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Premessa.Questa storia non
tiene conto della maggior parte degli avvenimenti successivi alla seconda
stagione. In particolare, Tyler non è mai stato trasformato in ibrido, Elena è
umana e Alaric è ancora vivo.
Buona lettura!
Caroline sospirò, indirizzando un’occhiata malinconica
alla luna: era la vigilia del plenilunio e l’indomani Tyler avrebbe
attraversato quello stesso viale per allontanarsi il più in fretta possibile
dalla sua famiglia. Dalla sua casa, dai suoi figli. A Caroline era bastato
ascoltare il tono di voce con cui l’uomo si era rivolto ai bambini tutta la
sera, per intuire quanto li amasse; quanto avesse bisogno di sentirli protetti
e al sicuro, specialmente durante le notti di luna piena. Non avrebbe mai permesso
al lupo di avvicinarsi a loro.
Con la consapevolezza ancora velata per ciò che stava
per promettere a sé stessa, Caroline comprese che lei stessa avrebbe fatto il
possibile per aiutarlo ad assolvere quel compito.
For I amfinding out that love willkill and save
me But the same love will take thisheartthat'sbarelybeating
And fillit with hopebeyond the stars.
The beauty and the tragedy.Trading
Yesterday
Mystic Falls, Settembre 2035.
Jeremy Gilbert si girò più volte nel letto, prima di
costringersi ad aprire gli occhi; un ticchettio fastidioso aveva incominciato a
diffondersi nella stanza da una buona manciata di minuti, impedendogli di
prendere sonno.
“Hazel” chiamò a bassa voce, stropicciandosi gli
occhi. Si allungò per premere il bottone di accensione della lampada. “Haze,
senti anche tu questo rumore?”
“Uhm…” la moglie farfugliò qualcosa nel dormiveglia, prima
di voltarsi dall’altra parte.
Jeremy allontanò le coperte dal suo corpo e,
controvoglia, si avvicinò alla parte della stanza da cui proveniva il rumore;
frugando nei cassetti del comò tirò fuori un paio di fazzoletti di stoffa e due
o tre vecchie cravatte che nemmeno ricordava più di avere. Con gli occhi
impastati dal sonno, Jeremy infilò una seconda volta la mano nel cassetto: i
suoi polpastrelli entrarono in contatto con una superficie fredda e liscia. Nel
momento esatto in cui Jeremy attirò a sé l’oggetto, il ticchettio cessò.
Osservò il vecchio orologio di famiglia con aria confusa; d’un tratto, nei suoi
occhi, si accese una scintilla di consapevolezza e l’uomo voltò l’aggeggio.
L’ago della bussola ricavata dalla parte superiore dell’orologio oscillava
ancora leggermente. Istintivamente, Jeremy si avvicinò alla finestra. Dopo
essersi assicurato che la moglie stesse ancora dormendo, sollevò lo strumento
di fronte a lui: l’ago rimase immobile. Confuso e sollevato al tempo stesso,
Jeremy scoccò un’ultima occhiata alla bussola prima di riporla nel cassetto:
doveva essersi sbagliato, rifletté fra sé e sé, prima di tornare a letto. Lo
strano ticchettio non si fece più sentire per il resto della notte.
*
A quasi trecento metri di distanza, qualcuno si stava
allontanando a passo svelto dal viale in cui vivevano i Gilbert. La mano della
persona tremò appena, quando il suo indice sfiorò il campanello di casa Forbes.
La donna che venne ad aprire la porta in vestaglia aveva corti capelli
scompigliati e un’aria piuttosto stanca. I suoi occhi erano spenti: ricordavano
qualcuno che è invecchiato tanto in poco tempo. Tuttavia, quelle iridi, si
illuminarono all’istante quando riconobbero i lineamenti della ragazza che
sorrideva sulla soglia.
“Caroline?”
Caroline Forbes sorrise. Aveva l’aspetto di una
diciassettenne, ma il suo sguardo era profondo e maturo, da donna adulta.
“Ciao, mamma.”
Si sforzò di ricambiare il suo sorriso. Un’unica
lacrima solitaria riuscì comunque a sfuggire al suo controllo. Caroline si
lasciò stringere dalla donna, riconoscendo oltre la sua spalla colori e forme
che a lungo avevano costituito il suo mondo.
“Sei tornata” dichiarò Liz, accarezzando con tenerezza
i capelli biondi della ragazza: erano ancora ondulati e morbidi, della stessa
tonalità e con lo stesso profumo di quando aveva stretto sua figlia a sé per
l’ultima volta, dieci anni prima.
“Sono tornata” ripeté Caroline, in tono di voce
rassicurante. Sciolse l’abbraccio della madre, così da poterla guardare negli
occhi. “Questa volta per restare.”
Anzitutto, buona sera (buon
mattino? Uhm).Chi ha letto “Itcalls
me home” o il ciclo di “Cappuccetto rosso” sa che sto armeggiando da un po’ di tempo per
portare alla luce questo progettino folle.
La storia che avete in questo
momento tra le zampe è ambientata a una trentina d’anni di distanza dal
telefilm. I veri e propri protagonisti della vicenda saranno i nuovi giovani di
Mystic Falls, figli dei nostri beniamini ormai adulti: Elena, Jeremy, Tyler,
Matt e Bonnie. Per chi volesse farsi un'idea dei personaggi ho inserito un
piccolo specchietto di presentazione al capitolo successivo. Nei prossimi
capitoli verranno introdotti man mano i vari giovanotti (sono nove, non
spaventatevi!). Ovviamenteanche i personaggi
del telefilm saranno presenti all’interno della trama - in particolare
Caroline.
La bussola, che fa una breve
comparsa nel prologo, è stata inserita lì per un motivo ben preciso. Della
serie: “tornerò ancora a rompervi le scatole”.
Ma anche se ogni molecola
del mio essere si è trasformata fino a rendermi irriconoscibile, il mondo
continua a girare.
I bambini crescono, e il
passare del tempo smagrisce i loro volti paffuti.
I ragazzi innamorati si
scambiano sorrisi di nascosto, parlando del più e del meno.
I genitori dormono, mentre veglia
la luna, e si svegliano quando i raggi del sole li scuotono dolcemente dal
sonno.
Mangiano, lavorano e amano.
I loro cuori non smettono
mai di pompare.
da I
diari di Stefan, strane creature.
“… E quella che abbiamo appena superato era l’aula di
chimica. Fine del tour, Bethany.”
Caroline
Lockwood si sistemò una ciocca bionda dietro l’orecchio. Cercò di individuare
la cresta di capelli scuri del suo migliore amico tra la folla, ma quel
pomeriggio, nel corridoio, non vi era alcuna traccia di Alexander Gilbert. Non
faticò a immaginarlo ancora mezzo addormentato sul banco, provato dalla doppia
razione di storia avuta quella mattinata. Sorrise alla nuova compagna di corsi,
rallentando per stare al suo passo.
“Hai
bisogno di qualche altra informazione?”
Bethany
arrossì; lentamente, allungò un braccio in direzione degli armadietti.
“Non
è che conosci il nome di quel ragazzo, per caso?” domandò, indicando uno degli studenti.
Caroline scosse il capo con un cipiglio a metà fra l’esasperato e il divertito:
conosceva fin troppo bene il giovanotto che aveva catturato la sua attenzione.
“Ehi,
fighetto!” lo richiamò a quel punto, avvicinandosi agli armadietti con Bethany
al seguito.
Il
fighetto in questione aveva le spalle
appoggiate all’armadietto e le braccia incrociate sul petto; i colori vivaci
del giubbotto erano in aperto contrasto con le ciocche di capelli scuri che
incorniciavano il viso dai lineamenti marcati del ragazzo. Era un giovanotto
attraente, anche se il suo mezzo sorriso sghembo e canzonatorio era proprio il
genere di dettaglio che infondeva a Caroline una sorta di fastidio istintivo,
costringendola a ignorare i tipi come lui. Fortunatamente con Mason Lockwood
non aveva bisogno di porsi quel tipo di problemi, poiché il “bel faccino” in
questione non era altri che il suo fratellino.
Nel
sentirsi chiamare fighetto, Mase
scoccò un’occhiata in direzione delle due ragazze. Quando individuò il
sopracciglio leggermente inarcato di Caroline, sorrise; poi la salutò con un
cenno del capo – ignorando l’espressione paonazza di Bethany – tornando subito
dopo a fissare il via vai di studenti con aria inespressiva.
“È
mio fratello” spiegò semplicemente Caroline, allontanandosi dal corridoio. “Lascialo
perdere, Bethany…” si raccomandò, circondando le spalle della nuova amica con
un braccio. “ ... fatti questo favore.”
Bethany
sospirò con aria malinconica, quasi come se la ragazza le avesse appena
consigliato di liberarsi del suo animaletto domestico.
“Perché
è così carino?”
Caroline
roteò gli occhi; attirò a sé la borsa che conteneva la sua attrezzatura da
lacrosse per evitare di colpire qualcuno.
“Coraggio.
Ci attende una pallosissima lezione di fisica…” annunciò a quel punto,
afferrando Bethany per un braccio e guidandola fuori dal corridoio. Per la
fretta, quasi non si scontrò con un ragazzo che si stava muovendo nella loro
direzione.
“Scusa,
Oliver!” gli gridò di rimando prima di allontanarsi. Il giovanotto scosse il
capo come per minimizzare e continuò a percorrere il corridoio.
-
“
… E ce la fa!” commentò ironicamente Mason, nell’individuare l’andatura
rilassata del migliore amico fra i passi affrettati degli altri studenti.
Oliver
Gilbert stava sfogliando un fascicolo di fogli con aria concentrata,
all’apparenza per nulla turbato dal caos che regnava attorno a lui. Gli occhi
nocciola si sollevarono distrattamente dalla pagina non appena Oliver riconobbe
il tono di voce canzonatorio dell’amico.
“Ehilà,
Mase!” esclamò. Gli rivolse un sorriso luminoso mentre le dita della mano
destra andavano a recuperare la matita che aveva incastrato dietro un orecchio.
“Il
ritardo di oggi è dovuto a?” lo canzonò Mason, iniziando a camminare al suo
fianco.
“Che?”
Oliver
riprese a studiare il suo fascicolo annotando qua e là alcune piccole
modifiche. Mason aveva sempre avuto l’impressione che l’amico talvolta
faticasse a notare ciò che gli succedeva attorno, e aveva finito per invidiare il modo in cui sembrava essere
in grado di estraniarsi dalla realtà senza il minimo sforzo. Spesso l’aveva
persino sorpreso a fischiettare con aria distratta sotto la pioggia, senza la
minima traccia di un ombrello. Oliver era un tipo pacato, amichevole, incline
al sorriso per natura. Raramente a Mason era capitato di vederlo turbato o
nervoso per qualcosa; di rado si arrabbiava. E quel tratto del suo carattere
aiutava a tenere a bada gli scoppi di collera che molto spesso avevano per
protagonista Mase.
“Lascia
perdere” commentò il giovane Lockwood, dando di gomito all’amico. Oliver
ricambiò, dopo avergli scoccato un’occhiata divertita. Mason stava per
lasciarsi sfuggire una seconda gomitata, quando la sua attenzione venne d’un
tratto catturata da un particolare alla loro sinistra: qualcuno lo stava
fissando.
Non
era il tipico sguardo che riceveva spesso dalle sue compagne di corsi; qualcuno
lo stava osservando con aria apprensiva, quasi malinconica: qualcuno lo stava
osservando come se lo conoscesse da sempre.
“Oliver…”
mormorò a quel punto, tirando la manica della felpa dell’amico. “… quella
ragazza la conosci?”
Aveva
i capelli biondi e un’aria vagamente nervosa, come se il fatto di trovarsi in
un corridoio pieno di studenti la facesse sentire a disagio.
“Di
chi stai parlando?” Oliver scrutò con curiosità la zona del corridoio che
l’amico stava tenendo d’occhio. “Io non vedo nessuna ragazza sconosciuta.”
Ed
effettivamente Mason se ne accorse non appena volse di nuovo lo sguardo in
quella direzione: la ‘bionda dall’aria insolita’ non c’era più.
“Se
ne è andata” commentò in tono di voce asciutto, passandosi una mano sotto il
mento. “Niente, è che mi è sembrato di…” era sicuro di non avere mai incrociato
quella ragazza a scuola prima di quel momento. Eppure, in un certo senso, il
suo viso aveva un che di familiare.
“Di
cosa? Pronto? Mase!”
Mase
aggrottò le sopracciglia con aria pensierosa.
“Mase”
lo chiamò ancora Oliver, ma questa volta con minor convinzione. Finalmente il
ragazzo si volse in direzione dell’amico.
“Oliver?”
Oliver
scosse il capo con aria divertita.
“
Andiamo in classe, che è meglio” concluse, abbozzando un sorriso.
-
Dall’altro
lato del corridoio Caroline Forbes si stava allontanando in fretta,
maledicendosi per la stupida idea che aveva avuto. Mystic Falls le era mancata;
le era mancata quella scuola sulle cui pareti stava aggrappato il suo mondo di
adolescente: il mondo della Caroline umana. Era una Caroline lontana la ragazza
che aveva attraversato quei corridoi in passato, spettegolando in compagnia
delle coetanee; una Caroline di cui ormai conservava solo un ricordo. Provava
affetto per lei nella maniera tenera in cui si vuole bene a una sorellina
minore e aveva sentito il bisogno di riviverla - anche se solo per una manciata
di minuti - non appena aveva riconosciuto il chiacchiericcio vivace degli studenti
diretti verso la scuola.
Tuttavia,
non le era stato possibile: gli stessi armadietti che per anni avevano
simboleggiato per lei la quotidianità adesso le erano estranei, così come le
aule animate da studenti di cui non conosceva nulla – né i nomi, né le loro
storie. Si sentiva un’estranea all’interno della sua stessa città, della sua
stessa scuola. Quell’ambiente che un tempo era stato così familiare per lei,
adesso non le portava nient’altro che disagio.
E
poi il suo sguardo aveva riconosciuto qualcosa, qualcuno in quella calca di volti sconosciuti. Si ricordava di lui,
del ragazzo dall’aria distaccata che aveva individuato vicino agli armadietti.
L’aveva
conosciuto da bambino, il piccolo Mason Lockwood. Lui era quel ragazzino timido
e insicuro, il primo tra i piccoli Lockwood che aveva ricambiato il suo
sguardo. Il bimbo che l’aveva sorpresa ad ascoltare le favole che il padre
raccontava a lui e ai fratelli, prima di metterli a letto. Mason era il
ragazzino che aveva stretto a sé dieci anni prima, spostandolo appena in tempo
dalla traiettoria di un camioncino per evitare che venisse investito.
Mason
era il motivo per cui Caroline era stata costretta a riaffacciarsi al passato
quello stesso pomeriggio, incontrando una persona che faceva parte del sua vecchia
vita e che ormai era cresciuta, maturata. Era un Tyler adulto quello che le
aveva stretto la mano quel giorno. Un Tyler cambiato, come tutto a Mystic
Falls. E, nonostante gli occhi grigi e l’atteggiamento riservato di suo figlio tentassero
di indicarle il contrario, Caroline rivedeva in Mason parte di quel Tyler
Lockwood che un tempo era stato suo amico.
E
più tardi anche qualche cosa di più.
***
Florida,Jacksonville
University
Katherine
Pierce si stava annoiando.
Non
che ci fosse nulla di strano in questo: non erano molte le cose che riuscivano
a mantenere vivo a lungo l’interesse della vampira; si stufava facilmente,
Katherine.
Eppure,
la decisione di trasferirsi di straforo all’università di Jacksonville era
sorta proprio in seguito ad un suo capriccio. Dopo aver trascorso l’ultimo
decennio a scorrazzare per l’Europa in compagnia di Damon, Katherine aveva d’un
tratto avvertito il desiderio di prendersi una pausa, di cambiare aria per un
po’.
La
Florida le era parsa fin da subito la meta ideale per una sosta; ricordava
ancora bene le spiagge gremite di stranieri svogliati, i corpi scolpiti e
abbronzati dei surfisti e il chiacchiericcio vibrante degli adolescenti
appollaiati sui muretti. Il sangue fresco e le menti particolarmente duttili
dei giovani avevano spinto Katherine a tentare la fortuna con un college e
così, da due mesi a quella parte, la vampira si era stabilita alla Jacksonville
University, occupando uno degli appartamenti nella parte più popolare del
campus.
Non
era stato difficile per lei adattarsi alla vita frenetica degli studenti
universitari; la divertivano i festini del sabato sera che si trascinavano fino
all’alba, così come i biondini ubriachi che facevano a gara per attirare la sua
attenzione: tanto gagliardi la sera, ma completamente fuori gioco il giorno
successivo, quando si svegliavano con un’emicrania e diversi vuoti di memoria
(che molto spesso non avevano a che fare con l’alcool).
Ed
era proprio l’ennesimo ragazzo biondo quello che Katherine stava osservando con
interesse quel pomeriggio; il giovanotto sedeva con i gomiti appoggiati alle
ginocchia, lo sguardo completamente assorbito dal libro che reggeva tra le
mani.
Di
tanto in tanto, scoccava un’occhiata di sfuggita al cellulare per tenere
d’occhio l’orologio sul display: aveva l’aria da bravo ragazzo, accentuata
dalla massa di capelli biondo scuro che incorniciavano un viso dai lineamenti
pacati; l’espressione rilassata del giovane, tuttavia, si tese leggermente
quando il ragazzo si accorse che qualcuno lo stava osservando. Katherine gli
sorrise con una punta di malizia nello sguardo, adagiando il mento sul pugno
chiuso.
“Cosa
studi, biondino?” domandò, accennando con il capo al libro aperto sulle sue
ginocchia; il giovanotto le sorrise debolmente, a metà fra l’imbarazzato e il
divertito.
“Legge”
si limitò a rispondere, prima di scoccare l’ennesima occhiata al cellulare.
“Stai
aspettando qualcuno?” lo interpellò la vampira con un accenno di broncio,
notando il gesto. Il giovanotto tornò a ricambiare il suo sguardo: la schiettezza
di Katherine lo stava mettendo visibilmente a disagio.
“Un
amico” ammise infine, tornando a concentrarsi sul libro. “Lo accompagno
all’aeroporto.”
“Perché
non vieni con me, invece?” domandò Katherine a quel punto, avvicinandosi
ulteriormente; aveva voglia di arruffare la frangetta del ragazzo, ma dimenticò
quei pensieri all’istante quando il suo sguardo incontrò quello del giovanotto:
aveva gli occhi castani, un paio di iridi dal taglio particolare, che
risvegliarono in Katherine un’insolita sensazione di déjà-vu.
Erano
occhi, quelli, che non si scostavano poi molto dai suoi, scuri e profondi, ma
non schivi. Occhi che si sforzavano di suggerirle qualcosa.
“Vieni
con me.”
E
nel pronunciare quelle parole, Katherine si assicurò di avere lo sguardo del
ragazzo alla stessa altezza delle sue iridi. Prima che il biondino avesse tempo
di risponderle, tuttavia, un secondo giovane fece capolino alle sue spalle, e
gli diede una pacca amichevole sulla nuca.
“Jeff”
lo richiamò con un sorrisetto divertito, scoccando poi un’occhiata incuriosita
a Katherine.
“Ricki!
Eccoti.”
Il
ragazzo di nome Jeff sorrise, infilando il libro nella tracolla.
“Andiamo?”
domandò l’altro, passandosi il borsone da una spalla all’altra.
Katherine
esaminò il nuovo arrivato con un guizzo divertito nello sguardo: aveva un’aria
più scomposta rispetto al biondino, a cominciare dai ciuffi di capelli scuri
che gli ricadevano disordinatamente sulla fronte. Voltò nuovamente lo sguardo
in direzione di Jeff.
“Resta”
Cercò nuovamente di imporsi, facendo scontrare le due paia di iridi. Tuttavia,
il suo tentativo di ammaliamento non funzionò; Jeff sorrise educatamente a
Katherine e sistemò il libro di testo nella borsa a tracolla.
“È
stato un piacere…” si congedò, ignorando l’occhiatina di scherno scoccatagli
dall’amico. “… ma dobbiamo proprio andare.
Stranamente,
Katherine non replicò; incuriosita, si limitò a tallonare i due ragazzi con lo
sguardo, chinando appena il capo per contemplare il fondoschiena dell’ultimo
arrivato. Arricciando le labbra in una smorfia soddisfatta, la vampira tornò a
rivolgere la sua attenzione sul biondino di nome Jeff, domandandosi se il
ragazzo fosse a conoscenza della verbena che portava addosso.
Allora, anzitutto una premessa: non ho mai scritto
su Katherine e questo è il mio primo tentativo in assoluto. Spero non risulti
troppo OOC *si nasconde dalla Ecate*.
Tornando a noi… Ecco il primo capitolo! Sono
emozionata, ecco. I miei pargoli crescono, vagano per il sito, e non posso
che esserne felice. In questo episodio
pilota avete fatto conoscenza con alcuni dei nuovi protagonisti: c’è
Caroline (Lockwood) con la sua amata attrezzatura da lacrosse sempre a portata
di mano. Ci sono Mason (alias, fighetto) e Oliver. E poi abbiamo
una nostra vecchia conoscenza, Caroline Forbes, che inizia a rivelarci qualche
cosuccia sul suo passato… E su Mason. Entrambi i ricordi citati da Caroline a proposito del
piccolo Mase sono presenti su Efpsottoforma di one-shot
che potete tranquillamente considerarli dei “prequel” di questa storia.
Passando a Katherine… a quanto pare che la nostra
doppelgänger ha fatto conoscenza con il maggiore dei fratelli Donovan. Nel
prossimo capitolo torneremo a Mystic Falls e incontreremo un altro paio di
nuovi personaggi, ma prima o poi sentiremo sicuramente parlare ancora di Kath.
Detto questo, i prossimi capitoli arriveranno
sicuramente molto più distanziati rispetto a questi primi, così avrete tutto il
tempo per familiarizzare con i nuovi personaggi. Ci sto litigando ultimamente,
perché sono tanti e ognuno reclama il suo spazietto personale, ma mi impegnerò
al massimo per rendere la trama al meglio.
Credo di aver detto tutto.
Vi ringrazio ancora per la fiducia che avete dato
al prologo: sono rimasta in stato di shock per una manciata buona di minuti nel
rincasare e trovare le vostre recensioni. Spero di non deludervi!
L’orologio dell’aula di
chimica segnava le dieci meno un paio di minuti, quando Julian
riuscì finalmente a introdursi nella stanza. Sbuffando gettò lo zaino a terra e
si affrettò a tirare fuori l’astuccio, ignorando l’occhiataccia del professor Ringle.
“Appena in tempo, signor
Morgan.”
L’insegnante adagiò il foglio
del compito sul banco dell’allievo, la parte bianca rivolta verso l’alto. Julian dubitava che la sua presenza in aula avrebbe fatto
alcuna differenza per il risultato del test: la sera precedente aveva studiato
sì e no un paio d’ore per poi cadere addormentato sui libri ancor prima che si
facessero le undici. Si era svegliato giusto una mezz’oretta prima di
raggiungere l’aula, la guancia piatta come la superficie del libro su cui si
era addormentato. Le formule chimiche che non aveva fatto altro che ripetere al
lavoro ruzzolavano nella sua testa senza alcun criterio, alimentando il
nervosismo del ragazzo. Sospirando, Julian si
maledisse per non essersi fatto almeno un caffè.
“Potete incominciare adesso.”
annunciò infine il professore, controllando l’orologio.
Julian
voltò il foglio e, con riluttanza, si concentrò sulla prima domanda. Le parole,
tuttavia, non ne vollero sapere di restarsene tranquille in fila: le lettere
sembravano mescolarsi fra loro, formando nuovi vocaboli dal significato
inesistente.
“Perfetto, ci mancava solo questa…” borbottò il giovane, impugnando la matita e
sforzandosi di mettere a fuoco solo le prime parole a inizio riga.
La dislessia era stata
un’avversaria fastidiosa per la sua carriera scolastica, ma fortunatamente, con
l’aiuto degli insegnanti, era riuscito ad affievolire il difetto almeno in
parte, aprendosi così una strada in direzione dell’università. Tuttavia, il
fastidio era qualcosa che tornava a scocciarlo di frequente nei momenti di
maggior tensione o di particolare vulnerabilità emotiva. Il primo test di
chimica del semestre per cui sapeva di non aver studiato a sufficienza era
effettivamente il genere di situazione in cui la vecchia dislessia interveniva
per dire la sua.
Julian
sbuffò una seconda volta, tamburellando con le dita sul banco. In preda allo
sconforto, scoccò un’occhiata ad entrambi i lati per esaminare i suoi compagni
di banco. Alla sua destra sedeva JoshCaver, capitano della squadra di pallanuoto: niente che
potesse servirgli per ottenere la sufficienza in un compito scritto. Dall’altra
parte c’era una ragazza che Julian non conosceva se
non di vista: tizia ordinaria, capelli di un colore indefinibile tra il rosso e
il castano, e camicetta sportiva, una rosicchia-matiteprofessionista
a giudicare dall’estremità rovinata di quella che aveva in mano. La ragazza
teneva il capo chino sul compito e scribacchiava in maniera rapida e fitta,
come se stesse cercando di infarcire il suo foglio con il maggior numero di
informazioni nel minor tempo possibile.
Sfortunatamente, come in ogni
film che si rispetti, la sgobbona di turno non aveva la minima intenzione di
offrire qualche spunto al compagno di banco, considerato il modo in cui si
sforzava di coprire i paragrafi già scritti con l’avambraccio.
Secchiona.
Julian
incominciò ad avvertire le prime avvisaglie di agitazione; le mani gli
prudevano talmente tanto che fu costretto a cacciarsele in tasca.
Quella sensazione aveva un
significato ben preciso per lui. Quando a Julian
prudevano le mani in quel modo o aveva fatto il pieno di punture di zanzara
oppure, cosa ben più probabile, nel suo corpo stava prendendo il sopravvento
quel qualcosa che lui aveva quasi affettuosamente soprannominato il fruscio. Era la parte di se stesso che
più apprezzava, la particolarità che lo rendeva diverso: speciale agli occhi di
sua madre Bonnie e terribilmente irritante a quelli fermi e razionali di suo
padre David. Il fruscio era una sorta
di mormorio smorzato che avvertiva di tanto in tanto; era una voce che gli
sussurrava di spingersi oltre, di agire, e che lo sorprendeva nei momenti di
maggiore tensione, rabbia o paura... Fino a qualche anno prima non era mai
stato in grado di interpretare quelle indicazioni confuse dettate dal suo
istinto e si era limitato ad ascoltare, consapevole che qualcosa di strano
stava incominciando a prendere forma: solo, non sapeva darle un nome. Il fruscio si era tramutato in qualcosa di
più tangibile durante gli ultimi anni di liceo. In quel periodo, grazie anche
all’aiuto della madre, aveva imparato a comprendere il significato di quello
che sentiva, tramutandolo in qualcosa di più concreto. Qualcosa che gli sarebbe
stato utile nelle situazioni di pericolo. A un paio d’anni di distanza da quel
periodo, Julian continuava a chiamare quella
stranezza fruscio, ma probabilmente i
suoi coetanei si sarebbero limitati a denominarla “magia”.
Stremato per via del turno
serale al pub e teso come non si sentiva da tempo, Julian
non impiegò molto a decidere che, se non avesse dato retta a quel prurito
fastidioso ai polpastrelli, l’ansia l’avrebbe stesoprima ancora che la lancetta dell’orologio
sfiorasse il numero 11. Esaminò l’aula alla ricerca d’ispirazione. Scambiare il
suo compito con quello della compagna di banco sarebbe stata la cosa migliore da
fare, ma Julian dubitava esistesse qualche formula in
grado di condurre a qualcosa di simile.
“Signor Morgan: il naso sul
suo compito, prego” lo ammonì il professor Ringle con
aria severa e qualcosa di vagamente simile al divertimento inciso nello
sguardo.
L’insegnante si era fatto una
cattiva idea su di lui sin dal primo giorno di lezione e Julian
sospettava che c’entrassero qualcosa i ritardi cronici e le difficoltà di apprendimento
che lo caratterizzavano. Era abituato a sentirsi schernito dall’insegnante, e
non era difficile intuire dal suo ghigno soddisfatto che l’uomo aveva percepito
il suo disagio. Sbuffando, Julian distolse lo sguardo
da Ringle. Fu in quel momento che i suoi occhi si
spostarono con aria distratta sul dispositivo di allarme anti incendio.
Dimenticò il compito e anche
lo sguardo sospettoso dell’insegnante. Il ragazzo focalizzò la sua attenzione
sull’allarme e tentò di indirizzare l’insolita sensazione che avvertiva – il fruscio – verso il punto desiderato: non
successe nulla.
Nonostante le mani gli
prudessero sempre di più, l’allarme rimase silenzioso. Julian
sospirò e tornò a concentrarsi: il fruscio aumentò
d’intensità eppure, il ragazzo ne era convinto, c’era qualcosa che lo
bloccava. Distolse lo sguardo, guardandosi freneticamente attorno con aria
ansiosa, ma l’unica persona che pareva aver notato il suo nervosismo
era Ringle. Il ghigno sul suo viso si era allargato a
formare una sorta di mezzaluna particolarmente inquietante. Un dubbio fece
capolino nella testa del ragazzo, punzecchiandolo con insistenza.
Julian
lo scacciò, tentando per l’ultima volta di focalizzare la sua attenzione
sull’allarme; alla fine avvertì qualcosa di simile al sollievo avvicinarsi.
Chiunque aveva tentato di opporre resistenza contro le sue manovre stava
allentando la presa.
Dapprima si udì uno scatto.
Pochi secondi dopo,l’allarme incominciò a ululare e una pioggia artificiale iniziò
a inondare i banchi degli alunni.
“Tutti fuori, in
fretta!” annunciò Ringle, chinandosi, per evitare che
l’acqua gli schizzasse le lenti degli occhiali. A Julian non piacque per niente l’occhiata che l’insegnante
gli scoccò: aveva un che di inquisitorio e ciò non poteva fare altro
che aumentare nel ragazzo la sensazione di prurito ai polpastrelli.
Se Ringle
sapeva cosa aveva fatto, significava che era stato lui a tentare di impedire
che l’allarme scattasse. E questa supposizione spianava la strada a
un’altra ipotesi ben più preoccupante: Ringle doveva
essere come lui. E Ringle lo detestava.
Con un brivido, Julian si affrettò a recuperare lo zaino e, prima che
chiunque riuscisse anche solo ad abbandonare la sedia, il ragazzo era già
scomparso.
***
Erano passati solo due mesi
dall’ultima volta che Ricki Lockwood aveva attraversato quel vialetto, eppure due
mesi sono anche troppi per qualcuno abituato a percorrere la stessa stradina
almeno tre o quattro volte al giorno. Quando
era bambino passava forse più tempo in strada che nel giardino a
causa di tutte le volte in cui il pallone da calcio superava la recinzione
della tenuta. Per questo i vicini dei Lockwood avevano imparato a guardarsi
intorno con aria circospetta prima di avventurarsi fuori dalle rispettive case,
temendo l’arrivo di una pallonata improvvisa.
Ricki si avviò lungo l’ultimo
tratto di viale con andatura rilassata. Tirò fuori le mani dalle tasche solo
quando raggiunse il cancello di casa Lockwood e, mentre una delle due correva a
strofinare con vigore i capelli arruffati, la seconda si avvicinò al
campanello. Prima che l’indice del ragazzo sfiorasse il bottone del
citofono, il suo sguardo notò una vettura parcheggiata dall’altro lato della
strada: Ricki la riconobbe come la macchina dello sceriffo Fell. Il
proprietario dell’auto aveva le braccia conserte sul petto e stava osservando
la tenuta dei Lockwood con aria vigile, il fianco appoggiato al retro della
macchina. Aveva qualcosa in mano: un taccuino, forse.
Il ragazzo appoggiò il gomito
alla cassetta delle lettere e prese a fissare l’uomo in maniera altrettanto
intensa; il sospetto si insinuò in lui, cerchiando le iridi scure del
ragazzo di diffidenza. Perché lo sceriffo stava osservando a quel modo
casa sua?
I suoi pensieri si spostarono
istintivamente in direzione del padre. Che Fell avesse iniziato a notare
qualcosa di strano in lui?
Ricki scacciò via quelle
supposizioni, sfregandosi il capo con forza: come se così facendo potesse
allontanare anche il fastidioso presentimento.
“Guarda un po’ chi si
rivede!”
Il gomito del ragazzo scivolò
per la sorpresa e la sua testa si trovò ad avere un incontro molto ravvicinato
con la cassetta delle lettere.
“Maledizione!” esclamò il
giovane Lockwood, massaggiandosi la tempia che aveva appena sbattuto. La
ragazza che gli aveva rivolto la parola scosse il capo con aria
divertita.
“Tu non
cambi mai, Ricki Lockwood. Sempre goffo e sempre maldestro.”
“E tu sei sempre la solita
rompipalle Vic, grazie tante per l’ennesimo infarto”
ribatté il ragazzo.
Vicki Donovan sorrise.
“Mi chiedo come tu abbia
fatto a giocare da attaccante a calcio per tutti questi anni, quando non riesci
a fare più di dieci passi senza inciampare o andare a sbattere contro qualcosa…”
“La vogliamo finire?” la
rimbeccò Ricki arrossendo. Scrutò la sua espressione maliziosa e le lentiggini
che accarezzavano appena il naso della ragazza: nemmeno lei era poi così
diversa rispetto a qualche anno prima.
Certo, fisicamente qualcosa
era cambiato. La divisa da cheer-leader che aveva incominciato a portare a
quattordici anni ora le aderiva perfettamente al corpo, mettendo in risalto il
fisico slanciato che aveva ereditato dalla madre. E poi c’erano i capelli.
Vicki cambiava acconciatura tanto spesso quanto Ricki inciampava. Ma per
il resto, Richard Lockwood continuava a vedere Victoria Donovan come la
ragazzina petulante e un po’ suonata di sempre, sorella del suo migliore
amico.
“Ehi, un momento…”
Ricki si voltò giusto in
tempo per individuare la macchina dello sceriffo allontanarsi dalla tenuta dei
Lockwood. “Per caso hai notato se lo sceriffo viene spesso da queste
parti?” domandò alla ragazza, indicando la vettura con un cenno brusco del
capo.
Vicki si sistemò una ciocca
di capelli castani dietro l’orecchio.
“Veramente no. Non ci ho
mai fatto caso” commentò, appoggiandosi a sua volta alla cassetta delle
lettere.
“Allora, hai conosciuto
qualche ragazza al campus?”
Ricki scoccò distrattamente
un’occhiata al suo orologio da polso e ancora una volta si passò una mano fra i
capelli. Era la seconda settimana di novembre: un venerdì. Non ci sarebbe stata
la luna piena fino all’ultimo giovedì del mese.
“Ricki!” Victoria
schioccò le dita a pochi centimetri di distanza dagli occhi del
ragazzo. “Non vorrai imitare Oliver fin da subito, non vi siete nemmeno
ancora visti.”
Ricki si sorprese a
sorridere: nel sentir nominare Oliver la sua mente evocò prontamente l’immagine
di Mase, e il ragazzo si trovò a realizzare quanto
gli fosse mancato suo fratello in quei due mesi di lontananza. Quanto gli
fossero mancati tutti, in realtà.
“Eh?” domandò a quel punto,
sorridendo a mo’ di scusa. Vicki si schiarì la voce.
“Ragazze.” ripeté in
tono di voce fermo, rivolgendogli un’occhiata allusiva. Ricki distolse lo
sguardo. Era perfettamente a conoscenza dei sentimenti di Vicki nei suoi
confronti, e il fatto che la giovane non si fosse mai fatta problemi a
nasconderlo lo innervosiva e esasperava al tempo stesso.
Perché Vicki era la sorella
di Jeff; nient’altro che la sorella del suo migliore amico.
“Le cose non sono cambiate, Vic.” dichiarò, decidendosi finalmente a premere il bottone
del citofono: il cancello dei Lockwood scattò automaticamente poco dopo,
permettendogli di entrare.
“Come hai detto tu, Ricki
Lockwood non cambia mai!”
Vicki inarcò un sopracciglio,
prima di mettersi a correre in direzione di casa Donovan.
“Potrei anche essermi
sbagliata!” esclamò, salutandolo con un cenno della mano. Il ragazzo
scosse il capo. sorridendo appena, prima di tornare a infilarsi le
mani in tasca.
“Ricki la peste è tornato per
scombussolarvi l’esistenza!” annunciò a quel punto a voce alta , avviandosi
verso l’ingresso della villa.
“Tu!” Richard non faticò
a immaginare l’indice di Caroline Lockwood puntato sulla sua schiena.
“Sei tornato e nessuno mi
aveva detto nulla! Che famiglia di antipatici!” strillò la ragazza,
precipitandosi di corsa in direzione del fratello.
“Fratellone!” esclamò,
gettandogli le braccia al collo con slancio.
“Ciao,
sorella!” Ricki rise, stritolando Caroline in un energico
abbraccio. “Mi sei mancata.” Ammise.
La ragazza gli scoccò un
bacio sulla guancia.
“ Hai fatto la brava mentre
ero via?” la prese in giro il maggiore, ammonendola con lo sguardo.
“E tu hai distrutto altre
telecamere molto costose?” ribatté la sorella, inarcando un sopracciglio.
Ricki arrossì.
“È successo solo
una volta. E la potreste smettere tutti quanti di sfottere il mio lato
maldestro? Ho molte altre qualità…”
“…Che al
momento mi sfuggono.”
A completare la frase di
Ricki era stato un ragazzo che stava raggiungendo i due fratelli dall’ingresso.
Aveva un’aria canzonatoria, profondi occhi castani e capelli scuri che
formavano una cresta scompigliata sul
capo del ragazzo.
“Onestamente, Xander, mi sarei preoccupato se non ti avessi trovato qui” Richard
sorrise tendendogli la mano; Alexander “Xander”
Gilbert la strinse ricambiando il sorriso. “E sarei anche rimasto sorpreso
se non ti avessi beccato a mangiare” aggiunse, accennando al pacchetto di
patatine che l’adolescente teneva tra le mani.
Xander
fece spallucce.
“Ho tenuto d’occhio la tua
sorellina per te” annunciò poi, appoggiandosi a Caroline con un gomito; la
ragazza gli diede una spintarella. “Qualche maschietto le gironzola
attorno, ma nulla di grave.” aggiunse.
“Tienimi aggiornato” si
raccomandò Ricki, cingendo le spalle della sorella con un braccio.
“Gli unici maschi che mi
gironzolano attorno sono questo svitato del mio migliore amico e il mio
altrettanto rompiscatole fratello minore” dichiarò Caroline, scompigliando i
capelli di Xander.
“Non i capelli. I
capelli no, per favore!” si lamentò il ragazzo. Bloccò i polsi dell’amica per
impedirle di rovinargli il crestino.
“Tornando a parlare di
fratellini rompiscatole…” Ricki si diede
un’occhiata attorno come se pensasse che avrebbe potuto individuare il più
giovane dei Lockwood spuntare fuori all’improvviso. “Dov’è Mase?”
Caroline diede una scrollata
di spalle.
“Probabilmente è da qualche
parte a fare sconcerie con le ragazze
più gran… Nonnina! Sei venuta a
trovare Ricki?”
Una donna aveva appena
raggiunto il giardino dei Lockwood e stava osservando il vialetto con
aria pensierosa; Carol Lockwood volse lo sguardo in direzione della nipote e la
scrutò sorpresa, come se non si fosse accorta dei tre ragazzi prima di quel
momento.
I suoi occhi proseguirono poi
in direzione di Ricki.
“Oh ciao, tesoro, sei
tornato!” sorrise con aria docile e abbracciò il nipote più grande.
“Come è andato il
viaggio?”
Richard si lasciò stringere;
Carol Lockwood era ancora una bella donna nonostante avesse ormai superato la
sessantina. Le poche rughe che le attraversavano il viso mettevano in risalto
la limpidezza dei suoi occhi chiari, senz’altro il dettaglio che più colpiva
nel suo viso bonario da nonna.
“Tutto a posto. Tu però
mi sembri più magra del solito… Che
combini, nonna?” commentò Ricki, scrutandola vagamente
preoccupato. L’anziana signora sorrise.
“Tua nonna sta invecchiando,
Richard, tutto qui. Vostro padre è già tornato? Ho bisogno di
parlargli” chiese. Caroline scosse il capo e rubò un paio di patatine a Xander.
“Non ancora, ma penso che
rincaserà presto questa sera” commentò, appoggiandosi al fratello
maggiore. La donna annuì.
“Bene, allora passo più
tardi. A presto! Comportatevi bene.” si raccomandò la donna accarezzando i
nipoti con lo sguardo, prima di incominciare ad allontanarsi.
“Sicuro!” la rassicurò Ricki,
osservandola raggiungere la casa adiacente.
“Mio cugino che fine ha
fatto?” domandò in quel momento Xander alludendo a
Jeffrey e accartocciando il pacchetto di patatine. “Credevo che
sareste tornati assieme.”
Jeff e Ricki erano migliori
amici sin dai tempi dell’infanzia; frequentavano entrambi l’università di
Jacksonville, ma, mentre Jeff seguiva i corsi di giurisprudenza, l’indole
creativa e poco ordinaria di Ricki l’aveva convinto a optare per il
cinema, dando origine a diversi battibecchi in famiglia (in particolare per
voce di nonna Lockwood).
Ricki si sfregò i capelli con
forza, rivolgendogli un’occhiata pensierosa.
“Il suo corso terminava oggi,
quindi ci raggiunge domani mattina. Sempre che non sia troppo
impegnato con la moretta che ha conosciuto ieri alla fermata dell’autobus: lo
mangiava con gli occhi, vi dico. Eccolo!” gridò
improvvisamente, sottolineando la sua esclamazione con un fischio:
sorrise al ragazzo che li stava raggiungendo facendo oscillare la
tracolla. “Ma guardate un po’ chi si rivede!”
annunciò, tendendo la mano per stringere quella del fratello minore.
“Non mi piace quest’aria
da fighetto che stai
mettendo su.” commentò poi con un sorriso, mentre Mason
si lasciava abbracciare. “Mi fregherai tutte le ragazze così!”
“Lo sto già facendo.”
gli fece notare il minore nello stesso esatto momento in cui Caroline
stava esclamando “Tutte tranne Vicki!”
