Hachisu no Yume (Il sogno del loto)

di Mistral
(/viewuser.php?uid=1186)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** In principio fu amato d’amore trasparente ***
Capitolo 2: *** Era pietra di scandalo, ma il costruttore ne fece pietra angolare ***
Capitolo 3: *** Levò la sua mano e compì meraviglie e la voce di uno che gridava mostrò la via del Signore ***
Capitolo 4: *** Dalla sua purezza fu precipitato negli inferi, si riempì di violenza e peccato ***
Capitolo 5: *** Fu gettato sulla via, ma col fuoco nel cuore prese la sua croce e iniziò a camminare ***



Capitolo 1
*** In principio fu amato d’amore trasparente ***


Al nostro unico e insostituibile

Al nostro unico e insostituibile Shisho.

Sappiamo che molto probabilmente non sarai d’accordo e ci tirerai dietro una quantità infinita di accidenti… ma se tu non torni al Quartier Generale a raccontarci come stanno le cose, noi che altro possiamo fare se non immaginare?!

Ti vogliamo bene!

10.04.2010


 

L'ANGOLO DELLE AUTRICI

Questa long fic nasce da un ragionamento delle autrici relativo agli eventi della Night 189, quando Allen, a causa dei poteri psichici del Noah Wisely, si trova per errore nei ricordi di Kanda. Come avrete notato, da quel punto in poi non si sa più niente di quanto accade al Kanda adulto. Seguiamo con Allen tutte le vicende che hanno portato il Kanda bambino a diventare quel che è, ma la sensei Hoshino evita accuratamente di spiegarci dov'è finito l'esorcista giapponese...

Ora, la teoria dei vasi comunicanti ci spiega che il livello dell'acqua in uno o più recipienti connessi tra loro raggiunge in tutti i punti la stessa altezza. «Chi se ne frega!», direte voi, ma... se si potesse applicare anche in questo caso?

Se, adesso che sono involontariamente collegati, come Allen vede e rivive i ricordi di Kanda, anche Kanda in questo stesso momento stesse vedendo e rivivendo i ricordi di Allen?

Ammesso e non concesso che sia così (solo la sensei forse prima o poi ci dirà come stanno le cose), abbiamo iniziato a interrogarci su quale possa essere il passato di Allen - perché effettivamente non è che se ne sappia poi molto, e abbiamo finito con il costruire una teoria che (ne siamo consapevoli) in molti potrebbero definire azzardata. Tuttavia ci abbiamo ragionato molto e siamo giunte alla conclusione che, per quanto ne sappiamo a tutt’oggi, questa è l’unica strada che mette assieme troppi pezzi che altrimenti non tornerebbero.

L’impalcatura della fic nel suo complesso è quindi già stabilita; si comporrà di sette capitoli più un eventuale epilogo, in una sorta di Via Crucis che ci porterà a ripercorrere le tappe che, partendo dal momento della sua nascita, hanno fatto di Allen il ragazzo e l’esorcista che è.

Se avessimo ragione, siamo certe che concorderete con noi che Marie non ha tutti i torti, quando dice che quei due sono più simili di quanto si possa pensare…

Anche questa fanfic, come la Yullen Saga (di cui attualmente non fa parte) è basata su ben precisi riferimenti presi all’interno del corpus originale dell’opera - manga, anime e romanzi. Ve li elenchiamo alla fine, citando anche i versetti biblici che abbiamo rielaborato per comporre i titoli di ogni capitolo.

 

 

 

Hachisu no Yume

(Il sogno del loto)

 


 

1. In principio fu amato di amore trasparente

 

La neve scende piano in quella notte di inizio gennaio.

I fiocchi leggeri, che sfarfallano nell'aria sospinti dal freddo vento invernale, ricoprono lentamente le stradine che portano fuori dalla città, verso l'unica chiesetta della zona.

Costruita in legno, un piccolo cimitero a fianco, la costruzione è abbastanza nuova ma non troppo sfarzosa, proprio come si addice ad una tranquilla parrocchia di campagna. Dalle finestre della canonica lì accanto provengono le uniche luci che illuminano la zona buia che circonda il lago vicino.

Niente di strano, non fosse già notte inoltrata.

 

Ma dove cazzo sono finito? L’ultima cosa che ricordo è quel maledetto Noah con la faccia da schiaffi che mi ha lanciato uno dei suoi fottutissimi incantesimi (e c’era anche quella bastarda di Road [e l’idiota del moyashi che mi ha impedito di sfracellarle la testa]), poi ho il vuoto…

Beh, l’unica cosa sicura è che non sono più… ‘fanculo, non so nemmeno dove fossi prima! So solo che c’era un qualcosa sotto vetro che chiamavano Alma (ma è impossibile, Alma è morto [l’ho ucciso io]), oltre a quel ridicolo pallone gonfiato del Conte e un’altra serie di idioti… dovunque fossi, di certo non ero in aperta campagna di notte sotto la neve (strano come non senta freddo)… e poi cos’è quell’edificio? Dalle finestre filtra della luce, quindi qualcuno lì dentro è sveglio - se faccio piano posso avvicinarmi e cercare di capirci qualcosa.

 

Dalla grande finestra di quella che sembra la sala da pranzo della piccola casetta a due piani, si intravvedono due figure, sedute al tavolo e intente a giocare a carte.

Illuminato dalla calda luce del focolare, un uomo dai capelli color tiziano scarta bofonchiando una coppia di carte prima di pescarne un altro paio dal mazzo appoggiato fra le bottiglie di liquore mezze vuote. Il filo di fumo della sua sigaretta sale pigramente verso il soffitto, facendo tossire l'altro uomo vestito da giardiniere seduto di fronte a lui. Questi tiene fra le grandi mani le sue cinque carte e aspetta pazientemente il suo turno, lanciando ogni tanto un'occhiata nervosa verso la porta che dà verso le scale per il piano di sopra. Non fosse per la stazza - che, agli occhi di chi lo osserva da lontano, lo fa somigliare a una montagna - sembrerebbe quasi un bambino che sta giocando di nascosto dalla mamma.

 

Il silenzio quieto della notte, interrotto fino a quel momento solo dai borbottii del primo uomo, viene improvvisamente infranto dai rapidi rumori di una persona in avvicinamento.

Entrambi si voltano a fissare l'uscio, la tensione che cresce a ogni passo, e le carte da gioco finiscono quasi per aria quando la porta si spalanca e l'anziana signora che gestisce la chiesetta (la legittima padrona di casa, insomma) entra come una furia nella stanza.

“Disgraziato che non sei altro, la smetti di perder tempo tra Bacco, tabacco e carte da gioco?! Di sopra abbiamo bisogno di te! Per l'amor del cielo, alza il tuo fondoschiena dalla mia sedia e muoviti!” esclama la vecchina, allungando una mano per prendere il rosso per un orecchio.

“Ehi, ehi, calma!” si lamenta lui, opponendo resistenza “Guarda che di solito gli uomini si perdono tra Bacco, tabacco e Venere… ma non mi sembra questo il caso, sai…?” continua poi, rimettendosi in piedi e spazzolandosi noncurante la camicia di seta, la sigaretta accesa sempre all’angolo della bocca.

“Beh, se non vuoi che Bacco lasci questa casa ti conviene spegnere il tabacco e salire al piano di sopra! Il pargolo sembra aver deciso che questa è la notte giusta per nascere, quindi vedi di renderti utile anche tu!” risponde lei, voltandosi per precederlo alle scale.

Lui non si muove. Per nulla turbato né toccato dalle parole della donna, si limita a fissarla inarcando l’unico sopracciglio lasciato visibile dalla maschera. “Eh? E perché dovrei preoccuparmi di un moccioso urlante?”

“Come «perché»? Non penserai certo di portare qui una donna incinta, lasciarla alle mie cure e poi fregartene, vero?! Marian, quella povera ragazza ha bisogno di te! Su, ora fai il tuo dovere di bravo marito e vieni a dare il benvenuto al tuo frugoletto!” insiste lei, girandogli attorno e iniziando a spingerlo verso la rampa di scale.

L’uomo si fa spintonare su, badando solo a non incespicare nel tragitto. È alto quasi il doppio della vecchina e decisamente ben spallato, ma quella donna ha una forza assolutamente fuori dal comune - e a lui non va di usare la sua altrettanto notevole forza per opporvisi (o forse… non è del tutto sicuro di riuscirci?). Arrivato sano e salvo sul pianerottolo, ha il tempo di realizzare le parole che lei gli ha urlato mentre gentilmente lo accompagnava di sopra, soprattutto i termini «marito» e «tuo frugoletto»…

Si ferma e si volta verso l’anziana, che lo incalza a passo di marcia. “Ehi Mother! Guarda che comunque lei mica è mia moglie! E il marmocchio non è mio figlio!” protesta, accalorandosi tanto che la sigaretta gli cade dalle labbra. Impreca sottovoce, schiacciandola con lo stivale.

“Marian Cross, quante volte ti ho detto di evitare certi termini in casa mia? E smettila con quel tabacco, fa male al bambino! Su, muoviti, se non vuoi che ti sbatta fuori in giardino con le tue amate sigarette!” continua a urlare lei, aprendo con impeto la porta della stanza da letto per farlo entrare.

 

Giuro, non ci sto capendo più un emerito accidente! Cosa ci fa qui (qualunque luogo sia «qui») il generale Cross? Non era morto?!

E poi cos’è ‘sta storia che deve nascere un bambino che non è suo figlio ma di cui lui si deve prendere cura? E chi diavolo è quella vecchia isterica?! (Mi ricorda quella maledetta signora Martin…)

E soprattutto… perché nessuno dà il minimo segno di vedermi? Cazzo, sono davanti agli occhi del generale e lui non fa una piega! Questa faccenda sta diventando dannatamente assurda… maledetto Noah, cosa hai fatto?!

 

La stanza da letto è piccola, spartana come il resto della casa, ma decisamente confortevole e di buon gusto. La prima cosa che colpisce lo sguardo, entrando, è un grande armadio in legno scuro che occupa interamente la parete di fronte. Una cassettiera coordinata occupa la parete sulla sinistra, perfettamente incastrata sotto a una grande finestra che dà sul lago. Attorno alla porta di ingresso non ci sono orpelli inutili o pacchiani, gli unici decori dell'intero locale sono la biancheria ricamata e un paio di quadretti con preziose dagherrotipie di Papa Pio IX appese proprio sopra la testiera del letto.

Tra le coperte, si agita senza sosta una ragazza di circa ventitre anni. Pallida, i capelli neri che ormai sfuggono alle briglie della treccia che porta adagiata sulla spalla, stringe convulsamente le lenzuola madide di sudore. Sono già due ore che sono cominciate le doglie e il piccolino dovrebbe nascere a momenti.

Al vederla, l’uomo resta un attimo incerto: nella sua vita ne ha passate tante, ha visto le situazioni più disparate e ha avuto a che fare con donne nelle circostanze più diverse, riuscendo sempre a venirne a capo con onore. Ma adesso davanti ad una partoriente non sa che fare.

Cerca con lo sguardo l’anziana che già si è avvicinata al letto per controllare le condizioni della ragazza. “Ehi, ma mi spiegate cosa devo fare qui?” mugugna, cercando (a dire il vero con scarso successo) di suonare infastidito “Sono affari da donne questi…”

Ecco, forse quello era meglio se evitava di dirlo. Mother lo guarda malissimo, le mani strette a pugno ben piantate sui fianchi, ma è la giovane che sta per partorire a rispondere alla patetica scusa del generale. Una gelida furia le brilla nelle iridi argentate mentre afferra il bicchiere appoggiato sul comodino lì accanto e glielo lancia contro, iniziando a urlare.

“Cose da donne? Cose da donne!? Oh, certo, prima fate il danno e poi tagliate la corda lasciando tutta l'incombenza a noi! Facile, no? Ah, no caro mio, non ci provare! So esattamente cosa stai pensando, e non ti azzardare ad allontanarti da qui!”

L'urlo della ragazza si strozza al sopraggiungere di una nuova contrazione. Subito Mother le è di nuovo accanto, amorevole e materna, ma non prima di urlare anch'ella in direzione dell'esorcista ancora sulla porta.

“Marian, non restare lì imbambolato come un baccalà! Vai nel bagno qui accanto e portami degli altri asciugamani puliti!”

Il generale, schivato con eleganza il bicchiere di poco prima, temendo di venir bersagliato con altre armi non convenzionali che potrebbero rovinargli i vestiti (le boccette di unguenti e altri preparati farmaceutici ignoti proprio lì sul comodino, a portata di mano della giovane, non gli piacciono per niente!), alza i palmi in segno di resa e, sbuffando esce dalla stanza, chiudendosi la porta alle spalle.

 

Cazzo, fortuna che a quanto pare non mi vede nessuno… non vorrei mai avere a che fare con due isteriche così! Chissà poi la ragazza da dove tira fuori tutta quell’energia, se un attimo fa sembrava praticamente moribonda…

Comunque continuo a non capirci assolutamente nulla di tutta questa faccenda. Perché quel maledetto Noah ha voluto che io assistessi a questa scena? (Non ho dubbi che sia opera sua)

E poi… chi sono queste persone? La ragazza sul letto… perché ho la sensazione di averla già vista? I suoi occhi, mi ricordano qualcuno… qualcuno che li ha identici a lei… ma chi, maledizione? Chi?!

Dato che a quanto pare in questo posto non sono altro che uno spettatore invisibile (che sensazione stupidamente familiare [è da tutta la «vita» che vedo senza essere considerato]), non posso far altro che osservare e aspettare.

Innervosito, faccio per appoggiarmi al muro, ma in un attimo attorno a me vedo solo buio. Incespicando mi rimetto in piedi e mi ci vuole qualche secondo per rendermi conto di essere finito fuori dalla stanza, nel corridoio. Fantastico… allora oltre a non poter essere visto non posso nemmeno toccare nulla… sono come un fantasma, niente più…

Un sorriso amarissimo mi incurva le labbra (più a lungo del solito [se nessuno mi vede posso concedermi di esprimere qualche emozione]) e, scuotendo la testa, rientro nella camera sempre passando attraverso il muro.

L’urlo improvviso della ragazza mi fa sobbalzare, riscuotendomi dai miei pensieri e attirando tutta la mia attenzione. Che accidenti c’è adesso? Perché la vecchia si agita in quel modo?!

 

Nella casa cade improvvisamente il silenzio, un silenzio pieno di aspettativa e di tensione. Ma l'aria si fa improvvisamente più leggera quando, appena i quattro rintocchi delle campane della chiesa finiscono di risuonare nella fredda aria notturna, dall'interno della stanza si ode un flebile vagito che si fa subito forte e cocciuto. 

Si sentono sussurri e risa di donna nella stanza della partoriente, e Cross inarca un sopracciglio perplesso, spegnendo l'ennesima sigaretta. Quando la donna che li ha accolti nella sua dimora gli viene incontro sorridendo, il piccolo fagottino urlante tra le braccia, non può fare a meno di tirare un impercettibile sospiro di sollievo.

“Eccoci, piccolino, questo qui possiamo dire che in un certo senso è il tuo papà…” mormora lei, stringendo a sé il bimbo avvolto nella copertina azzurra. Al suono rassicurante della voce della donna il piccolo si calma, e subito sbadiglia e si addormenta, celando al mondo gli occhioni grigi che ha ereditato dalla madre.

Alle parole dell’anziana che di nuovo l’ha indicato come il padre del neonato, Cross vorrebbe protestare con veemenza, ma gli basta un’occhiata oltre la porta socchiusa dove la giovane mamma si è addormentata sfinita sui cuscini per rimangiarsi qualunque protesta. È vero, lei non è sua moglie e nemmeno la sua fidanzata, ma nonostante ciò l’esorcista è profondamente affezionato a quella ragazza così caparbia - e di conseguenza sa che non potrà fare a meno di affezionarsi anche a suo figlio (a patto che non sia troppo rompiscatole!).

“Mother, non mettergli in testa strane idee…” è comunque la sua replica di circostanza, addolcita dal mezzo sorriso che gli increspa le labbra.

La donna agita una mano facendo capire chiaramente quanto poco le importi delle sue puntualizzazioni e concentra tutta la sua attenzione sul piccolo. Lo guarda sorridendo intenerita, gli occhi blu, circondati dalle prime rughe, brillanti di contentezza e orgoglio per essere stata complice dell'evento meraviglioso che è la nascita di una nuova vita.

“Non è splendido? È così bello perché non è tuo figlio, sai?!” scherza Mother, strizzando l'occhio all'uomo. “Peccato per il braccino sinistro, però...” aggiunge con tono velato di malinconia prima di allungare il fagotto verso l'altro, costringendolo - volente o nolente - a prenderlo in braccio. 

Lui se lo poggia sull’avambraccio (basta quello, talmente è piccolo) e sorride vagamente beffardo, incurante della tristezza della donna; quindi sposta la copertina che avvolge il bambino, scoprendolo in parte. Quando nota la pelle violacea dell’arto sinistro, con due dita prende la manina del neonato tirandola fuori del tutto dal lenzuolo in cui è avvolto. Ma più che il gesto è la sua espressione, fattasi di pura soddisfazione, a scandalizzare l’anziana.

“Come puoi ghignare in quel modo, Marian?! Un braccio deforme come quello significa una condanna sociale per lui! Sarà emarginato a vita!”

L’uomo scoppia a ridere. “Credimi donna: sentirai parlare di questo marmocchio in futuro! Altro che emarginato a vita!” esclama, mentre si allontana verso il giardino con il bimbo.

 

Devo ammettere di non sapere proprio come comportarmi in questa situazione surreale. Ad essere onesto, mi sento francamente di troppo qui dentro (non ho mai assistito ad un parto [e non ha niente a che fare con la spiegazione assurda di quell’Edgar…]) e giuro che non capisco come faccia Cross ad essere così tranquillo… cazzo, va bene che non è tuo figlio (anche se probabilmente sarebbe tranquillo lo stesso), ma come puoi non sentirti di troppo?!

Quel bambino poi non mi convince. Possibile che abbia il braccio sinistro deforme come il moyashi (e i suoi stessi occhi, per giunta! [Ecco cosa mi ricordavano gli occhi della ragazza]) e che anche su di lui come sul moyashi Cross abbia dei progetti? Ok, non è detto che quel braccio sia una manifestazione dell’Innocence (dopotutto gli esseri umani soffrono di innumerevoli deformità) ma è innegabile che le somiglianze siano troppe… eppure non è possibile! Il moyashi ha almeno 15 anni (ora che ci penso, non so nemmeno la sua età [perché mi pongo il problema?]), quindi non può essere lui quel bambino… vorrebbe dire che sono finito nel passato (se così fosse avrebbe senso che Cross sia vivo [ma che senso avrebbe che io sia qui?!])

…‘fanculo, non ci capisco davvero più niente! L’unica cosa che mi resta da fare è seguire il generale (dove cazzo va in piena notte con un neonato?) e sperare di riuscire a venire a capo di questo fottutissimo casino…

 

La neve ha smesso di scendere, e ora la luce della luna fa splendere i prati e le stradine imbiancate. Anche il vento si è placato, non osando quasi disturbare il sonno del bambino addormentato. Si sente solo il rumore dei passi di Cross nella neve mentre questi esce in giardino, dirigendosi sicuro verso la quercia sul retro della casa, dove una figura è in attesa, nascosta nell'ombra. 

All'avvicinarsi del generale, l'uomo - perché è di un giovane moro di capelli e delicato di viso che si tratta - esce allo scoperto facendo qualche passo verso la strana coppia.

Non sembra una persona comune, anche il modo in cui si muove denota un'eleganza innata quasi magica. Ma sono sentimenti umani e reali quelli che in questo momento gli fanno brillare gli occhi dorati: l'emozione di aver contribuito ad un piccolo miracolo e l'immenso amore che nasce nei cuori dei padri quando vedono per la prima volta i loro figli.

Il giovane allunga timoroso una mano, carezzando lievemente i pochi capelli castani del neonato.

“Com'è piccolo... è meraviglioso, Marian, guardalo! E dimmi, come l'ha chiamato?”

Cross sorride sbieco, incerto su come reagire di fronte a quell’uomo così potente che si commuove al pari dell’ultimo degli indifesi di fronte al miracolo della vita. Dopo un attimo di indecisione, la strada più onorevole gli sembra quella di ignorare quella reazione così insolita e che proprio non riesce a comprendere in pienezza, limitandosi ai dati di fatto. L’altro gli ha posto una domanda, quindi lui deve rispondergli.

“Mària non gli ha ancora dato un nome, si è addormentata subito dopo il parto. Credo che il compito spetti al padre, no?” afferma sicuro, fissando in viso il suo interlocutore.

Davanti al sorriso forse un po’ meravigliato che si apre sulle labbra dell’altro, l’esorcista ha per un attimo la percezione chiarissima dei sentimenti dell’uomo che gli sta di fronte: comprende la tenerezza di quel padre che probabilmente non sarà mai tale per suo figlio e la gioia che in questo momento egli prova, investito dell’onore di dare alla sua creatura un qualcosa che porterà con sé per sempre.

“Gli antichi dicevano che nel nome è scritto il destino di ognuno di noi. Che destino vuoi per tuo figlio, eh «signor Quattordicesimo»?” continua poi Cross, porgendogli il bambino perché lo tenga in braccio in quel momento così importante.

“Eh, bella domanda. Anche mia madre ha scelto il mio nome secondo questa usanza, sai? Certo non avrebbe mai immaginato che la sorte avrebbe portato suo figlio a far parte della famiglia Noah, i nemici della Chiesa. Se avesse saputo, dubito mi avrebbe chiamato Mana, che significa «potere divino»... Per il piccolino qui presente, invece... vediamo...”

Lo sguardo dell'uomo cade sul braccino deformato del bambino. Sul dorso della manina immobile il brillio della pietra mandata da Dio è ancora offuscato, ma un giorno illuminerà le tenebre, ne è sicuro. Preso da un'improvvisa ispirazione, senza svegliarlo lo solleva leggermente per guardarlo meglio alla luce della luna.

“Ho deciso. Il suo nome è Amiel, che ha il doppio significato di «Dio delle genti»  e di «gente di Dio». Spero che gli porti fortuna, ne avrà bisogno.”

Sorride, il moro, prima di posare un bacio sulla fronte del neonato.

“Su, riportalo dentro. Sua madre lo starà aspettando, e qui fuori fa troppo freddo per un bambino così piccolo.”

Lasciato il bimbo alle cure dell’esorcista, il Noah lancia un ultimo malinconico sguardo al proprio figlioletto e alla casa dove la sua amata sta riposando. Sa già che non li rivedrà per molto tempo, sempre se sarà così fortunato da incrociare la loro strada senza metterli in pericolo.

Sta per andarsene, ma la voce del generale lo richiama.

Prima di scomparire all’interno della casa, infatti, Cross si è voltato indietro.

“Per adesso ne avrò cura io, anche se da lontano - com’era nei patti. E quando sarà il momento troverò il modo di avvisarti perché tu lo venga a prendere. Sì, questo marmocchio è decisamente fortunato, non credi?”

“Preferirei non avesse bisogno di tutta questa fortuna per sopravvivere, Marian... ma dopotutto, nascere in un'epoca come la nostra, piena di conflitti e timori per il futuro, è tutt'altro che semplice. Tienilo d'occhio, mi raccomando, e cerca di tenermi aggiornato. Anzi, aspetta un attimo...”

Mana si avvicina all'esorcista, frugando nelle tasche interne del cappotto elegante che indossa, e poi avvicina il pugno chiuso al viso dell'uomo che gli sta di fronte, aprendo pian piano le dita.

Nel palmo della sua mano c'è uno strano oggettino, dalla forma tonda e dal colore chiaro. Cross lo osserva molto incuriosito, non sapendo cosa aspettarsi, e quando si accosta ulteriormente per analizzarlo lo vede come fremere per un secondo. Improvvisamente la sferetta gialla si libra nell'aria, spalancando un paio di alucce e srotolando una codina lunga lunga che termina a forma di fiamma.

Ora è il turno dell'oggettino analizzare prima il bimbo e poi l'adulto: dopo aver girato attorno a Cross un paio di volte, spalanca la bocca in un ghigno compiaciuto e decide di accomodarsi sulla sua testa.

Quasi scoppiando a ridere per l'espressione impagabile che si è disegnata sul viso del generale, ovviamente poco avvezzo alla frequentazione di golem dotati di personalità, il Noah rimette le mani in tasca e fa un passo indietro.

“Questo è Timcanpy. Amico mio, ci conosciamo da un bel po', ormai, e so come sei fatto... So benissimo che anche se mi dici che mi terrai aggiornato finirai per sparire, prima o poi! Timcanpy registrerà tutto quello che succederà al bambino, e ci consentirà di tenerci in contatto in caso di bisogno.”

L'esserino agita la testolina su e giù, evidentemente in accordo con il suo creatore, finendo così per scompigliare i capelli dell'esorcista che borbotta infastidito.

“Ovviamente ha anche altre funzioni molto interessanti... ma non intendo elencartele togliendoti il piacere di scoprirle da solo! Bene, a questo punto direi che posso togliere il disturbo. Ci sentiamo presto, «signor esorcista»!”

 

Lo ammetto, quando ho sentito il generale chiamare quell’uomo «signor Quattrodicesimo» con tutta quella nonchalance ci sono rimasto di sale: cazzo, quello è uno dei nostri nemici, forse uno dei peggiori (anche se ha tradito e ha tentato di uccidere il Conte [perché questo non significa automaticamente che è nostro alleato]) e lui ci parla come se fossero amici di vecchia data!

L’istinto successivo è stato estrarre Mugen e attaccare… solo per poi accorgermi che, dannazione!, non ho idea di dove sia finita la mia spada! Prima di ritrovarmi qui sono certo che l’avessi in pugno (quell’idiota del moyashi ne ha anche bloccato la lama con la mano maledetta) e ora mi ritrovo solo un inutile fodero!

Un ghigno storto mi deforma il viso.

A parte che, anche con Mugen… cosa avrei potuto fare? Non posso toccare nulla, passo attraverso le cose come se fossi fatto d’aria e sono altrettanto invisibile… (mi sento un emerito idiota in questa situazione…)

Comunque seguire Cross qui fuori mi è servito almeno a capire una cosa (oltre che ad infittire il mistero che circonda il generale): quel bambino, chiunque sia, non può essere il moyashi. Nonostante le coincidenze eclatanti, se c’è una cosa di cui sono certo è che il suo nome non è Amiel o cosa diavolo… il che significa che… ‘fanculo! Significa semplicemente che non ho il minimo elemento in più per capire dove sono, in che epoca sono o perché cazzo sono qui!

Ok Yu, ragiona, parti dai dati di fatto. Hai Cross che, a quanto ne sai, è morto eppure te lo vedi davanti vivo e vegeto, il Quattordicesimo che in teoria dovrebbe esser morto pure lui (altrimenti come farebbe il moyashi ad avere le sue memorie?) e hai appena assistito alla consegna al generale del golem che hai sempre visto in compagnia di Walker… e per finire hai un bambino che sembra il moyashi ma che non è possibile che lo sia (fortuna che dovevo considerare i dati di fatto… [non ne ho, cazzo!])…

Per quanto sia assurdo, tutto questo potrebbe trovare un minimo di senso solo supponendo di trovarsi nel passato, indietro di almeno 15 o 16 anni rispetto al presente… ma anche ammesso che sia così, come è possibile? È solo un’illusione? (In questo caso, io sono un esperto…) E soprattutto io cosa c’entro?

 

Il sole è sorto ormai da un bel pezzo quando Cross entra nella stanza dove Mària ancora riposa, appoggiata ai grandi cuscini decorati del letto. Mother è nella stanza accanto, intenta a fare il bagnetto al piccolo, mentre il giardiniere Barba fischietta allegramente spalando la neve dal vialetto d'ingresso.

“Buongiorno!” lo saluta la ragazza, la stanchezza e la gioia che le fanno brillare gli occhi grigi.

“Stanotte ho incontrato Mana.” Inizia subito l’esorcista, senza troppi giri di parole, andando a sedersi sulla sedia all’angolo della stanza. “Ha visto il bambino e gli ha dato un nome: l’ha chiamato Amiel.”

Cross non è mai stato una persona particolarmente educata, quindi Mària non si offende per la mancanza di risposta al suo saluto. Non può fare a meno di preoccuparsi, però, quando lo vede sedersi in quell'angolo lontano. Sembra che voglia mantenere le distanze, e tutto ciò sta a significare brutte notizie in arrivo.

“Oh… bel nome, sì. Era un personaggio biblico, giusto? Mi piace! E Mana? Mana come sta? Cos'ha detto del piccolo? Gli somiglia, vero?”

Parla rapidamente, la felicità nel suo sguardo che pian piano si offusca mentre distoglie gli occhi dal viso dell'uomo seduto sulla sedia, mille pensieri che le vorticano nella testa tutti assieme.

Sapeva che avrebbero dovuto affrontare nuovamente l'argomento, prima o poi. Lo sapeva, se lo aspettava. Però ora che il bimbo è nato, ora che l'ha stretto tra le braccia e lo ha nutrito, cullandolo verso i suoi primi bei sogni... è tutto molto più difficile, accidenti.

La giovane esorcista sospira, fissando l'azzurro del cielo che splende fuori dalla finestra, e scuote la testa cercando poi di ricomporsi, di imbrigliare nuovamente le sue emozioni. «Per Amiel», si ripete, «Per Amiel».

Ma non vuole, non riesce a guardare Cross in faccia, perché sente che non resisterebbe, che scoppierebbe a piangere al solo pensiero di...

“Gli somiglia, sì.” L’uomo risponde subito e quasi senza pensarci, la mente che già si è allontanata dietro altre riflessioni molto meno piacevoli (non che in tutta quella faccenda ci sia granché di piacevole…). Ora a lui tocca la parte del duro - lo sa e non ne va particolarmente fiero, ma qualcuno deve pur accollarsi l’onere di riportare Mària con i piedi per terra.

Nove mesi prima, quando aveva scoperto di essere rimasta incinta, il patto che lei, Cross stesso e il Quattordicesimo hanno stretto è stato ben chiaro: il bambino non avrebbe potuto rimanere con la madre, né tantomeno col padre. Ma ora ricordare alla ragazza l’impegno assunto di abbandonare suo figlio appena nato è difficile, anche per un uomo freddo come lui.

L’esorcista si accende l’ennesima sigaretta, imprecando tra sé contro il pacchetto già desolatamente vuoto (e l’ha iniziato solo la sera prima, dannazione!), quindi apre un poco la finestra e soffia fuori uno sbuffo nervoso. Infine si volta verso la ragazza che dal letto lo osserva seria, ben conscia di quel che sta per sentire.

