,
strofinandosi gli occhi con la manina destra, cercando di ricacciare indietro le
lacrime, poi abbassa la tenda e torna nel suo angolino solitario.
Non appena il
nuovo scenario si materializza davanti ai miei occhi, corrugo le sopracciglia,
perplesso: siamo esattamente nello stesso posto di prima (o almeno, credo...
[sì, l'edificio è lo stesso, sembra solo... più vecchio...]).
Dato che il
luogo è sempre quello, immagino che almeno il tempo sia diverso (altrimenti non
avrebbe senso! [Non che finora qualcosa l'abbia avuto...]). Mi guardo intorno,
alla ricerca di qualche elemento della natura che mi dica cosa è cambiato.
Quando avevo assistito all'abbandono del bambino, credo fosse piena estate - gli
alberi erano pieni di foglie e anche le suore indossavano abiti leggeri. Ora
invece i rami sono praticamente spogli, c'è solo qualche gemma o al massimo
qualche pianta in fiore... se fossimo in Inghilterra, questo sarebbe un
paesaggio primaverile...
Seguo per un
momento con lo sguardo la coppia che entra nell'orfanotrofio e ne esce poco dopo
con un bambino - che di primo acchito avevo scambiato per il figlio del
Quattordicesimo (l'idea mi fa un certo effetto), ma poi un movimento dietro la
tenda del pian terreno attira la mia attenzione: chi è che sta spiando quei due?
Non ho ancora
capito cosa voglia mostrarmi il burattinaio che ha organizzato tutto questo,
quindi tanto vale cercare di scoprirlo (almeno mi sembrerà di aver fatto
qualcosa di mia iniziativa). Attraverso velocemente il cortile e, dopo un attimo
di indecisione, mi butto attraverso il muro; mi ritrovo in quello che sembra un
salotto comune (somiglia vagamente a quello del vecchio quartier generale),
giusto in tempo per vedere uscire in tutta fretta un ragazzino minuto, castano
di capelli - e con un braccio paralizzato... ora so perché sono qui.
Con un accenno
di ghigno sulle labbra mi metto sulle tracce del bambino.
Non visto, o più
specificatamente ignorato, dal resto degli abitanti dell'edificio, il bimbo sale
le scale in direzione delle camere da letto. Sa che tutti gli altri piccoli sono
nel cortile interno a giocare e che quindi lì non ci sarà nessuno, e la cosa gli
sta bene. Preferisce stare da solo, piuttosto che sorbirsi gli sguardi
compassionevoli o rassegnati delle suore o le prese in giro dei ragazzini più
grandi. Si siede sul letto, le gambe raccolte al petto, e stringe il cuscino
sospirando.
In quel posto
nessuno lo accetta per quel che è. A nessuno importa di un bambino inutile come
lui.
La Madre
Superiora lo ripete spesso a tutti, che i loro genitori li hanno lasciati
all'orfanotrofio per regalare loro la possibilità di una vita migliore... Ma la
speranza di poter in futuro vivere il calore di una vera famiglia si fa ogni
giorno più fievole, nel cuore di quel bambino ora così poco amato. Eppure, si
chiede... dov'è il suo posto, se non lì?
Si perde nei
pensieri, ma si riscuote quando inizia a brontolargli la pancia. Già alcune
suore dicono che è solo un peso per l'orfanotrofio, se poi si mette a mangiare
due volte più degli altri bambini... per fortuna però la cuoca è sua amica, e
ogni tanto gli passa un panino o una focaccia di nascosto dalle religiose.
È quindi verso
le cucine che si sta dirigendo quando, passando davanti all'ufficio della Madre
Superiora, delle voci dai toni concitati lo fanno fermare a metà strada. Nel
silenzio completo del corridoio deserto sente chiaramente che stanno parlando di
lui, allora decide di rischiare e si avvicina un po' di più alla porta.
“Madre, con
tutto il rispetto, non possiamo più ignorare la questione…”
Il piccolo
riconosce chiaramente in quel tono ansioso la voce nasale di quella novizia
magrolina che passa metà del tempo in chiesa a pregare e l’altra metà a guardare
tutti dall’alto in basso.
“Sorella, si
calmi. Di cosa sta parlando?” la direttrice dell’orfanotrofio, una donna
imponente, vicina alla sessantina, risponde con un profondo sospiro.
“Ma di quel
bambino con il braccio paralizzato!” esclama la suora più giovane, agitata “Mi
aveva sempre suscitato profonda inquietudine, però ovviamente la carità
cristiana ci chiede di amare tutti i fratelli, soprattutto i più piccoli e i più
sfortunati, quindi non ne avevo mai fatto menzione. Tuttavia ora…”
“Ora cosa,
sorella?”
“Ecco, l’ho
visto questa mattina, mentre si lavava alla fontana su retro. Madre, avesse
visto la pelle di quel braccio! È violacea, spessa e screpolata, come se fosse
un’unica estesissima bruciatura… è orribile a vedersi!”
“Sorella! Come
può dire certe cose di un bambino…” la rimprovera la suora più anziana. Ciò
nonostante, si coglie nel fondo del suo tono un certo malcelato disgusto per
quanto la consorella sta riferendo.
“Mi perdoni
Madre, più tardi andrò in chiesa a dire un Pater e un Gloria per
purificarmi. Prima però mi permetta di concludere.”
“Che c’è
d’altro?”
“La cosa più
terribile, Madre, è la mano di quel bambino! La sua mano sinistra porta sul
dorso una croce nera!” esclama scandalizzata la giovane religiosa “Capisce Madre
Superiora? Una croce! Il simbolo del martirio di Nostro Signore marchiato a
fuoco sulla mano e nel colore del demonio! E se quel piccino - Dio ce ne scampi
e liberi! - fosse posseduto?!”
Il bimbo fa un
passo indietro, gli occhi sgranati e la mano davanti alla bocca per soffocare il
grido che, spontaneo, gli sta per sfuggire.
Ha paura, una
paura tremenda, adesso. La Madre Superiora non ha mai perso occasione per
ricordare a lui e a tutti gli altri bambini che a ogni più piccola marachella
corrisponde sempre una punizione esemplare. Cosa potrebbe capitargli di tremendo
se le suore fossero d'accordo con la novizia?
Non è posseduto
dal diavolo, lui, o almeno non lo crede... Lo sguardo gli cade subito sulla
croce che spicca sul dorso della sinistra, ma lo strano bagliore che questa
emana nella penombra per lui è confortante, non è certo qualcosa di demoniaco!
È vero, il suo
braccio immobilizzato non è bello a vedersi, ma è anche lui una creatura di Dio,
no? Gliel'hanno spiegato loro! E tutte le creature di Dio hanno il diritto di
essere amate, per quanto imperfette, no?
E allora perché?
Perché questo astio nei suoi confronti? Cos'ha fatto lui, di male?
Grossi lacrimoni
cominciano a scendergli per le guance, quando gira sui tacchi e inizia a correre
giù per le scale. Non vuole restare in quel posto un momento di più. Tanto non
gli servirebbe, no? Nessuna famiglia lo adotterà, tanto vale cercare altrove
quello che lì non arriverà mai...
È con questa
determinazione e un pizzico di fortuna che riesce ad eludere la sorveglianza di
una delle suore e uscire in giardino, proprio mentre il postino sta per
richiudere il cancello.
A nulla servono
le grida dei bambini, che hanno visto la sua fuga e strepitano per richiamare
l'attenzione delle religiose.
Il piccolo dagli
occhi grigi pieni di lacrime corre veloce come il vento, e in pochi istanti è
sparito nel dedalo di vie che conduce al centro città.
È solo quando il
bambino scompare dalla mia vista che mi rendo conto di essere rimasto senza
parole.
Non ho sentito
tutto il dialogo delle suore, ma l’ultima frase di una delle due mi è bastata
per detestarle. Non che la mia esperienza mi abbia portato ad avere sconfinata
fiducia nelle religiose, ma per lo meno volevo illudermi che il marcio della
Chiesa fosse concentrato tutto nell’Ordine e non presente ovunque in qualsiasi
parrocchia o orfanotrofio… che ingenuo che sono! Da dove mi vengono fuori certi
pensieri? (Probabilmente l’essere sospeso in questa sorta di limbo, senza nessun
tipo di appiglio, razionale né tantomeno fisico, per capirci qualcosa di più, mi
induce a cercare certezze nel mio passato… pessima mossa, vista la merda che è
stata la mia vita [ma anche quel ragazzino potrebbe quasi farmi concorrenza])
Scuoto la testa,
cercando di mettere a tacere la confusione che mi sta montando dentro. Non è il
tempo né il momento adatto per lasciarsi andare a riflessioni del genere.
L’unica cosa su cui devo concentrarmi è riuscire ad uscire di qui…
Se davvero quel
piccoletto è la ragione per cui sono stato catapultato in questa illusione
(perché di questo si tratta [anche se finora l’ho negato, forse per… paura?]),
devo stargli alle calcagna e capire per quale dannato motivo vogliono mostrarmi
la storia della sua vita.
Sto per gettarmi
al suo inseguimento (corre maledettamente veloce e io non so orientarmi qui
[nemmeno so dove siamo!]), quando all’improvviso la scena davanti ai miei occhi
si offusca.
…e ora che cazzo
succede?!
L'aria si fa
improvvisamente più fredda, il cielo grigio e pieno di neve.
Nel fioco
chiarore del mattino le stradine quasi deserte sembrano risplendere,
l'acciottolato reso lucido dai fiocchi appena caduti ma che non hanno ancora
attecchito.
Le poche persone
che si sono avventurate all'esterno camminano rasenti al muro, il vento gelido
dell'inverno che sferza loro il viso, costringendole a tenere lo sguardo basso
per procedere più speditamente.
Lungo una di
quelle stradine che portano verso i confini della città sta correndo un
ragazzino di circa sette anni, i capelli castani troppo lunghi legati alla
bell'e meglio dietro alla nuca e un sacchetto più grande di lui tra le braccia.
Sta correndo a perdifiato, sotto la neve che sta ricominciando a cadere
inumidendogli i vestiti troppo leggeri per quel clima, verso un'area poco fuori
dal centro urbano dove un circo itinerante ha da un paio di settimane stabilito
la sua sede temporanea.
Certo nessuno si
aspetterebbe una velocità simile da un bambino così gracile, eppure riesce
comunque a continuare la sua corsa. È in ritardo per le consegne, e il timore di
perdere quel lavoretto, unica sua fonte di sostentamento negli ultimi tempi, lo
fa correre se possibile più forte.
È stato un colpo
di fortuna incrociare per caso il proprietario del circo, e ancora di più il
fatto che questi abbia ascoltato e accolto la sua richiesta per un lavoro
onesto... dopo anni passati a girare per le città e a mantenersi con furtarelli
e lavoretti occasionali, numerosi rifiuti e altrettanti «inviti ad allontanarsi»
(che arrivavano puntuali, conditi da urli più o meno scandalizzati, alla vista
del braccio sinistro ancora immobilizzato), forse per una volta la ruota della
fortuna sta iniziando a girare per il verso giusto.
Appena arriva
vicino alle prime tende, il ragazzino si ferma e riprende fiato, poi si dirige
sicuro verso la roulotte destinata a cucina.
Anche oggi, se
consegnerà tutti i pasti per tempo e senza fare errori, potrà contare sul suo
solito pezzo di pane.
Ok, e adesso
dove diavolo sono finito?
Mi porto le mani
alle tempie, chiudendo gli occhi e prendendo un profondo respiro, nel tentativo
di rimettere ordine nei miei pensieri. Questi continui e repentini cambi di
scena mi stanno confondendo in maniera incredibile…
Va bene,
proviamo a focalizzare la situazione attuale. Mi guardo attorno, scoprendomi
alla periferia di una grande città (ma ovviamente sarebbe troppa grazia trovare
anche solo un cartello o una fottutissima indicazione di sorta che mi permetta
di dire in quale città sono!), in un periodo che, a giudicare dal
nevischio, è sicuramente inverno. Osservando le porte dei palazzi, tutti uguali,
che si susseguono uno accanto all’altro senza soluzione di continuità, noto poi
delle striminzite decorazioni sui toni del rosso e dell’oro: al Quartier
Generale di solito facevano una cosa del genere durante il periodo natalizio…
devo dedurre quindi che siamo attorno a Natale? Ammesso e non concesso che sia
così, questo non mi risolve il problema: diciamo che sia dicembre, ok, ma di
quale maledetto anno?!
Le mie
elucubrazioni mentali (e tutte le imprecazioni annesse) vengono però bruscamente
interrotte quando un ragazzino dalle fattezze vagamente familiari mi passa
davanti (quasi attraversandomi [che sensazione straniante!]), correndo a
perdifiato verso la campagna. Osservo per un attimo la sua schiena minuta e le
gambe magre, prima di accorgermi del braccio che gli pesa rigido lungo il fianco
- non l’ho visto in faccia, ma non può essere una coincidenza il fatto di aver
incontrato un moccioso con il braccio sinistro paralizzato… lui dev’essere il
bambino che sto seguendo (il figlio del Quattordicesimo [Walker?]).
Inizio a
corrergli dietro, considerando nel frattempo che sembra cresciuto rispetto a
quando l’ho visto scappare dall’orfanotrofio. Quanto tempo sarà passato? E
soprattutto cosa ci fa qui da solo?
Se davvero lui è
chi penso io e Cross e quel Noah hanno dei progetti così grandiosi su di lui (è
destinato a raccogliere le memorie del Suonatore, no?), mi sembra assurdo che
l’abbiano lasciato crescere in queste condizioni, col rischio che muoia da un
momento all’altro… davvero, non capisco!
Un attimo dopo,
però, i miei dubbi ricevono risposta quando vedo il ragazzino entrare
nell’accampamento di un circo itinerante; appena lui è scomparso in una delle
roulotte, da una tenda un poco discosta dalle altre sbuca un viso a me noto. Ora
mi è tutto più chiaro…
Il ragazzino
corre avanti e indietro, uscendo ed entrando in ognuna delle roulotte, facendo
la spola tra le «camere» degli artisti e la cucina, e nel giro di mezz'ora tutti
i membri della compagnia hanno ricevuto la loro colazione.
Ha lavorato
bene, e si è meritato la sua parte. Felice, nascondendo un piccolo sorriso
soddisfatto sotto l'espressione scostante e truce che è ormai abituato a
utilizzare con gli sconosciuti, esce un'ultima volta dalla tenda del cuoco con
un'intera pagnotta un po' rinsecchita tra le mani. Ora deve solo trovare un
angolino tranquillo dove sedersi e riempirsi lo stomaco.
Gironzola per un
po', curiosando non visto tra le varie attività del cast, poi va ad accomodarsi
su una delle casse dietro al tendone.
È così
concentrato a gustarsi il suo pezzo di pane che non si accorge dell'intruso: un
cane dal pelo raso bianco a macchie marroni, con un collarino da pagliaccio al
collo, lo sta osservando con occhi dolci sperando in una parte di quel magro
pasto.
Il ragazzino lo
fissa per un po', masticando il pane, poi preso da un'improvvisa ispirazione
allunga la mano sinistra verso di lui. Con suo sommo stupore il cagnolino non si
spaventa, anzi: si avvicina sicuro e gli lecca le dita, per poi sdraiarsi ai
suoi piedi.
Quel cagnolino è
il primo ad accettarlo così com'è, a non giudicarlo per quell’arto poco
«normale». Quel cagnolino è il suo primo vero amico, e il ragazzino è più che
felice di dividere il suo pane con lui.
Mangiano assieme
in silenzio, e quando il pane finisce il bambino si alza per tornare in città.
Il cagnolino, dal canto suo, gli lecca un'altra volta la mano come a salutarlo
prima di trotterellare verso la roulotte del suo padrone.
Il giorno
successivo il bambino è di ritorno, in quell'angolo riparato dagli occhi della
gente, alla ricerca del suo nuovo amico a quattro zampe. Sa che lo troverà lì
nei dintorni - il collarino da clown uguale a quello del suo compagno umano lo
rende un membro della compagnia a tutti gli effetti.
Il ragazzino
l'ha anche visto, nel pomeriggio, mentre seguiva dentro il tendone principale
quell'uomo alto con i vestiti colorati e la faccia dipinta. In quel momento,
quando l'ha visto saltare e giocare allegramente con il suo padrone, ha provato
un po' di invidia nei suoi confronti, ma il sentimento è stato subito sostituito
dalla consapevolezza che quel cane è diventato anche suo amico. Questo significa
che avrebbero potuto giocare assieme, correre assieme per le vie e lui avrebbe -
perché no? - potuto accarezzarlo di nuovo con quella mano così spaventosa
davanti alla quale la bestiola, prima in assoluto, non ha reagito con rabbia o
paura.
Il bambino gira
attorno alle casse, dietro al tendone, sperando ogni istante di vedere spuntare
dal nulla il suo nuovo amico.
Niente.
Allora si
incupisce e inizia a prendere a calci i sassi che delimitano la stradina,
maledicendo il proprio infantile quanto stupido entusiasmo. Avrebbe dovuto
aspettarselo, in fondo. Quella che aveva spinto il cane a leccargli la mano era
solo curiosità, se non pietà vera e propria. Nessun sentimento di amicizia,
niente.
Si morde la
lingua per non piangere.
Possibile che
quell'antipatico di Cosimo avesse ragione? Il lanciatore di coltelli l'aveva
avvertito fin dal primo giorno, quando il ragazzino si era presentato al circo
in cerca di un lavoro, ma lui aveva deciso di ignorare le insinuazioni cattive
di quell'uomo violento e incapace. Ora però le sue parole gli ritornano alla
mente.
«Nessuno vuole
essere amico di un moccioso sbagliato come te.» gli aveva detto in
quell’occasione - e gliel'aveva ripetuto spesso e volentieri, ogni volta che lo
aveva visto gironzolare per il campo a distribuire il pranzo alla compagnia.
Il ragazzino
scuote la testa, rifiutandosi cocciutamente di credergli, e poi sbuffa, creando
con il fiato delle piccole nuvolette bianche nella fredda aria del mattino. Dare
ragione a quell'uomo significherebbe gettare la spugna. Rinunciare... alla
ricerca di un po' d'amore.
Le mani in tasca
e lo sguardo fisso a terra, il ragazzino gira attorno al tendone, finendo nella
zona delle roulotte. E lì finalmente lo trova, il suo nuovo amico. Sdraiato,
immobile, nella piccola fossa appena scavata dal suo padrone.
Vederlo così
malconcio, ricoperto di lividi, lascia il bambino sgomento. Ma lui manda giù e
tira avanti: nella vita chi si ferma è perduto...
Non riesce però
a evitare di avvicinarsi alla piccola bestiola almeno per un ultimo, inespresso
saluto.
Si affianca
quindi al pagliaccio, ormai ex padrone di quel piccolo quattrozampe dagli occhi
gentili, e non riesce a non commentare la triste fine del cagnolino, che l'ha
colpito più di quanto sia disposto ad ammettere.
“È morto?”
“È morto.”
“...è pieno di
lividi.”
Solo il silenzio
e il sibilo del vento seguono il breve scambio tra i due.
Il pagliaccio
ricopre la bestiola con del terriccio, e sulla montagnola ancora fresca deposita
la pallina che avevano utilizzato per i loro spettacoli. Il bambino, seduto
vicino a lui, lo osserva pulirsi le mani dal terriccio e mormorare un paio di
preghiere.
“È stato Cosimo,
ci puoi scommettere, perché il pubblico preferisce voi due a lui. Odia quelli
che sono meglio di lui. Non è capace di fare praticamente nulla, quello, tranne
prendersela con i più deboli.”esclama
improvvisamente il bambino.
“Era un cane
vecchio, non sarebbe comunque vissuto ancora a lungo. Va tutto bene.”
Il ragazzino lo
guarda di sbieco, i gomiti sulle ginocchia e la testa appoggiata al palmo della
destra.
“...hmm. Non ti
vuoi vendicare?”
“Se lo facessi
verrei sbattuto fuori senza essere nemmeno pagato. Non faccio propriamente parte
del gruppo, dopotutto. Domani è Natale, dopodomani prenderò armi e bagagli e me
ne andrò da un'altra parte...”
“Capisco.”
Ancora silenzio,
tra i due, fino a quando il pagliaccio volta nuovamente il viso verso il piccolo
sconosciuto.
“Hmm? Comunque,
voi chi siete?”
“Faccio
lavoretti qua e là, ti ho anche portato la cena…”
“Ho una pessima
memoria per i visi. Oh, cielo! Siete pieno di lividi anche voi, vero?”
Il ragazzino ha
lo sguardo perso verso l'orizzonte, e si prende un gran spavento quando l'uomo
gli sfiora la guancia con un dito umido di saliva.
“Uah, che
schifo! Non mi toccare con la tua saliva, idiota!”
“È
disinfettante. Cosimo ha picchiato anche voi?”
“Taci.”
Il bambino non
vuole parlare di Cosimo. Quell'uomo gli dà sui nervi! Il suo passatempo
preferito è rendere un inferno la vita di chi lo circonda, e con lui non ci è
certo andato leggero.
“Non avete
amici?”
Il clown
continua con le sue domande inopportune, e si accorge subito di aver toccato un
tasto delicato: il bimbo si arrabbia, esplodendo con la furia di un leoncino
appena fatto prigioniero.
“Taci! Quando
sarò più grande... appena sarò forte abbastanza lascerò questo posto, quindi non
ho bisogno di amici.”
L'uomo cerca di
calmarlo con l'unico mezzo che ha: le pagliacciate. Storta la faccia in una
smorfia assurda, ma la reazione dell’altro è incredibilmente piatta.
“Ma che stai
facendo?”
“Non lo trovate
divertente?”
“Scusa, ma non
mi piacciono i pagliacci e robe del genere. Anzi, li odio.”
“Oh, cielo. Beh,
io odio le folle e i bambini che non ridono.”
“Hmph... “
Ancora silenzio.
Tornano entrambi, per l'ennesima volta, a contemplare la piccola tomba del loro
amico comune.