Ricki fece una smorfia.
“Ti preferivo timidosoe balbettone.” constatò, ricordando
con un sorriso divertito il bambinetto insicuro e titubante che era stato il
piccolo Mason Lockwood.
“Era dolcissimo!” concordò
Caroline, scoccando al fratellino un’occhiata nostalgica. “Perché non sei
rimasto così?”
Mason
inarcò un sopracciglio.
“Perché non ho più sette
anni.” Ribatté, cercando di sfuggire alla presa del fratello, che aveva
incominciato a infastidirlo, strofinandogli un pugno sul capo. “Piantala!”
si lamentò, allontanandosi da Ricki.
“No, che non la pianto!”
“Cretino!”
Si azzuffarono per gioco,
come avevano sempre fatto sin da quando erano piccoli; lentamente, lo sguardo
di Mason iniziò a farsi meno nervoso e più rilassato,
ed era una cosa che capitava di raro.
“Beh, ben tornato a casa
Ricki!” si annunciò da solo il maggiore dei fratelli Lockwood continuando
ad arruffare i capelli di Mason, mentre Xander e Caroline ridevano della loro baruffa. “Ben
tornato a casa.”
Visto che mi
dimentico sempre, lo scrivo all’inizio.Da poco è nato anche un gruppo facebook interamente dedicato a HistoryRepeating,
con foto, anticipazioni, indicazioni sul quando mi degnerò di postare ogni
volta (XD)e via dicendo. Lo trovateQUI
Anyway, ecco il secondo capitolo!
Spero che mi
perdonerete se in questa parte mi sono concentrata sui personaggi nuovi e ci
sono pochi riferimenti ai vecchi, ma avevo bisogno di presentarli bene, e
prendere un po’ di spazio tutto per loro era l’unico modo. Ad ogni modo, vi
tranquillizzo dicendo che nel prossimo capitolo tornerà Caroline (Forbes) e non
solo. Elena e farà la sua prima comparsa e anche altri vecchi personaggi.
Mi chiedete in tanti
che fine hanno fatto Stefan e Damon; beh, Damon, come
ha accennato Katherine al capitolo precedente, ha vagabondato per l’Europa una
decina d’anni in compagnia della vampira. Stefan era
con Caroline, ma verrà detto qualcosa di più nel prossimo capitolo,
quindi non aggiungo altro. Se i fratellini torneranno a MysticFalls? No. Non credo. Anche se sicuramente ne
sentiremo ancora parlare.
Passando al capitolo
di oggi… Allora, anzitutto abbiamo fatto
amicizia con il figliolo maggiore di Bonnie: quell’Harry Potter pasticcione di
nome Julian. Credo che sarà
l’unico pargolo che avrà uno storyline un
po’ distaccato dagli altri. E poi ci siamo spostati a MysticFallsper assistere al ritorno a casa di Ricki che
avevamo già intravisto nel capitolo precedente. Qui entra in scena un’altra
vecchia conoscenza, Carol Lockwood, nelle sue nuove vesti di
nonna *O*
E poi, oltre ai
pargoli già conosciuti nel capitolo pilot (Caroline
Lockwood e suo fratello fighetto Mason),
ecco che spunta fuori il primogenito dei fratelli Gilbert, Xander, con tanto di crestino
e pacchetto di patatine. E quasi mi stavo dimenticando di Vicki*shame on me* abbiamo
conosciuto anche lei.
Pian piano ogni
personaggio verrà trattato un po’ più a fondo, questi primi capitoli
sono più che altro introduttivi, e servono più che altro a conoscere la nuova “MysticFalls” e a apprendere
un’idea approssimativa circa ciò che hanno fatto i nostri beniamini durante
questi 30 anni di vuoto tra la serie TV e la fan fiction.
Ultima cosa; il
titolo del capitolo è tratto dall’episodio 2x02 di TVD (‘the Return’, per l’appunto).
Basta così; riesco a
vedere il fumo che esce dalle vostre testoline e non voglio trattenervi ancora.
Solo una cosa: grazie, grazie, grazie.
Tyler: “You were
right. I shouldn’t have come home.”
Caroline: “No, you just should never have left. And you shouldn’t leave again.”
2x21. The sun also rises
“Grazie.”
Caroline
Forbes sorrise nell’accettare la tazza che la madre le stava porgendo.
“Lo
sai che cosa mi è mancato maggiormente della vita a Mystic Falls? Questo.” sottolineò
con un cenno del capo, indicando la sua vestaglia rosa e i piedi scalzi che
spuntavano da uno dei lembi.
“
Poltrire in pigiama accoccolata sul divano… con una bella vestaglia rosa
addosso!”
“Mi
stupisce sempre il fatto che dopo tutto questo tempo ti stia ancora alla
perfezione.” mormorò Liz con un pizzico di malinconia nello sguardo, sfiorando
una manica della figlia.
“A
New York, tutti questi comfort non li avevi?” riprese poi il discorso di
Caroline, prendendo posto accanto a lei.
“L’ultima
volta che sei stata qui, mi hai descritto per filo e per segno le meraviglie
dell’appartamento a Manhattan; non c’erano divani, lì?”
“Ce
n’erano eccome.” ammise la vampira, incrociando le gambe sotto la vestaglia.
“Però
mancava il dettaglio più confortevole in assoluto.”
“Le
pantofole di paperina?”
“La
mia mamma.” annunciò Caroline, sorridendole con dolcezza.
“Di
certe cose si continua ad averne bisogno anche da adulti.”
Liz
accarezzò con tenerezza il capo della figlia; per quanto si sforzasse di prestare
attenzione allo scorrere del tempo, avere Caroline al suo fianco significava
dimenticarsi di essere invecchiata, almeno per un po’.
In
fondo, non era solo il suo aspetto a rendere Caroline ancora una bambina ai
suoi occhi.
Non
aveva bisogno di osservarla, per avvertire l’illusione che il tempo si fosse
fermato: le bastava ascoltarla, sorridere della parlantina luminosa e
confusionaria che ancora la caratterizzava, nonostante si addicesse ben poco a
una donna di mezza età.
E
riaverla a casa, tornare ad avere a che fare con i suoi discorsi interminabili,
le sue lamentele, i suoi gesti d’affetto, significava per Liz avere accesso a
una seconda possibilità. Per lei e per Caroline.
Questa
volta sua figlia sarebbe stata la sua unica preoccupazione; l’unico pensiero a
cui prestare interesse. Averla nuovamente a fianco nelle vesti di adolescente,
significava poter rimediare una volta per tutte alle mancanze che avevano fatto
capolino nel loro rapporto in passato.
Era
più facile per lei, inquadrare l’eterna fanciullezza della figlia in questi
termini.
Non
come una condanna: ma come un’opportunità.
E
ogni tanto, Liz era anche riuscita a convincersi di potersi aggrappare a questa
prospettiva.
“Me
la spieghi una cosa?” Domandò improvvisamente sollevando un lembo della tenda
per dare un’occhiata fuori.
“Perché
non sei più tornata?”
Caroline
posò la tazza ancora calda sul tavolo e nascose le mani nella vestaglia.
“Sono
anni che vivo fuori da Mystic Falls.” rispose con tranquillità, voltandosi
verso la madre.
“Ma
tornavi sempre, alla fine. Ogni mese inizialmente. Un po’ più di rado con il
trascorrere del tempo. Questo fino a dieci anni fa. Perché?”
Caroline
strinse le labbra con nervosismo.
“In
qualche modo durante quel periodo, mi sono resa conto che Mystic Falls non era
più casa; non per me. Era tutto cambiato; non riconoscevo più il Mystic
Grill, perfino il nostro viale aveva qualcosa di diverso. Sapevo che tornando
indietro ogni mese, avrei fatto più fatica ad accettare il fatto che Mystic
Falls continuerà sempre a crescere, ad invecchiare. E con lei, anche la sua
gente.” Aggiunse con una leggera durezza nel timbro di voce.
“Con
o senza di me.”
Liz
si limitò ad annuire, lo sguardo velato da una patina di rassegnazione che ben
si amalgamava alla stanchezza incisa fra i suoi lineamenti.
“Ma
adesso sei qui.” mormorò infine, allungando il braccio in direzione della
figlia. Caroline sorrise.
“Con
te.” Aggiunse la ragazza, stringendo la mano della madre.
“Perché
proprio ora?” domandò ancora Liz, non riuscendo a nascondere una punta di
curiosità nel tono di voce; Caroline sospirò.
“E’
complicato.” commentò, sistemandosi una ciocca di capelli intrappolata nella
vestaglia.
“Ho
incontrato papà, un mese fa.” ammise infine, ricambiando lo sguardo della
madre.
“Mi
ha detto della sua malattia e ho sentito il bisogno di andarlo a trovare.
Stranamente, una volta tanto, non è stato di molte parole.”
Un’ombra
leggera appannò per un istante le iridi chiare della ragazza.
“
Ma ho saputo che le cose stanno iniziando a farsi un po’ complicate per le
famiglie fondatrici.”
“Se
te ne ha parlato, saprai anche che questo non è esattamente il momento migliore
per tornare a Mystic Falls.” La ammonì la donna stringendo con più forza la
mano della figlia.
“Lo
sceriffo Fell si comporta in modo strano, ultimamente. Immagino si domandi come
mai da anni non si tengano più riunioni del Consiglio.”
“Credi
che papà abbia detto loro della maledizione sui Lockwood?”
Pronunciò
quel nome a fatica, quasi il tempo avesse contribuito a farle dimenticare il
modo di articolarlo a voce alta.
Lo
sguardo di Liz venne attraversato da un lieve barlume di comprensione.
“Sei
tornata per lui, vero?” domandò, scrutandola con aria indagatrice.
“No.”
Caroline
scosse il capo con aria decisa.
“No.
Sono tornata per te. E per i ragazzi…” aggiunse con un sospiro, richiamando
alla memoria lo sguardo ostile del giovane Mase.
“So
di non avere voce in capitolo a riguardo, ma li ho visti. Ho conosciuto alcuni
di loro quando erano ancora bambini e per tutto il tempo che sono rimasta a
osservarli, non ho potuto fare a meno di notare le somiglianze con i loro
genitori. E di pensare che se solo le cose fossero andate diversamente, forse
in quel gruppo di bambini ce ne sarebbero stati anche di miei.”
Liz
strinse con maggior forza la mano della figlia.
“Volevo
solo assicurarmi che stessero bene.” ammise semplicemente, permettendo poi a un
sorriso timido di fare capolino sul suo viso, spazzando via la malinconia
incastonata fra i suoi tratti.
In
quei pochi secondi, la Caroline adulta lasciò nuovamente posto a quella
adolescente.
“Stanno
bene, tesoro.” la rassicurò la madre, prima di raccogliere la tazza di
cioccolata calda ormai vuota per andarla a riporre nel lavandino.
“Non
vedo perché dovrebbe essere altrimenti. Sono solo dei ragazzi.”
Un
sorriso amaro arricciò gli angoli delle labbra della vampira, mentre la ragazza
si sollevava dal divano, stringendosi nella vestaglia.
“Anche noi lo eravamo.”
***
I heard that you're
settled down
That you found a girlboy and you're married now.
Someone like you - Adele
“Eccolo
qui il mio ometto preferito!”
Jeffrey
sorrise istintivamente avvertendo quelle parole mescolate allo scricchiolio
delle assi.
“Come
sapevi che ero qui?” domandò, spolverando la base di una sediolina di plastica,
liberandola dalla polvere.
Elena
attraversò il pavimento tremolante della casetta sull’albero e si chinò per
sedersi, avvolgendo in un abbraccio il suo primogenito.
Era
la stessa casetta in cui aveva trascorso la maggior parte della sua infanzia,
improvvisandosi esploratrice assieme a Matt o divertendosi a fingersi donnina
di casa in compagnia di Bonnie e Caroline.
La
casetta che, una decina di anni prima, lo stesso Matt aveva in parte
ricostruito con l’aiuto di Tyler e Jeremy, per evitare che i loro irrequieti
figlioletti ruzzolassero giù attraverso qualche trave rotta.
“E’
stato facile intuire dove ti saresti catapultato non appena tornato a casa. Da
piccolo amavi questo posto.”
spiegò
semplicemente la donna, separandosi da Jeffrey.
“…e
poi ho ricevuto una soffiata.” aggiunse con un guizzo divertito nello sguardo,
indicando l’uscita con il pollice.
Il
ragazzo scoppiò a ridere.
“Papà.”
Commentò, scuotendo il capo. La madre annuì.
“Mi
sei mancato, Jeffers.” ammise infine rivolgendogli un sorriso malinconico.
“Anche
voi mi siete mancati.”
Jeffrey
sospirò allungando le braccia, per distendersi.
“Ma
la Florida mi piace. I corsi sono interessanti… e poi c’è Ricki con me.”
La
madre annuì, sistemandosi più comodamente sulla sediolina.
“Sai
Jeff, per quanto non mi piaccia saperti così lontano, sono contenta che
tu abbia deciso di viaggiare; di uscire per un po’ da Mystic Falls, farti un
po’ più di spazio nel mondo all’infuori di questa cittadina.”
“Che
è un po’ quello che volevi fare tu alla mia età.” Commentò Jeffrey passando il
dito tra le scanalature del tavolino in legno.
“E
l’ho fatto.” Elena ammise, evocando nella sua testa frammenti di un passato
ormai sbiadito.
“Ho
viaggiato per anni, Jeffrey. C’erano cose, dei dettagli, che avevo voglia di
lasciarmi alle spalle, almeno per un po’. E non ci sarei mai riuscita restando
qui.”
“Ma
poi sei tornata.” le fece notare il figlio con aria confusa.
“Hai
sposato papà. Riallacciato i rapporti con la gente del posto. Perché?”
Elena
rimase in silenzio per qualche istante, osservando con un pizzico di tenerezza
il volto del suo primogenito.
“Certe
volte, le cose che lasciamo indietro non hanno voglia di fare altrettanto con
noi; alla fine, mi sono resa conto che per quanto stessi cercando di
dimenticare Mystic Falls, una parte di me era decisa a non scordarla. E quella
parte ha vinto, alla fine.”
“Meglio
così.” concluse Jeffrey, intrecciando le dita dietro la nuca.
Elena
sorrise; il suo sguardo saettò rapido in direzione della scaletta, quando lo
scricchiolio delle assi iniziò a farsi più marcato.
“C’è
una riunione di famiglia, qui?”
Matt
si arrampicò a fatica lungo l’apertura, spolverandosi poi i capelli corti con
la mano.
“Ricki
mi ha detto che hai fatto colpo!” aggiunse dopodiché, ammiccando in direzione
del figlio.
Jeffrey
si grattò il capo con aria imbarazzata.
“Ricki
non è in grado di tenere la bocca chiusa.” Mormorò stringendosi contro il muro,
affinché il padre potesse prendere posto a fianco a lui.
“E’
tale e quale a Tyler.” commentò Elena con un guizzo divertito nello
sguardo.
“Due
pettegoli di prima categoria; peggio delle donne.”
“Se
è come il padre, significa che sposerà una bionda anche lui?”
Il
viso di Victoria fece capolino incorniciato dalle assi.
“Forse
dovrei prendere in considerazione l’idea di tingermi i capelli…”
“Non
hai ancora intenzione di rinunciare a corrergli dietro?” la prese in giro suo
fratello, mentre la ragazza si arrampicava agilmente all’interno della casetta.
“Non
nell’immediato.” rispose Vicki con aria soddisfatta, stampandogli un bacio
sulla guancia.
“Bentornato,
fratellone!”
“Ho
come l’impressione che queste assi non reggeranno ancora a lungo.” Commentò
Elena osservando con aria preoccupata il pavimento della casetta.
“Forse
dovremmo spostare la riunione di famiglia al piano di sotto…”
“Ehilà
famiglia Donovan!”
Un
richiamo canzonatorio li raggiunse dal cortile proprio in quel momento; gli
occhi di Vicki si illuminarono.
“Sbaglio
o è la voce del mio figlioccio, questa?” domandò Matt, mentre la figlia si
affrettava a scendere le scale; Jeff le andò dietro ridendo.
“Eeeesatto!”
annunciò allegramente Ricki, dando una pacca al tronco dell’albero.
“Ah
e comunque, papà!” esclamò improvvisamente Jeff, prima di arrampicarsi sulla
scaletta.
“La
ragazza di cui parlava questo stordito qua sotto… non credo che sarei riuscito
a uscirci.”
“
E perché mai?”
Jeffrey
diede una scrollata di spalle.
“Trovo
che assomigliasse un sacco alla mamma.” ammise tranquillamente, prima di
voltarsi per raggiungere Ricki.
Nell’udire
le parole del figlio, Elena sgranò gli occhi.
“Ha
detto che mi assomigliava?”
“Ma
dai…”
Matt
scoppiò a ridere, suscitando l’irritazione della moglie.
“Non
starai mica già pensando che fosse…”
“No.”
Concluse la donna in tono di voce secco.
L’ultima
cosa al mondo che aveva voglia di figurarsi era suo figlio in balia dei
capricci di una certa Katherine Pierce.
“Sarà
meglio per lei di no.”
***
“Buongiorno
mamma e papà!” esclamò Xander allegramente, facendo ingresso in cucina. “Yum,
biscotti!” aggiunse, notando la teglia che la madre aveva appena appoggiato sul
tavolo.
“Non
ci provare, non sono per te.” Hazel lo ammonì, inarcando pericolosamente un
sopracciglio. Il figlio sollevò le mani in cenno di resa.
“Ehilà,
Xander bello!”
Jeremy
gli diede una pacca sulla spalla, voltandosi poi per posare la tazzina da caffè
nel lavandino.
“Hai
già invitato mezzo vicinato alla partita di domani?”
Xander
scosse il capo con aria canzonatoria.
“Direi
più tre quarti del vicinato.” annunciò, allungando una mano in direzione della
teglia; la madre la schiaffeggiò, prontamente.
“Te
le taglio quelle dita.” lo minacciò, indicandolo con il cucchiaio di legno.
“Devo
scappare al lavoro.” comunicò a quel punto Jeremy scoccando un bacio veloce
alla moglie e sistemandosi alla svelta i capelli ancora arruffati.
“Buona
giornata.” gli augurò dolcemente Hazel, prima di notare la manciata di biscotti
che il marito teneva nascosta dietro la schiena. Colpì la mano di Jeremy con il
cucchiaio, sotto lo sguardo divertito di Xander.
“Ma
sei matta?” esclamò l’uomo, avvicinandosi le dita ferite alla bocca.
“Sei
peggio di tuo figlio.” lo rimbeccò la moglie, ritirando la teglia nel forno.
Jeremy
e Xander si scambiarono un’occhiata d’intesa.
“Hai
una madre violenta, Xander bello…” mormorò il padre con un ghigno divertito,
prima di prendere la giacca e uscire dalla cucina.
“Ci
sono visite!” annunciò ancora, una volta raggiunto l’ingresso. Caroline
Lockwood lo salutò con un sorriso e si avviò in direzione del corridoio.
“Oh
buongiorno!” aggiunse poi, rivolta alle due persone che stavano scendendo le
scale proprio in quel momento.
Mason
appoggiò la schiena alla ringhiera, mentre Oliver si accoccolava sugli ultimi
gradini, lo sguardo assorto da uno dei suoi ultimi progetti.
“Anche
tu qui?” domandò ironicamente la ragazza al fratello. Mason diede una scrollata
di spalle e smosse con un calcetto le ginocchia di Oliver, per fargli perdere
la concentrazione.
“Sei ancora tra noi, straniero?” chiese; era da un paio di giorni che il minore dei
fratelli Gilbert appariva, se possibile, ancor più stralunato del solito.
“Lascialo
stare.” Caroline rimbeccò il fratello accarezzando Oliver con lo sguardo.
“Ho
quasi finito.” mormorò quest’ultimo con la matita tra i denti, cancellando la
rigaccia che Mase aveva contribuito a fargli calcare, deturpando il volto che
stava disegnando.
“Ehilà
gentaglia!”
Xander
si avvicinò al gruppetto con le mani in tasca e un sorrisetto da birbante.
“Vi
voglio tutti alla partita di hockey, domani. Intesi?”
“Ci
saremo.” lo tranquillizzò Oliver, sollevando il foglio per dare un’occhiata
alla versione originale del suo ritratto: era una foto che aveva trovato un
paio di giorni prima in soffitta, mentre cercava di recuperare qualche vecchio
lavoro del padre.
Nella
foto, una ragazza e un ragazzo sorridevano abbracciati. Lui somigliava un po’ a
Xander, con quei capelli scuri scompigliati e gli occhi dello stesso colore. In
quella foto, Jeremy Gilbert era già padrone del sorriso luminoso che lo avrebbe
contraddistinto anche in età adulta; lo stesso sorriso di Oliver.
La
ragazza invece non aveva un viso familiare.
Ma
era bella. Era semplice. Era tutto ciò di cui Oliver avesse bisogno, per
decidersi a prendere in mano il suo blocco da disegno e scivolare nel suo mondo
di fogli e carboncino.
“Non
potremmo mai perderci il tuo goal decisivo a fine incontro.”
Caroline
annunciò con aria scherzosa dando un pugnetto sul braccio al migliore amico;
Mason esibì un sorrisetto malandrino.
“Io
non voglio perdermi il bacetto vittorioso che vi scambierete dopo il match!” Li
prese in giro incrociando le braccia al petto.
Xander
inarcò appena un sopracciglio.
“Se
usi sempre le stesse battute, Mase, smettono di fare effetto, dopo un po’.”
Caroline
sorrise.
“Ma
il mio fratellino è piccino! Non ha molta fantasia.” Lo schernì arruffandogli i
capelli. Mason la scansò scontrosamente.
“Oh
non fare l’offeso adesso.” ribattè Caroline,prima di indirizzare il suo sguardo
verso Xander.
“E
per la cronaca…”Aggiunse facendosi spazio fra Oliver e il fratello.“Se proprio
ci tieni a saperlo, un bacetto c’è già stato.”
Tre
espressioni attonite si affrettarono a fare capolino sui volti dei ragazzi.
“Che
cosa?” esclamarono Mason e Xander all’unisono, entrambi sbigottiti.
“Non
è vero!”aggiunse quest’ultimo, arrossendo visibilmente. Caroline scoppiò a
ridere.
“Avremmo
avuto sette o otto anni.” precisò poi tirando scherzosamente la manica
all’amico.
“Questo
rincitrullito qui nemmeno si ricorda.”
Xander
si passò una mano fra i capelli con aria imbarazzata.
“Oh,
quello.” Farfugliò, sistemandosi la cresta.
“Non
mi era piaciuto per niente.” ammise poi arretrando furbamente, quando
l’occhiata assassina di Caroline si depositò su di lui.
“Ripetilo
se hai il coraggio.” lo minacciò puntandogli l’indice contro il petto. Xander
fece una smorfia.
“Non
mi era piaciuto per nie…”
“Sei
morto! Dì addio ai tuoi capelli!”
Caroline
annunciò, mentre Xander si affrettava a risalire le scale ridacchiando.
“Ok,
forse è il caso di mettere al sicuro il mio lavoro.” Costatò Oliver
schiacciandosi contro la ringhiera per evitare che la corsa dei due ragazzi lo
travolgesse.
“Sì,
forse è proprio il caso.” concordò con un ghigno Mason, sfilandogli l’album da disegno dalle
mani.
“E questa chi è?” chiese ancora, studiando incuriosito il ritratto a cui stava lavorando l'amico.
Oliver
sorrise appena ritirando la matita nell’astuccio.
“Non
ne ho idea; è molto bella, però.”
Mason
sorrise.
“L’ho
sempre detto che sei un po’ schizzato.” commentò, restituendo il blocco al suo
proprietario.
Oliver
diede una scrollata di spalle.
“Allora,
qual è questa novità tanto entusiasmante che volevi comunicarmi?” aggiunse,
appoggiandosi al corrimano con i gomiti.
“Ho
la tua attenzione?” domandò Mason d’un tratto ravvivato, trafficando con il
portafoglio.
Ne
tirò fuori un foglietto plastificato che fece sventolare sotto il naso
dell’amico.
“Un
foglio rosa.” commentò Oliver con meno entusiasmo, rispetto a quanto aveva
sperato il coetaneo. “Il mio l’ho ritirato due mesi fa.” lo prese poi in giro,
sfilandogli il foglietto di mano. Mase roteò gli occhi.
“Solo
per via dei sessanta giorni scarsi che separano il mio compleanno dal tuo. Vuoi
fare un giro?”
Oliver
gli diede un colpetto sulla nuca.
“Mi
sa che questa volta passo, Mase. E non solo perché è illegale; non ci tengo a
finire spiaccicato contro un cartello stradale o qualcosa di simile.”
“Ha
parlato il pilota d’aereo provetto.” Lo schernì Mason con una smorfia;
dopodiché, sollevò la manica della camicia per esibire una piccola cicatrice
che rigava il suo gomito destro.
“Non
ti ricorda niente questa?”
Oliver
sorrise, passandosi una mano fra i capelli.
“Era
un aereo niente male se consideriamo il fatto che lo costruii a nove anni.” constatò
in sua difesa, ignorando il sorrisetto di scherno dell’amico.
“Peccato
che ci abbia fatto rovinare a terra come due salami per un bel tratto di
collina.” rispose prontamente il giovane Lockwood.
“Pilotare
aerei è un po’ più complicato che guidare macchine o disegnare una bella
ragazza.” Commentò Oliver accennando con il capo all’album da disegno; d’un
tratto, il suo sguardo si illuminò.“Ma un giorno ci riuscirò.” Dichiarò
tranquillamente esibendo un sorrisetto soddisfatto. Mason scosse il capo
scocciato e rassegnato al tempo stesso.
“Sì,
come no.” borbottò, scavalcando i gradini che lo separavano dal pianerottolo.
Non lo avrebbe mai ammesso, ma per quanto si sforzasse di prenderlo in giro,
Mase sapeva di essere il primo a credere nei sogni che Oliver si portava dietro
fin da bambino.
C’era
qualcosa in lui, nella sicurezza emanata dal suo sguardo mite, che era in grado
di infondere fiducia alla più titubante delle persone.
Mase
non era un’eccezione.
“E
comunque…”
Il
giovane Gilbert scese i gradini che lo separavano dall’amico.
“Anche
se ci siamo schiantati per colpa mia… Sei stato tu a decidere di salire sul
mini aereo con me. Cos’è , avevi paura che Ricki ti prendesse in giro?”
“Nah.”
commentò Mase con una smorfia. “Volevo solo piacerti, credo.”
Oliver
gli rivolse un'occhiata sorpresa.
“Per
questo sì, che Ricki ti prenderebbe per il culo.” Commentò scansandosi, per
evitare la spallata dell’amico.
Mason
arrossì.
“Se
Ricki viene a saperlo, finire spiaccicato contro un cartello stradale sarà
l’ultimo dei tuoi problemi.” Dichiarò dandogli una seconda spallata, un sorriso
a mitigare la minaccia appena pronunciata.
Oliver
ridacchiò sistemandosi l’album da disegno sotto il braccio.
“Per
tutte le volte che l’hai detto, a quest’ora potrei considerarmi un fantasma.”
***
“Le
chiedo scusa, ma non ho ancora capito che cosa l’abbia spinta ad abbandonare
New Orleans, per una cittadina come Mystic Falls.”
Gregory
Lester picchiettò nervosamente l’estremità della sigaretta sul posacenere.
“Gliel’ho
già detto; voglio fare parte del Consiglio.”
Dichiarò
secco scoccando un’occhiata veloce ai volti dei presenti. Lo sceriffo Fell
aveva gli occhi puntati sulla tracolla che teneva in grembo, mentre la seconda
persona, una donna, lo stava osservando con aria attenta.
“Il
fatto è, signor Lester…” Lo sceriffo enunciò improvvisamente sollevandosi dalla
poltrona.
“Vede,
la situazione per quanto riguarda il Consiglio al momento è piuttosto…
instabile. Le riunioni che si stanno tenendo in questo mese sono le prime da
anni, e come avrà potuto notare, molte delle famiglie fondatrici hanno smesso
di interessarsi alla questione. Io e la signorina Willard-Forbes, crediamo
che…”
“…Forbes
è il cognome della madre?” lo interruppe Lester rivolgendole un’occhiata
incuriosita. La donna strinse le labbra in in’espressione poco amichevole.
“Del
patrigno, in realtà.” ammise, raccogliendo la tazza di caffè dal tavolino senza
distogliere lo sguardo da Lester. Un lieve sorriso di soddisfazione andò a
increspare le labbra dell’uomo.
“Dunque
nemmeno lei ha un legame con le famiglie fondatrici, in fondo.” Commentò
rilassandosi sulla poltrona. Lo sceriffo Fell assunse un’aria vagamente
contrariata.
“In
realtà, è stata proprio Leanne a propormi di istituire un nuovo Consiglio.” Spiegò,
accennando con il capo alla donna. Leanne sorrise.
“Una
decina di mesi fa, ho trovato alcune lettere nello studio del mio patrigno
intestate dallo sceriffo.” aggiunse, continuando a scrutare Lester.
“Erano
aggiornamenti che riguardavano Mystic Falls, la sua gente e in particolare
maniera le famiglie fondatrici. Mi sono incuriosita e ho fatto delle ricerche
.”
Lo
sceriffo annuì.
“Bill
Forbes da qualche anno non sembra più essere particolarmente interessato alle
questioni che riguardano il Consiglio; il cancro e la vecchiaia lo stanno
consumando, povero diavolo. Ma Leanne ha intenzione di prendere il suo posto.
Ha messo le mani su alcune informazioni davvero interessanti, in realtà.
Interessanti e preoccupanti al tempo stesso.”
“Anche
io posso essere d’aiuto.” lo interruppe Lester, muovendosi in avanti con la
schiena.
“Sono
anni che mi documento, Mystic Falls è alla base di tutte le mie ricerche.”
“Lei
è un professore, vero?” lo interrogò Leanne, scrutandolo con aria intrigata da
sopra gli occhiali.
“Insegna
al liceo di Mystic Falls?”
“Solo
come supplente.”
Lester
buttò lì senza prestarle veramente attenzione.
“Ho
anche questo.” aggiunse l’uomo, aprendo la tracolla e tirandone fuori un
vecchio quaderno dalla copertina consunta.
“Apparteneva
a Jonathan Gilbert.” Spiegò, sfogliando alcune pagine a caso e voltandolo, per
mostrarlo ai due presenti. Esitò, prima di aggiungere.
“La
maggior parte di ciò che so a proposito dei vampiri, le ho imparate da qui.”
“Ha
mai avuto a che fare con uno di loro?” domandò Leanne con aria incuriosita,
facendosi passare il diario. Lester sorrise.
“Sono
cinque anni che do la caccia a quei mostri.” commentò con aria rilassata.
“Potrà
sembrarvi strano, ma se ne trovano diversi a New Orleans. Basta sapere dove
cercare”.
Fell
scosse il capo con aria poco convinta.
“Mi
spiace deluderla signor Lester…”
“Mi
chiami Gregory.” lo corresse l’altro riappropriandosi del diario. Leanne gli
sorrise mentre l’oggetto passava dalla sua mano a quello dell’uomo.
“Va
bene, Gregory… devo informarla che non sono i vampiri il motivo per cui abbiamo
deciso di indire un nuovo Consiglio.”
Lo
sceriffo volse lo sguardo in direzione della donna, che annuì.
“Stando
a quello che dice mio padre, le ultime preoccupazioni in materia di vampiri
risalgono a una trentina di anni fa.”
Lester
si passò una mano sotto il mento.
“Non
capisco.” ammise infine visibilmente perplesso, frugando con lo sguardo tra i
volti dei presenti.
“Se
siete sicuri che la minaccia dei vampiri sia ormai scemata… perché formare un
nuovo consiglio?”
Fell
gli rivolse un’occhiata penetrante.
“Gregory,
lei è davvero convinto di poterci dare una mano?”
L’uomo
annuì con fermezza.
“Assolutamente.”
I
due membri del consiglio si scambiarono un lieve cenno d’intesa.
Leanne
si sollevò dalla sua poltrona e raggiunse Lester.
“Posso?”
domandò con un sorriso, appoggiando la mano sul diario di Jonathan Gilbert. Con
riluttanza, l’uomo acconsentì.
“Signor
Lester…” incominciò la donna, sfogliando le prime pagine del volume.
“..Gregory…”
Si corresse con una scintilla di malizia nello sguardo.
“Lei
sa qualcosa a proposito dei lupi mannari?”
Nota
dell’autrice.
D:
D: Capitolo lungo! Non mi volete male per questo, vero? Io ci ho provato a
stringare, ma per quanto mi sforzi, spuntano sempre fuori particolari che non
erano previsti (vedi Jeremy e i biscotti) che però non voglio tagliar via,
perché in sostanza sono sempre utili ad approfondire la personalità dei
personaggi.
Ma
andiamo con ordine: Caroline & Liz. Come già credo di aver scritto nel
capitolo precedente, la cosa bella di questa storia, è che mi consente di
trattare personaggi su cui non mi ero mai soffermata molto prima d’ora. So che
Liz in passato ha trascurato molto la figlia, dunque immagino che il ritorno a
casa di Caroline possa significare molto per lei. Per quanto riguarda Caroline
e Stefan, ancora una volta il collegamento al future!verse di alister_ è stato d’obbligo. Mi sto
sforzando di unificare il più possibile i nostri due !verse e visto che sia io,
sia lei, avevamo pensato a Stefan e Caroline assieme in un eventuale futuro
post TVD ( in termini di amicizia, si intende), ho deciso di farli vivere a New
York, così da far coincidere anche questo dettaglio alla versione della alis.
Dopodiché,
passiamo alla famiglia Donovan. Elena è un altro di quei personaggi che tratto
proprio di rado, quindi l’ho presa un po’ con le pinze. La casetta sull’albero
dove è ambientata la scena è un altro elemento che ho ripescato da una mia
vecchia shot, let it slide, che è anche il racconto in cui
Jeff e Ricki (da bimbi) fanno comparsa per la prima volta. Non ringrazierò mai
abbastanza Mary per aver tirato fuori quel prompt, perché ormai per me
la casetta sull’albero di Matt Donovan è qualcosa di incredibilmente simile al
canon, e la tradizione doveva continuare anche con i figlioli.
Passiamo
poi a Jeremy e a sua moglie Hazel. Non si è detto nel capitolo, ma io lo dico
ora, perché lo sto dicendo al mondo intero, perché sono fissata (!), Jeremy è
diventato un architetto. In questa scena in particolare si è comportato un po’
da mattacchione. Nel prossimo capitolo lo rivedremo ancora, forse in vesti più
pensierose.
Si
passa poi ai quattro dell’Ave Maria, Mase Oliver Caroline e Xander. Sappiate
che l’ipotetico primo bacio di Xander e Caroline da piccoletti c’è stato
veramente e può anche darsi che prima o poi ne spunterà fuori anche il missing
moment.
Per
quanto riguarda la scena Oliver/Mase, anche qui il fatto che Oliver abbia la
fissa per gli aereoplani fa riferimento a una mia one-shot, Blackbird, che racconta come è nata
l’amicizia di due piccoli Olive & Mase.
Infine
(ci siete ancora? Buh XD), la parte finale ha dato un po’ una scossa
all’apparente normalità che caratterizza questa nuova Mystic Falls. Non voglio
dilungarmi più di tanto su questo punto. Ci sarà tempo più avanti, per
scoprirne di più.
Il
prossimo capitolo sarà bello corposo mi sa, perché succede di tutto un po’.
Sappiate solo che sarà ambientato durante la partita di Hockey di Xander bello
e che finalmente faranno capolino i due “adulti” mancanti (Tyler e Bonnie).
Uh e anche Autumn.
Ho
detto troppo -come mio solito- .
Vi
ricordo che per foto, video, informazioni,foto di Mase nudo (ma dai,
stavo scherzando XD), e via dicendo a proposito di questa storia, potrete
trovare tutto qui.
Ringrazio
di nuovo quella bellissima e splendida donna di nome Fiery,
per il betaggio *spupazza tantissimo*
Un
abbraccio grande
Laura
P.S.
Again, il titolo è tratto da un episodio della season 1 di TVD. L’ho trovato
particolarmente azzeccato, visto che questo capitolo si è cncentrato molto sui
vari nuclei famigliari.
P.P.S.
Le risposte alle recensioni arriveranno il prima possibile!
Certi
dettagli finiscono per rimanere in circolazione nella vita di ogni giorno
e continuano a
ripetersi all’infinito, senza mai evolversi. Senza mai cambiare.
Non i
bambini, però.
Tutti i
bambini prima o poi crescono.
Tutti
tranne unouna.
Da Car(o)line Pan.
“Sei tornata!”
Caroline Forbes scoppiò a ridere, abbracciando Bonnie
con slancio.
“Dieci anni, Caroline. Dio, sono passati dieci anni!”aggiunse poi la
donna, separandosi dall’abbraccio.
“E non sei cambiata per niente.” commentò Caroline;
Bonnie le rivolse un’occhiata scettica.
“Forse un pochino?” si corresse la vampira sorridendo
all’aria matura, da donna adulta che il viso dell’amica emanava.
Bonnie scosse il capo, ancora sorridente.
“Entra, dai!” la incitò, guidandola lungo l’ingresso
per poi raggiungere il soggiorno.
“Da quanto sei tornata?”
Caroline cercò di guadagnare tempo guardandosi
intorno. Il suo sguardo vagò incuriosito per la stanza, attirato da piccoli
particolari che rendevano quell’ambiente ben diverso da quello che per anni
aveva associato a Bonnie.
A destare maggiormente il suo interesse, furono le
foto appese alle pareti; ce n’erano davvero tante, foto di quelli che dovevano
essere i suoi due figli da bambini. Era il genere di cosa che Caroline si era
immaginata tante volte di trovare in casa di Elena, più che in quella di
Bonnie.
“Da un po’.” ammise infine, mentre la padrona di casa
le faceva cenno di sedersi.
“Ma avevo voglia di stare un
po’ per conto mio prima di incontrare tutti voi.”
“Tua madre ti ha accennato al fatto che questo non è
esattamente il momento migliore per…”
“So tutto dello sceriffo, sì. So che ha dei sospetti
riguardo le famiglie fondatrici, ma non sono
preoccupata.” aggiunse, con un guizzo divertito nello sguardo.
“Credo di essere in grado di cavarmela da sola,
ormai.”
Bonnie ricambiò il sorriso, tendendo la mano per
stringere quella dell’amica.
“Stefan è qui con te?”
La vampira scosse il capo.
“è con Damon. Abbiamo pensato entrambi che era
arrivata l’ora di prenderci cura delle nostre famiglie; almeno per un po’.”
“Katherine?” domandò ancora Bonnie, inarcando un
sopracciglio.
“Da qualche parte a fare baldoria, credo. L’ultima
volta che ho sentito Damon, non era già più con lui.”
Spiegò, prima di focalizzare la sua attenzione su una
delle foto incorniciate alla parete..
Sorrise con tenerezza all’immagine di due bambini che
facevano le boccacce abbracciati a un pupazzo di neve.
“Raccontami qualcosa tu.” Propose, tornando a guardare
Bonnie.
“Come vanno le cose qui a Mystic Falls? Com’è…Avere una famiglia?”. Aggiunse,
riuscendo a concedersi un sorriso.
L’amica si strinse nelle spalle.
“Più o meno è rimasto tutto
come dieci anni fa. Siamo una normale famiglia americana con l’ossessione per
il caffè e le cene a base di toast. Ho un lavoro normale, una casa normale… Dei figli normali…”
“…figli con dei normali
genitori separati.”
Caroline si voltò in direzione delle scale, per
osservare la ragazza che aveva appena fatto ingresso in soggiorno.
“Ciao!” esclamò con voce allegra. L’adolescente le
rivolse un’occhiata indagatrice, mentre si affrettava a indossare il giubbotto.
“Ciao.” rispose, afferrando la borsa che aveva
appoggiato sull’ultimo gradino delle scale prima di avvicinarsi alle due donne.
“Mia figlia Autumn.”
la presentò Bonnie, scoccandole
un’occhiata contrariata.
“Che ha una linguaccia tremenda.”
“Ci siamo già incontrate una volta, ma forse non te lo
ricordi.” spiegò Caroline, sollevandosi dal divano per avvicinarsi alla
ragazza.
Autumn aggrottò le sopracciglia con aria perplessa;
somigliava meno a Bonnie di quanto la vampira ricordasse. I capelli scuri della
giovane erano lunghi e ondulati. Molto più mossi rispetto a quanto non lo fossero mai stati quelli della madre alla sua età.
Anche nei lineamenti, Caroline riconobbe in
Autumn qualcosa di diverso rispetto a Bonnie; gli occhi, però, li aveva presi da lei.
“Caroline è la figlia di una mia vecchia amica.” spiegò
Bonnie alla figlia, alzandosi anche lei dal divano.
“Caroline come Caroline Lockwood?” ripetè
la ragazza tendendo la mano per stringere quella che la vampira le stava
porgendo. Non si accorse dell’improvviso irrigidirsi della sconosciuta al
pronunciare di quelle parole.
Caroline le strinse la mano, sorridendole con
dolcezza.
“Piacere di conoscerti.”
In quel momento, qualcosa di insolito
accadde ad Autumn. La sua mano si sganciò istintivamente da quella di Caroline
e si affrettò a recuperare la borsa. Una sensazione strana, d’inquietudine, la
spinse ad arretrare.
“Devo andare.”
Annunciò infine sistemandosi il colletto del cappotto
per poi allontanarsi in direzione dell’ingresso.
“Sono in ritardo per la partita.”
“Autumn!”
Bonnie la richiamò con aria irritata.
“Ha un caratteraccio.” borbottò infine, quando
entrambe avvertirono il rumore della porta che si apriva e si chiudeva.
“Purtroppo l’ha preso da me.”
“E…Ha preso anche qualcos altro, da te?” chiese Caroline lentamente, quasi
non si sentisse più sicura di poter trattare determinati argomenti con lei.
Bonnie denegò con il capo.
“No. A quanto pare, no. E meno male, perché non credo
che sarebbe facile per lei venire a compromessi con una faccenda simile. è scettica come suo padre.”
“Aspetta un momento…”
Solo in quel momento le vennero in mente le parole che
Autumn aveva pronunciato facendo ingresso in soggiorno.