“Il bambino dev’essere immediatamente esposto alla ruota; o, se preferisci, portato in un orfanotrofio.” Cross parla con tono basso, impersonale. Davanti al tentativo di protesta di Mària, alza una mano e la fissa severo “Non voglio sentire commenti di sorta. Questi erano i patti.”

Silenzio. La giovane chiude gli occhi e si appoggia stancamente alla spalliera del letto.

Quelli erano i patti, lo sa benissimo. Ma sa anche che non le resta poi molto da vivere, a causa degli effetti devastanti dell'Innocence di tipo parassita che hanno reso ancora più fragile il suo corpo di giovane donna.

“Marian, chissenefrega dei patti. Sai benissimo che non arriverò alla prossima estate, no? E lasciare un bimbo così piccolo in balia degli eventi è una mossa troppo azzardata, potremmo perderlo e tutto questo sarebbe stato vano. L’hai visto anche tu: è nato compatibile, è la dimostrazione che la nostra teoria è esatta… pensa a che potenzialità enormi potrebbe avere!

Fammelo tenere, fammelo crescere. Consentimi di dargli l'amore e la forza sufficienti per poter affrontare il mondo. E quando arriverà il giorno in cui la mia vita si spegnerà potrai portarlo all'orfanotrofio, potrai portarlo dove ti pare... tanto so che, come da accordi, veglierai sempre su di lui.”

È un sussurro, la voce di Mària, ma gli occhi che ha appena riaperto per puntarli in quelli di Cross sono pieni di lucida, incredibile e testarda determinazione.

“E io sarò lì, accanto a te, a vegliarlo con te. Ti ricordi quel progetto di cui mi avevi parlato tempo fa e che all’epoca avevo considerato blasfemo? Beh, ci ho pensato tanto, stanotte. Fammi diventare la tua arma anti-akuma, Marian. Consentimi di rimanere al vostro fianco, anche se non sarò altro che un corpo senza vita, ti prego!”

Davanti alle parole della donna, il generale non può che ringraziare il suo sangue freddo e la maschera che gli copre metà del volto - è solo grazie a questi che riesce a celare lo stupore per quel che si è appena sentito proporre. A tanto può arrivare l’amore di una madre?

Ma quel suo stupore dura solo un istante, presto dissolto in una punta ammirazione per la caparbietà e il coraggio di Mària, oltre che nel lavorio frenetico della sua mente, già protesa a considerare i pro e i contro dell’idea che gli è balenata davanti agli occhi.

È con il suo tipico sorriso strafottente (che tuttavia miete più di una vittima tra i cuori femminili) che Cross si volta verso di lei, gettando il mozzicone di sigaretta fuori dalla finestra.

“Sei incredibile, donna… ed è per questo che mi piaci, oltre che per la tua indubbia bellezza. Quel marmocchio è fortunato ad avere una madre come te.”

 


 

PREVIEW:

Capitolo 2 - Era pietra di scandalo, ma il costruttore ne fece pietra angolare

Ok, e adesso che cazzo è successo così di botto? Ho visto per un attimo tutto buio e poi mi sono ritrovato… beh, in un posto qualunque, ma sicuramente non lo stesso in cui ero prima (che odiosa sensazione di déjà-vu…). E probabilmente, tanto per gradire, non sono solo in un luogo diverso, ma anche in un tempo diverso.

Non ho ancora capito cosa voglia mostrarmi il burattinaio che ha organizzato tutto questo, quindi tanto vale cercare di scoprirlo (almeno mi sembrerà di aver fatto qualcosa di mia iniziativa).

[…]

“La cosa più terribile, Madre, è la mano di quel bambino! La sua mano sinistra porta sul dorso una croce nera!” esclama scandalizzata la giovane religiosa “Capisce Madre Superiora? Una croce! Il simbolo del martirio di Nostro Signore marchiato a fuoco sulla mano e nel colore del demonio! E se quel piccino - Dio ce ne scampi e liberi! - fosse posseduto?!”

[…]

Non è ancora il momento, Amiel non è ancora pronto per sfidare Millennio. Il progetto che lui e Cross hanno su quel piccino è ambizioso e richiede tempi lunghi, ma il Noah è certo che alla fine avrà successo.

Il bambino torna con lo sguardo alla tomba del cane.

“Hmph, piacere di conoscerti, signor Mana Walker. Senti un po', aveva un bel nome, il tuo cane... secondo te posso prenderlo in prestito, almeno per un po'?”

 


 

IL POST-IT DELLE AUTRICI

Come detto in precedenza, elenchiamo di seguito tutte le citazioni contenute nel capitolo che avete appena letto.

 

-         Il titolo: citazione da Gn 1,1 e Gv 1,1. Entrambi i libri iniziano infatti con l’espressione “In principio…”.

“Amore trasparente” è invece un chiaro riferimento alla canzone omonima di Ivano Fossati. Ok, questa è assai poco biblica come fonte, ma a me quel pezzo piace tantissimo XD (ndMistral)

-       Mother e Barba: questi due personaggi appaiono nel primo capitolo del romanzo “D.Gray-Man: Reverse” vol. 1, di Hoshino Katsura e Kizaki Kaya, dove viene raccontata l’ultima parte del viaggio di Allen dall’India verso la Sede dell’Ordine. Ovviamente li abbiamo sviluppati in maniera indipendente, pur restando entro i limiti di quanto suggerito dalle autrici. Sempre da quel capitolo sono tratte le descrizioni degli ambienti esterni e di Timcanpy.

 

Per questo capitolo è tutto! Se avete un qualsiasi dubbio, chiedete pure!

E ricordate… in missing moments we trust!

Alla prossima!

Lety&Mistral

 

 

 

NEXT SHOT ON MAY 10, 2010

Don’t miss it!

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Era pietra di scandalo, ma il costruttore ne fece pietra angolare ***


L

 

L’ANGOLO DELLE AUTRICI

Eccoci qui con il secondo capitolo di Hachisu no Yume. Prima di lasciarvi alla lettura, permetteteci una piccola precisazione, utile soprattutto per chi sta seguendo anche l’altra fanfic che stiamo pubblicando. Come sapete Anata Ga Koko Ni Iru Riyuu è il terzo capitolo della Yullen Saga, di cui al momento questa fanfic non fa parte. Inizialmente ci eravamo ripromesse di sciogliere la riserva sull’inserirla o meno nella serie dopo aver visto “l’uscita dal sogno”, ossia come si fosse conclusa la vicenda di Allen spettatore dei ricordi di Kanda. Ciò è avvenuto con la Night 194 appena uscita, tuttavia in quel capitolo gli avvenimenti sono ancora troppo nebulosi per permetterci di pronunciarci definitivamente (diciamocelo, la storia va avanti poco o nulla purtroppo!). Di conseguenza rimandiamo il tutto al mese prossimo.

Da ultimo grazie mille a tutti coloro che hanno letto e in particolare a coloro che hanno recensito!

 

§ Cara Flowermoon,

siamo contente che la storia ti piaccia e soprattutto che abbia contribuito a risollevarti il morale ^^ le fanfic servono anche a questo e il fatto che sia stata proprio la nostra storia a tirarti su ci fa apprezzare il doppio i tuoi complimenti.

Siamo perfettamente d’accordo con te sul fatto che se Kanda e Allen conoscessero i rispettivi passati riuscirebbero a capirsi molto meglio… chissà se succederà davvero o se rimarrà tutto una nostra fic! Aspettiamo e vedremo!

 

§ Cara Retsu,

è un piacere anche per noi sapere che non siamo le sole ad aver elaborato la teoria del “se Allen è nei ricordi di Kanda, allora magari Kanda è nei ricordi di Allen” XD

E siamo contente di sentire che l’idea di Mària come madre di Allen piaccia, non solo a te ma anche alle altre lettrici… ad essere oneste quello lo consideravamo uno dei due gradi azzardi di questa fanfic (assieme all’identificazione Mana=Quattordicesimo=padre di Allen) ma non sappiamo spiegarci altrimenti la sua figura: è troppo particolare per essere solo la seconda arma anti-akuma di Cross. E poi, con un nome così e Allen il cui compleanno è stato arbitrariamente stabilito al 25 dicembre… dai, è troppo per essere una coincidenza! (anche perché le coincidenze non esistono, CLAMP docent)

Comunque siamo curiose di sapere cosa ne pensi dei prossimi sviluppi. Facci sapere!

 

§ Carissima BBJ,

innanzitutto calma! Non ci svenire che sennò poi non riesci a leggere il capitolo.

Grazie infinite dei complimenti, siamo contentissime di riuscire a produrre ogni volta una storia che ti piaccia e ti appassioni. Sono le lettrici come te e i vostri commenti che danno lo stimolo giusto per continuare a scrivere e pubblicare (perché alle volte è difficile, sai?)

 

§ Fratellino caro,

sappiamo benissimo che non concordi affatto sulla nostra teoria XD Ma questo non fa che renderci più graditi i tuoi complimenti, soprattutto perché hai apprezzato il modo con cui rendiamo Cross - sappiamo quanto tu sia affezionato a questo personaggio e proprio per questo il tuo giudizio su di lui è per noi importantissimo.

Quanto a Kanda… ehm, sì, effettivamente ci è uscito un po’ più volgare del solito ^^” ma come dici tu la situazione delicatissima in cui si è venuto a trovare non favorisce certo un eloquio fine e raffinato… a volte scrivendone ci veniva voglia di fargli patpat sulla spalla, povero disgraziato!

Grazie ancora per i complimenti e speriamo che il secondo capitolo ti piaccia quanto il primo!

 

§ Cara Kicchina,

grazie innanzitutto per il tuo commento. Con la tua recensione così dettagliata ci hai fatto un grande favore, dandoci adesso l'opportunità di spiegare a voi lettori alcuni punti del nostro ragionamento che probabilmente vi possono sfuggire (non siete nelle nostre teste, quindi è normale XD). Ci permettiamo perciò di riprendere punto per punto la tua recensione, così da avere una traccia da seguire.

 

“Prima di reincarnarsi il quattordicesimo deve essere morto - eh sì, uno non si reincarna se è ancora vivo, sapete com'è- e, se Mana era il quattordicesimo - cosa che comunque è stata esplicitamente negata nel manga (Cross dice ad Allen che Mana ne era il fratello, e non vedo perché a quel punto avrebbe dovuto mentire)- ed allo stesso tempo era il padre naturale di Allen, allora qualcosa non quadra hehe”

È vero che Cross dice che Mana era il fratello del 14esimo, ma personalmente abbiamo dei seri dubbi che stesse dicendo la verità visto e considerato che lui e Allen si trovavano in una stanza, circondati da membri dei Crow, con Lavi presente e in collegamento audio con un'altra stanza dove c'erano altri Crow, Bookman Sr., Komui e Leverrier.

Che Cross stesse manipolando almeno in parte i fatti è suggerito anche dalla palese arrampicata sugli specchi che fa con la questione del “quando” sono state passate le memorie ad Allen.

È da notare inoltre il disagio di Bookman Sr.: è nervoso, e non solo perché si fa riferimento a fatti dei quali è presumibilmente al corrente... ma anche perché, con quest’arrampicata sugli specchi, Cross confonde la scena, in ogni caso rischiando molto.

Il motivo che avrebbe spinto Cross a mentire è semplice: dire a tutti che Allen è figlio (anche solo adottivo) del 14esimo (quindi complice, magari volontario, soprattutto durante gli anni della fuga) lo avrebbe messo ancor più in pericolo rispetto a dire che “è stato usato dal 14esimo perché è stato sfigato e soprattutto non ne sapeva niente”.

 

Secondariamente, la teoria che Mana fosse il 14esimo stesso e non semplicemente suo fratello, secondo noi è supportata da due osservazioni, da cui ne discende una terza:

1) Quando mai si è visto un akuma che si ribella così apertamente all'ordine del Conte di eliminare l’essere umano che ne ha richiamato l’anima? Mana in fondo non ha attaccato Allen per ucciderlo, ma semplicemente per “maledirlo”. Inoltre imporre una maledizione richiede autonomia d’azione e forza di volontà, cosa che in teoria ad un akuma, benché ancora incompleto, dovrebbe essere negata già a quello stadio.

2) Un semplice essere umano non avrebbe potuto, a maggior ragione dopo essere già morto, imporre una maledizione che rendesse in grado di vedere le anime degli akuma.

3) Dato per assodato che Mana è il 14esimo, il momento in cui maledice Allen è l'unico in cui c'è un contatto tra loro tale per cui fosse possibile attuare il trasferimento delle memorie. In un certo senso era previsto e necessario che Allen trasformasse Mana in un akuma, affinché questi lo maledicesse e si verificasse nel contempo il passaggio del ricordo di Noah.

 

Se Mana non fosse il 14esimo, infatti, quando e come il 14esimo avrebbe passato le memorie ad Allen? Da quel che sappiamo, possiamo supporre che normalmente il passaggio del ricordo di Noah avvenga a random (il Conte infatti, dopo la morte di Skinn Boric, dice chiaramente che “bisogna cercare” il prossimo essere umano in cui il ricordo della Rabbia si risveglierà [cap. 187, pag.15]). Quando un Noah muore, il ricordo prima o poi si riattiva casualmente in un altro uomo; ma in questo caso, oltre ad essere la memoria del Suonatore particolare di per sé (ai tempi della guerra di 7000 anni fa infatti i Noah erano 13, il Musicista è comparso solo successivamente [cap. 137, pag.06 e cap.187, pag.12]), il trasferimento è stato forzato, perché il 14esimo voleva che fosse proprio quella persona, in quel momento e in quel tempo, a portare avanti le sue memorie.

Il 14esimo ha quindi dovuto fare qualcosa per trasferire coercitivamente le memorie; è possibile che per una cosa del genere serva contatto fisico e che, vista la necessità di impiantare una memory all’interno dell’ospite, non sia un’operazione che non lascia segni.

 

“In più, Wisely prima di spedire Allen e Kanda nei ricordi di Kanda e Alma, afferma esattamente “Let Alma himself prove it to you” (che vuol dire “Lascia che sia lo stesso Alma a provartelo”) e la frase è indubbiamente diretta a Kanda quindi...ehm...Kanda è nei suoi ricordi. Per forza, sennò come farebbe Alma a provargli di essere lui? Semplicemente Yu al momento sta rivivendo il tutto, e non è con Allen”

Innanzitutto premettiamo che tutta la vicenda si svolge nel “mondo del sogno” governato da Road (molto Tsubasa-style, se conosci il manga).

Wisely spedisce tutti quanti nel regno di Road, dove i ricordi di chi è segnato dal suo sigillo sono interconnessi.

Non è corretto dire che “Wisely spedisce Allen e Kanda nei ricordi di Alma e Kanda” per due motivi:

1) Allen finisce nel sogno non perché Wisely lo vuole, ma solo perché tocca Mugen e così facendo stabilisce un collegamento diretto con Kanda.

2) Non finiscono nei ricordi di Alma, perché quelli sono inaccessibili anche a Wisely (lo dice lui stesso [cap. 188, pag.31]), a causa del sigillo imposto su Alma probabilmente nel momento in cui è stato fatto cadere in coma nove anni prima.

 

Inoltre è Road, in forma di bambola, (e non Wisely) a dire a Kanda “Lascia che sia lo stesso Alma a provartelo” [cap. 189, pag.30]. È implicito che intenda “...nel momento in cui si sveglierà”, dato che, essendo in coma, al momento Alma non può provare proprio nulla. Sia Wisely che altri dicono chiaro e tondo più volte che a loro serve il cervello (le memorie) di Kanda per svegliare Alma: senza quelle Alma è un corpo vuoto, o quasi.

In effetti anche Alma è compreso nel “pacchetto incantesimo” delle connessioni create da Wisely, ma è come se i suoi ricordi fossero chiusi in una cassaforte: da questa non entra e non esce nulla, se non dopo un po' di contatti con le memorie di Kanda che, avendo ricordi in comune con Alma, ha come la chiave per sciogliere il sigillo e aprirgli la mente.

 

“Kanda è nei suoi ricordi”

Questo non lo dice nessuno.

Il collegamento operato da Wisely consente di sondare i ricordi altrui e farne una trasfusione da un cervello donante a un corpo ricevente.

Nel collegamento Allen-Kanda-Alma che si è stabilito, Kanda si trova…

…nei suoi ricordi? Nah, e a fare che?

…in quelli di Alma? Impossibile: sono sigillati, quindi Wisely non può avercelo spedito.

…in quelli di Allen? Lo stiamo dicendo noi XD

 

“Per forza, sennò come farebbe Alma a provargli di essere lui?”

Come già detto, glielo proverà quando si sveglia. Nessuno ha detto che lo deve fare mentre ancora dorme/è in coma.

 

“Perché, a differenza sua, Allen è estraneo alla situazione, non c'entra un ciufolo, insomma, quindi fa semplicemente da spettatore... oddio, questo è quello che ho capito io XD”

Sì, qui hai ragione: Allen non c’entra, è lì per caso. O meglio... è lì per una coincidenza voluta dall'autrice. Fa da spettatore, e da lettore. È un espediente narrativo, l'unico modo per mostrare il passato di Kanda inserendolo nella storia, senza fare flashback inutili e scollegati da tutto il resto.

 

“Poi, cioè, Wisely è entrato nel cervello di Kanda, i ricordi di Allen non c'entrano proprio niente…”

Wisely non è entrato nel cervello di Kanda. Si è limitato a creare la connessione tra lui e Alma (e Allen, ma involontariamente), per far sì che i ricordi dell'uno fluissero nell'altro per risvegliarlo.

I ricordi di Allen effettivamente non c'entrano nella storia originale, li abbiamo messi in mezzo noi, ipotizzando che quel che succede ad Allen con i ricordi di Kanda, succeda di riflesso a parti invertite.

 

“Il fatto che Kanda veda il passato di Allen sarebbe totalmente inutile ai fini del piano dei Noah, e non penso che il potere di Wisely sia una cosa tipo “scambio di anime” o “se tu sei nella mia testa, io sono nella tua”, anche perché dovreste tenere conto che anche Road è con Allen - quindi perché Kanda sarebbe dovuto finire nella testa di Allen invece che in quella di Road?”

Il fatto che Kanda veda il passato di Allen è totalmente inutile, e infatti Wisely non cercava quello. È solo un “effetto collaterale” ipotizzato da noi.

Nella testa di Road non si può entrare senza il suo permesso. Lei è lì perche lo vuole e basta, non per un collegamento creato da Wisely né per aver toccato l'Innocence. Il collegamento se l'è creato da sola e finisce con Allen perché vuole così... in più va e viene a piacere.

E ovviamente sì, il suo potere le permette di farlo. Road domina e controlla i sogni e la psiche, proprio come aveva fatto nel caso di Lavi (e senza l'aiuto di Wisely!)

 

“Però a questo punto c'è da tenere in considerazione anche Alma. Lo spirito di Alma, nella vostra storia, dov'è finito? Perché nel capitolo 192 Road afferma che, al momento, dopo che Yu “muore”, si trovano nei ricordi di Alma. Anche Alma è nei ricordi di Allen?”

Alma è sigillato. Lo scopo dei Noah è proprio raggiungerne la mente, e se Wisely avesse potuto arrivarci senza sforzo, non avrebbe fatto tutto quel casino con Kanda.

Nel capitolo 192 i ricordi di Alma iniziano a dissigillarsi e a girare. Allen e Road a quel punto iniziano sì a vedere i ricordi di Alma, ma solo perché questi sono confluiti assieme a quelli di Kanda.

Che Alma sia nei ricordi di Allen... siam sempre lì, finché sei incosciente le memorie escono e girano, ma non entrano da sole.

 

“E, se sia Alma che Yu sono nei ricordi di Allen, esattamente quel che sta facendo Wisely a che servirebbe? A far scoprire al protagonista un po' in più sul passato di Kanda?”

Lo dice l'autrice stessa cosa vuol fare Wisely. Prendi i ricordi di Kanda e li usi per aprire il lucchetto di quelli di Alma per svegliarlo. Tutto qui.

 

“Behhh diciamo che comunque su questa parte della storia non mi trovate molto d'accordo, ma ognuno ha le proprie opinioni e supposizioni, quindi va bene lo stesso XD è una what if? dopotutto XD

Vabbè vabbè, comunque come scrivete mi piace, e c'è da ammettere che avete una fantasia portentosa, invidiabile potrei dire - il fatto di Maria è sul serio un colpo di classe LOL”

Ti ringraziamo nuovamente per la recensione e per il complimento riguardo Maria. L'abbiamo messa lì perché è l'unico modo per darle un senso e uno scopo: la consideriamo una figura troppo particolare per avere solo il ruolo che le abbiamo visto ricoprire finora… e la sensei Hoshino non fa mai niente per caso, no?

Sul fatto che abbiamo fantasia... beh, noi preferiamo parlare più di ragionamento ^_^ La fantasia per definizione va da sola, senza appigli, mentre noi gli appigli li abbiamo mi sembra! XD

Poi vabbè, in fondo il mondo è bello perché è vario! ^_^ Precisiamo però che abbiamo classificato la storia come what if (per ora), solo perché vogliamo avere delle conferme prima di sbilanciarci e considerarla per la maggior parte corretta. Come detto in prefazione potremmo sbagliarci, come potremmo averci azzeccato. Solo il tempo e la sensei Hoshino potranno dirlo!

 

“(Ah, a proposito, è una sciocchezza, ma... prima di venire maledetto gli occhi di Allen erano castani asd)”

Abbiamo ricontrollato l'anime, e effettivamente lì gli occhi di Allen prima della maledizione sono castani. Personalmente la consideriamo una libertà che si sono presi gli incaricati della colorazione dell'anime: in fondo anche Road è disegnata con gli occhi viola, benché la sensei precisi che i Noah hanno gli occhi dorati.

Nella nostra ricerca abbiamo stabilito una gerarchia delle fonti, in cima alla quale c’è quella più autorevole - vale a dire quella più vicina all’autrice - ossia il manga. Al secondo posto vengono i romanzi, poi i vari art book e character guide (“Gray ARK” e “Noche”) e solo all’ultimo gradino l’anime, perché non sappiamo quanto la sensei ci abbia messo mano o abbia verificato ciò che è stato fatto. In caso di conflitto nelle fonti, quindi, bibliografia insegna che prevale quella più autorevole.

In più, sul colore degli occhi di Allen (pre- e post- maledizione) si è dibattuto a lungo, perché proprio l'autrice era indecisa. Capita spesso di trovare vecchi disegni dove Allen ha gli occhi rossi, e i peluche lo raffigurano sempre con gli occhi viola. La canzone del 14esimo, però, parla di occhi argentati, colore che si avvicina molto di più al colore finale degli occhi di Allen (quel grigio-azzurro delle ultime copertine, per intenderci). Sinceramente non sapremmo a chi possa fare riferimento quella strofa, se non ad Allen... e dato che la canzone l'ha messa su Timcanpy il 14esimo, l'ha fatto sicuramente prima di maledire (o che Mana maledicesse) Allen.

 

“Vi ho messo tra le seguite, le what if? mi piacciono parecchio XD spero venga fuori una cosa bella come la trilogia hihi

Jaa ne! <333”

Speriamo che tu continui a seguirci e che la storia continui a piacerti anche se, come ci auguriamo, saremo “costrette” a toglierla dalle what if per renderla un missing moment a tutti gli effetti e parte integrante della saga.

 

 

Hachisu no Yume

(Il sogno del loto)

 


 

2. Era pietra di scandalo,

ma il costruttore ne fece pietra angolare

 

Piove. È tutta settimana che piove quasi ininterrottamente, grosse gocce d'acqua che cadono dal cielo come inconsolabile pianto di angeli.

Anche le verdi foglie degli alberi, che fino a pochi giorni prima si sono allargate ai caldi raggi del sole di fine primavera, sembrano quasi ingrigirsi e schiacciarsi sotto il peso del diluvio. La città è silenziosa, nessuno si azzarda a uscire, e solo il ritmico tamburellare della pioggia sui vetri e sulle grondaie fa da colonna sonora all'ormai prossimo spegnersi di una vita.

La ragazza tossisce piano, mentre culla dolcemente il piccolo Amiel.

Il bimbo dorme sereno, inconsapevole del fatto che la sua esistenza sta per cambiare per sempre. Ancora non lo sa, ma presto dovrà dire addio alle calde braccia di sua madre, che con le ultime energie rimaste gli ha donato la forza di sei mesi colmi di amore.

 

Ok, e adesso che cazzo è successo così di botto? Ho visto per un attimo tutto buio e poi mi sono ritrovato… beh, in un posto qualunque, ma sicuramente non lo stesso in cui ero prima (che odiosa sensazione di déjà-vu…). E probabilmente, tanto per gradire, non sono solo in un luogo diverso, ma anche in un tempo diverso. Prima a giudicare dalla neve dovevamo essere in inverno, mentre ora è piuttosto tarda primavera, se non addirittura estate… quindi sono passati minimo sei mesi, ammesso e non concesso di essere sempre nello stesso anno… (giuro, appena avrò quel Noah tra le mani si pentirà d’esser nato!)

Mi guardo intorno, circospetto ma non troppo (tanto nessuno mi vede né mi sente), notando che ci troviamo in un bosco - probabilmente alla periferia di qualche città, considerata la larga carreggiata in terra battuta.

Le fitte fronde degli alberi schermano in parte la pioggia, ma anche se così non fosse, dubito che essa potrebbe toccarmi. Lui invece a quanto pare non ha la mia stessa fortuna… (chiamala fortuna poi, essere invisibile e incorporeo)

Mi avvicino senza cautela alcuna (non servirebbe [ma ugualmente mi fa strano, non l’ho mai fatto]) all’uomo che sta immobile sul ciglio della strada, cercando di ritirarsi il più possibile sotto un pino. Quando riesco a vederlo bene in faccia, quasi mi prende un colpo: quello è il Quattordicesimo! Rimango come ipnotizzato a osservarne i lineamenti (scacciando un’assurda sensazione di familiarità [quasi somigliasse a qualcuno che conosco…]), ma all’improvviso uno scalpiccio di passi, accompagnato dal borbottare di un uomo e dal pianto di un bambino, attrae la mia attenzione. Mi volto, sgranando involontariamente gli occhi quando riconosco le due figure che si avvicinano, strette sotto un unico ombrello nero.

Che cazzo ci fanno qui…?!

 

Piove. Continua a piovere, dannata pioggia che non smette nemmeno un minuto!

Né il bimbo né la donna dovrebbero essere sotto le intemperie, nonostante la temperatura dell'aria non sia poi così male, e il piccolo sembra tenerci particolarmente a farlo notare a Cross. Piange sconsolato, buttando fuori più aria possibile dai polmoni, costringendo quasi l'uomo a tapparsi un orecchio con la mano libera dall'ombrello che li ripara tutti e tre.

“Mària, dannazione a te! Fallo stare zitto!” brontola, allontanando teatralmente la testa dalla donna, fin quasi ad uscire dal riparo del parapioggia (e ovviamente tirandoselo istintivamente dietro nel movimento, così da scoprire la compagna)

“Tu tieni fermo quell'ombrello, Marian! Lo sai benissimo, avremmo potuto aspettare che spiovesse... sicuramente il bambino avrebbe continuato a dormire, al caldo e al riparo!” sibila lei, stringendo un po' più a sé il fagottino urlante “Su, tesoro, non piangere... ancora un po' di pazienza e sarai all'asciutto, va bene?”

Il piccolo Amiel la guarda con gli occhioni grigi spalancati, una ciocca dei capelli neri di lei stretta nel pugnetto chiuso.

Ha smesso di piangere, per adesso, ma potrebbe ricominciare da un momento all'altro: vispo e dall'ottimo appetito - conseguenza naturale dell'essere compatibile con un'Innocence di tipo parassita - nei suoi primi sei mesi di vita il bimbo ha già dimostrato di sapersi spiegare benissimo con il solo uso di espressioni e versetti... e soprattutto di essere decisamente testardo, quando vuole.

“Ecco bravo, così. Ora la mamma ti canta una canzone, che ne dici? Così fai ancora un po' di nanna...”

Il generale mugugna stizzito, ma non osa allontanarsi dalla donna e dal bambino: da una parte perché, sotto sotto (ma così tanto sotto che quasi nemmeno se ne rende conto lui stesso) sa che Mària ha ragione a rimproverargli di aver insistito a uscire sotto quell’acquazzone - però è stato Mana a sollecitare quell’incontro - e dall’altra perché (e pure questo non l’ammetterà mai) ama ascoltare la donna, trova che abbia una voce eccezionale.

Quindi, quando lei inizia a cantare, si lascia cullare volentieri anche lui dalle note di quella malinconica e ormai familiare ninnananna.

 

“Soshite bouya wa nemurini tsuite

Ikizuku haino nakano hono o

Hitotsu, futatsuto ukabu fukurami itoshii yokogao

Daichini taruru ikusenno yume, yume

Ginno hitomino yuragu yoruni

Umareochita kagayaku omae

Ikuo kuno toshitsukiga

Ikutsu inoriwo tsuchihe kaeshitemo

Watashiwa inoritsuzukeru mou kakonnokotoni aiwo

Tsunaidateni kisu wo”

 

Anche Mana si mette in ascolto, appoggiato al tronco umido del pino che lo nasconde alla vista dei due. Non è la prima volta che la sente cantare quelle parole così piene d'amore - benché fino a questo momento abbia potuto udirle solo da lontano - e adesso si ritrova a seguirne il ritmo tamburellando le dita sulla corteccia.

Non vede l'ora di tornare nella sua stanza e chiudersi dentro, per ricreare al pianoforte quella melodia: parole della madre, note del padre... nessuno dei due lo vedrà crescere, lo sa, e allora quale ricordo migliore da lasciare al proprio piccolo?

 

Appena lei termina di cantare, il Noah fa un passo avanti, rendendosi visibile ma restando al riparo sotto le fronde. “Si è addormentato, vedo…” sussurra. 

Mària alza la testa, un sorriso tenero che le increspa le labbra. È più di un mese che non vede l'uomo che ama, nonostante ne abbia percepito più volte la presenza vicino a sé e al bambino.

“Mana!” esclama sottovoce di rimando, aumentando il passo e raggiungendolo per poi abbracciarlo. Nella stretta calda dei genitori anche il piccolo Amiel sorride nel sonno, sentendosi finalmente circondato dall'amore che gli spetta di diritto.

Il momento di tenerezza, però, viene interrotto dal generale che ormai ha raggiunto la coppia. 

“Signori, mi spiace interrompere la vostra bella rimpatriata familiare, ma vorrei ricordarvi perché siamo qui...” 