“Non... non
piangi? Ha vissuto con te per tanto tempo, no? Non sei triste?” chiede il
bambino, curioso.
“Sono così
triste che potei morire…”
Un movimento
rapido, e il clown fa finta di impiccarsi all'albero lì accanto. Anche stavolta
il ragazzino la prende male.
“Finiscila!”
Allora l'uomo
toglie la corda dal ramo, riavvolgendola piano, e fa vedere per la prima volta
al mondo il suo lato serio. “Ma non posso piangere. Forse le mie lacrime si sono
asciugate tutte. Non scendono.”
Parole tristi,
quelle, cariche di una rassegnazione figlia della disperazione prolungata. Come
se avesse perso tanto tempo prima una cosa per lui preziosa, e non avesse più
speranza di ritrovarla. Una cosa inconcepibile, per un bambino che non ha avuto
niente e intende lottare fino alla fine per avere qualcosa.
“Bah, che
c'entra... Com'è che si chiamava? Mi ha solo leccato la mano, ieri, la sua
lingua era calda...”
Un gesto
semplice, breve anche se colmo di sentimento.
“...e allora
perché sto piangendo per lui?”
Al solo ricordo
della tiepida lingua dell'animale sulla sua mano - ai suoi occhi un immenso
gesto di fiducia e accettazione - basta poco perché la maschera ostile del
ragazzino si sciolga come neve al sole.
E lui torna ad
essere quello che in realtà è, un semplice bambino di nemmeno otto anni che come
tutti prova sentimenti ed emozioni e che adesso piange e soffre per la perdita
di un amico.
Il clown lo
lascia sfogare per un po’, osservandolo in silenzio, la tristezza che affiora
appena sotto la biacca e il trucco sgargiante del suo viso - che pianga, quel
piccino che ancora può farlo (che pianga finché può farlo). Lui invece, con la
vita che ha fatto e che si è condannato a fare, non può permettersi il lusso di
versare lacrime. I pagliacci non piangono, no? Altrimenti che pagliacci
sarebbero?
“Capisco…”
mormora dopo un po’, parlando più a se stesso che all’altro “…quindi anche tu
eri amico di Allen.”
Sentendo la voce
quieta dell’uomo, il bambino si calma un poco (se non altro perché vuole capire
cosa sta dicendo quel tizio - non che gliene importi granché, eh!). Tira su col
naso e, asciugandosi scontrosamente le lacrime, si volta verso di lui,
incontrando l’ampio sorriso color ciliegia del clown.
“Si chiamava
Allen.” ripete questi, accennando alla piccola tomba “E voi come vi chiamate,
signore?” continua poi, il tono tornato quello scanzonato che usa sempre sul
palco durante gli spettacoli.
“... io non ce
l'ho, un nome, nessuno me ne ha mai dato uno e non ne ho mai avuto bisogno.
Nessuno ha mai voluto parlare con me, finora, tu sei il primo. Tu come ti
chiami?”
Davanti a quelle
parole cariche di dissacrante cinismo e infinita amarezza, il clown si sente
stringere il cuore. Avrebbe sicuramente provato compassione per un bambino tanto
solo da non aver mai avuto bisogno nemmeno un nome, ma il suo dolore è
amplificato all’infinito di fronte a questo bambino in particolare. Perché in
realtà lui sa benissimo chi è questo bambino, conosce il suo nome e le sue
origini, sa tutto anche di quel braccio deforme che di certo tanta parte ha
avuto nella sventura del piccolo. E sa tutto per il semplice fatto che questo
bambino è suo figlio.
Quando l’ha
visto per la prima volta, il suo istinto di padre gli ha subito fatto sorgere il
dubbio (la segreta speranza che l’attesa fosse finita, che l’avesse finalmente
ritrovato), un dubbio poi dissipato quasi del tutto nel momento in cui i suoi
occhi hanno notato l’arto paralizzato e si sono specchiati in quelli grigi del
bimbo - gli stessi occhi della sua amata Mària. Ma la definitiva conferma che
quel ragazzino gracile e tenace fosse davvero il suo Amiel l’ha avuta solo la
sera precedente, quando Timcanpy si è intrufolato nella sua tenda portando (per
la prima volta dopo due anni) un messaggio di Cross, in cui l’esorcista
riepilogava per sommi capi gli eventi degli ultimi 24 mesi.
“Ehi! Ti sei
incantato? Ti ho chiesto come ti chiami!” la voce impaziente del ragazzino
riscuote il clown assorto nei suoi pensieri.
“Oh cielo, vi
chiedo perdono!” esclama, rimettendo su il suo solito sorriso “Il mio nome è
Mana Walker, piacere di conoscervi!” si presenta quindi, facendo un ampio
inchino. Vorrebbe dirgli la verità - abbracciare Amiel e dirgli che in realtà
lui un nome ce l’ha, che non è più solo perché suo padre ora è finalmente con
lui, tuttavia Mana sa di non poterlo fare: se cedesse al proprio egoismo dicendo
la verità al bambino, ne farebbe solo un bersaglio facile ed immediato per il
Conte.
Non è ancora il
momento, Amiel non è ancora pronto per sfidare Millennio. Il progetto che lui e
Cross hanno su quel piccino è ambizioso e richiede tempi lunghi, ma il Noah è
certo che alla fine avrà successo.
Il bambino torna
con lo sguardo alla tomba del cane.
“Hmph, piacere
di conoscerti, signor Mana Walker. Senti un po', aveva un bel nome, il tuo
cane... secondo te posso prenderlo in prestito, almeno per un po'?”
Lo chiede quasi
sussurrando, quasi vergognandosi. Eppure con quell'uomo ci sta parlando,
quell'uomo non gli ha urlato contro né l'ha picchiato, quindi quell'uomo può
essere considerato suo amico. Deve chiederglielo. Un nome gli serve, adesso.
Mana rimane un
po’ spiazzato dalla richiesta del piccolo, ma anni di pratica sul palcoscenico
(al circo e, ancor più indietro, in quella che suo malgrado è stata la sua
famiglia per lungo tempo prima di tradire) gli consentono di non far trapelare
alcunché.
Vorrebbe ridare
al figlio lo stesso nome che gli donò la notte della sua nascita, ma si rende
conto che imporgli una scelta del genere risulterebbe perlomeno sospetto. Quindi
sorride affabile. “Credo che Allen sarebbe felice di sapere che voi usate il suo
nome.”
No aspetta, ho
capito bene?! Allen era il nome del cane del Quattordicesimo?! E il moyashi se
l’è preso non ricordandosi il suo nome vero…
Sento come un
pugno nello stomaco e una stretta al cuore che, in questa realtà così irreale ed
evanescente in cui sono costretto, fanno forse ancora più male.
Un altro nome al
posto di quello vero dato dai genitori… ‘fanculo, quanto mi è familiare come
sensazione! Anch’io non ricordo il mio vero nome, quello che portavo nella mia
vera vita. E ora ho solo questo nome vuoto che mi è stato imposto quando sono
uscito da quella pozza, un nome non mio per un corpo non mio… un nome che odio
sentir pronunciare, proprio perché è il nome di uno strumento creato unicamente
per un fine superiore. Come nel suo caso.
Allen Walker,
figlio naturale di Mana Walker, il Noah conosciuto come Quattordicesimo, ed
erede della memoria del Suonatore.
Dannazione, non
avrei mai creduto che io e il moyashi potessimo essere così fottutamente simili…
quel ragazzetto mi somiglia persino nei modi di fare - sempre cupo e incazzato
col mondo, come mi diceva quell’idiota di Alma (mi fa ancora male pensarci
[vorrei non aver visto come l’hanno ridotto… bastardi!])
Eppure il
moyashi che conosco io è identico proprio ad Alma, non ha niente a che spartire
con me… ora voglio davvero capire cosa l’ha fatto cambiare così tanto.
Tsè, penso che
questo spettacolo assurdo da qui in avanti si farà interessante…
Il bambino non
risponde subito alle parole del pagliaccio, dentro di sé è tutto un rimescolio
di emozioni nuove che minacciano di travolgerlo. Ha anche lui un nome,
finalmente, e la felicità rischia di fargli crollare nuovamente la maschera
ostile con cui si protegge dal mondo. Allora si alza in piedi e si allontana di
qualche passo, dando le spalle all'adulto, e quando solo il sole appena uscito
dalle nubi può vederlo, si rilassa e si concede di regalare al cielo azzurro uno
dei suoi rari sorrisi.
“Ok, da oggi io
mi chiamo Allen.” ripete, voltandosi indietro, l'onnipresente smorfia scocciata
di nuovo sul viso.
“Bene, Allen,
che ne direste di venire con me, dopodomani? Mi sembra che nulla vi leghi a
questo posto, potremmo girare il mondo assieme. Vitto e alloggio in cambio di
compagnia e magari una mano con il lavoro... ci state?”
Il bimbo sgrana
gli occhi grigi alla strana proposta del pagliaccio. Non sa perché, ma sotto
sotto sente che si può fidare di lui. E che non abbia nulla da perdere lasciando
quel posto... beh, è la pura verità - Cosimo non gli mancherà di certo!
Sta per
ribattere, quando il clown sembra leggergli nella mente: gli si inginocchia
davanti, invitandolo a montargli in spalla.
“Saltate su! Vi
porto a fare il giro del campo e a vedere la vostra nuova casa, poi inizieremo a
fare i bagagli!”
Alzando gli
occhi al cielo per il comportamento dell'uomo, che si ostina a trattarlo come un
moccioso di cinque anni, il piccolo tentenna un attimo prima di fare come gli è
stato detto.
Il pagliaccio si
alza in piedi con il suo nuovo carico, e comincia a camminare. Cullato dal
movimento, le palpebre del piccolo cominciano ad abbassarsi.
Riesce solo a
mormorare un “Però smettila di darmi del voi, ok? È stupido...”, prima di cadere
in un sonno profondo e senza sogni.
PREVIEW:
Capitolo 3 -
Levò la
sua mano e compì meraviglie e la voce di uno che gridava mostrò la via del
Signore
“Mana? Dopo ci
fermiamo a giocare un po'? Possiamo giocare all'alfabeto segreto come l'altro
ieri! Era divertente!”
L'uomo non
risponde, ricomincia semplicemente a camminare. Poi il silenzio della strada
viene infranto dal rumore di zoccoli di cavallo che scheggiano i ciottoli sotto
la neve, il fracasso di ruote che si avvicinano a tutta velocità.
[...]
Lo scheletro si
illumina di una luce inquietante, mentre sotto il pentacolo rovesciato disegnato
sulla fronte di quello strano essere una penna invisibile traccia il nome di
Mana.
Davanti alla
creatura che inizia a muoversi, lo sconosciuto ghigna, godendo anche
dell’espressione incredula del bambino: il suo perfido piano si sta compiendo
ancora una volta.
[…]
Sono
sinceramente senza parole, quel che è assurdo è che non so bene nemmeno io
cosa mi lasci più sbalordito tra tutto quel che ho visto - se sia l’aver
assistito per la prima volta alla (mancata) nascita di un akuma ([la credulità
umana] è un qualcosa di tremendo), se sia il cinismo con cui il Conte del
Millennio sfrutta la disperazione di chi ha perso tutto (ma da questo punto di
vista non è affatto il solo…) o se piuttosto a sconvolgermi (perché sono
sconvolto, devo ammetterlo) sia stato lo scoprire la tragedia che Walker (ora
non ho più il minimo dubbio che sia lui [ecco da dove vengono la cicatrice e
quei capelli bianchi]) cela nel suo passato (dietro il suo sorriso).
IL POST-IT DELLE
AUTRICI
Come detto in
precedenza, elenchiamo di seguito tutte le citazioni contenute nel capitolo che
avete appena letto.
-Il
titolo: si tratta di una citazione dal Salmo 117, precisamente nei versi in cui
recita “La pietra scartata dai costruttori / è divenuta testata d`angolo”
-La
ninnananna di Maria: si tratta di Tsunaida Te Ni Kiss Wo (altrimenti
detta Musician’s Score o Canzone del 14esimo). È la canzone che nell’ep. 93
dell’anime si sente risuonare nell’Arca mentre Allen esegue la melodia al
pianoforte. Nel manga il testo completo è riportato nel cap. 135, pag.11
So, as the boy fell to sleep,
The fire in the ash engulfs the air.
One by one, what rises and grows large are my beloved profiles.
What trickles down to earth are thousand of dreams… dreams…
On the night when silvered eyes were trembling, what came to born was
you, as you shined.
No matter how many times the ever-passing time returns the prayers back
to earth:
I will never cease to pray.
Oh please, show this child what love is.
Please, give a kiss on his hand you hold.
Così,
dopo che il bambino si è addormentato,
Il fuoco
sotto la cenere inghiotte l’aria.
Uno dopo
l’altro, ciò che nasce e cresce sono i miei amati volti.
Ciò che
cade sulla terra sono migliaia di sogni… sogni…
Nella
notte in cui gli occhi d’argento tremavano, tu nascesti nel tuo
splendore.
Non
importa quante volte lo scorrere infinito del tempo riporterà sulla
terra le preghiere:
Io
continuerò a pregare.
Ti prego,
mostra a questo bambino che cos’è l’amore.
Ti prego,
bacia la sua mano che stringi nella tua.
Ovvimente, tutti
i diritti sul testo di Tsunaida Te Ni Kiss Wo (trad. ufficiale:
Please, Give a Kiss to His Hand You Hold), appartengono all'autrice Yumi
Mitora Kusakurin. Noi ci siamo permesse di utilizzarla (di nuovo) traducendola.
-
“È morto?”
Cap. 166, pag. 01
-
“È morto.”
“…è pieno di
lividi…”
Cap. 166, pag. 02
-
“...hmm. Non ti vuoi vendicare?”
“Se lo facessi
verrei sbattuto fuori senza essere nemmeno pagato. Non faccio propriamente parte
del gruppo, dopotutto. Domani è Natale, dopodomani prenderò armi e bagagli e me
ne andrò da un'altra parte...”
“Capisco.”
Cap. 166, pag. 03
-
“Hmm? Comunque, voi chi siete?”
“Faccio lavoretti
qua e là, ti ho anche portato la cena…”
“Ho una pessima
memoria per i visi. Oh, cielo! Siete pieno di lividi anche voi, vero?”
“Uah, che schifo!
Non mi toccare con la tua saliva, idiota!”
“È disinfettante.
Cosimo ha picchiato anche voi?”
“Taci.”
“Non avete
amici?”
“Taci! Quando
sarò più grande... appena sarò forte abbastanza lascerò questo posto, quindi non
ho bisogno di amici.”
Cap. 166, pag. 04
-
“Ma che stai facendo?”
“Non lo trovate
divertente?”
“Scusa, ma non mi
piacciono i pagliacci e robe del genere. Anzi, li odio.”
“Oh, cielo. Beh,
io odio le folle e i bambini che non ridono.”
“Hmph... “
“Non... non
piangi? Ha vissuto con te per tanto tempo, no? Non sei triste?”
Cap. 166, pag. 05
-
“Sono così triste che potei morire…”
“Finiscila!”
“Bah, che
c'entra... Com'è che si chiamava? Mi ha solo leccato la mano, ieri, la sua
lingua era calda...”
“Ma non posso
piangere. Forse le mie lacrime si sono asciugate tutte. Non scendono.”
Cap. 166, pag. 06
-
“...e allora perché sto piangendo per lui?”
“Capisco…”
“…quindi anche tu eri amico di Allen.”
Cap. 166, pag. 07
Le citazioni del
manga sono nostre traduzioni dalle scan inglesi presenti su Onemanga, da cui
provengono anche i riferimenti di pagina.
Per questo
capitolo è tutto! Se avete un qualsiasi dubbio, chiedete pure!
Capitolo 3 *** Levò la sua mano e compì meraviglie e la voce di uno che gridava mostrò la via del Signore ***
L
L’ANGOLO DELLE
AUTRICI
Ed eccoci di
nuovo qui con il terzo capitolo di Hachisu no Yume. Come vi avevamo
promesso il mese scorso, abbiamo riflettuto sulla possibilità di far confluire
anche questa storia nella Yullen Saga che stiamo componendo; ebbene, alla luce
di quanto accaduto nella Night 195 (mamma mia che roba! Io personalmente sono
sconvolta… ndMistral), possiamo dire che non ci sono elementi contrari
all’inserimento di Hachisu nella serie. La Sensei non ha confermato né
smentito la nostra versione dei fatti, sia per quanto riguarda la possibilità
che Kanda abbia visto i ricordi di Allen, sia rispetto al passato del moyashi.
Ne consegue che la nostra storia non viola il principio fondante del missing
moment (non contrasta con gli avvenimenti successivi e non li influenza
apertamente), quindi ci sentiamo di definirla tale ^^
Rispetto alla
consecutio temporum delle Yullen, comunque, Hachisu sarà la quinta della
Saga; inizieremo a lavorare nei prossimi mesi all’anello di congiunzione con
Anataga Koko ni Iru Riyuu, ossia una storia che copra gli
avvenimenti da dopo la missione di Parigi fino all’inizio della missione in
Giordania e che diventerà la quarta fic della serie.
Passiamo ora alle
risposte alle vostre graditissime recensioni!
§ Cara Retsu,
in realtà la
Sensei Hoshino non ha descritto il passato di Allen in questa maniera perché… l’ha fatto per noi! XD Scherzi a parte, personalmente riteniamo che
una delle migliori caratteristiche di DGM sia indurre il lettore a ragionare:
lascia dei vuoti temporali e di informazione così da spingere a collegare
autonomamente gli indizi che vengono disseminati in maniera all’apparenza
casuale nell’arco delle Night, creando delle teorie personali. Siamo convinte
che prima o poi la Sensei ci dirà tutto, ma vuoi mettere la soddisfazione nello
scoprire che almeno in qualcosa ci avevamo azzeccato?
§ Cara Bradipiro,
grazie mille per
i complimenti allo stile, entrambe (sì, perché questa fic è scritta a 4 mani ^^)
li apprezziamo molto. Vorremmo chiederti la cortesia, se ti va, di spiegarci
dove a tuo giudizio si ravvisano delle incongruenze con la storia del manga: noi
abbiamo cercato di essere il più possibile rigorose, ma non siamo certo perfette
e potremmo aver frainteso qualcosa o dimentica dei particolari. Se ne vuoi
parlare, la mail di Mistral è sempre aperta.
§ Cara Icaro
Smile,
ti ringraziamo
tantissimo per i complimenti e siamo liete di averti suggerito un’idea per te
nuova su chi possano essere i genitori di Allen. Quanto al tuo giudizio su
Maria, sappi che lo condividiamo in pieno!
Speriamo che
anche il seguito della storia ti piaccia e che tu voglia lasciarci un’altra
recensione.
§ Carissima BBJ,
guarda che la
“tua generazione”, come la chiami tu, (che poi è anche la nostra, non siamo mica
così vecchie!) è cresciuta sanissima a pane e cartoni animati XD
Comunque, scherzi
a parte, siamo felici di sapere che la nostra teoria sulla canzone del 14esimo
ti sia piaciuta, ma non esagerare con i complimenti, ok? Che poi ci montiamo la
testa…
Riguardo la tua
domanda, la fanfic proseguirà fino all’arrivo di Allen all’Ordine e
probabilmente anche con brevissimi quadri tratti da avvenimenti posteriori. Ad
ogni modo, sarà certamente composta di 7 capitoli.
E da ultimo…
ovvio che non c’è niente di male se leggi le risposte che abbiamo dato a
Kicchina, anzi! Abbiamo voluto risponderle pubblicamente proprio per sciogliere
eventuali dubbi che anche altri lettori avrebbero potuto avere, quindi quella
risposta era lì apposta per essere letta!
§ Cara
Flowermoon,
idem come sopra,
non ti devi scusare di niente per aver letto la risposta data a Kicchina! Ti
ringraziamo per il complimento sulla precisione, ci fa molto piacere che le
nostre lettrici apprezzino questo aspetto del nostro lavoro. Noi cerchiamo
sempre di essere puntigliose nella ricerca delle fonti, in primo luogo per noi e
per una sorta di “correttezza” verso l’autrice, ma anche per rispetto verso voi
lettori che meritate di leggere opere curate non solo nello stile, ma anche
solide nelle basi su cui si fondano.
E per questo
capitolo è tutto, a risentirci al prossimo “Angolo delle Autrici”!
Un abbraccio,
Lety&Mistral
Hachisu no
Yume
(Il sogno del
loto)
3. Levò la sua
mano e compì meraviglie
e la voce di
uno che gridava mostrò la via del Signore
Di nuovo neve,
neve che cade fitta a ricoprire le strade buie. Solo qualche lampione qua e là
illumina i marciapiedi, in questa notte silenziosa, disegnando sagome in
chiaroscuro che sembrano seguire i passi delle uniche due persone presenti. Un
uomo alto, il cappello in testa e una valigia nella destra, e un bambino che lo
segue a pochi passi di distanza arrancando nella neve alta.
Ma porca vacca,
e adesso dove siamo?!
Un attimo fa ero
davanti alla tomba di quel cane, in una città qualsiasi ed era d’inverno… e ora?
Guardandomi attorno mi scopro immerso in un paesaggio buio, la cui unica fonte
di luce è la neve che riluce stancamente ai bordi delle strade e sui prati
(bene, ciò significa che è ancora inverno [sarà lo stesso inverno di prima? O
quanti fottutissimi anni saranno passati?])… siamo in campagna e, a giudicare
dall’assenza di luci anche in lontananza, la città più vicina dev’essere
parecchio distante.
Roteo gli occhi,
irritato e mentalmente esausto, quindi prendo un respiro profondo e mi metto ad
osservare i dintorni. Tiriamo a indovinare… dove sarà quel che devo vedere?