“Tua figlia ha parlato di … Tu e David avete divorziato?”
“Separati.” la corresse Bonnie a labbra strette.
“Io e David siamo separati. Lui vive a Richmond, ora. Assieme a Julian.”
“Come ti dicevo, una normale
famiglia americana.” commentò, con un
pizzico di amarezza nel tono di voce. Tornò a sedersi sul divano e il suo
sguardo cadde sulla stessa fotografia che Caroline aveva osservato a lungo poco
prima.
“Mio figlio è come me.” ammise infine, tornando a
guardare Caroline.
“Il che è strano, visto che
generalmente la magia salta una generazione.”
“Come l’ha presa?” Domandò stupita la vampira.
“Fin troppo bene.”
Bonnie si accigliò.
“Ad essere sincera ho cercato
di tenerlo il più lontano possibile da tutto quanto, finché ho potuto.
Crescendo, però, ha incominciato a porsi delle domande e verso gli ultimi anni
delle superiori era diventato pressappoco impossibile tenerlo lontano da quello
che gli stava succedendo. Gli ho raccontato alcune cose per evitare che si
sentisse a disagio con se stesso, ma mi sono comunque opposta all’idea di
insegnargli più del dovuto. Voglio per Julian una vita normale. Così come la voglio per Autumn.”
“Posso capirlo.” Commentò,
Caroline annuendo. Bonnie sospirò un’ultima volta, prima di tornare a
sorridere.
“Sei già andata a trovare Elena e Matt?” domandò con
aria decisamente più rilassata rispetto a prima.
L’amica scosse il capo.
“Volevo passare, ma non erano in casa. Sono passata
anche da Jeremy mentre venivo qui, ma non c’era
neanche lui.”
“Sono tutti alla partita di hockey. È lì che stava
andando anche Autumn: dovresti farci un salto.”
Commentò poi rivolgendosi all’amica.
“Credo…” E qui, il suo tono
di voce si fece d’un tratto esitante, proprio come era
successo a Caroline quando aveva tirato in ballo la questione ‘magia’. “Credo
che ci sarà anche Tyler.”
Caroline scosse il capo con aria poco convinta.
“Un’altra volta, magari.” Commentò, rivolgendole un
sorriso rilassato.
Quando poi, una mezz’oretta più tardi, si trovò a
percorrere le tribune che circondavano il campo da hockey, si trovò a maledirsi
in silenzio per non essere stata in grado di dare retta alle proprie parole.
***
“Sei pronto?”
Caroline Lockwood bussò sulla spalla del migliore
amico. Xander sorrise, facendole spazio sulla panchina.
“Pronto a piazzare almeno un paio di puck in rete.
Anche se…” aggiunse, abbassando il tono di voce e
avvicinandosi con il capo a Caroline . “Quello lì un po’ di paura me la fa,
diciamocelo.” Ammise accennando con il capo a un ragazzone in divisa che stava
scrutando gli avversari con aria scontrosa.
Caroline lo indicò con il dito.
“Quello grosso almeno quanto la jeep di papà?”
“Non indicare!”la riprese Xander, abbassandole la
mano. “Vuoi che l’uomo jeep mi spalmi a terra alla prima occasione?” aggiunse
con una smorfia.
Caroline rise.
“Andrà tutto alla grande, Xander bello.” annunciò
seria porgendogli il casco. Il ragazzo se lo inserì, nascondendo così il
sorrisetto divertito sul suo volto.
“Me lo tieni tu, questo?” domandò poi, sfilandosi
l’anello di famiglia e porgendolo all’amica.
In quel momento, la melodia assordante informò
Caroline che era arrivato il momento di raggiungere le tribune.
“Ci vediamo all’intervallo!” gli gridò in un orecchio
mentre le prime cheerleader entravano in scena,
sorridendo agli applausi dei presenti.
Xander sollevò il pollice in direzione dell’amica e si
affrettò a raggiungere i compagni di squadra.
La ragazza lo osservò pattinare per un po’, prima di
decidersi a raggiungere le tribune. Voltandosi, si scontrò con qualcuno, che a
stento riconobbe come uno dei supplenti del liceo.
“Mi scusi!” esclamò ad alta voce per tentare di farsi
sentire. Gregory Lester, tuttavia, pareva essersi a malapena accorto dello
scontro con la ragazza.
“Bell’anello!” commentò invece, indicando il gioiello
che Caroline teneva ancora in mano. La ragazza gli rivolse un’occhiata
perplessa.
“Grazie… Non è mio.” rispose
semplicemente, prima di arretrare in direzione delle tribune. Scosse il capo
con aria stranita, infilandosi in tasca l’anello di Alexander.
“Il nuovo supplente di storia è un po’ strambo.” Annunciò,
quando finalmente raggiunse la sua famiglia. Prese posto
fra Ricki e Mason, allungando poi la mano in direzione del fratello più
piccolo.
Mason inarcò un sopracciglio.
“Chi? Lester? Mi ha chiesto di ripetergli come facevo
di cognome per lo meno tre volte…” commentò, offrendo a Caroline il suo pacchetto di
noccioline.
“Avrà qualche problema di udito…”
si introdusse nel discorso Ricki, muovendo il capo a
ritmo di musica.
“Il buon vecchio professor Finn, che fine ha fatto?” aggiunse.
Caroline e Mason si scambiarono un’occhiata.
“Sarà malato, credo. È da un
paio di settimane ormai, che abbiamo il sostituto.” spiegò
la ragazza.
“Peccato, Finn era un tipo abbastanza a posto. Tranne
quando si addormentava e incominciava a russare in classe. Vero Jeff?”
Si rivolse all’amico prima di tornare a dirigere la
propria attenzione verso le cheerleaders che si stavano esibendo sulla pista. Non
faticò a individuare Vicki in mezzo a tutte quelle ragazze. Non che a Ricki
interessasse particolarmente tenere d’occhio lei, piuttosto che le sue
compagne. Di ragazze carine ce n’erano parecchie nel gruppo e Victoria non era
di certo la più attraente - Ricki, poi, aveva sempre avuto un debole per le
bionde .
Eppure Vicki aveva un modo di muoversi che
difficilmente passava inosservato.
“Senti un po’…” aggiunse infine il ragazzo
rivolto a Jeffrey, accennando con il capo alla pista da hockey.
“Ma a te non da fastidio osservare tua sorella mentre
mena il sedere a destra e a sinistra? Quelle gonne sono decisamente corte.” Osservò; Caroline roteò gli occhi.
Jeffrey sorrise.
“Comincio a capire come mai a Caroline non sia mai
venuto in mente di fare la cheerleader.” Commentò
rivolgendogli un’occhiata divertita. La ragazza si accigliò.
“Non mi è mai venuto in mente, perché è un passatempo
scemo, non perché ho un fratello geloso. Lo sport
appaga decisamente di più.” Aggiunse incrociando le
braccia al petto.
Mase inarcò un sopracciglio.
“A me appagano molto di più le cheerleader,
invece.” Osservò con un sorrisetto sghembo. Ricki gli diede una pacca sulla
spalla, ammiccando.
“Vicki si sta facendo più carina, comunque…”
aggiunse improvvisamente, indicando la pista da hockey con il capo.
“L’hai detto davvero?”
Caroline balzò in piedi trascinando Mason per il
braccio.
“L’ha detto davvero, lo dico
a Vicki!” annunciò entusiasta, agitando il pacchetto di noccioline. Mase se ne
riappropriò indirizzandole un’occhiataccia.
“Le hai fatte fuori tutte, complimenti.” Borbottò,
gettando malamente il pacchetto sulla tribuna.
“Vado a prendermi da bere.” aggiunse con aria
scontrosa prima di allontanarsi in direzione del bar.
“Ho detto che è carina, mica che mi
è apparsa in sogno come un angelo. Tra l’altro là in mezzo è pieno di
ragazze decisamente più interessanti..” Ribattè secco
Ricki assumendo anche lui un’espressione contrariata.
“Dì un po’…”
Questa volta fu Jeffrey a parlare.
“Com’è che tu puoi dire liberamente quello che vuoi su
mia sorella, mentre la tua la tieni praticamente sotto
campana?”
Richard diede una scrollata di spalle.
“Noi Lockwood siamo tipetti gelosi.” Spiegò,
accennando a un sorrisetto.
“…Degli autentici maschi ‘alpha’…Ahy!”
Lo scappellotto del padre colpì alla nuca. Tyler si inserì nella tribuna e prese posto accanto alla figlia,
occupando il posto che aveva lasciato libero Mason.
Ricki incassò l’occhiataccia dell’uomo con aria d’un tratto meno scherzosa.
“Ok, ok la pianto.” si arrese,
riprendendo a osservare la pista da hockey.
“Sei arrivato giusto in tempo per l’inizio, papà!” annunciò
allegramente Caroline. L’espressione dell’uomo si ammorbidì leggermente.
“Dov’è Mason?” domandò, notando l’assenza del
minore dei suoi figli.
Caroline diede una scrollata di spalle.
“A prendersi da bere.”rispose, allungandosi per osservare
meglio i giocatori in campo. “Oh, ecco, lo vedi quel tizio grosso come un
armadio?” aggiunse.
Tyler sospirò. Si sforzò di ignorare il nervosismo che
lo sorprendeva ogni volta che il figlio più piccolo non si trovava dove si era
aspettato che fosse.
Mase aveva ereditato da lui l’attitudine ad attaccare
briga in qualsiasi occasione, ed era forse quello uno dei motivi principali che
lo portavano a preoccuparsi per lui più di quanto non si fosse mai successo con
Caroline o Ricki.
“Quello è l’uomo Jeep. Ci sta tutto come
soprannome, vero?”
“Uomo jeep?”domandò, inarcando appena un
sopracciglio. Caroline annuì decisa. Il padre scoccò un’occhiata divertita
all’adolescente muscoloso indicatogli dalla ragazza.
Sua figlia, d’altro canto, aveva l’innata capacità di
riuscire a strappargli un sorriso in qualsiasi situazione.
“Ci sta alla perfezione.”
***
I figli nascono con dentro quello che, nei padri, la vita ha lasciato a metà.
Alessandro Baricco. Castelli di Rabbia
“La partita è già iniziata!” costatò Oliver
infilandosi in una delle ultime tribune, seguito a ruota dal padre. Jeremy
scorse la pista da hockey con lo sguardo alla ricerca del suo primogenito:
Alexander stava marcando un giocatore della squadra avversaria per cercare di recuperare
il puck.
“Beh, non dire alla mamma che siamo arrivati di nuovo
in ritardo. Eppure siamo partiti praticamente assieme
a lei.”
“Abbiamo fatto un paio di soste, però.
Prima la cartoleria e poi il bar.”
Tentò di giustificare il figlio appoggiando sul
gradino la sua lattina di coca cola.
“Giusto.” Jeremy annuì con aria distratta. “A cosa
stai lavorando, ultimamente?” continuò poi ,accennando
con il capo all’album da disegno che il ragazzo teneva sulle ginocchia.
Oliver fece spallucce.
“Al ritratto di una ragazza. Una
bella ragazza.”
“Interessante.”
Jeremy sorrise. “Questa ragazza ha un nome?”
“Immagino di sì. È solo che non ho
idea di quale sia.”
“Tocca informarsi, qui…” lo
prese in giro Jeremy, prima di tornare a seguire i movimenti di Alexander sulla
pista.
Oliver scosse il capo, lo sguardo completamente
assorbito dalla partita.
“In realtà credo che sia parecchio più grande di me.”
commentò. Jeremy inarcò un sopracciglio.
“Più grande, eh? A forza di stare
con Mase, stai ereditando le sue stesse manie”.
“Perché, tu non sei mai stato con ragazze più grandi?”
lo interrogò Oliver. Il padre si passò una mano sotto il mento.
“Credo di essere stato solo con ragazze più grandi, a
essere onesto.” Ammise. “La
mamma è più grande di te?”
domandò Oliver, aggrottando le
sopracciglia.
In quel momento, la lattina di coca cola si
rovesciò, evitando per un soffio le scarpe del ragazzo.
“Oliver…” lo rimproverò il
padre con poca convinzione.
“Non l’ho neanche toccata.” ammise in tutta sincerità
il giovanotto, chinandosi con l’intenzione di ripulire.
“E comunque sì, anche la mamma è più grande di me.”
Terminò il discorso Jeremy prima di venire distratto
da qualcosa: era convinto di aver sentito il suo cellulare vibrare, ma quando
ne esaminò il display, non trovò traccia di alcuna chiamata. I lineamenti
dell’uomo si fecero d’un tratto più nervosi, mentre la
sua mano tastava la superficie di qualcosa che teneva nella tasca interna del
giubbotto: la bussola aveva ripreso a ticchettare.
“Vado a buttare questa.” annunciò in quel momento
Oliver con la lattina in mano, rinunciando ai suoi tentativi di ripulire il
gradino. “Nel frattempo, vedo se riesco a trovare Mase. A
dopo!”
Jeremy si assicurò che il figlio avesse abbandonato le
tribune, prima di tirare fuori dalla tasca l’orologio-bussola.
Da qualche tempo aveva iniziato a portarselo dietro,
ma mai prima di quel momento gli era capitato di sentirlo vibrare così forte.
Si guardò attorno, irrequieto. L’ago della bussola scattò rapido in direzione
delle tribune di fronte a lui, prima di tornare indietro, indicando un punto
imprecisato alle sue spalle.
“Sarà rotta?” commentò fra sé, notandone l’oscillare
nervoso. La lancetta tentennò ancora un po’, prima di stabilirsi con più
precisione proprio su di Jeremy, facendogli aggrottare le sopracciglia con aria
perplessa.
“Che cos’è quel muso, Jer?”
Una voce risuonò allegra al suo orecchio facendolo
sobbalzare.
“C’è ancora bisogno di me per riuscire a farti
spuntare un sorriso decente?”
Jeremy, che si stava sforzando di nascondere la
bussola il più in fretta possibile, si voltò di scatto.
“Caroline?” domandò, sgranando gli occhi sorpreso. La
vampira esibì un sorrisetto divertito.
“Diventi sempre più grande, Peter Pan.
Non è leale!” si lamentò, fingendo un accenno di broncio prima
di abbracciare l’amico con slancio.
Jeremy sorrise.
“Allora eri tu!” esclamò, lasciandosi stringere,
scuotendo poi il capo.
“Mi hai fatto sclerare per mesi! La bussola ogni tanto
scattava senza avviso, pensavo ci fossero dei nuovi…”
Si diede un’occhiata intorno, mentre la ragazza prendeva posto accanto a lui.
“…nuovi vampiri in città.
Avrebbero spiegato il comportamento strano dello sceriffo nell’ultimo periodo.
E onestamente ero anche preoccupato per i ragazzi. Ad ogni modo, grazie per non
essere passata a salutare in tutto questo tempo...” commentò
in tono di voce asciutto; Caroline rise.
“Hai ragione, scusa.”
“E per esserti completamente dimenticata di Mystic
Falls nel corso degli ultimi… quanti anni sono
passati, sei? Sette?”
“Dieci.” lo corresse Caroline, rivolgendogli
un’occhiata divertita.
“Questo posso ancora farlo
vero? “ aggiunse, allungando una mano per arruffarli i
capelli. Jeremy si scansò con aria infastidita.
“Ma non ci provare nemmeno! Lo sai quanti anni ho?” sbottò, sistemandosi i polsini della
camicia.
“Oh, mi scusi ‘signorarchitetto’.” lo prese in giro la vampira in tono di voce
pomposo; Jeremy le scoccò un’occhiataccia.
“Rassegnati.” aggiunse infine la ragazza.
“Potrai anche diventare vecchio e perdere tutti i
capelli, ma per me resterai sempre il piccoletto di casa Gilbert.
Quell’impiastro senza denti che correva a nascondersi in camera mia, dopo aver
sostituito lo shampoo di Elena con il barattolo di tempere. ”
“Io non perderò mai tutti i capelli…”
Si lamentò Jeremy, sistemandoseli con aria offesa.
“E comunque casa Gilbert ha dei nuovi piccoletti,
adesso.” aggiunse con un sorriso luminoso, rivolgendo il proprio sguardo in
direzione della pista da hockey.
Caroline gli rivolse un’occhiata intenerita; aveva
riconosciuto nel suo sguardo quel particolare brillio che un tempo prendeva
forma, solo quando lo sorprendeva a disegnare.
“Qual è il tuo?” domandò, frugando la pista con gli
occhi. Jeremy indicò il figlio con il dito.
“È quello che sta maneggiando il puck in questo
momento. Alexander…” Sottolineò,
con una leggera nota di orgoglio nel tono di voce. “La mia peste.”
“Ti somiglia?” domandò ancora Caroline, tornando a
guardare Jeremy. L’uomo accennò a un sorrisetto.
“Hazel dice che è la mia copia. In realtà, penso sia
più un miscuglio fra me e lei. Vedessi che capelli, che ha…”
aggiunse ridendo.
“Oliver, invece è tutto un altro paio di maniche. Non
riuscirò mai a capire come faccia a essere sempre così calmo, così… sereno. Fa fatica anche ad arrabbiarsi, e a volte mi
viene quasi da pensare che non ne sia capace. È pazzesco, eppure ogni tanto
l’impressione che dà è proprio quella.”
“Me li ricordo da piccoli, sai?” costatò Caroline con
un sorriso.
“Me li hai presentati quando erano ancora dei bambini.
Due mini Jeremy!”
“A Xander eri piaciuta!” si ricordò in quel momento
l’uomo.
“Ma d’altronde lui ha un debole per le
Caroline, per cui…”
Scoccò un’occhiata pensierosa alla vampira prima di
esaminare le tribune con lo sguardo alla ricerca di una persona in particolare.
“C’è Tyler laggiù, se vuoi andare a salutarlo.” Azzardò,
indicando il gruppetto dei Lockwood che occupava una delle file centrali
assieme a Jeffrey. “Anche Elena e Matt sono sicuramente qui intorno.”
Caroline sospirò.
“Andrò sicuramente alla ricerca di Elena e Matt. Ho
visto Bonnie, e mi è venuta voglia di vedere anche tua sorella. La stavo
cercando, quando ho trovato te e mi sono sentita in dovere di venire a romperti
le scatole.” Aggiunse, giocherellando con un polsino
della camicia di Jeremy.
“Per quanto riguarda Tyler, penso che aspetterò ancora
un po’.” ammise, alzandosi in piedi. “Non me la sento ancora.”
Jeremy le rivolse un’occhiata poco convinta, prima di
annuire.
“Basta, mi è venuta sete.” annunciò improvvisamente la
vampira alzandosi in piedi. Quando notò il sopracciglio inarcato dell’amico,
sbuffò.
“Non intendevo quel genere di sete, cretino.”
“Beh, in tal caso il bar è da quella parte.” rispose
Jeremy, scoccandole un’occhiataccia. “E non chiamarmi cretino. Sono più grande di te, adesso, porta rispetto.”
Caroline gli fece la linguaccia.
“L’ho già detto e te l’ho ripeto, per me resterai
sempre il più piccolo dei due.” gli ricordò, prima di girarsi per allontanarsi
dalle tribune.
“....e Caroline?”
La vampira si voltò rivolgendogli un sorrisetto vispo.
“Sì?”
“Vedi di fare attenzione, va bene?”
Riconobbe nello sguardo apprensivo di Jeremy, quello
del ragazzino che per anni aveva considerato quasi un fratello, più che un
amico.
Riconobbe al tempo stesso il bambino pestifero che si credeva Peter Pan e l’adolescente schivo, rassegnato a un
dolore troppo grande per un ragazzo così giovane.
Ancora una volta si trovò a riflettere sulle tante
cose che era stata costretta a lasciarsi alle spalle, decidendo di non tornare
più a Mystic Falls.
La loro amicizia, insolita ma salda, era una di
queste.
“Mi sei mancato, Jer.” ammise con un sorriso
dolce, tendendo la mano per sfiorare il capo dell’amico.
E questa volta, Jeremy non la scansò.
Invece, sorrise.
“Mi sei mancata anche tu.”
But tell me, did Venus blow your mind?
Was it everything you wanted to find?
And then you missed me while you were
looking for yourself out there?
DropsofJupiter. Train
Nota dell’autrice.
Anzitutto… Tutti a
votare i vostri personaggi preferiti della Next
Generation qui! No,
scherzi a parte, mi farebbe davvero piacere avere la vostra opinione, sono
molto curiosa!
Passiamo subito al capitolo, che di cose da dire ce n’è parecchie. In realtà, questo capitolo era nato per
essere molto più lungo, ma non mi piace condensare troppi avvenimenti un una volta sola, dunque ho pensato di spezzarlo. Per
questo, in questa parte non succede nulla di che: le cose inizieranno a
smuoversi nel prossimo capitolo.
Arrivando a parlare di ciò che succede qui… Dunque, abbiamo finalmente fatto conoscenza con
l’ultima pargola che mancava all’appello: Autumn. So già che alcuni di voi la
detestavano prima ancora di conoscerla, per via delle somiglianze con Bonnie XD
Diciamo che anche lei, come tutti gli altri, ha molto del suo carattere che deve
ancora essere conosciuto, quindi datele tempo. Nel prossimo capitolo, ci sarà
davvero un “punto di svolta” per lei u_ù .
Passando al gruppetto dei Lockwood, ecco la prima
comparsa del papà “Orso” Tyler, assieme ai suoi marmocchi. Nel
prossimo ci sarà molto di più e… Penso che lo vedremo
in un contesto che tutti voi aspettate da un po’.
Le scenette familiari sono tante, ma vi assicuro che
in ognuna di loro ci sono degli accenni a cose che succederanno in futuro e che
avranno a che fare con il filone più “movimentato” della storia.
Infine…*siprepara alla tirata
d’orecchie*… Caroline e Jeremy. Ve lo aspettavate, eh? Dite
la verità. Chi mi legge, sa che ho un po’ (un po??) la fissa per un ipotetico rapporto di amicizia
fra questi due. Ho dovuto dedicargli uno spazietto
tutto per loro, soprattutto perché tra i loro discorsi ci sono degli accenni
alle dinamiche che prenderà la storia nel corso dei prossimi capitoli.
Cosa aggiungere? Nella
seconda parte, succederanno un paio di cose parecchio
significative. Un ultimo accenno al titolo e alle citazioni e poi scappo.
Dunque, il nome del capitolo l’ho fregato all’episodio 3x09 (Ordinary People) di TVD, perché trovo
che calzasse con la sensazione di “normalità” che traspare dai vari nuclei
familiari (again, sono monotona).
Il prossimo s’intitolerà “Lost
Girls”. Speculate, speculate!
E la canzone inserita, sono settimane che mi
ossessiona. Stando alle righe finali del capitolo incentrate sui pensieri di
Caroline, l’ho trovata piuttosto azzeccata ( “DropsofJupiter”
in generale mi fa pensare un po’ a Caroline.)
Ringrazio di cuore tutti voi che leggete, non
potete capire quanto mi riempia di felicità vedervi familiarizzare con questi nuovi
personaggi. Ogni volta che leggo le vostre recensioni o che leggo un vostro
commento a una foto ,a qualsiasi cosa che abbia a che
fare con History Repeating vado in brodo di giuggiole, perché sono affezionata
a questi personaggi più di quanto non mi sia mai successo con altri e poterli
condividere con voi è meraviglioso.
Un abbraccio grande
Laura
P.S. Se non dimentico qualcosa, non sono io. Gli
accenni a “Peter Pan” tra Caroline e Jeremy, si ispirano a Car(o)line
Pan, dove si dice che Jeremy bambino sognava di non
crescere mai, proprio come Peter.
Postilla NamberCiu! Io di Hockey so poco o niente, mi sono studiata la
pagina di wikipedia mentre leggevo il capitolo, ma
sono comunque ignorante. Ma essendo la partita appena accennata
spero di non aver combinato troppi disastri. In caso ne avessi invece
combinati, vi chiedo scusa! E il “puck”, non è quel meraviglioso personaggio di
Glee, ma il dischetto che nell’hockey viene usato per
fare punto.
Premessa. Visto
che è da un mesetto e più che non pubblico,
e visto che più volte mi è stato detto che c’è chi fa ancora molta confusione
tra i nuovi personaggi, ho pensato di fare un “riassunto delle puntate
precedenti”, concentrandomi un po’ su parentele, legami vari. Se avete tutto
ben chiaro, proseguite allegramente oltre e fate al riassunto ‘ciao ciao’ con la manina. In caso contrario, readthis!
Dunque,
nelle puntate precedenti: per oltre un secolo ho vissuto nel segreto…. Eh no,
questa è roba vecchia. Dunque, la nostra storia è
ambientata circa venticinque anni dopo la serie TV. Damon,Stefan e Katherine non sono più a Mystic Falls ormai da
anni; Damon ha girovagato un po’ per l’Europa con Katherine, ma nell’ultimo
periodo la Petrova si trova in Florida, università di Jacksonville -
ovviamente non per studiare - . Stefan e Caroline si sono trasferiti
a New York, ma dieci anni dopo l’ultima visita della vampira a Mystic Falls, la
ragazza decide di tornare finalmente a casa: la nostra storia incomincia così.
Nel frattempo, a Mystic Falls, i nostri vecchi protagonisti umani sono
cresciuti, si sono sposati, e hanno avuto dei pargoli. Tyler ha tre marmocchi,
Richard jr (Ricki), è il maggiore e frequenta l’università di
Jacksonville assieme al migliore amico Jeffrey Donovan (figlio di Matt e Elena). Lo incontriamo per la prima volta a Jacksonville,
dove Katherine fa conoscenza proprio con Jeff: quella per ora, è l’unica
occasione in cui abbiamo incontrato Katherine, perché Ricki e Jeffrey sono
tornati a Mystic Falls per una settimana. Appena tornato, Ricki nota che c’è
qualcosa di insolito nel modo in cui lo sceriffo
osserva casa sua, e incontra Vicki junior, secondogenita di Elena e
Matt, che da sempre ha una cotta per lui. Dopo Ricki, c’è Caroline (Lockwood),
sportiva e vivace, e Mason Junior, che alla sua prima comparsa,
individua Caroline (Forbes XD) nei corridoi di Mystic Falls ed è sicuro di
averla già vista da qualche parte. Anche Jeremy si è sposato e ha avuto due
figli, Alexander “Xander” (migliore amico di Caroline Lockwood) e Oliver,
che ha ereditato la sua passione per il disegno, e cui carattere mite combacia
alla perfezione con quello opposto – burbero e suscettibile – di Mason, suo
migliore amico. Infine, Bonnie è separata con due figli: Julian, che per
ora abbiamo incontrato solo una volta all’università –
e ci ha mostrato le sue abilità da maghetto
impacciato – e Autumn, che pare non aver ereditato i poteri della madre,
ma che ha un comportamento piuttosto insolito quando incontra Caroline
(Forbes). All’infuori di questa atmosfera composta da
allegre famigliole felici, abbiamo tre loschi individui: lo sceriffo Fell,
già citato prima, il supplente di storia, Gregory Lester, che continua a
interessarsi di particolari sospetti – come l’anello di Alexander che per i
Gilbert si passa di generazione in generazione – e LeanneWillard-Forbes, la misteriosa figliastra di Bill Forbes,
che sembra essersi trasferita a Mystic Falls per indire un nuovo Consiglio,
dopo che gli eredi dei fondatori non ne hanno più convocato uno da anni. Fell,
Lester e Willard-Forbes,hanno
dunque dato origine a un nuovo consiglio, ma pare che dai vampiri, il loro
interesse si sia spostato ai licantropi. Caroline (Forbes) che è venuta a
sapere delle macchinazione insolite del Consiglio dal
padre Bill, ha deciso di tornare a Mystic Falls, proprio per tenere d’occhio la
situazione. Ha riabbracciato la mamma, salutato alcuni dei suoi vecchi amici, e
l’abbiamo lasciata alla partita di Hockey,mentre si
allontanava dalle tribune per andare a prendersi da bere.
Fine super riassunto!Ora
direi di cominciare. Buona lettura!
Dedicato
a chiunque abbia aspettato la scena Forwood con tanto amore (e
insistenza!): siete belle, e spero che questo capitolo non vi deluda.
E
ad Ale bella, che ama Tyler in versione papà [e Mase!]
They say
that home is where the heart is
I guess I haven't found my home.
We keep driving around in circles
afraid to call this place our home.
Are we
there yet?Ingrid Michaelson
Sei anni prima.
Caroline amava New York: la sua personalità vivace
si abbinava perfettamente allo stile di vita frenetico della metropoli, e il
fatto che ci fosse così tanta a vita a circondarla, la aiutava a tenere a bada
le riflessioni troppo scomode, incitandola a godersi un’eternità spensierata,
priva di preoccupazioni troppo grandi.
Eppure, nonostante fossero ormai passati diversi
anni dall’ultima volta che aveva messo piede a Mystic Falls, non era mai
riuscita ad accantonare del tutto la nostalgia per la Virginia.
La rievocava di frequente, sfogliando vecchi album
in compagnia di Stefan, e prendendo poi in giro l’attaccamento nostalgico che
nutriva nei confronti dei luoghi in cui era cresciuta.
Più volte era stata sul
punto di tornare a casa, salvo poi cambiare idea all’ultimo minuto: Mystic
Falls era cambiata per lei, dal primo giorno in cui aveva deciso di lasciarsela
alle spalle. Nonostante nel primo periodo in cui aveva
vissuto a New York tornasse spesso a farle visita, c’era sempre qualcosa che
stonava. Piccoli dettagli fastidiosi che la facevano sentire a disagio, fuori
posto, in luoghi che invece avrebbero sempre dovuto ispirarle fiducia e
quotidianità.
Era quella, per lei, la parte più dolorosa
dell’eternità: girovagare per strade in cui i suoi ricordi echeggiavano ancora,
ma che ormai non la riconoscevano più. Strade che non erano più in grado di
indicarle la via di casa.
Senza più
punti di riferimento stabili nella cittadina in cui aveva vissuto per così
tanti anni, Caroline faceva fatica a ricordare che, seppur non
invecchiando mai, il tempo avrebbe dovuto contribuire anche a farla crescere,
maturare.
Non è facile diventare grandi, quando ci si sente
fuori posto nel luogo in cui si è nati e cresciuti; e per anni, Caroline Forbes
faticò a considerarsi adulta.
Ai suoi occhi, gli occhi di
una diciassettenne, appariva semplicemente come una delle tante ragazze che
frugavano New York con lo sguardo, alla ricerca di un luogo cui appartenere:
una ragazza smarrita.
Chapter
5.
Lost
Girls.
They say
there's linings made of silver
folded inside each rainy cloud
will we need someone to deliver
our silver lining now?
Are we
there yet?Ingrid Michaelson
Eppure, in Virginia ci tornava spesso: a volte da
sola, a volte in compagnia di Stefan – di rado, anche
con Damon. Le piaceva girovagare senza una meta precisa per le cittadine poco
popolate, non poi così dissimili dal luogo in cui era cresciuta. Spesso, si
divertiva a ripercorrere luoghi che aveva visitato da
bambina, di cui ormai possedeva solo un vago ricordo. Il suo preferito era una
piccola riserva naturale che non distava poi molto da Mystic Falls. Era sicura
di esserci stata parecchie volte quando frequentava le elementari, un paio di
quelle probabilmente in gita con la scuola.
Ritornare lì era piacevole, per Caroline; quel luogo
le era familiare, ma non a punto tale
dall’impensierirla nel notare i cambiamenti che c’erano stati nel corso degli
anni.
Tornò a visitare la riserva almeno tre o quattro volte
nel corso di quei dieci anni in cui si tenne lontana da Mystic Falls: in una di
queste visite, si trovò ad avere a che fare con uno dei motivi che più
l’avevano spinta ad abbandonare la cittadina, anche se non se ne rese conto
subito.
Era un ragazzino accovacciato di fronte alla
staccionata, le ginocchia strette al petto. Aveva un’aria particolarmente
crucciata, quasi preoccupata, come se stesse rimuginando su qualcosa che lo
facesse sentire in colpa.
Caroline lo osservò per qualche secondo, improvvisamene
turbata: di ragazzini, alla riserva, ne intravedeva ogni
giorno parecchi. Eppure, in lui, riconobbe qualcosa di tremendamente
familiare.
L’aria abbattuta del bambino e una particolare
sensazione di déjà-vu la convinsero ad avvicinarsi alla staccionata; quando poi,
fu abbastanza vicina da poter esaminare meglio i lineamenti del ragazzino,
qualcosa la costrinse a fermarsi: aveva già incontrato quegli occhi grigi, quel
viso spaurito, prima di quel pomeriggio.
E per quanto il buonsenso continuasse a suggerirle
che si stesse sbagliando, che la coincidenza sarebbe stata troppo forzata, da
una parte sentiva che non poteva essere così: se il suo cuore non fosse stato
immobile ormai da troppo tempo, le avrebbe indicato quel bambino.
Per questo scavalcò la staccionata. Atterrò a pochi
metri di distanza dal ragazzino che sobbalzò, rivolgendole un’occhiata
intimorita. I suoi occhi grigi sgranati alimentarono in Caroline la sensazione
di déjà-vu .
“Ciao!” lo salutò amichevolmente accovacciandosi a
sua volta nell’erba.
“Stai bene?”
Il ragazzino si affrettò ad annuire, evitando il suo
sguardo. Sembrava talmente a disagio, che la stessa Caroline si sentì
attraversare da un vago alone di tristezza.
“Sai?
A me non sembra.” commentò con un sorriso incoraggiante, incrociando
le gambe sul tappeto d’erba.
“Ti stai nascondendo?”
La domanda le sorse spontanea, anche se non riuscì a
comprenderne il perché. Episodi sfocati della sua infanzia sfilarono scomposti
di fronte ai suoi occhi, strappandole un sorriso:
bambine che per capriccio si nascondevano alle mamme arrabbiate, fratellini
pestiferi che si rifugiavano sotto il letto … e Tyler. Tyler che da bambino era
sempre stato il re dei nascondigli.
Il ragazzino, d’altro canto, sembrò sorprendersi
della sua domanda. Sgranò gli occhi una seconda volta, prima di rivolgerle
un’occhiata furtiva.
“Anche io mi sto
nascondendo, sai?”
Rivelò a quel punto Caroline strofinando la mano
sull’erba. Questa volta, fu sicura di aver fatto centro: un po’
dell’inquietudine, che fino a quel momento aveva trionfato sul volto del
bambino, scemò.
“Da, da che cosa?” balbettò scrutandola con aria
incuriosita, seppur ancora diffidente. Caroline sorrise,
abbandonandosi in grembo i fili d’erba strappati.
“Da diverse cose.” ammise tornando a rivolgersi al
ragazzino.
“Dalle persone a cui voglio
bene. Dalle cose che mi rendono triste. E da quelle che mi
rendevano felice.”
Il ragazzino annuì lentamente, smettendo di cingersi
le ginocchia.
“È perché hai paura?” domandò.
La vampira gli rivolse un’occhiata sorpresa,
prima di annuire.
“Ogni tanto.
Sì, ci sono delle cose di cui ho paura.” confessò,
sorridendogli con dolcezza: più lo guardava, e più era convinta di conoscere
quei lineamenti, di aver già visto quel viso prima di quel pomeriggio.
Il ragazzino tornò a chinare il capo verso il basso,
incominciando a sua volta a strappare qualche filo d’erba.
“Io invece ho paura di tutto.” commentò in tono di
voce secco, quasi arrabbiato. Caroline scosse il capo, intenerita.
“Ma dai, non ci credo.”
“E invece è così.” ribatté il bambino con aria
triste.
La vampira sospirò; tese una mano per accarezzargli
il capo, ma la ritrasse quasi subito, impacciata: era nell’età per essere una
madre, ma non aveva familiarità con quel modo di sfiorare docile e rassicurante
che appartiene solo alle donne che hanno avuto dei figli.
“È per questo che ti nascondi?
Perché hai paura?” domandò allora con dolcezza, avvicinandosi
al ragazzino. Il piccolo annuì a capo chino, lasciando andare l’erba e
tornando a cingersi le ginocchia con le braccia.
“Non volevo venire alla riserva.” aggiunse poi,
appoggiandoci sopra il mento.
“Non mi piacciono i…”
incominciò, arrossendo per l’imbarazzo. Sospirò. “Mi, Mi,Mi fanno paura i lupi.” ammise infine.
Caroline gli rivolse un’occhiata spiazzata, cosa che
alimentò il rossore sulle guance del ragazzino.
“I lupi?” ripeté lentamente, mentre il bambino
annuiva: c’era qualcosa, nel rinnovato disagio del piccolo, che le infondeva
tristezza.
“So che ci sono alla riserva.” specificò il
ragazzino agitando nervosamente le ginocchia.
“E a me non va tanto di vederli.”
“I lupi sono animali bellissimi.” lo incoraggiò
Caroline sfilando via un filo d’erba che si era incastrato nella suola di una
sua scarpa.
“Ma sono pericolosi...”
obiettò il bambino con una punta di inquietudine nello sguardo.
“Io non mi fido.”
“Quelli della riserva non ti faranno del male.” lo
tranquillizzò la ragazza, convincendosi finalmente a tendere il braccio, per
accarezzargli il capo.
“Sono abituati ad avere
gente intorno. E poi, i lupi sono davvero delle creature speciali: sono
coraggiosi e anche molto leali, specialmente con la propria famiglia.”spiegò, avvertendo un lieve tremore nel suo tono di
voce. La parola “famiglia” accostata a “lupo”, era ancora in grado di turbarla,
nonostante tutto.
Il ragazzino annuì lentamente, stringendosi le
caviglie con le mani.
“Forse è per questo che
mi fanno paura.” azzardò infine, voltandosi esitante in direzione di Caroline.
“Io non sono coraggioso come loro: in realtà non lo
sono proprio per niente. Mi nascondo sempre: i, i miei
fratelli invece non hanno mai paura di nulla.”
“Sai…”
La vampira inclinò appena il capo, sorridendogli con
dolcezza.
“Non sempre le persone sanno di essere coraggiose.
C’è chi se ne accorge all’improvviso e chi impara a farlo lentamente, un
passetto alla volta. A volte siamo convinti di non poter essere coraggiosi,
solo perché non abbiamo mai davvero provato a esserlo.”
Il ragazzino la ascoltava in silenzio, scrutandola
pensieroso.
“Tu sei coraggiosa?” domandò infine indirizzandole
un’occhiata penetrante. Caroline gli sorrise.
“Non lo so, tu che dici?”
Il bambino la osservò per qualche istante in
silenzio, prima di annuire.
“Hai l’aria di esserlo.” ammise accennando al primo
vero sorriso del pomeriggio. La ragazza scoppiò a ridere.
“Ti ringrazio!” esclamò poi, con aria divertita.
“Maallora…”
continuò poi il ragazzino corrugando la fronte, nuovamente impensierito, “…se sei coraggiosa, perché ti nascondi?”
Caroline gli rivolse un’occhiata sorpresa, prima di
indirizzare il proprio sguardo verso il parcheggio, distratta da un fischio in
lontananza.
“Devo andare!” annunciò improvvisamente il bambino
con aria preoccupata, non appena il rumore si fece più vicino.
“È il fischietto dell’insegnante.” rivolse alla
vampira un’occhiata leggermente titubante.
“Grazie.” aggiunse, sollevandosi da terra.
“Senti…” Caroline si alzò
a sua volta.
“Me lo dici come ti chiami?” domandò con aria quasi
speranzosa, nonostante qualcosa dentro di lei le stesse suggerendo di non
farlo.
Il ragazzino la analizzò con aria diffidente,
aggrappandosi al legno della staccionata.
“Mi chiamo Mason.”rivelò
infine, permettendo a un sorriso timido di arricciare gli angoli delle sue
labbra.
“Mason Lockwood.”
Erano trascorsi quattro anni, dall’ultima volta che
Caroline Forbes aveva messo piede a Mystic Falls. Dieci da quando aveva deciso
di trasferirsi a New York. Più di quindici da quando il suo cuore si era
fermato, impedendole di continuare a crescere. Vietandole di vivere pienamente
la sua vita.
Eppure, in quel momento, poté quasi giurare di avere
sentito qualcosa muoversi dentro di lei: per un attimo, osservando quel bambino
sorridere, fu come se il suo cuore avesse ricominciato a battere.
***
Autumn si slacciò frettolosamente la sciarpa dal collo,
percorrendo il corridoio che portava alle gradinate. Sbuffò, intuendo dai
rumori provenienti dalla pista, che la partita fosse già iniziata; si era persa il numero di apertura delle cheerleaders: Vicki le
avrebbe tenuto il broncio per il resto del pomeriggio.
Fece una smorfia quando si accorse di aver perso la
sciarpa per strada e tornò indietro a recuperarla, visibilmente irritata. Quel
pomeriggio l’aveva decisamente incominciato con il
piede sbagliato – tra l’ennesima litigata con sua madre e un libro di scienze
scomparso chissà dove alla vigilia di un compito in classe – e la giornata non
accennava a voler migliorare nemmeno di una virgola. C’era poi stato l’incontro
con quella ragazza, Caroline, che per qualche strana ragione le aveva impresso addosso uno strano nervosismo. Qualcosa di
insolito era accaduto, quando le due si erano strette la mano:
d’istinto, lei aveva ritratto bruscamente la sua, spaventata da un
presentimento improvviso.
Ora, Autumn era sempre stata il tipo di persona che
lavorava parecchio di testa, abbandonandosi talvolta a lunghe e calcolate
riflessioni, pur di non prendere decisioni affrettate. Non dava retta al suo
istinto; semplicemente non era da lei fare affidamento su qualcosa che non
rimasse con una motivazione logica. Eppure, quella stretta di mano – quella
ragazza, Caroline – le aveva suggerito a pelle di allontanarsi il più
possibile: in quel contatto, c’era qualcosa che stonava.
Sbuffò una seconda volta, accorgendosi di avere
incominciato a ragionare come suo fratello, cosa che finì per infastidirla
parecchio: lei e Julian non erano mai stati molto
legati. Si volevano bene, ma si sentivano di rado, e ancor più raramente
si vedevano, soprattutto in seguito alla separazione dei genitori.