“Cross ha ragione, Mària, è ora di donare al nostro bambino la sua nuova vita. Dobbiamo farlo adesso, mentre è ancora protetto dal nostro amore, non quando sarà immerso nella tristezza e nell'angoscia per la nostra morte. Così a livello conscio non si ricorderà di noi, perché è ancora troppo piccolo, ma inconsciamente saprà di essere stato amato da qualcuno.”

“Ma come farà? All'orfanotrofio lo vestiranno e lo nutriranno, lo so, ma chi lo stringerà al petto durante i temporali? Chi lo consolerà quando si farà male? Chi gli canterà una canzone prima di metterlo a dormire?”

“Dobbiamo fidarci della provvidenza, Mària, e sperare e pregare per lui. Per quanto riguarda la ninnananna, invece, ho un'idea... che ne dici se registriamo la tua voce su Timcanpy?”

“Davvero posso?”

“Certo, mia cara! Gli sarà di conforto nei momenti bui, e assieme alla melodia che riporterò su uno spartito gli tornerà utile quando sarà più grande. Ci ho pensato, sai, e ho intenzione di lasciargli la mia Arca. Questa ninnananna sarà la chiave di cui avrà bisogno per sbloccarla e utilizzarla a suo piacimento. Non avrà un futuro facile, lo sappiamo entrambi, ma almeno così gli saremo d'aiuto anche se non ci saremo più!”

“Oh, lo spero tanto, Mana!” risponde lei, stringendo il figlio a sé.

“Ora però è meglio muoversi, non abbiamo molto tempo... Tim, vieni qui! Segui Mària e registra attentamente la canzone che lei ti canterà, d'accordo?”

Il golem dorato annuisce e ghigna, prima di posarsi delicatamente sulla spalla destra della donna che, dopo aver lasciato il bimbo al padre, si allontana di qualche passo dai due uomini.

 

Osservo la scena che si sta svolgendo davanti ai miei occhi con una (ormai quasi familiare) sensazione di disagio: mi sento schifosamente di troppo, cazzo! Oltre al fatto che sto invadendo un momento familiare privato, a darmi ancor più fastidio è che loro non possano vedermi - se sapessero che sono qui, mi avrebbero già mandato (giustamente) a farmi gli affari miei da un’altra parte… (ma non è solo questo… [è che io momenti così non ricordo di averli mai vissuti]).

Stizzito, d’istinto tiro un calcio al tronco di un albero, ma questo non fa che accrescere la mia frustrazione quando il mio piede attraversa indifferente la corteccia. Colto alla sprovvista, mi sbilancio all’indietro, finendo seduto a terra, senza minimamente inzaccherarmi i vestiti di fango ed erba. Digrigno i denti e stringo il pugno, sentendo con sollievo le unghie penetrarmi nel palmo.

Quando mi rimetto in piedi, torno ad osservare il terzetto e noto che ora accanto a me sono rimasti solo Cross e il Quattordicesimo (un generale e un Noah: se ci penso quasi mi vengono i brividi [allora non è solo nella Sede Asia il marcio]); la donna invece si è spostata, forse per registrare con più tranquillità nel golem la ninnananna (tra l’altro anche quella melodia mi ricorda qualcosa… l’ho già sentita da qualche parte, ma non riesco a capire dove […fottutissimi ricordi a brandelli!]). I due uomini la osservano da lontano, mentre il padre (si chiama Mana, vero?) culla piano il neonato.

 

Visto che, da bravo gentiluomo qual è, Cross ha lasciato l’ombrello a Mària, l’esorcista si accosta maggiormente all’altro per trovare un minimo di riparo dall’acquazzone sotto la chioma del pino. Alza il bavero del cappotto e si scosta i capelli dal viso, quindi fruga nelle tasche alla ricerca dell’ennesima sigaretta (sperando poi di riuscire ad accenderla nonostante questa maledetta umidità).

Mana lo osserva in silenzio e, quand’è il momento, gli porge la fiamma dell’accendino, il suo tipico sorriso dolce e canzonatorio a increspargli le labbra.

Il generale tira una profonda boccata di fumo, i lineamenti che si distendono per un attimo, quindi punta gli occhi sull’amico.

“Ma… dimmi un po’…” inizia infine, con un ghigno divertito “…cos’è questa bella storiella dell’Arca bloccata?”

“Oh…?” l’uomo sembra cadere dalle nuvole “Ah sì, lo scherzetto che ho fatto al caro signor fratello, il Conte…” Al nominare il capo della famiglia Noah, istintivamente Mana stringe un poco più a sé il figlio e la sua voce, di solito così leggera, si fa cupa e seria. “Ti ho già raccontato cosa tentai di fare, purtroppo senza successo, vent’anni fa, no? Quel che non sai è che, prima di mettere in atto il mio piano, per cautelarmi creai una stanza segreta all’interno dell’Arca, di cui solo io sono a conoscenza e alla quale si può accedere solo tramite Timcanpy. Lì dentro è collocato un pianoforte, l’unico mezzo per controllare l’Arca stessa. Ho deciso che le parole della canzone di Mària e la melodia che comporrò saranno la chiave per sciogliere la mia maledizione. Li registrerò nella memoria di Tim, so che ne avrai la massima cura.”

L’uomo si interrompe e il suo sguardo si solleva dal bambino per perdersi lontano - oltre la figura di Mària, oltre l’orizzonte, oltre quel luogo e quel momento. Vedendo le iridi dorate brillare e farsi vacue, Cross non osa proferire parola: ha capito che Mana sta esercitando uno dei poteri donatigli dalla sua memoria di Noah, la capacità di leggere i segni del tempo per predire il futuro.

“Verrà il giorno in cui il Distruttore busserà di nuovo alla porta di Millennio. Colui che raccoglierà la mia eredità sarà più forte di me e porterà a compimento la mia volontà, riuscendo dove io ho fallito.

Vorrei che quel giorno tu fossi con lui, Marian: guida i suoi passi e conducilo nella mia stanza, là dove io potrò manifestarmi in lui.”

“Certo che hai delle belle pretese tu, eh?” sogghigna Cross, davanti alla richiesta del Noah.

Questi in risposta gli sorride. “Fosse stato un compito semplice non avrei scelto te…” replica poi, la voce tornata quella di sempre. Quindi abbassa nuovamente gli occhi sul figlio, gli posa un bacio sulla fronte e lo porge all’esorcista. “Marian Cross, ti affido Amiel. Quando il Conte mi troverà e riuscirà ad uccidermi, farò in modo che sia questo bambino a ricevere le mie memorie. Già fin d’ora, ma in particolar modo da quel momento in poi, ti chiedo di proteggerlo finché giungerà il tempo in cui tutto sia compiuto.”

“Sarà fatto.” assente il generale, annegando la sigaretta in una pozzanghera e prendendo il bambino “Sai benissimo che sono d’accordo sul tuo progetto di liberare il mondo dalle palle di lardo, quindi se questo marmocchio potrà essere utile allo scopo lo terrò sotto controllo.”

Il sorriso di Mana si allarga mentre accenna di sì con la testa. “Sapevo di poter contare su di te. Ora va’, porta via Amiel prima che torni Mària: per lei sarebbe troppo straziante essere presente al momento dell’addio. Registrerò la musica nella memoria di Tim e poi lo manderò da te.”

Cross annuisce con aria grave, quindi si allontana rapidamente, con il piccolo ancora addormentato stretto tra le braccia.

 

Non ci credo… quindi quella specie di ranocchietto urlante è l’erede del Quattordicesimo! E per di più quel Noah se l’era scelto fin da quando era in fasce, anzi, forse l’ha persin fatto nascere apposta per questo… pazzesco! (Cazzo, gli è andata quasi peggio che a me…!)

Ehi, aspetta un momento! L’attuale ospite delle memorie del Suonatore è il moyashi… vuoi dire che questo bambino nel frattempo è morto e il ricordo di Noah si è trasferito in Walker? Non ci credo: Cross sarà anche un anarchico che se ne fotte dei regolamenti dell’Ordine (non lo biasimo), ma non permetterebbe mai che qualcuno affidato alla sua custodia finisca all’altro mondo prima del tempo. E allora…

Merda, no! Quel marmocchio non può essere Allen Walker… il moyashi non può essere il figlio del Quattordicesimo! Eppure…

Prendo un profondo sospiro, forzandomi a ragionare (per quel poco che mi è possibile senza un minimo di certezza da cui partire) e mi copro gli occhi con la mano. Ogni mio tentativo di concentrazione viene però gentilmente mandato a quel paese dall’improvviso buio che scende più fitto (troppo fitto [non è normale!] oltre le palpebra chiuse. Che cazzo succede adesso?!

 

Il vento soffia forte, quando il generale arriva davanti alla porta dell'orfanotrofio. Non c'è anima viva in giro, e anche dall'interno dell'edificio non si ode alcun rumore.

Il piccolo Amiel dorme ancora nel momento in cui il fagottino che lo avvolge viene deposto all'ingresso, al riparo dalla pioggia, attaccato ad un angolo della copertina un pezzo di carta con quattro righe che riassumono la sua vita.

Ma il destino, non contento di aver sottratto quell'anima ancora pura all'amore dei suoi cari, sembra avere una gran voglia di accanirsi contro di lui. Infatti, appena il generale si allontana con passo rapido per non esser visto, una raffica più violenta delle altre strappa via il foglio e lo fa volare lontano, cancellando in pochi secondi l'unica cosa che al bambino è rimasta: la sua identità.

Un tuono rimbomba cupo nell'aria, svegliando il piccolo; i suoi vagiti richiamano sulla soglia alcune delle suore che si occupano degli orfani, e il bimbo senza nome viene portato all'interno della casa, mentre qualche decina di metri più in là l’inchiostro si scioglie nella pozzanghera fangosa.

 

Vedendo quel pezzo di carta trascinato via dal vento, d’istinto faccio due passi avanti, nell’intento di recuperarlo o almeno di richiamare Cross (perché lo faccio? [Perché so cosa vuol dire non avere più nemmeno il proprio nome]) - salvo poi rendermi conto di quanto sia inutile un gesto del genere. Io non sono nulla qui, in questo luogo e in questo tempo, qualunque essi siano (tra l’altro ci siamo spostati di nuovo [sta diventando esasperante come faccenda]).

Osservo con una vaga malinconia le suore che, quasi infastidite, raccolgono il fagotto e lo portano all’interno (per loro è solo una bocca in più da sfamare). Chiunque sia quel bambino, che sia Walker o no, non avrà certo una vita facile…

Prendo un profondo sospiro, cercando di interpretare le sensazioni che sto provando. È strano per me, ma mi sento come svuotato, senza più voglia né forza di far nulla (non è poi così strano, sono solo passati molti anni da quando questo era il mio stato d'animo usuale).

Accenno a sedermi sulla panchina, ma ci rinuncio prima di finire per terra (non riesco ancora a rendermi conto di essere un fantasma [che ingenuo sono! Come se fossi mai stato qualcosa di diverso...]); scuoto la testa, innervosito, mettendomi ad osservare le gocce di pioggia che continuano a martellare indifferenti la pozzanghera sotto i miei piedi e mi preparo al prossimo cambio di scena: qualunque sia il piano assurdo di quel Noah che mi sta mostrando questa illusione, è evidente che ormai qui lo spettacolo è finito… non mi resta che aspettare e vedere cosa ha in serbo per me quel bastardo.

 

La pioggia cessa e le nuvole si aprono, lasciando passare i primi tiepidi raggi del sole di primavera. Davanti all'edificio, circondato da un'alta cancellata in ferro battuto mezza consumata dalla ruggine, iniziano a passare le prime carrozze della giornata.

Una di queste rallenta e si ferma, e il vetturino smonta in fretta e corre ad aprire la portiera. Dal mezzo scende una signora elegante che con passo rapido oltrepassa il cancello e suona alla porta. Il marito fa appena in tempo a raggiungerla; l'uscio viene socchiuso e i due entrano nell'orfanotrofio.

Ne escono poco dopo, felici e contenti, un bimbo di circa cinque anni tenuto per mano. Il piccolo, che saltella allegramente tra i due, ha i capelli castani come quelli della donna che ora lo sta prendendo in braccio: quasi non si direbbe che l'abbiano appena adottato. Ha perfino gli occhi verdi come quelli del suo nuovo papà...

Nel frattempo, seminascosto dietro la tendina della stanza al pianterreno, un suo coetaneo segue la scena con un'espressione seria, troppo adulta per l'età che dovrebbe avere. Ma ne ha già visti tanti di bimbi che trovano una famiglia che li ami, e lui sa che non sarà mai uno di loro.

In fondo, chi vorrebbe mai un bambino senza nome, senza età e con un braccio malformato?

Sbuffa, strofinandosi gli occhi con la manina destra, cercando di ricacciare indietro le lacrime, poi abbassa la tenda e torna nel suo angolino solitario.

 

Non appena il nuovo scenario si materializza davanti ai miei occhi, corrugo le sopracciglia, perplesso: siamo esattamente nello stesso posto di prima (o almeno, credo... [sì, l'edificio è lo stesso, sembra solo... più vecchio...]).

Dato che il luogo è sempre quello, immagino che almeno il tempo sia diverso (altrimenti non avrebbe senso! [Non che finora qualcosa l'abbia avuto...]). Mi guardo intorno, alla ricerca di qualche elemento della natura che mi dica cosa è cambiato. Quando avevo assistito all'abbandono del bambino, credo fosse piena estate - gli alberi erano pieni di foglie e anche le suore indossavano abiti leggeri. Ora invece i rami sono praticamente spogli, c'è solo qualche gemma o al massimo qualche pianta in fiore... se fossimo in Inghilterra, questo sarebbe un  paesaggio primaverile...

Seguo per un momento con lo sguardo la coppia che entra nell'orfanotrofio e ne esce poco dopo con un bambino - che di primo acchito avevo scambiato per il figlio del Quattordicesimo (l'idea mi fa un certo effetto), ma poi un movimento dietro la tenda del pian terreno attira la mia attenzione: chi è che sta spiando quei due?

Non ho ancora capito cosa voglia mostrarmi il burattinaio che ha organizzato tutto questo, quindi tanto vale cercare di scoprirlo (almeno mi sembrerà di aver fatto qualcosa di mia iniziativa). Attraverso velocemente il cortile e, dopo un attimo di indecisione, mi butto attraverso il muro; mi ritrovo in quello che sembra un salotto comune (somiglia vagamente a quello del vecchio quartier generale), giusto in tempo per vedere uscire in tutta fretta un ragazzino minuto, castano di capelli - e con un braccio paralizzato... ora so perché sono qui.

Con un accenno di ghigno sulle labbra mi metto sulle tracce del bambino.

 

Non visto, o più specificatamente ignorato, dal resto degli abitanti dell'edificio, il bimbo sale le scale in direzione delle camere da letto. Sa che tutti gli altri piccoli sono nel cortile interno a giocare e che quindi lì non ci sarà nessuno, e la cosa gli sta bene. Preferisce stare da solo, piuttosto che sorbirsi gli sguardi compassionevoli o rassegnati delle suore o le prese in giro dei ragazzini più grandi. Si siede sul letto, le gambe raccolte al petto, e stringe il cuscino sospirando.

In quel posto nessuno lo accetta per quel che è. A nessuno importa di un bambino inutile come lui.

La Madre Superiora lo ripete spesso a tutti, che i loro genitori li hanno lasciati all'orfanotrofio per regalare loro la possibilità di una vita migliore... Ma la speranza di poter in futuro vivere il calore di una vera famiglia si fa ogni giorno più fievole, nel cuore di quel bambino ora così poco amato. Eppure, si chiede... dov'è il suo posto, se non lì?

Si perde nei pensieri, ma si riscuote quando inizia a brontolargli la pancia. Già alcune suore dicono che è solo un peso per l'orfanotrofio, se poi si mette a mangiare due volte più degli altri bambini... per fortuna però la cuoca è sua amica, e ogni tanto gli passa un panino o una focaccia di nascosto dalle religiose.

È quindi verso le cucine che si sta dirigendo quando, passando davanti all'ufficio della Madre Superiora, delle voci dai toni concitati lo fanno fermare a metà strada. Nel silenzio completo del corridoio deserto sente chiaramente che stanno parlando di lui, allora decide di rischiare e si avvicina un po' di più alla porta.

“Madre, con tutto il rispetto, non possiamo più ignorare la questione…”

Il piccolo riconosce chiaramente in quel tono ansioso la voce nasale di quella novizia magrolina che passa metà del tempo in chiesa a pregare e l’altra metà a guardare tutti dall’alto in basso.

“Sorella, si calmi. Di cosa sta parlando?” la direttrice dell’orfanotrofio, una donna imponente, vicina alla sessantina, risponde con un profondo sospiro.

“Ma di quel bambino con il braccio paralizzato!” esclama la suora più giovane, agitata “Mi aveva sempre suscitato profonda inquietudine, però ovviamente la carità cristiana ci chiede di amare tutti i fratelli, soprattutto i più piccoli e i più sfortunati, quindi non ne avevo mai fatto menzione. Tuttavia ora…”

“Ora cosa, sorella?”

“Ecco, l’ho visto questa mattina, mentre si lavava alla fontana su retro. Madre, avesse visto la pelle di quel braccio! È violacea, spessa e screpolata, come se fosse un’unica estesissima bruciatura… è orribile a vedersi!”

“Sorella! Come può dire certe cose di un bambino…” la rimprovera la suora più anziana. Ciò nonostante, si coglie nel fondo del suo tono un certo malcelato disgusto per quanto la consorella sta riferendo.

“Mi perdoni Madre, più tardi andrò in chiesa a dire un Pater e un Gloria per purificarmi. Prima però mi permetta di concludere.”

“Che c’è d’altro?”

“La cosa più terribile, Madre, è la mano di quel bambino! La sua mano sinistra porta sul dorso una croce nera!” esclama scandalizzata la giovane religiosa “Capisce Madre Superiora? Una croce! Il simbolo del martirio di Nostro Signore marchiato a fuoco sulla mano e nel colore del demonio! E se quel piccino - Dio ce ne scampi e liberi! - fosse posseduto?!”

Il bimbo fa un passo indietro, gli occhi sgranati e la mano davanti alla bocca per soffocare il grido che, spontaneo, gli sta per sfuggire.

Ha paura, una paura tremenda, adesso. La Madre Superiora non ha mai perso occasione per ricordare a lui e a tutti gli altri bambini che a ogni più piccola marachella corrisponde sempre una punizione esemplare. Cosa potrebbe capitargli di tremendo se le suore fossero d'accordo con la novizia?

Non è posseduto dal diavolo, lui, o almeno non lo crede... Lo sguardo gli cade subito sulla croce che spicca sul dorso della sinistra, ma lo strano bagliore che questa emana nella penombra per lui è confortante, non è certo qualcosa di demoniaco!

È vero, il suo braccio immobilizzato non è bello a vedersi, ma è anche lui una creatura di Dio, no? Gliel'hanno spiegato loro! E tutte le creature di Dio hanno il diritto di essere amate, per quanto imperfette, no?

E allora perché? Perché questo astio nei suoi confronti? Cos'ha fatto lui, di male?

Grossi lacrimoni cominciano a scendergli per le guance, quando gira sui tacchi e inizia a correre giù per le scale. Non vuole restare in quel posto un momento di più. Tanto non gli servirebbe, no? Nessuna famiglia lo adotterà, tanto vale cercare altrove quello che lì non arriverà mai...

È con questa determinazione e un pizzico di fortuna che riesce ad eludere la sorveglianza di una delle suore e uscire in giardino, proprio mentre il postino sta per richiudere il cancello.

A nulla servono le grida dei bambini, che hanno visto la sua fuga e strepitano per richiamare l'attenzione delle religiose.

Il piccolo dagli occhi grigi pieni di lacrime corre veloce come il vento, e in pochi istanti è sparito nel dedalo di vie che conduce al centro città.

 

È solo quando il bambino scompare dalla mia vista che mi rendo conto di essere rimasto senza parole.

Non ho sentito tutto il dialogo delle suore, ma l’ultima frase di una delle due mi è bastata per detestarle. Non che la mia esperienza mi abbia portato ad avere sconfinata fiducia nelle religiose, ma per lo meno volevo illudermi che il marcio della Chiesa fosse concentrato tutto nell’Ordine e non presente ovunque in qualsiasi parrocchia o orfanotrofio… che ingenuo che sono! Da dove mi vengono fuori certi pensieri? (Probabilmente l’essere sospeso in questa sorta di limbo, senza nessun tipo di appiglio, razionale né tantomeno fisico, per capirci qualcosa di più, mi induce a cercare certezze nel mio passato… pessima mossa, vista la merda che è stata la mia vita [ma anche quel ragazzino potrebbe quasi farmi concorrenza])

Scuoto la testa, cercando di mettere a tacere la confusione che mi sta montando dentro. Non è il tempo né il momento adatto per lasciarsi andare a riflessioni del genere. L’unica cosa su cui devo concentrarmi è riuscire ad uscire di qui…

Se davvero quel piccoletto è la ragione per cui sono stato catapultato in questa illusione (perché di questo si tratta [anche se finora l’ho negato, forse per… paura?]), devo stargli alle calcagna e capire per quale dannato motivo vogliono mostrarmi la storia della sua vita.

Sto per gettarmi al suo inseguimento (corre maledettamente veloce e io non so orientarmi qui [nemmeno so dove siamo!]), quando all’improvviso la scena davanti ai miei occhi si offusca.

…e ora che cazzo succede?!

 

L'aria si fa improvvisamente più fredda, il cielo grigio e pieno di neve.

Nel fioco chiarore del mattino le stradine quasi deserte sembrano risplendere, l'acciottolato reso lucido dai fiocchi appena caduti ma che non hanno ancora attecchito.

Le poche persone che si sono avventurate all'esterno camminano rasenti al muro, il vento gelido dell'inverno che sferza loro il viso, costringendole a tenere lo sguardo basso per procedere più speditamente.

Lungo una di quelle stradine che portano verso i confini della città sta correndo un ragazzino di circa sette anni, i capelli castani troppo lunghi legati alla bell'e meglio dietro alla nuca e un sacchetto più grande di lui tra le braccia. Sta correndo a perdifiato, sotto la neve che sta ricominciando a cadere inumidendogli i vestiti troppo leggeri per quel clima, verso un'area poco fuori dal centro urbano dove un circo itinerante ha da un paio di settimane stabilito la sua sede temporanea.

Certo nessuno si aspetterebbe una velocità simile da un bambino così gracile, eppure riesce comunque a continuare la sua corsa. È in ritardo per le consegne, e il timore di perdere quel lavoretto, unica sua fonte di sostentamento negli ultimi tempi, lo fa correre se possibile più forte.

È stato un colpo di fortuna incrociare per caso il proprietario del circo, e ancora di più il fatto che questi abbia ascoltato e accolto la sua richiesta per un lavoro onesto... dopo anni passati a girare per le città e a mantenersi con furtarelli e lavoretti occasionali, numerosi rifiuti e altrettanti «inviti ad allontanarsi» (che arrivavano puntuali, conditi da urli più o meno scandalizzati, alla vista del braccio sinistro ancora immobilizzato), forse per una volta la ruota della fortuna sta iniziando a girare per il verso giusto.

Appena arriva vicino alle prime tende, il ragazzino si ferma e riprende fiato, poi si dirige sicuro verso la roulotte destinata a cucina.

Anche oggi, se consegnerà tutti i pasti per tempo e senza fare errori, potrà contare sul suo solito pezzo di pane.

 

Ok, e adesso dove diavolo sono finito?

Mi porto le mani alle tempie, chiudendo gli occhi e prendendo un profondo respiro, nel tentativo di rimettere ordine nei miei pensieri. Questi continui e repentini cambi di scena mi stanno confondendo in maniera incredibile…

Va bene, proviamo a focalizzare la situazione attuale. Mi guardo attorno, scoprendomi alla periferia di una grande città (ma ovviamente sarebbe troppa grazia trovare anche solo un cartello o una fottutissima indicazione di sorta che mi permetta di dire in quale città sono!), in un periodo che, a giudicare dal nevischio, è sicuramente inverno. Osservando le porte dei palazzi, tutti uguali, che si susseguono uno accanto all’altro senza soluzione di continuità, noto poi delle striminzite decorazioni sui toni del rosso e dell’oro: al Quartier Generale di solito facevano una cosa del genere durante il periodo natalizio… devo dedurre quindi che siamo attorno a Natale? Ammesso e non concesso che sia così, questo non mi risolve il problema: diciamo che sia dicembre, ok, ma di quale maledetto anno?!

Le mie elucubrazioni mentali (e tutte le imprecazioni annesse) vengono però bruscamente interrotte quando un ragazzino dalle fattezze vagamente familiari mi passa davanti (quasi attraversandomi [che sensazione straniante!]), correndo a perdifiato verso la campagna. Osservo per un attimo la sua schiena minuta e le gambe magre, prima di accorgermi del braccio che gli pesa rigido lungo il fianco - non l’ho visto in faccia, ma non può essere una coincidenza il fatto di aver incontrato un moccioso con il braccio sinistro paralizzato… lui dev’essere il bambino che sto seguendo (il figlio del Quattordicesimo [Walker?]).

Inizio a corrergli dietro, considerando nel frattempo che sembra cresciuto rispetto a quando l’ho visto scappare dall’orfanotrofio. Quanto tempo sarà passato? E soprattutto cosa ci fa qui da solo?

Se davvero lui è chi penso io e Cross e quel Noah hanno dei progetti così grandiosi su di lui (è destinato a raccogliere le memorie del Suonatore, no?), mi sembra assurdo che l’abbiano lasciato crescere in queste condizioni, col rischio che muoia da un momento all’altro… davvero, non capisco!

Un attimo dopo, però, i miei dubbi ricevono risposta quando vedo il ragazzino entrare nell’accampamento di un circo itinerante; appena lui è scomparso in una delle roulotte, da una tenda un poco discosta dalle altre sbuca un viso a me noto. Ora mi è tutto più chiaro…

 

Il ragazzino corre avanti e indietro, uscendo ed entrando in ognuna delle roulotte, facendo la spola tra le «camere» degli artisti e la cucina, e nel giro di mezz'ora tutti i membri della compagnia hanno ricevuto la loro colazione.

Ha lavorato bene, e si è meritato la sua parte. Felice, nascondendo un piccolo sorriso soddisfatto sotto l'espressione scostante e truce che è ormai abituato a utilizzare con gli sconosciuti, esce un'ultima volta dalla tenda del cuoco con un'intera pagnotta un po' rinsecchita tra le mani. Ora deve solo trovare un angolino tranquillo dove sedersi e riempirsi lo stomaco.

Gironzola per un po', curiosando non visto tra le varie attività del cast, poi va ad accomodarsi su una delle casse dietro al tendone.

È così concentrato a gustarsi il suo pezzo di pane che non si accorge dell'intruso: un cane dal pelo raso bianco a macchie marroni, con un collarino da pagliaccio al collo, lo sta osservando con occhi dolci sperando in una parte di quel magro pasto.

Il ragazzino lo fissa per un po', masticando il pane, poi preso da un'improvvisa ispirazione allunga la mano sinistra verso di lui. Con suo sommo stupore il cagnolino non si spaventa, anzi: si avvicina sicuro e gli lecca le dita, per poi sdraiarsi ai suoi piedi.

Quel cagnolino è il primo ad accettarlo così com'è, a non giudicarlo per quell’arto poco «normale». Quel cagnolino è il suo primo vero amico, e il ragazzino è più che felice di dividere il suo pane con lui.

Mangiano assieme in silenzio, e quando il pane finisce il bambino si alza per tornare in città. Il cagnolino, dal canto suo, gli lecca un'altra volta la mano come a salutarlo prima di trotterellare verso la roulotte del suo padrone.

 

Il giorno successivo il bambino è di ritorno, in quell'angolo riparato dagli occhi della gente, alla ricerca del suo nuovo amico a quattro zampe. Sa che lo troverà lì nei dintorni - il collarino da clown uguale a quello del suo compagno umano lo rende un membro della compagnia a tutti gli effetti.

Il ragazzino l'ha anche visto, nel pomeriggio, mentre seguiva dentro il tendone principale quell'uomo alto con i vestiti colorati e la faccia dipinta. In quel momento, quando l'ha visto saltare e giocare allegramente con il suo padrone, ha provato un po' di invidia nei suoi confronti, ma il sentimento è stato subito sostituito dalla consapevolezza che quel cane è diventato anche suo amico. Questo significa che avrebbero potuto giocare assieme, correre assieme per le vie e lui avrebbe - perché no? - potuto accarezzarlo di nuovo con quella mano così spaventosa davanti alla quale la bestiola, prima in assoluto, non ha reagito con rabbia o paura.

Il bambino gira attorno alle casse, dietro al tendone, sperando ogni istante di vedere spuntare dal nulla il suo nuovo amico.

Niente.

Allora si incupisce e inizia a prendere a calci i sassi che delimitano la stradina, maledicendo il proprio infantile quanto stupido entusiasmo. Avrebbe dovuto aspettarselo, in fondo. Quella che aveva spinto il cane a leccargli la mano era solo curiosità, se non pietà vera e propria. Nessun sentimento di amicizia, niente.

Si morde la lingua per non piangere.

Possibile che quell'antipatico di Cosimo avesse ragione? Il lanciatore di coltelli l'aveva avvertito fin dal primo giorno, quando il ragazzino si era presentato al circo in cerca di un lavoro, ma lui aveva deciso di ignorare le insinuazioni cattive di quell'uomo violento e incapace. Ora però le sue parole gli ritornano alla mente.

«Nessuno vuole essere amico di un moccioso sbagliato come te.» gli aveva detto in quell’occasione - e gliel'aveva ripetuto spesso e volentieri, ogni volta che lo aveva visto gironzolare per il campo a distribuire il pranzo alla compagnia.  

Il ragazzino scuote la testa, rifiutandosi cocciutamente di credergli, e poi sbuffa, creando con il fiato delle piccole nuvolette bianche nella fredda aria del mattino. Dare ragione a quell'uomo significherebbe gettare la spugna. Rinunciare... alla ricerca di un po' d'amore.

Le mani in tasca e lo sguardo fisso a terra, il ragazzino gira attorno al tendone, finendo nella zona delle roulotte. E lì finalmente lo trova, il suo nuovo amico. Sdraiato, immobile, nella piccola fossa appena scavata dal suo padrone.

Vederlo così malconcio, ricoperto di lividi, lascia il bambino sgomento. Ma lui manda giù e tira avanti: nella vita chi si ferma è perduto...

Non riesce però a evitare di avvicinarsi alla piccola bestiola almeno per un ultimo, inespresso saluto. 