A causa
dell’oscurità ci metto un po’ (anche perché i miei occhi faticano ad abituarsi
alla tenebra), ma alla fine scorgo una figura che viene verso di me. Aguzzo la
vista e, non solo riconosco in quell’uomo il Quattordicesimo (che viso stanco,
sembra molto invecchiato [quasi sfinito… però potrei sbagliarmi, non vedo
bene]), ma noto anche il ragazzino che lo segue… il moyashi, immagino (lui a
vederlo così non sembra cresciuto di molto [ma è sempre stato gracile]).
Incrocio le
braccia e aspetto che mi vengano vicini. Vediamo un po’ cosa succede stavolta…
Il bambino trema
leggermente dal freddo, nonostante la giacchetta trapuntata con il cappuccio che
lo protegge dalla neve umida. Cammina più rapido che può, cercando di non
scivolare, tenendo le braccia larghe per mantenere meglio l'equilibrio, ma non
riesce a raggiungere l'adulto.
Il ragazzino è
perplesso, perché il suo padre adottivo non è solito lasciarlo indietro a quel
modo, ma capisce anche che ci dev'essere qualche problema, dato che l'uomo è
incredibilmente nervoso, teso come non l'ha visto mai... nemmeno prima di uno
spettacolo importante!
Si sposta la
frangia dagli occhi utilizzando la mano sinistra, ancora quasi del tutto
immobilizzata. La fissa per un attimo, quella mano ora protetta dagli occhi
cattivi del mondo da un guanto troppo grande per lui, e sorride. Ha deciso che
riuscirà a muoverla, un giorno, e non perde occasione per mettersi alla prova...
in fondo anche Mana, ogni volta che lo vede un po' triste, gli ripete che se si
impegna a fondo un giorno riuscirà a usarla come e magari meglio della destra!
Un piccolo
broncio sostituisce il sorriso quando Allen rischia di inciampare in un gradino
nascosto nella neve. Per fortuna il bambino si riprende in tempo per non finire
a terra, però resta un po' indietro, Mana che sembra allontanarsi ogni volta un
pochino di più.
“Mana!
Aspettami!” urla, cercando di correre per raggiungerlo.
L'uomo di ferma
e si volta, ma non riesce a vedere se sta sorridendo o meno perché solo la tesa
del suo cappello è visibile, illuminata dalla luna. Allen aumenta il passo,
incespicando nuovamente per poi fermarsi quando è riuscito a ridurre la
distanza. Stanco e col fiatone, le mani sulle ginocchia, si ferma nuovamente per
riprendere fiato.
La neve continua
a scendere e un fiocco dispettoso gli cade sul naso, portandogli alla mente
ricordi felici di non molto tempo prima.
“Mana? Dopo ci
fermiamo a giocare un po'? Possiamo giocare all'alfabeto segreto come l'altro
ieri! Era divertente!”
L'uomo non
risponde, ricomincia semplicemente a camminare. Poi il silenzio della strada
viene infranto dal rumore di zoccoli di cavallo che scheggiano i ciottoli sotto
la neve, il fracasso di ruote che si avvicinano a tutta velocità.
La carrozza
arriva veloce come il fulmine. Poi accelera ancora, sterza, e infine...
l'impatto.
“Mana!”
Corre, il
bambino, corre dall'uomo che è diventato suo padre, che l'ha raccolto e ora lo
sta, suo malgrado, lasciando.
“Allen...
promettimelo... promettimi che continuerai a camminare: avanti, sempre avanti,
qualunque cosa accada.”
Il giovane Allen
Walker promette fra le lacrime, sperando che quella piccola promessa basti per
far restare suo padre accanto a lui.
Inutilmente.
Davanti alla
scena cui ho appena assistito, mi rendo conto di non riuscire ad articolare un
pensiero coerente. Non è tanto la morte del Quattordicesimo in sé ad avermi
spiazzato (ci ho avuto a che fare da sempre con la morte, fin da prima che io ne
abbia memoria [e comunque dovevo aspettarmelo di assistere prima o poi alla fine
di quel Noah]), quanto piuttosto il fatto che sia avvenuto tutto in quel modo
così banale (anche se quell’incidente mi puzza assai [che sia stato assassinato
dal Conte?]) e davanti agli occhi del bambino (di Walker [quello è Walker, non
devo dimenticarlo]).
Vedendolo così
solo accanto al corpo del padre, provo una gran pena per lui (ma almeno lui un
padre l’ha avuto, anche se per poco [sono forse invidioso di lui?]) e mi
verrebbe quasi voglia di avvicinarmi per tentare di scuoterlo dal suo disperato
torpore. Però mi trattengo. Che idiota che sono! Cosa potrei fare, da
fottutissimo fantasma cui sono ridotto?! (Ma anche se non lo fossi, che cazzo ne
so io di come si consola chi ha appena perso tutto? [Chi ha consolato me quando
ho perso quel poco che avevo?])
La neve smette
di cadere, dopo aver ricoperto come ovatta le strade della città.
Sulla collina,
ultimo e isolato promontorio del cimitero locale, la croce in pietra sulla tomba
di Mana Walker quasi brilla alla luce della luna piena. La sua ombra si allunga
pian piano sul terreno, andando a incontrare quella di colui che è ridotto solo
all'ombra di se stesso.
Il piccolo Allen
siede lì, poggiato alla fredda pietra che è l'unica cosa che gli rimane di suo
padre. Ha smesso di piangere, ormai, il cuore spezzato all'improvviso dopo
nemmeno quattro anni di felicità. Sospira, lo sguardo fisso nel vuoto, senza più
la forza di rialzarsi.
Ha lottato ed è
riuscito a conquistare la felicità, a trovare qualcuno che lo amasse. E ora? Ha
perso tutto in un attimo, e ora si ritrova addirittura più povero di quando era
stato raccolto da quello strano pagliaccio. Nelle tasche non gli è rimasto più
nemmeno un briciolo di speranza.
Stranamente
silenziosa viste le dimensioni, una terza ombra si aggiunge alla scena. Un uomo
sbuca fuori da dietro l'albero rachitico che dovrebbe ornare l'angolo riparato,
e si avvicina quietamente al ragazzino, appoggiandosi come un avvoltoio alla
croce ancora nuova. Non si riesce a intravederne lo sguardo, gli occhi celati
dietro un paio di occhiali e la tesa del cappello abbassata, ma il ghigno che
gli occupa quasi tutto il viso basta per capire che di quel soggetto è meglio
non fidarsi...
Tuttavia gli
sono sufficienti poche parole perché il bambino - come tanti, troppi prima di
lui - decida di dare fiducia allo strano figuro.
La voce di
quell’uomo, nonostante la sua apparenza inquietante, è dolce e suadente, tocca
con maestria le corde fragili e sensibili di un cuore in frantumi, annientato da
un dolore troppo grande.
Il piccolo alza
gli occhi grigi, resi vacui da un’incredulità devastante, il viso rigato da
lacrime che da troppo tempo non versava. Non risponde alla domanda dello
sconosciuto - non ne ha la forza - ma tanto a quell’essere, che sembra uscito da
una brutta storia per bambini cattivi, quella risposta nemmeno interessa.
L’orco
mascherato da buono continua a tessere la sua ragnatela. “È sufficiente che tu
chiami forte il suo nome e vedrai che lui tornerà indietro…”
Allen non crede
alle sue orecchie: basta davvero così poco per riabbracciare il suo papà? Il
bimbo guarda quella strana carcassa che l’uomo col cilindro gli ha
materializzato innanzi e si morde il labbro, incerto, abbassando per un attimo
lo sguardo sulla lapide.
Poi stringe i
pugni - sì, anche quella brutta mano sinistra, che Mana gli stava insegnando ad
utilizzare perché fosse meno brutta - e chiude gli occhi, urlando il nome di suo
padre.
Lo scheletro si
illumina di una luce inquietante, mentre sotto il pentacolo rovesciato disegnato
sulla fronte di quello strano essere una penna invisibile traccia il nome di
Mana.
Davanti alla
creatura che inizia a muoversi, lo sconosciuto ghigna, godendo anche
dell’espressione incredula del bambino: il suo perfido piano si sta compiendo
ancora una volta.
“Papà!” esclama
Allen, la voce incrinata dall’emozione “Papà… sei tornato!”
Ma la risposta
di Mana non è affatto quella che il bimbo si aspettava: “Allen… come hai osato…
fare di me un akuma?!”
Gioia, speranza,
tutto va in pezzi quando il bambino, stupito e un po' confuso dalla reazione
violenta del genitore, ferma la sua corsa verso di lui.
Non capisce,
Allen, non capisce perché il suo papà non sia contento di essere tornato... ma
non fa in tempo a chiedergli il motivo di tanta rabbia, perché lo scheletro con
l'anima di Mana lo aggredisce, ferendolo al viso.
Un dolore
devastante si irradia dall'occhio sinistro del bambino che cade a terra; più
della ferita, però, fa male la voce che proviene da quello che una volta era suo
padre e che colpendolo lo maledice più e più volte.
Lo sguardo
grigio, che per un momento aveva ritrovato lo splendore di sempre, torna a farsi
liquido per le lacrime pungenti di acqua e sangue che iniziano a scendere
incontrollate, mentre l'uomo col cilindro assiste deliziato, fischiettando
felice senza smettere il suo sempiterno ghigno.
Il Costruttore
osserva quella misera anima che tenta di ribellarsi con forza dalla sua
prigione. Tuttavia nemmeno il Quattordicesimo, pur essendo stato benedetto dai
geni di Noah, può nulla contro il potere della costrizione imposta su di lui dai
sentimenti di quel moccioso che lo chiama papà - che stupidaggine i sentimenti
umani! Stupidi e manipolabili… come le creature che li provano.
Gode, gode
immensamente il Conte, al vedere colui che lo ha tradito e ha tentato
vigliaccamente di assassinarlo, imprigionato come un verme e condannato a
divenire per sempre schiavo del suo creatore: sì, il questo modo Millennio
otterrà la sua vendetta e i poteri del Suonatore saranno totalmente nelle sue
mani.
Ma ciò di cui il
Conte non si è reso conto è che quegli stessi sentimenti, da lui così sviliti,
danno agli esseri umani una forza che nemmeno immagina e quel Dio che egli tanto
disprezza e odia, a volte si degna di posare il suo sguardo sul mondo per
proteggere gli apostoli che s’è scelto.
Proprio mentre
lo scheletro, obbedendo al comando del Costruttore, sta per assalire nuovamente
il bambino per ucciderlo e prenderne il corpo, la mano sinistra del piccolo si
rivela agli occhi della luna per quello che in realtà è: Allen è un compatibile,
e il suo personalissimo cristallo di Innocence risiede proprio in quell’arto
deforme, in quella mano sempre nascosta al mondo perché da tutti temuta e
odiata.
Cresce, il
braccio, cresce fino a diventare grande quanto il suo possessore, si ricopre di
scaglie metalliche e affilatissimi artigli da predatore, e la croce sul dorso
della mano splende di luce divina. L'Innocence così attivata inizia a muoversi
autonomamente per proteggere il suo compatibile, e finisce per trascinarselo
dietro di peso nell'operazione di distruzione dell'akuma.
Il Conte assiste
stupito, infastidito da quell’inconveniente: chi avrebbe mai pensato che un
marmocchio del genere fosse un apostolo? Tuttavia, l’uomo col cappello a
cilindro non si sforza nemmeno di salvare l’akuma incompleto: se non può avere i
poteri del Quattordicesimo, vorrà dire che troverà un altro modo di riprendersi
la sua Arca… in fondo, la prospettiva di avere quel fratello traditore ancora
accanto, per quanto schiavo, lo irritava profondamente.
Stringendosi
nelle spalle e ridacchiando, apre il buffo ombrello rosa che porta sempre con sé
e poi sparisce silenziosamente nel cielo cupo, accompagnato dalle urla di un
bambino terrorizzato.
Scomparso
Millennio, un uomo e una donna appaiono come dal nulla di fianco all’albero
scheletrico che svetta nel buio; lui sorride sornione e soddisfatto, mentre sul
volto di lei non c’è nessuna espressione.
Accanto alla
croce, intanto, la battaglia continua: al primo colpo lo scheletro con l'anima
di Mana viene scaraventato lontano, e il piccolo Allen non ha nemmeno il tempo
per rendersi conto di cosa sta succedendo.
Non sta capendo
quasi nulla, l'unica cosa lampante è che il suo braccio sta facendo del male al
suo papà, e questo lui non lo vuole.
L'apatia di poco
prima lascia spazio alla disperazione più assoluta quando il braccio riprende la
sua corsa verso lo scheletro, già a terra e incapace di muoversi.
“No! Non fare
del male a Mana! Corri... corri papà!”
Allen inizia ad
urlare, pregando perché il braccio la smetta di aggredire quella creatura
informe e cercando intanto di avvertire Mana del pericolo.
Paura e amore
per quell'uomo che lo ha raccolto gli concedono la voce necessaria per gridare,
e nella foga nemmeno si accorge di chiamarlo con quel nome che non era mai
riuscito a usare: «papà».
Ma suo padre non
corre, suo padre non scappa.
Suo padre lo
aspetta, lo aspetta e gli sussurra parole d'amore.
“Allen... Io...
ti voglio bene... Ti prego, distruggimi.”
La maledizione
che l'uomo ha lanciato sull'occhio sinistro del bambino si attiva
definitivamente: sulla fronte spicca ora una cicatrice a forma di pentacolo
rovesciato, dal quale parte una linea che scende giù lungo la palpebra e fino
alla guancia come una lacrima di sangue. L'iride dell'occhio sinistro si tinge
di rosso, in un terribile contrasto con il bulbo oculare completamente nero come
la pupilla, dilatata in maniera innaturale.
Ma ancor più
spaventoso è ciò che il bimbo riesce ora a vedere, con quell'occhio: un'anima,
sofferente e incatenata, prigioniera del corpo scheletrico che ha davanti. È
l'anima di Mana che, ferma immobile, osserva senz'occhi quella mano che si alza
e poi si abbassa sulla sua prigione, distruggendola e liberandolo.
Osservo con
occhi sbarrati la scena che si sta svolgendo davanti a me. Sono sinceramente
senza parole, quel che è assurdo è che non so bene nemmeno io cosa mi
lasci più sbalordito tra tutto quel che ho visto - se sia l’aver assistito per
la prima volta alla (mancata) nascita di un akuma ([la credulità umana] è un
qualcosa di tremendo), se sia il cinismo con cui il Conte del Millennio sfrutta
la disperazione di chi ha perso tutto (ma da questo punto di vista non è affatto
il solo…) o se piuttosto a sconvolgermi (perché sono sconvolto, devo ammetterlo)
sia stato lo scoprire la tragedia che Walker (ora non ho più il minimo dubbio
che sia lui [ecco da dove vengono la cicatrice e quei capelli bianchi]) cela nel
suo passato (dietro il suo sorriso).
Scuoto la testa,
avvicinandomi di qualche passo alla lapide.
Tsè, adesso
forse ho capito perché si è sempre ostinato tanto a voler a tutti i costi essere
«un distruttore che salva le persone»… non dipendeva soltanto dalla sua
infantile ingenuità (anche perché, visto tutto questo, comincio ad avere i miei
seri dubbi che in lui sia ne rimasta ancora di ingenuità) o dal suo idealismo da
martire: quel che ha sempre messo in atto non è che un disperato tentativo di
espiare quella che ritiene la sua colpa più grande…
Quando tutto
finisce, sul piccolo cimitero cala il silenzio. La carcassa fumante dell’akuma
incompleto si dissolve in fretta, facendosi polvere subito dispersa dal vento
gelido, quasi che anche la natura volesse cancellare quanto più possibile i
segni di quanto accaduto.
Allen giace
inerme, il braccio sinistro ora tornato al suo aspetto originario, così come
l’occhio, che non sanguina più nonostante la ferita profonda infertagli da Mana.
Tuttavia, ciò
che di questa notte da incubo rimarrà nel cuore del bambino finché avrà vita,
non è la cicatrice che gli sfregerà per sempre il viso, né i capelli che hanno
perso il loro caldo castano diventando bianchi come la neve: lui ricorderà fino
alla fine dei suoi giorni l’orrore di aver visto un’anima dannata, di averla
precipitata lui stesso in quell’inferno, ricorderà l’imperdonabile crimine di
essere stato per due volte l’assassino di suo padre.
Poi una voce
risuona all’improvviso nel silenzio del cimitero.
“Le anime
intrappolate in un akuma perdono per sempre la libertà e diventano nient’altro
che giocattoli nelle mani del Conte. C’è solo un modo per salvare queste anime
maledette: distruggerle.”
Quella voce
parla lentamente, ma con la sicurezza di chi pronuncia un’inappellabile benché
dolorosa sentenza, e altrettanto lentamente si avvicina.
Quella voce
appartiene ad un uomo alto, all’apparenza poco più che trentenne, con lunghi
capelli color tiziano e il volto per metà celato da una maschera bianca. Indossa
un pastrano scuro, con le bordure dorate e una strana croce appuntata proprio
sul cuore. Dietro di lui viene una donna, anch’essa alta e dal viso coperto, nel
cui pallore spiccano le labbra rosso fuoco.
L’uomo si china
di fronte al bambino immobile, che giace semisdraiato nella neve, privo di forze
e di volontà, e osserva la sua mano sinistra che, libera dal guanto, spicca
vistosamente a contrasto con il terreno biancastro.
“Sei nato con
un’arma anti-akuma nel corpo… ti si prospetta un importante destino, sai?” Cross
sorride, allungando una mano ad asciugare la lacrima sulla guancia del piccolo
“Sei un prescelto di Dio…” «…o meglio, io e tua madre abbiamo indotto Dio a
sceglierti. E la cosa ha funzionato anche meglio del previsto, direi…» aggiunge
fra sé, orgoglioso del successo suo e di Mària.
Dal bambino non
giunge nessuna risposta, né tantomeno alcuna reazione. Continua semplicemente a
piangere in silenzio, lo sguardo smarrito e vuoto di chi ha perso tutto e a cui
non importa più di nulla.
Il Generale
scuote il capo, ritraendo la mano: si rende perfettamente conto dello stato in
cui versa il ragazzino e sa benissimo che, finché non riprenderà un minimo di
coscienza di sé, sarebbe inutile provare ad intavolare un qualsiasi dialogo con
lui. Si fosse trattato di chiunque altro, in quel caso Cross avrebbe lasciato
cadere immediatamente il discorso - non gli piace perdere tempo, e una
situazione del genere per lui è una completa perdita di tempo - ma quel
marmocchio è troppo importante per non portare pazienza.
Sa che non
riceverà una risposta (e in fondo nemmeno gli interessa, perché non è che il
bambino abbia chissà quale scelta o la sua opinione in merito sia minimamente
contemplata…), ma il suo onore gli impone di rivolgergli ugualmente la domanda
di rito che viene fatta a tutti i nuovi apostoli (i condannati, come li chiama
lui).
“Vuoi diventare
un esorcista?”
La proposta,
benché avanzata con tono quasi casuale, riesce a fare breccia per un attimo del
muro di apatia che imprigiona il bimbo, il quale alza per un attimo lo sguardo
argentato a legarsi all’unico occhio visibile dell’uomo che gli sta
inginocchiato di fronte.
Il piccolo Allen
sospira, quasi annuendo prima di tornare a fissare il vuoto.
Cross si volta
quindi verso la donna che gli sta alle spalle; Mària non può più parlare, la sua
splendida voce è ormai soltanto poco più che un’arma da impiegare in battaglia,
ma il generale sa bene che, nonostante tutto, la forza dei sentimenti che ella
prova per suo figlio è rimasta inalterata fin dal giorno in cui, in quel bosco,
tornando da Mana dopo aver registrato la canzone, aveva scoperto che Amiel le
era stato portato via.
Cross trattiene
una smorfia al ricordo del ceffone che la donna gli aveva rifilato, senza alcuna
remora, appena se l’era ritrovato davanti dopo che questi aveva abbandonato il
bambino all’orfanotrofio - e per la prima volta in vita sua l’esorcista non
aveva reagito ad un gesto del genere, altrimenti inaccettabile: in fondo sapeva
che lei aveva tutte le ragioni per odiarlo, a prescindere da quali fossero i
patti tra loro.
Il generale
scuote leggermente la testa, per scacciare quei ricordi inopportuni e fa un
cenno alla donna. Tra di loro non sono mai servite molte parole, né tantomeno
servono in quel momento: si conoscono e combattono assieme da tempo e comunque
adesso è palese quale siano e la richiesta di Cross e il desiderio di Mària.
Lei china il
capo in una muta espressione di assenso e poi, mentre l’uomo si ritrae, fa un
passo avanti, inginocchiandosi di fronte al bambino.
Dopo un attimo
di incertezza il suo istinto materno - un istinto sopito da anni, ma tanto forte
che nemmeno la morte è riuscita a cancellarlo - torna alla luce, insegnandole
nuovamente i movimenti giusti: con una facilità sorprendente prende in braccio
il piccolo e se lo stringe teneramente al petto.
Certo, il
bambino benché malnutrito non è leggero come se lo ricordava, ma Mària riesce
comunque a tenerlo stretto a sé, mettendo nelle proprie braccia sia la forza
dell’amore di una madre sia la delicatezza dell’incisore nel maneggiare un
preziosissimo cristallo da decorare.
Il bambino,
sentendosi inconsciamente al sicuro, chiude gli occhi esausto e si addormenta,
proprio mentre la donna intona la stessa ninnananna con cui lo cullava anni
prima.