Julian era l’opposto di sua sorella: lui era un
sognatore, un impulsivo. Era sempre stato quello strano, il classico ragazzino
che non può fare a meno di porsi delle domande, dubitando che le cose che lo
circondano stiano veramente al loro posto. I suoi, erano gli interrogativi che
ad Autumn avevano sempre fatto roteare gli occhi: a lei piaceva credere che
tutto nel suo mondo avesse un ordine preciso; che le cose accadessero con
regolarità, giorno dopo giorno, e che quindi fosse
inutile provare a spaccarsi la testa con mille punti di domanda, dubbi,
supposizioni. Non si sarebbe mai affidata all’istinto per scegliere
un’università, come invece aveva fatto Julian. Per certi versi, la ragazza
somigliava molto al padre.
Era quello uno dei motivi per cui ancora faticava a
comprendere come mai avesse deciso di stabilirsi con la madre; lei e Bonnie
erano troppo simili per certi versi, e troppo diverse per altri, e questo
miscuglio di analogie e differenze sfociava spesso in litigate, a volte anche
per le cose più stupide. Ciò nonostante, in fondo, Autumn credeva di sapere
come mai avesse acconsentito a restare a Mystic Falls, pur lamentandosi di
continuo. Bonnie non aveva mai faticato ad intuire che
cosa le passasse per la testa, nonostante di rado si sforzasse di intervenire.
Non era mai stata una madre particolarmente oppressiva, né con lei né con
Julian, e quello era da sempre un punto a suo favore. E in fondo era anche in
grado di ascoltarla, anche se Autumn difficilmente gliene dava l’opportunità.
Per Julian e suo padre, invece, comprensione e
complicità erano parole che non si allacciavano per niente al loro rapporto.
L’impulsività e la fiducia cieca che il ragazzo riponeva nei suoi progetti,
talvolta per nulla verosimili, cozzavano apertamente con l’indole realista e a
tratti cinica di David Morgan. In seguito alla separazione dei genitori, Julian
aveva acconsentito a trasferirsi a Richmond–
l’anno successivo si sarebbe dovuto comunque spostare per via del college – ma
tra i due, continuava a non esserci un legame particolarmente stretto. Di
certo, non litigavano sbattendosi la porta in faccia come facevano Bonnie e
Autumn, ma il dialogo era ridotto all’osso. Da quando aveva incominciato a
frequentare l’università, il giovane cercava di tenersi il più possibile fuori casa e David non aveva mai fatto obiezioni a riguardo.
Autumn superò il bar camminando svelta, sperando di
riuscire ad arrivare in tempo almeno per il primo intervallo. Attraversando il
corridoio, individuò con la coda dell’occhio un ragazzo appoggiato al muro, che
stava trafficando con il cellulare. Roteò gli occhi nel riconoscerlo e si
affrettò a proseguire oltre, diretta verso la pista.
Mase sollevò gli occhi dal display e le rivolse
un’occhiata altrettanto seccata.
“Che hai da fare quella faccia?” la rimbeccò
scontrosamente, aprendo la sua lattina di coca cola. Autumn si fermò.
“Magari non sono affari tuoi.” commentò bruscamente,
squadrandolo infastidita.Lei e Mason si
detestavano cordialmente da anni ed era difficile per tutti e due trattenersi
dal renderlo pubblico, ogni volta che si incontravano.
“Magari lo sono, visto che l’occhiataccia era
rivolta a me.” ribattè il ragazzo inarcando presuntuosamente un sopracciglio.
Autumn sbuffò, osservandolo con sdegno.
“Magari non ruota sempre
tutto attorno a te, Mason Lockwood. Sei l’ultima persona
al mondo che mi verrebbe voglia di guardare, specialmente in giornate come
questa.”
E lo pensava veramente; il nervoso
aveva incominciato a punzecchiarla con insistenza e le mani le prudevano in
maniera insolita: la negatività che aveva assorbito in quel pomeriggio
continuava a crescere, spingendola a perdere la pazienza.
Mason diede una scrollata di spalle.
“In tal caso, sei strabica.” commentò con
noncuranza, avvicinandosi la lattina alle labbra. Autumn, che si era finalmente
decisa a raggiungere la pista, si voltò di scatto in direzione del ragazzo.
Nello stesso istante, la lattina di Mase sibilò e la coca cola schizzò fuori
dal contenitore, colpendo il ragazzo sulla maglietta.
“Ma che cazzo…”
Mason schiacciò la parte superiore della lattina con la mano, rosso in
viso. Autumn arretrò lentamente, il nervosismo improvvisamente tramutato
in panico: le dita le prudevano ancora.
“Non sono stata io.” mormorò quasi senza
accorgersene, indietreggiando ancora. Mason le rivolse un’occhiata seccata,
mentre le sue mani si frugavano freneticamente tra le tasche alla ricerca di un
fazzoletto.
“Ma va?” commentò
ironicamente, cercando di asciugarsi il collo come meglio poteva.
“Idiota…” aggiunse poi tra
sé, mentre la ragazza si allontanava, diretta verso la pista da hockey. Autumn
incominciò a respirare forte, guardandosi le mani che ancora le formicolavano:
c’era qualcosa che non andava.
Aveva
caldo e freddo al tempo stesso; e il suo cuore aveva preso a battere più in
fretta, ma non era per rabbia, né per il nervoso.
Eppure non poteva essere stata lei.
Era agitata e non riusciva a comprendere il perché.
La ragazza si cacciò le mani in tasca, poi le tirò
nuovamente fuori. Strinse forte le dita a pugno, ma servì a poco: il prurito non
accennava a dileguarsi, il batticuore era ancora insistente. E
la fastidiosa impressione di essere in qualche modo collegata all’incidente
della lattina, anche.
Ci aveva pensato – era sicura di averci pensato – e poi era successo. Follia,
considerò fra sé, appoggiandosi alle parete. Il fatto che ci avesse pensato,
non significava nulla. Era stata una coincidenza; una stupida coincidenza. Eppure il formicolio alle mani non cessava e il
presentimento che qualcosa di insolito stesse
accadendo continuò a pungolarla con insistenza.
Si sentiva come se il mondo avesse improvvisamente
incominciato a girare più in fretta e lei non avesse idea di come fermarlo. Di
come rallentarlo. Ciò che le era sempre stato ostile –un
presentimento, il suo istinto – si sforzava di suggerirle qualcosa a cui non
voleva dare ascolto, ma che non riusciva ad evitare, per quanto si sforzasse.
E aveva paura.
Una paura sottile, ma
paralizzante. Aveva paura e non riusciva a spiegarsi il perché. Eppure sentiva
che sarebbe andato tutto per il meglio, se solo le sue mani avessero
smesso di formicolare così tanto.
Il prurito non cessò.
***
Mason si chiuse la porta del bagno alle spalle,
imprecando a denti stretti. Cercò il cestino con lo sguardo e si liberò della
lattina ancora mezza piena, prima di raggiungere il lavandino per darsi una
sciacquata. Scrutò poi con aria truce la chiazza di coca cola che si era
formata sulla sua maglietta: fanculo, farfugliò digrignando i denti.
Mentre si asciugava le
mani, qualcun altro fece ingresso nel bagno, catturando l’attenzione del
ragazzo sgranchendosi la voce. Mase lo riconobbe come uno dei compagni di corso
di sua sorella, un certo Mike, Michael, qualcosa
del genere. Era uno di quegli energumeni dall’umorismo forzato con il vizio
di inserire frecciatine a ogni frase, convinti di far ridere. Mason li trovava irritanti e proprio per questo aveva trascorso gli ultimi
mesi cercando di evitare i tipi come Michael, ben conoscendo il tipo di
reazione che avrebbero fatto scattare in lui: quel pomeriggio, non gli fu
possibile.
“Bella maglietta, Lockwood.
Problemi ad aprire le lattine?” commentò l’adolescente
con un guizzo divertito nello sguardo. Mason strinse le mani a pugno, ma si
limitò a tacere, affrettandosi a raggiungere la porta del bagno; forse, nonostante
l’umore nero, sarebbe perfino riuscito a tenersi fuori dai guai, una volta
tanto.
“Avresti dovuto chiedere alla tua sorellona di darti una mano. A proposito, dimentico sempre
quanti anni hai; dodici?”
O forse no.
***
La squadra di Mystic Falls aveva vinto: Caroline
Forbes lo intuì avvertendo le prime note dell’inno della scuola mescolarsi a un
tripudio di voci entusiaste provenienti dalla pista. Sorrise, abbandonando il
bar per raggiungere l’uscita dell’edificio: aveva deciso di fare un salto a
casa, prima di tornare dai Donovan nel pomeriggio, ma i suoi progetti finirono
nel dimenticatoio, quando la vampira oltrepassò il bagno dei ragazzi; rumori di
rissa, mescolati all’odore pungente del sangue la
convinsero a fare marcia indietro. Era consapevole del fatto che sarebbe stato
meglio per lei proseguire oltre, cercando di non impicciarsi, di non dare nell’occhio… o magari di fare entrambe le cose. Si infilò comunque nel bagno dei ragazzi, cercando con lo
sguardo i protagonisti della lite: erano due adolescenti, uno decisamente più
piccolo dell’altro. Caroline li raggiunse appena in tempo per evitare che il
minore si avventasse un’altra volta sull’altro, già pronto a colpirlo di nuovo.
“Fermatevi subito.
Smettetela entrambi!” li intimò afferrando il più giovane per le spalle che si
scansò, portandosi poi il dorso della mano alla bocca per sfilare l’accenno di
sangue che aveva sotto al labbro. Nel momento in cui i
loro sguardi si scontrarono, Caroline lo riconobbe.
“Mason!” si lasciò sfuggire, mentre ancora lo
tratteneva per la giacca. Colto alla sprovvista, Mase si voltò verso di lei; la
riconobbe come la ragazza che aveva sorpreso a fissarlo a scuola. Aprì la bocca
per dire qualcosa, ma Caroline fu più veloce. Si frappose tra i due ragazzi,
mentre il più grande dei due cercava di approfittare
del momento di distrazione di Mase, per sferrargli un pugno.
“Adesso calmatevi.
Tutti e due.” esclamò placcando il colpo del ragazzo e
spingendolo verso il lavandino.
“E tu chi diavolo sei?”
ringhiò a quel punto Mason, cercando di superarla per raggiungere l’altro
ragazzo.
“Che cosa vuoi da me? Perché sei
sempre ovunque?”
Caroline si limitò a trattenerlo, mentre l’altro
adolescente le rivolgeva un’occhiata diffidente, imbarazzato e intimidito al
tempo stesso, dalla forza di quella ragazza mai vista prima.
“Che sta succedendo, qui?”
Nel momento esatto in cui quelle parole venne pronunciate, accaddero due cose: gli occhi di
Mason si ridussero a due fessure e il ragazzo si fece da parte, allineandosi
alla parete. Nello stesso istante, Caroline lasciò andare l’altro adolescente,
irrigidendosi di scatto.
Tutto ciò che fino a quel momento aveva percepito venne meno, incluso l’odore del sangue. Il mondo
si sfumò; i rumori si affievolirono. Si spense tutto; tutto tranne quella voce.
Le quattro parole che aveva udito rimbombarono
ripetutamente nella sua testa e quella voce, la voce che si era sforzata di
ignorare per mesi, gli rimbalzò addosso e si frappose ai suoi pensieri con
insolenza, costringendola ad arretrare a sua volta.
Tyler non ebbe alcuna reazione, fino a quando i loro
sguardi non si incrociarono. Sgranò gli occhi, nel
riconoscere quei lineamenti da ragazzina, quegli occhi chiari, quella luce
ancora presente – dopo tutto quel tempo – nello sguardo di Caroline.
Non disse nulla; rimasero entrambi in silenzio, gli
sguardi fusi l’uno all’altro e i loro corpi immobili, come paralizzati. Mason
analizzò l’espressione di entrambi con aria nervosa, non riuscendo a
comprendere che cosa stesse succedendo. Infine, Tyler si decise a spostare la
propria attenzione da Caroline, al figlio. Notò all’istante il labbro ammaccato
del ragazzo e l’aspetto scomposto di tutti e due gli
adolescenti e i suoi occhi si cerchiarono di rabbia.
“Non è successo nulla, signor Lockwood.” esclamò
improvvisamente il maggiore dei ragazzi, in soggezione.
“Fuori di qui.” lo intimò Tyler indicandogli la
porta del bagno.
“Avanti.”
Il giovanotto non se lo fece
ripetere due volte. Scoccò un’ultima occhiata truce in direzione di Mase e si
allontanò dai presenti, sistemandosi i capelli con la mano. Caroline si
costrinse a seguirlo, farfugliando qualcosa che somigliava a un “vi lascio soli”, ma Tyler si mosse nella sua direzione.
“Aspetta.” affermò rivolgendole un’occhiata
esitante. Caroline si bloccò; l’uomo tornò a osservare il figlio, che aveva
messo le mani in tasca e lo fissava di sottecchi, rosso in viso. Se per la
rabbia o per la vergogna, non era facile da intuire. Infine, l’uomo si voltò
nuovamente in direzione della vampira.
“Dammi due minuti.” insistette. E nel suo sguardo,
Caroline fu quasi convinta di aver intravisto una punta di supplica. Annuì,
abbandonando comunque la stanza e appoggiando le spalle al muro, a pochi metri
dalla porta del bagno.
Non appena la ragazza fu scomparsa dalla sua visuale,
lo sguardo di Tyler mutò nuovamente. Con le iridi cerchiate di rabbia, si
avvicinò il figlio.
“Che diavolo stavi cercando di fare?”ringhiò appoggiando la mano al muro e stringendo le
dita a pugno: le nocche impallidirono. Mason scansò il suo sguardo e scrutò con
odio il pavimento.
“Era solo una litigata scema…”
tentò di difendersi a mezza voce, ben sapendo che quelle parole avrebbero
semplicemente irritato ulteriormente Tyler.
“E per una litigata scema, ti metti a fare a botte?”
ringhiò, infatti, il padre rivolgendogli un’occhiata che mescolava lo stupore
alla rabbia. Mason non rispose: il rossore sulle sue guance era sempre più
evidente. Tyler sospirò, mettendosi a sua volta le mani in tasca.
“Cristo, Mason, io non so più che cosa fare con te.”
sbottò infine scuotendo il capo più volte, “Ma ti sei visto allo specchio?”
aggiunse, afferrandolo per le spalle e dandogli un colpetto in direzione del
lavandino.
“Guardati!
Sei un nanerottolo.” lo intimò Tyler indicandogli lo specchio.
“Un marmocchio con il sangue al naso. E nonostante questo, parti in quarta come un giocattolo a molla,
alla minima provocazione. Continua pure con questo
atteggiamento da cazzone, fatti massacrare dai
ragazzi più grandi, ma sappi che prima o poi capiterà che becchi la giornata
sbagliata e non ci sarò più io a venire a salvarti il culo. O
tuo fratello.”
“Che cosa centra Ricki?” sbottò improvvisamente
Mason allentando la presa del padre sulla sua spalla. Tyler sospirò, riuscendo
a recuperare pian piano il controllo della sua rabbia.
“Mase, per favore.” si limitò a pregarlo
infine, osservando il riflesso del figlio con aria stanca, “Fai
attenzione. Smettila di fare casini. A volte può bastare un passo falso, un
unico stupido errore… e finisci per rovinarti la
vita. Questo, non ti deve succedere.”
Mason trovò il coraggio di sollevare il capo e
squadrò il padre con aria diffidente.
“Da come parli, sembra che tu, quell’errore, l’abbia
commesso.” commentò a voce asciutta. Fuori dal bagno, Caroline trattenne il
fiato, mordicchiandosi nervosamente un labbro. In quel momento, incrociò lo
sguardo del ragazzo che stava camminando nella sua direzione. Gli sorrise istintivamente, riconoscendo l’andatura
rilassata e lo sguardo luminoso del giovane. Sorpreso, Oliver ricambiò il
sorriso, prima di sbirciare oltre la porta del bagno dei ragazzi, convinto di
aver riconosciuto la voce del suo migliore amico.
“Mase?” lo chiamò con titubanza, intuendo
all’istante il brutto momento non appena il suo sguardo si posò su Tyler. L’uomo
fece per dire qualcosa al figlio, ma poi sembrò ripensarci.
“Va’ di là con Oliver e
sistemati quel labbro.” ordinò infine dandogli una pacca sulla spalla. Mason si
mosse in direzione dell’amico, con aria più che mai scontrosa.
“E stai vicino ai tuoi fratelli!” si raccomandò
ancora il padre, mentre i due ragazzi si allontanavano in direzione opposta a
lui.
Caroline li osservò avviarsi, captando alla
perfezione il “non ho più dieci anni!” brontolato in maniera secca dal minore
dei Lockwood. Con sua sorpresa si accorse che non era stata la sola a sentirlo.
“A me invece sembra proprio di sì.” commentò Tyler
passandosi una mano sul viso con aria stanca. La ragazza gli rivolse un sorriso
comprensivo. Quando se ne accorse, l’uomo sospirò.
“Grazie.” mormorò prima di appoggiare la schiena
contro il muro.
“Veramente non ho fatto nulla.” rispose la ragazza
denegando con il capo.
“Io non so proprio che gli sia preso.” continuò
imperterrito Tyler, visibilmente preoccupato.
“Da bambino non era così. Io…”
Si fermò, volgendosi in direzione di Caroline.
La guardò per una frazione di secondo e poi le
sorrise, come se avesse appena riavvolto un nastro immaginario, per tornare al
momento in cui, poco prima, si erano incontrati.
“È bello rivederti, Care.” ammise, allargando le
braccia per invitarla a stringerlo. Caroline si lasciò abbracciare, sforzandosi
di sorridere, ma avvertì dell’impaccio in quel contatto. Le braccia di Tyler,
così come tutto a Mystic Falls, avevano dimenticato come farla sentire al
sicuro. Avevano dimenticato, che un tempo erano state
in grado di farla sentire a casa.
I hate to
turn up out of the blue uninvited But I couldn't stay away, I couldn't fight it.
I had hoped you'd see my face and that you'd be reminded That for me it isn't over.
A Caroline, quel pensiero fece male; aveva trascorso
gli ultimi mesi cercando di convincersi che il suo ritorno a casa non avesse
nulla a che vedere con lui; aveva ignorato la sua
presenza insistente, i ricordi che echeggiavano ogni volta che il suo sguardo
si posava su un dettaglio diverso di quella cittadina. In ogni luogo, sembrava
esserci qualcosa che la ricollegasse a Tyler. Aveva riabbracciato sua madre, i
suoi amici, la sua famiglia. Per un giorno, era perfino riuscita a convincersi
che la loro presenza bastasse, che fosse più che sufficiente per riuscire a
colmare quel vuoto, l’assenza totale di qualcosa che ancora la feriva,
nonostante tutto. Aveva sorriso a quei ragazzi sconosciuti, li aveva vegliati
in silenzio, desiderando a volte solo di poter imparare a conoscerli, diventare
parte delle loro vite. Come amica, come confidente.
E ci era quasi riuscita, in fondo, a convincersi di
desiderare solo il loro bene. Il bene dei ragazzi; la felicità delle persone a cui teneva, quello e nient’altro.
I wish nothing but the best for you
Eppure, in quel momento, con Tyler al suo fianco, si
rese finalmente conto che in fondo, per anni, non aveva fatto altro che sperare
che un giorno le cose potessero tornare come una volta.
Per anni, una parte di lei,
aveva preservato per Tyler quel tipo di amore che aveva provato quando avevano
diciassette anni e scarso interesse verso ciò che serbava loro il futuro.
Forse era davvero tornata per lui, dopotutto.
“Sei silenziosa.” obiettò in quel momento l’uomo,
indirizzandole un’occhiata sospettosa.
“Non è da te.” aggiunse scherzosamente.
Old
friend, why are you so shy? Ain’t like you to hold back or hide from the light.
Caroline cercò di rispondere, ma le parole
faticarono a uscire. Si limitò a rivolgergli un sorriso appena abbozzato.
“Mi hai mai pensata?”
riuscì a domandargli infine, costringendosi a ricambiare il suo sguardo.
“In questi anni. Hai mai pensato a
me?”
Tyler sorrise, portandosi le braccia sul petto.
“Io penso spesso a te, Caroline.” ammise, sfiorandole
la guancia con delicatezza.
“Ogni volta che chiamo mia figlia per nome…” dichiarò sotto lo sguardo pensieroso della ragazza,
“…O quando mi mette il
broncio.” aggiunse riuscendo a strapparle un sorriso.
“Durante le notti di luna piena…
Caroline, come potrei non pensare a te?” lo disse in fretta, e notando il modo
in cui l’aveva guardata, alla ragazza parve quasi un rimprovero.
“Tu c’eri sempre. Pensi davvero che potrei
dimenticarmi di questo?”
Caroline tentennò, prima di rispondere.
“Dovresti.” azzardò infine, dimezzando il tono di
voce. Tyler inclinò appena il capo verso destra.
“Sei sposato, ora.” aggiunse. L’uomo aggrottò appena
le sopracciglia.
“Sono sposato.” confermò.
“E amo mia moglie. Amo i miei figli più di qualsiasi
altra cosa al mondo. Suonerà banale, ma è la pura verità: non so cosa farei se
un giorno dovesse succedere qualcosa a uno di loro, probabilmente perderei la testa…”
Il modo in cui parlava della sua famiglia era
qualcosa che non era mai riuscita a dimenticare, dopo tutto quel tempo. C’era
qualcosa nel suo tono di voce che la inebriava e la feriva al tempo stesso. Non
riuscì più a sostenere il suo sguardo: gli occhi dell’uomo le sembravano
diversi, improvvisamente. Erano gli occhi di un lupo, un lupo
pronto a tutto, pur di difendere il suo branco. I suoi piccoli, la sua
famiglia.
“Ma non posso comunque
dimenticarmi di te.” aggiunse Tyler, tendendo il braccio per stringerle una
mano.
“O di noi.
Proverò sempre qualcosa di molto forte per te, Caroline. Anche se non è il
genere di legame che ci ha legati in passato. Anche se ora è tutto diverso.
Anche se sono cresciuto, mi fa sempre bene averti vicino. La
nostra amicizia, Caroline…” aggiunse, sollevandole il mento con delicatezza.
“…Diquella ne avrò bisogno sempre E mi è mancata, durante questi
dieci anni.” ammise.
Caroline inspirò a fondo e infine annuì, stringendo
con più forza la mano ancora intrecciata a quella dell’uomo.
“Terrò d’occhio Mason per te.” decise infine, voltandosi
per sfilare via una lacrima che era sfuggita al suo controllo.
“Mi sembra che ne abbia bisogno.”
“Non devi farlo, Care. Non è compito tuo.” la rassicurò Tyler. Tuttavia, la ragazza
notò subito che il suo sguardo si era fatto nuovamente pensieroso.
“Voglio farlo.” si impuntò,
lasciandogli la mano.
“E poi non so se hai notato, sembra che mi venga
naturale. Sono sempre al posto giusto e al momento giusto per impedire che gli
succeda qualcosa.”
“Un po’ come in passato è successo con me.” scherzò
Tyler, infilandosi le mani in tasca. Le sorrise, e per un attimo Caroline fu quasi convinta che il Tyler che aveva davanti fosse
l’adolescente di un tempo, il Tyler che l’aveva amata a lungo.
“Puoi abbracciarmi un’altra volta?” domandò a
bruciapelo, chinando appena lo sguardo. Con un accenno di sorriso divertito,
l’uomo tirò fuori le mani dalle tasche e avvolse le braccia attorno alla sua
vita.
Subito, a Caroline ,quell’abbraccio parve quasi
freddo, come il precedente. Ma la ragazza non si
arrese. Ci frugò dentro, sforzandosi di recuperare vecchi ricordi. Evocò il
modo in cui si sentiva quando all’alba riusciva finalmente a scaldarlo,
sfilandogli via il freddo che la luna piena gli aveva lasciato addosso. Ricordò
le loro mani intrecciate e l’ultimo bacio che si erano
scambiati, assaporandone per un istante il retrogusto amaro: era un bacio di
addio.
Si fece coraggio e scavò ancora indietro; prima dei
baci, delle carezze di due innamorati, Caroline trovò infine quello che
cercava. C’era un ragazzo spaventato ec’era
lei, Caroline, e il tocco della sua mano tiepida, a contatto con la sua pelle
nuda. C’era un girotondo di cicli lunari, notti insonni trascorse a piangere o
a vegliare, ossa che si spezzano, occhi che si tingono di giallo, occhi di lupo. C’era una ragazza che in quel periodo aveva
imparato a mettere sé stessa dopo gli altri. A tendere
la propria mano verso chi era alla ricerca di un appiglio. E Tyler, a quella
mano, ci si era aggrappato con forza, scoprendo grazie a Caroline di non essere
solo: di non esserlo mai stato.
Fu in quel momento, che l’abbraccio di Tyler
incominciò a mutare. E le sembrò tiepido, tutto d’un
tratto. E sicuro, proprio come un tempo.
Fu in
quell’abbraccio, l’abbraccio di un amico, che per la
prima volta – da quando era tornata a Mystic Falls - si rese conto di essere
davvero a casa.
They say
you're really not somebody
until somebody else loves you.
Well, I am waiting to make
somebody, somebody soon.
And are
we there yet? Home.
Are we
there yet?Ingrid
Michaelson
***
“Bella partita, vero?”
Lester spostò lo sguardo verso la persona che aveva appena fatto capolino alla
sua destra. Leanne Willard-Forbesgli
sorrise, prendendo posto accanto a lui. L’uomo frugò la pista con lo sguardo,
come se stesse cercando qualcuno. Infine, indicò uno dei ragazzi.
“Il figlio dei Gilbert ha una buona mira.” commentò
infine osservandolo raggiungere la sua famiglia.
“Potrebbe diventare un bravo
cacciatore. Come i suoi avi.”
“Non ci servono cacciatori di vampiri.” gli ricordò
la donna. Lester le rivolse un’occhiata poco convinta.
“Come mai è qui, Leanne?” domandò poi,
passandosi la mano sotto il mento. Leanne gli sorrise
di nuovo , e nel farlo, Gregory notò che i suoi occhi brillavano di una leggera
punta di malizia.
“Ho un’informazione che potrebbe interessarle; lo
sceriffo mi ha appena avvertita.” ammise, porgendogli
il cellulare: sullo schermo, il nome di Fell era susseguito dall’immagine di un
uomo anziano.
“Questo è il professor Finn.
È per sostituire lui, che sto facendo supplenza.” notò Lester.
“Beh, temo che dovrà continuare a sostituirlo ancora
a lungo.” rivelò la donna ritirando nuovamente il cellulare in tasca. Quando
Gregory le rivolse un’occhiata perplessa, sembrò quasi divertita della sua
reazione.
“è scomparso.” specificò, sollevandosi per
abbandonare le tribune.
“Da più di due settimane ormai.”
Si allontanò in direzione dell’uscita, abbandonando
un più che mai pensieroso Lester, solo con i suoi pensieri.
***
“Che ti è successo?” Si affrettò ad
esclamare Ricki, notando l’aria più che mai afflitta del fratello minore.
Oliver denegò appena con il capo, ma il maggiore dei fratelli Lockwood lo
ignorò.
“Che hai fatto a quel labbro?
Diamine, Mase, non di nuovo!” gli appoggiò una mano sulla
spalla con aria preoccupata, ma il ragazzo lo scansò.
“Rick, vai a chiamare Caroline.” si
introdusse il padre nel discorso rivolgendo un’occhiata intensa al
figlio maggiore. Ricki tentò di comunicargli la sua apprensione con lo sguardo,
ma il padre fu irremovibile. Infine, il ragazzo annuì e raggiunse la
sorella.
Tyler sospirò, tornando a osservare Mason.
“Adesso andiamo a casa.” annunciò infine
allacciandosi il giubbotto. Il figlio si infilò a sua
volta il suo, in silenzio.
“Caroline!” Tyler richiamò bruscamente la figlia,
deciso ad andarsene in fretta.
“Un momento solo!” lo supplicò la ragazza
trattenendo Ricki per il braccio e cercando Vicki con lo sguardo.
“Oh, eccola lì!
Vic! Ehi, Vic!” esclamò mentre il fratello maggiore roteava
gli occhi.
“Che rompiscatole che sei, sorella…”
mormorò sotto lo sguardo divertito di Alexander che osservava la scena
ridacchiando. Vicki, tuttavia non li raggiunse. Aveva riconosciuto Autumn
seduta per conto suo tra le ultime tribune e la sua espressione tormentata, la
impensierì.
“Guarda che ti perdono, se sei arrivata in ritardo.”
scherzò sfuggendo ai richiami insistenti di Caroline, per arrampicarsi sulle
gradinate. Quando prese posto di fianco all’amica,
Autumn smise di fissare il vuoto e la osservò atona, quasi non si fosse accorta
del suo arrivo prima di quel momento.
“Che succede, ‘Tumn?” domandò poi Victoria rivolgendole un’occhiata
preoccupata. L’altra ragazza scosse il capo, guardandosi le mani: non prudevano
più, ma ricordava perfettamente il formicolio che aveva avvertito quel
pomeriggio e continuava a temere che sarebbe tornato presto. Senza che lei
potesse farci nulla.
“Non lo so.” ammise infine, traendo un lungo
respiro. Una lacrima sfuggì al suo controllo, rimanendo aggrappata alle sue
ciglia, quasi avesse paura di scivolare a terra.
“Non lo so, Vicki.”
Victoria sospirò, abbandonando malamente la sacca da
ginnastica a terra. Strinse l’amica forte a sé, cercando di infondergli
conforto, ma domandandosi al tempo stesso che cosa potesse esserle successo; la
analizzò di sottecchi, alla ricerca del cipiglio scettico che la caratterizzava
di solito, ma in quel momento, in lei, riconobbe solo lo sguardo confuso di una
ragazza che non somigliava più di tanto a quello di Autumn Morgan.
Era lo sguardo di una ragazza smarrita.
“
***
Oliver aprì gli occhi di scatto, tirandosi a sedere
con aria confusa. Si arruffò i capelli, ancora mezzo
addormentato, cercando di riportare la sua mente al sogno che aveva appena
fatto. Allungò la mano verso il comodino, e cercò a tentoni
la lampada, premendo il tasto di accensione.
Non ricordava più il suo sogno; sapeva solo che
centrava una ragazza. Fu solo quando il suo sguardo cadde sull’album da disegno
che era scivolato a terra, ancora aperto dalla sera precedente, che il ragazzo
ricordò: era quella, la ragazza del sogno. La stessa che stava ritraendo.
Sbadigliando, chiuse l’album con uno scatto secco e
lo posò sul copriletto, prima di dirigersi in bagno. Quando tornò indietro, si
accorse che il blocco da disegno era di nuovo aperto all’ultima pagina. La
ragazza del ritratto gli sorrise dal disegno: un
sorriso di carta e carboncino. Che strano, pensò chiudendo nuovamente l’album.
Eppure, era convinto di averlo già fatto poco prima.
Spense la lampada sul comodino e scivolò
nuovamente sotto le coperte, dimenticandosi all’istante sia del sogno, sia della
ragazza.
Improvvisamente, la porta della sua camera sbatté;
Oliver scattò a sedere, tornando ad accendere la lampada.
“Jeremy?” una voce lo colse di sorpresa. Oliver
sobbalzò, riconoscendo nella penombra generata dalla luce fioca della lampada,
il profilo di una ragazza.
“Chi sei?” domandò confuso, cercando di
assottigliare lo sguardo per riconoscerne i lineamenti.
La ragazza si avvicinò ulteriormente, guardandosi attorno
con aria pensierosa. Quando vide l’album da disegno, il suo viso si illuminò.
Infine, volse lo sguardo verso il giovane Gilbert: gli sorrise.
“Sei Oliver, vero?” domandò.
In quel momento, la riconobbe: era la ragazza del
suo ritratto.
Nota dell’autrice.
Prima di tutto, tre annuncetti
legati stretti stretti a History
Repeating (o IstuarRepitìng, come la chiama la mia bella mamma <3).
Dunque,
in questo periodo Natalizio, ho pubblicato tre cosette legate a questa storia,
le pubblico qui nel caso qualcuno fosse interessato:
Pyramid:a questo tengo iper tanto. È
un ipotetico mini prequel di History Repeating che spiega come Jeremy e la sua
donna, Hazel si siano conosciuti. E anche come mai
Xander e Oliver si chiamano proprio così *W*
A verymerryScary Christmas:questa è unaone-shot natalizia pseudo
comica sui protagonisti di HR in formato ridotto. E vi dico una sola cosa:
Alaric Babbo Natale XD
Passiamo,ordunque,
al capitolo! [ma voi in realtà chiudete la
pagina sempre prima di arrivare qui vero? Non so, me lo sono sempre chiesta D:]
Tadaaaaam! *Laura
fa una capriola, perché è pazza e voi ve la dovete tenere così*
Sono
tornata. Con un polpettone più polpettoso
del solito. Ma eh, dovevo sopperire a due mesi
d’assenza, che vi credete? E così, ecco il tanto (?) atteso capitolo con tanto
di forwood, IL FORWOOD, gente! Eh, dopo il
casino che sta succedendo nella serie tv in qualche modo
sono felice che il loro momento (seppur non in termini romantici) sia arrivato
proprio adesso. Maaaandiamo
con ordine.
Anzitutto,
il capitolo è ispirato in gran parte a due splendide canzoni meravigliose: are
wethereyet? Di Ingrid Michaelson
(che è anche nella colonna sonora di TVD) e [vabbè,
questa la conoscete tutti] someonelikeyou, di Adele, che già
avevo usato, ma che comunque sapevo avrei recuperato, perché trovo
che rappresenti la mia idea future!Forwood in tutto e per tutto. Il
titolo l’ho prelevato da uno degli episodi della prima stagione e si collega
sia a Caroline, che a Autumn *abbraccia protettiva la sua piccola strega*
come avrete notato.
Passiamo
al flashback ** Avevo anticipato nella pagina di FB
che ci sarebbe stato un flashback iniziale sul passato di Mase, e vedrete che
ci torneremo prima o poi. Poi c’è stata Autumn, che come ci aveva
lasciato intuire dalla sua reazione alla stretta di mano con Caroline, pare
abbia ereditato anche lei qualcosa dalla madre. Lo so che la detestate quasi
tutti, ma ci tenevo ad approfondire lei e Julian, i
Morgan e la loro storia, quindi mi sono dilungata un pochetto
sulla sua introspezione.
Mase è un fessacchiotto *W* *lospuccia* Ha un carattere
particolare, ancora non sono riuscita nemmeno io a farmi raccontare per filo e
per segno quello che gli passa per la testa, si racconterà pian piano.
E poi il
capitolo si chiude con Oliver e la fatidica ragazza misteriosa, che
finalmente è comparsa, ma è ancora misteriosa! Dai che io lo so che sapete chi è *_* Ad ogni modo nel prossimo capitolo,
verificheremo chi aveva avuto ragione e chi un po’ meno.
Un’ultima
cosa! In questo periodo davvero tantissime persone hanno aggiunto History
Repeating ai preferiti o a le seguite e io volevo
ringraziarvi davvero infinitamente, per aver letto questa storia e dato fiducia
a tutti questi personaggi nuovi. Spero di spere presto che cosa ne pensate di
loro!
Porca
paletta, ma il polpettone è diventato un frigo pieno di polpette D: Va bene,
scappo ricordandomi che per foto, informazioni e chi più ne ha e più ne metta,
mi trovate QUI.
Un
abbraccio
Laura
P. S. (perché se non c’è un p.s. non sono io: sotto suggerimento della Sil, ho aggiunto
il video della “sigla” a inizio di
ogni capitolo. E ho sostituito la mia copertina schifoserrima
nel prologo
con quella che mi ha fatto sempre la Sil
come regalino di Natale *-*
Oliver
annuì lentamente, esaminando con attenzione i lineamenti della ragazza di
fronte a lui; era bella, esattamente come gli aveva suggerito la fotografia:
gli occhi scuri dal taglio particolare sembravano sorridergli allo stesso modo
delle labbra.
“Non
capisco.” ammise infine, mettendosi a sedere. A giudicare dall’aspetto, la
ragazza doveva avere più o meno la sua età. E allora, come era possibile che
esistesse una sua foto risalente per lo meno a una ventina di anni prima?
“Mi
dispiace di esserti piombata in camera così.” ammise la giovane con un sorriso.
I suoi occhi si sgranarono, quasi stesse cercando di analizzare con cura ogni
dettaglio dell’aspetto di Oliver.
“In
realtà, non capisco nemmeno con esattezza che cosa possa essere successo.”
aggiunse.
“Sei
reale?” il ragazzo si decise infine a domandare, con un pizzico di esitazione
nel tono di voce.
“Insomma,
sei… vera?”
Perché
incominciava a pensare che Mason potesse averci visto giusto, con lui; dopo
tutto quel disegnare, e ritirarsi tra i suoi pensieri, forse stava veramente
incominciando ad ammattire.
La
ragazza fece un passo indietro. Si morse un labbro, quasi si fosse accorta solo
in quel momento della situazione che si stava andando a creare. Sospirò.
“Giudica
tu stesso.” propose infine, tendendo un braccio in direzione del ragazzo. Le sue
dita fecero per sfiorargli la fronte, ma quel contatto non avvenne mai. La mano
della ragazza scese ad appoggiarsi su una spalla di Oliver, ma lui non sentì
nulla. Lei era lì, di fronte a lui, eppure il suo tocco era incorporeo.
Era
come un ologramma, come fumo.
Come
un fantasma.
“Sei
spaventato?” domandò poi, non osando ad avvicinarsi di più. Oliver si sfregò
gli occhi con aria stanca, confuso e insonnolito al tempo stesso.
‘Sto
ancora sognando’, considerò fra sé avvicinandosi le ginocchia al petto: non che
ci fosse un’altra spiegazione plausibile.
“No.”
ammise in tono di voce pacato, esaminando con attenzione il volto della
ragazza.
“Sei
molto bella.” aggiunse semplicemente, come se quel fatto bastasse a privarlo di
qualsiasi tipo di inquietudine.
Sapeva
che non avrebbe dovuto essere così; una presenza del genere in camera sua – una
sconosciuta, un fantasma o addirittura un’allucinazione – avrebbe dovuto
turbarlo, ma saperlo non era abbastanza per convincersi ad avere paura.
Dopotutto, parte di lui era ancora convinta di trovarsi nel bel mezzo di un
sogno bizzarro.
Per
di più, Oliver non era mai stato il genere di persona che si lasciava
impressionare facilmente.
Era
sempre stato indicato come il ragazzo insolito - quello calmo, insolitamente
calmo. Era il giovane distratto che poteva camminare per ore in silenzio,
immerso nel traffico confusionario dei suoi pensieri. E quando riemergeva, si
sorprendeva sempre a sorridere. Oliver aveva un modo tutto suo di guardarsi
attorno, di farsi un’idea sulle cose, sulle persone che lo circondavano. Per
questo, la presenza di quella ragazza – reale o immaginaria che fosse – lo
incuriosiva, più che spaventarlo. Dopotutto erano settimane che la sua mente rimuginava
sulla fotografia trovata in soffitta, spingendolo a domandarsi chi fosse quella
ragazza, come si chiamasse. Se vivesse a Mystic Falls o magari a Denver, la
città in cui i genitori di Oliver si erano conosciuti.
“Ti
ringrazio.” la giovane gli sorrise, e si decise finalmente ad avvicinarsi
ancora, “Sono Annabelle.” Rivelò, sedendosi sul bordo del letto.
Oliver
aggrottò appena le sopracciglia, osservandola con attenzione.
“Sei…
un fantasma o un’allucinazione?” domandò ancora appoggiandosi gli avambracci
sulle ginocchia. Anna soppesò le sue parole per un attimo.
“Diciamo
la prima.” ammise infine, ricambiando con dolcezza il suo sguardo. Oliver
tentennò.
“Quindi
se sei qui…” cercò di capire sistemandosi meglio contro lo schienale del letto,
“ …è per portare a termine qualcosa che hai lasciato in sospeso quando eri in
vita?”
Annabelle
rise. Il ragazzo arrossì appena, sorridendo a sua volta.
“Forse
ho visto un po’ troppe volte Casper, da piccolo.” si giustificò dando una
scrollata di spalle.
“In
realtà, io vivo qui.” gli spiegò la ragazza, appoggiando la mano sul
copriletto.
“È
un po’ complicato da spiegare; ma è come se facessi parte del vostro mondo,
solo che nessuno può vedermi. Nessuno a parte mia madre.”**
“È
un fantasma anche lei?” domandò Oliver con aria incuriosita. La ragazza annuì,
tornando ad osservare l’album da disegno ancora aperto sul letto.
“Questo
l’hai fatto tu, vero?” chiese poi, sfiorando la pagina con tenerezza.
“Hai
lo stesso talento di Jeremy.”
“È
per il disegno che riesco a vederti?” tentò ancora Oliver, deciso a cercare di
sciogliere un po’ dei dubbi che si erano ingarbugliati nella sua testa. Anna
denegò con il capo.
“No,
non funziona così.”
“E
allora, come funziona?” Anna sospirò, distogliendo lo sguardo dal blocco da
disegno.
“Non
so dirti come mai tu riesca a vedermi; ma per me e tuo padre era una sorta di
“spingere” e “tirare”. Se io “spingevo”, cercando di mettermi in contatto con
lui, era sufficiente che lui “tirasse”, affinché potesse vedermi. Se pensava a
me, quando io pensavo a lui, eravamo in grado di parlarci.” **
Oliver
rimuginò fra sé per qualche secondo, attirandosi nuovamente le ginocchia al
petto.
“Ti
stavo sognando, prima.” si ricordò. “Ti ho sognato, e poi sei comparsa.”
Anna
gli sorrise, ma questa volta lo fece in maniera malinconica, e in quel frangente
al ragazzo non sembrò più una coetanea. Per un attimo, gli ricordò più una
donna che una ragazzina.
“Stavi
pensando a mio padre?” domandò in quel momento Oliver, aggrottando di nuovo le
sopracciglia. “Magari è quello che ti ha portato qui.”
Anna
non rispose subito; quello che stava succedendo era qualcosa di insolito anche
per lei. Non le era mai capitato che qualcuno riuscisse a vederla, al di fuori
del periodo in cui aveva potuto comunicare con Jeremy. Ed erano passati ormai più
di vent’anni, da allora.
“Può
darsi.” concluse infine.
“In
realtà è da un po’ di giorni che cercavo di mettermi in contatto con lui. Ti
ricordi la lattina, alla partita di hockey? Quando si è rovesciata da sola.”
rivelò. Oliver annuì lentamente.