Si affianca quindi al pagliaccio, ormai ex padrone di quel piccolo quattrozampe dagli occhi gentili, e non riesce a non commentare la triste fine del cagnolino, che l'ha colpito più di quanto sia disposto ad ammettere.

“È morto?”

“È morto.”

“...è pieno di lividi.”

Solo il silenzio e il sibilo del vento seguono il breve scambio tra i due.

Il pagliaccio ricopre la bestiola con del terriccio, e sulla montagnola ancora fresca deposita la pallina che avevano utilizzato per i loro spettacoli. Il bambino, seduto vicino a lui, lo osserva pulirsi le mani dal terriccio e mormorare un paio di preghiere.

“È stato Cosimo, ci puoi scommettere, perché il pubblico preferisce voi due a lui. Odia quelli che sono meglio di lui. Non è capace di fare praticamente nulla, quello, tranne prendersela con i più deboli.” esclama improvvisamente il bambino.

“Era un cane vecchio, non sarebbe comunque vissuto ancora a lungo. Va tutto bene.”

Il ragazzino lo guarda di sbieco, i gomiti sulle ginocchia e la testa appoggiata al palmo della destra.

“...hmm. Non ti vuoi vendicare?”

“Se lo facessi verrei sbattuto fuori senza essere nemmeno pagato. Non faccio propriamente parte del gruppo, dopotutto. Domani è Natale, dopodomani prenderò armi e bagagli e me ne andrò da un'altra parte...”

“Capisco.”

Ancora silenzio, tra i due, fino a quando il pagliaccio volta nuovamente il viso verso il piccolo sconosciuto.  

“Hmm? Comunque, voi chi siete?”

“Faccio lavoretti qua e là, ti ho anche portato la cena…”

“Ho una pessima memoria per i visi. Oh, cielo! Siete pieno di lividi anche voi, vero?”

Il ragazzino ha lo sguardo perso verso l'orizzonte, e si prende un gran spavento quando l'uomo gli sfiora la guancia con un dito umido di saliva.

“Uah, che schifo! Non mi toccare con la tua saliva, idiota!”

“È disinfettante. Cosimo ha picchiato anche voi?”

“Taci.”

Il bambino non vuole parlare di Cosimo. Quell'uomo gli dà sui nervi! Il suo passatempo preferito è rendere un inferno la vita di chi lo circonda, e con lui non ci è certo andato leggero.

“Non avete amici?”

Il clown continua con le sue domande inopportune, e si accorge subito di aver toccato un tasto delicato: il bimbo si arrabbia, esplodendo con la furia di un leoncino appena fatto prigioniero.

“Taci! Quando sarò più grande... appena sarò forte abbastanza lascerò questo posto, quindi non ho bisogno di amici.”

L'uomo cerca di calmarlo con l'unico mezzo che ha: le pagliacciate. Storta la faccia in una smorfia assurda, ma la reazione dell’altro è incredibilmente piatta.

“Ma che stai facendo?”

“Non lo trovate divertente?”

“Scusa, ma non mi piacciono i pagliacci e robe del genere. Anzi, li odio.”

“Oh, cielo. Beh, io odio le folle e i bambini che non ridono.”

“Hmph... “

Ancora silenzio. Tornano entrambi, per l'ennesima volta, a contemplare la piccola tomba del loro amico comune.

“Non... non piangi? Ha vissuto con te per tanto tempo, no? Non sei triste?” chiede il bambino, curioso.

“Sono così triste che potei morire…”

Un movimento rapido, e il clown fa finta di impiccarsi all'albero lì accanto. Anche stavolta il ragazzino la prende male.

“Finiscila!”

Allora l'uomo toglie la corda dal ramo, riavvolgendola piano, e fa vedere per la prima volta al mondo il suo lato serio. “Ma non posso piangere. Forse le mie lacrime si sono asciugate tutte. Non scendono.”

Parole tristi, quelle, cariche di una rassegnazione figlia della disperazione prolungata. Come se avesse perso tanto tempo prima una cosa per lui preziosa, e non avesse più speranza di ritrovarla. Una cosa inconcepibile, per un bambino che non ha avuto niente e intende lottare fino alla fine per avere qualcosa.

“Bah, che c'entra... Com'è che si chiamava? Mi ha solo leccato la mano, ieri, la sua lingua era calda...”

Un gesto semplice, breve anche se colmo di sentimento.

“...e allora perché sto piangendo per lui?”

Al solo ricordo della tiepida lingua dell'animale sulla sua mano - ai suoi occhi un immenso gesto di fiducia e accettazione - basta poco perché la maschera ostile del ragazzino si sciolga come neve al sole.

E lui torna ad essere quello che in realtà è, un semplice bambino di nemmeno otto anni che come tutti prova sentimenti ed emozioni e che adesso piange e soffre per la perdita di un amico.

Il clown lo lascia sfogare per un po’, osservandolo in silenzio, la tristezza che affiora appena sotto la biacca e il trucco sgargiante del suo viso - che pianga, quel piccino che ancora può farlo (che pianga finché può farlo). Lui invece, con la vita che ha fatto e che si è condannato a fare, non può permettersi il lusso di versare lacrime. I pagliacci non piangono, no? Altrimenti che pagliacci sarebbero?

“Capisco…” mormora dopo un po’, parlando più a se stesso che all’altro “…quindi anche tu eri amico di Allen.”

Sentendo la voce quieta dell’uomo, il bambino si calma un poco (se non altro perché vuole capire cosa sta dicendo quel tizio - non che gliene importi granché, eh!). Tira su col naso e, asciugandosi scontrosamente le lacrime, si volta verso di lui, incontrando l’ampio sorriso color ciliegia del clown.

“Si chiamava Allen.” ripete questi, accennando alla piccola tomba “E voi come vi chiamate, signore?” continua poi, il tono tornato quello scanzonato che usa sempre sul palco durante gli spettacoli.

“... io non ce l'ho, un nome, nessuno me ne ha mai dato uno e non ne ho mai avuto bisogno. Nessuno ha mai voluto parlare con me, finora, tu sei il primo. Tu come ti chiami?”

Davanti a quelle parole cariche di dissacrante cinismo e infinita amarezza, il clown si sente stringere il cuore. Avrebbe sicuramente provato compassione per un bambino tanto solo da non aver mai avuto bisogno nemmeno un nome, ma il suo dolore è amplificato all’infinito di fronte a questo bambino in particolare. Perché in realtà lui sa benissimo chi è questo bambino, conosce il suo nome e le sue origini, sa tutto anche di quel braccio deforme che di certo tanta parte ha avuto nella sventura del piccolo. E sa tutto per il semplice fatto che questo bambino è suo figlio.

Quando l’ha visto per la prima volta, il suo istinto di padre gli ha subito fatto sorgere il dubbio (la segreta speranza che l’attesa fosse finita, che l’avesse finalmente ritrovato), un dubbio poi dissipato quasi del tutto nel momento in cui i suoi occhi hanno notato l’arto paralizzato e si sono specchiati in quelli grigi del bimbo - gli stessi occhi della sua amata Mària. Ma la definitiva conferma che quel ragazzino gracile e tenace fosse davvero il suo Amiel l’ha avuta solo la sera precedente, quando Timcanpy si è intrufolato nella sua tenda portando (per la prima volta dopo due anni) un messaggio di Cross, in cui l’esorcista riepilogava per sommi capi gli eventi degli ultimi 24 mesi.

“Ehi! Ti sei incantato? Ti ho chiesto come ti chiami!” la voce impaziente del ragazzino riscuote il clown assorto nei suoi pensieri.

“Oh cielo, vi chiedo perdono!” esclama, rimettendo su il suo solito sorriso “Il mio nome è Mana Walker, piacere di conoscervi!” si presenta quindi, facendo un ampio inchino. Vorrebbe dirgli la verità - abbracciare Amiel e dirgli che in realtà lui un nome ce l’ha, che non è più solo perché suo padre ora è finalmente con lui, tuttavia Mana sa di non poterlo fare: se cedesse al proprio egoismo dicendo la verità al bambino, ne farebbe solo un bersaglio facile ed immediato per il Conte.

Non è ancora il momento, Amiel non è ancora pronto per sfidare Millennio. Il progetto che lui e Cross hanno su quel piccino è ambizioso e richiede tempi lunghi, ma il Noah è certo che alla fine avrà successo.

Il bambino torna con lo sguardo alla tomba del cane.

“Hmph, piacere di conoscerti, signor Mana Walker. Senti un po', aveva un bel nome, il tuo cane... secondo te posso prenderlo in prestito, almeno per un po'?”

Lo chiede quasi sussurrando, quasi vergognandosi. Eppure con quell'uomo ci sta parlando, quell'uomo non gli ha urlato contro né l'ha picchiato, quindi quell'uomo può essere considerato suo amico. Deve chiederglielo. Un nome gli serve, adesso.

Mana rimane un po’ spiazzato dalla richiesta del piccolo, ma anni di pratica sul palcoscenico (al circo e, ancor più indietro, in quella che suo malgrado è stata la sua famiglia per lungo tempo prima di tradire) gli consentono di non far trapelare alcunché.

Vorrebbe ridare al figlio lo stesso nome che gli donò la notte della sua nascita, ma si rende conto che imporgli una scelta del genere risulterebbe perlomeno sospetto. Quindi sorride affabile. “Credo che Allen sarebbe felice di sapere che voi usate il suo nome.”

 

No aspetta, ho capito bene?! Allen era il nome del cane del Quattordicesimo?! E il moyashi se l’è preso non ricordandosi il suo nome vero…

Sento come un pugno nello stomaco e una stretta al cuore che, in questa realtà così irreale ed evanescente in cui sono costretto, fanno forse ancora più male.

Un altro nome al posto di quello vero dato dai genitori… ‘fanculo, quanto mi è familiare come sensazione! Anch’io non ricordo il mio vero nome, quello che portavo nella mia vera vita. E ora ho solo questo nome vuoto che mi è stato imposto quando sono uscito da quella pozza, un nome non mio per un corpo non mio… un nome che odio sentir pronunciare, proprio perché è il nome di uno strumento creato unicamente per un fine superiore. Come nel suo caso.

Allen Walker, figlio naturale di Mana Walker, il Noah conosciuto come Quattordicesimo, ed erede della memoria del Suonatore.

Dannazione, non avrei mai creduto che io e il moyashi potessimo essere così fottutamente simili… quel ragazzetto mi somiglia persino nei modi di fare - sempre cupo e incazzato col mondo, come mi diceva quell’idiota di Alma (mi fa ancora male pensarci [vorrei non aver visto come l’hanno ridotto… bastardi!])

Eppure il moyashi che conosco io è identico proprio ad Alma, non ha niente a che spartire con me… ora voglio davvero capire cosa l’ha fatto cambiare così tanto.

Tsè, penso che questo spettacolo assurdo da qui in avanti si farà interessante…

 

Il bambino non risponde subito alle parole del pagliaccio, dentro di sé è tutto un rimescolio di emozioni nuove che minacciano di travolgerlo. Ha anche lui un nome, finalmente, e la felicità rischia di fargli crollare nuovamente la maschera ostile con cui si protegge dal mondo. Allora si alza in piedi e si allontana di qualche passo, dando le spalle all'adulto, e quando solo il sole appena uscito dalle nubi può vederlo, si rilassa e si concede di regalare al cielo azzurro uno dei suoi rari sorrisi.

“Ok, da oggi io mi chiamo Allen.” ripete, voltandosi indietro, l'onnipresente smorfia scocciata di nuovo sul viso.

“Bene, Allen, che ne direste di venire con me, dopodomani? Mi sembra che nulla vi leghi a questo posto, potremmo girare il mondo assieme. Vitto e alloggio in cambio di compagnia e magari una mano con il lavoro... ci state?”

Il bimbo sgrana gli occhi grigi alla strana proposta del pagliaccio. Non sa perché, ma sotto sotto sente che si può fidare di lui. E che non abbia nulla da perdere lasciando quel posto... beh, è la pura verità - Cosimo non gli mancherà di certo!

Sta per ribattere, quando il clown sembra leggergli nella mente: gli si inginocchia davanti, invitandolo a montargli in spalla.

“Saltate su! Vi porto a fare il giro del campo e a vedere la vostra nuova casa, poi inizieremo a fare i bagagli!”

Alzando gli occhi al cielo per il comportamento dell'uomo, che si ostina a trattarlo come un moccioso di cinque anni, il piccolo tentenna un attimo prima di fare come gli è stato detto.

Il pagliaccio si alza in piedi con il suo nuovo carico, e comincia a camminare. Cullato dal movimento, le palpebre del piccolo cominciano ad abbassarsi.

Riesce solo a mormorare un “Però smettila di darmi del voi, ok? È stupido...”, prima di cadere in un sonno profondo e senza sogni.

 


 

PREVIEW:

Capitolo 3 - Levò la sua mano e compì meraviglie e la voce di uno che gridava mostrò la via del Signore

 

“Mana? Dopo ci fermiamo a giocare un po'? Possiamo giocare all'alfabeto segreto come l'altro ieri! Era divertente!”

L'uomo non risponde, ricomincia semplicemente a camminare. Poi il silenzio della strada viene infranto dal rumore di zoccoli di cavallo che scheggiano i ciottoli sotto la neve, il fracasso di ruote che si avvicinano a tutta velocità.

[...]

Lo scheletro si illumina di una luce inquietante, mentre sotto il pentacolo rovesciato disegnato sulla fronte di quello strano essere una penna invisibile traccia il nome di Mana.

Davanti alla creatura che inizia a muoversi, lo sconosciuto ghigna, godendo anche dell’espressione incredula del bambino: il suo perfido piano si sta compiendo ancora una volta.

[…]

Sono sinceramente senza parole, quel che è assurdo è che non so bene nemmeno io cosa mi lasci più sbalordito tra tutto quel che ho visto - se sia l’aver assistito per la prima volta alla (mancata) nascita di un akuma ([la credulità umana] è un qualcosa di tremendo), se sia il cinismo con cui il Conte del Millennio sfrutta la disperazione di chi ha perso tutto (ma da questo punto di vista non è affatto il solo…) o se piuttosto a sconvolgermi (perché sono sconvolto, devo ammetterlo) sia stato lo scoprire la tragedia che Walker (ora non ho più il minimo dubbio che sia lui [ecco da dove vengono la cicatrice e quei capelli bianchi]) cela nel suo passato (dietro il suo sorriso).

 


 

IL POST-IT DELLE AUTRICI

Come detto in precedenza, elenchiamo di seguito tutte le citazioni contenute nel capitolo che avete appena letto.

 

-        Il titolo: si tratta di una citazione dal Salmo 117, precisamente nei versi in cui recita “La pietra scartata dai costruttori / è divenuta testata d`angolo”

 

-        La ninnananna di Maria: si tratta di Tsunaida Te Ni Kiss Wo (altrimenti detta Musician’s Score o Canzone del 14esimo). È la canzone che nell’ep. 93 dell’anime si sente risuonare nell’Arca mentre Allen esegue la melodia al pianoforte. Nel manga il testo completo è riportato nel cap. 135, pag.11

So, as the boy fell to sleep,

The fire in the ash engulfs the air.

One by one, what  rises and grows large are my beloved profiles.

What trickles down to earth are thousand of dreams… dreams…

On the night when silvered eyes were trembling, what came to born was you, as you shined.

No matter how many times the ever-passing time returns the prayers back to earth:

I will never cease to pray.

Oh please, show this child what love is.

Please, give a kiss on his hand you hold.

Così, dopo che il bambino si è addormentato,

Il fuoco sotto la cenere inghiotte l’aria.

Uno dopo l’altro, ciò che nasce e cresce sono i miei amati volti.

Ciò che cade sulla terra sono migliaia di sogni… sogni…

Nella notte in cui gli occhi d’argento tremavano, tu nascesti nel tuo splendore.

Non importa quante volte lo scorrere infinito del tempo riporterà sulla terra le preghiere:

Io continuerò a pregare.

Ti prego, mostra a questo bambino che cos’è l’amore.

Ti prego, bacia la sua mano che stringi nella tua.

 

 

Ovvimente, tutti i diritti sul testo di Tsunaida Te Ni Kiss Wo (trad. ufficiale: Please, Give a Kiss to His Hand You Hold), appartengono all'autrice Yumi Mitora Kusakurin. Noi ci siamo permesse di utilizzarla (di nuovo) traducendola.

 

-    “È morto?”

Cap. 166, pag. 01

 

-        “È morto.”

“…è pieno di lividi…”

Cap. 166, pag. 02

 

-        “...hmm. Non ti vuoi vendicare?”

“Se lo facessi verrei sbattuto fuori senza essere nemmeno pagato. Non faccio propriamente parte del gruppo, dopotutto. Domani è Natale, dopodomani prenderò armi e bagagli e me ne andrò da un'altra parte...”

“Capisco.”

Cap. 166, pag. 03

 

-    “Hmm? Comunque, voi chi siete?”

“Faccio lavoretti qua e là, ti ho anche portato la cena…”

“Ho una pessima memoria per i visi. Oh, cielo! Siete pieno di lividi anche voi, vero?”

“Uah, che schifo! Non mi toccare con la tua saliva, idiota!”

“È disinfettante. Cosimo ha picchiato anche voi?”

“Taci.”

“Non avete amici?”

“Taci! Quando sarò più grande... appena sarò forte abbastanza lascerò questo posto, quindi non ho bisogno di amici.”

Cap. 166, pag. 04

 

-    “Ma che stai facendo?”

“Non lo trovate divertente?”

“Scusa, ma non mi piacciono i pagliacci e robe del genere. Anzi, li odio.”

“Oh, cielo. Beh, io odio le folle e i bambini che non ridono.”

“Hmph... “

“Non... non piangi? Ha vissuto con te per tanto tempo, no? Non sei triste?”

Cap. 166, pag. 05

 

-    “Sono così triste che potei morire…”

“Finiscila!”

“Bah, che c'entra... Com'è che si chiamava? Mi ha solo leccato la mano, ieri, la sua lingua era calda...”

“Ma non posso piangere. Forse le mie lacrime si sono asciugate tutte. Non scendono.”

Cap. 166, pag. 06

 

-    “...e allora perché sto piangendo per lui?”

“Capisco…” “…quindi anche tu eri amico di Allen.”

Cap. 166, pag. 07

 

Le citazioni del manga sono nostre traduzioni dalle scan inglesi presenti su Onemanga, da cui provengono anche i riferimenti di pagina.

 

Per questo capitolo è tutto! Se avete un qualsiasi dubbio, chiedete pure!

E ricordate… in missing moments we trust!

Alla prossima!

Lety&Mistral

 

 

 

NEXT SHOT ON JUN 10, 2010

Don’t miss it!

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Levò la sua mano e compì meraviglie e la voce di uno che gridava mostrò la via del Signore ***


L

 

L’ANGOLO DELLE AUTRICI

Ed eccoci di nuovo qui con il terzo capitolo di Hachisu no Yume. Come vi avevamo promesso il mese scorso, abbiamo riflettuto sulla possibilità di far confluire anche questa storia nella Yullen Saga che stiamo componendo; ebbene, alla luce di quanto accaduto nella Night 195 (mamma mia che roba! Io personalmente sono sconvolta… ndMistral), possiamo dire che non ci sono elementi contrari all’inserimento di Hachisu nella serie. La Sensei non ha confermato né smentito la nostra versione dei fatti, sia per quanto riguarda la possibilità che Kanda abbia visto i ricordi di Allen, sia rispetto al passato del moyashi. Ne consegue che la nostra storia non viola il principio fondante del missing moment (non contrasta con gli avvenimenti successivi e non li influenza apertamente), quindi ci sentiamo di definirla tale ^^

Rispetto alla consecutio temporum delle Yullen, comunque, Hachisu sarà la quinta della Saga; inizieremo a lavorare nei prossimi mesi all’anello di congiunzione con Anata ga Koko ni Iru Riyuu, ossia una storia che copra gli avvenimenti da dopo la missione di Parigi fino all’inizio della missione in Giordania e che diventerà la quarta fic della serie.

Passiamo ora alle risposte alle vostre graditissime recensioni!

 

§ Cara Retsu,

in realtà la Sensei Hoshino non ha descritto il passato di Allen in questa maniera perché… l’ha fatto per noi! XD Scherzi a parte, personalmente riteniamo che una delle migliori caratteristiche di DGM sia indurre il lettore a ragionare: lascia dei vuoti temporali e di informazione così da spingere a collegare autonomamente gli indizi che vengono disseminati in maniera all’apparenza casuale nell’arco delle Night, creando delle teorie personali. Siamo convinte che prima o poi la Sensei ci dirà tutto, ma vuoi mettere la soddisfazione nello scoprire che almeno in qualcosa ci avevamo azzeccato?

 

§ Cara Bradipiro,

grazie mille per i complimenti allo stile, entrambe (sì, perché questa fic è scritta a 4 mani ^^) li apprezziamo molto. Vorremmo chiederti la cortesia, se ti va, di spiegarci dove a tuo giudizio si ravvisano delle incongruenze con la storia del manga: noi abbiamo cercato di essere il più possibile rigorose, ma non siamo certo perfette e potremmo aver frainteso qualcosa o dimentica dei particolari. Se ne vuoi parlare, la mail di Mistral è sempre aperta.

 

§ Cara Icaro Smile,

ti ringraziamo tantissimo per i complimenti e siamo liete di averti suggerito un’idea per te nuova su chi possano essere i genitori di Allen. Quanto al tuo giudizio su Maria, sappi che lo condividiamo in pieno!

Speriamo che anche il seguito della storia ti piaccia e che tu voglia lasciarci un’altra recensione.

 

§ Carissima BBJ,

guarda che la “tua generazione”, come la chiami tu, (che poi è anche la nostra, non siamo mica così vecchie!) è cresciuta sanissima a pane e cartoni animati XD

Comunque, scherzi a parte, siamo felici di sapere che la nostra teoria sulla canzone del 14esimo ti sia piaciuta, ma non esagerare con i complimenti, ok? Che poi ci montiamo la testa…

Riguardo la tua domanda, la fanfic proseguirà fino all’arrivo di Allen all’Ordine e probabilmente anche con brevissimi quadri tratti da avvenimenti posteriori. Ad ogni modo, sarà certamente composta di 7 capitoli.

E da ultimo… ovvio che non c’è niente di male se leggi le risposte che abbiamo dato a Kicchina, anzi! Abbiamo voluto risponderle pubblicamente proprio per sciogliere eventuali dubbi che anche altri lettori avrebbero potuto avere, quindi quella risposta era lì apposta per essere letta!

 

§ Cara Flowermoon,

idem come sopra, non ti devi scusare di niente per aver letto la risposta data a Kicchina! Ti ringraziamo per il complimento sulla precisione, ci fa molto piacere che le nostre lettrici apprezzino questo aspetto del nostro lavoro. Noi cerchiamo sempre di essere puntigliose nella ricerca delle fonti, in primo luogo per noi e per una sorta di “correttezza” verso l’autrice, ma anche per rispetto verso voi lettori che meritate di leggere opere curate non solo nello stile, ma anche solide nelle basi su cui si fondano.

 

E per questo capitolo è tutto, a risentirci al prossimo “Angolo delle Autrici”!

Un abbraccio,

Lety&Mistral

 

 

Hachisu no Yume

(Il sogno del loto)

 


 

3. Levò la sua mano e compì meraviglie

e la voce di uno che gridava mostrò la via del Signore

 

Di nuovo neve, neve che cade fitta a ricoprire le strade buie. Solo qualche lampione qua e là illumina i marciapiedi, in questa notte silenziosa, disegnando sagome in chiaroscuro che sembrano seguire i passi delle uniche due persone presenti. Un uomo alto, il cappello in testa e una valigia nella destra, e un bambino che lo segue a pochi passi di distanza arrancando nella neve alta.

 

Ma porca vacca, e adesso dove siamo?!

Un attimo fa ero davanti alla tomba di quel cane, in una città qualsiasi ed era d’inverno… e ora? Guardandomi attorno mi scopro immerso in un paesaggio buio, la cui unica fonte di luce è la neve che riluce stancamente ai bordi delle strade e sui prati (bene, ciò significa che è ancora inverno [sarà lo stesso inverno di prima? O quanti fottutissimi anni saranno passati?])… siamo in campagna e, a giudicare dall’assenza di luci anche in lontananza, la città più vicina dev’essere parecchio distante.

Roteo gli occhi, irritato e mentalmente esausto, quindi prendo un respiro profondo e mi metto ad osservare i dintorni. Tiriamo a indovinare… dove sarà quel che devo vedere?

A causa dell’oscurità ci metto un po’ (anche perché i miei occhi faticano ad abituarsi alla tenebra), ma alla fine scorgo una figura che viene verso di me. Aguzzo la vista e, non solo riconosco in quell’uomo il Quattordicesimo (che viso stanco, sembra molto invecchiato [quasi sfinito… però potrei sbagliarmi, non vedo bene]), ma noto anche il ragazzino che lo segue… il moyashi, immagino (lui a vederlo così non sembra cresciuto di molto [ma è sempre stato gracile]).

Incrocio le braccia e aspetto che mi vengano vicini. Vediamo un po’ cosa succede stavolta…

 

Il bambino trema leggermente dal freddo, nonostante la giacchetta trapuntata con il cappuccio che lo protegge dalla neve umida. Cammina più rapido che può, cercando di non scivolare, tenendo le braccia larghe per mantenere meglio l'equilibrio, ma non riesce a raggiungere l'adulto.

Il ragazzino è perplesso, perché il suo padre adottivo non è solito lasciarlo indietro a quel modo, ma capisce anche che ci dev'essere qualche problema, dato che l'uomo è incredibilmente nervoso, teso come non l'ha visto mai... nemmeno prima di uno spettacolo importante!

Si sposta la frangia dagli occhi utilizzando la mano sinistra, ancora quasi del tutto immobilizzata. La fissa per un attimo, quella mano ora protetta dagli occhi cattivi del mondo da un guanto troppo grande per lui, e sorride. Ha deciso che riuscirà a muoverla, un giorno, e non perde occasione per mettersi alla prova... in fondo anche Mana, ogni volta che lo vede un po' triste, gli ripete che se si impegna a fondo un giorno riuscirà a usarla come e magari meglio della destra!

Un piccolo broncio sostituisce il sorriso quando Allen rischia di inciampare in un gradino nascosto nella neve. Per fortuna il bambino si riprende in tempo per non finire a terra, però resta un po' indietro, Mana che sembra allontanarsi ogni volta un pochino di più.

“Mana! Aspettami!” urla, cercando di correre per raggiungerlo.

L'uomo di ferma e si volta, ma non riesce a vedere se sta sorridendo o meno perché solo la tesa del suo cappello è visibile, illuminata dalla luna. Allen aumenta il passo, incespicando nuovamente per poi fermarsi quando è riuscito a ridurre la distanza. Stanco e col fiatone, le mani sulle ginocchia, si ferma nuovamente per riprendere fiato.

La neve continua a scendere e un fiocco dispettoso gli cade sul naso, portandogli alla mente ricordi felici di non molto tempo prima.

“Mana? Dopo ci fermiamo a giocare un po'? Possiamo giocare all'alfabeto segreto come l'altro ieri! Era divertente!”

L'uomo non risponde, ricomincia semplicemente a camminare. Poi il silenzio della strada viene infranto dal rumore di zoccoli di cavallo che scheggiano i ciottoli sotto la neve, il fracasso di ruote che si avvicinano a tutta velocità.

La carrozza arriva veloce come il fulmine. Poi accelera ancora, sterza, e infine... l'impatto.

“Mana!”

Corre, il bambino, corre dall'uomo che è diventato suo padre, che l'ha raccolto e ora lo sta, suo malgrado, lasciando.

“Allen... promettimelo... promettimi che continuerai a camminare: avanti, sempre avanti, qualunque cosa accada.”

Il giovane Allen Walker promette fra le lacrime, sperando che quella piccola promessa basti per far restare suo padre accanto a lui.

Inutilmente.

 

Davanti alla scena cui ho appena assistito, mi rendo conto di non riuscire ad articolare un pensiero coerente. Non è tanto la morte del Quattordicesimo in sé ad avermi spiazzato (ci ho avuto a che fare da sempre con la morte, fin da prima che io ne abbia memoria [e comunque dovevo aspettarmelo di assistere prima o poi alla fine di quel Noah]), quanto piuttosto il fatto che sia avvenuto tutto in quel modo così banale (anche se quell’incidente mi puzza assai [che sia stato assassinato dal Conte?]) e davanti agli occhi del bambino (di Walker [quello è Walker, non devo dimenticarlo]).

Vedendolo così solo accanto al corpo del padre, provo una gran pena per lui (ma almeno lui un padre l’ha avuto, anche se per poco [sono forse invidioso di lui?]) e mi verrebbe quasi voglia di avvicinarmi per tentare di scuoterlo dal suo disperato torpore. Però mi trattengo. Che idiota che sono! Cosa potrei fare, da fottutissimo fantasma cui sono ridotto?! (Ma anche se non lo fossi, che cazzo ne so io di come si consola chi ha appena perso tutto? [Chi ha consolato me quando ho perso quel poco che avevo?])

 

La neve smette di cadere, dopo aver ricoperto come ovatta le strade della città.

Sulla collina, ultimo e isolato promontorio del cimitero locale, la croce in pietra sulla tomba di Mana Walker quasi brilla alla luce della luna piena. La sua ombra si allunga pian piano sul terreno, andando a incontrare quella di colui che è ridotto solo all'ombra di se stesso.

Il piccolo Allen siede lì, poggiato alla fredda pietra che è l'unica cosa che gli rimane di suo padre. Ha smesso di piangere, ormai, il cuore spezzato all'improvviso dopo nemmeno quattro anni di felicità. Sospira, lo sguardo fisso nel vuoto, senza più la forza di rialzarsi.

Ha lottato ed è riuscito a conquistare la felicità, a trovare qualcuno che lo amasse. E ora? Ha perso tutto in un attimo, e ora si ritrova addirittura più povero di quando era stato raccolto da quello strano pagliaccio. Nelle tasche non gli è rimasto più nemmeno un briciolo di speranza.

Stranamente silenziosa viste le dimensioni, una terza ombra si aggiunge alla scena. Un uomo sbuca fuori da dietro l'albero rachitico che dovrebbe ornare l'angolo riparato, e si avvicina quietamente al ragazzino, appoggiandosi come un avvoltoio alla croce ancora nuova. Non si riesce a intravederne lo sguardo, gli occhi celati dietro un paio di occhiali e la tesa del cappello abbassata, ma il ghigno che gli occupa quasi tutto il viso basta per capire che di quel soggetto è meglio non fidarsi...