Ehi, aspetta…
quella donna non è forse quella che chiamano Grave of Mària, la famosa seconda
arma anti-akuma di Cross? Quella che per le alte sfere è motivo di scandalo
perché si dice sia il cadavere di un’esorcista morta, controllato tramite un
incantesimo proibito? (Se anche così fosse, quelli dell’Ordine dovrebbero solo
tacere visto quel che hanno fatto a me [per lo meno Cross non ha estratto il
cervello di quella donna impiantandolo in un corpo artificiale…])
Comunque sì, è
senza dubbio lei. E sta cantando la stessa canzone che ho sentito intonare alla
madre di Walker in quel bosco, quando lui era ancora bambino, la canzone che è
stata registrata sul golem. Com’è possibile? Vuoi dire che quella donna… è la
madre di Walker?! Non ci posso credere! (Eppure lei l’aveva detto: «Fammi
diventare la tua arma anti-akuma. Consentimi di rimanere al vostro fianco, anche
se non sarò altro che un corpo senza vita» [doveva amare davvero tanto suo
figlio per prestarsi ad una cosa del genere])
E ora capisco
anche perché quella melodia mi è familiare: l’ho sentita sull’Arca, quando il
moyashi ha suonato il piano per fermare la distruzione della città. Chissà come
la prenderebbe se venisse a sapere cos’è in realtà quella musica che tanto odia…
e soprattutto se scoprisse che quello che lui chiama «il mostro» altri non è che
suo padre…
Cazzo, che
fottutissimo scherzo del destino! Mi sento un idiota ad averlo invidiato (anche
se solo per un attimo) perché ha potuto conoscere almeno per un po’ l’amore di
un genitore. Se queste sono le conseguenze, allora meglio avere attorno il
deserto più assoluto e avere a che fare solo con gente che ti tratta come un
oggetto…
Mentre osservo
il moyashi venir portato via da Cross, cullato tra le braccia del cadavere di
sua madre, per la prima volta percepisco chiaramente l’ironia crudele della sua
sorte e provo per lui una profonda pietà (ed è meglio che lui non sappia nulla
di tutto questo [meglio che vada avanti sulla strada che ha intrapreso
credendola interamente frutto delle sue scelte - anche se in realtà per lui era
tutto già scritto da prima che nascesse])
Dando le spalle
a madre e figlio per lasciare loro un po' di privacy, il generale si incammina
per precederli e far strada verso una piccola carrozza parcheggiata lì vicino.
Il cavallo scalpita leggermente all'avvicinarsi del gruppetto, ma subito si
quieta alle note della canzone di Mària che ancora si spandono nella fredda aria
dicembrina.
Aperto lo
sportellino e fatta salire la donna con il suo prezioso carico, Cross si mette a
cassetta e prende le redini per spronare l'animale, mentre Timcanpy vola alto a
controllare i dintorni.
La carrozza si
allontana lentamente verso la campagna, uscendo dai confini della città
all'inizio del nuovo giorno.
PREVIEW:
Capitolo 4 -
Dalla sua purezza fu precipitato negli inferi, si riempì di violenza e peccato
La scena che mi
ritrovo davanti quando l’ormai solito buio si dissolve, per una volta non mi
risulta totalmente aliena (il che è assurdo, vista la situazione in cui mi
ritrovo [ma a questo punto non mi stupisco più di niente… o almeno ci provo]):
questo è il luogo dove (un numero indefinito di anni fa) è nato il moyashi.
[…]
Senza staccare
gli occhi dal Times del giorno, l’esorcista parla: “Sono stato appena informato
che molto presto avrò una visita sgradevole… un sedicente pezzo grosso della
Centrale mi sta col fiato sul collo perché vuole appiopparmi uno stupidissimo
incarico.”
[…]
Il ragazzino
torna a fissare il mare, gli occhi puntati sull'interminabile movimento delle
onde, e deglutisce nervosamente. Ricorda bene la domanda che il Generale gli
aveva posto davanti alla tomba di Mana, e ricorda bene la promessa che ha fatto
a suo padre prima che questi morisse: deve continuare a camminare, deve andare
avanti... anche se questo significa attraversare l'oceano per diventare un
esorcista!
[…]
E così, questo è
l’inizio dell’apprendistato di Allen Walker…
IL POST-IT DELLE
AUTRICI
Come detto in
precedenza, elenchiamo di seguito tutte le citazioni contenute nel capitolo che
avete appena letto.
-Il
titolo: si tratta della fusione tra un verso del Salmo 117, precisamente nei
versi in cui recita “La destra del Signore si è alzata / la
destra del Signore ha fatto meraviglie”, e un versetto del Vangelo di
Marco (Mc 1,3): “Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero: egli
preparerà la tua via. Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del
Signore, raddrizzate i suoi sentieri”
-
“Allen... promettimelo... promettimi che continuerai a camminare: avanti, sempre
avanti, qualunque cosa accada.”
-
“No! Non fare del male a Mana! Corri... corri papà!”
“Allen...
Io... ti voglio bene... Ti prego, distruggimi.”
Cap. 3, pag. 19
-
“Le anime intrappolate in un akuma perdono per sempre la libertà e diventano
nient’altro che giocattoli nelle mani del Conte. C’è solo un modo per salvare
queste anime maledette: distruggerle.”
“Sei nato con
un’arma anti-akuma nel corpo… ti si prospetta un importante destino, sai?”
“Sei un
prescelto di Dio…”
Cap. 3, pag. 21
-
“Vuoi diventare un esorcista?”
Cap. 3, pag. 22
Le citazioni del
manga sono nostre traduzioni dalle scan inglesi presenti su Onemanga, da cui
provengono anche i riferimenti di pagina.
Da ultimo, una
precisazione: nel capitolo noi descriviamo la morte di Mana come avvenuta sotto
una nevicata. Dobbiamo ammettere che la scena è stata descritta andando a
memoria, perché non riuscivamo a ritrovare né nel manga né nell’anime il punto
in cui viene raccontato quel fatto. Abbiamo poi trovato il pezzo incriminato
nell’anime (ovviamente dopo che avevamo concluso il capitolo) e ci siamo
accorte che di neve lì non ce n’era manco l’ombra… dato che è una questione
abbastanza veniale e che quanto scritto ci piaceva particolarmente, la neve è
rimasta anche se le fonti non la citano. Tuttavia ci sembrava corretto precisare
^^
Per questo
capitolo è tutto! Se avete un qualsiasi dubbio, chiedete pure!
Capitolo 4 *** Dalla sua purezza fu precipitato negli inferi, si riempì di violenza e peccato ***
L
L’ANGOLO DELLE
AUTRICI
Rieccoci col
quarto capitolo della nostra fic ^^ Questa volta abbiamo preparato un capitolo
piuttosto lungo, ma a ragion veduta - infatti, come vedrete copriremo un
intervallo piuttosto ampio sia in termini di tempo che di distanze percorse, in
quanto ricostruiremo le vicende di Allen dal momento in cui Cross lo prende con
sé dopo che Mana l’ha maledetto fino all’arrivo dei due in India (seguendo così
quasi tutto il periodo dell’apprendistato del moyashi).
Questo è stato un
capitolo abbastanza ostico da scrivere, soprattutto nella seconda parte e
soprattutto per Lety, che ha dovuto ipotizzare le varie tappe in cui si è
snodato il lunghissimo viaggio di Allen, senza però cadere in una narrazione
noiosa. Speriamo che il risultato complessivo vi piaccia.
E ora passiamo
alle risposte alle recensioni ^^
§ Carissima
Retsu,
a proposito della
morte di Mana, noi ci siamo semplicemente limitate a riferire quel che si vede
nel manga… anche se, ad essere oneste, anche a noi lascia molto perplesse una
fine del genere.
Riguardo
l’apprendistato del moyashi, invece, anche lì non abbiamo inventato nulla XD
come vedrai è tutto quanto già detto nell’anime! Il nostro lavoro è stato
semplicemente quello di riordinare e collegare le varie scene.
Facci sapere se
questo capitolo ti soddisfa!
Un abbraccio
§ Cara
Flowermoon,
abbiamo
ricontrollato - perché fidarsi è bene ma non fidarsi è meglio - ma confermiamo:
dopo che Mana viene travolto dalla carrozza la scena si sposta subito al
cimitero, quindi niente casa!
Per quanto
riguarda il Conte, a quanto ricordiamo, nel momento in cui Allen richiama
l'anima di Mana il Costruttore non sa ancora che Allen sarà il futuro
Quattordicesimo. Almeno un paio di volte, nell’arco dei capitoli, si chiede
perché in quella fatidica sera non ha pensato di ucciderlo, ma non si dà mai una
risposta. Il collegamento Allen=futuro Quattordicesimo lo fa solo molto tempo
dopo, e comunque in seguito agli avvenimenti dell'Arca - anche perché di fatto
all’inizio l'unica cosa che, agli occhi degli altri, identifica Allen come
Quattordicesimo è “l’abilità del compositore”, che il Conte vede all’opera nel
momento in cui Allen suona il piano per ricostruire e liberare l'Arca.
Per quanto
riguarda le tue teorie ne parleremo molto volentieri in privato... chissà,
potremmo aver fatto le stesse supposizioni!
Ti lasciamo alla
lettura del nuovo capitolo, ma ti anticipiamo subito che il giovane Allen non si
troverà a lavare piatti... è roba da femminucce, quella! XD
Un bacione!
§ Cara Bradipiro,
innanzitutto
grazie da parte di entrambe per i complimenti al capitolo - ebbene sì, siamo in
due, Mistral e LetyJR; e siamo le stesse due folli che stanno costruendo mattone
dopo mattone la Yullen Saga. (Vero è che quel progetto era stato iniziato
da Mistral, con la collaborazione di LetyJR solo in qualità di beta... ma le
cose non vanno mai come previsto, si sa! Ora, per vostra gioia, ci [s]ragioniamo
sopra tutte e due XD)
Per la storia
delle incongruenze non ti preoccupare, è normale che succeda, e come già detto a
Kicchina le vostre critiche ci aiutano a capire se dobbiamo spiegare meglio o
diversamente certi passaggi che a chi non sa come ragioniamo possono risultare
oscuri ;) Comunque siamo contente che le spiegazioni ti abbiano soddisfatta! E
no, non abbiamo mai incontrato la sensei, anche se ogni tanto qualcuno
suggerisce che noi due e la Hoshino abbiamo un neurone in comune ^^
Come già detto,
pure noi pensiamo che la morte di Mana sia effettivamente banale... anche se,
diciamolo, ci sta che il Conte lavori nell'ombra facendo passare inosservato
perfino un delitto del genere!
Per quanto
riguarda la neve, c'era quando Allen era sulla tomba di Mana (nel manga è molto
chiara, come parte) ma non al momento della sua morte (che nel manga non viene
nemmeno mostrata [si vede solo nell'anime di neve e lì non ce n'è nemmeno
l'ombra]).... crediamo comunque di poterci permettere una piccola licenza
poetica, una volta tanto, no? XD
Ja nee!
§ Cara
BloodberryJam,
finiti gli esami?
Come sono andati? Speriamo bene ^^
Siamo contente
che le descrizioni ti piacciano (vista la fatica per scriverle =_=), e che tu
trovi Kanda adorabilmente volgare XD Certo che ogni tanto raggiunge certi picchi
di delicatezza da far impallidire uno scaricatore di porto…
Strane ipotesi?
Oh, suvvia, la storia della carrozza è tanto banale che non si può non
ipotizzarci sopra XD E poi qui viviamo di strane ipotesi, quindi non troviamo
strano che vengano anche a te... prima o poi ne parleremo volentieri, se ti va!
Mh, e potremmo anche intrecciare il discorso con le opere della sensei Minekura,
perchè no... *_*
Come hai
immaginato in questo capitolo si vedrà quella parte che la Hoshino ha
allegramente saltato a piè pari nel manga (e che abbiamo visto solo di sfuggita
nell'anime). Anche noi siamo state costrette ad aumentare un po' la velocità,
però, sia perché non c'è poi tanto materiale da sviluppare, sia perché se Kanda
è veramente nelle memorie di Allen non vedrà comunque tutto quanto... ci
metterebbe un'eternità! Speriamo che il risultato finale ti soddisfi...
sicuramente è servito a confondere ancora di più qualcuno (ogni riferimento al
baKanda è puramente casuale).
Facci sapere che
ne pensi ^^
Un abbraccio
E per questo
capitolo è tutto, a risentirci al prossimo “Angolo delle Autrici”!
Un abbraccio,
Lety&Mistral
Hachisu no
Yume
(Il sogno del
loto)
4. Dalla
sua purezza fu precipitato negli inferi,
si riempì
di violenza e peccato
Il freddo sole
invernale è già tramontato quando la carrozza giunge nel piccolo paesino di
campagna. Il rumore delle ruote e degli zoccoli del cavallo, benché attutito dal
terreno non ricoperto di ghiaia, richiama all'esterno l'anziana abitante della
canonica e la donna, scialle di lana sulle spalle e lanterna in mano, si ferma
poco fuori dalla porta in attesa che il mezzo si fermi.
Ha qualche
sospetto sull'identità dell'«ospite» (e quando il conducente arriva nella zona
illuminata, il colore poco comune dei suoi capelli le dà ragione), ma non ha la
minima idea di chi possa essere la sagoma che intravede tra le tendine che
nascondono l'interno della carrozza.
“Fammi capire,
Marian... sparisci nel nulla per più di sette anni e poi ti presenti ad un'ora
del genere senza nemmeno avvertire? Non che mi dispiaccia, per l'amor del cielo,
però ogni volta che passi di qui significa che è successo o deve succedere
qualcosa di grosso... preferirei prepararmi psicologicamente, sai?”
Nonostante il
benvenuto dell’anziana non sia tra i più calorosi, Cross non si scompone
minimamente. Salta a terra e si butta indietro i capelli scivolati sulla spalla,
quindi sorride. “Avanti Mother, non fare tutta ‘sta scena…” le risponde,
estraendo nel frattempo una sigaretta da una sottile scatola d’argento “…tanto
lo so che sei contenta di vedermi. E sono sicuro che sarai contenta anche di
vedere loro…” conclude, mentre la fiamma dell’accendino riverbera sul suo viso,
facendo brillare di una luce furba l’iride castana.
“Bah. Vedete di
entrare in casa, fa troppo freddo per perdere altro tempo qui fuori. Metto su
del buon the, credo che ne abbiamo bisogno un po' tutti.” Borbotta lei, girando
sui tacchi per rientrare nella canonica.
È curiosa di
sapere di chi si tratti, ma non può certo ficcare il naso negli affari altrui
come una ragazzina impicciona, no? Sa benissimo che tutto le sarà spiegato a
tempo debito.
In caso
contrario, il caro Marian si dovrà scordare sia della sua squisita ospitalità
sia degli amati liquori...
L’esorcista la
osserva allontanarsi, sogghignando divertito, quindi si avvicina alla carrozza e
apre lo sportello per lasciar scendere i passeggeri.
“Dorme ancora?”
chiede poi il generale, accennando col mento alla figuretta avvolta in una
coperta che la donna stringe ancora a sé con fare protettivo. Lei sorride
dolcemente e annuisce, ma non dice una parola.
“Meglio così,
almeno avrò il tempo di spiegare tutto a Mother…” commenta Cross, tirando
l’ultima boccata dalla sigaretta e gettando via il mozzicone, subito preso al
volo da Timcanpy.
Dopo aver messo
il bricco pieno d'acqua sul fuoco, l'anziana si avvicina alla dispensa per
cercare il barattolo di the Assam, messo da parte per le occasioni speciali:
l'infuso, dal sapore deciso e dall'aroma speziato, è proprio quello che ci vuole
per combattere il freddo e mandar via la stanchezza.
Un pensiero
improvviso la fa fermare mentre sta aprendo la credenza: sta preparando il the,
ma non ha pensato di chiedere quanti ne vogliono una tazza! Scuote la testa e
torna un attimo sulla soglia della cucina. Da lì vede chiaramente che il
generale, seduto comodo al tavolo della sala, è in compagnia solo della sua
amata sigaretta. Non c'è nemmeno quello strano affarino volante che si porta
sempre dietro. Probabilmente l'uomo ha già provveduto a spedire i compagni di
viaggio nelle stanze al piano di sopra... nemmeno fosse a casa sua! Ah, i
giovani d'oggi...
“The per due,
vedo.” sbotta, lanciando un'occhiata significativa verso le scale, dove gli
altri ospiti sono spariti senza che lei se ne accorgesse, e poi torna subito in
cucina a prendere due tazze di porcellana per sé e per l'esorcista.
Entra in sala
poco dopo, un vassoio tra le mani con la teiera fumante, le tazze, cucchiaini,
zucchero e una piccola lattiera colma.
“Per la torta di
mele dovrai aspettare domani.” lo informa, sedendosi pesantemente al tavolo;
quindi versa il the per entrambi e prende tra le mani la propria tazza. Mette un
paio di cucchiaini di zucchero e una goccia di latte, poi comincia a girare
l'infuso, gli occhi puntati sul liquido scuro.
“Allora? Che è
successo, questa volta?”
La scena che mi
ritrovo davanti quando l’ormai solito buio si dissolve, per una volta non mi
risulta totalmente aliena (il che è assurdo, vista la situazione in cui mi
ritrovo [ma a questo punto non mi stupisco più di niente… o almeno ci provo]).
Ci metto un attimo, perché evidentemente il passare del tempo ha lasciato tracce
dovunque, ma alla fine identifico con sicurezza il piccolo edificio che mi si
para di fronte: questo è il luogo dove (un numero indefinito di anni fa) è nato
il moyashi.
Vagamente
sollevato da questa scoperta (sono proprio messo male, se mi basta così poco. Il
fatto è che… è che - cazzo! - continuo a non sapere minimamente dove diavolo
siamo! [Ma almeno ho già visto questo posto]), mi avvicino alla canonica e ci
giro attorno, fino ad arrivare davanti alla porta, quindi entro (mi farebbe un
effetto troppo strano passare attraverso il muro).
Mi ritrovo in un
corridoio piuttosto ampio, arredato in maniera essenziale ma non per questo
spoglio, su cui si aprono due porte e che termina con una rampa di scale che
conduce al piano di sopra.
Resto per un
attimo incerto, poi la voce di Cross che, noncurante e vagamente annoiato, sta
raccontando alla donna gli ultimi avvenimenti (tralasciando tra l’altro una
marea di cose… che infame! [Ma effettivamente non ha molta altra scelta, non può
certo dirle tutto]), mi indica la loro posizione. Percorro rapidamente il
corridoio, fino a raggiungerli in soggiorno, dove li trovo seduti di fronte ad
una tazza di the.
Bah, di sicuro
quel che devo vedere non è quest’allegra rimpatriata tra vecchi amici… non mi
resta che aspettare e capire stavolta qual è il vero spettacolo…
“Capisco.”
mormora lei alzandosi da tavola e riempiendo nuovamente il vassoio con le tazze
ormai vuote. “Molto bene. Vi ospito volentieri, anche se ho la netta impressione
che tu mi stia nascondendo qualcosa, ma sappi che è l'ultima volta che succede.
Non sono più una giovincella, e finire coinvolta nei tuoi pasticci è l'ultima
cosa che le mie vecchie ossa vorrebbero.”
L'anziana si
allontana, lasciando il generale da solo nella sala silenziosa, ma non lo trova
più lì quando, finito di lavare le stoviglie, torna in sala per spegnere le
luci.
Sbuffando sale
quindi al piano di sopra, dirigendosi verso le camere degli ospiti. Marian ha
sicuramente scelto la solita stanza col camino (e infatti dall'interno si ode
già il suo lento e costante russare), quindi la donna e il bambino sono nella
stanza più piccola, quella che li aveva ospitati anche anni prima. Mother si
avvicina senza fare rumore, e con gesti lievi socchiude la porta.
Quella che un
tempo era una giovane madre piena di vita siede sul letto, la schiena poggiata
alla testata, stringendo delicatamente a sé il proprio bambino. Questi, smagrito
e dolorosamente ben diverso dal vispo neonato che l’anziana ricorda, dorme sonni
inquieti, agitandosi ogni tanto sotto le pesanti coperte.
Mother scuote il
capo, sospirando e richiudendo la porta. Le fa quasi male il cuore vedere come
tutto il fuoco d'amore di pochi anni prima sia ormai ridotto a poche braci
sonnolente... l'unica cosa che la consola è la consapevolezza che le braci, se
ben alimentate, possono tornare a bruciare e scaldare anche meglio di prima.
La mattina
seguente, è solo quando il sole è ormai alto da un pezzo che Mother riesce a
parlare con il generale; ed è Cross stesso a venirla a cercare in cucina,
chiedendole la colazione.
Al vederlo
arrivare - in maniche di camicia (l’uniforme probabilmente è buttata da qualche
parte in camera) ma con l’immancabile pistola nella fondina legata alla coscia e
il piccolo golem dorato appollaiato sulla spalla - la donna scuote il capo e
sorride materna: nonostante il tempo trascorso, Marian non è cambiato di una
virgola, ma continua a dimostrare sempre la trentina d’anni che ormai non avrà
più da un pezzo, e a indossare quel sorriso così beffardo che non riesce a
lasciare indifferente nemmeno un’anziana come lei.
Mother però è
un’attenta osservatrice e non le sfugge che nei movimenti dell’esorcista oggi
non c’è la consueta leggerezza scanzonata: qualcosa lo infastidisce, anche se
non al punto da intaccare la sicurezza di sé che ha sempre contraddistinto
quell’uomo così indecifrabile.
Pur essendo
certa della sua intuizione, tuttavia, la donna non si azzarda a porre una
domanda esplicita, limitandosi ad interrogarlo con lo sguardo - tanto sa
benissimo che se Cross ha intenzione di vuotare il sacco, lo farà di sua
iniziativa.
E infatti,
sedutosi a tavola, mentre lei gli riempie la tazza di caffè e gli presenta uova
e pancetta per colazione, senza staccare gli occhi dal Times del giorno
l’esorcista parla: “Sono stato appena informato che molto presto avrò una visita
sgradevole… un sedicente pezzo grosso della Centrale mi sta col fiato sul collo
perché vuole appiopparmi uno stupidissimo incarico.”
“E come avrebbe
fatto questo signore a trovarti? Non sei sempre stato un maestro della fuga,
tu?” lo pungola Mother.
Lui non se la
prende, ma le risponde con un largo sorriso soddisfatto. “Probabilmente un conto
di mille ghinee dal Savoy di Londra è stato un duro colpo per le venerande
tasche di Sua Santità… devono aver seguito quella traccia…”
La donna,
allibita per la cifra astronomica, strabuzza gli occhi e rimane senza parole
mentre il generale ride di gusto.