“Me
lo ricordo… sei stata tu?”
“C’è
di nuovo qualcosa che non va a Mystic Falls.” lo interruppe Anna con aria d’un
tratto apprensiva, “Tu e la tua famiglia dovete fare attenzione.”
“Che
cosa intendi dire? Aspetta, hai detto ‘di nuovo’?”
Oliver
tornò ad osservarla con aria confusa. Annabelle scosse il capo in fretta.
“Forse
non avrei dovuto incominciare il discorso.” aggiunse.
Oliver
tirò indietro il capo, per appoggiare la nuca alla parete. Non gli piaceva
insistere, quando intuiva che qualcosa voleva essergli mantenuta segreta.
“Se
non puoi parlarne con me, dovresti almeno discuterne con papà.” propose.
L’espressione di Anna si intristì leggermente.
“Non
posso parlare con Jeremy; non riesco più a comunicare con lui.”
“Non
ti seguo.” ammise il giovane, nuovamente confuso.
“Avevo
capito che papà fosse l’unico con cui eri in grado di…”
“Questo
una volta.” lo interruppe Anna.
“Ti
ricordi? È un “tira” e “spingi”. Non posso mettermi in contatto con Jeremy, se
tuo padre non cerca di fare la stessa cosa.”
Oliver
fece mente locale.
“Forse
potrei provare a…” incominciò, ma Anna lo interruppe con aria d’un tratto
apprensiva.
“No.”
obiettò, scuotendo il capo.
“Deve
continuare ad essere così. Oliver, è importante che tu non dica nulla a tuo
padre, di quello che è successo.”
Il
ragazzo le rivolse un’occhiata pensierosa.
“Hai
detto che volevi metterlo in guardia da qualcosa.” le ricordò in tono di voce
pacato.
Annabelle
aprì bocca per rispondergli, un rumore di passi proveniente dal corridoio la
costrinse a voltarsi.
“Oliver?”
Jeremy chiamò a bassa voce, fuori dalla stanza del ragazzo.
“Non
dirgli nulla!”
Il
sussurro di Annabelle lo fece voltare nuovamente verso destra, ma non fece in
tempo a muoversi che la ragazza era scomparsa. Con aria perplessa, il ragazzo
tornò a guardare di fronte a sé, mentre la porta della sua camera si apriva
lentamente. Oliver si affrettò a chiudere il blocco da disegno ancora aperto
sul suo letto.
“Olive,
sei ancora sveglio?” lo interrogò il padre, affacciandosi nella stanza, “Mi è
sembrato di sentirti parlare.”
“Chiedevo
se fossi tu nel corridoio.” spiegò il ragazzo con aria incredibilmente
tranquilla, tornando a infilarsi sotto le coperte, “Stai bene, papà?” aggiunse
poi.
Jeremy
gli rivolse un’occhiata interrogativa, poi scosse il capo con aria insonnolita.
“Io?
Oh, sì, mi ha svegliato un incubo. Ogni tanto mi capita, lo sai.” confessò
aprendo un po’ di più la porta per poter osservare meglio il figlio.
Sorrise,
lasciandosi poi sfuggire un sospiro. Era da qualche notte che i suoi sogni si
erano fatti più agitati del solito, incupiti, forse, dagli strani comportamenti
della bussola di Jonathan Gilbert. A Jeremy sembrava impossibile che la sola
Caroline riuscisse a indirizzare l’ago della bussola così in fretta per luoghi
diversi del quadrante. Eppure in quel momento si sentì d’un tratto tranquillo,
contagiato dall’espressione rilassata del figlio minore.
“Hai
bisogno di parlare?” domandò ancora Oliver, mettendosi nuovamente a sedere.
Jeremy lo fissò ancora per qualche secondo, ma poi si mise a ridere.
“Sbaglio
o sono io il papà, tra i due? Va tutto bene, Ol. Torna a dormire.” lo
rassicurò, sorridendogli un’ultima volta.
Oliver
ricambiò il sorriso, tornando a rifugiarsi sotto le coperte.
“Buonanotte,
pa’.” lo salutò,mentre l’uomo chiudeva la porta. Attese in silenzio che i suoi
passi si fossero allontanati, prima di aprire gli occhi, cercando di
riconoscere il profilo degli oggetti che popolavano la sua stanza.
“Puoi
restare, se vuoi.” mormorò al nulla, avvertendo tuttavia il sonno, premere con
insistenza sulle sue palpebre.
E
nonostante il silenzio cercasse di suggerirgli che fosse solo, sorrise,
immaginando due occhi scuri che gli sorridevano nel buio.
***
“Questo weekend, lago?”
Xander fece capolino di fianco a Caroline, mentre la
ragazza selezionava i libri di testo dall’armadietto.
“È un po’ di tempo che non ci andiamo.”
“La casa sul lago?” Caroline domandò, approfittando
della sua presenza per passargli lo zainetto. Con le mani libere, fece
pressione sulla pila di fogli in un ripiano alto, cercando di farceli stare
tutti, “Questo armadietto si è fatto troppo piccolo!” borbottò.
“Forse prima o poi dovresti deciderti a farci un po’
d’ordine, che dici?” commentò il ragazzo, indicando con un dito i mille fogli
che minacciavano di scivolare a terra.
“Sta parlando ‘Mr Pulizia’.” lo rimbeccò la ragazza.
“Il tuo sarà pieno di biscotti e patatine, quindi non rompere.” aggiunse,
dandogli di gomito; Xander ridacchiò.
“Touchè.” ammise, arrendendosi.
“Comunque, è veramente da sacco di tempo che non
andiamo più alla casa sul lago.” notò poi la giovane, riuscendo infine a
chiudere lo sportello dell’armadietto. Recuperò il suo zaino dalle mani di
Xander e gli scoccò un’occhiata esitante.
“Da quando…”
“...da quando quest’estate, per due settimane di
fila, mi hai tirato bidone – per inciso, grazie Care.”
Terminò la frase per lei il ragazzo, portandosi le
braccia sul petto. La ragazza rise.
“È stato un periodo un po’ incasinato, quello.” si
difese, sfilandogli via il polsino dal braccio per giocarci. Xander fece una
smorfia.
“Macché, è solo che dovevi uscire con quel tizio
rosso di capelli. Tra l’altro, che fine ha fatto?” aggiunse con aria vagamente
incuriosita, “Tutto a un tratto hai smesso di uscirci e non so nemmeno il perché.”
Caroline diede una scrollata di spalle, restituendo
il polsino al suo proprietario.
“ Era appiccicoso…” commentò, arricciando il naso;
Xander roteò gli occhi, pur accennando a un sorrisetto.
“Oh, certo, appiccicoso. Sei difficile, bella mia.”
“Ma non è vero!” si lamentò la ragazza, mettendo il
broncio.
“Cosa, non è vero? Questo era appiccicoso. Quello
prima invece l’hai mollato perché ‘si interessava troppo poco’, fa’ un po’ tu…”
“Non è vero!” ripeté una seconda volta la ragazza
puntandogli l’indice contro il petto.
“Quello prima, l’ho lasciato perché non gli
piacevano i miei fratelli e, dico io, noi Lockwood siamo una confezione formato
famiglia: prendi uno di noi e ti trovi tutti quanti gli altri nel pacchetto,
cane compreso. Voler bene a Ricki e Mase è un requisito minimo!” annunciò,
facendogli il segno della vittoria, per poi aggiungere:
“Tu ci ami tutti quanti, vero, Xander bello?”
Gli diede un buffetto sulla guancia, e il ragazzo
arretrò con il capo ridacchiando.
“Tutti tranne te, guarda un po’.” scherzò,
allontanando le mani dell’amica che stavano già puntando alla sua cresta.
“Non sono neanche le nove di mattina, non osare a
toccarmi i capelli o giuro che ti chiudo nell’armadietto.” la minacciò, “Lo
svuoto e poi ti ci chiudo dentro.”
“Xan, tu eri geloso?” domandò improvvisamente
Caroline scoccandogli un’occhiatina maliziosa. Alexander ricambiò il suo
sguardo, confuso.
“Geloso? E perché?” obiettò, grattandosi la testa.
La ragazza gli diede un pugnetto sulla spalla.
“Sveglia! Quest’estate, bidonato per due volte di
fila, la casa sul lago e il rosso di capelli. Din din din! Alexander, accendi
il cervello, sono quasi le nove e tu stai ancora dormendo!”
“Va bene, va bene, adesso ho capito, adesso…” le
rispose in fretta il ragazzo, cercando di placare il fiume di parole di
Caroline. “Certo che ero geloso.” ammise poi tranquillamente, tornando a
intrecciare le dita dietro la nuca.
“Niente più hockey domenicale con la mia migliore
amica, per colpa di Ron Weasley. Mi eri mancata, no?”
Caroline aprì la bocca per rispondergli, ma
stranamente, si trovò a corto di parole. Si accorse anche di essere arrossita,
ma non riuscì a trovare un motivo valido che potesse giustificare quella
reazione.
“Anche tu mi eri mancato, Xander bello.” ammise
infine, scoccandogli poi un bacio sulla guancia. “Allora questo week end lago?”
aggiunse allegramente. Xander allargò le braccia.
“E lago sia!” confermò. Il sorriso di Caroline si
estese.
“Uh, i piccioncini vanno al lago!”
Il commento ironico di Mase, comportò il solito
inarcarsi di sopracciglio da parte di entrambi i ragazzi.
“Per l’ultima volta, Mase, non attacca.” commentò
Xander, mentre il giovane Lockwood esibiva un sorrisetto sghembo nella loro
direzione.
“Se non attacca, come mai Caroline è arrossita?”
commentò, accennando con il capo alla sorella. La ragazza lo fulminò con lo
sguardo.
“Ma sciocchezze, mica è arrossita!” sbottò
immediatamente Alexander, accigliandosi.
“È… che ha caldo.” buttò lì scoccando un’occhiata di
sottecchi alla ragazza. Caroline gli rivolse un’occhiata perplessa.
“Caldo?” obiettò. Il giovane diede una scrollata di
spalle.
Mase sghignazzò.
“Chissà chi è che la fa accaldare così…” aggiunse,
sfuggendo poi allo scatto repentino di Xander.
“Mascalzone! Se ti prendo…” annunciò il giovane
Gilbert ridacchiando, prima di incominciare a rincorrerlo per i corridoi.
“…non l’ho preso.” fu costretto ad ammettere qualche
minuto più tardi, quando tornò indietro. Caroline gli diede un colpetto sulla
spalla.
“Ci penso io.” annunciò con aria decisa,
strofinandosi un pugno sul palmo della mano.
“A casa non mi scappa.”
“Ma poi, perché sei arrossita?” domandò a quel punto
Xander, rivolgendole un’occhiata interdetta. Caroline sgranò gli occhi.
“Ma non sono arrossita!” si difese, infilandosi poi
lo zaino sulle spalle quando avvertì il trillo della campanella. Xander la
fissò con aria interrogativa.
“Avevo caldo…” specificò con un sorrisetto
divertito, prima di arruffargli in fretta i capelli.
“La cresta, maledetta!” si lamentò il ragazzo, mentre
la ragazza fuggiva in direzione dell’aula di chimica. Si affrettò a sistemarsi
il crestino, imbronciandosi, mentre l’amica si allontanava ridendo.
“Ron Weasley, però, non aveva dei capelli
fighi quanto i miei, eh?” le gridò ancora dietro abbandonando il broncio per un
cipiglio soddisfatto. Caroline scosse il capo con aria divertita, mentre il suo
sguardo individuava Bethany in mezzo alla calca di studenti.
Quando, un paio di minuti dopo prese posto accanto
all’amica in classe, stava ancora sorridendo.
Dall’altra parte del corridoio, Mason si stava
avviando in direzione del suo armadietto; ogni tanto, il suo sguardo saettava
verso l’ingresso per cercare Oliver, ma a Mase fu chiaro fin da subito che
l’amico si sarebbe presentato all’ultimo anche quel mattino. Quando fu a pochi
passi dalla segreteria si fermò, riconoscendo in una delle coetanee che gli
dava le spalle la stessa ragazza a che si era intromessa nella sua lite con il
tizio più grande, un paio di giorni prima. Ancora una volta le scoccò
un’occhiata perplessa, domandandosi in silenzio come mai avesse incominciato a
trovarsela ovunque, nonostante fosse più che sicuro di non averla mai
incontrata a scuola prima di quella settimana.
C’erano poi altri dubbi, diversi punti di domanda
che erano rimasti perfino quando aveva cercato, senza tuttavia trovare il
coraggio di insistere, di parlarne con suo padre.
Sbuffando, attraversò il corridoio: la ragazza
sembrava completamente assorta nei suoi pensieri, ma non appena Mase le fu
abbastanza vicino, sembrò accorgersi della sua presenza e si voltò verso di
lui.
“Mason!” lo riconobbe, accennando a un sorriso
allegro. In realtà, Caroline aveva sperato di passare inosservata quel mattino.
Aveva promesso a Tyler che l’avrebbe aiutato a tenere d’occhio il figlio, ed
era davvero intenzionata a farlo, ma non aveva immaginato che lui e il giovane
Lockwood avrebbero concluso per incontrarsi direttamente una seconda volta.
“Chi sei?” le domandò spiccio il ragazzo a quel
punto, scrutandola con diffidenza. “Conosci mio padre, conosci me, ma io non
conosco te.”
La vampira gli concesse un’ultima rapida occhiata,
prima di arretrare di qualche passo in direzione degli armadietti.
“Mi chiamo Caroline.” Si presentò nel mentre, trafficando
con uno dei lucchetti.
“Caroline come mia sorella?” domandò ancora Mason,
aggrottando le sopracciglia. La ragazza sorrise.
“Beh, se tua sorella si chiama Caroline, sì.”
confermò, suscitando l’irritazione del suo interlocutore. Il giovanotto roteò
gli occhi.
“Come mai conosci mio padre?” domandò infine.
Caroline sospirò.
“La tua famiglia è in buoni rapporti con la mia….” Rivelò,
cercando di rimanere sul vago. Mase inarcò un sopracciglio, appoggiandosi poi
una spalla all’armadietto.
“…Se non ti rispondo, ti metterai a fare a botte con
me?” domandò infine, con una punta di divertimento nello sguardo. Mason sembrò
accigliarsi.
“Io non picchio le donne.” Sbottò, subito dopo.
Caroline lo scrutò sorpresa per qualche secondo prima di scoppiare a ridere. Quella
reazione, contribuì a marcare l’espressione infastidita del ragazzo.
“Non c’è niente da ridere.” borbottò a quel punto.
La vampira gli sorrise.
“Scusami, mi sei sembrato buffo.” ammise infine. Mason
ebbe l’ impressione che lo stesse prendendo in giro.
“…E comunque, hai torto: io non conosco te.”
aggiunse poi Caroline, superandolo, per proseguire lungo il corridoio. Mason
appoggiò anche l’altra spalla all’armadietto e incrociò le braccia sul petto.
“So come ti chiami, e mi pare che ti riesca bene
attaccar briga e metterti nei guai, ma questo è tutto quello che so.”
“Perché sei sempre ovunque?” buttò lì in risposta il
ragazzo, inseguendola con lo sguardo: Caroline aveva già incominciato ad
allontanarsi.
“Ne riparliamo un’altra volta!” gli gridò dietro con
un ultimo sorriso, prima di dirigersi verso l’uscita dell’edificio. Mason
sbuffò, decidendosi finalmente a sollevare la schiena dall’armadietto.
“Eccomi!” la voce allegra di Oliver, lo raggiunse
alle sue spalle. Il ragazzo lo stava osservando con le mani in tasca e un’aria
rilassata, nonostante le guance rosse e i capelli scompigliati suggerissero che
doveva aver corso per riuscire ad arrivare in orario. Oliver scoccò una rapida
occhiata all’orologio e infine gli sorrise.
“Non male, mancano ancora due o tre minuti prima che
il prof faccia il mio nome durante l’appello.” commentò. “Andiamo?” propose
infine.
Mase accennò a un sorrisetto divertito, prima di
decidersi a rilassare i lineamenti sul suo volto.
“Muoviamoci, va’. ” approvò dandogli una pacca sulla
spalla, prima di incamminarsi per il corridoio in compagnia di Oliver.
***
“Mi faccia capire bene. Fell…”
Gregory Lester fece aderire la schiena alla sedia e
rivolse allo sceriffo un’occhiata perplessa.
“…Mi sta forse dicendo che mi ritiene responsabile
per la scomparsa del professor Finn?”
“Non ho mai detto una cosa simile.” lo corresse
frettolosamente l’altro uomo, voltandosi in direzione di Leanne: la donna
annuì.
“Trovo semplicemente sospetto il fatto che il
professore abbia smesso di insegnare poco prima del suo trasferimento, e che
sia scomparso dopo il suo arrivo. Durante i nostri primi incontri, Gregory, mi
era sembrato veramente disposto a tutto, pur di entrare a far parte del
Consiglio, e di stabilirsi permanentemente qui, a Mystic Falls.”
“Idiozie.” Lester commentò in tono di voce asciutto,
trafficando con il pacchetto di sigarette che teneva nel taschino. “Non ho
niente a che vedere, con la scomparsa di Finn. Se ho accettato questo lavoro
come supplente, è perché da anni avevo intenzione di trasferirmi a Mystic
Falls, per poter continuare le mie ricerche. Non ho bisogno di lavorare.”
aggiunse. “Ma insegnare mi piace. E la storia è utile, per rinfrescare la mente
di chi è alla ricerca di qualcosa. E questo…” si interruppe, per recuperare il
diario di Jonathan Gilbert che aveva adagiato sul tavolino di fronte a lui. “…Mi
riporta al motivo per cui ho chiesto di incontrarvi questo pomeriggio.”
La sua attenzione si spostò verso Leanne, che gli
sorrise.
“Leanne, l’altro giorno mi ha raccontato delle
ricerche di cui si stava occupando il signor Forbes. Mi diceva che sono state
proprio quelle ricerche, a mettervi a conoscenza dei lupi mannari.”
La donna annuì.
“Il fascicolo che ho trovato e che poi in seguito ho
mostrato allo sceriffo, parlava di impulsi e di istinti, nelle creature
sovrannaturali." spiegò Leanne. "A quanto ho capito leggendo la documentazione, Bill stava
cercando di trovare un modo per tenere a bada questi impulsi, nel vampiro.
Voleva escogitare un sistema che potesse controllare tutto ciò che è inumano in
queste creature. Nella ricerca, inoltre, accennava appunto anche ai lupi mannari.”
Fell annuì, come a voler confermare le parole della
donna. L’espressione di Lester si fece più concentrata.
“Mi ha anche detto che in questo fascicolo, il
cognome “Lockwood” viene menzionato più volte, nella parte di ricerca.” domandò l'uomo.
“E che questo vi ha spinti a pensare, che la famiglia in questione potesse
avere in qualche modo a che fare con i licantropi.”
“Nel fascicolo non viene accennato a nulla di più
specifico, a riguardo.” proseguì Leanne. “Si parla solo della maledizione che
lega alcune famiglie a una seconda natura sovrannaturale, e viene spiegato in
quale modo essa si innesca.” si fermò per un attimo, prima di specificare, “Tramite
omicidio.”
Lester annuì più volte, passandosi un pollice sulle
labbra con aria pensierosa.
“Nulla di più riguardo ai Lockwood, tuttavia.” riprese
poi la donna. “Viene solo citato il loro nome più volte, a lato di alcuni
paragrafi. Non c’è alcun collegamento diretto.”
“In questo diario…” incominciò a quel punto Lester,
prendendo in mano il libricino.
“…Oltre agli scritti e ai disegni di Jonathan
Gilbert, ho trovato in alcuni punti, le annotazioni di un successore più
recente, nella discendenza. Un certo John…” specificò, porgendo il volume allo
sceriffo che lo prese, con una leggera titubanza.
“C’è una pagina, una delle ultime, in cui Jonathan
Gilbert descrive un congegno particolare: un dispositivo che ha progettato lui
stesso, un arma da utilizzare contro i vampiri. Il congegno ha un raggio di
azione di circa cinque isolati, ed è in grado di emettere un suono a una
frequenza non udibile dagli essere umani, ma percepibile dai vampiri. Un suono
che avrebbe il potere di stordirli, rendendoli così individuabili.”
“Chiedo scusa, Gregory, ma abbiamo ribadito più
volte, che per quanto riguarda i vampiri…”
Lester interruppe Fell con un cenno della mano,
prima di riprendere il suo discorso.
“Accanto allo specchietto sul congegno, John Gilbert
ha annotato delle osservazioni,ed è lì che voglio arrivare. Si parla per lo più
di un episodio verificatosi all’incirca venticinque anni fa. Probabilmente ne
sarete a conoscenza: il giorno della festa dei Fondatori, un gruppo di vampiri ha
teso un agguato alle famiglie fondatrici e il Consiglio ha attivato il
dispositivo per individuarli e rinchiuderli. Dopodiché, è stato appiccato un
incendio all’edificio in cui erano imprigionati. Ma a morire, non furono solo
vampiri, quel pomeriggio.” Aggiunse, indicando con il dito le annotazioni a
penna di John Gilbert, a un angolo del diario.
“Richard Lockwood, all’epoca sindaco di Mystic Falls
e membro del Consiglio, ha reagito all’innescamento del dispositivo, proprio
come i vampiri. Si è sentito male, accusando un dolore alla testa, eppure la
verbena non ha avuto alcun effetto su di lui. Lockwood è stato rinchiuso
assieme agli altri vampiri ed è morto nell’incendio. Ritornando alle ricerche
di Bill Forbes, e collegando quello che viene detto lì, alle annotazioni di
Jonathan Gilbert, ho pensato...”
“Ha pensato che Richard Lockwood potesse essere un
lupo mannaro.” affermò Leanne, accennando a un sorrisetto interessato. Lester
annuì lentamente.
“Ha reagito al dispositivo, ma non alla verbena.” riprese
il discorso l’uomo. “Questo ci porterebbe a pensare che Lockwood non fosse un
semplice essere umano, ma nemmeno un vampiro. Nelle sue ricerche, Forbes si è
concentrato tanto sui vampiri, quando sui licantropi, legando entrambi a un
certo tipo di impulsi soprannaturali. Se hanno istinti simili, forse è lo
stesso anche per le debolezze. Forse, quel dispositivo potrebbe seriamente essere
utilizzato come arma contro i lupi mannari…”
“…E potrebbe indicarci se i Lockwood portino effettivamente
nel sangue la maledizione, come abbiamo supposto noi.” concluse per lui
Leanne.
Fell sospirò.
“Sono mesi, che li teniamo d’occhio e non ne abbiamo
ancora ricavato nulla.” sbottò. Prese il diario di Gilbert dalle mani di Leanne
e incominciò a leggiucchiare le annotazioni a penna.
“Lester, per caso in questo diario, viene menzionato
che fine abbia fatto questo congegno?” domandò poi, tornando a rivolgersi al
professore. L’uomo lo osservò per qualche istante, prima di annuire.
“John Gilbert scrive che quando è tornato a
recuperare il dispositivo, non l’ha più trovato al suo posto. Non sa chi
l’abbia preso, ma in fondo alla pagina, ha scribacchiato in fretta un nome:
probabilmente - e a rigor di logica, come teoria, la sua funzionerebbe
parecchio - aveva dei sospetti.”
Fell, sollevò il diario e analizzò il lembo a fondo
pagina, prima di sorridere appena.
“Carol Lockwood.” Lesse, annuendo poi più volte. “Deve
aver recuperato il congegno per proteggere il resto della sua famiglia.” Ipotizzò.
“Ma sinceramente, dubito che una donna anziana come la signora Lockwood tenga
in casa un oggetto simile.”
“Probabilmente, l’ha passato al figlio.” commentò
Leanne, che fino a quel momento era stata particolarmente silenziosa. “E dunque,
potrebbe trovarsi ancora alla villa dei Lockwood.”
Lester annuì di nuovo; volse lo sguardo in direzione
di Fell che stava ancora analizzando il diario di Gilbert con attenzione; un
insolito brillio di decisione aveva fatto capolino nel suo sguardo.
***
“Papà, chi è la bionda che si è messa in mezzo alla
mia lite, il giorno della partita?”
Mason domandò per l’ennesima volta, facendo ingresso
in cucina. Tyler rivolse un’occhiata scocciata al figlio, prima di indirizzare
il suo sguardo in direzione della moglie; Lydia rivolse una rapida occhiata al
marito e quello sguardo sembrò rilassare appena l’espressione sul volto
dell’uomo.
“È figlia di amici di famiglia. Mi pareva di
avertene già parlato.” Commentò Tyler, mentre il ragazzo prendeva posto accanto
a lui.
“Caroline è la nipote di Liz Forbes, Mase.” gli
venne in aiuto Lydia. “È venuta a stare da noi durante l’anno scolastico,
perché i genitori sono fuori città per lavoro.”
Il ragazzo inarcò un sopracciglio.
“...e il motivo per cui lei e papà si squadravano
con aria tanto strana?” insistette, voltandosi in direzione della donna. Tyler
fece per dire qualcosa, ma si bloccò quasi subito.
“Beh, Caroline somiglia molto a sua madre.” spiegò
in tono di voce tranquillo Lydia, sistemando poi un paio di ciuffi ribelli
sulla fronte del figlio. Mason la lasciò fare, seppur con riluttanza.
“E con sua madre, una volta, tuo padre ci usciva.”
concluse la donna, sorridendo poi del cipiglio pensieroso che aveva fatto
capolino sul volto del ragazzo. “Altre domande?” domandò, guardandolo diritto
negli occhi. Il figlio sostenne lo sguardo deciso, ma Lydia non mostrò alcun
cedimento.
“Sì.” Ribattè infine Mason, rivolgendole un’occhiata
furba. “Come mai si chiama come mia sorella?” domandò, indirizzando poi lo
guardo verso il padre, che sbuffò.
“Mase, che cos’è, un interrogatorio, questo?” si
lamentò.
“Il nome ‘Caroline’ l’abbiamo scelto perché piaceva
molto a entrambi, e perché ricorda il nome di tua nonna Carol.” proseguì Lydia
in tono di voce asciutto. “La stessa cosa vale per il tuo, sapientone.” lo
rimbeccò, poi. “Mason è un bel nome, così come Richard.”
Il ragazzo sbuffò e balzò giù dallo sgabello.
“Bah.” commentò con aria poco convinta, prima di
allontanarsi in direzione del corridoio. Mentre il ragazzo abbandonava la
cucina, il telefono squillò e Lydia si affrettò a rispondere.
“Caroline, Xander al telefono!” gridò poi, mentre il
suo sguardo si posava con apprensione sul marito.
“Ho preso la chiamata da sopra, ma’, attacca pure!”
la voce squillante di Caroline si mescolò a quella di Mason.
“Ma che cazzo, Caroline, mi hai messo sottosopra la
camera!” esclamò il più giovane dei fratelli Lockwood.
“Le parole, fratellino!” la voce scherzosa di Ricki,
si frappose a quella dei due ragazzi.
Lydia sospirò.
“Caroline, sappi che non esci di qui finché non
avrai messo in ordine la tua stanza. Non si riesce nemmeno a camminare, là
dentro.” esclamò, tornando a sedere. “Diglielo pure al tuo Xander bello.”
“Siiii!”
La risposta annoiata della figlia la raggiunse dal
piano di sopra. Lydia scoppiò a ridere e tornò a focalizzare la sua attenzione
sul marito.
“Mase la smetterà di assillarti così.” lo rassicurò,
sfiorandogli il collo con tenerezza. “È solo curioso.”
“C’è qualcosa in Caroline che lo turba.” obiettò
Tyler, passandosi poi una mano sul volto. “Ha capito che gli nascondo
qualcosa.”
“È solo troppo sveglio, e altrettanto diffidente.” lo
rassicurò la donna, sorridendogli con dolcezza. “È un peccato che ogni tanto si
dimentichi di mettere in funzione quella bella testolina che si ritrova.”
Tyler sospirò, “Quella è sicuramente colpa mia.”
commentò l’uomo, accennando un sorrisetto amaro. “Padre spaccone, figlio
spaccone.”
“Il padre spaccone è rinsavito, però. A Mase serve
solo un po’ di tempo.” commentò Lydia, accarezzandogli il capo. Tyler sbuffò.
“Mi pare di avergliene dato in abbondanza, di tempo.
Non può andare avanti così.” sbottò, appoggiando le mani sul tavolo. “Con
quella di domenica, siamo a tre scazzottate in un mese, e per motivazioni
ridicole.”
“Tyler, ma che ti aspetti?” Lydia obiettò
ricambiando il suo sguardo decisa, pur mantenendo un tono di voce pacato. “È un
adolescente.”
“Richard e Caroline…”
“Richard e Caroline non sono Mason.” lo interruppe
con gentilezza la moglie.
“Tyler, ascolta.” incominciò poi, prima di scoccare
un’occhiata apprensiva in direzione delle scale.
Dal piano di sopra, la parlantina inestinguibile di
Caroline li raggiungeva a malapena attutita, indice che la ragazza fosse ancora
al telefono con Xander.
“So che sei preoccupato per la maledizione. E so che
credi che i tuoi figli siano al sicuro, finché non provocheranno
accidentalmente la morte di qualcuno; ma in realtà non è così.”
Tyler appoggiò la fronte tra il pollice e l’indice,
dirigendo poi il proprio sguardo stanco in direzione di Lydia.
“Io li vedo, Ty. C’è qualcosa del lupo in ognuno di
loro; Ricki era schivo, da bambino. Caroline ha fatto a botte con i suoi
compagni di classe maschi un sacco di volte, quando era piccola, ma tutti e due
si sono calmati crescendo; e ho il sospetto che centri qualcosa lo sport.”
Il marito le rivolse un’occhiata interrogativa e la
donna annuì.
“Tutti e tre hanno un’indole aggressiva, Tyler.
Proprio come te; Ricki e Caroline fanno sport sin da quando erano piccoli,
hanno trovato la loro valvola di sfogo. Sono poi entrambi chiacchieroni fino
all’inverosimile, e se hanno qualcosa che non va, te la tirano fuori senza far
problemi: questo li aiuta. Mason, però, non è così. Lui non fa sport, non sa
come sfogarsi, parla poco ed è sempre nervoso. È normale che dia di matto in
quella maniera per la minima provocazione.”
“E quindi, secondo te, dovrei lasciarlo stare?
Fargli fare il cavolo che vuole?” sbottò Tyler, alzando la voce. Lydia lo
squadrò con aria decisa.
“No.” si limitò a rispondere. “Ma gli devi dare del
tempo. Più tempo.”
Tyler sbuffò. Prese in mano il cellulare e diede
un’occhiata alle chiamate perse, giusto per fare qualcosa, ma alla fine lo
abbandonò malamente sul tavolo, e prese a far ciondolare il capo.
“Non lo so.” borbottò infine, passandosi una mano
fra i capelli. “Non lo so.”
“Hai detto che Caroline lo sta tenendo d’occhio,
no?” gli ricordò poi Lydia, accarezzandogli una spalla. “Ti ha aiutato molto
quando eri giovane, magari sarà lo stesso anche per Mase.”
“Non è solo per Mase che sono preoccupato.” ammise
infine Tyler; scoccò un’occhiata nervosa alla finestra che dava sul giardino. “Ricki
mi ha detto di aver visto lo sceriffo appostato fuori da casa nostra. Mia madre
viene interrogata di continuo da Fell, nella speranza che le sfugga qualche
dettaglio sospetto. È anziana ed è stanca. Non posso permettere che si faccia
carico di tutto questo.”
Lydia lo osservò a lungo, prima di appoggiargli una
mano sull’avambraccio.
“Tyler, se davvero sta succedendo qualcosa troveremo
una soluzione per mettere di nuovo tutto a tacere.” Lo rassicurò; aveva un tono
di voce dolce, ma deciso. “Siamo andati avanti per vent’anni senza difficoltà,
tornerà a essere così.”
L’uomo non rispose. Lydia si chinò per sfiorare il
mento del marito e lo volse verso di sé, in maniera da poterlo guardare negli
occhi.
“Ehi…” lo richiamò, sorridendogli. Tyler ricambiò il
suo sguardo.
“Lydia?” incominciò poi, analizzando le iridi chiare
della donna. Quando la squadrava a lungo non riusciva a fare a meno di notare
quanto sua moglie e sua figlia si assomigliassero; non era solo per via del
colore dei capelli e degli occhi. Caroline e Lydia avevano lo stesso modo di
sorridere, la stessa aria solare e luminosa. Avevano qualcosa di raggiante nello
sguardo, che né Tyler, né i due figli maschi, erano mai stati in grado di
eguagliare. Ed erano entrambe in grado di tenergli testa senza mai cedere, o
alzare il tono di voce. Poche donne, prima di loro, ci erano riuscite.
“Che cosa c’è?” domandò infine la moglie, tornando a
sedersi di fianco a lui. Tyler si guardò le mani con aria stanca.
“Ti rendevi conto dello schifo che ti stava per
rovinare addosso, quando hai deciso di sposarmi?” chiese infine, tornando ad
osservarla. Lydia lo fissò interdetta per un attimo, ma infine abbozzò un
sorriso.
“All’inizio avevo paura.” ammise. “I motivi sono
tanti; mi hai raccontato di tutti gli orrori legati a questa cittadina e Mystic
Falls mi metteva in soggezione; sì, avevo paura. Sapevo che non ti avrei mai
lasciato, eppure faticavo a sentirmi al sicuro…”
“E poi?” domandò in quel momento Tyler, senza
guardarla negli occhi. “Cosa è cambiato, da allora?” Lydia estese il suo
sorriso.
“…e poi è arrivato Ricki.” rivelò, con aria
divertita. “E non ho dormito per i tre mesi successivi alla sua nascita. Quando
incominciò a muovere i primi passi, fu perfino peggio. Improvvisamente, mi
trovavo a dover gestire una casa, un lavoro, un marito lupo mannaro e un
bambino iperattivo, e credimi…” si mise a ridere, riuscendo a strappare al
marito un accenno di un sorriso. “…non avevo più tempo per avere paura.” ammise
con dolcezza. “E poi ci fu Caroline...”
“…che tu eri convinta fosse maschio.” le ricordò il
marito. Lydia gli diede un colpetto sulla spalla.
“Non era possibile pensare il contrario!” obiettò.
“Calciava come una furia! Da neonata, però,devo dire che è stata molto più
tranquilla di Ricki.” ammise.
“Caroline è stata praticamente una bambola, da
piccolissima. Ma poi si è resa conto che i maschietti sono molto più
divertenti delle femmine, e ha deciso di diventare scavezzacollo come loro.” proseguì
Tyler.
“E poi abbiamo avuto Mason.” Aggiunse infine Lydia. L’uomo,
sospirò.
“La vigilia di Natale.” precisò. Tacque per un
attimo, prima di aggiungere: “C’era anche la luna piena.”
Istintivamente, si passò una mano sul collo, quasi a
rievocare le sofferenze che il suo corpo aveva patito quella sera, sedici anni
prima. Erano gli stessi dolori che avrebbe continuato a sopportare ogni mese,
ma in quella particolare notte, gli erano parsi ancor più terribili e ingiusti.
Aveva fretta di sfilarseli di dosso. Voleva svegliarsi al richiamo della luce
mattutina e dimenticarsi dell’atrocità di quella notte, sorridendo al bambino
addormentato che lo attendeva tra le braccia di sua moglie.
“Con Mason ho avuto finalmente un po’ di tregua.” commentò
infine Lydia, sorridendo divertita. “Tranne quando spariva, ovviamente.” aggiunse.
Tyler denegò con il capo, sorridendo al passato di quei ricordi.
“Sembrano passate epoche.” commentò infine,
distendendosi sulla sedia, con aria più rilassata.
Lydia tornò ad alzarsi in piedi.
“I tuoi figli sono cresciuti.” dichiarò con un
sorriso. “Sono cambiati, solo per diventare un po’ più simili a te. Metteranno
sempre la loro famiglia al primo posto… e sai una cosa?” aggiunse. “…in fondo,
in quanto membro adulto del branco, credo di aver voce in capitolo in queste
faccende tanto quanto te.”
Tyler inarcò appena un sopracciglio e la moglie si
mise a ridere, prima di tornare ad osservarlo con dolcezza.
“Perciò, ti dico che mai permetterei a qualcuno di
infastidire la mia famiglia.” aggiunse. “Ogni madre farebbe di tutto pur di
avere i propri figli al sicuro. Figuriamoci una mamma lupo!”
Tyler scosse il capo con aria divertita,
rivolgendole un sorriso non più tirato. La moglie si chinò per baciarlo. “Perciò,
cerca di stare tranquillo.” riprese infine, scoccandogli un’occhiata d’intesa. “Hai
capito, Tyler?”
L’uomo rise, passandosi una mano sotto il mento.
“Ho capito, Lydia, ho capito.” mormorò, prima di
attirarla a sé e baciarla di nuovo, sfilandole via di mano lo strofinaccio che
la donna aveva tenuto in mano durante l’intera conversazione.
In altro occasioni un discorso come quello della
moglie l’avrebbe fatto solo innervosire. Non c’era giorno in cui non finiva per
domandarsi se le cose potessero d’un tratto complicarsi per tutti loro. Per sé
stesso e per la sua famiglia. Convincersi che la forza di volontà di sua moglie
potesse bastare a tenere tutti loro al sicuro, sarebbe stato ridicolo. Ridicolo
e impossibile.
Eppure, con Lydia, quei discorsi c’erano. E Tyler la
ascoltava ogni volta con un sorriso genuino, apprezzandola e amandola. La
maledizione ancorata al sangue dei Lockwood era inattaccabile, eppure lui si
sforzava di crederle, ammaliato dalla fiducia che la donna riponeva nella sua
famiglia.
Immaginava che in fondo era per quello che alla fine
si era innamorato di lei. Immaginava che da qualche parte, probabilmente, ci
dovesse essere una Lydia per ogni persona come lui. Per chi era un po’
spaccone, per l’uomo orgoglioso, per lo sfrontato o il codardo. Il codardo che
era stato in passato.
Ogni tanto, si sorprendeva a domandarsi se anche
Mason, un giorno, avrebbe avuto al suo fianco una donna come lei. Glielo
augurava in silenzio, qualche volta, osservandolo leggere o studiare, nella
tranquillità quasi innaturale della sua stanza.
In quei momenti, gli capitava anche di chiedersi
dove lui stesso sarebbe andato a finire, se non avesse trovato Lydia: la
risposta era sempre la stessa. E ogni volta, faceva più male delle notti di
luna piena.
So when hard times have found you
and
your fears surround you
Wrap my love around you,
you're
never alone
Never
alone.Lady Antebellum
***
“Dunque, ricapitolando...”
Vicki incrociò le gambe sulla trapunta e si lasciò
cadere sul letto.
“Tu e Mase stavate discutendo come vostro solito.” incominciò,
analizzando lentamente la situazione. “Mason aveva in mano una lattina. Poi, la
lattina è esplosa e lui si è trovato a fare la doccia nella coca cola – tra
l’altro, ma perché queste cose succedono sempre quando io non sono nei paraggi?
– il punto, però, è un altro. Quello che stai cercando di dirmi è che sei
convinta di essere stata tu a far starnutire la lattina E per farlo, avresti
usato la…”
Si interruppe, inarcando appena un sopracciglio. Autumn
si affrettò ad intervenire.
“Non dire quella parola, non dire quella parola!”
sbottò.
“…magia.” terminò Victoria, accennando un
sorrisetto. L’amica sbuffò, sedendosi a sua volta sul letto.
“Ogni volta che ci penso mi sento davvero una
stupida, perciò gradirei tanto se potessimo per lo meno evitare di pronunciare
quel termine.” obiettò. Victoria si tirò a sedere in fretta, tornando ad
incrociare le gambe.
“Forse lo sei.” commentò. “Forse sei un po’ stupida.
Io lo sono tanto e spesso, ma non mi va di vergognarmene. Non riuscirò mai a
capire come mai la gente vada fuori di testa, per ogni singola figuraccia.”
“Perché è così che dovrebbe essere, Vic.” ribattè
Autumn con aria stanca, abituata alle stranezze della sua migliore amica.
Victoria aveva sempre avuto un modo tutto suo di misurare il mondo e non
perdeva mai occasione per diffondere il suo punto di vista. “Solo tu non hai
problemi a metterti in ridicolo.”
Vicki diede una scrollata di spalle.
“Ci sono dei vantaggi anche quando il mondo ti crede
mezza matta.” obiettò, spostando nuovamente il ciuffo di capelli che era
scivolato sui suoi occhi. “Nessuno da accontentare, nessuno da deludere. Bah,
solo Oliver mi capisce.”
“Oliver è praticamente un santo.” ribattè Autumn,
rivolgendole un’occhiata critica. “Altrimenti non mi spiego come faccia a
passare, ogni giorno, tutto quel tempo assieme a Mase.”
“È il mio cuginetto.” aggiunse Vicki con tenerezza,
sorridendo. “Oliver capisce tutti.”
“Tornando al discorso di prima…” Autumn tentò di
recuperare la conversazione precedente a quella divagazione. L’amica si cinse
le ginocchia con le braccia e annuì.
“Giusto. La magia.” aggiunse, con aria vagamente
divertita. Autumn la incenerì con lo sguardo.
“Scusami.” commentò Victoria. “Volevo dire, la:
‘inserire parolina incriminata qui’. Senti, sei assolutamente convinta che il
prurito alle mani non avesse a che fare con qualche strana forma di allergia? O
magari, avevi solo voglia di tirare un ceffone a Mase…”
“Non è che devi credermi per forza, Vic.” la
interruppe Autumn in tono di voce secco. “Io non ti ho creduta nemmeno per un
istante, quando mi hai detto che avesti conquistato Ricki prima del tuo
diciannovesimo compleanno.”
Victoria sbatté le ciglia più volte, per poi roteare
gli occhi.
“Non mi sto sforzando, Autumn.” ribattè infine, in
tono di voce asciutto. Per un attimo, la sua espressione si fece seria. “Puoi
anche darmi della stupida – sai che non me la prenderò – ma io ti credo. In
fondo, non è che abbia molte altre alternative, dopo averti visto in lacrime
l’altro giorno. Ti credo, o almeno, credo all’idea che tu sia convinta di aver
aizzato una lattina contro Mase. Non credo alla ‘inserire parolina
incriminata qui’, né penso che arriverò mai a farlo, ma so che qualcosa è
successo, perché lo credi tu. E se voglio aiutarti, perché voglio farlo – sei
la mia migliore amica –…”
“Vic, ti prego…” la supplicò Autumn appoggiandosi i
polpastrelli sulle tempie. “…parla senza incisi, mi sto perdendo.”