Tuttavia gli sono sufficienti poche parole perché il bambino - come tanti, troppi prima di lui - decida di dare fiducia allo strano figuro.

“Vuoi che io faccia tornare in vita Mana Walker? ©

La voce di quell’uomo, nonostante la sua apparenza inquietante, è dolce e suadente, tocca con maestria le corde fragili e sensibili di un cuore in frantumi, annientato da un dolore troppo grande.

Il piccolo alza gli occhi grigi, resi vacui da un’incredulità devastante, il viso rigato da lacrime che da troppo tempo non versava. Non risponde alla domanda dello sconosciuto - non ne ha la forza - ma tanto a quell’essere, che sembra uscito da una brutta storia per bambini cattivi, quella risposta nemmeno interessa.

L’orco mascherato da buono continua a tessere la sua ragnatela. “È sufficiente che tu chiami forte il suo nome e vedrai che lui tornerà indietro…”

Allen non crede alle sue orecchie: basta davvero così poco per riabbracciare il suo papà? Il bimbo guarda quella strana carcassa che l’uomo col cilindro gli ha materializzato innanzi e si morde il labbro, incerto, abbassando per un attimo lo sguardo sulla lapide.

Poi stringe i pugni - sì, anche quella brutta mano sinistra, che Mana gli stava insegnando ad utilizzare perché fosse meno brutta - e chiude gli occhi, urlando il nome di suo padre.

Lo scheletro si illumina di una luce inquietante, mentre sotto il pentacolo rovesciato disegnato sulla fronte di quello strano essere una penna invisibile traccia il nome di Mana.

Davanti alla creatura che inizia a muoversi, lo sconosciuto ghigna, godendo anche dell’espressione incredula del bambino: il suo perfido piano si sta compiendo ancora una volta.

“Papà!” esclama Allen, la voce incrinata dall’emozione “Papà… sei tornato!”

Ma la risposta di Mana non è affatto quella che il bimbo si aspettava: “Allen… come hai osato… fare di me un akuma?!”

Gioia, speranza, tutto va in pezzi quando il bambino, stupito e un po' confuso dalla reazione violenta del genitore, ferma la sua corsa verso di lui.

Non capisce, Allen, non capisce perché il suo papà non sia contento di essere tornato... ma non fa in tempo a chiedergli il motivo di tanta rabbia, perché lo scheletro con l'anima di Mana lo aggredisce, ferendolo al viso.

Un dolore devastante si irradia dall'occhio sinistro del bambino che cade a terra; più della ferita, però, fa male la voce che proviene da quello che una volta era suo padre e che colpendolo lo maledice più e più volte.

Lo sguardo grigio, che per un momento aveva ritrovato lo splendore di sempre, torna a farsi liquido per le lacrime pungenti di acqua e sangue che iniziano a scendere incontrollate, mentre l'uomo col cilindro assiste deliziato, fischiettando felice senza smettere il suo sempiterno ghigno.

Il Costruttore osserva quella misera anima che tenta di ribellarsi con forza dalla sua prigione. Tuttavia nemmeno il Quattordicesimo, pur essendo stato benedetto dai geni di Noah, può nulla contro il potere della costrizione imposta su di lui dai sentimenti di quel moccioso che lo chiama papà - che stupidaggine i sentimenti umani! Stupidi e manipolabili… come le creature che li provano.

Gode, gode immensamente il Conte, al vedere colui che lo ha tradito e ha tentato vigliaccamente di assassinarlo, imprigionato come un verme e condannato a divenire per sempre schiavo del suo creatore: sì, il questo modo Millennio otterrà la sua vendetta e i poteri del Suonatore saranno totalmente nelle sue mani. 

Ma ciò di cui il Conte non si è reso conto è che quegli stessi sentimenti, da lui così sviliti, danno agli esseri umani una forza che nemmeno immagina e quel Dio che egli tanto disprezza e odia, a volte si degna di posare il suo sguardo sul mondo per proteggere gli apostoli che s’è scelto.

Proprio mentre lo scheletro, obbedendo al comando del Costruttore, sta per assalire nuovamente il bambino per ucciderlo e prenderne il corpo, la mano sinistra del piccolo si rivela agli occhi della luna per quello che in realtà è: Allen è un compatibile, e il suo personalissimo cristallo di Innocence risiede proprio in quell’arto deforme, in quella mano sempre nascosta al mondo perché da tutti temuta e odiata.

Cresce, il braccio, cresce fino a diventare grande quanto il suo possessore, si ricopre di scaglie metalliche e affilatissimi artigli da predatore, e la croce sul dorso della mano splende di luce divina. L'Innocence così attivata inizia a muoversi autonomamente per proteggere il suo compatibile, e finisce per trascinarselo dietro di peso nell'operazione di distruzione dell'akuma.

Il Conte assiste stupito, infastidito da quell’inconveniente: chi avrebbe mai pensato che un marmocchio del genere fosse un apostolo? Tuttavia, l’uomo col cappello a cilindro non si sforza nemmeno di salvare l’akuma incompleto: se non può avere i poteri del Quattordicesimo, vorrà dire che troverà un altro modo di riprendersi la sua Arca… in fondo, la prospettiva di avere quel fratello traditore ancora accanto, per quanto schiavo, lo irritava profondamente.

Stringendosi nelle spalle e ridacchiando, apre il buffo ombrello rosa che porta sempre con sé e poi sparisce silenziosamente nel cielo cupo, accompagnato dalle urla di un bambino terrorizzato.

Scomparso Millennio, un uomo e una donna appaiono come dal nulla di fianco all’albero scheletrico che svetta nel buio; lui sorride sornione e soddisfatto, mentre sul volto di lei non c’è nessuna espressione.

Accanto alla croce, intanto, la battaglia continua: al primo colpo lo scheletro con l'anima di Mana viene scaraventato lontano, e il piccolo Allen non ha nemmeno il tempo per rendersi conto di cosa sta succedendo.

Non sta capendo quasi nulla, l'unica cosa lampante è che il suo braccio sta facendo del male al suo papà, e questo lui non lo vuole.

L'apatia di poco prima lascia spazio alla disperazione più assoluta quando il braccio riprende la sua corsa verso lo scheletro, già a terra e incapace di muoversi.

“No! Non fare del male a Mana! Corri... corri papà!”

Allen inizia ad urlare, pregando perché il braccio la smetta di aggredire quella creatura informe e cercando intanto di avvertire Mana del pericolo.

Paura e amore per quell'uomo che lo ha raccolto gli concedono la voce necessaria per gridare, e nella foga nemmeno si accorge di chiamarlo con quel nome che non era mai riuscito a usare: «papà».

Ma suo padre non corre, suo padre non scappa.

Suo padre lo aspetta, lo aspetta e gli sussurra parole d'amore.

“Allen... Io... ti voglio bene... Ti prego, distruggimi.”

La maledizione che l'uomo ha lanciato sull'occhio sinistro del bambino si attiva definitivamente: sulla fronte spicca ora una cicatrice a forma di pentacolo rovesciato, dal quale parte una linea che scende giù lungo la palpebra e fino alla guancia come una lacrima di sangue. L'iride dell'occhio sinistro si tinge di rosso, in un terribile contrasto con il bulbo oculare completamente nero come la pupilla, dilatata in maniera innaturale.

Ma ancor più spaventoso è ciò che il bimbo riesce ora a vedere, con quell'occhio: un'anima, sofferente e incatenata, prigioniera del corpo scheletrico che ha davanti. È l'anima di Mana che, ferma immobile, osserva senz'occhi quella mano che si alza e poi si abbassa sulla sua prigione, distruggendola e liberandolo.

 

Osservo con occhi sbarrati la scena che si sta svolgendo davanti a me. Sono sinceramente senza parole, quel che è assurdo è che non so bene nemmeno io cosa mi lasci più sbalordito tra tutto quel che ho visto - se sia l’aver assistito per la prima volta alla (mancata) nascita di un akuma ([la credulità umana] è un qualcosa di tremendo), se sia il cinismo con cui il Conte del Millennio sfrutta la disperazione di chi ha perso tutto (ma da questo punto di vista non è affatto il solo…) o se piuttosto a sconvolgermi (perché sono sconvolto, devo ammetterlo) sia stato lo scoprire la tragedia che Walker (ora non ho più il minimo dubbio che sia lui [ecco da dove vengono la cicatrice e quei capelli bianchi]) cela nel suo passato (dietro il suo sorriso).

Scuoto la testa, avvicinandomi di qualche passo alla lapide.

Tsè, adesso forse ho capito perché si è sempre ostinato tanto a voler a tutti i costi essere «un distruttore che salva le persone»… non dipendeva soltanto dalla sua infantile ingenuità (anche perché, visto tutto questo, comincio ad avere i miei seri dubbi che in lui sia ne rimasta ancora di ingenuità) o dal suo idealismo da martire: quel che ha sempre messo in atto non è che un disperato tentativo di espiare quella che ritiene la sua colpa più grande…

 

Quando tutto finisce, sul piccolo cimitero cala il silenzio. La carcassa fumante dell’akuma incompleto si dissolve in fretta, facendosi polvere subito dispersa dal vento gelido, quasi che anche la natura volesse cancellare quanto più possibile i segni di quanto accaduto.

Allen giace inerme, il braccio sinistro ora tornato al suo aspetto originario, così come l’occhio, che non sanguina più nonostante la ferita profonda infertagli da Mana.

Tuttavia, ciò che di questa notte da incubo rimarrà nel cuore del bambino finché avrà vita, non è la cicatrice che gli sfregerà per sempre il viso, né i capelli che hanno perso il loro caldo castano diventando bianchi come la neve: lui ricorderà fino alla fine dei suoi giorni l’orrore di aver visto un’anima dannata, di averla precipitata lui stesso in quell’inferno, ricorderà l’imperdonabile crimine di essere stato per due volte l’assassino di suo padre. 

Poi una voce risuona all’improvviso nel silenzio del cimitero.

“Le anime intrappolate in un akuma perdono per sempre la libertà e diventano nient’altro che giocattoli nelle mani del Conte. C’è solo un modo per salvare queste anime maledette: distruggerle.”

Quella voce parla lentamente, ma con la sicurezza di chi pronuncia un’inappellabile benché dolorosa sentenza, e altrettanto lentamente si avvicina.

Quella voce appartiene ad un uomo alto, all’apparenza poco più che trentenne, con lunghi capelli color tiziano e il volto per metà celato da una maschera bianca. Indossa un pastrano scuro, con le bordure dorate e una strana croce appuntata proprio sul cuore. Dietro di lui viene una donna, anch’essa alta e dal viso coperto, nel cui pallore spiccano le labbra rosso fuoco.

L’uomo si china di fronte al bambino immobile, che giace semisdraiato nella neve, privo di forze e di volontà, e osserva la sua mano sinistra che, libera dal guanto, spicca vistosamente a contrasto con il terreno biancastro.

“Sei nato con un’arma anti-akuma nel corpo… ti si prospetta un importante destino, sai?” Cross sorride, allungando una mano ad asciugare la lacrima sulla guancia del piccolo “Sei un prescelto di Dio…” «…o meglio, io e tua madre abbiamo indotto Dio a sceglierti. E la cosa ha funzionato anche meglio del previsto, direi…» aggiunge fra sé, orgoglioso del successo suo e di Mària.

Dal bambino non giunge nessuna risposta, né tantomeno alcuna reazione. Continua semplicemente a piangere in silenzio, lo sguardo smarrito e vuoto di chi ha perso tutto e a cui non importa più di nulla.

Il Generale scuote il capo, ritraendo la mano: si rende perfettamente conto dello stato in cui versa il ragazzino e sa benissimo che, finché non riprenderà un minimo di coscienza di sé, sarebbe inutile provare ad intavolare un qualsiasi dialogo con lui. Si fosse trattato di chiunque altro, in quel caso Cross avrebbe lasciato cadere immediatamente il discorso - non gli piace perdere tempo, e una situazione del genere per lui è una completa perdita di tempo - ma quel marmocchio è troppo importante per non portare pazienza.

Sa che non riceverà una risposta (e in fondo nemmeno gli interessa, perché non è che il bambino abbia chissà quale scelta o la sua opinione in merito sia minimamente contemplata…), ma il suo onore gli impone di rivolgergli ugualmente la domanda di rito che viene fatta a tutti i nuovi apostoli (i condannati, come li chiama lui).

“Vuoi diventare un esorcista?”

La proposta, benché avanzata con tono quasi casuale, riesce a fare breccia per un attimo del muro di apatia che imprigiona il bimbo, il quale alza per un attimo lo sguardo argentato a legarsi all’unico occhio visibile dell’uomo che gli sta inginocchiato di fronte.

Il piccolo Allen sospira, quasi annuendo prima di tornare a fissare il vuoto.

Cross si volta quindi verso la donna che gli sta alle spalle; Mària non può più parlare, la sua splendida voce è ormai soltanto poco più che un’arma da impiegare in battaglia, ma il generale sa bene che, nonostante tutto, la forza dei sentimenti che ella prova per suo figlio è rimasta inalterata fin dal giorno in cui, in quel bosco, tornando da Mana dopo aver registrato la canzone, aveva scoperto che Amiel le era stato portato via.

Cross trattiene una smorfia al ricordo del ceffone che la donna gli aveva rifilato, senza alcuna remora, appena se l’era ritrovato davanti dopo che questi aveva abbandonato il bambino all’orfanotrofio - e per la prima volta in vita sua l’esorcista non aveva reagito ad un gesto del genere, altrimenti inaccettabile: in fondo sapeva che lei aveva tutte le ragioni per odiarlo, a prescindere da quali fossero i patti tra loro.

Il generale scuote leggermente la testa, per scacciare quei ricordi inopportuni e fa un cenno alla donna. Tra di loro non sono mai servite molte parole, né tantomeno servono in quel momento: si conoscono e combattono assieme da tempo e comunque adesso è palese quale siano e la richiesta di Cross e il desiderio di Mària.

Lei china il capo in una muta espressione di assenso e poi, mentre l’uomo si ritrae, fa un passo avanti, inginocchiandosi di fronte al bambino.

Dopo un attimo di incertezza il suo istinto materno - un istinto sopito da anni, ma tanto forte che nemmeno la morte è riuscita a cancellarlo - torna alla luce, insegnandole nuovamente i movimenti giusti: con una facilità sorprendente prende in braccio il piccolo e se lo stringe teneramente al petto.

Certo, il bambino benché malnutrito non è leggero come se lo ricordava, ma Mària riesce comunque a tenerlo stretto a sé, mettendo nelle proprie braccia sia la forza dell’amore di una madre sia la delicatezza dell’incisore nel maneggiare un preziosissimo cristallo da decorare. 

Il bambino, sentendosi inconsciamente al sicuro, chiude gli occhi esausto e si addormenta, proprio mentre la donna intona la stessa ninnananna con cui lo cullava anni prima.

 

Ehi, aspetta… quella donna non è forse quella che chiamano Grave of Mària, la famosa seconda arma anti-akuma di Cross? Quella che per le alte sfere è motivo di scandalo perché si dice sia il cadavere di un’esorcista morta, controllato tramite un incantesimo proibito? (Se anche così fosse, quelli dell’Ordine dovrebbero solo tacere visto quel che hanno fatto a me [per lo meno Cross non ha estratto il cervello di quella donna impiantandolo in un corpo artificiale…])

Comunque sì, è senza dubbio lei. E sta cantando la stessa canzone che ho sentito intonare alla madre di Walker in quel bosco, quando lui era ancora bambino, la canzone che è stata registrata sul golem. Com’è possibile? Vuoi dire che quella donna… è la madre di Walker?! Non ci posso credere! (Eppure lei l’aveva detto: «Fammi diventare la tua arma anti-akuma. Consentimi di rimanere al vostro fianco, anche se non sarò altro che un corpo senza vita» [doveva amare davvero tanto suo figlio per prestarsi ad una cosa del genere])

E ora capisco anche perché quella melodia mi è familiare: l’ho sentita sull’Arca, quando il moyashi ha suonato il piano per fermare la distruzione della città. Chissà come la prenderebbe se venisse a sapere cos’è in realtà quella musica che tanto odia… e soprattutto se scoprisse che quello che lui chiama «il mostro» altri non è che suo padre…

Cazzo, che fottutissimo scherzo del destino! Mi sento un idiota ad averlo invidiato (anche se solo per un attimo) perché ha potuto conoscere almeno per un po’ l’amore di un genitore. Se queste sono le conseguenze, allora meglio avere attorno il deserto più assoluto e avere a che fare solo con gente che ti tratta come un oggetto…

Mentre osservo il moyashi venir portato via da Cross, cullato tra le braccia del cadavere di sua madre, per la prima volta percepisco chiaramente l’ironia crudele della sua sorte e provo per lui una profonda pietà (ed è meglio che lui non sappia nulla di tutto questo [meglio che vada avanti sulla strada che ha intrapreso credendola interamente frutto delle sue scelte - anche se in realtà per lui era tutto già scritto da prima che nascesse])

 

Dando le spalle a madre e figlio per lasciare loro un po' di privacy, il generale si incammina per precederli e far strada verso una piccola carrozza parcheggiata lì vicino. Il cavallo scalpita leggermente all'avvicinarsi del gruppetto, ma subito si quieta alle note della canzone di Mària che ancora si spandono nella fredda aria dicembrina.

Aperto lo sportellino e fatta salire la donna con il suo prezioso carico, Cross si mette a cassetta e prende le redini per spronare l'animale, mentre Timcanpy vola alto a controllare i dintorni.

La carrozza si allontana lentamente verso la campagna, uscendo dai confini della città all'inizio del nuovo giorno.

 


 

PREVIEW:

Capitolo 4 - Dalla sua purezza fu precipitato negli inferi, si riempì di violenza e peccato

La scena che mi ritrovo davanti quando l’ormai solito buio si dissolve, per una volta non mi risulta totalmente aliena (il che è assurdo, vista la situazione in cui mi ritrovo [ma a questo punto non mi stupisco più di niente… o almeno ci provo]): questo è il luogo dove (un numero indefinito di anni fa) è nato il moyashi.

[…]

Senza staccare gli occhi dal Times del giorno, l’esorcista parla: “Sono stato appena informato che molto presto avrò una visita sgradevole… un sedicente pezzo grosso della Centrale mi sta col fiato sul collo perché vuole appiopparmi uno stupidissimo incarico.”

[…]

Il ragazzino torna a fissare il mare, gli occhi puntati sull'interminabile movimento delle onde, e deglutisce nervosamente. Ricorda bene la domanda che il Generale gli aveva posto davanti alla tomba di Mana, e ricorda bene la promessa che ha fatto a suo padre prima che questi morisse: deve continuare a camminare, deve andare avanti... anche se questo significa attraversare l'oceano per diventare un esorcista!

[…]

E così, questo è l’inizio dell’apprendistato di Allen Walker…

 


 

IL POST-IT DELLE AUTRICI

Come detto in precedenza, elenchiamo di seguito tutte le citazioni contenute nel capitolo che avete appena letto.

 

-        Il titolo: si tratta della fusione tra un verso del Salmo 117, precisamente nei versi in cui recita La destra del Signore si è alzata / la destra del Signore ha fatto meraviglie”, e un versetto del Vangelo di Marco (Mc 1,3): “Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero: egli preparerà la tua via. Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri”

 

-        “Allen... promettimelo... promettimi che continuerai a camminare: avanti, sempre avanti, qualunque cosa accada.”

Anime, ep. 7

-        “Vuoi che io faccia tornare in vita Mana Walker? ©

Cap. 3, pag. 14

-        “Allen… come hai osato… fare di me un akuma?!”

Cap. 3, pag. 16

-        “No! Non fare del male a Mana! Corri... corri papà!”

“Allen... Io... ti voglio bene... Ti prego, distruggimi.”

Cap. 3, pag. 19

-        “Le anime intrappolate in un akuma perdono per sempre la libertà e diventano nient’altro che giocattoli nelle mani del Conte. C’è solo un modo per salvare queste anime maledette: distruggerle.”

“Sei nato con un’arma anti-akuma nel corpo… ti si prospetta un importante destino, sai?”

“Sei un prescelto di Dio…”

Cap. 3, pag. 21

-        “Vuoi diventare un esorcista?”

Cap. 3, pag. 22

Le citazioni del manga sono nostre traduzioni dalle scan inglesi presenti su Onemanga, da cui provengono anche i riferimenti di pagina.

 

Da ultimo, una precisazione: nel capitolo noi descriviamo la morte di Mana come avvenuta sotto una nevicata. Dobbiamo ammettere che la scena è stata descritta andando a memoria, perché non riuscivamo a ritrovare né nel manga né nell’anime il punto in cui viene raccontato quel fatto. Abbiamo poi trovato il pezzo incriminato nell’anime (ovviamente dopo che avevamo concluso il capitolo) e ci siamo accorte che di neve lì non ce n’era manco l’ombra… dato che è una questione abbastanza veniale e che quanto scritto ci piaceva particolarmente, la neve è rimasta anche se le fonti non la citano. Tuttavia ci sembrava corretto precisare ^^

Per questo capitolo è tutto! Se avete un qualsiasi dubbio, chiedete pure!

E ricordate… in missing moments we trust!

Alla prossima!

Lety&Mistral

 

 

 

NEXT SHOT ON JUL. 10, 2010

Don’t miss it!

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Dalla sua purezza fu precipitato negli inferi, si riempì di violenza e peccato ***


L

 

L’ANGOLO DELLE AUTRICI

Rieccoci col quarto capitolo della nostra fic ^^ Questa volta abbiamo preparato un capitolo piuttosto lungo, ma a ragion veduta - infatti, come vedrete copriremo un intervallo piuttosto ampio sia in termini di tempo che di distanze percorse, in quanto ricostruiremo le vicende di Allen dal momento in cui Cross lo prende con sé dopo che Mana l’ha maledetto fino all’arrivo dei due in India (seguendo così quasi tutto il periodo dell’apprendistato del moyashi).

Questo è stato un capitolo abbastanza ostico da scrivere, soprattutto nella seconda parte e soprattutto per Lety, che ha dovuto ipotizzare le varie tappe in cui si è snodato il lunghissimo viaggio di Allen, senza però cadere in una narrazione noiosa. Speriamo che il risultato complessivo vi piaccia.

E ora passiamo alle risposte alle recensioni ^^

 

§ Carissima Retsu,

a proposito della morte di Mana, noi ci siamo semplicemente limitate a riferire quel che si vede nel manga… anche se, ad essere oneste, anche a noi lascia molto perplesse una fine del genere.

Riguardo l’apprendistato del moyashi, invece, anche lì non abbiamo inventato nulla XD come vedrai è tutto quanto già detto nell’anime! Il nostro lavoro è stato semplicemente quello di riordinare e collegare le varie scene.

Facci sapere se questo capitolo ti soddisfa!

Un abbraccio

 

§ Cara Flowermoon,

abbiamo ricontrollato - perché fidarsi è bene ma non fidarsi è meglio - ma confermiamo: dopo che Mana viene travolto dalla carrozza la scena si sposta subito al cimitero, quindi niente casa!

Per quanto riguarda il Conte, a quanto ricordiamo, nel momento in cui Allen richiama l'anima di Mana il Costruttore non sa ancora che Allen sarà il futuro Quattordicesimo. Almeno un paio di volte, nell’arco dei capitoli, si chiede perché in quella fatidica sera non ha pensato di ucciderlo, ma non si dà mai una risposta. Il collegamento Allen=futuro Quattordicesimo lo fa solo molto tempo dopo, e comunque in seguito agli avvenimenti dell'Arca - anche perché di fatto all’inizio l'unica cosa che, agli occhi degli altri, identifica Allen come Quattordicesimo è “l’abilità del compositore”, che il Conte vede all’opera nel momento in cui Allen suona il piano per ricostruire e liberare l'Arca.

Per quanto riguarda le tue teorie ne parleremo molto volentieri in privato... chissà, potremmo aver fatto le stesse supposizioni!

Ti lasciamo alla lettura del nuovo capitolo, ma ti anticipiamo subito che il giovane Allen non si troverà a lavare piatti... è roba da femminucce, quella! XD

Un bacione!

 

§ Cara Bradipiro,

innanzitutto grazie da parte di entrambe per i complimenti al capitolo - ebbene sì, siamo in due, Mistral e LetyJR; e siamo le stesse due folli che stanno costruendo mattone dopo mattone la Yullen Saga. (Vero è che quel progetto era stato iniziato da Mistral, con la collaborazione di LetyJR solo in qualità di beta... ma le cose non vanno mai come previsto, si sa! Ora, per vostra gioia, ci [s]ragioniamo sopra tutte e due XD)

Per la storia delle incongruenze non ti preoccupare, è normale che succeda, e come già detto a Kicchina le vostre critiche ci aiutano a capire se dobbiamo spiegare meglio o diversamente certi passaggi che a chi non sa come ragioniamo possono risultare oscuri ;) Comunque siamo contente che le spiegazioni ti abbiano soddisfatta! E no, non abbiamo mai incontrato la sensei, anche se ogni tanto qualcuno suggerisce che noi due e la Hoshino abbiamo un neurone in comune ^^

Come già detto, pure noi pensiamo che la morte di Mana sia effettivamente banale... anche se, diciamolo, ci sta che il Conte lavori nell'ombra facendo passare inosservato perfino un delitto del genere!

Per quanto riguarda la neve, c'era quando Allen era sulla tomba di Mana (nel manga è molto chiara, come parte) ma non al momento della sua morte (che nel manga non viene nemmeno mostrata [si vede solo nell'anime di neve e lì non ce n'è nemmeno l'ombra]).... crediamo comunque di poterci permettere una piccola licenza poetica, una volta tanto, no? XD

Ja nee!

 

§ Cara BloodberryJam,

finiti gli esami? Come sono andati? Speriamo bene ^^

Siamo contente che le descrizioni ti piacciano (vista la fatica per scriverle =_=), e che tu trovi Kanda adorabilmente volgare XD Certo che ogni tanto raggiunge certi picchi di delicatezza da far impallidire uno scaricatore di porto…

Strane ipotesi? Oh, suvvia, la storia della carrozza è tanto banale che non si può non ipotizzarci sopra XD E poi qui viviamo di strane ipotesi, quindi non troviamo strano che vengano anche a te... prima o poi ne parleremo volentieri, se ti va! Mh, e potremmo anche intrecciare il discorso con le opere della sensei Minekura, perchè no... *_*

Come hai immaginato in questo capitolo si vedrà quella parte che la Hoshino ha allegramente saltato a piè pari nel manga (e che abbiamo visto solo di sfuggita nell'anime). Anche noi siamo state costrette ad aumentare un po' la velocità, però, sia perché non c'è poi tanto materiale da sviluppare, sia perché se Kanda è veramente nelle memorie di Allen non vedrà comunque tutto quanto... ci metterebbe un'eternità! Speriamo che il risultato finale ti soddisfi... sicuramente è servito a confondere ancora di più qualcuno (ogni riferimento al baKanda è puramente casuale).

Facci sapere che ne pensi ^^

Un abbraccio

 

E per questo capitolo è tutto, a risentirci al prossimo “Angolo delle Autrici”!

Un abbraccio,

Lety&Mistral

 

 

 

Hachisu no Yume

(Il sogno del loto)

 


 

4. Dalla sua purezza fu precipitato negli inferi,

si riempì di violenza e peccato

 

Il freddo sole invernale è già tramontato quando la carrozza giunge nel piccolo paesino di campagna. Il rumore delle ruote e degli zoccoli del cavallo, benché attutito dal terreno non ricoperto di ghiaia, richiama all'esterno l'anziana abitante della canonica e la donna, scialle di lana sulle spalle e lanterna in mano, si ferma poco fuori dalla porta in attesa che il mezzo si fermi.

Ha qualche sospetto sull'identità dell'«ospite» (e quando il conducente arriva nella zona illuminata, il colore poco comune dei suoi capelli le dà ragione), ma non ha la minima idea di chi possa essere la sagoma che intravede tra le tendine che nascondono l'interno della carrozza.

“Fammi capire, Marian... sparisci nel nulla per più di sette anni e poi ti presenti ad un'ora del genere senza nemmeno avvertire? Non che mi dispiaccia, per l'amor del cielo, però ogni volta che passi di qui significa che è successo o deve succedere qualcosa di grosso... preferirei prepararmi psicologicamente, sai?”

Nonostante il benvenuto dell’anziana non sia tra i più calorosi, Cross non si scompone minimamente. Salta a terra e si butta indietro i capelli scivolati sulla spalla, quindi sorride. “Avanti Mother, non fare tutta ‘sta scena…” le risponde, estraendo nel frattempo una sigaretta da una sottile scatola d’argento “…tanto lo so che sei contenta di vedermi. E sono sicuro che sarai contenta anche di vedere loro…” conclude, mentre la fiamma dell’accendino riverbera sul suo viso, facendo brillare di una luce furba l’iride castana.

“Bah. Vedete di entrare in casa, fa troppo freddo per perdere altro tempo qui fuori. Metto su del buon the, credo che ne abbiamo bisogno un po' tutti.” Borbotta lei, girando sui tacchi per rientrare nella canonica.

È curiosa di sapere di chi si tratti, ma non può certo ficcare il naso negli affari altrui come una ragazzina impicciona, no? Sa benissimo che tutto le sarà spiegato a tempo debito.

In caso contrario, il caro Marian si dovrà scordare sia della sua squisita ospitalità sia degli amati liquori...

L’esorcista la osserva allontanarsi, sogghignando divertito, quindi si avvicina alla carrozza e apre lo sportello per lasciar scendere i passeggeri.

“Dorme ancora?” chiede poi il generale, accennando col mento alla figuretta avvolta in una coperta che la donna stringe ancora a sé con fare protettivo. Lei sorride dolcemente e annuisce, ma non dice una parola.

“Meglio così, almeno avrò il tempo di spiegare tutto a Mother…” commenta Cross, tirando l’ultima boccata dalla sigaretta e gettando via il mozzicone, subito preso al volo da Timcanpy.

 

Dopo aver messo il bricco pieno d'acqua sul fuoco, l'anziana si avvicina alla dispensa per cercare il barattolo di the Assam, messo da parte per le occasioni speciali: l'infuso, dal sapore deciso e dall'aroma speziato, è proprio quello che ci vuole per combattere il freddo e mandar via la stanchezza.

Un pensiero improvviso la fa fermare mentre sta aprendo la credenza: sta preparando il the, ma non ha pensato di chiedere quanti ne vogliono una tazza! Scuote la testa e torna un attimo sulla soglia della cucina. Da lì vede chiaramente che il generale, seduto comodo al tavolo della sala, è in compagnia solo della sua amata sigaretta. Non c'è nemmeno quello strano affarino volante che si porta sempre dietro. Probabilmente l'uomo ha già provveduto a spedire i compagni di viaggio nelle stanze al piano di sopra... nemmeno fosse a casa sua! Ah, i giovani d'oggi...