All’improvviso
però, Cross si blocca e torna immediatamente serio; dall’esterno si sente
l’inconfondibile rumore di una carrozza che si ferma, lo sbuffare di una coppia
di cavalli e subito dopo una voce maschile, melliflua e palesemente falsa.
L’esorcista si
alza in piedi e si dirige verso la sala, facendo cenno a Mother di andare alla
porta e intrattenere per qualche istante il visitatore. Nel frattempo, come se
fosse stata chiamata (sebbene Cross non abbia pronunciato il suo nome, né abbia
fatto altro cenno o segnale), Mària è apparsa silenziosa e leggera ai piedi
della scala.
L’uomo le
rivolge un sorriso. “Va’ di sopra e attiva il Magdala Curtain: tu e il bambino
non dovete farvi vedere per nessun motivo, intesi?”
Mentre la donna
annuisce e torna al piano superiore, l'anziana apre la porta d'ingresso. L'uomo
che si trova di fronte, quasi colto sul fatto mentre si guarda attorno con aria
sospettosa, torna immediatamente sorridente e saluta con un rapido ma elegante
inchino.
“Buongiorno
Madame, io sono Malcolm C. Leverrier. Scusi se mi presento senza preavviso, ma
starei cercando una persona. Per caso il generale Marian Cross è da queste
parti?”
Educato...
all'apparenza cordiale... una personcina ammodo, insomma, non fosse per quegli
occhi sottili e cattivi che stanno ancora scandagliando l'intera area,
innervosendo parecchio la cara vecchina.
“Mi chiami
Mother, qui mi conoscono con questo nome. Se non le dispiace gradirei sapere se
si tratta di un colloquio di lavoro o di piacere... nel primo caso potrei farla
entrare, anche se le dico subito che in questa casa certi argomenti preferirei
non toccarli. Nel secondo fareste meglio a trovarvi un altro posto dove
bagordare assieme!”
Quel tizio non
le piace, e dal modo in cui lui cessa improvvisamente di sorridere la cosa
sembra reciproca.
“Madame, è solo
ed esclusivamente il lavoro che mi porta in un luogo del genere.”
“Mh. Siamo
intesi. Entri pure e stia attento a pulirsi bene le scarpe, mentre vado ad
avvertire il generale Cross del suo arrivo.”
La donna non ha
nemmeno bisogno di percorrere il corridoio perché, appena si volta vede, Marian
appoggiato con fare noncurante allo stipite della porta della sala, una
sigaretta ancora spenta all’angolo della bocca e un sorriso all’apparenza
cordiale sulle labbra.
“Non ti
preoccupare Mother, come vedi sono già qui… non sta bene far aspettare gli
ospiti, no?” dice con aria rilassata (ma non senza una sotterranea vena di
sarcasmo), facendo scorrere rapidamente due dita lungo la catena del prezioso
rosario d’oro che porta al collo “Buongiorno Sovrintendente! Qual buon vento?”
“Generale
Cross... è un piacere trovarla, una volta tanto. Sono qui perché devo renderla
edotta sul suo nuovo incarico. C'è un posto dove poter parlare in tranquillità?”
“Beh, non
vorrete restare lì in piedi come due baccalà, no? Mi occupate l'ingresso!
Sistematevi in sala, cercate di non fare danni e potrei offrirvi una fetta della
torta di mele che sfornerò a momenti!” esclama Mother, prima di dare le spalle a
entrambi e dirigersi con passo marziale verso la cucina. Si è accorta della
tensione crescente, nonostante le espressioni cordiali dei due, e non vuole
assolutamente rimanerci in mezzo... e a quanto pare non è l'unica: anche
l'affarino dorato all'arrivo dell'ospite si è subito nascosto dietro il vaso di
margherite sul davanzale.
Cazzo, questa
non me l’aspettavo proprio! Non fossi così abituato a controllare e celare le
mie emozioni, scoppierei a ridere… adesso credo proprio di aver capito qual è il
punto stavolta…
Certo che questa
famosa missione dev’essere parecchio importante se Leverrier stesso si è
preoccupato di venire fin qui, in questo paesino sperduto (perché di sicuro la
città più vicina è piuttosto lontana, a giudicare da quanto sono stanchi i
cavalli attaccati alla sua carrozza), solo per beccare Cross (che poi mi
piacerebbe capire come faceva a sapere che il Sovrintendente stava per
arrivare)… sapessi quanti dannati anni mancano ad arrivare al presente, forse
potrei anche capirci qualcosa di più da solo, ma visto che a quanto pare mi è
impossibile, non mi resta che ascoltare la loro conversazione…
L'esorcista e il
burocrate si siedono al tavolo, uno di fronte all'altro, squadrandosi per alcuni
secondi. Lo sguardo di Leverrier, che non riesce a sostenere quello del
generale, scivola sul mobilio e poi sul fascicolo che l'uomo ha posato davanti a
sé, in un nemmeno poco velato tentativo di mettere un po' d'ansia al suo
interlocutore. È in quel momento che l’ufficiale si rende conto di un piccolo
particolare, al quale all'inizio non ha dato importanza. A quanto risultava dai
rapporti, il generale Cross aveva un discepolo con sé... dov’è ora?
“Generale...
vedo con dispiacere che il suo allievo non è qui con lei. Come mai?” chiede con
fare untuoso, riportando lo sguardo su Cross e intrecciando le mani sul tavolo
davanti a sé.
L’esorcista, che
fino a quel momento si è limitato a starsene mollemente seduto, il gomito
puntato sul tavolo e il mento poggiato sul palmo della mano, inarca sornione le
sopracciglia, vagamente stupito dall’esordio che Leverrier ha deciso di dare
alla conversazione.
“La mia
allieva, per essere precisi. Una gran bella donna che però ha avuto la sfortuna
di essere una compatibile parassita…” lo butta lì con nonchalance, ma sa
benissimo che insinuare che venir scelti dall’Innocence sia una disgrazia farà
incavolare il Sovrintendente - ed è proprio per questo che lo dice.
“Donna o uomo
che sia non cambia, stiamo sempre parlando di un apostolo scelto da Nostro
Signore per vincere questa guerra santa... sa bene che non possiamo permetterci
di perdere altri esorcisti. La ricerca di nuovi compatibili procede a ritmi
serrati, ma dato che lei non pare interessato alla questione, gradirei almeno
sapere dov'è finita l'Innocence che era in dotazione alla sua allieva, così da
poterne riutilizzare il potenziale con un nuovo compatibile.”
Davanti a quella
risposta infarcita di vuota, anacronistica retorica da Crociate, il generale non
può fare a meno di sogghignare (cosa che ovviamente manda in bestia
l’ufficiale). “Ah sì? E… dì un po’, Malcom - posso chiamarti Malcom, vero? - chi
ti ha detto che a Mària non serve più la sua Innocence?”
Il
Sovrintendente, piccato dal tono supponente del suo interlocutore e intimamente
preoccupato dalle azioni del folle che gli siede di fronte, trattiene a stento
un ringhio rabbioso.
“Generale, le
consiglio caldamente di non scherzare con il fuoco. La pazienza di Sua Santità e
dei nostri superiori potrebbe finire quando meno se lo aspetta, se lei si ostina
a infrangere le regole come suo solito.”
Lasciata
depositare per qualche secondo la nemmeno troppo velata minaccia, il burocrate
decide di tornare all'argomento principale dell'incontro. Dopo essersi schiarito
la voce, inizia nuovamente a parlare, le mani sul tavolo a sfogliare lentamente
il fascicolo che si è portato dietro.
“Generale Marian
Cross, sono qui in veste ufficiale per affidarle un incarico di vitale
importanza per la nostra Santa Madre Chiesa. Come lei sicuramente sa, il nostro
acerrimo nemico possiede una fabbrica, chiamata «uovo», mediante la quale
produce senza sosta i suoi akuma. Compito di voi apostoli, naturalmente, è
distruggere quegli esseri immondi per salvaguardare il benessere dell'umanità,
ma crediamo che una parte importante di questa missione possa essere svolta più
efficacemente risolvendo il problema alla radice. Generale Cross, quell'uovo
deve essere individuato, raggiunto e infine distrutto. Solo così la Chiesa potrà
fare un decisivo passo avanti nella guerra contro il Conte e la famiglia Noah.”
Man mano che
Leverrier parla, l’espressione sul viso del generale attraversa diverse
sfumature, fino a cristallizzarsi in un sorriso che sottintende molte cose -
nessuna delle quali, ovviamente, sarà mai portata a conoscenza dell’altro uomo.
“Mh. Quindi
volete che io mi infiltri nell’Arca per sbriciolare l’ovetto, giusto?” domanda
infine, ma senza realmente aspettarsi alcuna risposta. Poco dopo infatti
riprende, mentre si accende la sigaretta “Giusto per informazione, hai almeno
una vaga idea del casino che comporta una cosa del genere?”
“Che sia facile
o difficile non è un problema di Sua Santità. Voi, in qualità di apostoli scelti
appositamente dall'unico Dio, siete tenuti a fare il possibile e anche
l'impossibile per raggiungere obiettivi di questo genere.” ribatte il
Sovrintendente, incrociando le braccia.
“Oh certo,
l’unico problema di Sua Santità è trovare una veste ogni giorno più sfarzosa…”
replica quieto il generale, soffiando in alto una boccata di fumo. Poi torna a
guardare dritto in faccia Leverrier, la sicurezza che brilla provocatoria nel
suo sguardo “Comunque non ho detto che rifiuto l’incarico, era solo per capire
se avete capito cosa mi state chiedendo. Sai com’è, voi che passate tutto il
tempo con il culo incollato alla sedia, di solito non sapete molto bene come
funzionano queste faccende…”
Il burocrate fa
per alzarsi e protestare, contrariato dalla sfacciataggine dell'altro. La
tensione tra i due è diventata quasi palpabile quindi, prima che il tutto
finisca in rissa, Mother pensa bene di lasciare il suo rifugio in cucina e
rientrare in sala con la torta ancora calda.
“Spero che
abbiate finito di parlare, signori, è ora di assaggiare una fetta della mia
specialissima apple pie! Non vorrete mica lasciarla freddare, spero!”
L'anziana taglia
rapidamente due fette, le dispone sui piattini e le mette direttamente sotto al
naso dei due. Il morbido profumo riempie la stanza, riportando un'apparenza di
serenità.
In pochi minuti
i piatti sono ormai vuoti, e il Sovrintendente si congeda. Mother lo accompagna
alla porta e, dopo essersi accertata della sua effettiva partenza, ritorna in
sala dove si accomoda e si serve a sua volta di un'abbondante porzione.
“Povera la mia
torta, sprecata per un omuncolo del genere! Spero gli venga una bella carie,
prima o poi!” borbotta, infilzando un pezzo di dolce con la forchettina decorata
e seguendo con lo sguardo Timcanpy nel suo svolazzare dal davanzale alla testa
dell'esorcista.
“Bah! È che
purtroppo di solito quelli della sua risma sono i più duri a crepare, sai?”
commenta infastidito Cross, alzandosi in piedi e avvicinandosi alla finestra, le
mani sprofondate nelle tasche dei pantaloni di pelle. “Comunque mi ha rifilato
una bella gatta da pelare… devo partire subito, assieme a Mària e al bambino. Ma
che quelli della Sede non si sognino che gli mandi una letterina tutti i mesi
per dirgli che sto bene!” conclude acido - è evidente che l’Ordine con tutta la
sua burocrazia ingessata e i suoi baciapile gli va proprio stretto.
Il boccone di
torta in bilico sulla forchetta cade nel piattino, seguito subito dalla posata.
Mother scatta in piedi, infuriata.
“Cosa?! Ma il
piccolo non si è ancora nemmeno svegliato! È talmente smagrito e indebolito che
dubito riuscirebbe a stare in piedi da solo, figuriamoci di partire per un lungo
viaggio! Ti proibisco tassativamente di farlo uscire di qui, almeno per il
prossimo mese... Ha un assoluto bisogno di cure e sua madre non può certo fare
miracoli in così breve tempo, anche se io l'aiuto dandole il cambio ogni tanto!”
L’esorcista non
si fa per niente impressionare. Si volta verso Mother, poggiandosi al davanzale,
con le braccia conserte. “Non hai capito, donna: non ti sto chiedendo un parere.
Ho detto che partirò domani, dopodomani al più tardi, portandomi dietro entrambi
e così sarà. Il bambino ha passato di peggio negli anni scorsi, sopravviverà.
Quanto a sua madre, come ti ho già spiegato non è più viva da molto tempo,
quindi non soffre tutte le nostre limitazioni.”
La donna gli
tiene comunque testa, nonostante la differenza di stazza e statura. C'è una
grande saggezza che brilla nei suoi occhi, una conoscenza davanti alla quale
anche il grande generale Cross potrebbe vacillare.
“Trenta giorni,
non uno di più, non uno di meno. Non sono disposta a lasciarti fare uno dei più
grossi errori della tua vita, Marian. Qualunque siano i tuoi piani per quel
bambino, ti sarà difficile realizzarli se il piccolo non riesce a sopravvivere
già al primo viaggio, non credi? Quattro settimane di lavoro intensivo, fra me e
sua madre, e poi potrai portarlo dove ti pare.”
Davanti a quella
replica testarda, l’esorcista inarca le sopracciglia perplesso: deve ammettere a
se stesso che non si aspettava che Mother osasse tanto. Sforzandosi di
considerare le sue parole con obbiettività, deve comunque riconoscere che ha
ragione. Amiel (anzi, Allen - ora è quello il nome con cui deve chiamarlo, gli
ha detto Mana) non ha proprio una salute di ferro, anche se la tempra è robusta,
e per di più lo shock psicologico che ha subìto, con la morte del padre e tutto
il resto, non ha certo migliorato le cose.
Ovviamente però,
il generale non riconoscerà mai nulla di tutto ciò all’anziana, ne andrebbe del
suo onore. Si limita quindi ad annuire e poi rivolge un sorriso alla figura
silenziosa ferma sulla soglia della sala, alle spalle di Mother. “Va bene, sia
come dici tu. Ma vedi di non tirarmi in mezzo, intesi?”
“Non corri alcun
rischio, tranquillo. Già una volta ce la siamo cavata senza di te, ce la faremo
anche stavolta.” sogghigna lei, compiaciuta, prima di tornare al tavolo e
prendere il vassoio con la mezza torta di mele avanzata.
Avvicinandosi al
corridoio con il suo dolce carico, sorride teneramente alla donna senza vita che
sembra la stia aspettando. “Ora portiamo questa buonissima torta al piano di
sopra. Appena il piccolino si sveglierà avrà sicuramente una fame da lupi, vero
cara?”
Tsè, decisamente
lo spettacolo si sta facendo più interessante… continuo a non sapere minimamente
dove cazzo sono finito o in che epoca siamo (anche se adesso ho già un’idea più
precisa [mancheranno al massimo tre o quattro anni al presente]), né tantomeno
perché sono qui, ma è innegabile che vedere quel pallone gonfiato di Leverrier
scornato in quel modo dà le sue soddisfazioni.
Incrocio le
braccia, ghignando: non avrei mai detto che Cross fosse un tipo del genere…
(anche se, da quel che ho visto e che mi ha raccontato Tiedoll, avrei dovuto
immaginarlo). E comunque anche la vecchia ha una bella faccia tosta ad opporsi
al generale…
La osservo
salire al piano di sopra e decido di seguirla - voglio vedere come è ridotto il
moyashi; assieme a lei c’è sempre quella donna, Grave of Mària (la madre di
Walker…).
Ed è proprio la
sua stessa esistenza, il fatto che sembra dotata di intelletto e volontà, la
cosa che mi lascia più sbalordito: com’è possibile che un cadavere sia senziente
al punto da potersi ancora sincronizzare con l’Innocence? (Perché quella
creatura è ancora un’esorcista, non si discute - l’allusone di Cross era chiara
[A questo punto, forse, l’unica differenza tra me e lei è il fatto che io posso
parlare…])
Quest’ultimo
pensiero mi inquieta più di quanto credessi (non è il momento di riflettere su
questioni esistenziali [che tanto non servono a un cazzo]), quindi scuoto
energicamente la testa per scacciarlo e salgo le scale seguendo le due donne.
Un mese dopo, la
stessa carrozza che è arrivata a casa di Mother quella notte si ferma davanti al
porto più grande della costa inglese, Dover.
Il cielo è
grigio e pieno di nubi, ma per fortuna il rischio di pioggia sembra scongiurato.
Il sole appena sorto riesce timidamente a superare le fitte coltri con i suoi
deboli raggi, rischiarando l'ambiente circostante e facendolo sembrare meno
ostile, pur senza riuscire ancora a riscaldarlo. Ci vorranno settimane perché il
sole primaverile torni a far splendere le caratteristiche scogliere di calcare.
Dalla carrozza,
eccezionalmente condotta da un cocchiere assoldato apposta, scendono in due.
Pochi istanti dopo la vettura riparte e il generale Cross si avvia a passo
spedito verso l'ingresso del porto, seguito dal giovane Allen.
Il ragazzino,
visibilmente più in salute rispetto prima anche se non ancora completamente
ristabilito, cammina incerto nei suoi abiti nuovi, trascinandosi dietro il
pesante bagaglio del suo mentore. Quando l'uomo è sceso dalla carrozza e si è
avviato lungo la banchina gli è venuto naturale prendere la valigia che l'altro
stava dimenticando (succedeva anche a Mana di dimenticarsi le cose in giro... ),
ma non si aspettava certo un peso del genere... Decide però di risparmiare il
fiato ed evitare ogni domanda a riguardo, intuendo che forse in questo caso non
si è trattato di una dimenticanza vera e propria. Anzi.
Raggiunta la
banchina, improvvisamente l'uomo in divisa si ferma. Allen frena appena in tempo
per non andare a sbattergli contro, e approfitta della piccola pausa per posare
il bagaglio e riprendere le forze.
Cross rimane per
qualche istante in silenzio, il piede puntato su una bitta e il gomito poggiato
alla gamba; il suo sguardo si perde a contemplare il marementre, con
gesti meccanici, estrae l’ennesima sigaretta e la accende. Stringe gli occhi,
infastidito dalla luce che riverbera sull’acqua color cobalto e dal vento che
gli scompiglia i capelli; espira lentamente una boccata di fumo e attraverso di
essa osserva le coste francesi, che si intravvedono in lontananza nonostante la
foschia sull’orizzonte.
“Più di sei
secoli fa, Riccardo Cuordileone partì da qui, per la sua Terza Crociata…”
commenta noncurante, lanciando un’occhiata di sottecchi al bambino, anch’egli
assorto nella contemplazione dell’acqua scura e delle piccole onde che si
frangono delicatamente sulle banchine di pietra. “…per un tratto seguiremo le
sue orme. E chissà che poi non si finisca anche noi per stringere un’inaspettata
alleanza con il «nemico»…” conclude, con una risata appena accennata.
Non l’ha buttata
lì tanto per dire, la storia dell’alleanza: Cross ci spera davvero che alla
fine, tra qualche anno, quando verrà il momento per lui di scoprire che le
memorie del Quattordicesimo sono dentro di lui, il ragazzo riesca a venire a
patti con l’intera faccenda.
Anche se,
l’esorcista se ne rende conto, non dev’essere facile accettare l’idea che tuo
padre viva fisicamente dentro di te e si serva del tuo corpo per tornare in
questo mondo… Mana gli ha detto chiaramente che la cancellazione dell’ospite non
è affatto inevitabile - dipende tutto dall’ospite stesso - ma gli ha altresì
proibito di dire una sola parola a suo figlio su quella faccenda.
Per quanto è
chiaro che, adesso come adesso, Allen ha ben altri problemi. Ognuno ha un modo
tutto suo per elaborare il lutto e, benché sia convinto che per superare il
trauma e i sensi di colpa per la morte di Mana non gli basterà una vita intera,
il ragazzino ci ha provato - chiudendosi di nuovo in se stesso, in quel
nascondiglio immaginario che già aveva creato da piccolo grazie alla propria
fantasia.
È quindi un
«Noi?», quasi afono ma anche incredibilmente stupito, la prima parola che Allen
pronuncia dopo un mese di completo mutismo, mentre la comprensione gli illumina
per un attimo il volto: ecco perché la valigia era così pesante! Anche lui
partirà con il generale!
L'entusiasmo che
tutti i bambini provano davanti a una nuova avventura, però, viene smorzato dal
timore davanti all'ignoto. Certo, qualcosa gli dice che viaggiare con un
esorcista - e diventare uno di loro - non sarà una cosa facile… ma non è questo
che lo preoccupa di più, al momento.
Mettendo una
mano sugli occhi a ripararsi dalla luce solare, Allen fa scorrere lo sguardo
sulle imbarcazioni che, attraccate ai moli, già fumano in attesa dei loro
passeggeri.
Il ragazzino
sospira, abbassando lo sguardo a terra. Lui non vuole lasciare il Paese, non ci
è abituato, e soprattutto... anche se con Mana, ha girato molto, non è mai
salito su una nave!
Mentre Cross
termina la sigaretta, non dando segno di averlo sentito, Timcanpy gli svolazza
attorno comprensivo. Allen, che si sente in un certo qual modo confortato
dall'amicizia del piccolo golem, riesce a radunare il coraggio necessario per
schiarirsi la voce un paio di volte. Quando le corde vocali sono tornate a fare
il loro lavoro, pone di nuovo la fatidica domanda all'uomo che lo precede:
“Ma... devo per forza venire anch'io, signore?”
Alla frase
incerta del bambino, il generale si volta verso di lui, le sopracciglia inarcate
ad enfatizzare una perplessità che forse nemmeno prova. “Come pensi di fare a
diventare un esorcista senza un maestro?” replica piatto, gettando il mozzicone
tra le onde.