Victoria sospirò.
“Quello che intendevo dire io, è questo.” riprese
con più calma, prendendo posto di fianco all’amica. “Se davvero sei convinta
che ci sia del– a sto giro passamelo, per favore – del ‘magico’, nel modo in
cui quella lattina è esplosa, di sicuro c’è stato qualcosa che ti ha portato a
crederlo. E se vogliamo arrivare a farti dimenticare di questa idea assurda,
dobbiamo prima riuscire a capire da che cosa sia nata. Non ti viene in mente
nulla che possa averti spinto a pensare alla magia? Magari c’è qualcosa che ti
hanno detto, o qualcosa che hai visto in passato… Un episodio strano, che ti è
capitato, non lo so…”
Autumn impiegò qualche secondo prima di smettere di
tenere il sopracciglio inarcato. Sospirò, facendo mente locale, alla ricerca di
qualcosa che potesse esserle utile.
“Da bambini, Julian parlava sempre di magia.” buttò
lì infine, sentendosi ogni secondo più stupida. “Era convinto di essere uno
stregone.”
Vicki sollevò le braccia, in cenno di trionfo.
“Perfetto! Allora iniziamo con il chiamare lui.” annunciò,
allungandosi per recuperare il cellulare di Autumn. L’amica lo recuperò in
fretta.
“Ma sei impazzita?” esclamò basita, infilandosi in
tasca l’aggeggio. “Mi prenderà per matta!”
Victoria fece per ribattere, ma la ragazza la bloccò
subito.
“Sì, lo so che stai per dire, e no, non condivido la
tua filosofia del “siamo tutti stupidi”, quindi negativo. Non farò la figura
dell’idiota con mio fratello.” l’amica sbuffò, tornando poi a sedere sul
letto.
“Va bene!” annunciò infine, incrociando le gambe
sulla trapunta. Con uno scatto fulmineo, recuperò il cellulare dalla tasca
dell’amica e lo sollevò. “Allora lo chiamo io.”
Autumn si oppose, cercando di sfilarle il telefono
di mano. Victoria balzò a terra, molto più agile dell’amica, per via degli anni
di ginnastica ritmica che si portava dietro sin da bambina.
“Vicki, smettila, dai!” si oppose l’altra ragazza.
Ma Vicki aveva già recuperato il numero di Julian e aveva premuto il tasto di
chiamata, tamburellando con le dita sulla porta.
“Sta squillando.” comunicò. Autumn la freddò con lo
sguardo, limitandosi poi tuttavia a tornare a sedersi, accavallando le gambe
con aria furibonda.
“…e comunque, riguardo a quello che hai detto prima
su Ricki…” aggiunse Vicki, mentre attendeva che Julian rispondesse. “… non ho
ancora compiuto diciannove anni. Tutto può ancora succedere.”
Distolse lo sguardo da Autumn, che finì per
lasciarsi sfuggire un sorrisetto.
“Come vuoi.” ribattè, mentre lo sguardo di Vicki
tornava a farsi vivace e la ragazza incominciava a parlare.
“Julian, ciao! No, sono Vicki. Ascoltami, io e ‘tumn
ti dobbiamo fare una domanda. È molto folle, ma davvero importante.” a quel
punto fece una smorfia e sbatté le palpebre un paio di volte, prima di
proseguire. “Sì, lo so che tutto ciò che ha a che fare con me è folle, ma
questo batte tutto, te lo giuro. Ok, allora hai tempo per parlarne un attimo?”
Autumn si mordicchiò il labbro e tornò a posarsi le
mani sulle tempie, mentre ascoltava la conversazione. Non aveva idea di come
Julian stesse reagendo a quell’interrogatorio insolito, ma lo stomaco le si
aggrovigliò comunque, quando la parola ‘magia’ fuoriuscì con naturalezza fuori dalla
bocca di Victoria. Sollevò il capo, solo quando si accorse che l’amica la stava
osservando.
“Domani sera, hai detto?” stava domandando la
ragazza rivolta a Julian, improvvisamente titubante. Autumn aggrottò le
sopracciglia. “Hai detto che non puoi prima, vero? Va bene domani sera,
allora.” un sorriso catturò le labbra della giovane. “Ci sentiamo e grazie!”
Chiuse la chiamata e lanciò il cellulare dell’amica
sul letto. Autumn le scoccò un’occhiataccia, riappropriarsene, ma poi la scrutò
con aria interrogativa.
“Ha detto che ci chiama domani sera con calma e
vedremo di capirci bene qualcosa. Mi ha anche chiesto se ne avevi parlato con
tua madre.” spiegò Victoria, raggiungendo l’altra giovane.
Autumn la osservò con stupore.
“No, ovvio che non gliene ho parlato.” ribattè,
secca. “Ti ha detto solo questo? Non ti ha chiesto se avevi bevuto, non ha
controllato il calendario per assicurarsi che non fosse il primo d’Aprile, non
si è messo a ridere?”
Vicki rievocò per un istante la conversazione appena
avuta con il ragazzo.
“In realtà mi è sembrato piuttosto serio.” rispose
infine “Forse anche a lui è capitato qualcosa di simile al tuo episodio con la
lattina. Ad ogni modo, ne scopriremo di più domani sera.”
Autumn le rivolse un’occhiata penetrante,
incrociando le braccia sul petto.
“Vicki, domani sera c’è la serata pre-partenza di
Ricki e Jeff al grill.” le ricordò, inarcando pericolosamente un sopracciglio.
“Ne parli ininterrottamente da due giorni.”
Victoria le diede le spalle, incominciando a
trafficare con la sua borsa.
“Può darsi, ma noi resteremo qui a improvvisarci
stregoni assieme a tuo fratello.” dichiarò con fermezza. “Magari, organizzeremo
una seduta spiritica. Che dici, evochiamo il fantasma di Michael Jackson? Ho
sempre sognato di vederlo ballare thriller dal vivo!” aggiunse, improvvisando
qualche passo della coreografia.
Autumn roteò gli occhi, mentre l’amica incominciava
a ballarle attorno. Alla fine si arrese, e si mise a ridere.
“Sul serio, Vic, puoi andare alla festa se vuoi.” la
rassicurò. “Con Julian posso parlarci tranquillamente da sola.”
Questa volta fu Vicki a squadrarla con un
sopracciglio inarcato.
“’Tumn, ho detto che ci sarei stata e quindi ci sarò.”
dichiarò con aria decisa, prima di tornare a trafficare con la sua borsetta. “Alla
festa, magari, ci facciamo un salto dopo.” aggiunse poi. “Ricki ubriaco è
qualcosa di terribilmente divertente da vedere.”
“Quando mai, per te, Ricki non è divertente?” la
canzonò l’amica, pur continuando a sorridere.
“Grazie, Vic.” mormorò infine, concedendo alla
ragazza un sorriso carico di gratitudine. Victoria ricambiò il sorriso,
cingendole le spalle con un braccio.
“Dovere.” dichiarò con aria seria, prima di mettersi
a ridere.
***
Julian si affrettò a riporre il cellulare nella
tasca, accelerando il passo. Stentò a imboccare la strada corretta per il pub,
ancora frastornato per via della telefonata appena ricevuta. Vicki l’aveva
chiamato per parlargli di sua sorella: e sua sorella, a quanto pareva, sembrava
avere in comune con lui molto più di quanto entrambi avessero mai pensato: era
davvero, una strega anche lei?
Julian decise di non pensarci, almeno per il
momento. Il suo turno di lavoro al pub incominciava alle sei in punto ed era
già in ritardo di cinque minuti. Si affrettò ad infilarsi nel locale e si
diresse verso la cucina, quando qualcuno attirò la sua attenzione,
costringendolo a fermarsi; in disparte, seduto a uno degli ultimi tavoli, aveva
individuato il professor Ringle.
Il ragazzo rabbrividì, sfilandosi il giubbotto.
Continuò a tenere d’occhio l’insegnate per qualche minuto, analizzandolo con
attenzione. Sperava di poter individuare qualche indizio che sostenesse o
smentisse la teoria che aveva formulato il giorno dell’esame; ci doveva pur
essere un modo per accorgersi se Ringle fosse effettivamente uno stregone.
Ancora una volta, Julian rimbeccò in silenzio sua madre per avergli precluso la
possibilità di studiare a fondo tutto ciò che comportava il suo dono. Bonnie
gli aveva spiegato molto sul motivo per cui era uno stregone. Gli aveva
raccontato dei Bennet, di cosa significava avere dei poteri. Tanta teoria e
nulla di pratico. Si era sempre rifiutata di aiutarlo a costruire qualcosa
attorno a quello che sentiva, di spingerlo ad esercitare ciò che avrebbe dovuto
rifluire in lui, in maniera naturale. Tutto ciò che sapeva fare, in termini di
magia, lo aveva appreso dal grimorio della sua bisnonna. Ne aveva lette alcune
pagine di nascosto e nonostante avesse sospettato più volte che sua madre fosse
a conoscenza di quel dettaglio, Bonnie non gliene aveva mai parlato.
Da quando si era trasferito a Richmond, i segreti
legati al suo dono contenuti in quel libro, erano una delle cose che aveva
rimpianto più in assoluto.
Assorto com’era dai suoi pensieri, Julian non si
accorse subito della ragazza che gli aveva da poco rivolto alla parola.
“Ehi, dico a te!”
La giovane sbottò, picchiettandogli sulla spalla con
la mano. Julian smise di osservare Ringle e si voltò. La ragazza che gli aveva
rivolto la parola aveva un’aria conosciuta: era bassina, capelli e occhi scuri,
aria anonima, ma tutto sommato, carina. Sgranò appena gli occhi, nel rievocare
dove l’avesse incontrato prima di allora: era la tizia che aveva avuto al suo
fianco durante l’esame di chimica, il giorno in cui aveva fatto partire
l’allarme anti incendio. La ‘rosicchia matite’. La secchiona.
“Sei tu quello che doveva incominciare il turno
dieci minuti fa? Mi stanno facendo servire anche i tuoi tavoli, quindi gradirei
se ti spicciassi a prendere il tuo posto.” Commentò lei, squadrandolo con aria
truce. Solo in quel momento Julian notò il grembiule che la ragazza aveva
addosso. Lavoravano assieme? Eppure era sicuro di non averla mai vista, prima
di quel giorno, al pub.
“Ti chiedo scusa!” le gridò, al di sopra delle voci
dei presenti. “Vado subito a cambiarmi. Per caso sei nuova?”
Chiese, sbirciando sulla sua divisa per individuare
il nome cucito sulla camicia. La ragazza annuì in fretta, affrettandosi poi a
recuperare una forchetta che uno dei clienti aveva fatto cadere. L’espressione
di Julian si ammorbidì.
“Beh, piacere di conoscerti, allora.” dichiarò con
gentilezza. “Io sono Julian, e tu sei… Diana?”
Azzardò, spiando il nome sulla divisa della giovane.
La ragazza si accigliò, scoccando un’occhiata rapida alle lettere stampate
sulla sua spalla.
“C’è scritto Damian.” lo corresse scuotendo il capo
con aria scocciata. “Mi ha prestato la camicia uno dei camerieri, non ho ancora
nulla.”
“Giusto!” Julian si batté una mano sulla fronte,
sorridendo a mo di scusa. “E allora, posso sapere il tuo nome?” domandò. La
ragazza sbuffò.
“Possiamo rimandare le domande a dopo, per favore?
Devo lavorare.” commentò, affrettandosi a raggiungere uno dei suoi tavoli.
Julian la osservò con un accenno di smorfia, infastidito dall’atteggiamento
scontroso della ragazza. La prossima volta, decise, ci avrebbe pensato due
volte prima di cercare di mostrarsi disponibile con una nuova arrivata.
“Arielle!” esclamò in quel momento il gestore del
locale, rivolgendosi alla giovane. “Quando hai finito con il tavolo nove, passa
all’undici. Morgan non è ancora arrivato.”
Julian rabbrividì.
“Sono qui, Caleb!” si affrettò a rispondere,
sorridendo a mo’ di scusa, quando la giovane riversò l’ennesima occhiataccia su
di lui.
“È un bel nome, Arielle.” tentò ancora, affrettandosi
a recuperare la sua camicia dallo zaino.
“Mi chiamo Aria…” sbottò la ragazza, dirigendosi
verso il tavolo che teoricamente sarebbe dovuto aspettare a lui. Julian inarcò un
sopracciglio con aria perplessa.
“Sono dislessico, non sordo!” le gridò dietro con un
accenno di sorriso. “Lui ti ha chiamato Arielle!”
La ragazza si limitò ad ignorarlo. Roteando gli
occhi, Julian raggiunse il bagno per cambiarsi la camicia, senza dimenticarsi
tuttavia di scoccare un’occhiata furtiva al professor Ringle: scattò
all’indietro sorpreso, quando si accorse che lo sguardo del professore era
puntato proprio su di lui.
C’era decisamente qualcosa che non andava in lui,
pensò. Ma quando intercettò l’ennesima occhiata assassina di Arielle, si
convinse a lasciar perdere le sue considerazioni, per correre a prepararsi.
***
Ricki ammonticchiò una manciata di calzini spaiati
sul copriletto. Si diede un’occhiata attorno, alla ricerca di qualche maglietta
dispersa per la camera e sbuffò, facendosi strada in mezzo a zainetti e
cappotti di tutte le taglie abbandonati alla rinfusa sul pavimento.
“Sorella, sei stata in camera mia, vero?” esclamò a
voce alta cercando di raggiungere il suo borsone da viaggio. Inciampò in una
racchetta da tennis e la calciò di lato. Sbuffò una seconda volta, prima di
inciampare nuovamente, questa volta sul suo stesso borsone.
“Caroline?”
“Nooooo!”
L’esclamazione annoiata di sua sorella lo raggiunse
dalla camera adiacente. Il ragazzo roteò gli occhi con aria rassegnata.
“Come no, c’è un porcile in camera mia, quindi o sei
stata tu, o sei stata tu. E il cane che ci fa in casa?” aggiunse poi sorpreso,
riconoscendo un musetto peloso che spuntava dall’uscio della porta. Silver, il
cane di famiglia, osservava il padrone con aria curiosa, comodamente accoccolata
sul pavimento.
“Cucciolotta!” esclamò addolcendosi, raggiungendo
l’animale. “Ma lo sai che non puoi stare qui, la mamma sclera se ti trova in
casa. Chi ti ha fatto entrare?” aggiunse con un sorrisetto divertito, grattando
il capo del cane.
“Ma chi vuoi che sia stato?” il commento
strascicato di Mason lo raggiunse dal corridoio.
“Caroline!” ripeté una seconda volta Ricki, questa
volta a voce più alta.
“Arrivo!” ribattè spazientita la ragazza. “Sto
preparando il borsone!” aggiunse.
“Stai via per il weekend?” domandò il fratello
mentre Caroline faceva ingresso in camera sua. Ricki schioccò le dita.
“Adesso, si spiega il campo di battaglia!” esclamò.
“In questa casa non si trova mai niente” si lamentò
la ragazza mettendosi a frugare nell’armadio del maggiore. “Dove diavolo sono
le mazze da hockey?”
“In camera mia, no di certo.” commentò il fratello,
lasciandosi cadere pigramente sul letto.
“Come mai hai fatto entrare il cane?” chiese poi,
facendo cenno a Silver di raggiungerlo. La creatura si acquattò sul tappeto e
annusò a lungo la mano del padrone, prima di arrendersi alle sue carezze.
Caroline diede una scrollata di spalle.
“Sei stato qui una settimana e l’hai a malapena
calcolata. Devi rimediare, a cominciare da ora.” commentò indicandolo con aria minacciosa.
Ricki sollevò le mani in cenno di resa.
“Hai ragione, sono stato davvero un padroncino
cattivo. Vorrà dire che alla festa di domani sera al grill, Silver verrà con me
al posto tuo. Se non altro è più ordinata di te.”
Caroline lasciò perdere la sua ricerca e si lasciò
cadere a sua volta sul letto del fratello maggiore.
“Mi dispiace non esserci domani!” si scusò, mettendo
il broncio. “Era la festa di arrivederci per te e Jeff!”
“Vai al lago con Xander?” domandò il fratello.
Caroline annuì.
“Non ci andavamo più da secoli.” si giustificò. “Ti
dispiace?”
“Nah.” Ricki la rassicurò stiracchiandosi pigramente
sul materasso.
“Tanto torno presto.”
“Ma domenica pomeriggio ti accompagnerò
all’aeroporto, e per tutto il tragitto ti terrò il muso.” gli assicurò la
sorella, con un cipiglio serio.
“Come da routine!” confermò Richard circondando le
spalle della ragazza con un braccio. Sospirò.
“Massì, fra meno di un mese è Natale e sarò di nuovo
a casa.” commentò, accarezzandole il capo. Caroline si strinse a lui.
“Dovevi proprio scegliere una scuola così lontana?
Fratello cattivo!” si lamentò in tono di voce infantile. Ricki sorrise.
“Lo sai che sono un idiotone… ma prima o poi ne farò
pure una giusta, no? E senti, a proposito di idiotoni…” aggiunse, abbassando lievemente
il tono di voce. “Ricordati di dare una sbirciata a quell’adorabile cretino di
nostro fratello, di tanto in tanto. Due sbirciate. Ma fai anche tre…”
“Lo tengo d’occhio, non preoccuparti per quello.” lo
rassicurò.
“Caroline!” la voce di Tyler li raggiunse dal
corridoio. “Che cos’è tutto quel casino in camera tua?” domandò, per poi
sgranare gli occhi nell’individuare la confusione che regnava sovrana nella
stanza del suo primogenito.
“Eh, questa è opera mia.” mentì Ricki esibendo un
sorrisetto schietto.
“Non trovavo la roba per il lago!” si difese invece
Caroline. Il padre la fulminò con lo sguardo.
“No, Caroline, sono settimane che quella camera è
uno schifo, quindi adesso ti muovi e cerchi di farla diventare quanto meno
vivibile. E il cane…” aggiunse spostando l’occhiataccia in direzione di Silver,
che come vide il padrone, si affrettò a trotterellargli allegramente incontro.
Caroline annuì con aria esasperata.
“Sì, lo so.” dichiarò. “È troppo grande e troppo
peloso e non deve stare in casa, alla mamma dà fastidio. Caroline! Portalo
fuori!” aggiunse, imitando la voce grossa del padre. Si incamminò in direzione
del corridoio guidando Silver, mentre il padre la squadrava con aria irritata.
“Questo tono di voce non mi piace!” aggiunse l’uomo,
alzando la voce.
“Hai ragione, scusa!” la figlia gli gridò dal
corridoio. Tyler sbuffò, spostando poi il suo sguardo in direzione del suo
primogenito.
“Rick, posso parlarti?” chiese, decidendosi
finalmente ad abbandonare l’uscio della stanza per raggiungere il figlio. Ricki
gli diede una pacca sulla spalla.
“E parliamo, papà!” esclamò allegramente,
circondandogli le spalle con un braccio. Tyler inarcò un sopracciglio, prima di
scuotere il capo sorridendo.
“Che figlio cretino che ho.” commentò; Ricki fece
una smorfia.
“Già, un perfetto idiota. Ne parlavo giusto prima
con Caroline.” si trovò d’accordo. “Non so proprio da chi potrei aver pres… Ahi,
eddai papà, questo era forte!” si lamentò, quando lo scappellotto del padre gli
colpì la nuca. Tyler ridacchiò, placcando il figlio per riuscire a
rifilargliene un secondo.
“Come va, papà?” domandò infine Ricki, quando la
lite scherzosa tra padre e figlio si estinse. “Da quando sono tornato non ci
siamo ancora fatti una delle nostre belle chiacchierate.”
Tyler si sistemò i capelli scrutandolo con aria
pensierosa; sospirò, denegando appena con il capo.
“È per lo sceriffo?” domandò il figlio,
improvvisamente con aria meno giocosa, chinandosi in avanti. Il padre sospirò
una seconda volta.
“Tu non ci devi neanche pensare allo sceriffo.
Quelle sono cose mie, okay?” gli ricordò in tono di voce pacato, deciso a non
coinvolgere Ricki in quel tipo di faccenda. “Sono preoccupato per Mason.”
giustificò infine i suoi tentennamenti, allargando le braccia.
“È che pensavo…” Tyler interruppe a metà la fase,
come se avesse cambiato idea. Si esaminò le mani con attenzione e infine si
costrinse a proseguire. “Pensavo che forse dovrei iniziare ad accennargli
qualcosa sulla maledizione.” ammise.
Ricki denegò con il capo prima ancora che avesse il
tempo di aggiungere altro.
“Va messo in guardia.” continuò ugualmente Tyler.
“Continua a lasciarsi provocare per cazzate, e se si ostina a fare lo spaccone
in quel modo, finirà che…”
“Papà, no.” Ricki dissentì pacatamente, ma parlò in
tono di voce deciso. “È di Mason, che stiamo parlando. Mase, quello che
balbettava. Quello che ha paura di tutto; Mase, il piccolo di casa, ricordi?
Non ha nemmeno sedici anni, papà, non puoi lasciargli addosso una
preoccupazione del genere e sperare che...”
“Tu eri ancora più giovane di lui quando sei venuto
a sapere della maledizione.” ribattè secco il padre, scoccandogli un’occhiata
severa.
“Bella forza.” commentò Ricki con fare ironico.
“Papà, io ti avevo visto.” gli ricordò poi. “Non è che ci fossero poi altre
alternative…”
Tyler non rispose; intrecciò le dita e chinò il capo
verso il basso. Ricordò con nervosismo l’espressione terrorizzata del suo
primogenito, nel momento in cui lo aveva scoperto incatenato in una cripta.
Erano anni che Ricki insisteva per accompagnarlo lungo un tratto di tragitto
verso i boschi, i pomeriggi che precedevano le notti di luna piena. Ma mai
prima di quel giorno aveva osato disobbedire al padre, oltrepassando quel
confine oltre al quale non gli era concesso proseguire: inseguendo Tyler fino
alla cripta.
“Ti fa male…” domandò in quel momento, voltandosi in
direzione del figlio. “…fa male essere a conoscenza di tutto questo?”
Ricki sostenne lo sguardo del padre con aria decisa,
prima di dare una scrollata di spalle.
“No.” convenne infine. “Non ho paura, papà. Se lo
hai affrontato tu, posso affrontarlo anch’io. Ma Mason…” il ragazzo sospirò,
passandosi una mano fra i capelli. “Non dirgli nulla. È ancora troppo presto,
per lui.” concluse. Il padre gli scoccò un’occhiata poco convinta, ma alla fine
annuì.
“Papà?” domandò a quel punto Richard, posandogli una
mano sulla spalla. “La mamma e Matt ti accompagnano ancora ogni mese a turno,
vero?” domandò.
Il padre inarcò un sopracciglio con aria critica:
non c’era bisogno di aggiungere a cosa si stesse riferendo; Tyler aveva capito
benissimo.
“Sei stato tu a organizzare questa tiritera, vero?”
realizzò in quel momento. “Dio, che roba, Ricki, sei proprio…”
“Doveva esserci qualcuno a cui passare il testimone,
mentre ero via.” si difese il giovanotto battendosi un pugno sul petto. “Vorrei
poterti accompagnare ancora io, però.” aggiunse. “Come una volta.”
Tyler fece per ribattere, quando un ricordo
improvviso lo sfiorò, strappandogli un sorriso.
“Che c’è?” domandò il figlio, rivolgendogli
un’occhiata perplessa. Il padre scosse il capo con un cipiglio divertito.
“Stavo ripensando a quel marmocchio impestato, che
strepitava, perché voleva venire ad ‘aspettare la luna assieme a me’.” ammise,con
aria improvvisamente meno rigida.
“Ogni maledetto mese.” precisò. Ricki fischiò.
“Uh, i bei tempi andati…” commentò, concedendosi poi
un sorrisetto sghembo. “È cresciuto bene, quel marmocchio!” aggiunse,
passandosi orgoglioso le unghie sulla maglietta. “Ammettilo, tuo figlio è un
fenomeno.” concluse poi, sorridendogli candidamente. Il padre ridacchiò.
“Sì, un fenomeno da baraccone.” commentò, dandogli
una pacca sulla nuca.
“Ma basta!” mugugnò il ragazzo, massaggiandosi il
capo. “Quando non avrò più la testa, chi torturerai al posto mio?”
“Ehi, Rick…” incominciò in quel momento Tyler,
sollevandosi dal letto. Lo osservò a lungo, scuotendo poi il capo con aria a
metà tra il divertito e il rassegnato. Ricki si alzò a sua volta.
“Ok.” Esclamò, posando le mani sulle spalle del
padre. “Concentrati: puoi farcela. “‘Ehi Rick’ che cosa?’ ‘Sei un cretino?’ Lo
so. ‘Hai due calzini di colore diverso addosso?’ So anche questo, è colpa di
Silver, me ne ha rosicchiati una decina. Ringraziamo la cara sorellina, per
questo, visto che il cane l’ha fatto entrare lei.”
Tyler incrociò le braccia sul petto, ascoltandolo
blaterare. Tra lui e Ricki difficilmente passavano parole d’affetto, nonostante
entrambi dimostrassero in continuazione di avere perennemente bisogno l’uno
dell’altro. Ricki era il figlio con cui Tyler era sempre stato più severo.
Quello che riprendeva più duramente, forse perché sin da piccolo era sempre
stato il più movimentato, forse perché sapeva che con lui poteva permetterselo.
Ricki era il solo con cui, di tanto in tanto, gli era capitato di alzare le
mani. Da bambino, avevano anche passato dei brutti momenti; Ricki era uno di
quei bambini impossibili, che non riescono a stare fermi nemmeno un attimo. Il
genere di ragazzino che non va matto per le dichiarazioni di affetto, per le
coccole e i vezzeggiamenti.
Eppure, Ricki era sempre stato, e continuava a
essere, quello dei tre figli con cui Tyler aveva un legame più saldo. Averlo al
suo fianco lo faceva sentire più sicuro, forse per via della vicinanza che
c’era sempre stata fra di loro nei momenti antecedenti alla luna piena. E
Richard Junior, il bambino che non amava le dimostrazioni di affetto, era
cambiato molto crescendo, diventando un giovane uomo tremendamente solare, con
un amore incondizionato nei confronti della sua famiglia.
Se Tyler dopo vent’anni ancora faticava a manifestar
a voce alta quello che provava nei suoi confronti, Ricki aveva imparato a non
curarsene: gli bastava guardarlo negli occhi per intuire quello che suo padre
avrebbe voluto dirgli. Dal rimprovero, alle parole affettuose, Richard sapeva
sempre come interpretare le occhiate del padre, anche quando non c’erano parole
a sottolineare ciò che intendeva comunicargli.
“Diciamo che come al solito faccio tutto da solo,
va.” affermò infine Ricki sorridendogli con fare canzonatorio. “Sì, anche io
te ne voglio. E sì, anche io sono orgoglioso di te.” pronunciò improvvisando
un’aria solenne, dando poi una serie di pacche sulla spalla al padre. Tyler lo
scansò, ridacchiando.
“Cretino.” mugugnò. Improvvisamente, si mise ad arruffandogli
i capelli, come faceva sempre quando Ricki era bambino Anche il ragazzo si
mise a ridere.
“Non ti erano mancate per niente le mie sparate,
vero?” domandò, dandogli poi un pugnetto sulla spalla. Tyler scosse il capo,
deciso.
“Per niente.” commentò, rivolgendogli poi un
sorrisetto beffardo. Ma quando il figlio incrociò il suo sguardo, intuì
all’istante che stava pensando a qualcosa di completamente opposto.
You
think
they won't understand
So you don'treach out your hand for them
Until
they'll pull and reach for you.
Family
comes first. Whitney Houston
** Quello
che dice Anna è stato rubacchiato al dialogo tra Jeremy e Anna nell’ episodio
3x04
Nota
dell’autrice.
Anzitutto, l’angoletto annunci:
1. Anche questo mese ho piazzato su un piccolo
spin off di questo racconto, questa volta dedicato a un povero Mase con
l’influenza e a Caroline (Forbes) nel ruolo di ‘mammina’. Una cosina così, per
sorridere un po’. S’intitola Fever.
2. Il dialogo tra Ricki e Tyler a proposito di Ricki da
bambino che andava ad aspettare la luna con il padre, si rifa a un missing
moment intitolato appunto Waiting for the moon, che è un po’ un
approfondimento di quello che siete andati a leggere oggi, quindi se vi
capitasse di darci un’occhiata, mi farebbe davvero tantissimo piacere!
Passiamo ora al polpettone.
Buondì! *esulta, perchè è riuscita ad aggiornare entro il
mese*
Siete pronti per il polpettone nel polpettone? Ma sì, che lo
siete! E allora, cominciamo!
Anzitutto, ho notato che in questo capitolo sono riuscita
finalmente a dare un po’ di spazio ai miei quattro personaggi preferiti: Ricki,
Oliver, Vicki e Julian. E quindi sono felice. <3 E poi, come al solito
ringrazio la Mary bella, perché è coccola e beta sempre con amore <3
Dunque, uhm, cacchio, questo capitolo era davvero lungo D: Mi perdonate, vero? Ad ogni modo, capitolo di transizione. Di conseguenza, a
livello di svolgimento dei fatti in questa sesta parte non è successo un
granché, ma ho deciso che avevo bisogno di focalizzarmi per un attimo sulla
famiglia Lockwood, che è un po’ la protagonista di questa storia assieme a
Caroline (Forbes).
Ma andiamo per ordine.
Nella prima parte del capitolo, abbiamo finalmente il primo
mistero svelato; come molti di voi avevano indovinato, la ragazza misteriosa di
Oliver era proprio Anna. So che alcuni di voi sono delusi da questo risvolto, e
vi dirò, in realtà all’inizio Annabelle non era contemplata nel quadro. Ma
avevo bisogno di creare uno storyline per Oliver, e al tempo stesso mi serviva
un collegamento che accennasse al‘the other side’ per qualcosa che si vedrà
alla fine di questa fan fiction, e così ho pensato ad Anna. Vi premetto che non
ci sarà nessun risvolto amoroso, tra lei e Oliver. Mi sembrava più corretto
così, e non volevo esagerare con i parallelismi tra ciò che è successo in
passato e ciò che sta succedendo ora. *parte la musichetta di Casper*
Andando avanti, passiamo alla scenetta Xanderine, con
la partecipazione straordinaria di Ron Weasley (tra l’altro, nulla contro
l’adorabile Ronnino, ma ho pensato che ‘Ron Weasley’ potesse essere più da
Xander , rispetto a ‘pel di carota’ o qualche altro appellativo del genere) e
del fessacchiotto Mase, sempre nei paraggi, quando c’è da fare cupido. Che
succederà al lago? Bah, non so, vedremo!
Proseguendo oltre, abbiamo il Consiglio: auch.
E poi, altro stacco: Tyler, Mason, e finalmente, la prima
introduzione di mammaLydia <3 Non so se sono riuscita a renderla come
volevo. Ho un’immagine precisa in testa di questa donna dolce e affettuosa, ma
anche decisa e combattiva. Scopriamo qui che Lydia è al corrente di tutto ciò
che ha a che fare con il sovrannaturale, dei vampiri, della maledizione dei
Lockwood, e di ciò che ha significato Caroline per Tyler in passato. Mi ha
fatto un po’ dannare questa scena.
Era delicata, e ci tenevo a renderla bene. Mi rendo conto, che questo Tyler
adulto è piuttosto diverso da quello che siamo abituati a conoscere dalla serie
tv, ma tenendo conto del trascorrere degli anni, è solo così che riesco a
immaginarmelo.
Dopodiché, ci sono Vicki e Autumn. Vicki <3 è la prima volta che la vediamo interagire un po’ più a lungo con
gli altri personaggi, e finalmente scopriamo qualcosa in più su di lei. Beh,
ovviamente è mezza svitata,ma non è che gli altri siano
messi molto meglio <3 Scherzi a parte, Vicki non ha la simpatia di alcuni di voi, ma c’è
ancora davvero tanto in suo proposito che va scoperto. Credo che dal prossimo
capitolo il suo personaggio incomincerà a prendere forma per quello che è
veramente. Come avevo anticipato in pagina facebook, ho deciso che ‘Tumn e
Vicki sarebbero state migliori amiche, molto prima che spuntasse fuori che lo
erano anche le loro nonne (Miranda e Abby), oltre che le loro mamme.
E poi abbiamo il ritorno di Julian – e del professore creepy
- con una nuova – anche se non proprio – arrivata: la rosicchia matite
secchiona, alias Aria. Vi assicuro che è un po’ più carina di quello
che abbiamo visto oggi, evidentemente era nervosa per il suo primo giorno di
lavoro - Julian, in realtà,mi sta dicendo che era proprio fuori di melone,altro che nervosa -.
Ad ogni modo, la ritroveremo più avanti nella storia, così come Julian.
Il capitolo si chiude con la mia scena preferita: Ricki e papà. Come avrete già
intuito, questa storia fa parecchio perno sul concetto di famiglia, sul
rapporto genitori-figli e quello tra fratelli. C’è ancora tanto in cantiere per
i Lockwood.
Ma passiamo alla parte più interessante del polpettone (c’è
una parte interessante? D: D: D: ) ovvero, cosa aspettarsi dal prossimo
capitolo? DI TUTTO. MWAHAHAHA.
.. Non è vero.
Però, posso dirvi che in un certo senso sarà davvero un capitolo di svolta. Ciò che è importante
succede solo alla fine, ma mette le basi, per quello che andrà a svilupparsi
negli episodi successivi.
Dopo questa piccola sbirciata al prossimo capitolo, direi
che posso chiudere il polpettone. Potete arrotolarlo, mangiarvelo, o darlo al
cane, come preferite. Gna, ma a proposito di cane: mi stavo dimenticando della
sesta Lockwood e voi non mi dite nulla? Oggi abbiamo conosciuto pure Silver! La
più in gamba della famiglia, non c’è che dire u_ù
Ultimo accenno alla citazione e poi fuggo. La citazione
iniziale è tratta da una poesia che ho sentito recitare molte volte, e che
quindi mi è rimasta impressa. Forse è stato un po’ indelicato inserirla, ma
proprio perché così delicati, quei versi mi hanno sempre riportato un po’ ad
Anna, e a questo suo “essere sola”, perché nessuno può vederla.
Basta, mi eclisso, vi sbacio tutti per bene e me ne vado in
letargo di nuovo. Ringrazio tutte le splendide personcine che nell’ultimo mese
hanno recensito. Mi state dando una gioia immensa <3 Grazie in particolare,
alle nuove arrivate, è sempre emozionante vedere nuove persone che seguono
questa storia e i miei sgangherati pargoletti! Come sempre, per informazioni,
spoiler, le domande più disparate, e imbarazzanti, aneddoti nonché vita,morte e
miracoli di questi nove fessacchiotti, li trovate QUI.
Tutti noi ci
immaginiamo artefici del nostro destino, capaci di determinare il corso delle
nostre vite.
Ma siamo davvero noi a decidere la nostra ascesa e la nostra
caduta?
O c'è una forza
più grande di noi, che stabilisce la nostra direzione?
È la scienza a
indicarci il cammino?
È Dio che
interviene per tralci in salvo?
Non poter
scegliere il proprio percorso è la triste condizione dell'uomo.
Gli è solo dato come atteggiarsi quando il destino chiamerà.
Sperando
che non gli manchi il coraggio di rispondere.
daHeroes.
(episodio 1x02)
“E… arrivati!” annunciò allegramente Xander spegnendo il
motore dell’auto. Caroline sganciò la cintura di sicurezza e guardò fuori dal
finestrino con aria truce.
“Piove.” commentò, visibilmente seccata. “È la prima
volta che torniamo al lago dopo mesi e piove: grandioso…”
“Ah, non fare i capricci.” l’ammonì
l’amico infilandosi il cappuccio, per uscire dall’auto. Caroline fece
altrettanto. Si strinse le braccia al petto per
ripararsi dalla pioggia.
“Freddo.” commentò rabbrividendo, quando finalmente
riuscì a mettere piede in casa. Xander abbandonò le chiavi della macchina sul
tavolo e si sfilò il cappuccio.
“Uhm, magari la prossima volta l’ombrello ce lo portiamo, eh?” commentò frizionandosi i capelli con le
mani. Caroline sbuffò.
“Non è colpa mia se non c’era più spazio nel
borsone.” obiettò, sfilandosi le scarpe sporche.
“Oh, per forza, ti sei portata dietro tutta casa
tua.” la rimbeccò Xander, dandole un colpetto sul fianco. “Bah, le donne.”
aggiunse, lasciandosi cadere sul divano. Caroline si accigliò.
“Alexander, vuoi che ti tiri una scarpa in testa?”
domandò, recuperando la converse e sventolandogliela
sotto il naso. “Guarda che lo faccio! E i tuoi capelli non gradirebbero.”
Il ragazzo sghignazzò, “Niente più commenti sulle
donne, promesso.” si arrese, sfilandosi a sua volta le scarpe per potersi
distendere. “Ah, mi è mancato questo posto.” commentò poi, intrecciando le dita
dietro la nuca.
Caroline spinse le gambe dell’amico verso lo
schienale per farsi spazio e si sistemò a sua volta.
“Comoda?” si informò il
ragazzo, prima di rivolgere un’occhiata distratta in direzione del camino; si
sorprese a sorridere. Quel soggiorno era un mosaico di dettagli rimasti invariati
nonostante il trascorrere del tempo. Oggetti con una collocazione
ben precisa, mensole ornate da fotografie incorniciate, cianfrusaglie sparse in
giro per la stanza che notava ogni volta. C’erano le pantofole sue e di Oliver
di quando erano piccoli, ancora accantonate sotto la poltrona: stranamente né a
lui, né a nessun altro, era venuto mai in mente di buttarle. Stavano lì fin da
quando aveva memoria. C’era la sua chitarra, appoggiata come sempre al
piedistallo vicino al caminetto, nel posto in cui la trovava ogni volta che
tornava in quella casa; Caroline gli aveva chiesto più volte di insegnargli
qualche accordo, ma non era nemmeno mai riuscito a farle capire come
imbracciare lo strumento musicale: la ragazza si stufava sempre prima. C’era
una pila di fogli scarabocchiati sul tavolo, reduci delle partite a pictionary giocate assieme alla sua famiglia. Per ogni
oggetto, un ricordo; e ogni ricordo aveva il potere di
farlo sorridere. Aveva trascorso dei bei momenti, in quella casa.
“Sei contento, Xander
bello?” domandò in quel momento Caroline, stendendosi al suo fianco. Il ragazzo
allungò il braccio per cingerle le spalle e rivolse all’amica un sorrisetto
soddisfatto.
“Xander bello è contento.” confermò, permettendole
di stringersi a lui. “La signorina Lockwood è contenta?” chiese allo stesso
modo. La giovane annuì, appoggiando il capo sul suo petto.
“Sì, sono contenta, ma c’è davvero un tempo di
cacca.” si lamentò mettendo il broncio, prima di tornare ad accigliarsi.
“Doveva mettersi a piovere proprio oggi?” commentò. Xander scattò a sedere.
“Le mazze da hockey le abbiamo, no?” le fece notare
con un sorrisetto sghembo. Caroline non disse nulla; l’interrompersi brusco di
quell’abbraccio l’aveva quasi infastidita, e si sentiva sorpresa, per via di
quell’insolita impressione.
“Mettiti i pattini, dai.” esclamò a quel punto il
ragazzo, alzandosi in piedi. “Oggi la partita la si
gioca in casa… in tutti i sensi.” annunciò,
dandole poi una pacca sul braccio.
Caroline sbuffò, sollevandosi pigramente dal divano.
Si chinò per sbirciarci sotto e recuperò il paio di pattini, che teneva lì sin
dal loro primo week-end assieme.
“E va bene.” annunciò infine, rivolgendogli
un’occhiata di sfida. “Tanto posso stracciarti anche
se giochiamo dentro.” annunciò, annuendo tronfia. Xander minimizzò con una
scrollata di spalle.
“Bah, impossibile.
Considerati già battuta.” commentò, incominciando a
gironzolare per il soggiorno con i pattini allacciati ai piedi. “Facciamo una scommessa? Se vinco io mi
prepari i biscotti!” aggiunse con aria d’un tratto più vivace, prendendo a
pattinarle attorno. Caroline si sollevò a sua volta e si mosse in
direzione del borsone. Recuperò una delle mazze da hockey e con l’altra mano
raccolse la sacca, per portarla nella camera da letto.
“E se vinco io?” domandò poi con una punta di
malizia nello sguardo. Xander, che l’aveva seguita, si grattò il capo con aria
poco convinta.
“Uh, tanto non vinci.” ribattè, incrociando le
braccia sul petto. “È inutile che ci mettiamo a pensare a cosa…
ehi, non distruggermi la casa!” aggiunse improvvisamente. Caroline aveva
vacillato per un istante, finendo per colpire il muro con la mazza da hockey.
La ragazza si appoggiò alla parete con la mano libera, arrossendo lievemente.
“Ho perso un attimo l’equilibrio.” si scusò,
continuando a tastarne la superficie. Da imbarazzata, la sua espressione si
fece d’un tratto incuriosita. “Xan,
hai sentito che rumore ha fatto la parete, quando l’ho colpita?” domandò.
“Il rumore di una parete che rischia di sfasciarsi.”
commentò il ragazzo, pattinando fino a raggiungerla. “Un
rumore che non mi piace per niente. Metti via quella
mazza, sei pericolosa.”
“Sul serio, Alexander, suonava come
se fosse vuota. Secondo me c’è
qualcosa, qua dietro.” aggiunse la ragazza, porgendogli la mazza da hockey.
Bussò con le nocche contro la parete, e infine si allontanò, quando con
titubanza l’amico incominciò a colpire il muro con l’arnese. Una dopo l’altra,
un paio di assi si scostarono, lasciando intravedere
qualcos’altro.
“Avevi ragione.” mormorò Alexander spostando le
tavole. “C’è una porta qua dietro.”
Lo sguardo di Caroline si illuminò.
“Aprila!” esclamò entusiasta, appoggiandosi alla
spalla dell’amico per vedere meglio. Xander fece una smorfia.