“The per due, vedo.” sbotta, lanciando un'occhiata significativa verso le scale, dove gli altri ospiti sono spariti senza che lei se ne accorgesse, e poi torna subito in cucina a prendere due tazze di porcellana per sé e per l'esorcista.

Entra in sala poco dopo, un vassoio tra le mani con la teiera fumante, le tazze, cucchiaini, zucchero e una piccola lattiera colma.

“Per la torta di mele dovrai aspettare domani.” lo informa, sedendosi pesantemente al tavolo; quindi versa il the per entrambi e prende tra le mani la propria tazza. Mette un paio di cucchiaini di zucchero e una goccia di latte, poi comincia a girare l'infuso, gli occhi puntati sul liquido scuro.

“Allora? Che è successo, questa volta?”

 

La scena che mi ritrovo davanti quando l’ormai solito buio si dissolve, per una volta non mi risulta totalmente aliena (il che è assurdo, vista la situazione in cui mi ritrovo [ma a questo punto non mi stupisco più di niente… o almeno ci provo]). Ci metto un attimo, perché evidentemente il passare del tempo ha lasciato tracce dovunque, ma alla fine identifico con sicurezza il piccolo edificio che mi si para di fronte: questo è il luogo dove (un numero indefinito di anni fa) è nato il moyashi.

Vagamente sollevato da questa scoperta (sono proprio messo male, se mi basta così poco. Il fatto è che… è che - cazzo! - continuo a non sapere minimamente dove diavolo siamo! [Ma almeno ho già visto questo posto]), mi avvicino alla canonica e ci giro attorno, fino ad arrivare davanti alla porta, quindi entro (mi farebbe un effetto troppo strano passare attraverso il muro).

Mi ritrovo in un corridoio piuttosto ampio, arredato in maniera essenziale ma non per questo spoglio, su cui si aprono due porte e che termina con una rampa di scale che conduce al piano di sopra.

Resto per un attimo incerto, poi la voce di Cross che, noncurante e vagamente annoiato, sta raccontando alla donna gli ultimi avvenimenti (tralasciando tra l’altro una marea di cose… che infame! [Ma effettivamente non ha molta altra scelta, non può certo dirle tutto]), mi indica la loro posizione. Percorro rapidamente il corridoio, fino a raggiungerli in soggiorno, dove li trovo seduti di fronte ad una tazza di the.

Bah, di sicuro quel che devo vedere non è quest’allegra rimpatriata tra vecchi amici… non mi resta che aspettare e capire stavolta qual è il vero spettacolo…

 

“Capisco.” mormora lei alzandosi da tavola e riempiendo nuovamente il vassoio con le tazze ormai vuote. “Molto bene. Vi ospito volentieri, anche se ho la netta impressione che tu mi stia nascondendo qualcosa, ma sappi che è l'ultima volta che succede. Non sono più una giovincella, e finire coinvolta nei tuoi pasticci è l'ultima cosa che le mie vecchie ossa vorrebbero.”

L'anziana si allontana, lasciando il generale da solo nella sala silenziosa, ma non lo trova più lì quando, finito di lavare le stoviglie, torna in sala per spegnere le luci.

Sbuffando sale quindi al piano di sopra, dirigendosi verso le camere degli ospiti. Marian ha sicuramente scelto la solita stanza col camino (e infatti dall'interno si ode già il suo lento e costante russare), quindi la donna e il bambino sono nella stanza più piccola, quella che li aveva ospitati anche anni prima. Mother si avvicina senza fare rumore, e con gesti lievi socchiude la porta.

Quella che un tempo era una giovane madre piena di vita siede sul letto, la schiena poggiata alla testata, stringendo delicatamente a sé il proprio bambino. Questi, smagrito e dolorosamente ben diverso dal vispo neonato che l’anziana ricorda, dorme sonni inquieti, agitandosi ogni tanto sotto le pesanti coperte.

Mother scuote il capo, sospirando e richiudendo la porta. Le fa quasi male il cuore vedere come tutto il fuoco d'amore di pochi anni prima sia ormai ridotto a poche braci sonnolente... l'unica cosa che la consola è la consapevolezza che le braci, se ben alimentate, possono tornare a bruciare e scaldare anche meglio di prima.

 

La mattina seguente, è solo quando il sole è ormai alto da un pezzo che Mother riesce a parlare con il generale; ed è Cross stesso a venirla a cercare in cucina, chiedendole la colazione.

Al vederlo arrivare - in maniche di camicia (l’uniforme probabilmente è buttata da qualche parte in camera) ma con l’immancabile pistola nella fondina legata alla coscia e il piccolo golem dorato appollaiato sulla spalla - la donna scuote il capo e sorride materna: nonostante il tempo trascorso, Marian non è cambiato di una virgola, ma continua a dimostrare sempre la trentina d’anni che ormai non avrà più da un pezzo, e a indossare quel sorriso così beffardo che non riesce a lasciare indifferente nemmeno un’anziana come lei.

Mother però è un’attenta osservatrice e non le sfugge che nei movimenti dell’esorcista oggi non c’è la consueta leggerezza scanzonata: qualcosa lo infastidisce, anche se non al punto da intaccare la sicurezza di sé che ha sempre contraddistinto quell’uomo così indecifrabile.

Pur essendo certa della sua intuizione, tuttavia, la donna non si azzarda a porre una domanda esplicita, limitandosi ad interrogarlo con lo sguardo - tanto sa benissimo che se Cross ha intenzione di vuotare il sacco, lo farà di sua iniziativa.

E infatti, sedutosi a tavola, mentre lei gli riempie la tazza di caffè e gli presenta uova e pancetta per colazione, senza staccare gli occhi dal Times del giorno l’esorcista parla: “Sono stato appena informato che molto presto avrò una visita sgradevole… un sedicente pezzo grosso della Centrale mi sta col fiato sul collo perché vuole appiopparmi uno stupidissimo incarico.”

“E come avrebbe fatto questo signore a trovarti? Non sei sempre stato un maestro della fuga, tu?” lo pungola Mother.

Lui non se la prende, ma le risponde con un largo sorriso soddisfatto. “Probabilmente un conto di mille ghinee dal Savoy di Londra è stato un duro colpo per le venerande tasche di Sua Santità… devono aver seguito quella traccia…”

La donna, allibita per la cifra astronomica, strabuzza gli occhi e rimane senza parole mentre il generale ride di gusto.

All’improvviso però, Cross si blocca e torna immediatamente serio; dall’esterno si sente l’inconfondibile rumore di una carrozza che si ferma, lo sbuffare di una coppia di cavalli e subito dopo una voce maschile, melliflua e palesemente falsa.

L’esorcista si alza in piedi e si dirige verso la sala, facendo cenno a Mother di andare alla porta e intrattenere per qualche istante il visitatore. Nel frattempo, come se fosse stata chiamata (sebbene Cross non abbia pronunciato il suo nome, né abbia fatto altro cenno o segnale), Mària è apparsa silenziosa e leggera ai piedi della scala.

L’uomo le rivolge un sorriso. “Va’ di sopra e attiva il Magdala Curtain: tu e il bambino non dovete farvi vedere per nessun motivo, intesi?”

Mentre la donna annuisce e torna al piano superiore, l'anziana apre la porta d'ingresso. L'uomo che si trova di fronte, quasi colto sul fatto mentre si guarda attorno con aria sospettosa, torna immediatamente sorridente e saluta con un rapido ma elegante inchino.

“Buongiorno Madame, io sono Malcolm C. Leverrier. Scusi se mi presento senza preavviso, ma starei cercando una persona. Per caso il generale Marian Cross è da queste parti?”

Educato... all'apparenza cordiale... una personcina ammodo, insomma, non fosse per quegli occhi sottili e cattivi che stanno ancora scandagliando l'intera area, innervosendo parecchio la cara vecchina.

“Mi chiami Mother, qui mi conoscono con questo nome. Se non le dispiace gradirei sapere se si tratta di un colloquio di lavoro o di piacere... nel primo caso potrei farla entrare, anche se le dico subito che in questa casa certi argomenti preferirei non toccarli. Nel secondo fareste meglio a trovarvi un altro posto dove bagordare assieme!”

Quel tizio non le piace, e dal modo in cui lui cessa improvvisamente di sorridere la cosa sembra reciproca.

“Madame, è solo ed esclusivamente il lavoro che mi porta in un luogo del genere.”

“Mh. Siamo intesi. Entri pure e stia attento a pulirsi bene le scarpe, mentre vado ad avvertire il generale Cross del suo arrivo.”

La donna non ha nemmeno bisogno di percorrere il corridoio perché, appena si volta vede, Marian appoggiato con fare noncurante allo stipite della porta della sala, una sigaretta ancora spenta all’angolo della bocca e un sorriso all’apparenza cordiale sulle labbra.

“Non ti preoccupare Mother, come vedi sono già qui… non sta bene far aspettare gli ospiti, no?” dice con aria rilassata (ma non senza una sotterranea vena di sarcasmo), facendo scorrere rapidamente due dita lungo la catena del prezioso rosario d’oro che porta al collo “Buongiorno Sovrintendente! Qual buon vento?”

“Generale Cross... è un piacere trovarla, una volta tanto. Sono qui perché devo renderla edotta sul suo nuovo incarico. C'è un posto dove poter parlare in tranquillità?”

“Beh, non vorrete restare lì in piedi come due baccalà, no? Mi occupate l'ingresso! Sistematevi in sala, cercate di non fare danni e potrei offrirvi una fetta della torta di mele che sfornerò a momenti!” esclama Mother, prima di dare le spalle a entrambi e dirigersi con passo marziale verso la cucina. Si è accorta della tensione crescente, nonostante le espressioni cordiali dei due, e non vuole assolutamente rimanerci in mezzo... e a quanto pare non è l'unica: anche l'affarino dorato all'arrivo dell'ospite si è subito nascosto dietro il vaso di margherite sul davanzale.

 

Cazzo, questa non me l’aspettavo proprio! Non fossi così abituato a controllare e celare le mie emozioni, scoppierei a ridere… adesso credo proprio di aver capito qual è il punto stavolta…

Certo che questa famosa missione dev’essere parecchio importante se Leverrier stesso si è preoccupato di venire fin qui, in questo paesino sperduto (perché di sicuro la città più vicina è piuttosto lontana, a giudicare da quanto sono stanchi i cavalli attaccati alla sua carrozza), solo per beccare Cross (che poi mi piacerebbe capire come faceva a sapere che il Sovrintendente stava per arrivare)… sapessi quanti dannati anni mancano ad arrivare al presente, forse potrei anche capirci qualcosa di più da solo, ma visto che a quanto pare mi è impossibile, non mi resta che ascoltare la loro conversazione…

 

L'esorcista e il burocrate si siedono al tavolo, uno di fronte all'altro, squadrandosi per alcuni secondi. Lo sguardo di Leverrier, che non riesce a sostenere quello del generale, scivola sul mobilio e poi sul fascicolo che l'uomo ha posato davanti a sé, in un nemmeno poco velato tentativo di mettere un po' d'ansia al suo interlocutore. È in quel momento che l’ufficiale si rende conto di un piccolo particolare, al quale all'inizio non ha dato importanza. A quanto risultava dai rapporti, il generale Cross aveva un discepolo con sé... dov’è ora?

“Generale... vedo con dispiacere che il suo allievo non è qui con lei. Come mai?” chiede con fare untuoso, riportando lo sguardo su Cross e intrecciando le mani sul tavolo davanti a sé.

L’esorcista, che fino a quel momento si è limitato a starsene mollemente seduto, il gomito puntato sul tavolo e il mento poggiato sul palmo della mano, inarca sornione le sopracciglia, vagamente stupito dall’esordio che Leverrier ha deciso di dare alla conversazione.

La mia allieva, per essere precisi. Una gran bella donna che però ha avuto la sfortuna di essere una compatibile parassita…” lo butta lì con nonchalance, ma sa benissimo che insinuare che venir scelti dall’Innocence sia una disgrazia farà incavolare il Sovrintendente - ed è proprio per questo che lo dice.

“Donna o uomo che sia non cambia, stiamo sempre parlando di un apostolo scelto da Nostro Signore per vincere questa guerra santa... sa bene che non possiamo permetterci di perdere altri esorcisti. La ricerca di nuovi compatibili procede a ritmi serrati, ma dato che lei non pare interessato alla questione, gradirei almeno sapere dov'è finita l'Innocence che era in dotazione alla sua allieva, così da poterne riutilizzare il potenziale con un nuovo compatibile.”

Davanti a quella risposta infarcita di vuota, anacronistica retorica da Crociate, il generale non può fare a meno di sogghignare (cosa che ovviamente manda in bestia l’ufficiale). “Ah sì? E… dì un po’, Malcom - posso chiamarti Malcom, vero? - chi ti ha detto che a Mària non serve più la sua Innocence?”

Il Sovrintendente, piccato dal tono supponente del suo interlocutore e intimamente preoccupato dalle azioni del folle che gli siede di fronte, trattiene a stento un ringhio rabbioso.

“Generale, le consiglio caldamente di non scherzare con il fuoco. La pazienza di Sua Santità e dei nostri superiori potrebbe finire quando meno se lo aspetta, se lei si ostina a infrangere le regole come suo solito.”

Lasciata depositare per qualche secondo la nemmeno troppo velata minaccia, il burocrate decide di tornare all'argomento principale dell'incontro. Dopo essersi schiarito la voce, inizia nuovamente a parlare, le mani sul tavolo a sfogliare lentamente il fascicolo che si è portato dietro.

“Generale Marian Cross, sono qui in veste ufficiale per affidarle un incarico di vitale importanza per la nostra Santa Madre Chiesa. Come lei sicuramente sa, il nostro acerrimo nemico possiede una fabbrica, chiamata «uovo», mediante la quale produce senza sosta i suoi akuma. Compito di voi apostoli, naturalmente, è distruggere quegli esseri immondi per salvaguardare il benessere dell'umanità, ma crediamo che una parte importante di questa missione possa essere svolta più efficacemente risolvendo il problema alla radice. Generale Cross, quell'uovo deve essere individuato, raggiunto e infine distrutto. Solo così la Chiesa potrà fare un decisivo passo avanti nella guerra contro il Conte e la famiglia Noah.”

Man mano che Leverrier parla, l’espressione sul viso del generale attraversa diverse sfumature, fino a cristallizzarsi in un sorriso che sottintende molte cose - nessuna delle quali, ovviamente, sarà mai portata a conoscenza dell’altro uomo.

“Mh. Quindi volete che io mi infiltri nell’Arca per sbriciolare l’ovetto, giusto?” domanda infine, ma senza realmente aspettarsi alcuna risposta. Poco dopo infatti riprende, mentre si accende la sigaretta “Giusto per informazione, hai almeno una vaga idea del casino che comporta una cosa del genere?”

“Che sia facile o difficile non è un problema di Sua Santità. Voi, in qualità di apostoli scelti appositamente dall'unico Dio, siete tenuti a fare il possibile e anche l'impossibile per raggiungere obiettivi di questo genere.” ribatte il Sovrintendente, incrociando le braccia.

“Oh certo, l’unico problema di Sua Santità è trovare una veste ogni giorno più sfarzosa…” replica quieto il generale, soffiando in alto una boccata di fumo. Poi torna a guardare dritto in faccia Leverrier, la sicurezza che brilla provocatoria nel suo sguardo “Comunque non ho detto che rifiuto l’incarico, era solo per capire se avete capito cosa mi state chiedendo. Sai com’è, voi che passate tutto il tempo con il culo incollato alla sedia, di solito non sapete molto bene come funzionano queste faccende…”

Il burocrate fa per alzarsi e protestare, contrariato dalla sfacciataggine dell'altro. La tensione tra i due è diventata quasi palpabile quindi, prima che il tutto finisca in rissa, Mother pensa bene di lasciare il suo rifugio in cucina e rientrare in sala con la torta ancora calda.

“Spero che abbiate finito di parlare, signori, è ora di assaggiare una fetta della mia specialissima apple pie! Non vorrete mica lasciarla freddare, spero!”

L'anziana taglia rapidamente due fette, le dispone sui piattini e le mette direttamente sotto al naso dei due. Il morbido profumo riempie la stanza, riportando un'apparenza di serenità.

In pochi minuti i piatti sono ormai vuoti, e il Sovrintendente si congeda. Mother lo accompagna alla porta e, dopo essersi accertata della sua effettiva partenza, ritorna in sala dove si accomoda e si serve a sua volta di un'abbondante porzione.

“Povera la mia torta, sprecata per un omuncolo del genere! Spero gli venga una bella carie, prima o poi!” borbotta, infilzando un pezzo di dolce con la forchettina decorata e seguendo con lo sguardo Timcanpy nel suo svolazzare dal davanzale alla testa dell'esorcista.

“Bah! È che purtroppo di solito quelli della sua risma sono i più duri a crepare, sai?” commenta infastidito Cross, alzandosi in piedi e avvicinandosi alla finestra, le mani sprofondate nelle tasche dei pantaloni di pelle. “Comunque mi ha rifilato una bella gatta da pelare… devo partire subito, assieme a Mària e al bambino. Ma che quelli della Sede non si sognino che gli mandi una letterina tutti i mesi per dirgli che sto bene!” conclude acido - è evidente che l’Ordine con tutta la sua burocrazia ingessata e i suoi baciapile gli va proprio stretto.

Il boccone di torta in bilico sulla forchetta cade nel piattino, seguito subito dalla posata. Mother scatta in piedi, infuriata.

“Cosa?! Ma il piccolo non si è ancora nemmeno svegliato! È talmente smagrito e indebolito che dubito riuscirebbe a stare in piedi da solo, figuriamoci di partire per un lungo viaggio! Ti proibisco tassativamente di farlo uscire di qui, almeno per il prossimo mese... Ha un assoluto bisogno di cure e sua madre non può certo fare miracoli in così breve tempo, anche se io l'aiuto dandole il cambio ogni tanto!”

L’esorcista non si fa per niente impressionare. Si volta verso Mother, poggiandosi al davanzale, con le braccia conserte. “Non hai capito, donna: non ti sto chiedendo un parere. Ho detto che partirò domani, dopodomani al più tardi, portandomi dietro entrambi e così sarà. Il bambino ha passato di peggio negli anni scorsi, sopravviverà. Quanto a sua madre, come ti ho già spiegato non è più viva da molto tempo, quindi non soffre tutte le nostre limitazioni.”

La donna gli tiene comunque testa, nonostante la differenza di stazza e statura. C'è una grande saggezza che brilla nei suoi occhi, una conoscenza davanti alla quale anche il grande generale Cross potrebbe vacillare.

“Trenta giorni, non uno di più, non uno di meno. Non sono disposta a lasciarti fare uno dei più grossi errori della tua vita, Marian. Qualunque siano i tuoi piani per quel bambino, ti sarà difficile realizzarli se il piccolo non riesce a sopravvivere già al primo viaggio, non credi? Quattro settimane di lavoro intensivo, fra me e sua madre, e poi potrai portarlo dove ti pare.”

Davanti a quella replica testarda, l’esorcista inarca le sopracciglia perplesso: deve ammettere a se stesso che non si aspettava che Mother osasse tanto. Sforzandosi di considerare le sue parole con obbiettività, deve comunque riconoscere che ha ragione. Amiel (anzi, Allen - ora è quello il nome con cui deve chiamarlo, gli ha detto Mana) non ha proprio una salute di ferro, anche se la tempra è robusta, e per di più lo shock psicologico che ha subìto, con la morte del padre e tutto il resto, non ha certo migliorato le cose.

Ovviamente però, il generale non riconoscerà mai nulla di tutto ciò all’anziana, ne andrebbe del suo onore. Si limita quindi ad annuire e poi rivolge un sorriso alla figura silenziosa ferma sulla soglia della sala, alle spalle di Mother. “Va bene, sia come dici tu. Ma vedi di non tirarmi in mezzo, intesi?”

“Non corri alcun rischio, tranquillo. Già una volta ce la siamo cavata senza di te, ce la faremo anche stavolta.” sogghigna lei, compiaciuta, prima di tornare al tavolo e prendere il vassoio con la mezza torta di mele avanzata.

Avvicinandosi al corridoio con il suo dolce carico, sorride teneramente alla donna senza vita che sembra la stia aspettando. “Ora portiamo questa buonissima torta al piano di sopra. Appena il piccolino si sveglierà avrà sicuramente una fame da lupi, vero cara?”

 

Tsè, decisamente lo spettacolo si sta facendo più interessante… continuo a non sapere minimamente dove cazzo sono finito o in che epoca siamo (anche se adesso ho già un’idea più precisa [mancheranno al massimo tre o quattro anni al presente]), né tantomeno perché sono qui, ma è innegabile che vedere quel pallone gonfiato di Leverrier scornato in quel modo dà le sue soddisfazioni.

Incrocio le braccia, ghignando: non avrei mai detto che Cross fosse un tipo del genere… (anche se, da quel che ho visto e che mi ha raccontato Tiedoll, avrei dovuto immaginarlo). E comunque anche la vecchia ha una bella faccia tosta ad opporsi al generale…

La osservo salire al piano di sopra e decido di seguirla - voglio vedere come è ridotto il moyashi; assieme a lei c’è sempre quella donna, Grave of Mària (la madre di Walker…).

Ed è proprio la sua stessa esistenza, il fatto che sembra dotata di intelletto e volontà, la cosa che mi lascia più sbalordito: com’è possibile che un cadavere sia senziente al punto da potersi ancora sincronizzare con l’Innocence? (Perché quella creatura è ancora un’esorcista, non si discute - l’allusone di Cross era chiara [A questo punto, forse, l’unica differenza tra me e lei è il fatto che io posso parlare…])

Quest’ultimo pensiero mi inquieta più di quanto credessi (non è il momento di riflettere su questioni esistenziali [che tanto non servono a un cazzo]), quindi scuoto energicamente la testa per scacciarlo e salgo le scale seguendo le due donne.

 

Un mese dopo, la stessa carrozza che è arrivata a casa di Mother quella notte si ferma davanti al porto più grande della costa inglese, Dover.

Il cielo è grigio e pieno di nubi, ma per fortuna il rischio di pioggia sembra scongiurato. Il sole appena sorto riesce timidamente a superare le fitte coltri con i suoi deboli raggi, rischiarando l'ambiente circostante e facendolo sembrare meno ostile, pur senza riuscire ancora a riscaldarlo. Ci vorranno settimane perché il sole primaverile torni a far splendere le caratteristiche scogliere di calcare.

Dalla carrozza, eccezionalmente condotta da un cocchiere assoldato apposta, scendono in due. Pochi istanti dopo la vettura riparte e il generale Cross si avvia a passo spedito verso l'ingresso del porto, seguito dal giovane Allen. 

Il ragazzino, visibilmente più in salute rispetto prima anche se non ancora completamente ristabilito, cammina incerto nei suoi abiti nuovi, trascinandosi dietro il pesante bagaglio del suo mentore. Quando l'uomo è sceso dalla carrozza e si è avviato lungo la banchina gli è venuto naturale prendere la valigia che l'altro stava dimenticando (succedeva anche a Mana di dimenticarsi le cose in giro... ), ma non si aspettava certo un peso del genere... Decide però di risparmiare il fiato ed evitare ogni domanda a riguardo, intuendo che forse in questo caso non si è trattato di una dimenticanza vera e propria. Anzi.

Raggiunta la banchina, improvvisamente l'uomo in divisa si ferma. Allen frena appena in tempo per non andare a sbattergli contro, e approfitta della piccola pausa per posare il bagaglio e riprendere le forze.

Cross rimane per qualche istante in silenzio, il piede puntato su una bitta e il gomito poggiato alla gamba; il suo sguardo si perde a contemplare il mare mentre, con gesti meccanici, estrae l’ennesima sigaretta e la accende. Stringe gli occhi, infastidito dalla luce che riverbera sull’acqua color cobalto e dal vento che gli scompiglia i capelli; espira lentamente una boccata di fumo e attraverso di essa osserva le coste francesi, che si intravvedono in lontananza nonostante la foschia sull’orizzonte.

“Più di sei secoli fa, Riccardo Cuordileone partì da qui, per la sua Terza Crociata…” commenta noncurante, lanciando un’occhiata di sottecchi al bambino, anch’egli assorto nella contemplazione dell’acqua scura e delle piccole onde che si frangono delicatamente sulle banchine di pietra. “…per un tratto seguiremo le sue orme. E chissà che poi non si finisca anche noi per stringere un’inaspettata alleanza con il «nemico»…” conclude, con una risata appena accennata.

Non l’ha buttata lì tanto per dire, la storia dell’alleanza: Cross ci spera davvero che alla fine, tra qualche anno, quando verrà il momento per lui di scoprire che le memorie del Quattordicesimo sono dentro di lui, il ragazzo riesca a venire a patti con l’intera faccenda.

Anche se, l’esorcista se ne rende conto, non dev’essere facile accettare l’idea che tuo padre viva fisicamente dentro di te e si serva del tuo corpo per tornare in questo mondo… Mana gli ha detto chiaramente che la cancellazione dell’ospite non è affatto inevitabile - dipende tutto dall’ospite stesso - ma gli ha altresì proibito di dire una sola parola a suo figlio su quella faccenda.

Per quanto è chiaro che, adesso come adesso, Allen ha ben altri problemi. Ognuno ha un modo tutto suo per elaborare il lutto e, benché sia convinto che per superare il trauma e i sensi di colpa per la morte di Mana non gli basterà una vita intera, il ragazzino ci ha provato - chiudendosi di nuovo in se stesso, in quel nascondiglio immaginario che già aveva creato da piccolo grazie alla propria fantasia.

È quindi un «Noi?», quasi afono ma anche incredibilmente stupito, la prima parola che Allen pronuncia dopo un mese di completo mutismo, mentre la comprensione gli illumina per un attimo il volto: ecco perché la valigia era così pesante! Anche lui partirà con il generale!

L'entusiasmo che tutti i bambini provano davanti a una nuova avventura, però, viene smorzato dal timore davanti all'ignoto. Certo, qualcosa gli dice che viaggiare con un esorcista - e diventare uno di loro - non sarà una cosa facile… ma non è questo che lo preoccupa di più, al momento.

Mettendo una mano sugli occhi a ripararsi dalla luce solare, Allen fa scorrere lo sguardo sulle imbarcazioni che, attraccate ai moli, già fumano in attesa dei loro passeggeri.

Il ragazzino sospira, abbassando lo sguardo a terra. Lui non vuole lasciare il Paese, non ci è abituato, e soprattutto... anche se con Mana, ha girato molto, non è mai salito su una nave!

Mentre Cross termina la sigaretta, non dando segno di averlo sentito, Timcanpy gli svolazza attorno comprensivo. Allen, che si sente in un certo qual modo confortato dall'amicizia del piccolo golem, riesce a radunare il coraggio necessario per schiarirsi la voce un paio di volte. Quando le corde vocali sono tornate a fare il loro lavoro, pone di nuovo la fatidica domanda all'uomo che lo precede: “Ma... devo per forza venire anch'io, signore?”

Alla frase incerta del bambino, il generale si volta verso di lui, le sopracciglia inarcate ad enfatizzare una perplessità che forse nemmeno prova. “Come pensi di fare a diventare un esorcista senza un maestro?” replica piatto, gettando il mozzicone tra le onde.

Il ragazzino torna a fissare il mare, gli occhi puntati sull'interminabile movimento della risacca, e deglutisce nervosamente. Ricorda bene la domanda che il generale gli aveva posto davanti alla tomba di Mana, e ricorda bene la promessa che ha fatto a suo padre prima che questi morisse: deve continuare a camminare, deve andare avanti... anche se questo significa attraversare l'oceano per diventare un esorcista!

Annuisce, distogliendo gli occhi dalla superficie increspata e portandoli con decisione, forse per la prima volta, sul viso dell'uomo. “Davvero mi insegnerete, Maestro? Allora verrò con voi ovunque andiate!” esclama infine, afferrando nuovamente il bagaglio di entrambi, prima di seguire il generale verso il molo più vicino.

 

E così, questo è l’inizio dell’apprendistato da esorcista di Allen Walker… ha seguito Cross in giro per il mondo, mentre lui lavorava dietro le quinte perché un giorno il proprio allievo potesse entrare nell’Arca e controllarla. Sarei veramente curioso di vedere la reazione del moyashi se gli raccontassero tutto del suo passato: sarebbe un colpo durissimo alla memoria e alla fiducia che ha sempre riposto in Cross stesso e in Mana, le due persone che più ha amato nella sua vita (si sentirebbe tradito? [Probabilmente ne uscirebbe pazzo])

Comunque venendo qui ho finalmente capito dove accidenti siamo: quelle sono le scogliere di Dover, sono inconfondibili… quindi probabilmente anche tutte le scene precedenti erano ambientate da qualche parte nel sud dell’Inghilterra (e adesso stiamo per spostarci chissà dove […’fanculo, appena trovato un punto di riferimento subito me lo bruciano]). Vabbè, non sarà molto, ma almeno non mi sento più completamente sospeso in un limbo…

Incrocio le braccia e li seguo con lo sguardo mentre si imbarcano su un piroscafo, in attesa che scenda il solito sipario di buio e tempo e luogo cambino per l’ennesima volta.

 

Una volta messo piede in Europa, dopo aver girato per Calais alla ricerca di una carrozza, maestro, allievo e golem ripartono in treno per attraversare il continente in direzione sud.

Qui il generale sembra avere questioni da sbrigare in tutte le città esistenti e, per ogni giorno speso in «affari», se ne vanno almeno altri sei per il tour tutto compreso delle migliori taverne del luogo.

Tempo di arrivare a Parigi e Allen ha il primo assaggio di quella che sarà la routine della vita con il suo nuovo maestro, che prima afferma di aver «perduto» il gioiello di ottima fattura che voleva impegnare per saldare il conto dell'albergo e che poi, aggredito da un gruppetto di muscolosi creditori, lo lascia in loro balia per fuggire senza pagare.

Nei primi tempi di convivenza con Cross, quindi,  il giovane Allen non impara un bel niente di ciò che dovrebbe farlo diventare un esorcista. L'unica cosa che ottiene è capire che sta viaggiando con un adulto completamente inaffidabile, dedito solo al fumo, all'alcool e alle belle donne - cosa deprecabile per un uomo di Chiesa ma che al ragazzino non dà particolarmente fastidio... almeno fino a quando, una volta esaurita la cassa per il viaggio, tocca a lui tirarsi su le maniche per raggranellare i soldi necessari a pagare sia i vizi del Maestro che vitto, alloggio e trasporti per entrambi.