Il ragazzino
torna a fissare il mare, gli occhi puntati sull'interminabile movimento della
risacca, e deglutisce nervosamente. Ricorda bene la domanda che il generale gli
aveva posto davanti alla tomba di Mana, e ricorda bene la promessa che ha fatto
a suo padre prima che questi morisse: deve continuare a camminare, deve andare
avanti... anche se questo significa attraversare l'oceano per diventare un
esorcista!
Annuisce,
distogliendo gli occhi dalla superficie increspata e portandoli con decisione,
forse per la prima volta, sul viso dell'uomo. “Davvero mi insegnerete, Maestro?
Allora verrò con voi ovunque andiate!” esclama infine, afferrando nuovamente il
bagaglio di entrambi, prima di seguire il generale verso il molo più vicino.
E così, questo è
l’inizio dell’apprendistato da esorcista di Allen Walker… ha seguito Cross in
giro per il mondo, mentre lui lavorava dietro le quinte perché un giorno il
proprio allievo potesse entrare nell’Arca e controllarla. Sarei veramente
curioso di vedere la reazione del moyashi se gli raccontassero tutto del suo
passato: sarebbe un colpo durissimo alla memoria e alla fiducia che ha sempre
riposto in Cross stesso e in Mana, le due persone che più ha amato nella sua
vita (si sentirebbe tradito? [Probabilmente ne uscirebbe pazzo])
Comunque venendo
qui ho finalmente capito dove accidenti siamo: quelle sono le scogliere di
Dover, sono inconfondibili… quindi probabilmente anche tutte le scene precedenti
erano ambientate da qualche parte nel sud dell’Inghilterra (e adesso stiamo per
spostarci chissà dove […’fanculo, appena trovato un punto di riferimento subito
me lo bruciano]). Vabbè, non sarà molto, ma almeno non mi sento più
completamente sospeso in un limbo…
Incrocio le
braccia e li seguo con lo sguardo mentre si imbarcano su un piroscafo, in attesa
che scenda il solito sipario di buio e tempo e luogo cambino per l’ennesima
volta.
Una volta messo
piede in Europa, dopo aver girato per Calais alla ricerca di una carrozza,
maestro, allievo e golem ripartono in treno per attraversare il continente in
direzione sud.
Qui il generale
sembra avere questioni da sbrigare in tutte le città esistenti e, per ogni
giorno speso in «affari», se ne vanno almeno altri sei per il tour tutto
compreso delle migliori taverne del luogo.
Tempo di
arrivare a Parigi e Allen ha il primo assaggio di quella che sarà la routine
della vita con il suo nuovo maestro, che prima afferma di aver «perduto» il
gioiello di ottima fattura che voleva impegnare per saldare il conto
dell'albergo e che poi, aggredito da un gruppetto di muscolosi creditori, lo
lascia in loro balia per fuggire senza pagare.
Nei primi tempi
di convivenza con Cross, quindi, il giovane Allen non impara un bel niente di
ciò che dovrebbe farlo diventare un esorcista. L'unica cosa che ottiene è capire
che sta viaggiando con un adulto completamente inaffidabile, dedito solo al
fumo, all'alcool e alle belle donne - cosa deprecabile per un uomo di Chiesa ma
che al ragazzino non dà particolarmente fastidio... almeno fino a quando, una
volta esaurita la cassa per il viaggio, tocca a lui tirarsi su le maniche per
raggranellare i soldi necessari a pagare sia i vizi del Maestro che vitto,
alloggio e trasporti per entrambi.
Fra treni e
carrozze, ristoranti e taverne, debiti e creditori, passano i giorni e passano
le settimane... tappa dopo tappa, parallelo dopo parallelo il clima diventa
progressivamente più caldo, e quando finalmente i due giungono nel nord
dell'Italia l'inverno ha ormai lasciato da un bel pezzo il posto alla primavera
inoltrata.
Qui il copione
ovviamente si ripete, ed Allen è costretto a lavorare di piccone per racimolare
le lire necessarie a pagare i vizi del generale.
Certo, il lavoro
gli consentirà di metter su qualche muscolo e soprattutto di esercitare meglio
il braccio sinistro (che per fortuna sta aumentando giorno dopo giorno
sensibilità e mobilità)... Ma proprio ora, in un vicolo buio e umido, mentre il
Maestro gli sequestra tutto il suo stipendio (guadagnato con una lunga giornata
di lavoro) per andarlo a spendere con una delle sue «amiche», il ragazzino non
può fare a meno di ricordare la frase pronunciata a Dover in quella mattina di
cielo grigio, chiedendosi chi cavolo gliel'ha fatto fare...
Le cose non
migliorano durante il viaggio in treno verso l'Est Europa.
Il loro
obiettivo, a quanto Allen ha capito, è il continente africano, ma tanto per
cambiare il Maestro li ha nuovamente costretti a una deviazione forzata. Pare
che stavolta debba passare a casa di un vecchio amico per riportare una
particolare pianta che questi gli aveva prestato anni prima.
Scaricato in un
villaggio lì vicino a lavorare come sguattero per racimolare i soldi per il
treno, Allen può solo essere contento di non doversi più portare dietro la
pianta - recuperata poco prima in Ungheria, a casa di un'altra delle centinaia
di amiche del Maestro. Al ragazzino piante e fiori piacciono, a dire la verità,
solo che Rosanne era una pianta carnivora non molto amichevole... accidenti,
anche Timcanpy aveva rischiato di venire masticato!
Dopo mezza
giornata il Maestro è di ritorno, e i due prendono un nuovo treno in direzione
sud. La traversata dell'Ucraina procede tranquilla, l'allievo che riposa e il
maestro che fuma, e dopo un paio di giorni si intravede all'orizzonte lo
specchio azzurro del piccolo Mar di Marmara.
Giunti a
Costantinopoli, i due cercano una nave che li porti in Egitto. Trovano un
passaggio su una nave da pesca, e in cambio Allen finisce a sollevare reti e
reti colme di sardine. Attraverso i Dardanelli, il mercantile arriva nel mar
Egeo, vira verso Sud e poi, dopo una piccola tappa a Creta, inizia l'ultimo
tratto di strada che in una settimana di pigro navigare porta pesci e passeggeri
a sbarcare nel caldo Egitto.
Arrivati a
questo punto, Cross non ha ancora effettivamente insegnato un bel nulla al suo
allievo, ma Allen sta inconsciamente imparando a sopravvivere.
Il clima, caldo
e secco nell'entroterra e caldo e umido lungo le coste, è considerevolmente
diverso da quello inglese. Cross non sembra subire gli effetti delle alte
temperature, mentre Allen ha già abbandonato giacca e panciotto per rimanere in
maniche di camicia e, dopo essersi scottato leggermente, cerca ovunque l'ombra
per evitare le insidie del sole cocente.
Presa a nolo una
barca tipica, i due risalgono il grande fiume Nilo fino a Luxor. Nella città,
importante centro turistico del Paese vicino alla famosa Valle dei Re, sono però
obbligati a lasciare il fiume che si restringe troppo per consentire di
procedere oltre.
Girando per
locande e taverne, i due trovano anche stavolta un passaggio: il giorno dopo,
quindi, si accodano a una carovana di mercanti che deve attraversare la zona
delle grandi piramidi e il deserto per arrivare in Kenya. Niente carrozze, treni
o cavalli, però. Questa volta Allen deve tirare fuori tutto il suo spirito di
adattamento e una buona dose di coraggio, virtù indispensabili quando incontri
per la prima volta un dromedario poco simpatico che sarà la tua cavalcatura per
tutti i 23 giorni di viaggio!
Arrivati
finalmente in Kenya, tanto per cambiare Cross decide di concedersi una vacanza.
Allen è convinto di essere arrivato a destinazione - pur non avendo ancora
imparato un bel nulla del mestiere di esorcista - ma ovviamente il generale non
è della stessa idea. Centellinando un ottimo vino del luogo, afferma
candidamente di aver fatto un po' di confusione: la loro destinazione è l'India,
non il Kenya!
Visto che sono
nel continente africano, l'uomo vorrebbe partecipare a un safari, ma il tempo
stringe. Possono concedersi soltanto tre giorni in una tranquilla cittadina
vicino a Mombasa, e soltanto perché la nave che li porterà verso le Indie è
ferma per riparazioni.
Mentre il
Maestro si gode la vita come suo solito, sulle spalle il solo peso di Timcanpy
(che ha preso il vizio di stare perennemente accoccolato sul comodo cappello di
Cross), Allen si barcamena come può per raggranellare i soldi necessari per
tutto.
Gira l’intera la
città alla ricerca di lavoretti da fare, ma non tutti danno fiducia agli
stranieri: una sera di ritrova quindi con nessun lavoro e il terrore di
presentarsi da Cross a mani vuote. Anche in questo caso, quindi, finisce per
fare di necessità virtù: senza sapere né come né perché, si ritrova seduto al
tavolo da gioco di una taverna dove, utilizzando le proprie abilità di baro
(imparate da Mother come terapia pratica per la riabilitazione della mano),
riesce a vincere a poker il necessario per sopravvivere una settimana intera.
Questo piccolo
espediente gli consente di ritagliarsi, per la prima volta dall'inizio del
viaggio, un po' di tempo tutto per sé. Cross però sembra accorgersene e per
impiegare «costruttivamente» quel tempo, oltre ad esortarlo a mettere a frutto i
suoi trucchetti per avere più soldi da spendere, inizia anche ad affidargli
missioni assurde e rischiose... arrivando addirittura a chiedergli di portargli
un leone vivo!
Per fortuna i
tre giorni passano in fretta e i due salpano in direzione Est, Cross che al
solito beve e fuma mentre Allen dà una mano in sala macchine e si diverte a
spennare a poker i componenti dell'equipaggio.
Ci vogliono un
paio settimane, tra mare in tempesta e pause per sistemare i motori, ma anche
stavolta i due riescono a raggiungere sani e salvi le coste dell'India...
...e Allen non
ha ancora imparato nulla del nobile lavoro di esorcista.
Quando lo
scenario intorno a me si fa infine completamente nero, crollo in ginocchio,
esausto e con la testa che mi vortica in maniera ossessiva e convulsa. In un
breve (quanto non lo so, ma comunque troppo) lasso di tempo la scena davanti ai
miei occhi è cambiata un numero incalcolabile di volte e con una velocità tale
da rendermi impossibile capire cosa stessi vedendo. Capivo per intuito,
collegando indizi talmente labili da essere irriconoscibili, e basandomi su
ricordi che nemmeno credevo d’avere (quando mai ho visto l’Egitto, io? […forse
lo vide il vero me stesso…])
…’fanculo, mi
auguro sinceramente che questo viaggio assurdo sia finito, non sopporterei
un’altra serie così rapida di cambi di scena (ma quanto cazzo ha girato il
moyashi?!).
A quanto pare,
ora stiamo per sbarcare in India. Se non ricordo male avevo sentito dire che
Walker era partito da qui quando è arrivato all’Ordine (spero non mi tocchi poi
sorbirmi anche il viaggio di ritorno!), quindi posso supporre che almeno per un
po’ ci fermeremo?
Pur avendo
l'incredibile fortuna di non soffrire il mal di mare, per Allen il viaggio è
stato tutt'altro che piacevole quindi, mentre il sole sorge ad Est illuminando
il profondo porto naturale di Bombay che appare pian piano all'orizzonte, al
ragazzino non sembra vero di poter finalmente rimettere piede sulla terraferma.
Sarebbe quasi
tentato di baciare il polveroso terreno indiano, ma Cross non gli dà nemmeno il
tempo di riprendere fiato: a quanto pare hanno un treno da prendere, e se devono
anche passare nelle quattro o cinque taverne più famose della città, non possono
certo perdere tempo...
PREVIEW:
Capitolo 5 - Fu
gettato sulla via, ma col fuoco nel cuore prese la sua croce e iniziò a
camminare
Il generale
continua a fare la bella vita e continua a non insegnare un bel nulla al suo
allievo, aspettando il momento propizio per dare il via all'apprendistato
ufficiale.
Il «momento
propizio» tanto atteso alla fine arriva, all'incirca sei mesi dopo il loro
arrivo, ma per l'Inglese la cosa è tutt'altro che facile. Messo davanti a una
situazione critica, solo comprendendo e accendendo nel suo cuore il nuovo e
bruciante desiderio di restituire alle anime ingannate la libertà perduta gli
consentirà di attivare con successo, per la prima volta, la sua arma anti-akuma.
[…]
Vedendolo
crescere assieme a quel ragazzino indigeno, ho capito cos’è successo al bambino
incazzato col mondo che il generale raccolse su quella tomba. È in questo
periodo, assieme a quel Narein, che il moyashi è diventato quel che conosco io…
IL POST-IT DELLE
AUTRICI
Come detto in
precedenza, elenchiamo di seguito tutte le citazioni contenute nel capitolo che
avete appena letto.
- Il titolo:
citazione composta traendo spunto da due passi biblici che l’esegesi riferisce a
Lucifero e alla sua caduta dal Paradiso. In particolare Ez 28,12; 15-16 “Tu
eri un modello di perfezione, / pieno di sapienza, / perfetto in bellezza. […]
Perfetto tu eri nella tua condotta, / da quando sei stato creato, / finché fu
trovata in te l'iniquità. / Crescendo i tuoi commerci / ti sei riempito di
violenza e di peccati” e Is 14,11 “Negli inferi è precipitato il tuo
fasto, / la musica delle tue arpe”.
- La missione
affidata da Leverrier a Cross: come avrete intuito, si tratta della missione che
Cross poterà a termine solo 4 anni dopo, quando si ripresenterà nell’Arca per
salvare la pellaccia ad Allen e agli altri. Il conferimento dell’incarico
l’abbiamo collocato cronologicamente qui sulla scorta di quel che riferisce Link
durante la riunione con i generali e i supervisori: “Generale Cross Marian, 4
anni fa, subito dopo che le era stata affidata la missione di distruggere
l’impianto di creazione degli akuma, lei ha interrotto le comunicazioni con il
Quartier Generale” (cap. 136, pag. 2)
Per questo
capitolo è tutto! Se avete un qualsiasi dubbio, chiedete pure!
Capitolo 5 *** Fu gettato sulla via, ma col fuoco nel cuore prese la sua croce e iniziò a camminare ***
L’ANGOLO
DELLE AUTRICI
Ed eccoci qui, finalmente, con il quinto capitolo della
nostra fic ^^ Scusate il ritardo, ma quando la
tecnologia ti abbandona c'è poco da fare... anche cacciare accidenti
minacciando di fare a fette il pc di Mistral non è
riuscito a far partire il sistema operativo =_=
Vabbè, cose che capitano, e siamo sicure che non ce ne vorrete
per questo!
Questa volta vi aspetta un capitolo decisamente lungo,
meno descrittivo del precedente ma sicuramente più ricco di emozioni e più
approfondito dal punto di vista psicologico. In questa parte, infatti,
ricostruiremo i momenti più critici dell'apprendistato di Allen fino al momento
in cui, martello alla mano, Cross lo lascerà da solo a proseguire sulla strada
verso l'Ordine.
Ricordiamo che tutti gli sviluppi psicologici dei
personaggi sono frutto delle nostre lunghe elucubrazioni mentali... Speriamo
che anche voi li condividiate, o che comunque apprezziate lo sforzo non
indifferente che abbiamo sostenuto per rendere il più verosimile possibile questa
storia.
Detto questo, passiamo alle risposte alle recensioni ^^
Cara Retsu89,
innanzitutto non ti preoccupare per la recensione, che è
tutt'altro che scarna. Capiamo benissimo i tuoi problemi con il caldo, che alla
fine sono anche i nostri XD, e speriamo che questa nostra risposta ti arrivi
anche nell'angolino buio dove sei riuscita a trovare refrigerio.
L'addestramento di Allen più che un suicidio è un
martirio, precisiamo! Il nostro caro moyashi non
riesce proprio a non dimostrare un po' di masochismo, ogni tanto, che ci vuoi
fare...
Lety chiede di stendere un velo pietoso su Leverrier
(che le ha fatto venire nausea e orticaria, tanto è disgustoso) e soprattutto
sulla ricostruzione del viaggio... riconciliare googlemaps
con gli indizi dati dalla sensei è stato tutt'altro
che facile, almeno fino al giorno in cui ha ritrovato il fatidico episodio a
cui fare riferimento (all'inizio era allegramente andata a memoria...
rimescolando tutto xD)
In ogni caso sì, la fic sta per
finire. Questo che leggerai ora è il capitolo 5 su 7, ma ci sono ancora delle
sorprese che vi aspettano, tranquilla ^^
Un bacio e un abbraccio anche a te :)
Ps: scancherare? O.O forte! XD
Cara Bradipiro,
qui tutto ok, tu? Stiamo un po' sclerando
fra caldo, lavoro (Mistral, Lety ha appena iniziato
le ferie) e millemila cose da fare XD
Ti ringraziamo per la recensione, e facciamo un po' le
antipatiche rispondendo alla tua domanda... con una domanda:
effettivamente dove sta scritto che l'ospite debba
obbligatoriamente essere distrutto? XD
Vedremo cosa ne pensa la sensei,
una volta che si deciderà a svelare tutti i misteri che ancora permeano la
storia (e che ancora adesso aumentano andandosi ad aggiungere ai vecchi,
accidenti!).
Per quanto riguarda i nomi e il loro significato... abbiamo
sommato vari significati trovati in giro per il web, soprattutto nei siti dove
i futuri genitori cercano ispirazione per chiamare i loro pargoli ^_^''
noi stiamo bene, tu? Siamo fiere di te per il risultato
dell'esame di maturità, brava! *_*
Grazie come sempre per i tuoi commenti, apprezzatissimi soprattutto da chi non è mai sicura di
tenere IC personaggi visti solo di sfuggita, poco approfonditi o poco... ehm...
tollerati XD
Per quanto riguarda l'anime, continuiamo a suggerirvelo...
anche i filler, che accidenti a loro hanno il loro perché (rivedendone un paio
dopo aver letto Hachisu no Yume
capirai cosa intendiamo XD) Certo, il manga è tutt'altra cosa...
Non ti preoccupare, niente lapidazione. Non siamo così
radicali, noi, soprattutto se consideriamo quanto certi atteggiamenti
fondamentalisti siano alla fine semplice copertura dell'ipocrisia presente ;)
(anche se... Spongebob... çAç) ← LOL
A presto ^_^
Cara Flowermoon,
non ti preoccupare per il ritardo ^_^ Cose che capitano,
soprattutto d'estate quando il tempo è tanto ma passa così rapidamente che la
sera non hai concluso nulla di quanto ti eri prefisso =_=
Lety dice «Prego!» e spera di non dover ripetere l'esperienza,
peccato si stia scordando del viaggio di ritorno!
Di Leverrier meglio non parlare,
va'. Muovere Mother invece è stato davvero
divertente, soprattutto nel farle tener testa a Cross... è stata un po' una
sfida, ma già nel romanzo si vede che è una tipa tosta!
Eh no, Allen-kun non s'aspettava
nulla di tutto quello che poi ha passato, però prima o poi capirà e apprezzerà
questo periodo che tanto gli ha tolto ma che tanto gli ha anche dato per
costruire la sua strada.
Ti lasciamo al capitolo, sperando di non commuoverti
troppo ç_ç*allunganofazzoletti*
Buona lettura!
E
per questo capitolo è tutto, a risentirci al prossimo “Angolo delle Autrici”!
Un
abbraccio,
Lety&Mistral
Hachisu
no Yume
(Il sogno del loto)
5. Fu gettato sulla via,
ma col fuoco nel cuore prese la sua croce e iniziò a
camminare
Arrivati
sulle coste della penisola indiana, maestro e allievo prendono nuovamente il
treno. La destinazione, questa volta, è una ricca città nell'interno della
regione. La moglie del defunto maharaja è una delle più affezionate tra le
numerose «amiche» del Generale, quindi si è detta disposta ad accoglierli per
tutto il tempo che vorranno trattenersi.
Servito
e riverito, circondato dal lusso, Cross non se lo fa ripetere due volte: sono
in viaggio da quasi due anni, che diamine, ci vuole una bella pausa per
riprendere le forze! Non dovendo pagare nulla, anche Allen può finalmente
rilassarsi un po'.
Ciononostante,
nei mesi in cui i due vivono ospiti della donna, il giovane dai capelli bianchi
non può fare a meno di dimostrare la sua gratitudine facendo piccole
commissioni e dando una mano nella gestione del maestoso palazzo che li ha
accolti, oltre a fare qualche lavoretto qua e là per raccogliere altro denaro
per conto del suo maestro.
Nel
tempo libero, intanto, torna finalmente ad essere quello che in fin dei conti
è: un normalissimo ragazzino incredibilmente curioso del mondo che lo circonda:
appena può, Allen legge qualsiasi cosa e studia molto. Certo, fare
l'autodidatta non è facile - anche se a volte pensa che dovrebbe fare
l'autodidatta anche per diventare esorcista, cavolo! - ma la sua grande forza
di volontà viene supportata dall'ottimo esempio che gli dà Narein,
un suo coetaneo che lavora al palazzo e che impegna nello studio ogni momento
di libertà per realizzare il suo sogno di diventare medico.
Basta
poco perché i due ragazzini diventino amici per la pelle, segnando l'inizio per
il piccolo inglese di un'infanzia vera, benché tardiva, piena di felicità e
avventure. Accolto con gioia anche dalla famiglia di Narein,
Allen si ritrova quindi con un fratello e una sorella più grande, Miena, che lavora anch'ella presso il palazzo come dama di
corte della moglie del maharaja e sogna di diventare ballerina.
Bene,
e adesso dove accidenti siamo capitati?! In India, ok, ma è un paese
fottutamente enorme, quasi un continente! …oh ‘fanculo, alla fine cosa mi cambia sapere dove siamo di
preciso? (È che odio non avere il controllo della situazione [che illuso che
sono, non l’avrei lo stesso… e la cosa mi irrita e mi
spaventa assieme])
L’unica
cosa positiva è che, a quanto pare, qui il moyashi
c’è rimasto per un po’… e non fatico a capire perché: con vitto e alloggio
(quell’alloggio, poi!) gratis, vuoi che uno come Cross si faccia scappare
l’occasione?