“È chiusa a chiave.” commentò, prima di cambiare
espressione. “No, aspetta. Niente chiave, qualcuno ha
fracassato la serratura. Si apre tranquillamente.” obiettò
quando spinse la porta con la mano che si aprì senza alcuna difficoltà.
“C’è qualcosa dentro?” domandò la ragazza,
sbirciando oltre la spalla di Xander. Il ragazzo guardò di fronte a sé con aria
perplessa.
“Nah. Sembra uno sgabuzzino, ma è vuoto.” commentò,
allontanando l’amica con delicatezza per poter fare
qualche passo avanti. Era vero: gli bastò un’occhiata per intuire che, fatta esclusione
per le schiere di ganci appese alle pareti, in quella stanza non ci fosse
nulla, oltre che polvere e probabilmente tarme. Xander analizzò il pavimento
con aria incuriosita e poi sollevò il capo per controllare la parte alta della
stanza; quel posto somigliava effettivamente a un ripostiglio, ma non riusciva
a spiegarsi il significato di tutti quei ganci.
“E perché dovrebbe esserci uno sgabuzzino, nascosto
nella stanza dei tuoi?” domandò a quel punto Caroline. “Secondo me c’è
dell’altro, proviamo a controllare bene.”
“Non c’è niente, ho guardato dappertutto.” la
rassicurò il ragazzo, prima di appoggiarsi una mano sullo stomaco.
“Oh oh.” borbottò infine
allontanandosi dalla parete. Caroline spostò la sua attenzione verso il
ragazzo.
“Che cosa c’è?”
Xander sorrise, battendosi più volte una mano sulla
pancia.
“Stomaco!
Pappa!” annunciò allegramente, indicando con la mazza da
hockey l’uscita della stanza. “Andiamo a mangiare?” la supplicò poi.
Caroline sbuffò, pur lasciandosi sfuggire un sorrisetto divertito.
“Ovviamente, il cane va nutrito.” ribattè infine,
dandogli un colpetto sulla nuca. “Va bene, prepariamoci qualcosa!” si arrese
infine, pattinando fino al corridoio. Xander aggrottò le sopracciglia.
“Ehi, non darmi del cane, bella!” le gridò dietro, lanciando
la mazza da hockey sul letto. “Non abbaio mica!” Caroline rise.
“Va bene, allora ti darò del ‘porcospino’.”
lo rimbeccò dalla cucina “Con quei capelli lì non mi viene in mente niente di
meglio.”
“Ma a te piacciono i miei capelli!” obiettò il ragazzo,
dandosi la spinta con la mano per raggiungere il
letto. Nel voltarsi, uno dei suoi pattini si scontrò con qualcosa, e il ragazzo
fu costretto ad aggrapparsi alla parete per non perdere l’equilibrio.
“Ma che diavolo…”
Si chinò, per controllare cosa gli avesse
intralciato la strada; recuperò un volumetto incastrato fra il suo pattino e la
parete del ripostiglio. Ne analizzò la copertina con attenzione: sembrava molto
vecchio.
“Caroline, ho trovato qualcosa!” annunciò in quel
momento, rigirandosi il quaderno fra le mani; svoltò la prima pagina e aggrottò
le sopracciglia per decifrare il nome che spiccava in un angolo, trascritto con
una calligrafia minuta: Jonathan Gilbert. Sfogliò ancora qualche pagina e
analizzò con aria incuriosita schiere di parole accantonate le une alle altre.
Davano l’impressione di essere state ammonticchiate a forza, quasi chi le
avesse scritte avesse cercato di far rientrare tante informazioni nel minor
spazio possibile.
“Che cosa hai detto?” Caroline gli gridò dalla
cucina. Alexander non rispose. Si accoccolò sul pavimento e prese a sfogliare
il quadernetto, incuriosito dall’aria consunta di quei fogli. Studiò un paio
dei disegni che spuntavano qua e là in mezzo alle annotazioni e si stupì,
quando individuò la data di uno degli ultimi, tratteggiata a inizio pagina: 22 Novembre 1864. Aveva tra le mani il diario di un vecchio
antenato di famiglia.
“Alexander ‘porcospino’!”
l’esclamazione decisa di Caroline lo convinse a distogliere lo sguardo dalla
pagina. “Se non muovi le chiappe subito per venire a darmi una mano, giuro che
i biscotti li do tutti a Silver!”
Xander rise, arruffandosi i capelli ancora umidi,
prima di sollevarsi da terra. Scoccò un’ultima occhiata pensierosa al volumetto
e lo abbandonò sul letto, per poi pattinare fino al soggiorno.
“Uh, biscotti!” annunciò leccandosi le labbra con
aria soddisfatta. “Porcospino in arrivo!”
Il diario del suo antenato, pensò picchiettandosi
una mano lo stomaco, l’avrebbe controllato più tardi.
***
“A che ora uscite, questa sera?” domandò Elena
facendo ingresso in cucina. Jeff smise di scribacchiare sul suo libro e rivolse
lo sguardo in direzione della donna.
“Non so, le otto?” propose, voltandosi a osservare
la sorella accoccolata sul tappeto; Vicki stava facendo zapping con aria
annoiata, i piedi scalzi a giocherellare con un cuscino poco distante.
“Vic, tu cosa fai? Vieni su con me e Ricki o passi
più tardi con Autumn?”
Victoria tentò di soffiare via un ciuffo di capelli
che le era scivolato sugli occhi, ma con scarso successo. Sbuffò, decidendosi a
darsi una sistemata alla frangia con le mani.
“Io e ‘tumn non veniamo. Abbiamo una certa cosetta da
fare.” spiegò, abbandonando il telecomando sul divano per raggiungere il
fratello. “Magari facciamo poi un salto al Grill più tardi.”
Jeffrey la osservò con ara poco convinta.
“E vuoi perderti Ricki ubriaco?” esclamò in quel
momento Matt, entrando in cucina a sua volta. “Non ci credo nemmeno un po’ .”
La ragazza sbatté le ciglia un
paio di volte e sorrise.
“Ovvio che non voglio perdermelo.” spiegò. “Ma ‘tumn sta passando un periodo un
po’ bizzarro e voglio cercare di aiutarla a risolvere la faccenda, tutto qui!”
annunciò allegramente la ragazza, prendendo posto a fianco a Jeff. I due
genitori si scambiarono un’occhiata perplessa.
Infine, la donna si rivolse a Jeffrey.
“Tu farai la persona seria, voglio sperare.”
commentò, scoccandogli un’occhiata attenta. Il ragazzo accennò a un sorrisetto.
“Niente risse, niente cose folli.” dichiarò. “Se ho bevuto troppo, torno a casa a piedi. Tranquilla, mi
comporterò bene. Ho Ricki da tenere d’occhio…”
“Sì, non vogliamo che Ricki diventi come l’ubriacone
che vive nel vialetto di fronte a casa sua…”aggiunse in quel momento Matt, rivolgendo al figlio
un sorriso divertito. Vicki fece una smorfia.
“Quel poveretto mi mette sempre una tristezza
incredibile addosso, quando lo vedo. È ubriaco dalla mattina alla sera. Non fa
altro che rovistare tra i sacchi di immondizia e far
rimbalzare barattoli di pelati come se fossero palloni da calcio. Un momento…” sgranò gli occhi con fare
teatrale. “…in pratica è una versione più
anziana di Ricki. Anche se – almeno spero - Ricki non rovista fra i bidoni
della spazzatura. Oddio, e se fosse un Ricki venuto dal futuro? Jeff, devi fare
attenzione! Non farlo ubriacare troppo o prima o poi
diventerà un vagabondo rovista-rifiuti!”
Stava scherzando, ma aveva un’espressione talmente
seria, che il fratello prese a osservarla con aria interdetta.
Matt si mise a ridere.
“Va bene, ha superato la sua soglia giornaliera di
normalità.” commentò poi, accarezzando i capelli della figlia. “Adesso
attaccherà con i discorsi folli.”
“No, la smetto subito, perché devo andare a
prepararmi.” commentò infine la ragazza, dopo aver scoccato un bacio sulla
guancia al padre. “Ho le prove con la squadra e poi passo da ‘tumn.”
“Quindi non vieni davvero
alla festa?” domandò ancora Jeffrey, passandosi una mano sotto il mento con
aria divertita. “Guarda che il barista dell’altra volta ha chiesto di nuovo di
te, quando sono passato a prenotare.”
Vicki si mordicchiò un labbro con aria compiaciuta.
“Quello carino?” domandò con un sorriso malandrino.
“Interessante, uh uh. Ma non importa. Ho promesso e quindi niente Grill. Vado su a prepararmi!” comunicò infine, abbandonando la cucina.
Jeffrey si alzò a sua volta.
“Vado anch’io.
Devo ancora sistemare la valigia.” spiegò, seguendo la
sorella. “…e comunque state tranquilli.”
aggiunse poi, indirizzando alla madre un sorrisetto divertito.“Farò la persona seria e controllerò Ricki: non
vogliamo mica che diventi come l’ubriacone del futuro….”
scherzò, prima di raggiungere le scale, il libro di scuola sotto il braccio.
Anche Elena sorrise.
“Eh, le cose che si fanno per un migliore amico…” commentò Matt, quando ci furono solo più loro due
in cucina. La moglie annuì, estendendo il suo sorriso. “È bello avere dei
legami così forti,da ragazzi.” aggiunse l’uomo.
“Lo sai?
Un tempo anche io, avevo un migliore amico.” annunciò
a quel punto Elena, rivolgendogli un’occhiata maliziosa. Matt si finse
incuriosito.
“Ah sì?
E che tipo era?” domandò, prendendo posto sulla sedia
che il figlio aveva lasciato vuota.
“Beh…” Elena fece mente
locale, sedendosi a sua volta. “Somigliava a te. Forse anche
un po’ a Jeffrey.” aggiunse sorridendogli con dolcezza.
“E adesso?” chiese ancora il marito, rivolgendole
un’occhiata divertita. “Siete ancora migliori amici?”
Elena gli sorrise con aria
furba.
“Non saprei.” osservò. “Sei ancora il mio migliore
amico, Matt?”
L’uomo sorrise a sua volta,
rivolgendole un’occhiata divertita.
“Uhm…” finse di fare mente
locale, passandosi una mano sotto il mento. Elena afferrò alla svelta l’asciuga piatti dal tavolo e colpì il marito sul braccio.
“Non ci provare nemmeno a pensarci su!” lo ammonì. Il marito la attirò a sé per baciarla, ignorando la
sua espressione offesa.
“Ma certo che lo sono
ancora.” commentò infine sorridendole, prima di lasciarla andare. “Resto pur
sempre quel tizio che somigliava un po’ a me, un po’ a Jeff, no? Quello che
conosci fin da quando eri bambina.”
“Bene...” commentò la
donna , alzandosi dalla sedia. “Allora, da bravo migliore amico…
mi aiuti a dare una sistemata in cucina?” domandò recuperando la scopa, e
passandola al marito. “Ho ancora parecchi compiti da correggere e diverse cose
da fare, quindi non mi dispiacerebbe per niente una mano.”
Matt sgranò gli occhi con aria incredula.
“Ma senti un po’ questa…”
commentò mentre, ridendo, la moglie recuperava la bacinella dal tavolo.
La osservò allontanarsi, scuotendo il capo con un accenno di sorriso, “…eccola, dov’era la fregatura.” obiettò infine, lasciandosi
poi sfuggire un sospiro.
***
Lo sceriffo Fell scoccò un’occhiata allo specchietto
retrovisore dell’auto e annuì fra sé e sé; con la coda dell’occhio, individuò
il giovane Richard allontanarsi dalla tenuta dei Lockwood in compagnia del
figlio dei Donovan. Attese ancora mezz'ora, con
pazienza, facendo roteare di tanto in tanto il mazzo di chiavi che teneva in
mano. Una di quelle, avrebbe aperto la porta sul retro
della villa dei Lockwood. Non aveva idea di come Leanne fosse riuscita ad ottenerla, ma se non altro, non più era la sola ad avere
dei segreti: né lei, né Lester sapevano che quella sera, Fell avrebbe cercato
di recuperare il congegno.
Entrambi avevano sostenuto che sarebbe stato meglio
attendere, sfruttando una delle tante feste della cittadina che si tenevano
nella tenuta dei Lockwood, in maniera da poter girovagare indisturbati per le
varie stanze.
Fell, però, non era certo conosciuto per la sua
pazienza, all’interno del Consiglio. Sapeva mantenere la calma per ore in
determinate situazioni, ma in altre preferiva rischiare, pur di agire in
fretta. Se c’era un modo rapido per ottenere certe informazioni, quello sarebbe
stato il sistema che avrebbe scelto. Aveva trascorso gli ultimi giorni cercando
di carpire più informazioni possibili sul congegno, grazie all’aiuto di Lester.
Adesso sapeva che l’oggetto aveva una chiave di innescamento,
che il suo effetto non si sarebbe protratto per più di una manciata di minuti
al massimo e che non c’era la certezza che avrebbe funzionato una seconda
volta. Stando a ciò che aveva annotato Jonathan Gilbert sul suo diario, il
congegno si poteva utilizzare una volta sola, ma Lester era scettico a
riguardo. E Fell con lui: perché costruire un’arma così complessa, se può venire utilizzata solo per compiere un unico tentativo?
Quaranta minuti dopo il suo arrivo nel viale dei Lockwood,
Fell stava ancora aspettando. Sapeva che quella sera i due coniugi Lockwood non
sarebbero stati in casa per via di una cena di lavoro del
marito. I figli, invece, avevano organizzato una festa di arrivederci per il
maggiore dei tre ragazzi. La casa sarebbe dunque stata vuota per tutta la sera.
Lo sceriffo tamburellò le dita della mano libera sul cruscotto della macchina,
quando individuò anche il più piccolo dei fratelli Lockwood, Mason, abbandonare
la tenuta in compagnia dei due genitori: ancora una manciata
di minuti, e avrebbe avuto campo libero.
***
Julian infilò alla svelta la camicia da lavoro nello
zaino e lo gettò sul letto. Si chinò, per recuperare dal cassetto del comodino
un quaderno e lo aprì, sistemandosi sul pavimento. Passò in rassegna con lo
sguardo passaggi di appunti trascritti nella sua calligrafia disordinata, ma
non trovò quello che stava cercando. Sfogliò ancora un paio di pagine, prima di
sbuffare, richiudendo il quaderno con uno scatto secco: prima di trasferirsi a
Richmond aveva cercato di recuperare il maggior numero di formule possibili dal
grimorio di sua madre, ricopiandole tra quelle
pagine. Quella che stava cercando, tuttavia, non si trovava fra gli appunti.
Ricordava di aver letto in passato qualcosa a proposito del riconoscimento fra
streghe e stregoni. Da qualche parte, nel grimorio,
doveva esserci un incantesimo che avrebbe potuto suggerirgli qualcosa di più a
proposito di Ringle; evidentemente, alla sua partenza, non gli era sembrato
sufficientemente utile da doverne prendere nota, e l’aveva scartato. L’idea che
il professore potesse essere uno stregone come lui, era diventata il suo ultimo
chiodo fisso. Pensare che nella sua scuola potesse esserci qualcun altro come
lui lo incuriosiva e agitava al tempo stesso. Il modo in cui Ringle l’aveva
osservato dopo l’incidente dell’allarme anti-incendio non gli era piaciuto per
niente, eppure era attratto dal pensiero che qualcun altro potesse essere
diverso; diverso come lui. Qualcun altro al di fuori
di sua madre, ovviamente.
Sospirando, Julian ripose il quaderno al suo posto e
si lasciò cadere sul letto, sfruttando i dieci minuti scarsi che precedevano l’inizio del suo turno di lavoro. Pensò di nuovo a sua
sorella, e alla conversazione avuta con Vicki il giorno precedente. Era ancora
stranito al pensiero che Autumn potesse essere una strega: in tutti quegli
anni, si era sempre dimostrata scettica e razionale, rifiutandosi
categoricamente di abbracciare tutto ciò che si potesse catalogare come
insolito o inspiegabile. Julian invece no; per anni, non aveva fatto altro che
cercare di osservare il mondo al contrario, sperando di trovarci dentro
qualcosa che lo rendesse diverso ai suoi occhi: diverso
come lui.
Il ragazzo chiuse gli occhi pigramente, per poi riaprirli
un minuto dopo, al ronzio insistente della sveglia. Lo attendeva un turno di
sei ore al pub e successivamente la conferenza skype con Autumn e Vicki; a Julian piaceva cogliere
l’aspetto insolito delle cose e se anche Ringle ne possedeva uno, come aveva
supposto, allora l’avrebbe scovato. Sua sorella Autumn, forse, sarebbe stata in
grado di aiutarlo.
***
And wecouldlaughaswebothpretendthatwe're not in love and thatwe're just goodfriends.
Don’teverletit end.Nickelback
“Lascia andare quelle spazzola, non fare fesserie!”
Caroline strillò all’amico, pattinando verso la
cucina. Xander la ignorò.
“No, secondo me possiamo usarla come puck. Proviamoci!” propose adagiandola a terra e smuovendola
delicatamente con il manico della mazza da hockey. Caroline glielo sfilò di
mano.
“Ma proprio con la mia spazzola?
Usa la roba tua, lascia stare la mia!” lo intimò raccogliendo l’oggetto ed allontanandolo dalla sua portata. Il ragazzo cercò di
riappropriarsene.
“Senti, sei tu quella che
ha dimenticato il puck a casa. E quindi usiamo la tua
spazzola.” obiettò, afferrandola per i fianchi e attirandola a sé; Caroline
sostenne l’oggetto conteso verso l’alto, allontanandolo dalla sua presa.
“Uh, uh, io sono più
grande, si fa quello che dico io.” obiettò, incespicando con i pattini, nel
tentativo di arretrare. Xander la sorresse, ridacchiando.
“Sai che roba, ci passiamo
tre giorni. E comunque io sono più alto, quindi decido io. Dammi
questa spazzola, bionda.” ordinò, trattenendola per i polsi. Approfittò
della vicinanza a Caroline per incominciare punzecchiarle i fianchi con le
dita.La ragazza si dimenò tra le sue braccia.
“No, il solletico no, non è leale!” si lamentò la
ragazza, fra le risa. “Oh, e va bene mi arrendo!”esclamò
infine buttando a terra la spazzola. “Prenditela pure!”
“Uomo in mare!” annunciò a quel punto Xander
lasciando andare la ragazza e indicando l’oggetto sul pavimento. “Niente paura,
lo salvo io!”
Caroline rise, mentre l’amico si fiondava a terra
per recuperare la spazzola.
“Tu non stai bene!” dichiarò schiettamente,
inginocchiandosi sul pavimento di fianco a lui. “Pazzoide!” aggiunse,
mentre il ragazzo le sventolava la spazzola sotto il naso.
“Ho vinto io!” dichiarò il giovane, con aria
orgogliosa. “Uno a zero per Xander il pazzoide, palla in centro. Va beh, spazzola in centro.”
“Ma lo sai che sei proprio cretino?” commentò la
ragazza, dandogli una spinta per fargli perdere
l’equilibrio. Xander, che era accovacciato a terra, cadde di sedere sul
pavimento.
“Ahi! Bionda malefica!” si lamentò
lui mettendole il broncio, mentre Caroline rideva di gusto. “Ma guarda che non è poi così male, essere scemi.” aggiunse
poi, intrecciando le dita dietro la nuca e distendendosi sul pavimento. “Se
serve a vincere le dispute contro le nanette antipatiche
come te…”
Caroline sgranò gli occhi.
“Cos’è, adesso adotti la filosofia di tua cugina?”
chiese, stendendosi di fianco a lui. L’amico diede una scrollata di spalle.
“Vic non ha tutti i torti.” commentò mollando un
calcetto a uno dei pattini di Caroline. La ragazza ricambiò con un sorriso.
“Ogni tanto a tutti capita di fare cose stupide, quindi perché triturarsi il
cervello e cercare di nasconderlo?”
Caroline gli rivolse un’occhiata impensierita e non
disse nulla. Avvertì le parole del ragazzo ronzarle per la testa in maniera
fastidiosa, come se per un attimo si fosse sentita presa in causa. Senza
riuscire a comprenderne il motivo, Caroline si sentì a disagio per la seconda
volta in pochi giorni, sfiorando con tenerezza la guancia del suo migliore
amico.
“Già.” commentò scrutandolo con aria pensierosa.
“Perché nasconderlo?”
Xander aggrottò le sopracciglia e si sollevò sui
gomiti.
“Uh, ok…” commentò,
tirandole una ciocca di capelli con delicatezza. “…la
bionda ha qualcosa che non va.”
Caroline sbuffò, mettendosi a sedere.
“Che cosa c’è?” domandò ancora il ragazzo,
diminuendo l’aria scherzosa nel suo sguardo. La ragazza sbuffò di nuovo.
“Oh, ma niente!” sbottò poi, allungandosi per
recuperare la spazzola ai suoi piedi. In fondo, nemmeno lei aveva ben chiaro a
cosa fossero dovuti quei buffi cambiamenti di
atteggiamento. Xander fece una smorfia. Calciò pigramente la spazzola
dall’altra parte della stanza, allontanandola così dalla presa della giovane.
Caroline gli diede all’istante uno scappellotto sul braccio.
“Ma smettila!” la rimbeccò
in quel momento il ragazzo alzandosi a sedere a sua volta. “‘Niente’ per
voi donne, significa ‘tutto’.”
Caroline incrociò le braccia sul petto con aria
cocciuta.
“Ma io non sono come le
altre donne, no?” obiettò, annuendo decisa. “Sono la tua migliore amica.”
Xander analizzò le sue parole con aria poco
convinta.
“Sì, beh, sei una donnina speciale, ma resti pur
sempre una donnina.” commentò, improvvisando un’aria solenne. “E le femmine sono difficili da capire. Io
invece sono comprensibilissimo!” annunciò, allargando le braccia con fare
canzonatorio. Caroline roteò gli occhi.
“Come no.” borbottò ironicamente, mettendosi poi a
gattonare fino a raggiungere la spazzola. Xander si accigliò.
“Ma è vero!” esclamò a quel
punto, passandosi una mano sullo stomaco. “Vedi, se faccio così, è perché
voglio essere nutrito!” spiegò, sorridendo con aria furbetta. “I biscotti
sarebbero l’ideale, ma in linea di massima accetto più o meno
qualsiasi cosa.”
“Sei un animale, praticamente.”
commentò la ragazza. Xander ridacchiò.
“Se la vuoi vedere in quest’ottica. Se faccio così, però…” aggiunse
incominciando a percuotere i palmi delle mani sul pavimento. “È perché
c’è bisogno di fare un po’ di baccano.”
“E facciamo baccano, allora!” esclamò a quel punto
la ragazza, lanciandogli la spazzola addosso. Lo mancò di qualche manciata di
centimetri, e il ragazzo ne approfittò per sfoggiare un sorrisetto di trionfo.
“Ah ah, mancato!
Sei proprio una donnetta…”
commentò, recuperando l’oggetto e passandoselo da una mano all’altra.
Caroline gli scoccò un’occhiata minacciosa.
“Te la faccio vedere io, la donnetta…”
commentò dandosi la spinta con il muro, per poi
lanciarsi in direzione del ragazzo. Xander la indicò con la spazzola.
Lo scontro fece perdere a entrambi l’equilibrio e i
due amici si trovarono nuovamente a terra, abbacchiati e doloranti.
“Ma sei fuori?” esclamò
subito Alexander massaggiandosi la schiena. Spinse via i pattini della ragazza
che nella caduta erano riusciti ad incastrarsi con i
suoi, e scosse il capo con aria incredula. “E poi sarei io il pazzoide fra i
due?” domandò.
Caroline non rispose; aveva incominciato a
ridere prima ancora di andargli addosso, e non accennava a voler smettere.
“Ma che combini?” la
rimbeccò il ragazzo, pur non riuscendo a trattenere un sorrisetto. Caroline si
alzò sui gomiti e continuò a ridere, finendo per contagiare anche l’amico. “Sei
pazza!” commentò infine il ragazzo, dandole un colpetto sulla fronte con la
mano. Caroline bloccò quel gesto, intrecciando le dita del ragazzo con le sue,
e gli sorrise.
“Sei pazza, e scorbutica.
E sei una rompipalle…” aggiunse
ancora il ragazzo, approfittando delle dita intrecciate per attirarla a
sé.
“Uhm….” Caroline estese il
suo sorriso, avvertendo la lontananza tra i due corpi dimezzarsi. Con le dita
della mano libera, prese ad intarsiare ghirigori
immaginari sulla sua maglietta.
“Dai!
Mi fai il solletico!” si lamentò immediatamente il ragazzo,
afferrandole anche l’altra mano. “Sta’ buona.”
aggiunse, ridacchiando.
“Sono pazza, scorbutica,
rompipalle e poi?” domandò a quel punto Caroline, rivolgendogli un’occhiata
maliziosa. Xander slacciò le mani da quelle dell’amica e intrecciò le dita
dietro la nuca. Diede una scrollata di spalle.
“E poi niente, sei così e basta.” commentò
tranquillamente, facendo sbatacchiare i suoi due pattini l’uno contro l’altro.
“Antipatica.” aggiunse poi in tono di voce infantile, rivolgendole un’occhiata
divertita. Caroline lo fulminò con lo sguardo; l’espressione offesa, tuttavia,
lasciò subito posto a un cipiglio di sfida.
“E va bene, ma poi non dire che non te la sei
cercata, Xander bello.” annunciò con aria seria, allungandosi su di lui. Lo
osservò a lungo, accennando a un sorrisetto, quando si accorse che stava
arrossendo, prima di affondargli una mano fra i capelli, per tirare con forza.
“Ahi!” si lamentò il ragazzo afferrandola per i
polsi, cercando di scrollarsela di dosso. “Fermati, fermati
subito, guarda che fai male!”
“Pazza, scorbutica, rompipalle e…?”
insistette lei, estendendo il suo sorriso, la mano ancora a stringere un ciuffo
di capelli del ragazzo. Xander sbuffò, cercando di sfuggire alla sua presa.
“…enanetta!”
aggiunse ridacchiando, quando sentì che la presa della ragazza sulla sua cresta
si allentava. Caroline avvicinò ulteriormente il volto a quello del ragazzo,
sorridendogli con aria maliziosa.
“Non basta.” obiettò, tornando a passargli una mano
fra i capelli. Xander non trovò nemmeno il tempo di preoccuparsi per il fatto che probabilmente glieli avrebbe tirati una
seconda volta; era troppo impegnato a cercare di comprendere che cosa stesse
succedendo in quel momento o, ancora meglio, che cosa ci facesse il naso della
sua migliore amica a un soffio di distanza dal suo. Era troppo impegnato a
cercare di spiegarsi come avesse fatto a non notare prima la mano
di lei appoggiata sul suo petto, e la sensazione di disagio che stava
provando. Una sensazione che non aveva mai avvertito prima di quel momento,
quando lei lo toccava. Quando lo cercava, si stringeva a lui. Ma quella mano appoggiata sul suo petto lo sfiorava in modo
diverso quel pomeriggio. E il luccichio insolito che aveva individuato nello
sguardo della sua migliore amica era qualcosa di estraneo, per lui. Proprio
come quel rossore che aveva fatto capolino sulle sue guance e la sensazione di
confusione che dettava legge nella sua testa, impedendogli di pensare
lucidamente. Impedendogli di muoversi. E anche per questo rimase immobile,
quando il filo di distanza fra i due volti, si eliminò improvvisamente.
I dubbi che nell’ultimo periodo avevano preso a
punzecchiare Caroline di continuo si frantumarono all’istante, nel momento in
cui le sue labbra incontrarono quelle del ragazzo. I malumori improvvisi, le
incertezze, il disagio, sfumarono in fretta, lasciando posto a una vaga
sensazione di appagamento, alimentata da punte di trionfo. Solo in quel
momento, si accorse di quanto a lungo l’avesse stuzzicata il desiderio di un
contatto simile. In quel momento, capì che le sue mani da
tempo tentavano di raggiungere lui più a fondo, accarezzandolo nel modo
in cui stava facendo in quel momento. Senza imbarazzo, senza pentirsene. Ma non aveva mai osato esporsi troppo; perché era sbagliato,
in fondo. Perché Xander era un amico, il migliore amico.
Poteva dormirgli accanto tutte le volte che voleva, ma
non poteva infilare una mano fra i suoi capelli senza pretendere di volerlo
fare solo per infastidirlo. Poteva prenderlo a scappellotti, ma non gli era
consentito sfiorarlo con quella delicatezza particolare che forse, in fondo,
aveva sempre desiderato concedergli. Potevano ridere e parlare per ore, eppure
a volte lei avrebbe solo voluto osservarlo a lungo e sorridergli, senza dover
avere per forza un pretesto che la portasse a reagire così.
Xander era il suo migliore amico; la persona che
aveva sempre avuto accanto: sempre e solo accanto. Ma
in quel momento, riconoscendo con un brivido le proprie dita insinuarsi sotto
la maglietta del ragazzo, intuì che forse quel tipo di legame non era più
abbastanza per lei.
Caroline faticò a far sbiadire quel momento,
avvertendo l’imbarazzo tornare a fare capolino, quando lei e Xander si separarono.
Il ragazzo arrossì violentemente, distogliendo lo sguardo da quello dall’amica,
in parte ancorai appoggiata su di lui.
“…scusa, e adesso, perché
mi hai baciato?” domandò infine, mentre Caroline si tirava indietro a sedere,
rossa in viso. Il suo sguardo si sperse per qualche istante, come disorientato,
ma quasi subito tornò su Xander. Gli rivolse un’occhiata decisa.
“Io?”esclamò a quel
punto, infilandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio. Fu tuttavia
costretta a distogliere nuovamente lo sguardo, quando incrociò quello del
ragazzo, sentendosi avvampare una seconda volta. “L’abbiamo fatto assieme, non
incominciare a dare la colpa a me.” concluse.
Xander scosse il capo con aria decisa.
“No, senti, io non ho fatto niente, ero immobile… sei tu che ti sei allungata per baciarmi, io non
ho fatto…”
“Oh, sul serio?” sbottò a quel punto Caroline,
alterando il tono di voce. “Adesso dobbiamo metterci
addirittura a discutere su chi ha baciato chi? Ma che
diavolo c’è che non va in te?”
Xander aprì la bocca per ribattere, ma non ne uscì fuori alcun suono. Scosse il capo con aria incredula e
infine si convinse a scoccare un’occhiata rapida in direzione della ragazza,
che però stava guardando altrove.
Caroline era livida di rabbia; di rado a lui era
capitato di vederla così agitata per qualcosa, specialmente se quel qualcosa
aveva a che fare con lui. D’istinto avvertì l’impulso di abbracciarla, ma si
sentiva ancora piuttosto impacciato nei confronti di ciò che era appena
successo fra di loro. Quel bacio era stato troppo
ingombrante, per permettergli di raggiungerla. Pensò che probabilmente, la
rabbia di Caroline, dipendesse da quello. Forse si sentiva in imbarazzo. Forse
aveva semplicemente paura.
“Senti, facciamo così…”
propose a quel punto, sforzandosi di apparire tranquillo. “In fondo, non è
successo nulla di così… grave, insomma, possiamo
lasciarcelo alle spalle tranquillamente.” proseguì, convincendosi finalmente ad
andare da lei, infilandosi le mani in tasca. “Ce ne
dimentichiamo e non ne parliamo più. Va bene, così?”
propose, allungando una mano per afferrare quella della ragazza.
Caroline gli rivolse un’occhiata furiosa, prima di
interrompere bruscamente quel contatto. Gli stava proponendo di seppellire
tutto, di ignorare il problema invece che affrontarlo, come avrebbe fatto un
bambino.
“No, Xander!” esclamò infine, sostenendo il suo
sguardo con aria furente. Xander le rivolse un’occhiata confusa, incupito
dall’atteggiamento brusco dell’amica. “Non va bene così.” concluse la ragazza
in tono di voce ancora alto, prima di pattinare fuori dalla cucina.
“Caroline…”
Xander cercò di starle dietro, ma per quella volta
la ragazza fu più veloce. Entrò nella camera dei ragazzi e si chiuse la porta
alle spalle. Alexander la raggiunse appena in tempo per sentire girare la
chiave nella toppa.
“Eh, va beh, esagerata.” commentò con una smorfia,
prima di lasciarsi cadere lentamente ai piedi della porta, distendendo le gambe
di fronte a lui. “Guarda che non ti mangio mica, eh!”
“Vai via e non rompere!” fu il commento spiccio di
Caroline.
Il ragazzo sbuffò, facendo ciondolare il capo più
volte, prima di riavviarsi il crestino con le mani. Per un istante lo colse un
brivido, nel rievocare il tocco della mano di Caroline fra i suoi capelli e si
sorprese ad arrossire.
“Io l’ho detto e lo ripeto: voi donne siete tutte impossibili da capire.” commentò infine, lasciando
ricadere il capo all’indietro e appoggiano la nuca contro la porta. “Senti,
come al solito non so cosa ho fatto, né perché tu ce
l’abbia con me, però ti chiedo scusa lo stesso. Adesso mi
apri?”
Attese ancora un paio di minuti, prima di
incominciare a perdere la pazienza.
“Caroline, apri questa porta, dai!” esclamò
prendendo a battere le nocche contro il legno. “Per favore! Guarda che la
merenda ce l’ho lì, lo sai che dopo qualche ora io ho
bisogno del mio spuntino o ci sto male!” aggiunse, sperando di riuscire almeno
a strapparle un sorriso: in occasioni normali, ci sarebbe riuscito. Ma quel pomeriggio al lago si stava dimostrando tutto,
fuorché ordinario.
“E va bene.” borbottò infine, alzandosi in piedi di
malavoglia. “Me ne vado di là, quando ti è passata, sei la benvenuta.”
Raggiunse in fretta la camera dei suoi genitori e si
lasciò cadere sul letto. Si sentiva stravolto; confuso e stravolto. In meno di
mezz’ora, la sua migliore amica gli aveva tirato i capelli, l’aveva baciato e
poi gli aveva urlato qualcosa contro per poi sbattergli la porta in faccia e
non rivolgergli più la parola.
Non sapeva cosa pensare; non voleva pensare. Perché se solo per un istante cedeva a quel
bisogno, tutto ciò che riusciva ad evocare era il
tocco della mano di Caroline che si insinuava sotto la sua maglietta. Ed arrossiva. Arrossiva, perché la sensazione di disagio che
aveva provato inizialmente era svanita quasi subito, lasciando posto a qualcosa
di terribilmente simile all’appagamento.
Xander sbuffò, passandosi le mani sulle guance
bollenti e abbandonò poi le braccia sul letto, ritirandone indietro una subito
dopo: la sua mano aveva colpito qualcosa di spigoloso. Si ricordò solo in quel
momento del vecchio diario trovato ormai diverse ore prima nell’insolito
sgabuzzino di quella stanza.
“Va beh.” mormorò infine a mezza voce, attirando
pigramente il volumetto a sé ed aprendolo alla prima
pagina. “Tanto non è che ci sia poi molto di più da fare…”
E, sforzandosi di ignorare il ricordo
dell’ultima ora trascorsa in compagnia della sua migliore amica, il ragazzo
incominciò a leggere.
***
Victoria si sistemò le chiavi di casa nella borsetta
e scoccò un’occhiata frettolosa al cellulare: lei e Autumn si erano date appuntamento alle otto ed erano solo le sette e mezza.
Decise di prendersela con comoda, avviandosi in direzione della villa dei
Lockwood, per passare dal vialetto che proseguiva sul retro della tenuta, fino
alla zona in cui viveva l’amica. Era un tragitto che lei e Jeff avevano
percorso spesso da bambini, entusiasti di quel modo alternativo che avevano
scoperto per raggiungere le abitazioni dei propri amici. Scavalcò il muretto
che affiancava la recinzione della casa e atterrò nella stradina secondaria,
scostandosi poi una ciocca di capelli dalla fronte. Si accorse solo in quel
momento di una figura in impermeabile che si stava allontanando barcollando in
direzione del marciapiede. Riconobbe immediatamente l’anziano ubriaco su cui
aveva scherzato quel pomeriggio assieme alla sua famiglia. Sperando in silenzio
che l’uomo non si stesse recando a rovistare nell’ennesimo cassonetto – se non
proprio a dormirci – Vicki proseguì nella direzione opposta alla sua,
attraversando la stradina che costeggiava il retro di casa Lockwood. Si fermò
quando ormai era prossima a lasciarsi alle spalle la tenuta, incuriosita dalla
vettura che riconobbe al margine del vicolo: era la macchina dello sceriffo Forbes.
Vicki aggrottò le sopracciglia con aria perplessa,
esaminando l’auto con lo sguardo. Le parve insolito, il fatto che la
macchina si trovasse in un vialetto secondario sul retro. Ancora più strano, le
parve il fatto che Fell avesse parcheggiato così
vicino alla tenuta dei Lockwood. Di certo, non era lì per una visita, poiché
tutti i membri della famiglia si trovavano fuori casa,
quella sera: i ragazzi al Grill, i genitori a una cena di lavoro del padre. La
diffidenza fece strada a un barlume di sospetto,
quando Vicki ripensò allo scambio di battute avuto con Ricki, il giorno che il
ragazzo era tornato a Mystic Falls. Ricordò la sua apprensione nei confronti
dello stesso Fell e il fatto che le avesse chiesto se l’uomo si fosse fatto
vivo spesso da quelle parti nell’ultimo periodo.
Vicki prese a mordicchiarsi un labbro con aria
pensierosa. Fece mente locale ancora per qualche minuto, ma non riuscì a
ipotizzare nulla che potesse suggerirle che cosa stesse succedendo tra i
Lockwood e lo sceriffo. Istintivamente pensò a Mase e al suo atteggiamento un
po’ attaccabrighe che stava tenendo nell’ultimo periodo. Che avesse combinato
qualcosa di davvero grosso? Circostanze simili avrebbero dato un senso all’apprensione di Ricki nei confronti dello sceriffo.
Sospirando, Vicki controllò nuovamente l’ora: aveva ancora una ventina di
minuti a sua disposizione, prima dell’appuntamento con Autumn. La curiosità e
il sospetto la convinsero a sbirciare oltre la recinzione, dentro il giardino
dei Lockwood, ma non le parve di notare nulla di strano. Infine, incrociò le
braccia al petto e si appoggiò al muro, soffiando per sfilarsi via un ciuffo di
capelli dagli occhi.
Vicki era sempre stata dell’idea che il suo nome,
Victoria, riassumesse alla perfezione ciò che avrebbe dovuto ottenere ogni
volta che si metteva in testa una cosa. La questione fra Fell e i Lockwood non
era un’eccezione. A costo di dover attendere per tutto il tempo che aveva
ancora a sua disposizione, avrebbe scoperto che cosa stava succedendo.
Angolo annunci.
Gnaaa
per un soffio ve lo stavate evitando, poi ieri mi è venuta la brillante idea di
pubblicare una robetta e ancora non sapevo che oggi avrei pubblicato il
capitolo. Elenco sempre gli spin off extra pure qui
oltre che in pagina, perché non so mai se arrivino ai lettori silenziosi,
quindi persicurezza li segnalo di qua e di là
XD
Allora, annuncio namberuan: ho pubblicato una piccolissim(issim)a flash fiction senza pretese su Vicki
e Ricki (:D) e la potete trovare QUI.
Annuncio namberciu: QUI
trovate la playlist di History Repeating con tutte le
canzoncine che ci sono già state e quelle che probabilmente ci saranno ^^
Polpettone time!!:D
No,dai, questa volta sarò
breve, visto che questa è solo la prima metà capitolo. La maggior parte delle
cose che devo dire comparirà nella parte numbertwo, quindi in sostanza questo primo pezzo risulta ancor più di transizione che il precedente, ad
eccezione di una cosa, *drumroll*,
il fatidico bacetto di quei due zoticoni di X. e C. Di norma non mi piace
affrettare i tempi della storia, e anche se adesso si sono baciati, ne avranno
ancora di stradina da fare, prima di stare vicini vicini come nei video di paperissima
u__ù Questo perché Xander è un adorabile cretino per via di una lunga
serie di fattori che non sto elencarvi, ma comunque ovviamente tra i due non è
finita qui. Nel prossimo capitolo li troveremo ancora. La canzone che ho citato
prima del loro pezzo è davvero stupenda ed è azzeccatissima
per loro due <3 La riutilizzerò quasi di sicuro. Che altro aggiungere? La
piccola scena Matt/Elena voleva essere un velato parallelismo allo
Xander/Caroline, visto che entrambi sono stati
migliori amici in passato, e via dicendo. Vicki è fuori di melone come suo
solito, sono davvero contenta che a molti di voi piaccia, ci vuole un po’ di
stupidità ogni tanto (va beh, qui ce n’è un po’ troppa, lo so, ma passatemelo,
suvvia!), ma nell’ultimo paragrafo mi pare che si sia munita di tuta da
supereroina, quindi vedremo un po’ cosa succederà. Nella seconda parte ci
sposteremo alla festa di arrivederci di Jeff e Ricki, ritroveremo il fessacchiotto
(Mase), la scetticona (Autumn), il
caro Casper (Oliver) e ovviamente non può mancare Caroline Forbes! Dai,
per una volta chiudo qui. Spero tanto che questa prima parte di capitolo vi
piaccia, e spero che il momentuccio Xanderine sia
reso abbastanza bene, non sono molto brava in questo genere di cose ç__ç Se non
vi piace prendetevela con la mia bella beta :D *spuccia la Mary*
Come al solito per domande,curiosità, informazioni
sui pargoli, e via dicendo, ci trovate QUI. (sì, ormai
parlo al plurale, perché quei nove sono sempre un po’ ovunque a rompere le
scatole)
Un abbraccionegrande grande a tutti!
Laura
P.S. Sia mai che non mi dimentichi qualcosa! Visto
che Elena io ce la vedo solo a fare l’insegnante, l’ho fatta diventare maestra
elementare per differenziarmi un po’ dal futureverse
di Fiery a cui mi sono ispirata in cui Elena è insegnante
di lettere al liceo!
La Terra è grande, talmente grande che ti illudi di
poter sfuggire a tutto.
Al destino, a Dio. Basta trovare un buon
nascondiglio e inizi a correre verso i confini del mondo, dove siamo nuovamente
al sicuro, al caldo e in silenzio.