Fra treni e carrozze, ristoranti e taverne, debiti e creditori, passano i giorni e passano le settimane... tappa dopo tappa, parallelo dopo parallelo il clima diventa progressivamente più caldo, e quando finalmente i due giungono nel nord dell'Italia l'inverno ha ormai lasciato da un bel pezzo il posto alla primavera inoltrata.

Qui il copione ovviamente si ripete, ed Allen è costretto a lavorare di piccone per racimolare le lire necessarie a pagare i vizi del generale.

Certo, il lavoro gli consentirà di metter su qualche muscolo e soprattutto di esercitare meglio il braccio sinistro (che per fortuna sta aumentando giorno dopo giorno sensibilità e mobilità)... Ma proprio ora, in un vicolo buio e umido, mentre il Maestro gli sequestra tutto il suo stipendio (guadagnato con una lunga giornata di lavoro) per andarlo a spendere con una delle sue «amiche», il ragazzino non può fare a meno di ricordare la frase pronunciata a Dover in quella mattina di cielo grigio, chiedendosi chi cavolo gliel'ha fatto fare...

 

Le cose non migliorano durante il viaggio in treno verso l'Est Europa.

Il loro obiettivo, a quanto Allen ha capito, è il continente africano, ma tanto per cambiare il Maestro li ha nuovamente costretti a una deviazione forzata. Pare che stavolta debba passare a casa di un vecchio amico per riportare una particolare pianta che questi gli aveva prestato anni prima.

Scaricato in un villaggio lì vicino a lavorare come sguattero per racimolare i soldi per il treno, Allen può solo essere contento di non doversi più portare dietro la pianta - recuperata poco prima in Ungheria, a casa di un'altra delle centinaia di amiche del Maestro. Al ragazzino piante e fiori piacciono, a dire la verità, solo che Rosanne era una pianta carnivora non molto amichevole... accidenti, anche Timcanpy aveva rischiato di venire masticato!

Dopo mezza giornata il Maestro è di ritorno, e i due prendono un nuovo treno in direzione sud. La traversata dell'Ucraina procede tranquilla, l'allievo che riposa e il maestro che fuma, e dopo un paio di giorni si intravede all'orizzonte lo specchio azzurro del piccolo Mar di Marmara.

Giunti a Costantinopoli, i due cercano una nave che li porti in Egitto. Trovano un passaggio su una nave da pesca, e in cambio Allen finisce a sollevare reti e reti colme di sardine. Attraverso i Dardanelli, il mercantile arriva nel mar Egeo, vira verso Sud e poi, dopo una piccola tappa a Creta, inizia l'ultimo tratto di strada che in una settimana di pigro navigare porta pesci e passeggeri a sbarcare nel caldo Egitto.

 

Arrivati a questo punto, Cross non ha ancora effettivamente insegnato un bel nulla al suo allievo, ma Allen sta inconsciamente imparando a sopravvivere.

Il clima, caldo e secco nell'entroterra e caldo e umido lungo le coste, è considerevolmente diverso da quello inglese. Cross non sembra subire gli effetti delle alte temperature, mentre Allen ha già abbandonato giacca e panciotto per rimanere in maniche di camicia e, dopo essersi scottato leggermente, cerca ovunque l'ombra per evitare le insidie del sole cocente.

Presa a nolo una barca tipica, i due risalgono il grande fiume Nilo fino a Luxor. Nella città, importante centro turistico del Paese vicino alla famosa Valle dei Re, sono però obbligati a lasciare il fiume che si restringe troppo per consentire di procedere oltre.

Girando per locande e taverne, i due trovano anche stavolta un passaggio: il giorno dopo, quindi, si accodano a una carovana di mercanti che deve attraversare la zona delle grandi piramidi e il deserto per arrivare in Kenya. Niente carrozze, treni o cavalli, però. Questa volta Allen deve tirare fuori tutto il suo spirito di adattamento e una buona dose di coraggio, virtù indispensabili quando incontri per la prima volta un dromedario poco simpatico che sarà la tua cavalcatura per tutti i 23 giorni di viaggio!

 

Arrivati finalmente in Kenya, tanto per cambiare Cross decide di concedersi una vacanza. Allen è convinto di essere arrivato a destinazione - pur non avendo ancora imparato un bel nulla del mestiere di esorcista - ma ovviamente il generale non è della stessa idea. Centellinando un ottimo vino del luogo, afferma candidamente di aver fatto un po' di confusione: la loro destinazione è l'India, non il Kenya!

Visto che sono nel continente africano, l'uomo vorrebbe partecipare a un safari, ma il tempo stringe. Possono concedersi soltanto tre giorni in una tranquilla cittadina vicino a Mombasa, e soltanto perché la nave che li porterà verso le Indie è ferma per riparazioni.

Mentre il Maestro si gode la vita come suo solito, sulle spalle il solo peso di Timcanpy (che ha preso il vizio di stare perennemente accoccolato sul comodo cappello di Cross), Allen si barcamena come può per raggranellare i soldi necessari per tutto.

Gira l’intera la città alla ricerca di lavoretti da fare, ma non tutti danno fiducia agli stranieri: una sera di ritrova quindi con nessun lavoro e il terrore di presentarsi da Cross a mani vuote. Anche in questo caso, quindi, finisce per fare di necessità virtù: senza sapere né come né perché, si ritrova seduto al tavolo da gioco di una taverna dove, utilizzando le proprie abilità di baro (imparate da Mother come terapia pratica per la riabilitazione della mano), riesce a vincere a poker il necessario per sopravvivere una settimana intera.

Questo piccolo espediente gli consente di ritagliarsi, per la prima volta dall'inizio del viaggio, un po' di tempo tutto per sé. Cross però sembra accorgersene e per impiegare «costruttivamente» quel tempo, oltre ad esortarlo a mettere a frutto i suoi trucchetti per avere più soldi da spendere, inizia anche ad affidargli missioni assurde e rischiose... arrivando addirittura a chiedergli di portargli un leone vivo!

Per fortuna i tre giorni passano in fretta e i due salpano in direzione Est, Cross che al solito beve e fuma mentre Allen dà una mano in sala macchine e si diverte a spennare a poker i componenti dell'equipaggio.

Ci vogliono un paio settimane, tra mare in tempesta e pause per sistemare i motori, ma anche stavolta i due riescono a raggiungere sani e salvi le coste dell'India...

...e Allen non ha ancora imparato nulla del nobile lavoro di esorcista.

 

Quando lo scenario intorno a me si fa infine completamente nero, crollo in ginocchio, esausto e con la testa che mi vortica in maniera ossessiva e convulsa. In un breve (quanto non lo so, ma comunque troppo) lasso di tempo la scena davanti ai miei occhi è cambiata un numero incalcolabile di volte e con una velocità tale da rendermi impossibile capire cosa stessi vedendo. Capivo per intuito, collegando indizi talmente labili da essere irriconoscibili, e basandomi su ricordi che nemmeno credevo d’avere (quando mai ho visto l’Egitto, io? […forse lo vide il vero me stesso…])

…’fanculo, mi auguro sinceramente che questo viaggio assurdo sia finito, non sopporterei un’altra serie così rapida di cambi di scena (ma quanto cazzo ha girato il moyashi?!).

A quanto pare, ora stiamo per sbarcare in India. Se non ricordo male avevo sentito dire che Walker era partito da qui quando è arrivato all’Ordine (spero non mi tocchi poi sorbirmi anche il viaggio di ritorno!), quindi posso supporre che almeno per un po’ ci fermeremo?

 

Pur avendo l'incredibile fortuna di non soffrire il mal di mare, per Allen il viaggio è stato tutt'altro che piacevole quindi, mentre il sole sorge ad Est illuminando il profondo porto naturale di Bombay che appare pian piano all'orizzonte, al ragazzino non sembra vero di poter finalmente rimettere piede sulla terraferma.

Sarebbe quasi tentato di baciare il polveroso terreno indiano, ma Cross non gli dà nemmeno il tempo di riprendere fiato: a quanto pare hanno un treno da prendere, e se devono anche passare nelle quattro o cinque taverne più famose della città, non possono certo perdere tempo...

 


 

PREVIEW:

Capitolo 5 - Fu gettato sulla via, ma col fuoco nel cuore prese la sua croce e iniziò a camminare

Il generale continua a fare la bella vita e continua a non insegnare un bel nulla al suo allievo, aspettando il momento propizio per dare il via all'apprendistato ufficiale.

Il «momento propizio» tanto atteso alla fine arriva, all'incirca sei mesi dopo il loro arrivo, ma per l'Inglese la cosa è tutt'altro che facile. Messo davanti a una situazione critica, solo comprendendo e accendendo nel suo cuore il nuovo e bruciante desiderio di restituire alle anime ingannate la libertà perduta gli consentirà di attivare con successo, per la prima volta, la sua arma anti-akuma.

[…]

Vedendolo crescere assieme a quel ragazzino indigeno, ho capito cos’è successo al bambino incazzato col mondo che il generale raccolse su quella tomba. È in questo periodo, assieme a quel Narein, che il moyashi è diventato quel che conosco io…

 


 

IL POST-IT DELLE AUTRICI

Come detto in precedenza, elenchiamo di seguito tutte le citazioni contenute nel capitolo che avete appena letto.

 

-    Il titolo: citazione composta traendo spunto da due passi biblici che l’esegesi riferisce a Lucifero e alla sua caduta dal Paradiso. In particolare Ez 28,12; 15-16 “Tu eri un modello di perfezione, / pieno di sapienza, / perfetto in bellezza. […] Perfetto tu eri nella tua condotta, / da quando sei stato creato, / finché fu trovata in te l'iniquità. / Crescendo i tuoi commerci / ti sei riempito di violenza e di peccati” e Is 14,11 “Negli inferi è precipitato il tuo fasto, / la musica delle tue arpe”.

-    La missione affidata da Leverrier a Cross: come avrete intuito, si tratta della missione che Cross poterà a termine solo 4 anni dopo, quando si ripresenterà nell’Arca per salvare la pellaccia ad Allen e agli altri. Il conferimento dell’incarico l’abbiamo collocato cronologicamente qui sulla scorta di quel che riferisce Link durante la riunione con i generali e i supervisori: “Generale Cross Marian, 4 anni fa, subito dopo che le era stata affidata la missione di distruggere l’impianto di creazione degli akuma, lei ha interrotto le comunicazioni con il Quartier Generale” (cap. 136, pag. 2)

 

Per questo capitolo è tutto! Se avete un qualsiasi dubbio, chiedete pure!

E ricordate… in missing moments we trust!

Alla prossima!

Lety&Mistral

 

 

 

NEXT SHOT ON AUG. 10, 2010

Dont miss it!

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Fu gettato sulla via, ma col fuoco nel cuore prese la sua croce e iniziò a camminare ***


 

L’ANGOLO DELLE AUTRICI

Ed eccoci qui, finalmente, con il quinto capitolo della nostra fic ^^ Scusate il ritardo, ma quando la tecnologia ti abbandona c'è poco da fare... anche cacciare accidenti minacciando di fare a fette il pc di Mistral non è riuscito a far partire il sistema operativo =_=

Vabbè, cose che capitano, e siamo sicure che non ce ne vorrete per questo!

Questa volta vi aspetta un capitolo decisamente lungo, meno descrittivo del precedente ma sicuramente più ricco di emozioni e più approfondito dal punto di vista psicologico. In questa parte, infatti, ricostruiremo i momenti più critici dell'apprendistato di Allen fino al momento in cui, martello alla mano, Cross lo lascerà da solo a proseguire sulla strada verso l'Ordine.

Ricordiamo che tutti gli sviluppi psicologici dei personaggi sono frutto delle nostre lunghe elucubrazioni mentali... Speriamo che anche voi li condividiate, o che comunque apprezziate lo sforzo non indifferente che abbiamo sostenuto per rendere il più verosimile possibile questa storia.

Detto questo, passiamo alle risposte alle recensioni ^^

 


 

Cara Retsu89,

innanzitutto non ti preoccupare per la recensione, che è tutt'altro che scarna. Capiamo benissimo i tuoi problemi con il caldo, che alla fine sono anche i nostri XD, e speriamo che questa nostra risposta ti arrivi anche nell'angolino buio dove sei riuscita a trovare refrigerio.

L'addestramento di Allen più che un suicidio è un martirio, precisiamo! Il nostro caro moyashi non riesce proprio a non dimostrare un po' di masochismo, ogni tanto, che ci vuoi fare...

Lety chiede di stendere un velo pietoso su Leverrier (che le ha fatto venire nausea e orticaria, tanto è disgustoso) e soprattutto sulla ricostruzione del viaggio... riconciliare googlemaps con gli indizi dati dalla sensei è stato tutt'altro che facile, almeno fino al giorno in cui ha ritrovato il fatidico episodio a cui fare riferimento (all'inizio era allegramente andata a memoria... rimescolando tutto xD)

In ogni caso sì, la fic sta per finire. Questo che leggerai ora è il capitolo 5 su 7, ma ci sono ancora delle sorprese che vi aspettano, tranquilla ^^

Un bacio e un abbraccio anche a te :)

Ps: scancherare? O.O forte! XD

 


 

Cara Bradipiro,

qui tutto ok, tu? Stiamo un po' sclerando fra caldo, lavoro (Mistral, Lety ha appena iniziato le ferie) e millemila cose da fare XD

Ti ringraziamo per la recensione, e facciamo un po' le antipatiche rispondendo alla tua domanda... con una domanda:

effettivamente dove sta scritto che l'ospite debba obbligatoriamente essere distrutto? XD

Vedremo cosa ne pensa la sensei, una volta che si deciderà a svelare tutti i misteri che ancora permeano la storia (e che ancora adesso aumentano andandosi ad aggiungere ai vecchi, accidenti!).

Per quanto riguarda i nomi e il loro significato... abbiamo sommato vari significati trovati in giro per il web, soprattutto nei siti dove i futuri genitori cercano ispirazione per chiamare i loro pargoli ^_^''

Ad es. per Amiel:

http://babynamesworld.parentsconnect.com/meaning_of_Amiel.html

http://www.baby-names-meanings.net/meaning/amiel.html

Un abbraccio!

 


 

Cara BloodberryJam,

noi stiamo bene, tu? Siamo fiere di te per il risultato dell'esame di maturità, brava! *_* 

Grazie come sempre per i tuoi commenti, apprezzatissimi soprattutto da chi non è mai sicura di tenere IC personaggi visti solo di sfuggita, poco approfonditi o poco... ehm... tollerati XD

Per quanto riguarda l'anime, continuiamo a suggerirvelo... anche i filler, che accidenti a loro hanno il loro perché (rivedendone un paio dopo aver letto Hachisu no Yume capirai cosa intendiamo XD) Certo, il manga è tutt'altra cosa...

Non ti preoccupare, niente lapidazione. Non siamo così radicali, noi, soprattutto se consideriamo quanto certi atteggiamenti fondamentalisti siano alla fine semplice copertura dell'ipocrisia presente ;)

(anche se... Spongebob... çAç) ← LOL

A presto ^_^

 


 

Cara Flowermoon,

non ti preoccupare per il ritardo ^_^ Cose che capitano, soprattutto d'estate quando il tempo è tanto ma passa così rapidamente che la sera non hai concluso nulla di quanto ti eri prefisso =_=

Lety dice «Prego!» e spera di non dover ripetere l'esperienza, peccato si stia scordando del viaggio di ritorno!

Di Leverrier meglio non parlare, va'. Muovere Mother invece è stato davvero divertente, soprattutto nel farle tener testa a Cross... è stata un po' una sfida, ma già nel romanzo si vede che è una tipa tosta!

Eh no, Allen-kun non s'aspettava nulla di tutto quello che poi ha passato, però prima o poi capirà e apprezzerà questo periodo che tanto gli ha tolto ma che tanto gli ha anche dato per costruire la sua strada.

Ti lasciamo al capitolo, sperando di non commuoverti troppo ç_ç *allungano fazzoletti*

Buona lettura!

 

E per questo capitolo è tutto, a risentirci al prossimo “Angolo delle Autrici”!

Un abbraccio,

Lety&Mistral

 

 

 

Hachisu no Yume

(Il sogno del loto)

 


 

5. Fu gettato sulla via,

ma col fuoco nel cuore prese la sua croce e iniziò a camminare

 

Arrivati sulle coste della penisola indiana, maestro e allievo prendono nuovamente il treno. La destinazione, questa volta, è una ricca città nell'interno della regione. La moglie del defunto maharaja è una delle più affezionate tra le numerose «amiche» del Generale, quindi si è detta disposta ad accoglierli per tutto il tempo che vorranno trattenersi.

Servito e riverito, circondato dal lusso, Cross non se lo fa ripetere due volte: sono in viaggio da quasi due anni, che diamine, ci vuole una bella pausa per riprendere le forze! Non dovendo pagare nulla, anche Allen può finalmente rilassarsi un po'.

Ciononostante, nei mesi in cui i due vivono ospiti della donna, il giovane dai capelli bianchi non può fare a meno di dimostrare la sua gratitudine facendo piccole commissioni e dando una mano nella gestione del maestoso palazzo che li ha accolti, oltre a fare qualche lavoretto qua e là per raccogliere altro denaro per conto del suo maestro.

Nel tempo libero, intanto, torna finalmente ad essere quello che in fin dei conti è: un normalissimo ragazzino incredibilmente curioso del mondo che lo circonda: appena può, Allen legge qualsiasi cosa e studia molto. Certo, fare l'autodidatta non è facile - anche se a volte pensa che dovrebbe fare l'autodidatta anche per diventare esorcista, cavolo! - ma la sua grande forza di volontà viene supportata dall'ottimo esempio che gli dà Narein, un suo coetaneo che lavora al palazzo e che impegna nello studio ogni momento di libertà per realizzare il suo sogno di diventare medico.

Basta poco perché i due ragazzini diventino amici per la pelle, segnando l'inizio per il piccolo inglese di un'infanzia vera, benché tardiva, piena di felicità e avventure. Accolto con gioia anche dalla famiglia di Narein, Allen si ritrova quindi con un fratello e una sorella più grande, Miena, che lavora anch'ella presso il palazzo come dama di corte della moglie del maharaja e sogna di diventare ballerina.

 

Bene, e adesso dove accidenti siamo capitati?! In India, ok, ma è un paese fottutamente enorme, quasi un continente! …ohfanculo, alla fine cosa mi cambia sapere dove siamo di preciso? (È che odio non avere il controllo della situazione [che illuso che sono, non l’avrei lo stesso… e la cosa mi irrita e mi spaventa assieme])

L’unica cosa positiva è che, a quanto pare, qui il moyashi c’è rimasto per un po’… e non fatico a capire perché: con vitto e alloggio (quell’alloggio, poi!) gratis, vuoi che uno come Cross si faccia scappare l’occasione?

 

Passano i mesi, passano i monsoni. Il generale continua a fare la bella vita e continua a non insegnare un bel nulla al suo allievo, aspettando il momento propizio per dare il via all'apprendistato ufficiale.

Cross lo sa che, così facendo, probabilmente finirà, se non per perdere la fiducia del ragazzino, quantomeno per farlo andare su tutte le furie. Lo sa, ma non per questo è deciso a cambiare la sua strategia d’azione. Non ha ancora la certezza che Allen abbia maturato la determinazione e la forza necessarie per intraprendere davvero la missione cui l’essere nato compatibile l’ha destinato.

Certo, gli ha detto di essere disposto a seguirlo in giro per il mondo, se questo avrebbe potuto servire per diventare un esorcista – ma effettivamente quel ragazzino non ha la minima idea di cosa voglia dire essere un apostolo.

È ancora mentalmente troppo fragile, troppo condizionato dalla morte di suo padre e da ciò che il suo occhio sinistro gli mostra ogni volta che incontra un akuma (il generale non ha mai visto una di quelle anime, tuttavia non fatica ad immaginare che debba essere uno spettacolo orrendo), non è pronto a reggere la consapevolezza che gli esorcisti non devono fidarsi di nessuno, ma sono obbligati a considerare ogni uomo un potenziale nemico ed essere sempre pronti ad uccidere anche chi fino al giorno prima divideva il pasto con te.

Però effettivamente la sua testardaggine è ammirevole - considera Cross dopo aver ignorato l’ennesima richiesta di spiegazioni su come fare a sconfiggere un akuma. Forse la prossima volta, se verrà un momento propizio, potrà metterlo alla prova… e nel frattempo, che si goda ancora un po’ di infanzia assieme a quel ragazzino indiano, gli può solo far bene.

Allen e Narein, infatti, hanno legato molto: sono sempre assieme, giocano, studiano, crescono. Ogni tanto il morale di Allen precipita improvvisamente verso il basso - sarà l'adrenalina del viaggio che è venuta a mancare, o più probabilmente il fatto che sotto sotto è diventato un suo chiodo fisso, quello di imparare i fondamenti necessari per esorcizzare gli akuma - ma basta l'amicizia di Narein e di Miena per farlo sorridere di nuovo.

Tutto sembra perfetto.

Ma, si sa, nulla è per sempre.

 

Il «momento propizio» tanto atteso alla fine arriva, all'incirca sei mesi dopo il loro arrivo. Al concludersi di una nuova giornata di lavoro per conto di Cross, Allen si fa coraggio e affronta per l'ennesima volta il suo Maestro: comincia ad essere stanco di sgobbare solo per il tornaconto personale dell’uomo, non è per quello che l'ha seguito nel suo giro intorno al mondo!

Effettivamente durante il loro viaggio gli è capitato molto spesso di finire in mezzo a uno scontro tra gli akuma e il Maestro. Cross, però, non gli ha mai permesso di venirne coinvolto in prima persona e ora il ragazzino pretende di saperne la ragione. Il generale, evidentemente in serata storta, nemmeno questa volta gli risponde, ma si limita a calciarlo in mezzo a un gruppetto di akuma affamati per metterlo alla prova.

L'intraprendenza del giovane Allen svanisce come neve al sole quando si trova solo, circondato da quegli esseri mostruosi, con la maledizione che si attiva. La vista di quelle povere anime incatenate finisce per terrorizzarlo ancora di più e, quando anche il primo tentativo di attivare coscientemente l'Innocence finisce in un buco nell'acqua, il ragazzino pensa proprio di essere arrivato alla fine del suo viaggio.

Nella quiete della sera, il lamento inumano degli akuma viene però interrotto da una rapida sequenza di colpi di pistola.

Quando Allen abbassa le braccia che aveva alzato per difendersi, l'unica presenza rimasta sul molo è il suo Maestro che continua a fumare tranquillo e placido, rimettendo Judgement nella fondina attaccata alla coscia, mentre Timcanpy gli svolazza pigramente attorno.

 

Seduto sulla riva opposta del fiume, osservo con un ghigno tra l’interessato e il divertito il moyashi per la prima volta alle prese con degli akuma. Sono dei banalissimi livelli 1 e lui alla fin fine non è poi nemmeno così piccolo (cos’avrà adesso? 12 anni? [A quell’età, io…]), ma devo dire che ci ha rimediato una figura di palta non indifferente… tsè, non si smentisce proprio mai: idiota con l’istinto da martire fin da bambino. Comunque, se il suo apprendistato è questo (cioè nulla, in pratica! [Ma cosa cazzo gli ha fatto fare Cross, a parte farlo sgobbare per pagare i suoi vizi?!]), non mi stupisce che quando l’ho incontrato fosse così inetto in combattimento…

Ad ogni modo, vedendolo crescere assieme a quel ragazzino indigeno, ho capito cos’è successo al bambino incazzato col mondo che il generale raccolse su quella tomba. È in questo periodo, assieme a quel Narein, che il moyashi è diventato quel che conosco io… (E adesso cos’è questa sensazione pesante? [Se Alma fosse vissuto, anch’io forse…])

 

Quella sera stessa, di ritorno alla magione del maharaja, un Allen decisamente depresso per il fallimento ottenuto girovaga per le stanze alla ricerca del suo migliore amico.

Lo trova nella camera della sorella, chino davanti al suo feretro in legno colmo di fiori come si usa in quel paese, un libro di medicina nuovo di zecca stretto tra le braccia. 

Miena era andata al villaggio per acquistarlo, per fare un regalo al suo fratellino, ed ha perso la vita nel crollo di un palazzo a seguito di un attacco di akuma.

L'incanto si spezza. Dolore, disperazione e frustrazione sostituiscono l'amore, la gioia e l'entusiasmo che facevano brillare gli occhi castani del ragazzo.

Narein segue passo passo Miena attraverso tutti  i riti che, secondo le linee dettate dai Purana, permetteranno all'anima della fanciulla di raggiungere il più rapidamente possibile una nuova dimensione. Ma l'idea che l'anima della sorella trovi nuova pace per poi tornare su questa terra in una nuova forma,  non basta a portare la quiete nel cuore inconsolabile del giovane.

Man mano che i giorni passano e i riti si compiono, l'animo del ragazzo si riempie sempre più di desolazione. Nemmeno l'amicizia di Allen serve a scuoterlo dall'apatia che lo ha colpito.

L'Inglese vorrebbe stargli vicino ma, la sera stessa della cremazione del corpo terreno di Miena, alcuni akuma attaccano un paese vicino e lui e Cross si vedono costretti a partire in tutta fretta.

È in quel momento che, approfittando dell'assenza dei due, come una falena richiamata dalla luce di una lampada il Conte del Millennio si presenta a palazzo.

Mellifluo e bugiardo, il Costruttore offre a Narein la possibilità di riuscire in ciò che con i suoi libri di medicina non potrà mai fare: riportare in vita sua sorella.

 

Qualche giorno dopo, quando Allen è di ritorno assieme a Cross, i due amici si incontrano di nuovo. Narein è in piedi vicino alla riva del fiume, nel punto esatto in cui era stata posta la pira per la cremazione di Miena, lo sguardo perso all'orizzonte.

Allen gli si avvicina, una coroncina di fiori tra le mani come ultimo dono per la sorella acquisita, ma ci mette solo un attimo per accorgersi della tragedia: la composizione di fiori e candele cade a terra, spargendo petali ovunque, quando la maledizione si attiva e il fantasma incatenato della sorella di Narein appare ai suoi occhi vicino al corpo del fratello.

Mentre l'akuma avanza lentamente e Allen arretra inorridito, tocca a Cross, sopraggiunto nel frattempo senza fretta, spiegare la situazione: il ragazzino ha accettato l'offerta del Conte e ha richiamato sulla terra l'anima della sorella che, dopo aver animato lo scheletro di dark matter opera del Costruttore, ha ucciso Narein per prenderne le sembianze.

Miena non c'è più. Narein non c'è più. Ora c'è solo un akuma che Allen deve semplicemente distruggere per interrompere il circolo vizioso di dolore e disperazione iniziato dal Conte.

Per l'Inglese, però, la cosa è tutt'altro che facile.

Si fida delle parole del Maestro, ha già visto (per esperienza personale) come lavora il Costruttore, e la sua mente gli dice chiaramente che l'akuma che ha di fronte va distrutto. Tuttavia il suo cuore si stringe di nuovo come quella volta con Mana: non può sopportare l'idea di dover uccidere una persona che è arrivato ad amare, anche se questa è diventata un akuma.

Come spietatamente gli ricorda il generale, però, Narein è morto. Il suo migliore amico non c'è più, ora c'è solo una macchina programmata per uccidere.

Osservando il discepolo paralizzato dalla paura, Cross scuote la testa: no, decisamente il moccioso non è ancora pronto per intraprendere la carriera di esorcista. E a questo punto all’uomo balena perfino l’idea che forse potrebbe non esserlo mai - ormai sono quasi tre anni che se lo porta in giro per il mondo, mettendolo di fronte, senza alcuna remora, a tutte le bassezze meschine e le incredibili crudeltà di cui l’essere umano è capace. Eppure l’innocenza di Allen, a dispetto anche dell’infanzia che ha passato, non ne è stata minimamente intaccata anzi, negli ultimi mesi, da quando ha conosciuto quel Narein, quell’innocenza sembra perfin essersi fatta più splendente.

Se Allen fosse stato un moccioso qualunque, arrivati a quel punto Cross avrebbe rinunciato all’idea di farne un apostolo - compatibile o no, uno così non avrebbe potuto essere di nessun aiuto nella guerra.

Ma Allen non è un moccioso qualunque, è il figlio e l’erede designato del Quattordicesimo, che gliel’ha affidato perché lui, Cross, ne facesse un esorcista. Quindi non può gettare la spugna. E per vincere la resistenza opposta dal cuore troppo puro del ragazzino, al generale non resta che usare le maniere forti - per quanto la prospettiva non gli piaccia, perché in fondo Allen non si merita tutto ciò.

Riportando l’attenzione sull’akuma e sul discepolo, chiaramente sul punto di fuggire, Cross sogghigna: ora sa come smuovere Allen. Il fatto che il Conte abbia voluto sfruttare la tragedia di Narein (distraendo persino la sua attenzione con un attacco diversivo), offre al generale la possibilità di forzare la mano al ragazzino inglese, facendo leva sull’affetto che nutre per Narein e Miena.

Rivolgendosi direttamente ad Allen, Cross richiama la sua attenzione su quello che è il dovere fondamentale di ogni esorcista (almeno secondo la propaganda dell’Ordine, lui non ci ha mai creduto molto): il compito degli apostoli è interrompere quella catena infinita di disperazione iniziata dal Conte.

Allen lo ascolta incredulo, paralizzato dal terrore, ma poi gli basta dare una nuova occhiata al fantasma incatenato di Miena per capire quello che deve fare.

L'anima sta piangendo. Piange per la sua condizione di prigioniera, perché è costretta ad alimentare e muovere quel corpo meccanico che non ballerà mai leggero per le sale da ballo, ma piuttosto porterà solo nuova distruzione e nuovo dolore.

In quel momento, Allen comprende che l'unica cosa che può e deve fare è distruggere quella creatura, liberando Miena dalle catene del Conte; ed è quel nuovo e bruciante desiderio di restituire alle anime ingannate la libertà perduta che gli consente di attivare con successo, per la prima volta, la sua arma anti-Akuma.

Basta un colpo solo. L'Akuma esplode e l'anima di Miena, finalmente libera, sale verso l'alto con un flebile mormorio di ringraziamento prima di scomparire nel cielo infiammato dal tramonto.