Passano
i mesi, passano i monsoni. Il generale continua a fare la bella vita e continua
a non insegnare un bel nulla al suo allievo, aspettando il momento propizio per
dare il via all'apprendistato ufficiale.
Cross
lo sa che, così facendo, probabilmente finirà, se non per perdere la fiducia
del ragazzino, quantomeno per farlo andare su tutte le furie. Lo sa, ma non per
questo è deciso a cambiare la sua strategia d’azione. Non ha ancora la certezza
che Allen abbia maturato la determinazione e la forza necessarie per
intraprendere davvero la missione cui l’essere nato compatibile l’ha destinato.
Certo,
gli ha detto di essere disposto a seguirlo in giro per il mondo, se questo
avrebbe potuto servire per diventare un esorcista – ma effettivamente quel
ragazzino non ha la minima idea di cosa voglia dire essere un apostolo.
È
ancora mentalmente troppo fragile, troppo condizionato dalla morte di suo padre
e da ciò che il suo occhio sinistro gli mostra ogni volta che incontra un akuma (il generale non ha mai visto una di quelle anime,
tuttavia non fatica ad immaginare che debba essere uno spettacolo orrendo), non
è pronto a reggere la consapevolezza che gli esorcisti non devono fidarsi di
nessuno, ma sono obbligati a considerare ogni uomo un potenziale nemico ed
essere sempre pronti ad uccidere anche chi fino al giorno prima divideva il
pasto con te.
Però
effettivamente la sua testardaggine è ammirevole - considera Cross dopo aver
ignorato l’ennesima richiesta di spiegazioni su come fare a sconfiggere un akuma. Forse la prossima volta, se verrà un momento
propizio, potrà metterlo alla prova… e nel frattempo,
che si goda ancora un po’ di infanzia assieme a quel ragazzino indiano, gli può
solo far bene.
Allen
e Narein, infatti, hanno legato molto: sono sempre
assieme, giocano, studiano, crescono. Ogni tanto il morale di Allen precipita
improvvisamente verso il basso - sarà l'adrenalina del viaggio che è venuta a
mancare, o più probabilmente il fatto che sotto sotto
è diventato un suo chiodo fisso, quello di imparare i fondamenti necessari per
esorcizzare gli akuma - ma basta l'amicizia di Narein e di Miena per farlo
sorridere di nuovo.
Tutto
sembra perfetto.
Ma,
si sa, nulla è per sempre.
Il
«momento propizio» tanto atteso alla fine arriva, all'incirca sei mesi dopo il
loro arrivo. Al concludersi di una nuova giornata di lavoro per conto di Cross,
Allen si fa coraggio e affronta per l'ennesima volta il suo Maestro: comincia
ad essere stanco di sgobbare solo per il tornaconto personale dell’uomo, non è
per quello che l'ha seguito nel suo giro intorno al mondo!
Effettivamente
durante il loro viaggio gli è capitato molto spesso di finire in mezzo a uno
scontro tra gli akuma e il Maestro. Cross, però, non
gli ha mai permesso di venirne coinvolto in prima persona e ora il ragazzino
pretende di saperne la ragione. Il generale, evidentemente in serata storta,
nemmeno questa volta gli risponde, ma si limita a calciarlo in mezzo a un
gruppetto di akuma affamati per metterlo alla prova.
L'intraprendenza
del giovane Allen svanisce come neve al sole quando si trova solo, circondato
da quegli esseri mostruosi, con la maledizione che si attiva. La vista di
quelle povere anime incatenate finisce per terrorizzarlo ancora di più e,
quando anche il primo tentativo di attivare coscientemente l'Innocence finisce in un buco nell'acqua, il ragazzino pensa
proprio di essere arrivato alla fine del suo viaggio.
Nella
quiete della sera, il lamento inumano degli akuma
viene però interrotto da una rapida sequenza di colpi di pistola.
Quando
Allen abbassa le braccia che aveva alzato per difendersi, l'unica presenza
rimasta sul molo è il suo Maestro che continua a fumare tranquillo e placido,
rimettendo Judgement nella fondina attaccata alla
coscia, mentre Timcanpy gli svolazza pigramente
attorno.
Seduto
sulla riva opposta del fiume, osservo con un ghigno tra l’interessato e il
divertito il moyashi per la prima volta alle prese
con degli akuma. Sono dei banalissimi livelli 1 e lui
alla fin fine non è poi nemmeno così piccolo (cos’avrà adesso? 12 anni? [A
quell’età, io…]), ma devo dire che ci ha rimediato
una figura di palta non indifferente…tsè, non si smentisce proprio mai: idiota con
l’istinto da martire fin da bambino. Comunque, se il suo apprendistato è questo
(cioè nulla, in pratica! [Ma cosa cazzo gli ha fatto fare Cross, a parte farlo
sgobbare per pagare i suoi vizi?!]), non mi stupisce che quando l’ho incontrato
fosse così inetto in combattimento…
Ad
ogni modo, vedendolo crescere assieme a quel ragazzino indigeno, ho capito cos’è
successo al bambino incazzato col mondo che il generale raccolse su quella
tomba. È in questo periodo, assieme a quel Narein,
che il moyashi è diventato quel che conosco io… (E adesso cos’è questa sensazione pesante? [Se Alma
fosse vissuto, anch’io forse…])
Quella
sera stessa, di ritorno alla magione del maharaja, un Allen decisamente
depresso per il fallimento ottenuto girovaga per le stanze alla ricerca del suo
migliore amico.
Lo
trova nella camera della sorella, chino davanti al suo feretro in legno colmo
di fiori come si usa in quel paese, un libro di medicina nuovo di zecca stretto
tra le braccia.
Miena
era andata al villaggio per acquistarlo, per fare un regalo al suo fratellino,
ed ha perso la vita nel crollo di un palazzo a seguito di un attacco di akuma.
L'incanto
si spezza. Dolore, disperazione e frustrazione sostituiscono l'amore, la gioia
e l'entusiasmo che facevano brillare gli occhi castani del ragazzo.
Narein
segue passo passoMiena
attraverso tuttii riti che, secondo le
linee dettate dai Purana, permetteranno all'anima
della fanciulla di raggiungere il più rapidamente possibile una nuova
dimensione. Ma l'idea che l'anima della sorella trovi nuova pace per poi
tornare su questa terra in una nuova forma,non basta a portare la quiete nel cuore inconsolabile del giovane.
Man
mano che i giorni passano e i riti si compiono, l'animo del ragazzo si riempie
sempre più di desolazione. Nemmeno l'amicizia di Allen serve a scuoterlo
dall'apatia che lo ha colpito.
L'Inglese
vorrebbe stargli vicino ma, la sera stessa della cremazione del corpo terreno
di Miena, alcuni akuma
attaccano un paese vicino e lui e Cross si vedono costretti a partire in tutta
fretta.
È
in quel momento che, approfittando dell'assenza dei due, come una falena
richiamata dalla luce di una lampada il Conte del Millennio si presenta a
palazzo.
Mellifluo
e bugiardo, il Costruttore offre a Narein la
possibilità di riuscire in ciò che con i suoi libri di medicina non potrà mai
fare: riportare in vita sua sorella.
Qualche
giorno dopo, quando Allen è di ritorno assieme a Cross, i due amici si
incontrano di nuovo. Narein è in piedi vicino alla
riva del fiume, nel punto esatto in cui era stata posta la pira per la
cremazione di Miena, lo sguardo perso all'orizzonte.
Allen
gli si avvicina, una coroncina di fiori tra le mani come ultimo dono per la
sorella acquisita, ma ci mette solo un attimo per accorgersi della tragedia: la
composizione di fiori e candele cade a terra, spargendo petali ovunque, quando
la maledizione si attiva e il fantasma incatenato della sorella di Narein appare ai suoi occhi vicino al corpo del fratello.
Mentre
l'akuma avanza lentamente e Allen arretra inorridito,
tocca a Cross, sopraggiunto nel frattempo senza fretta, spiegare la situazione:
il ragazzino ha accettato l'offerta del Conte e ha richiamato sulla terra
l'anima della sorella che, dopo aver animato lo scheletro di dark matter opera del Costruttore, ha ucciso Narein
per prenderne le sembianze.
Miena
non c'è più. Narein non c'è più. Ora c'è solo un akuma che Allen deve semplicemente distruggere per
interrompere il circolo vizioso di dolore e disperazione iniziato dal Conte.
Per
l'Inglese, però, la cosa è tutt'altro che facile.
Si
fida delle parole del Maestro, ha già visto (per esperienza personale) come
lavora il Costruttore, e la sua mente gli dice chiaramente che l'akuma che ha di fronte va distrutto. Tuttavia il suo cuore
si stringe di nuovo come quella volta con Mana: non può sopportare l'idea di
dover uccidere una persona che è arrivato ad amare, anche se questa è diventata
un akuma.
Come
spietatamente gli ricorda il generale, però, Narein è
morto. Il suo migliore amico non c'è più, ora c'è solo una macchina programmata
per uccidere.
Osservando
il discepolo paralizzato dalla paura, Cross scuote la testa: no, decisamente il
moccioso non è ancora pronto per intraprendere la carriera di esorcista. E a
questo punto all’uomo balena perfino l’idea che forse potrebbe non esserlo mai
- ormai sono quasi tre anni che se lo porta in giro per il mondo, mettendolo di
fronte, senza alcuna remora, a tutte le bassezze meschine e le incredibili
crudeltà di cui l’essere umano è capace. Eppure l’innocenza di Allen, a
dispetto anche dell’infanzia che ha passato, non ne è stata minimamente
intaccata anzi, negli ultimi mesi, da quando ha conosciuto quel Narein, quell’innocenza sembra perfin
essersi fatta più splendente.
Se
Allen fosse stato un moccioso qualunque, arrivati a quel punto Cross avrebbe
rinunciato all’idea di farne un apostolo - compatibile o no, uno così non
avrebbe potuto essere di nessun aiuto nella guerra.
Ma
Allen non è un moccioso qualunque, è il figlio e l’erede designato del
Quattordicesimo, che gliel’ha affidato perché lui, Cross, ne facesse un
esorcista. Quindi non può gettare la spugna. E per vincere la resistenza
opposta dal cuore troppo puro del ragazzino, al generale non resta che usare le
maniere forti - per quanto la prospettiva non gli piaccia, perché in fondo
Allen non si merita tutto ciò.
Riportando
l’attenzione sull’akuma e sul discepolo, chiaramente
sul punto di fuggire, Cross sogghigna: ora sa come smuovere Allen. Il fatto che
il Conte abbia voluto sfruttare la tragedia di Narein
(distraendo persino la sua attenzione con un attacco diversivo), offre al
generale la possibilità di forzare la mano al ragazzino inglese, facendo leva
sull’affetto che nutre per Narein e Miena.
Rivolgendosi
direttamente ad Allen, Cross richiama la sua attenzione su quello che è il
dovere fondamentale di ogni esorcista (almeno secondo la propaganda
dell’Ordine, lui non ci ha mai creduto molto): il compito degli apostoli è
interrompere quella catena infinita di disperazione iniziata dal Conte.
Allen
lo ascolta incredulo, paralizzato dal terrore, ma poi gli basta dare una nuova
occhiata al fantasma incatenato di Miena per capire
quello che deve fare.
L'anima
sta piangendo. Piange per la sua condizione di prigioniera, perché è costretta
ad alimentare e muovere quel corpo meccanico che non ballerà mai leggero per le
sale da ballo, ma piuttosto porterà solo nuova distruzione e nuovo dolore.
In
quel momento, Allen comprende che l'unica cosa che può e deve fare è
distruggere quella creatura, liberando Miena dalle
catene del Conte; ed è quel nuovo e bruciante desiderio di restituire alle
anime ingannate la libertà perduta che gli consente di attivare con successo,
per la prima volta, la sua arma anti-Akuma.
Basta
un colpo solo. L'Akuma esplode e l'anima di Miena, finalmente libera, sale verso l'alto con un flebile
mormorio di ringraziamento prima di scomparire nel cielo infiammato dal
tramonto.
Osservo
la scena che si sta svolgendo davanti ai miei occhi con un’espressione che io
stesso fatico a decifrare. Porca puttana, chi l’avrebbe mai detto che il moyashi avesse alle spalle cose del genere?! (Che fottuta
sensazione di familiarità… anch’io sono stato
costretto ad uccidere il mio… migliore [unico] amico…)
Quando
la sua maledizione si attiva, poi, la mia sorpresa si fa persin
più grande (unendosi ad un senso di disgusto) nel momento in cui vedo per la
prima volta quel che vede lui - che visione orrenda un’anima incatenata…
Finché
la battaglia non termina, non riesco a staccare gli occhi dall’akuma (dall’anima al suo interno); ma appena l’esorcismo si
compie e vedo con gli occhi di Walker il sorriso
della ragazza liberata, una folla di pensieri iniziano a vorticarmi nella mente
per poi concretizzarsi in un’unica domanda: se il moyashi
può vedere le anime degli akuma, cosa vede quando
posa lo sguardo su di me?
Osservando
il ragazzino afflosciarsi su se stesso, shockato da quanto accaduto, Cross non
può fare a meno di contrarre le labbra in una smorfia che sa di stizza e,
vagamente, anche di impotenza: se ora Allen non troverà la forza di rialzarsi e
non gli dimostrerà di aver fatto fuori quell’akuma
consapevolmente (ma soprattutto di aver capito il perché era suo dovere
farlo), il generale dovrà prendere seriamente in considerazione l’idea che quel
moccioso non potrà mai essere un esorcista. Certo, ciò non lo salverà dal
destino che il Quattordicesimo, suo padre, scrisse per lui quando impiantò in
lui le proprie memorie, ma farà inevitabilmente saltare la seconda metà del
piano - combinare in un essere umano il potere di Noah
e dell’Innocence – quella fortemente voluta da Cross
stesso e realizzabile solo in Allen e solo in virtù dell’eccezionale identità
dei suoi genitori.
Ora
sta tutto al ragazzino.
E
il generale deve ammettere di temere un fallimento (il che sarebbe un colpo
durissimo per il proprio orgoglio).
Mentre
le lacrime scendono incontrollate il piccolo riprende a respirare, rilasciando
il fiato che aveva trattenuto durante l'attacco, per la paura di non riuscire a
compiere l'unica azione necessaria per liberare l'anima imprigionata.
Ora
che l'akuma è stato distrutto e ogni minima traccia
dell'esistenza di Narein e Miena
è scomparsa nella brezza della sera, Allen e Cross restano soli sulla riva del
fiume.
L'uomo
fuma tranquillo, borbottando un paio di frasi di congratulazioni che l'allievo
cerca inutilmente di ignorare. Troppo è il dolore per la perdita dell'amico, troppa
l'angoscia nell'esser dovuto diventare - per l'ennesima volta - portatore di
distruzione per la persona amata. Delle congratulazioni non se ne fa nulla,
servono solo a farlo stare peggio.
Non
crede che il generale possa capire, comprendere appieno quanto sia stato
difficile per lui alzare la mano contro il suo migliore amico. L'unica cosa che
riesce ad alleviare la sua pena, al momento, è il sorriso di sollievo che
l'anima di Miena gli ha rivolto prima di svanire. È
bastato quello per rassicurarlo, perché ora nel profondo del suo cuore sa che
le anime dei suoi due migliori amici sono da qualche parte, lassù, felicemente
assieme.
“È
solo in questo modo che possiamo salvarli, vero?” chiede, rialzandosi in piedi
e fissando il sole che si sta pian piano nascondendo dietro le colline a ovest.
Il
sussurro triste del ragazzino quasi si perde nello sciabordio quieto della
corrente, tanto che Cross non è del tutto certo di aver compreso la sua domanda
– anche perché suona perfin assurda.
“Salvarli?”
ripete con una vaga ironia. Se lui vuol credere che la missione degli esorcisti
è salvare le anime degli akuma, se questo gli può
servire per andare avanti, che lo creda “Questa è la nostra missione, Allen. E
se tu ritieni che distruggendo un akuma se ne salvi
l’anima, non sarò certo io a contraddirti…” continua
l’uomo con voce piatta, forse anche un po’ annoiata.
Il
ragazzino si asciuga gli occhi con la manica, poi si china a raccogliere ciò
che resta della piccola composizione floreale per Miena.
Senza dire una parola si avvicina a una delle piccole pire che illuminano il
lungofiume e vi getta le corolle ormai secche. Un sottile filo di fumo odoroso
sale al cielo, seguito da due occhi color argento rossi di pianto, ma quando
l'inglese si volta nuovamente verso il suo maestro, il suo sguardo non è più
perso e disperato, bensì colmo di speranza e di determinazione.
“Insegnatemi
come si fa, Maestro.”
Avvicinandosi
di qualche passo a lui, il generale sorride sornione. “Insegnarti cosa? Gli akuma si esorcizzano tutti allo stesso modo, discemolo, e mi sembra che tu lo sappia già fare, per
quanto a tentoni” la sua risposta non è proprio incoraggiante, ma dopotutto
incoraggiarlo non è certo il suo compito - anzi, Cross sa di avere il dovere di
rendere la vita di Allen più dura possibile cosicché lui si faccia forte in
vista di quel che lo aspetta in futuro.
“Ciò
che posso insegnarti, anche se mi sembri molto restio ad imparare, è quanto la
vita sia schifosa e quanto gli esseri umani siano infidi e meschini. È sapere
questo che ti rende un esorcista. Sei disposto ad impararlo?”
“So
benissimo che la vita non è tutta rosa e fiori, Maestro, ma credo anche che non
siano tutti infidi e meschini come dite. In fondo sono proprio coloro che non
lo sono a rischiare maggiormente di finire nella trappola del Conte, no? Io ho
visto la pena di quella povera anima imprigionata e il suo sollievo nel tornare
libera, così come ho visto la disperazione di Mana quando l'ho tramutato in akuma... ci sono passato, ho provato sulla mia pelle cosa
si prova! Questo è quello che so, e sono intenzionato a far sì che ciò non
debba più accadere... “ risponde con rabbia l'inglese, prima di tornare incamminarsi
spedito verso l'edificio principale.
Vedendosi
superare (ignorare, quasi!) con passo tanto deciso, Cross si trattiene a stento
dallo scoppiare a ridere alle spalle esili del ragazzino – quelle spalle che
ora lui tiene così fieramente dritte, così come il viso, sporco di lacrime e
polvere.
Cercava
una conferma, il generale, voleva una prova per convincersi che non fosse tempo
sprecato provare ad impregnare di oscurità un moccioso dall’anima tanto pura,
così da salvargli la vita.
Quella
conferma l’ha avuta, il generale, ma non era quella che aspettava. Ora sa che
Allen non potrà mai essere un esorcista, quantomeno non nel senso che lui,
Cross, ha sempre inteso. Quel moccioso dall’anima tanto pura l’ha battuto, col
suo candore ha vinto l’oscurità.
E
il generale, che si è sempre fatto vanto d’essere uomo d’onore (sebbene nel suo
particolarissimo modo), ora che si è visto sconfitto in quell’implicita sfida
di volontà, non può tirarsi indietro, sottraendosi al suo impegno: quindi
insegnerà ad Allen ad essere esorcista a modo suo…
anzi, lo metterà in condizione di imparare.
Ora
la risata di Cross esplode sonora nel silenzio della sera, mentre l’uomo in
poche falcate raggiunge il discepolo. Superatolo, si ferma per un attimo,
giusto il tempo di regalargli un ghigno che in molti definirebbero inquietante.
“Sei
un gran sognatore, ragazzino. Vedremo cosa saprai fare quando si tratterà di
realizzare quei sogni”
Cazzo, se non è bastardo Cross…
Il dialogo (per certi versi surreale
[ma che razza di rapporto c’è tra quei due?]) cui ho appena assistito ha
catalizzato la mia attenzione tanto da farmi dimenticare (accantonare) i
ragionamenti di prima: a parte il fatto che non sono nemmeno certo di avere
un’anima, se anche il moyashi l’avesse vista comunque
ormai non ci potrei far niente (tranne negare fino allo stremo: non voglio la
sua pietà [perché, anche visto il suo passato di merda, so che la proverebbe -
è nella sua natura])
E comunque se questo è sempre stato
l’andazzo tra quei due, adesso si spiegano molte delle paranoie e dei
comportamenti della mammoletta… per uno dal cuore
tenero come lui, un maestro che non ti tiene nella bambagia ma fa di tutto per
mostrarti sempre il peggio del mondo dev’èssere stato
uno shock, ma per certi versi avrebbe potuto anche essergli utile…non
fosse stato lui così idiota come invece è, sempre a credere che ci sia ovunque
del buono («Sono intenzionato a far sì che ciò non debba più accadere»… pazzo!
Cosa credi di fare tu? [Come fai ad essere così nonostante tutto?])
Mentre la solita cortina di buio
scende ad offuscarmi la visuale del fiume (e perché la accolgo con sollievo?
Questa non è stata una scena particolarmente cruda, eppure…[non
è stata cruda, è stata crudele]), non posso fare a meno di scuotere il capo,
chiedendomi cosa mi aspetta ancora da vedere.
L'alba
del nuovo giorno vede Maestro e discepolo intenti a preparare i bagagli. O
meglio, è Allen che si sta dedicando al riempimento delle valigie, mentre Cross
si sta... ehm... intrattenendo un'ultima volta con la loro ospite.
“Sarò
anche un sognatore, ma almeno non sfrutto la gente per i miei porci comodi”
borbotta, ripiegando accuratamente la sesta camicia dell'uomo.
Il
ragazzino non ha quasi chiuso occhio, quella notte, troppo preso a rimuginare
su quanto accaduto. Ha come la vaga impressione di essersi fregato da solo,
parlando al suo Maestro in quel modo, ma più ci pensa e più è convinto di
quanto ha detto.