 

Osservo la scena che si sta svolgendo davanti ai miei occhi con un’espressione che io stesso fatico a decifrare. Porca puttana, chi l’avrebbe mai detto che il moyashi avesse alle spalle cose del genere?! (Che fottuta sensazione di familiarità… anch’io sono stato costretto ad uccidere il mio… migliore [unico] amico…)

Quando la sua maledizione si attiva, poi, la mia sorpresa si fa persin più grande (unendosi ad un senso di disgusto) nel momento in cui vedo per la prima volta quel che vede lui - che visione orrenda un’anima incatenata…

Finché la battaglia non termina, non riesco a staccare gli occhi dall’akuma (dall’anima al suo interno); ma appena l’esorcismo si compie e vedo con gli occhi di Walker il sorriso della ragazza liberata, una folla di pensieri iniziano a vorticarmi nella mente per poi concretizzarsi in un’unica domanda: se il moyashi può vedere le anime degli akuma, cosa vede quando posa lo sguardo su di me?

 

Osservando il ragazzino afflosciarsi su se stesso, shockato da quanto accaduto, Cross non può fare a meno di contrarre le labbra in una smorfia che sa di stizza e, vagamente, anche di impotenza: se ora Allen non troverà la forza di rialzarsi e non gli dimostrerà di aver fatto fuori quell’akuma consapevolmente (ma soprattutto di aver capito il perché era suo dovere farlo), il generale dovrà prendere seriamente in considerazione l’idea che quel moccioso non potrà mai essere un esorcista. Certo, ciò non lo salverà dal destino che il Quattordicesimo, suo padre, scrisse per lui quando impiantò in lui le proprie memorie, ma farà inevitabilmente saltare la seconda metà del piano - combinare in un essere umano il potere di Noah e dell’Innocence – quella fortemente voluta da Cross stesso e realizzabile solo in Allen e solo in virtù dell’eccezionale identità dei suoi genitori.

Ora sta tutto al ragazzino.

E il generale deve ammettere di temere un fallimento (il che sarebbe un colpo durissimo per il proprio orgoglio).

Mentre le lacrime scendono incontrollate il piccolo riprende a respirare, rilasciando il fiato che aveva trattenuto durante l'attacco, per la paura di non riuscire a compiere l'unica azione necessaria per liberare l'anima imprigionata.

Ora che l'akuma è stato distrutto e ogni minima traccia dell'esistenza di Narein e Miena è scomparsa nella brezza della sera, Allen e Cross restano soli sulla riva del fiume.

L'uomo fuma tranquillo, borbottando un paio di frasi di congratulazioni che l'allievo cerca inutilmente di ignorare. Troppo è il dolore per la perdita dell'amico, troppa l'angoscia nell'esser dovuto diventare - per l'ennesima volta - portatore di distruzione per la persona amata. Delle congratulazioni non se ne fa nulla, servono solo a farlo stare peggio.

Non crede che il generale possa capire, comprendere appieno quanto sia stato difficile per lui alzare la mano contro il suo migliore amico. L'unica cosa che riesce ad alleviare la sua pena, al momento, è il sorriso di sollievo che l'anima di Miena gli ha rivolto prima di svanire. È bastato quello per rassicurarlo, perché ora nel profondo del suo cuore sa che le anime dei suoi due migliori amici sono da qualche parte, lassù, felicemente assieme.

“È solo in questo modo che possiamo salvarli, vero?” chiede, rialzandosi in piedi e fissando il sole che si sta pian piano nascondendo dietro le colline a ovest.

Il sussurro triste del ragazzino quasi si perde nello sciabordio quieto della corrente, tanto che Cross non è del tutto certo di aver compreso la sua domanda – anche perché suona perfin assurda.

“Salvarli?” ripete con una vaga ironia. Se lui vuol credere che la missione degli esorcisti è salvare le anime degli akuma, se questo gli può servire per andare avanti, che lo creda “Questa è la nostra missione, Allen. E se tu ritieni che distruggendo un akuma se ne salvi l’anima, non sarò certo io a contraddirti…” continua l’uomo con voce piatta, forse anche un po’ annoiata.

Il ragazzino si asciuga gli occhi con la manica, poi si china a raccogliere ciò che resta della piccola composizione floreale per Miena. Senza dire una parola si avvicina a una delle piccole pire che illuminano il lungofiume e vi getta le corolle ormai secche. Un sottile filo di fumo odoroso sale al cielo, seguito da due occhi color argento rossi di pianto, ma quando l'inglese si volta nuovamente verso il suo maestro, il suo sguardo non è più perso e disperato, bensì colmo di speranza e di determinazione.

“Insegnatemi come si fa, Maestro.”

Avvicinandosi di qualche passo a lui, il generale sorride sornione. “Insegnarti cosa? Gli akuma si esorcizzano tutti allo stesso modo, discemolo, e mi sembra che tu lo sappia già fare, per quanto a tentoni” la sua risposta non è proprio incoraggiante, ma dopotutto incoraggiarlo non è certo il suo compito - anzi, Cross sa di avere il dovere di rendere la vita di Allen più dura possibile cosicché lui si faccia forte in vista di quel che lo aspetta in futuro.

“Ciò che posso insegnarti, anche se mi sembri molto restio ad imparare, è quanto la vita sia schifosa e quanto gli esseri umani siano infidi e meschini. È sapere questo che ti rende un esorcista. Sei disposto ad impararlo?”

“So benissimo che la vita non è tutta rosa e fiori, Maestro, ma credo anche che non siano tutti infidi e meschini come dite. In fondo sono proprio coloro che non lo sono a rischiare maggiormente di finire nella trappola del Conte, no? Io ho visto la pena di quella povera anima imprigionata e il suo sollievo nel tornare libera, così come ho visto la disperazione di Mana quando l'ho tramutato in akuma... ci sono passato, ho provato sulla mia pelle cosa si prova! Questo è quello che so, e sono intenzionato a far sì che ciò non debba più accadere... “ risponde con rabbia l'inglese, prima di tornare incamminarsi spedito verso l'edificio principale.

Vedendosi superare (ignorare, quasi!) con passo tanto deciso, Cross si trattiene a stento dallo scoppiare a ridere alle spalle esili del ragazzino – quelle spalle che ora lui tiene così fieramente dritte, così come il viso, sporco di lacrime e polvere.

Cercava una conferma, il generale, voleva una prova per convincersi che non fosse tempo sprecato provare ad impregnare di oscurità un moccioso dall’anima tanto pura, così da salvargli la vita.

Quella conferma l’ha avuta, il generale, ma non era quella che aspettava. Ora sa che Allen non potrà mai essere un esorcista, quantomeno non nel senso che lui, Cross, ha sempre inteso. Quel moccioso dall’anima tanto pura l’ha battuto, col suo candore ha vinto l’oscurità.

E il generale, che si è sempre fatto vanto d’essere uomo d’onore (sebbene nel suo particolarissimo modo), ora che si è visto sconfitto in quell’implicita sfida di volontà, non può tirarsi indietro, sottraendosi al suo impegno: quindi insegnerà ad Allen ad essere esorcista a modo suo… anzi, lo metterà in condizione di imparare.

Ora la risata di Cross esplode sonora nel silenzio della sera, mentre l’uomo in poche falcate raggiunge il discepolo. Superatolo, si ferma per un attimo, giusto il tempo di regalargli un ghigno che in molti definirebbero inquietante.

“Sei un gran sognatore, ragazzino. Vedremo cosa saprai fare quando si tratterà di realizzare quei sogni”

 

Cazzo, se non è bastardo Cross…

Il dialogo (per certi versi surreale [ma che razza di rapporto c’è tra quei due?]) cui ho appena assistito ha catalizzato la mia attenzione tanto da farmi dimenticare (accantonare) i ragionamenti di prima: a parte il fatto che non sono nemmeno certo di avere un’anima, se anche il moyashi l’avesse vista comunque ormai non ci potrei far niente (tranne negare fino allo stremo: non voglio la sua pietà [perché, anche visto il suo passato di merda, so che la proverebbe - è nella sua natura])

E comunque se questo è sempre stato l’andazzo tra quei due, adesso si spiegano molte delle paranoie e dei comportamenti della mammoletta… per uno dal cuore tenero come lui, un maestro che non ti tiene nella bambagia ma fa di tutto per mostrarti sempre il peggio del mondo dev’èssere stato uno shock, ma per certi versi avrebbe potuto anche essergli utile…non fosse stato lui così idiota come invece è, sempre a credere che ci sia ovunque del buono («Sono intenzionato a far sì che ciò non debba più accadere»… pazzo! Cosa credi di fare tu? [Come fai ad essere così nonostante tutto?])

Mentre la solita cortina di buio scende ad offuscarmi la visuale del fiume (e perché la accolgo con sollievo? Questa non è stata una scena particolarmente cruda, eppure…[non è stata cruda, è stata crudele]), non posso fare a meno di scuotere il capo, chiedendomi cosa mi aspetta ancora da vedere.

 

L'alba del nuovo giorno vede Maestro e discepolo intenti a preparare i bagagli. O meglio, è Allen che si sta dedicando al riempimento delle valigie, mentre Cross si sta... ehm... intrattenendo un'ultima volta con la loro ospite.

“Sarò anche un sognatore, ma almeno non sfrutto la gente per i miei porci comodi” borbotta, ripiegando accuratamente la sesta camicia dell'uomo.

Il ragazzino non ha quasi chiuso occhio, quella notte, troppo preso a rimuginare su quanto accaduto. Ha come la vaga impressione di essersi fregato da solo, parlando al suo Maestro in quel modo, ma più ci pensa e più è convinto di quanto ha detto.

Tutto quel che ha passato fino a quel momento, tutti i momenti felici, tutti i momenti tristi... ci deve essere un perché che spieghi tutto ciò che accade, no? Deve avere un significato, anche se al momento non riesce a vederlo chiaramente. La sua stessa vita, per quanto breve, assume un senso vero solo se inserita all'interno di quel «piano più grande», dopotutto. L'ha capito ormai da tempo che ogni essere umano non può pensare a se stesso come un'esistenza indipendente da tutto il resto. Il mondo che ti circonda ti condiziona e tu condizioni il mondo che ti circonda, volente o nolente.

Ci ha pensato e ripensato. Quell'uomo ha fatto la differenza, per lui. Gli ha dato una seconda possibilità.

“...e se lo shisho non fosse così assurdo, non avrei imparato a sopravvivere con le mie sole forze, devo ammetterlo.”

Ora tocca a lui fare la differenza. Come lui, anche le anime imbrogliate dal Conte hanno diritto a scegliere di nuovo, ma per loro sfortuna non hanno un Mana o un Cross che li porti sulla via del ravvedimento. Tocca a lui dividere con loro il grande dono che il cielo gli ha dato. Tocca a lui riportare loro la speranza.

“Pero è anche vero che lui, senza di me, non avrebbe potuto permettersi certe cose...” continua, parlando fra sé e sé, appaiando calzini e incastrando pantaloni in modo da far entrare tutto il guardaroba dell'uomo nell'esiguo spazio a sua disposizione. È incredibile quanta roba si porti dietro il generale. Per preparare la sua valigetta l'inglese ha impiegato la metà del tempo!

Una volta chiusa con fatica la cerniera, sul letto rimangono un paio di bottiglie di liquore ancora nuove e alcuni pacchetti di sigarette.

“Ecco, appunto. Senza di me non si potrebbe permettere quella robaccia... ma questa volta fino alla prossima città dovrà farne a meno” ghigna Allen, decisamente compiaciuto, prendendo alcool e tabacco e nascondendoli fischiettando sotto al letto. Lo sa bene che una volta arrivati nel più vicino centro abitato dovrà ricominciare a lavorare per ricomprarglieli, lo sa. Ma pensa sia una buona idea far capire al Generale che lui non è uno stupido moccioso che non sa fare altro che farsi mettere i piedi in testa, da Cross o da chiunque altro. O almeno, è fermamente intenzionato a provarci... 

Trascinandosi appresso i due bagagli, il ragazzino maledetto esce senza voltarsi da quella che è stata la sua stanza per gli ultimi mesi.

Non si volta nemmeno una volta, tira dritto per la sua strada. Niente più lo trattiene in quel luogo, dopotutto, se non dei cari ricordi che rischierebbero di venire annacquati dalla malinconia nel caso maestro e discepolo continuassero la loro permanenza nel palazzo della vedova del maharaja. Spalle dritte e testa alta Allen esce senza voltarsi, il sorriso sulle labbra e lo sguardo pieno dell’amore dei suoi migliori amici inciso nel cuore, diretto alla carrozza che li porterà alla stazione più vicina.

Alla carrozza, però, il ragazzino non fa nemmeno in tempo ad arrivarci perché Cross lo ferma subito prima che varchi la porta del palazzo. La camicia stropicciata e l’onnipresente sigaretta in bocca, l’uomo è poggiato allo stipite a ravvivarsi i capelli, con aria decisamente soddisfatta.

Avvicinandosi, la prima cosa che Allen nota in lui, oltre al sorriso sornione, è l’intenso profumo di donna che lo avvolge e l’indolenza che pervade tutti i suoi movimenti.

“Ohi discemolo!” lo saluta il generale, appena lo vede voltare l’angolo trascinandosi dietro i bagagli “Riporta tutto indietro, devo cambiarmi la camicia… non vorrai mica che viaggi con gli abiti così in disordine!”

Mollati i due carichi, che si schiantano a terra sollevando nuvolette di polvere, Allen si prende trenta secondi per fissare il suo maestro con lo sguardo più cattivo che riesce a fare. L'effetto ovviamente è nullo, anche perché si rende conto di poter fare ben poco a parte scuotere la testa e fare dietrofront. Ripresi i bagagli torna borbottando all'interno... e meno male che le stanze sono disposte tutte al pian terreno!

L'inglese torna in camera e rimette il baule nell'angolo da dove l'ha preso, slacciandone le fibbie.

Non si gira nemmeno, sa benissimo che Cross l'ha seguito e ora è lì che lo fissa fumando il suo adorato tabacco, quindi gli chiede: “Quale camicia vi serve, shisho?”

Andiamo, non si aspetta certo che il generale si cerchi la camicia da solo... Ma arriverà il giorno che gliele tirerà dietro, le sue cose, è pronto a scommetterci!

“Ma come siamo scontrosi, discemolo!” esclama l’uomo, fintamente offeso “Cos’è, ci sei rimasto male che ti ho lasciato qui tutto solo mentre io stavo con la signora?” gli domanda, sedendosi a rovescio su una sedia, le braccia incrociate sulla spalliera, e reggendosi il mento nel palmo della mano “Hai ragione, sono il tuo maestro, quindi devo insegnarti… vorrà dire che la prossima volta verrai a farci compagnia, ok?”

“Eh? Ma cosa state dicendo!” esclama il ragazzino, girandosi di scatto verso il generale. Ormai ha capito come funziona tra lo shisho e le sue «amiche», non è scemo... ma non per questo intende essere coinvolto in certe… cose, ecco!

“Non mi da fastidio starmene per conto mio, grazie tante!” aggiunge, arretrando di un passo e agitando le mani davanti al viso, tutto rosso per l'imbarazzo “È che mentre voi vi divertivate io faticavo a preparare i bagagli, quindi potreste se non altro evitare di farmi tirare fuori i vostri vestiti una nuova volta!” aggiunge, distogliendo lo sguardo e mettendo il broncio.

Divertito dall’imbarazzo del ragazzino, Cross scoppia a ridere; volendo non avrebbe difficoltà ad infierire ulteriormente, mandandolo ancor più in confusione - ma non se la sente di essere troppo crudele con quel marmocchio: in fondo gli è affezionato, e poi gli piace la sicurezza che si sforza di mostrare.

Decide quindi di alleggerire la tensione e, calmato l’accesso di risa, mentre si accende una nuova sigaretta accenna col mento alla valigia. “Comunque voglio indossare la casacca di shantung, fammela portare nella stanza da bagno…

Allen crolla il capo, sconfitto: ovviamente, la casacca di shantung è stata la prima che ha messo nel baule, visto e considerato che il maestro aveva detto di non volerla più indossare in India a causa del clima troppo caldo…

 

I due mesi successivi passano rapidamente, tra i soliti lavoretti per ripagare i debiti di Cross e i sempre più frequenti interventi per fermare gli attacchi degli akuma.

Man mano che i due viaggiano verso est, attraversando la giungla del Bengala a dorso d'elefante e poi nuovamente in treno, gli avvistamenti delle creature del Conte aumentano in maniera esponenziale. Il generale decide quindi di non avvicinarsi ulteriormente, modificando il tragitto che originariamente li avrebbe dovuti portare verso Edo, e opta invece per tornare a Madras per godersi una tranquilla quanto meritatissima vacanza.

È lì, in un tiepido pomeriggio di aprile, che il generale decide di dare una svolta all’apprendistato del suo allievo: da quando l’ha costretto a fare fuori il suo amico tramutato in akuma, Allen ha pian piano acquisito sempre più sicurezza nell’uso dell’Innocence, ma soprattutto sta iniziando a prendere coscienza del vero significato dell’essere un esorcista – sebbene, a giudizio di Cross, si ostini ad essere sempre un po’ troppo idealista.

Ciò nonostante, in battaglia il ragazzino continua ad essere impacciato ed esitante: certo, è questione di pratica, ma l’uomo sa benissimo che, senza una guida, probabilmente Allen (che  quanto pare non è per niente portato per il combattimento) riuscirebbe a farsi ammazzare prima di aver maturato la necessaria destrezza. È per questo che, benché la cosa lo annoi a morte, avrebbe intenzione di addestrarlo personalmente.

Tuttavia, il motivo per cui non lo farà si palesa per l’ennesima volta lampante dopo uno scontro particolarmente violento contro un gruppo di akuma.

Finita la battaglia, coperti di polvere e sudore, i due si avviano in silenzio verso la locanda dove stanno soggiornando ormai da una settimana. Ci vorrebbero proprio un bel bagno e una puntatina al ristorante al piano di sotto, pondera il generale, già prevedendo le solite lamentele dell'allievo per l'ora di cena che tende ad essere molto variabile. Eppure quella sera c'è qualcosa di strano, nel giovane inglese.

Dopo aver chiesto il permesso di allontanarsi per un po' adducendo la scusa di un lavoro da finire per poterne riscuotere il compenso, il ragazzino esce di corsa dalla locanda diretto verso uno dei vicoli bui del luogo.

Torna un'ora dopo, quando il tempo per la cena è già passato, una bottiglia di preziosissimo brandy italiano tra le mani.

L'uomo alza l'unico sopracciglio visibile, chiedendosi innanzitutto come il suo discemolo si sia potuto appropriare di una delizia del genere... evidentemente anche i lavoretti che intraprendeva durante il tempo libero erano ben retribuiti. Quando però Allen la posa sul tavolino (e poi si allontana senza una parola), Cross capisce subito che quella bottiglia non può essere frutto di risparmi messi da parte, per il semplice fatto che quello è brandy hors d'age, invecchiato almeno dieci anni o forse più… quella bottiglia da sola vale forse metà dello stipendio annuale di un operaio!

L’uomo alza gli occhi sul giovane albino, pronto a sgattaiolare fuori dalla porta in silenzio, ancora con gli abiti sporchi e il viso impolverato dalla battaglia di prima (e ancora digiuno, a giudicare dal brontolio del suo stomaco).

“Ehi Allen!” lo richiama “Vieni qui…

Il ragazzino si ferma sul posto, impietrito, poi si gira verso il maestro cercando di tenere lo sguardo più basso possibile.

“Dì un po’, dove hai preso questo brandy?”

“L'ho acquistato, Maestro”

“Questo l’avevo intuito” replica Cross, laconico “Se un tipo troppo onesto per averlo rubato… quel che voglio sapere è perché. A che mi risulta, non hai ancora l’abitudine di passare le serate a tracannare alcolici da solo”

“Se così fosse non l'avrei certo portato qui... scommetto che fra un paio d'ore quella bottiglia sarà desolatamente vuota!” borbotta il più giovane, alzando gli occhi al cielo. “Comunque era un... beh, era un regalo, ecco. Per festeggiare il nostro secondo anno di viaggio. L'ho vista quando ha adocchiato la bottiglia in quel bar, cosa crede, shisho? Solo che costava più del previsto, e ci ho messo più di due mesi per racimolare la somma necessaria.” conclude poi quasi sottovoce, dondolandosi prima su un piede e poi sull'altro, pensando che forse avrebbe fatto meglio ad evitare un gesto così... imbarazzante! Già si immagina le grasse risate di Cross alla sua spiegazione!

E invece Cross non ride affatto. Prende la bottiglia per il collo e la osserva in controluce, apparentemente ammirando la calda tonalità ambrata del brandy che contiene; in realtà l’uomo non sta facendo altro che prendere tempo, puntellando la sua maschera di indifferenza mentre cerca di interpretare l’atteggiamento dell’allievo.

Deve ammettere che non si aspettava che il ragazzino gli facesse un regalo del genere… non perché non lo apprezzi, al contrario! Il problema è che lui non vuole che Allen gli si affezioni: non va bene, anzi sarebbe solo un impiccio per entrambi nella realizzazione del destino che lo attende.

Deponendo lentamente la bottiglia sul tavolo, il generale osserva di sottecchi il ragazzino, sempre intento a fissare i segni che le tarme hanno lasciato nelle assi del pavimento, stropicciandosi nel frattempo i piedi con un certo nervosismo.

Deve soffocare in lui quel sentimento inopportuno adesso che è ancora in germe, prima che si faccia troppo forte per poter essere eradicato senza danni. Come prospettiva non gli piace per niente, ma Cross sa di non avere alternative - ma perché accidenti tocca ogni volta a lui la parte del cattivo? Prima con Mària, adesso con suo figlio…

Con un impercettibile sospiro di esasperazione, sempre senza dire una parola, l’esorcista si alza. “Va bene, va bene… ora va’ a dormire. Domani partiamo all’alba” conclude piatto, lasciando la stanza.

Allen guarda con occhi tristi la porta che si chiude alle spalle del suo maestro. Non riesce proprio a capire... Non pensava di fare qualcosa di male comprando quella bottiglia, accidenti! Ha lavorato sodo per tre mesi, aggiungendo lavoretti part-time ai lavori che già faceva per pagare i debiti che il generale lasciava dietro di sé, cercando di non farsi beccare (perché in quel caso Cross avrebbe potuto «consigliargli» di continuare a lavorare 20 ore al giorno, anziché le 12 a cui era ormai abituato) e nascondendo ogni singola pesante moneta nel proprio bagaglio.

Ha faticato anche per acquistarla, dato che presentarsi anche con i soldi contati non serve a nulla se il venditore è fissato con la storia della maggiore età e si rifiuta di venderti una bottiglia perché «i bambini devono stare lontani dall'alcool»!

Ci ha messo impegno, per portare a casa quel brandy, e ora lo shisho che fa? Occhieggia a malapena quella stessa bottiglia per la quale si stava imbambolando davanti alla vetrina e se ne va, senza nemmeno dire grazie?

Che bello, davvero. Che stupido maestro. E che stupido allievo è lui, a pensare anche solo lontanamente che l'uomo avrebbe potuto apprezzare un gesto del genere. Non gliene importa niente, dopotutto, no?

Pugni stretti e sguardo fisso a terra per cercare di ricacciare indietro le lacrime di rabbia, il ragazzino corre a rifugiarsi nella sua camera.

 

Quando anche il moyashi se ne va sbattendo la porta (l’ha presa parecchio male a quanto sembra [sempre il solito emotivo, si fa ferire da qualunque cosa]), rimango solo, (solo con una bottiglia di brandy che vale un patrimonio [e che comunque non posso prendere…]): che culo, sono qui come un ebete in una stanza non mia, senza minimamente sapere dove accidenti sono, che giorno è o cosa cazzo sta succedendo (di cosa mi stupisco? Ormai dovrei averci fatto l’abitudine… [è così da quando sono nato, no?])

Ad ogni modo, per quanto la trovi esagerata, condivido la reazione stizzita di Walker davanti al comportamento del generale: è palese che, per quanto lui l’abbia sempre trattato come una pezza da piedi, il moyashi gli sia affezionato (non me ne stupisco, in fondo deve tutto a quell’uomo [come in fondo anch’io… con Tiedoll…]). S’è fatto un mazzo tanto per dimostrarglielo e Cross per tutta risposta l’ha spudoratamente ignorato… fossi stato al posto di Walker, un bel vaffanculo non glielo levava nessuno, maestro o non maestro – l’ho sempre detto che è una mammoletta.

Eppure posso riuscire a capire la reazione di Cross (il moyashi non potrà mai, non sa cosa c’è davvero dietro la propria vita). Se le cose stanno come ho visto, se tutto questo non è soltanto una fottuta illusione, è ovvio che il generale ha fatto di tutto per tenere lontano Walker: non può permettersi che degli stupidi sentimentalismi interferiscano con la missione… lui è sicuramente affezionato al proprio allievo, ma ha abbastanza sangue freddo da controllarsi. Al contrario del moyashi - e Cross lo sa benissimo, per questo ha preferito farsi odiare (anche se sono convinto che Walker non lo odierà mai [non che non ne sia capace]) piuttosto che metterlo in pericolo…

Il filo del ragionamento si spezza sotto il peso di un pensiero che vorrei a tutti i costi reprimere ma che, inspiegabilmente, si fa strada con violenza dal mio inconscio. Spalanco gli occhi.

Farsi odiare per proteggere… forse che Alma…

Non ho il tempo di trovare una risposta alla domanda che non ho il coraggio di pormi, perché il buio mi trascina di nuovo con sé.

 

Nei giorni successivi, mentre si spostano quasi a tappe forzate da una città all’altra, Cross non perde occasione di distanziarsi dal suo allievo. Ha preso la decisione di porre fine all’apprendistato del ragazzo e di farlo in maniera da lasciare di sé un ricordo peggiore possibile, sta solo cercando la situazione ideale per dividere le loro strade e spedire Allen alla sede dell’Ordine, là dove potrà diventare veramente un esorcista.

Al termine di un’estenuante settimana di viaggio, i due giungono a Bombay, lì dove erano sbarcati non molto tempo prima, al loro arrivo in India. E sempre da lì Allen solo ripartirà alla volta dell’Inghilterra.

Dopo aver preso alloggio in una lussuosa abitazione alla periferia della città, mentre l’albino scarica tutto il loro bagaglio, Cross se ne sta seduto sull’ampia terrazza coperta (quasi una sorta di locale con tre sole pareti e la quarta aperta verso il mare), sul tavolino l’immancabile bottiglia di rosso francese di gran classe e tra le labbra la solita sigaretta.

L’uomo è apparentemente sciolto e rilassato come sempre, ma in realtà, ad osservarlo con attenzione, si potrebbe notare che il vino nel calice da parecchio tempo non diminuisce, mentre la sigaretta si consuma lentamente in un filo di fumo che si confonde tra le volute odorose dell’incenso che profuma l’ambiente.

Finito di sistemare la loro roba, Allen lo raggiunge, inginocchiandosi sui cuscini all’angolo della stanza, in attesa di istruzioni.

Fa caldo, e la grande umidità non facilita il restare seduti troppo a lungo in una posizione scomoda. Per fortuna il ragazzino ha pensato bene di arrotolare le maniche della camicia, lasciata leggermente aperta sul torace, prima di prendere posto davanti al suo maestro. Ora vorrebbe andare a rinfrescarsi, magari a mangiare qualcosa... ma finché Cross non parla non può muoversi di un millimetro. 

Mentre l’uomo continua a fumare, bere e tacere, Allen inizia a chiedersi quale stramba idea uscirà questa volta dalla bocca del suo shisho. Spera ardentemente di non doversi avventurare nella giungla per catturare una tigre, già col leone in Kenya gli era andata bene per miracolo!

Poi, come nulla fosse, l'uomo inizia a parlare.

“Incredibile, sono già passati tre anni da quando sei diventato mio apprendista. Hai fatto passi da gigante sulla strada per diventare esorcista...”.

Cross pronuncia la frase con tono calmo e tranquillo, sorseggiando il suo vino, ma Allen inizia già a fremere. Non sa cosa sta per succedere, ma è difficile che lo shisho dica qualcosa di diverso da “Allen fai questo”, “Allen fai quello”, “Allen combatti tu al posto mio”, “Allen voglio questo o quello”. Il ragazzino sente che è un momento importante e deve concentrarsi per non farsi prendere dall'agitazione!

“... quindi credo che da oggi tu possa fregiarti ufficialmente del titolo di esorcista” conclude l'uomo.

“Davvero?” esulta Allen, quasi saltando in piedi dall'entusiasmo.

“Sì, però... occorre che tu faccia visita al quartier generale, prima.”

A questa piccola postilla la gran gioia viene sostituita da un brivido di paura. Non che ad Allen dispiaccia un nuovo viaggio, questo no, è che stavolta c'è qualcosa di strano...

“Sai dove si trova, giusto?” chiede Cross alzandosi e avvicinandosi a lui, un martelletto comparso dal nulla tra le mani e l'espressione più demoniaca che il suo apprendista gli abbia mai visto in viso.

Eh… uh...”

Allen inizia a balbettare, terrorizzato, arretrando lentamente per allontanarsi il più possibile da quell'oggetto contundente...

Timcanpy verrà con te. Ho già mandato una lettera di presentazioni a Komui. Parti subito appena ti svegli, domattina” continua il generale, avvicinandosi sempre di più.

Allen è ormai bloccato tra il martello e il muro, senza alcuna speranza di uscire da quel pasticcio in cui non sa come è finito...

“Ah, ok. E lei non viene con me, giusto?” pigola, senza distogliere lo sguardo dalla mano armata di martello.

È una situazione assurda! Se deve andare da solo al quartier generale basta dirlo, no? Suvvia, lo shisho non può essere così irritato da volerlo mettere KO con una martellata, giusto?

L'ultima cosa che Allen sente, prima di perdere conoscenza, è l'urlo del suo maestro.

“Io. Odio. Quel. Luogo!”

Improvvisamente, prevedibilmente, tutto si fa buio.

 


 

IL POST-IT DELLE AUTRICI

Come detto in precedenza, elenchiamo di seguito tutte le citazioni contenute nel capitolo che avete appena letto.

 

-      Il titolo: citazione composta traendo spunto da due passi biblici.

      Ger. 20,9 “Nel mio cuore c’era come un fuoco ardente trattenuto nelle mie ossa”

      Mt. 16,24 “Allora il Signore Gesù disse ai discepoli: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua»

-      Le battute relative alla distruzione dell'Akuma/Narein e quelle relative alla scena della martellata sono tutte prese dagli episodi dell'anime, in particolare dal numero 28 “Il mio maestro: il generale Cross” (che abbiamo visto e rivisto mille mila volte in giappo con i sub in inglese XD).

 

Per questo capitolo è tutto! Se avete un qualsiasi dubbio, chiedete pure!

E ricordate… in missing moments we trust!

Alla prossima!

Lety&Mistral

 

 

 

NEXT SHOT ON SEP. 10, 2010

Dont miss it!

 

 

 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=491119