Tutto
quel che ha passato fino a quel momento, tutti i momenti felici, tutti i
momenti tristi... ci deve essere un perché che spieghi tutto ciò che accade,
no? Deve avere un significato, anche se al momento non riesce a vederlo
chiaramente. La sua stessa vita, per quanto breve, assume un senso vero solo se
inserita all'interno di quel «piano più grande», dopotutto. L'ha capito ormai
da tempo che ogni essere umano non può pensare a se stesso come un'esistenza
indipendente da tutto il resto. Il mondo che ti circonda ti condiziona e tu
condizioni il mondo che ti circonda, volente o nolente.
Ci
ha pensato e ripensato. Quell'uomo ha fatto la differenza, per lui. Gli ha dato
una seconda possibilità.
“...e
se lo shisho non fosse così assurdo, non avrei
imparato a sopravvivere con le mie sole forze, devo ammetterlo.”
Ora
tocca a lui fare la differenza. Come lui, anche le anime imbrogliate dal Conte
hanno diritto a scegliere di nuovo, ma per loro sfortuna non hanno un Mana o un
Cross che li porti sulla via del ravvedimento. Tocca a lui dividere con loro il
grande dono che il cielo gli ha dato. Tocca a lui riportare loro la speranza.
“Pero
è anche vero che lui, senza di me, non avrebbe potuto permettersi certe cose...”
continua, parlando fra sé e sé, appaiando calzini e incastrando pantaloni in
modo da far entrare tutto il guardaroba dell'uomo nell'esiguo spazio a sua
disposizione. È incredibile quanta roba si porti dietro il generale. Per
preparare la sua valigetta l'inglese ha impiegato la metà del tempo!
Una
volta chiusa con fatica la cerniera, sul letto rimangono un paio di bottiglie
di liquore ancora nuove e alcuni pacchetti di sigarette.
“Ecco,
appunto. Senza di me non si potrebbe permettere quella robaccia... ma questa
volta fino alla prossima città dovrà farne a meno” ghigna Allen, decisamente
compiaciuto, prendendo alcool e tabacco e nascondendoli fischiettando sotto al
letto. Lo sa bene che una volta arrivati nel più vicino centro abitato dovrà
ricominciare a lavorare per ricomprarglieli, lo sa. Ma pensa sia una buona idea
far capire al Generale che lui non è uno stupido moccioso che non sa fare altro
che farsi mettere i piedi in testa, da Cross o da chiunque altro. O almeno, è
fermamente intenzionato a provarci...
Trascinandosi
appresso i due bagagli, il ragazzino maledetto esce senza voltarsi da quella
che è stata la sua stanza per gli ultimi mesi.
Non
si volta nemmeno una volta, tira dritto per la sua strada. Niente più lo
trattiene in quel luogo, dopotutto, se non dei cari ricordi che rischierebbero
di venire annacquati dalla malinconia nel caso maestro e discepolo
continuassero la loro permanenza nel palazzo della vedova del maharaja. Spalle
dritte e testa alta Allen esce senza voltarsi, il sorriso sulle labbra e lo
sguardo pieno dell’amore dei suoi migliori amici inciso nel cuore, diretto alla
carrozza che li porterà alla stazione più vicina.
Alla
carrozza, però, il ragazzino non fa nemmeno in tempo ad arrivarci perché Cross
lo ferma subito prima che varchi la porta del palazzo. La camicia stropicciata
e l’onnipresente sigaretta in bocca, l’uomo è poggiato allo stipite a
ravvivarsi i capelli, con aria decisamente soddisfatta.
Avvicinandosi,
la prima cosa che Allen nota in lui, oltre al sorriso sornione, è l’intenso
profumo di donna che lo avvolge e l’indolenza che pervade tutti i suoi
movimenti.
“Ohi
discemolo!” lo saluta il generale, appena lo vede
voltare l’angolo trascinandosi dietro i bagagli “Riporta tutto indietro, devo
cambiarmi la camicia… non vorrai mica che viaggi con
gli abiti così in disordine!”
Mollati
i due carichi, che si schiantano a terra sollevando nuvolette di polvere, Allen
si prende trenta secondi per fissare il suo maestro con lo sguardo più cattivo
che riesce a fare. L'effetto ovviamente è nullo, anche perché si rende conto di
poter fare ben poco a parte scuotere la testa e fare dietrofront. Ripresi i
bagagli torna borbottando all'interno... e meno male che le stanze sono
disposte tutte al pian terreno!
L'inglese
torna in camera e rimette il baule nell'angolo da dove l'ha preso, slacciandone
le fibbie.
Non
si gira nemmeno, sa benissimo che Cross l'ha seguito e ora è lì che lo fissa
fumando il suo adorato tabacco, quindi gli chiede: “Quale camicia vi serve, shisho?”
Andiamo,
non si aspetta certo che il generale si cerchi la camicia da solo... Ma
arriverà il giorno che gliele tirerà dietro, le sue cose, è pronto a
scommetterci!
“Ma
come siamo scontrosi, discemolo!” esclama l’uomo,
fintamente offeso “Cos’è, ci sei rimasto male che ti ho lasciato qui tutto solo
mentre io stavo con la signora?” gli domanda, sedendosi a rovescio su una
sedia, le braccia incrociate sulla spalliera, e reggendosi il mento nel palmo
della mano “Hai ragione, sono il tuo maestro, quindi devo insegnarti…
vorrà dire che la prossima volta verrai a farci compagnia, ok?”
“Eh?
Ma cosa state dicendo!” esclama il ragazzino, girandosi di scatto verso il
generale. Ormai ha capito come funziona tra lo shisho
e le sue «amiche», non è scemo... ma non per questo intende essere coinvolto in
certe… cose, ecco!
“Non
mi da fastidio starmene per conto mio, grazie tante!” aggiunge, arretrando di
un passo e agitando le mani davanti al viso, tutto rosso per l'imbarazzo “È che
mentre voi vi divertivate io faticavo a preparare i bagagli, quindi potreste se
non altro evitare di farmi tirare fuori i vostri vestiti una nuova volta!”
aggiunge, distogliendo lo sguardo e mettendo il broncio.
Divertito
dall’imbarazzo del ragazzino, Cross scoppia a ridere; volendo non avrebbe
difficoltà ad infierire ulteriormente, mandandolo ancor più in confusione - ma
non se la sente di essere troppo crudele con quel marmocchio: in fondo gli è
affezionato, e poi gli piace la sicurezza che si sforza di mostrare.
Decide
quindi di alleggerire la tensione e, calmato l’accesso di risa, mentre si
accende una nuova sigaretta accenna col mento alla valigia. “Comunque voglio
indossare la casacca di shantung, fammela portare nella stanza da bagno…”
Allen
crolla il capo, sconfitto: ovviamente, la casacca di shantung è stata la prima
che ha messo nel baule, visto e considerato che il maestro aveva detto di non
volerla più indossare in India a causa del clima troppo caldo…
I
due mesi successivi passano rapidamente, tra i soliti lavoretti per ripagare i
debiti di Cross e i sempre più frequenti interventi per fermare gli attacchi
degli akuma.
Man
mano che i due viaggiano verso est, attraversando la giungla del Bengala a
dorso d'elefante e poi nuovamente in treno, gli avvistamenti delle creature del
Conte aumentano in maniera esponenziale. Il generale decide quindi di non
avvicinarsi ulteriormente, modificando il tragitto che originariamente li
avrebbe dovuti portare verso Edo, e opta invece per tornare a Madras per
godersi una tranquilla quanto meritatissima vacanza.
È
lì, in un tiepido pomeriggio di aprile, che il generale decide di dare una
svolta all’apprendistato del suo allievo: da quando l’ha costretto a fare fuori
il suo amico tramutato in akuma, Allen ha pian piano
acquisito sempre più sicurezza nell’uso dell’Innocence,
ma soprattutto sta iniziando a prendere coscienza del vero significato
dell’essere un esorcista – sebbene, a giudizio di Cross, si ostini ad essere
sempre un po’ troppo idealista.
Ciò
nonostante, in battaglia il ragazzino continua ad essere impacciato ed
esitante: certo, è questione di pratica, ma l’uomo sa benissimo che, senza una
guida, probabilmente Allen (chequanto
pare non è per niente portato per il combattimento) riuscirebbe a farsi
ammazzare prima di aver maturato la necessaria destrezza. È per questo che,
benché la cosa lo annoi a morte, avrebbe intenzione di addestrarlo
personalmente.
Tuttavia,
il motivo per cui non lo farà si palesa per l’ennesima volta lampante dopo uno
scontro particolarmente violento contro un gruppo di akuma.
Finita
la battaglia, coperti di polvere e sudore, i due si avviano in silenzio verso
la locanda dove stanno soggiornando ormai da una settimana. Ci vorrebbero
proprio un bel bagno e una puntatina al ristorante al piano di sotto, pondera
il generale, già prevedendo le solite lamentele dell'allievo per l'ora di cena
che tende ad essere molto variabile. Eppure quella sera c'è qualcosa di strano,
nel giovane inglese.
Dopo
aver chiesto il permesso di allontanarsi per un po' adducendo la scusa di un
lavoro da finire per poterne riscuotere il compenso, il ragazzino esce di corsa
dalla locanda diretto verso uno dei vicoli bui del luogo.
Torna
un'ora dopo, quando il tempo per la cena è già passato, una bottiglia di
preziosissimo brandy italiano tra le mani.
L'uomo
alza l'unico sopracciglio visibile, chiedendosi innanzitutto come il suo discemolo si sia potuto appropriare di una delizia del
genere... evidentemente anche i lavoretti che intraprendeva durante il tempo
libero erano ben retribuiti. Quando però Allen la posa sul tavolino (e poi si
allontana senza una parola), Cross capisce subito che quella bottiglia non può
essere frutto di risparmi messi da parte, per il semplice fatto che quello è
brandy hors d'age,
invecchiato almeno dieci anni o forse più… quella
bottiglia da sola vale forse metà dello stipendio annuale di un operaio!
L’uomo
alza gli occhi sul giovane albino, pronto a sgattaiolare fuori dalla porta in
silenzio, ancora con gli abiti sporchi e il viso impolverato dalla battaglia di
prima (e ancora digiuno, a giudicare dal brontolio del suo stomaco).
“Ehi
Allen!” lo richiama “Vieni qui…”
Il
ragazzino si ferma sul posto, impietrito, poi si gira verso il maestro cercando
di tenere lo sguardo più basso possibile.
“Dì
un po’, dove hai preso questo brandy?”
“L'ho
acquistato, Maestro”
“Questo
l’avevo intuito” replica Cross, laconico “Se un tipo troppo onesto per averlo rubato… quel che voglio sapere è perché. A che mi risulta,
non hai ancora l’abitudine di passare le serate a tracannare alcolici da solo”
“Se
così fosse non l'avrei certo portato qui... scommetto che fra un paio d'ore
quella bottiglia sarà desolatamente vuota!” borbotta il più giovane, alzando
gli occhi al cielo. “Comunque era un... beh, era un regalo, ecco. Per
festeggiare il nostro secondo anno di viaggio. L'ho vista quando ha adocchiato
la bottiglia in quel bar, cosa crede, shisho? Solo
che costava più del previsto, e ci ho messo più di due mesi per racimolare la
somma necessaria.” conclude poi quasi sottovoce, dondolandosi prima su un piede
e poi sull'altro, pensando che forse avrebbe fatto meglio ad evitare un gesto
così... imbarazzante! Già si immagina le grasse risate di Cross alla sua
spiegazione!
E
invece Cross non ride affatto. Prende la bottiglia per il collo e la osserva in
controluce, apparentemente ammirando la calda tonalità ambrata del brandy che
contiene; in realtà l’uomo non sta facendo altro che prendere tempo,
puntellando la sua maschera di indifferenza mentre cerca di interpretare
l’atteggiamento dell’allievo.
Deve
ammettere che non si aspettava che il ragazzino gli facesse un regalo del genere… non perché non lo apprezzi, al contrario! Il
problema è che lui non vuole che Allen gli si affezioni: non va bene, anzi
sarebbe solo un impiccio per entrambi nella realizzazione del destino che lo
attende.
Deponendo
lentamente la bottiglia sul tavolo, il generale osserva di sottecchi il
ragazzino, sempre intento a fissare i segni che le tarme hanno lasciato nelle
assi del pavimento, stropicciandosi nel frattempo i piedi con un certo
nervosismo.
Deve
soffocare in lui quel sentimento inopportuno adesso che è ancora in germe,
prima che si faccia troppo forte per poter essere eradicato
senza danni. Come prospettiva non gli piace per niente, ma Cross sa di non
avere alternative - ma perché accidenti tocca ogni volta a lui la parte del
cattivo? Prima con Mària, adesso con suo figlio…
Con
un impercettibile sospiro di esasperazione, sempre senza dire una parola,
l’esorcista si alza. “Va bene, va bene… ora va’ a
dormire. Domani partiamo all’alba” conclude piatto, lasciando la stanza.
Allen
guarda con occhi tristi la porta che si chiude alle spalle del suo maestro. Non
riesce proprio a capire... Non pensava di fare qualcosa di male comprando
quella bottiglia, accidenti! Ha lavorato sodo per tre mesi, aggiungendo
lavoretti part-time ai lavori che già faceva per pagare i debiti che il
generale lasciava dietro di sé, cercando di non farsi beccare (perché in quel
caso Cross avrebbe potuto «consigliargli» di continuare a lavorare 20 ore al
giorno, anziché le 12 a
cui era ormai abituato) e nascondendo ogni singola pesante moneta nel proprio
bagaglio.
Ha
faticato anche per acquistarla, dato che presentarsi anche con i soldi contati
non serve a nulla se il venditore è fissato con la storia della maggiore età e
si rifiuta di venderti una bottiglia perché «i bambini devono stare lontani
dall'alcool»!
Ci
ha messo impegno, per portare a casa quel brandy, e ora lo shisho
che fa? Occhieggia a malapena quella stessa bottiglia per la quale si stava
imbambolando davanti alla vetrina e se ne va, senza nemmeno dire grazie?
Che
bello, davvero. Che stupido maestro. E che stupido allievo è lui, a pensare
anche solo lontanamente che l'uomo avrebbe potuto apprezzare un gesto del
genere. Non gliene importa niente, dopotutto, no?
Pugni
stretti e sguardo fisso a terra per cercare di ricacciare indietro le lacrime
di rabbia, il ragazzino corre a rifugiarsi nella sua camera.
Quando anche il moyashi
se ne va sbattendo la porta (l’ha presa parecchio male a quanto sembra [sempre
il solito emotivo, si fa ferire da qualunque cosa]), rimango solo, (solo con
una bottiglia di brandy che vale un patrimonio [e che comunque non posso prendere…]): che culo, sono qui come un ebete in una stanza
non mia, senza minimamente sapere dove accidenti sono, che giorno è o cosa
cazzo sta succedendo (di cosa mi stupisco? Ormai dovrei averci fatto l’abitudine… [è così da quando sono nato, no?])
Ad ogni modo, per quanto la trovi
esagerata, condivido la reazione stizzita di Walker
davanti al comportamento del generale: è palese che, per quanto lui l’abbia
sempre trattato come una pezza da piedi, il moyashi
gli sia affezionato (non me ne stupisco, in fondo deve tutto a quell’uomo [come
in fondo anch’io… con Tiedoll…]).
S’è fatto un mazzo tanto per dimostrarglielo e Cross per tutta risposta l’ha spudoratamente
ignorato… fossi stato al posto di Walker,
un bel vaffanculo non glielo levava nessuno, maestro
o non maestro – l’ho sempre detto che è una mammoletta.
Eppure posso riuscire a capire la
reazione di Cross (il moyashi non potrà mai, non sa
cosa c’è davvero dietro la propria vita). Se le cose stanno come ho visto, se
tutto questo non è soltanto una fottuta illusione, è ovvio che il generale ha
fatto di tutto per tenere lontano Walker: non può
permettersi che degli stupidi sentimentalismi interferiscano con la missione… lui è sicuramente affezionato al proprio allievo,
ma ha abbastanza sangue freddo da controllarsi. Al contrario del moyashi - e Cross lo sa benissimo, per questo ha preferito
farsi odiare (anche se sono convinto che Walker non
lo odierà mai [non che non ne sia capace]) piuttosto che metterlo in pericolo…
Il filo del ragionamento si spezza
sotto il peso di un pensiero che vorrei a tutti i costi reprimere ma che,
inspiegabilmente, si fa strada con violenza dal mio inconscio. Spalanco gli
occhi.
Farsi odiare per proteggere…
forse che Alma…
Non ho il tempo di trovare una
risposta alla domanda che non ho il coraggio di pormi, perché il buio mi
trascina di nuovo con sé.
Nei
giorni successivi, mentre si spostano quasi a tappe forzate da una città
all’altra, Cross non perde occasione di distanziarsi dal suo allievo. Ha preso
la decisione di porre fine all’apprendistato del ragazzo e di farlo in maniera
da lasciare di sé un ricordo peggiore possibile, sta solo cercando la
situazione ideale per dividere le loro strade e spedire Allen alla sede
dell’Ordine, là dove potrà diventare veramente un esorcista.
Al
termine di un’estenuante settimana di viaggio, i due giungono a Bombay, lì dove
erano sbarcati non molto tempo prima, al loro arrivo in India. E sempre da lì
Allen solo ripartirà alla volta dell’Inghilterra.
Dopo
aver preso alloggio in una lussuosa abitazione alla periferia della città,
mentre l’albino scarica tutto il loro bagaglio, Cross se ne sta seduto
sull’ampia terrazza coperta (quasi una sorta di locale con tre sole pareti e la
quarta aperta verso il mare), sul tavolino l’immancabile bottiglia di rosso
francese di gran classe e tra le labbra la solita sigaretta.
L’uomo
è apparentemente sciolto e rilassato come sempre, ma in realtà, ad osservarlo
con attenzione, si potrebbe notare che il vino nel calice da parecchio tempo
non diminuisce, mentre la sigaretta si consuma lentamente in un filo di fumo
che si confonde tra le volute odorose dell’incenso che profuma l’ambiente.
Finito
di sistemare la loro roba, Allen lo raggiunge, inginocchiandosi sui cuscini
all’angolo della stanza, in attesa di istruzioni.
Fa
caldo, e la grande umidità non facilita il restare seduti troppo a lungo in una
posizione scomoda. Per fortuna il ragazzino ha pensato bene di arrotolare le
maniche della camicia, lasciata leggermente aperta sul torace, prima di
prendere posto davanti al suo maestro. Ora vorrebbe andare a rinfrescarsi,
magari a mangiare qualcosa... ma finché Cross non parla non può muoversi di un
millimetro.
Mentre
l’uomo continua a fumare, bere e tacere, Allen inizia a chiedersi quale stramba
idea uscirà questa volta dalla bocca del suo shisho.
Spera ardentemente di non doversi avventurare nella giungla per catturare una
tigre, già col leone in Kenya gli era andata bene per miracolo!
Poi,
come nulla fosse, l'uomo inizia a parlare.
“Incredibile,
sono già passati tre anni da quando sei diventato mio apprendista. Hai fatto
passi da gigante sulla strada per diventare esorcista...”.
Cross
pronuncia la frase con tono calmo e tranquillo, sorseggiando il suo vino, ma
Allen inizia già a fremere. Non sa cosa sta per succedere, ma è difficile che
lo shisho dica qualcosa di diverso da “Allen fai
questo”, “Allen fai quello”, “Allen combatti tu al posto mio”, “Allen voglio
questo o quello”. Il ragazzino sente che è un momento importante e deve
concentrarsi per non farsi prendere dall'agitazione!
“...
quindi credo che da oggi tu possa fregiarti ufficialmente del titolo di
esorcista” conclude l'uomo.
“Davvero?”
esulta Allen, quasi saltando in piedi dall'entusiasmo.
“Sì,
però... occorre che tu faccia visita al quartier generale, prima.”
A
questa piccola postilla la gran gioia viene sostituita da un brivido di paura.
Non che ad Allen dispiaccia un nuovo viaggio, questo no, è che stavolta c'è
qualcosa di strano...
“Sai
dove si trova, giusto?” chiede Cross alzandosi e avvicinandosi a lui, un
martelletto comparso dal nulla tra le mani e l'espressione più demoniaca che il
suo apprendista gli abbia mai visto in viso.
“Eh… uh...”
Allen
inizia a balbettare, terrorizzato, arretrando lentamente per allontanarsi il
più possibile da quell'oggetto contundente...
“Timcanpy verrà con te. Ho già mandato una lettera di
presentazioni a Komui. Parti subito appena ti svegli,
domattina” continua il generale, avvicinandosi sempre di più.
Allen
è ormai bloccato tra il martello e il muro, senza alcuna speranza di uscire da
quel pasticcio in cui non sa come è finito...
“Ah,
ok. E lei non viene con me, giusto?” pigola, senza distogliere lo sguardo dalla
mano armata di martello.
È
una situazione assurda! Se deve andare da solo al quartier generale basta
dirlo, no? Suvvia, lo shisho non può essere così
irritato da volerlo mettere KO con una martellata, giusto?
L'ultima
cosa che Allen sente, prima di perdere conoscenza, è l'urlo del suo maestro.
“Io.
Odio. Quel. Luogo!”
Improvvisamente,
prevedibilmente, tutto si fa buio.
IL
POST-IT DELLE AUTRICI
Come
detto in precedenza, elenchiamo di seguito tutte le citazioni contenute nel
capitolo che avete appena letto.
-Il titolo: citazione composta traendo spunto da due passi
biblici.
Ger.
20,9 “Nel mio cuore c’era come un fuoco
ardente trattenuto nelle mie ossa”
Mt.
16,24 “Allora il Signore Gesù disse ai
discepoli: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, prenda la sua croce ogni
giorno e mi segua»
-Le battute relative alla distruzione dell'Akuma/Narein e quelle relative
alla scena della martellata sono tutte prese dagli episodi dell'anime, in
particolare dal numero 28 “Il mio maestro: il generale Cross” (che abbiamo
visto e rivisto mille mila volte in giappo con i sub
in inglese XD).
Per
questo capitolo è tutto! Se avete un qualsiasi dubbio, chiedete pure!