Il conforto dell'aria salmastra, il pericolo dietro
le spalle, il privilegio del lutto e, forse, per un momento, pensi di essere
riuscito a fuggire.
da Heroes, episodio 1x08.
“Come
vai a casa?”
Chiese
Oliver, occupando lo sgabello libero di fianco a Mason. Il Grill, quella sera,
sembrava particolarmente affollato, probabilmente per la presenza degli
invitati alla festa, oltre ai soliti clienti abituali. Mason appoggiò il
bicchiere sul bancone e si rivolse all’amico.
“Viene a
prendermi mio padre.” spiegò, accennando poi a un sorrisetto. “Ha promesso che
mi lascia guidare un po’. Sarebbe la prima volta dopo settimane, visto che
quando non sono a scuola ha praticamente sempre da fare. Vuoi un passaggio?”
aggiunse poi.
Oliver
non rispose; aggrottò pensieroso le sopracciglia, focalizzando la sua
attenzione verso qualcosa alle spalle dell’amico. Anna lo osservava con aria di
rimprovero, poco distante dai tavoli da biliardo. Mason rivolse all’amico
un’occhiata perplessa.
“Che
stai guardando?” domandò, voltandosi a sua volta. In quel momento la ragazza
scosse il capo nella sua direzione e Oliver si decise finalmente a distogliere
lo sguardo da lei.
“Grazie
per il passaggio, ma credo che mi farò una passeggiata.” rispose infine
all’amico, scivolando giù dallo sgabello. “Scusa un attimo, torno subito.”
aggiunse, staccandosi dal bancone.
Mason
aggrottò le sopracciglia un po’ interdetto, osservandolo allontanarsi. I suoi
lineamenti, tuttavia, tornarono a rilassarsi quasi subito: era abituato alle stranezze
di Oliver. Fece fare il giro allo sgabello, voltandosi per darsi un’occhiata
attorno. Riconobbe un paio di compagni di scuola ai tavoli da bigliardo e fece
un cenno nella loro direzione. Sorrise, quando si accorse che dall’altro lato
del salone Ricki aveva preso a indicargli una ragazza piuttosto carina che
aveva appena fatto ingresso nel locale. Scosse poi il capo con aria divertita,
appoggiando il gomito al bancone. Quel sorriso svanì immediatamente, quando il
ragazzo notò la persona che gli stava venendo incontro.
“Tu,
stai alla larga da me.” borbottò recuperando all’istante il solito cipiglio
scontroso. Autumn roteò gli occhi, spostando poi lo sguardo oltre il bancone.
“Non puoi immaginare in che casino mi sia cacciato per colpa di quella cazzo di
lattina.” continuò Mase.
“Fidati,
potrei dire la stessa cosa.” si limitò a ribattere la ragazza, rivolgendogli
poi un’occhiata di traverso. “Cercavo Vicki, l’hai vista?” aggiunse poi.
Mase
diede una scrollata di spalle, riprendendo a guardarsi intorno.
“Per
quanto ne so io, lei non viene sta sera.” obiettò, prima di aggrottare le
sopracciglia, notando la ragazza che stava chiacchierando in quel momento con
Ricki.
“Infatti
non avrebbe dovuto esserci, ma da me non è passata e come al solito avrà il
cellulare scarico, perché non riesco a chiamarla. Pensavo che avesse cambiato
idea e che avrei potuto trovarla qui…” proseguì la ragazza, tamburellando con
nervosismo le dita sul bancone. Mason fece una smorfia, continuando a osservare
la giovane che stava parlando con suo fratello: era di nuovo quella bionda, la
conoscente dei suoi genitori.
“Fatti
tuoi.” buttò lì, tornando ad appoggiare il gomito al bancone. Autumn lo guardò
storto, ma la sua espressione cambiò, quando riconobbe la persona che aveva
attirato l’attenzione del ragazzo.
“La
conosci, quella?” domandò a quel punto, aggrottando appena le sopracciglia.
Mase diede nuovamente una scrollata di spalle.
Autumn
analizzò la figura di Caroline con diffidenza e scosse il capo.
“Penso
sia figlia di amici di famiglia.” spiegò, tirando poi fuori il cellulare per
tentare di chiamare nuovamente Vicki. “Tu cosa sai?” aggiunse mentre componeva
il numero: non era ancora riuscita a dimenticare la sensazione di inquietudine
provocata dalla stretta di mano fra lei e la ragazza.
Mason
sbuffò, recuperando il suo bicchiere dal bancone.
“’Figlia
di amici di famiglia….” ripeté, distogliendo lo sguardo da Caroline e scoccando
un’occhiata torva ad Autumn. “…è la stessa spiegazione che hanno rifilato i
miei anche a me.”
“Beh,
allora sarà vero.” sbottò in quel momento la ragazza, sbuffando, quando il
cellulare di Vicki suonò a vuoto per l’ennesima volta. Mase aggrottò le
sopracciglia.
“Non mi
convince.” commentò con aria pensierosa, prima di tornare a girare lo sgabello
verso il bancone.
“Vicki
comunque non c’è.” concluse, tornando a rivolgersi alla ragazza. “Quindi puoi
anche andartene.”
Autumn
roteò gli occhi, cacciandosi malamente il cellulare in tasca.
“Con
molto piacere.” ribatté piccata, prima di allontanarsi verso l’uscita.
Mase
ghignò con aria soddisfatta, tornando poi a cercare suo fratello con lo
sguardo; quando lo trovò, tuttavia, Ricki non stava già più parlando con
Caroline. Scorse la ragazza poco distante, intenta a chiacchierare con qualcuno
al cellulare. Per qualche strano motivo, quella ragazza non lo convinceva:
tutto ciò che gli era stato raccontato su di lei sembrava plausibile, ma gli
sguardi che i suoi genitori si erano scambiati mentre gli spiegavano la
situazione dei Forbes e la reazione di suo padre il giorno della partita,
continuavano a insospettirlo. Eppure, osservandola, non riusciva a trovare
nulla di particolarmente insolito nel suo aspetto; sembrava una ragazza
qualunque, dall’aria un po’ svampita, e un modo di sorridere ed esprimersi che
tutto sommato, gli sembrava sincero. E familiare, in fondo, per quanto
quest’ultimo dettaglio, lo facesse sentire ancora più dubbioso.
Finì ben
presto per accantonare quei pensieri, distratto dal cipiglio malizioso di una
ragazza che aveva appena preso posto accanto a lui; le rivolse un sorrisetto
interessato, ma da un lato riuscì a fare a meno di domandarsi che fine potesse
aver fatto quello schizzato del suo migliore amico.
***
Oliver
raggiunse con andatura rilassata il bagno dei ragazzi. Notando due coetanei che
chiacchieravano tra loro di fronte ai rubinetti, finse di doversi lavare le
mani, fischiettando la melodia che stavano trasmettendo gli altoparlanti del
Grill. Quando poi i due giovani se ne furono andati, allungò le braccia verso
il getto caldo dell’asciuga mani, sorridendo, nel riconoscere attraverso lo
specchio, la figura di Annabelle alle sue spalle.
“Stavo
cercando di suggerirti di non pensarmi.” mormorò a quel punto la ragazza,
mentre Oliver prendeva ad arrotolarsi le maniche della camicia. “Perché sono
di nuovo qui?”
“Pensavo
che per riuscire a vederti, dovessimo ‘spingere’ o ‘tirare’ da entrambe le
parti.” ammise pacatamente Oliver, appoggiandosi al lavandino. “Ho delle
domande.” aggiunse poi lentamente, sorridendo alla ragazza.
“Vorrei
sapere da cosa stavi cercando di mettermi in guardia l’altra sera.” concluse.
Aveva
un’aria serena, ma nel suo sguardo Anna riconobbe un barlume di decisione che
contrastava i lineamenti gentili del suo volto. La ragazza sospirò.
“Non
posso dirtelo con esattezza.” spiegò infine, avvicinandosi a Oliver . “Ma ho
visto qualcosa.”
Oliver
aggrottò le sopracciglia, voltandosi, per poter ricambiare il suo sguardo.
“Qualcosa?”
ripeté, confuso.
La
ragazza annuì.
“Noi
fantasmi non vediamo nella stessa maniera in cui vedete voi. Viviamo qui, vi
circondiamo, ma possiamo muoverci solo secondo determinate regole.” si fermò
per riprendere fiato, sorridendo allo sguardo interessato di Oliver.
“Camminiamo in parallelo alle persone che conservano un ricordo
sufficientemente vivido di noi. Quello che posso vedere io, è legato a quello
che puoi vedere tu, perché anche tu puoi vedermi. È legato a ciò che può vedere
tuo padre; ma allo stesso tempo, i miei occhi possono vedere più a fondo, e
notare cose che per voi sono difficili da notare. Dei dettagli che sfuggono.”
“Che
cosa hai visto, Anna?” domandò a quel punto il ragazzo, squadrandola
incuriosito. La giovane esitò.
“Ce ne
sono altri, in città.” ammise infine, riducendo il tono di voce a un soffio.
“Altri come me. Come mia madre.”
“Altri
fantasmi?” domandò lentamente Oliver. La ragazza scosse il capo.
“Dovete
fare attenzione.” proseguì, osservandolo con aria seria. “Se riesco a sentirli,
è perché li ho conosciuti, in passato. E se sono legati a me, è perché sono già
stati qui, a Mystic Falls, prima d’ora. E hanno seguito gli stessi percorsi che
sto percorrendo io; sono stati in dei posti che tu e tuo padre conoscete. E non
è una buona cosa, Oliver.”
“Non
riesco a capire.” Oliver scosse il capo più volte, turbato. “Chi sono queste
persone e che cosa cercano?”.
Anna
esitò una seconda volta.
“Vorrei
poterti dire di più.” ammise, sfiorando con la mano la spalla del ragazzo;
Oliver aggrottò le sopracciglia, ancora una volta sorpreso da quel tocco reale,
seppur impossibile da avvertire. “Ma non so altro.”
Oliver
si appoggiò le mani in grembo, lo sguardo inespressivo puntato contro la
parete.
“Pensi
che vogliano fare del male a mio padre?” domandò infine, tornando a rivolgersi
a lei. Annabelle esitò una seconda volta, prima di rispondergli.
“Penso
di sì.” ammise infine, chinando appena lo sguardo. E in quel frangente, a
Oliver sembrò più umana di quanto non gli fosse mai sembrata.
Era più
che un semplice riflesso, un fantasma o un’ allucinazione.
Anna era
reale; forse non sentiva il freddo e il caldo, o la fame e il dolore fisico, ma
provava qualcosa ; si preoccupava, amava. E quella sera, forse, aveva anche un
po’ di paura. In quel momento, Oliver pensò che gli sarebbe piaciuto tenderle la
mano e provare a rassicurarla; forse, un tempo, suo padre aveva fatto lo
stesso.
“Dovrai
dirmi di più.” comunicò infine. L’espressione generalmente mite del ragazzo era
smorzata dalle punte di decisione tratteggiate nel suo sguardo. “O provarci
almeno. Se c’è qualcuno che vuole fare del male a mio padre, devo saperlo.”
Annabelle
lo osservò a lungo, prima di annuire, rivolgendogli poi un sorriso malinconico.
“Hai uno
sguardo diverso, adesso.” ammise, individuando a fianco alla decisione nei suoi
occhi, anche un barlume di malinconia. “Gli somigli; gli somigli tanto.”
Oliver
le sorrise dolcemente, pur non spazzando via l’aria nostalgica che era andata a
intrufolarsi nel suo sguardo.
“Mi hai
appena ricordato una delle poche cose che riesce a mettermi tristezza ” ammise,
sollevando i palmi delle mani dal lavandino. Anna lo osservò con tenerezza.
“Sapere
che tuo padre in pericolo?” domandò, osservandolo allontanarsi verso la porta.
Oliver si infilò le mani in tasca, prima di rivolgerle un ultimo debole sorriso.
“Saperlo
infelice.” ammise, prima di chiudersi la porta del bagno alle spalle.
***
Xander
voltò pagina lentamente, continuando a leggere. Nel corso degli ultimi tre
quarti d’ora aveva sgranato gli occhi più volte, in parte perplesso, in parte
divertito dai resoconti di Jonathan Gilbert che riempivano il diario che aveva
trovato; le pagine di quel volumetto erano piene di aneddoti assurdi e senza
senso. Gilbert sosteneva che a Mystic Falls, un tempo, si erano stabiliti dei
vampiri, creature soprannaturali mescolate alla gente comune, intenzionate a
uccidere gente e a ferire per nutrirsi. Jonathan Gilbert scriveva di esseri
spietati, bestie , che stavano mettendo in pericolo la cittadina in cui
viveva, ma anche di aggeggi complicati, strumenti che avrebbero potuto
annientarli. Xander non riusciva più a distogliere la sua attenzione dal
diario, tentennando tra l’ipotesi che il suo antenato fosse un pazzo con manie
di persecuzione o, quella ben più piacevole, che fosse un novellista nato: più
i resoconti si particolareggiavano, più optò di convincersi per la seconda
opzione.
Ciò che
più di tutto suscitava l’interesse di Xander, era tuttavia il fatto che le
vicende narrate fossero effettivamente ambientate a Mystic Falls; il posto in
cui aveva vissuto Jonathan Gilbert. Il posto in cui viveva lo stesso Xander. Si
parlava delle altre famiglie fondatrici; c’erano i Lockwood, i Fell, i Forbes.
Si parlava di molte ricorrenze che erano ancora in attivo nella cittadina, come
la festa dei Fondatori. Se non erano i resoconti di un pazzo, ma un racconto,
Jonathan doveva essersi davvero impegnato per riuscire a far coincidere i fatti
di sua invenzione alla realtà di cui era protagonista.
Ormai
completamente assorbito da ciò che stava leggendo, Xander voltò pagina ancora
una volta; aggrottò le sopracciglia, esaminando l’ennesimo disegno bizzarro che
il suo antenato aveva tratteggiato sulla carta; sgranò gli occhi quasi subito,
avvicinando poi la mano destra alla pagina. Esaminò con attenzione l’anello di
famiglia che portava al dito, confrontandolo con quello raffigurato nel diario;
sembrava lo stesso. Il suo anello risaliva dunque al 1800?
Un
rumore secco di nocche che battono sul legno lo costrinse ad abbandonare quei
pensieri; sobbalzò, prima di sorridere, nel sentir bussare una seconda volta
alla porta.
“Siamo
chiusi!” esclamò a quel punto, continuando a sorridere sotto i baffi. Si
affrettò a nascondere il diario nello zaino; provava soggezione al pensiero di
mostrarlo in giro. Era sicuro che le parole di Jonathan sarebbero sembrate a
tutti le farneticazioni di un pazzo; e non voleva che le persone pensassero che
discendesse da qualcuno con gravi problemi di testa.
“Ti ho
portato la merenda!”
Il tono
di voce esitante di Caroline contribuì a estendere il sorriso del ragazzo. “C’è
tanta roba buonissima qui!”
“Yum… merenda!”
Xander tornò a distendersi sul letto, intrecciando le dita dietro la nuca. “Va
beh, dai, facciamo che siamo ‘semi-aperti’, allora.” concesse infine.
Caroline
si intrufolò nella stanza, sorridendogli titubante, un pacchetto di merendine
bello in mostra.
“Spuntino
per il porcospino!” annunciò, sedendosi sul letto e gettandogli il pacchetto di
merende. Xander esultò, afferrandolo al volo.
“Urca,
le mie preferite!” commentò allegramente, prima di rivolgerle un sorrisetto
canzonatorio. “Passata l’arrabbiatura?” domandò a quel punto, analizzandola con
attenzione.
Caroline
arrossì.
“Per
niente.” ammise infine, portandosi le ginocchia al petto. “Ma mi annoiavo.”
Xander
ridacchiò.
“Ah
queste donne…” commentò, aprendo il pacchetto di merende per scartarne una.
“Sentiamo, che devo fare per farmi perdonare?” aggiunse.
Caroline
fece per dirgli qualcosa, ma poi cambiò idea e si limitò a dare una scrollata
di spalle.
“Cresci.”
commentò poco dopo in tono di voce asciutto, prima di fregargli una merendina.
Xander arrossì appena, ma poi le sorrise con ara malandrina.
“è per
questo che mangio tanto, che ti credi?” obiettò, sventolandole la merendina
sotto al naso. “Perché devo crescere!”
La
ragazza roteò gli occhi, abbandonando la schiena contro la testiera del letto;
Xander sospirò. Appallottolò la carta della merendina e la mise da parte, assieme
alla scatola.
“Lo sai
che ti voglio bene, vero?” domandò a quel punto, avvicinandosi alla ragazza.
Caroline sbuffò, per nulla intenzionata a cedere. “Tanto tanto.” aggiunse
ancora Xander in tono di voce infantile; cercò di farle una carezza, ma la
ragazza lo scansò, tornando a cingersi le ginocchia con le braccia. L’amico
ridacchiò.
“Te ne
voglio più che ai biscotti!” insistette, incominciando a punzecchiarle un
fianco con le dita, per farle il solletico. “E se mi perdoni, ti regalo tutte
le mie merendine. E anche quelle di scorta, che ho nascosto per evitare che
qualcuno me le rubasse. E rinuncio ai biscotti per… una settimana intera! No,
due! Eh, due non lo so se ce la faccio, però…”
Caroline
sbuffò di nuovo, voltandosi da un’atra parte, impegnandosi per non cedere al
bisogno impellente di sorridere; se prima era arrabbiata con lui, in quel
momento avrebbe solo voluto prendere a calci sé stessa, per quanto si
sentisse stupida. Stupida e patetica.
Perché
le suppliche infantili di Alexander, erano una delle poche cose a cui non aveva
mai trovato il modo di ribattere, e questo lui lo sapeva bene. Era l’arma a suo
vantaggio in una relazione dove, spesso e volentieri, era Xander a fare
l’arrendevole, lasciandosi mettere i piedi in testa da Caroline; le piaceva
accontentarla, soprattutto se poi riusciva a farla ridere, e detestava vederla
triste o in collera, specialmente se per colpa sua.
Per
questo, i loro litigi non duravano mai più di una manciata d’ore o una mezza
giornata al massimo, come quando erano bambini. Lui non sopportava di vederla
arrabbiata e lei finiva sempre per arrendersi alle sue farse da buffone, che
avevano come unico obiettivo quello di riuscire a farla tornare a sorridere.
All I want is to keep you safe
from the cold
to give you all that your heart needs the most
“…e
rinuncio anche al gel e alla lacca, per… beh, facciamo per mezza giornata… magari
la metà che passo a dormire, se per te va bene. Ci dobbiamo un po’ venire
incontro, no?”
Xander
continuò a blaterare, fino a quando non riuscì a scorgere un accenno di sorriso
divertito sul volto della ragazza.
“Ah ah!”
esclamò a quel punto indicandola con aria esultante. “Mi hai perdonato, eh?”
commentò allegramente. Caroline arrossì, furiosa e divertita al tempo stesso, cercando
di nascondere il sorriso appena affiorato come meglio poteva.
“Ti
odio!” annunciò alla fine, afferrando uno dei cuscini per colpirlo.
“No, i
capelli!” si lamentò il ragazzo, riparandosi la testa con le mani. “Piuttosto
la vita, ma i capelli no, eh?”
Caroline
rise, sferzando una seconda cuscinata al ragazzo. Xander placò il colpo e si
impossessò del cuscino, gettandolo poi sul pavimento.
“Vieni
qui,scema!” esclamò infine attirando la ragazza a sé; Caroline lo lasciò
fare,stringendosi a lui. Sospirando, ricacciò indietro la rabbia, l’imbarazzo e
i sentimenti contrastati che si erano fatti vivi in lei quel pomeriggio.
Istintivamente, si sentì sollevata; il braccio di Xander le circondava la vita
e in quel contatto non c’era nulla di diverso rispetto al modo in cui si erano
abbracciati quella mattina,appena arrivati alla casa sul lago.
A breve,
tuttavia, si rese conto che c’era dell’altro a mitigare quel sollievo; si
sentiva strana, rassicurata e delusa al tempo stesso; si rimproverò in
silenzio, pensando alla possibilità che le cose avrebbero finito per andare
diversamente, se solo fosse riuscita a far durare quel litigio un po’ più a
lungo.
E invece,
aveva preferito ripristinare la situazione di partenza; recuperare quel
qualcosa a cui, in fondo, non era ancora in grado di rinunciare, nonostante
ormai non le bastasse più.
“Xander?”
domandò, interrompendo il silenzio che era andato a crearsi da una manciata di
minuti.
“Mh?”
Xander
aveva chiuso gli occhi e poltriva di fianco a lei con espressione rilassata, il
braccio ancora stretto attorno alla sua vita.
“Posso
dormire con te, questa notte?” chiese con titubanza la ragazza. “ Come quando
eravamo piccoli.”
Xander
sorrise, pur continuando a tenere gli occhi chiusi; per un attimo, Caroline si
trovò quasi a sperare che si addormentasse. Si sarebbe sentita meglio, avendolo
accanto in quella maniera. Il sorriso canzonatorio dell’amico sarebbe
scomparso; l’aria bonaria, serena, di chi non si aspetta nulla di più rispetto
a quello che già stringe tra le mani, anche.
E
avrebbe potuto abbracciarlo un po’ più a lungo.
May I hold you as you fall to
sleep
When the world is closing in
and you can't breathe
“Se non
tiri calci e non mi butti per terra, diciamo che si può fare. Ti comporterai
bene?” domandò a quel punto il ragazzo, decidendosi ad aprire gli occhi.
Caroline finse di pensarci su.
“Non
posso promettertelo” ammise poi, sorridendogli con aria furba. Xander roteò gli
occhi.
“Va
beh…” si arrese infine, allentando la presa sulla sua vita per farle una
carezza. “Vorrà dire che correrò il rischio.”
Caroline
approvò con un cenno del capo, stringendosi più saldamente al ragazzo. Xander
le accarezzò i capelli una seconda volta, prima di domandare: “Allora siamo a
posto così?”
Caroline
sollevò appena la testa, per ricambiare il suo sguardo; l’amico le sorrise.
“Mi
perdoni?” domandò a quel punto, estendendo il suo sorriso. Caroline sospirò,
lasciandosi ricadere nuovamente sul materasso.
“Sì.” sussurrò
infine voltando lo sguardo in direzione del soffitto, un accenno di
rassegnazione a velare il suo volto. “Sì, ti perdono.”
So I will
let go
all that I know
knowing that you're here with me.
May I?Trading Yesterday.
***
A Mase
erano sempre piaciute le feste; non amava ballare, né era interessato ad
attirare l’attenzione delle ragazze facendo il buffone, quelle erano più cose
da Ricki. E neppure era in grado di chiacchierare con chiunque avesse un viso
conosciuto come invece faceva Caroline; non era mai stato di grande compagnia.
Eppure
le feste gli piacevano; per lo più, si limitava a sedersi per conto suo assieme
a Oliver, un bicchiere di coca cola in mano e lo sguardo che frugava curioso
tra i coetanei. Ogni tanto aveva piacere a darsi da fare con qualche bella
ragazza, ma in generale trovava rilassante la confusione che gli regnava
attorno; difficilmente gli capitava di mettersi nei guai a una festa, perché in
mezzo a tutta quella gente, era facile per lui sfuggire agli sguardi dei
coetanei, a meno che non fosse lui ad volersi rendere visibile. Gli piaceva
nascondersi, ed era piuttosto abile; scomparire era sempre stato il modo in cui
preferiva eludere i problemi, fin da quando era bambino. Da piccolo era in grado
di rimanere nascosto per delle ore, prima che qualcuno riuscisse a scovare i
suoi nascondigli. Crescendo, tuttavia, aveva incominciato a rendersi conto di
aver perso un po’ di quel talento speciale che lo aveva caratterizzato in
passato; provava ancora a nascondersi, lo faceva di continuo, ma lo scovavano
subito, e non potendo fuggire, il più delle volte aveva paura.
E la
paura, si trasformava in rabbia.
“Ehi, splendore!”
Quando
Mase si rese conto che quelle parole erano state rivolte a lui, aggrottò le
sopracciglia, perplesso; tuttavia, i suoi lineamenti si distesero subito,
quando individuò nella calca di persone, il proprietario di quella voce. “Ti
stai divertendo, fratellino?” domandò Ricki, dandogli una pacca per nulla
amichevole sulla schiena e appoggiando poi un gomito sul bancone; Mase rise,
analizzando le guance rosse e l’espressione fin troppo allegra del fratello.
“Sei già
fuori come un balcone e non sono neanche le dieci e mezza.” constatò con un
ghigno, scoccando una rapida occhiata all’orologio.
“Non
sono ubriaco, fessetto.” lo contraddisse il maggiore, dandogli un
pugnetto sulla spalla. “Ma lo sarò presto, quindi se vuoi tornare a casa in
macchina, ti conviene andare alla ricerca di un passaggio. In queste condizioni
non sfioro il volante nemmeno con un dito, per via di quella storia della ma…”
Interruppe
la frase a metà, rivolgendogli una rapida occhiata apprensiva. Mase inarcò un
sopracciglio con aria interrogativa, ma il fratello tornò a sorridere quasi
subito.
“Che
cos’è quel musetto da gnorri?” lo interrogò a quel punto, prima di
mollargli un secondo pugno sulla spalla. Mase si massaggiò il braccio,
sghignazzando.
“…comunque
torno a casa con papà.” spiegò al fratello maggiore, che annuì.
“Dai,
vieni a divertirti un po’ con me.” propose poi Ricki, tornando ad appoggiarsi
al bancone. “Sei stato incollato a quello sgabello per tutta la sera; va bene
che devi comportarti bene o papà ti mette agli arresti domiciliari, però… almeno
ti sei procurato qualche bella gnocca?” aggiunse, spostando con un piede lo
sgabello di fianco a Mase e cercando di sedersi direttamente sul bancone. Il
minore dei due rise una seconda volta: checché ne dicesse Ricki, suo fratello
gli sembrava a tutti gli effetti ubriaco.
“Nah,
sono stato con Oliver.” spiegò, prima di afferrare Ricki per un braccio,
cercando di farlo scendere dal bancone. “È andato via pochi minuti fa.”
Il
maggiore dei due diede una scrollata di spalle, decidendosi finalmente a
prendere posto sullo sgabello ancora libero.
“Beh,
Oliver è carino, dai.” valutò, appoggiando entrambi i gomiti al bancone.
“Però non ha le tette; questo è un gran bel guaio, eh…”
Il
minore dei due scosse il capo con aria divertita, un sorriso allegro a
rilassare i lineamenti generalmente tesi del suo volto; ubriaco o non, Ricki
era una delle poche persone che riusciva a rasserenarlo con poco, e a Mase
faceva sempre bene averlo nei paraggi.
“Però…”
aggiunse a quel punto il maggiore dei due fratelli, sollevando una mano con
aria solenne. “…sappi che caso mai tu decidessi di appartarti da qualche parte
con Oliver, piuttosto che percorrere il glorioso cammino che porterebbe a un
bel paio di tette, io ti appoggerò sempre e comunque!” annunciò serio, annuendo
poi con fare pomposo. Mase appoggiò il capo sul bancone, ormai completamente
piegato in due dalle risa.
“Perché
sei il mio fratellino e io ti voglio bene. E perché abbiamo entrambi un bel
culo… Mamma e papà sono stati generosi, con noi.” aggiunse Ricki,
arruffandogli i capelli. Mason continuò a sghignazzare, cercando di sfuggire
alla presa del fratello.
“Va
bene, me lo ricorderò.” comunicò con un ghigno, prima di scandagliare il salone
con lo sguardo, alla ricerca di Jeff. “Con chi vai a casa?” aggiunse poi,
sorridendo dei movimenti maldestri di Ricki, che stava cercando di recuperare
il suo bicchiere di coca cola. Il maggiore dei due sbuffò.
“Con
Jeff: ha fatto la persona seria per tutta la sera, quindi guida lui. Mi sa che
gli toccherà caricarmi in macchina e trascinarmi di peso fino all’ingresso di
casa nostra. Le scale, però, non le voglio salire. Mi fermerò a dormire nella
cuccia di Silver…”
Interruppe
la conversazione, per sorridere in direzione di una ragazza che aveva appena
fatto ingresso nel locale.
“Gnocca
a ore due!” annunciò a quel punto, scivolando giù dallo sgabello e dando di
gomito a Mase. “Ed è pure bionda… vado a cazzeggiare un po’, tu continua a
comportarti bene!” lo ammonì, prima di allontanarsi verso la parte opposta del
grill.
Mason
sorrise. Seguì il fratello con lo sguardo e lo osservò mentre si presentava
alla nuova arrivata, fino a quando qualcuno non gli diede un colpetto sul
gomito.
“Ma
allora ogni tanto sorridi anche tu!” costatò Caroline , occupando lo sgabello
che aveva lasciato vuoto Ricki. “Ti stai divertendo?” aggiunge poi.
Mason
non disse nulla; si limitò a scrutarla con aria diffidente, terminando la poca
coca cola che il fratello gli aveva lasciato.
“Ti
hanno invitato alla festa?” domandò dopo un po’, smorzando il sorriso sulle sue
labbra. Caroline annuì.
“Mi ha
invitato tuo fratello Ricki.” spiegò, prima di ordinare a sua volta qualcosa da
bere. “L’ho conosciuto ieri sera dai Donovan; gli ho spiegato che ero nuova di
qui, e Ricki mi ha proposto di fare un salto al Grill questa sera; è stato
carino. La prossima domanda?” lo prese poi in giro, sorridendogli.
Mase si
accigliò; allontanò il bicchiere vuoto verso il lato opposto del bancone, e
rivolse alla ragazza una seconda occhiata diffidente.
“Hai
seguito uno dei quei corsi di auto-difesa?” domandò dopo un po’, continuando a
scrutarla con distacco. Caroline gli rivolse un’occhiata disorientata.
“Auto-difesa?”
ripeté confusa, un luccichio divertito ancora vivo nel suo sguardo.
“L’altro
giorno, alla partita; come hai fatto a trattenere sia me, sia l’altro tizio?
Ho pensato a una qualche arte marziale… e piantala di ridere sempre così.”
aggiunse con aria infastidita, quando la ragazza posò il bicchiere sul bancone
di scatto, esordendo in un risolino.
“Scusami!”
esclamò alla fine Caroline. Mase distolse lo sguardo da lei, leggermente rosso
in viso.
“Arti
marziali… beh, diciamo qualcosa del genere, sì.” convenne infine la ragazza,
senza riuscire a mascherare l’aria divertita che aveva fatto capolino sul suo
volto.
Mason la
osservò per qualche istante, pensieroso, prima di inarcare appena un sopracciglio.
“Sei
strana…” buttò lì tranquillamente, incrociando le braccia al petto. Caroline
sorrise appena.
“Un
po’.” si trovò costretta a concordare, recuperando il suo bicchiere.
“Hai
continuato a tenermi d’occhio per l’intera serata…” aggiunse a quel punto Mase,
in tono di voce infastidito. Caroline diede una scrollata di spalle.
“In
genere a quelli come a te piace essere tenuti d’occhio dalle ragazze…” obiettò,
accennando a un sorrisetto. Anche le labbra di Mase si incresparono lievemente,
diluendo l’espressione circospetta del ragazzo.
“Sì, ma
tu mi tieni d’occhio come se fossi mia madre…” obiettò a quel punto. “…non è
che mio padre ti paga per farmi da balia?” aggiunse a quel punto, aggrottando
le sopracciglia. Era una supposizione stupida, ma per lo meno avrebbe
spiegato gli sguardi strani che si erano scambiati lei e suo padre il giorno
della partita.
Caroline
gli rivolse un’occhiata stranita, prima di scoppiare a ridere una seconda
volta.
“Ma devi
sempre pensare che ci sia un secondo fine per tutto?” domandò, scuotendo il
capo con aria incredula. “Non mi ha pagato nessuno: controllavo solo che non ci
fossero altre scazzottate dalle tue parti.”
“Perché?”
insistette ancora Mason, osservandola con ostinazione. Caroline diede una
scrollata di spalle.
“Perché
ho capito che sei parecchio attaccabrighe e mi sarebbe spiaciuto vederti nei
guai un’altra volta; e poi non conosco ancora molta gente qui…” ammise a quel
punto, tamburellando con le dita sul vetro del bicchiere. “…più che altro,
questa sera, sbirciavo i volti delle persone che conosco.”
Mason
annuì brevemente, appoggiando poi un gomito al bancone.
“Ha
senso.” si trovò ad ammettere infine, rinunciando a un po’ della diffidenza che
fino a quel momento aveva velato il suo volto. “Ma non ho bisogno di una
baby-sitter, quindi puoi tranquillamente evitare di preoccuparti per me, d’ora
in poi.” aggiunse, accennando a un sorrisetto sghembo.
Caroline
gli rivolse un’occhiata divertita.
“Un
angelo custode fa sempre comodo, però.” obiettò Caroline, prima di sorridergli
con aria furba. “Diciamo che ti lascio stare se mi assicuri che non ti caccerai
in altri guai.” commentò infine.
Mason
estese il suo sorriso, passandosi una mano dietro al collo. Fece per
risponderle, ma Caroline aveva spostato la sua attenzione verso il cellulare,
capendo che stava squillando già da un po’: il nome di sua madre lampeggiò con
insistenza sul display dell’apparecchio.
“Scusami!”
esclamò rivolta a Mase, premendo il tasto di risposta alla chiamata. Il ragazzo
diede una scrollata di spalle.
“La
pianti di chiedermi sempre ‘scusa’?” borbottò, prendendo a giocherellare con il
suo bicchiere. Caroline gli scoccò una rapida occhiata intenerita, prima di
domandare a Liz di cosa avesse bisogno. La sua espressione da rilassata, si
fece lentamente turbata e la ragazza scambiò un paio di parole con la madre,
prima di chiudere la conversazione.
“Devo
andare.” spiegò brevemente, alzandosi in piedi. “Mia… nonna, mi ha chiesto di
tornare a casa.”
“È successo
qualcosa?” le chiese Mase, aggrottando le sopracciglia. Caroline negò con il
capo, infilandosi pensierosa il giubbotto.
“No,
deve solo parlarmi, credo. Mason…” lo richiamò a quel punto, esaminandolo con
attenzione. “…allora siamo d’accordo? Io ti lascio stare, e tu non ti cacci
nei guai. Voglio andarmene da qui senza il pensiero che ti metterai a fare a
botte con qualcuno non appena volto l’angolo.”
Mason si
limitò ad esibire un sorrisetto sghembo, intrecciando le dita dietro la nuca.
“Se avessi voluto fare a botte, lo avrei fatto anche con te qui, non è che mi
crea problemi avere degli spettatori.” commentò, facendo girare lo sgabello per
non darle le spalle. “Ma se proprio ci tieni… ti assicuro che non combinerò
casini per il resto della serata. Tanto mio padre sta per passare a prendermi,
comunque...”
Caroline
gli sorrise; insolitamente, si sentì quasi sollevata. Era la prima volta, da
quando si erano conosciuti, che, che Mason le sembrava genuinamente tranquillo.
“Allora,
buonanotte!” lo salutò, analizzandolo con lo sguardo un’ultima volta. Mase
tornò a voltare lo sgabello verso il bancone, riprendendo a giocherellare con
il bicchiere vuoto.
“Dovresti
sorridere più spesso, comunque.”
Caroline
non riuscì a trattenersi dall’esclamare, prima di allontanarsi verso l’uscita.
***
Fell
abbandonò in fretta la tenuta dei Lockwood; si spostò sul retro del giardino,
mirando a raggiungere l’auto che aveva parcheggiato poco distante, ma decise di
fermarsi poco prima, appoggiandosi al muretto per riprendere fiato. Un guizzo
di soddisfazione affiorò nel suo sguardo, e l’espressione incuriosita dell’uomo
venne ravvivata da un lieve sorriso compiaciuto: era stato tutto più facile,
rispetto a ciò che aveva previsto; passò con attenzione la mano sulla scatola
che teneva fra le mani e la aprì, per analizzare l’insolito strumento contenuto
al suo interno. A prima vista, il famoso congegno di Jonathan Gilbert si
sarebbe potuto scambiare per un carillon, per via degli ingranaggi a rotella
che ne sormontavano la parte superiore. Un solco dalla superficie irregolare
era posizionato al centro del meccanismo, là dove occorreva inserire la chiave,
per far funzionare l’arma. Fell estese il suo sorriso, mentre si frugava in
tasca per estrarre un piccolo cerchio di metallo dai contorni seghettati: i
Lockwood non avevano avuto molta accortezza, nel decidere di nascondere la
chiave del Congegno dentro la scatola stessa in cui l’aggeggio era custodito.
Certo, non era per niente sicuro che quel pezzo di metallo fosse effettivamente
il pezzo mancante dello strumento; ma tanto valeva fare un tentativo. Avrebbe
portato il Congegno a Lester, il pomeriggio successivo. Insieme, loro e Leanne,
avrebbero potuto intuire se avessero effettivamente tra le mani un’arma, oppure
un semplice ammasso di legno e granaglie varie.
Fell
fece scorrere il cerchietto di metallo fra il pollice e l’indice, prima di
sovrapporlo a distanza sullo spazio vuoto all’interno del Congegno: le due
forme sembravano coincidere.
In quel momento
avvertì dei passi frettolosi alle sue spalle: uno dei Lockwood doveva essere
rincasato prima. In silenzio Fell si maledì, pentendosi di non essersi
allontanato a sufficienza, prima di recuperare l’oggetto rubato dalla scatola.
Non ebbe nemmeno il tempo di pensare a come fosse meglio comportarsi;
spaventato e colto alla sprovvista, Fell fece scivolare il piccolo cerchio che
teneva in mano nel congegno, facendone coincidere i bordi al profilo dentellato
del solco.
Non
accadde nulla.
“Scusi,
lei che ci fa nel giardino dei Lockwood?”
Una voce
decisa, decisamente femminile, lo convinse a voltarsi verso la tenuta.
Riconobbe con aria d’un tratto più scocciata, che intimorita, il cipiglio
ostinato della figlia dei Donovan.
Vicki lo
teneva d’occhio con aria decisa, le braccia conserte e un’espressione
visibilmente seccata. Fell si affrettò a nascondere il congegno nella scatola
di legno e solo in quel momento si rese conto che gli ingranaggi dello
strumento avevano incominciato a girare. Quel movimento, tuttavia, fu l’unica
cosa che aveva ottenuto inserendo la chiave nel solco apposito; Fell era
deluso. Se al posto di una ragazzina ficcanaso, si fosse trovato di fronte un
licantropo adulto, probabilmente non sarebbe uscito vivo da quel giardino.
“Quella
scatola non l’avrà mica rubata?” domandò ancora Victoria, muovendosi rapida
verso lo sceriffo. Fell scattò all’indietro, per allontanare la scatola dalla
portata della ragazza, e nel farlo qualcosa scivolò fuori, smarrendosi sul
terreno. Vicki notò appena il movimento di un oggetto che cadeva a terra, ma
non fece in tempo a riconoscere il contenuto della scatola. Conoscendo i
Lockwood, immaginò si trattasse di un qualche oggetto di valore; forse erano
soldi. Fell li stava forse derubando?
“Ma che
razza di sceriffo è lei?”
Victoria
scosse il capo con aria incredula, visibilmente disgustata. Fell si posizionò
la scatola sotto il braccio, per nulla turbato dalla reazione della giovane.
“Il
perché sono qui, non è affar tuo, ragazzina; piuttosto, sei tu che faresti
meglio a non ficcare il naso dove non ti riguarda, mettendo addirittura piede
in una proprietà privata.” sbottò in tono di voce seccato, prima di farle cenno
di allontanarsi verso il vialetto. Vicki rimase dov’era, un’ espressione
cocciuta a velare i lineamenti del suo volto.
“Non ho
paura, sceriffo.” commentò con tranquillità, inarcando appena un sopracciglio.
“È lei a essere in torto, non io.”
“Ah,
sì?” ribattè Fell, indirizzandole un’occhiata di scherno. “E a chi pensi che
crederanno i Lockwood, quando andrai a tormentarli con le tue fandonie? A una
ragazzina ficcanaso qualunque o allo Sceriffo?” concluse la frase, rivolgendole
un’ultima occhiata divertita. Vicki sostenne il suo sguardo, sforzandosi di non
battere ciglio.
In quel
momento, il telefono di Fell incominciò a vibrare e l’uomo sembrò rendersi
conto in quel momento di quanto tardi si fosse fatto.
“Adesso esci
subito da questo giardino e tornatene a casa.” ammonì secco la ragazza, prima
di scoccare un’occhiata furtiva in direzione del vialetto. Si allontanò verso
la sua auto, senza più degnare Vicki di uno sguardo “…o ti assicurò che
passerai la fine del tuo sabato sera dietro alle sbarre.”
Victoria
non si mosse, fino a quando non fu sicura che l’auto di Fell si fosse
dileguata. A quel punto, spostò di qualche centimetro il piede destro, e puntò
lo sguardo verso il terreno, cercando con gli occhi il qualcosa che era caduto
poco prima a Fell, dalle parti delle sue scarpe.
Recuperò
un cerchietto di metallo dal bordo seghettato, ma non riuscì a comprendere di
cosa potesse trattarsi. Se lo infilò in tasca con l’intenzione di portarlo ai
Lockwood, ma una parte di lei si trovò ad esitare, smussando un po’ di quella
decisione che era solita segnare il suo volto: le avrebbero creduto? In fondo
non aveva in mano che quel cerchietto di ferro, un rottame qualsiasi.
Ma
avrebbe parlato comunque, si disse, allontanandosi a sua volta in direzione del
viale principale. Perché era giusto e perché Victoria era fatta così: diceva
sempre quello che le andava di dire. E insisteva fino in fondo, anche nelle
cose più stupide, se davvero era convinta che fosse giusto intervenire in qualcosa.
Quando
finalmente si convinse a tirare fuori il cellulare dalla tasca, si morse un
labbro notandolo spento. La batteria doveva averle dato il ben servito. Pensò
ad Autumn e si diede della stupida in silenzio, accorgendosi di quanto fosse
tardi. Fortunatamente, riuscì a riaccendere il cellulare. Mentre cercava di
fare il numero dell’amica, il display incominciò a lampeggiare, riportandole
proprio il nome di Autumn.
“Scusami!”
esclamò immediatamente Victoria dopo aver premuto il tasto di accensione.
Parlava in fretta, per paura che il telefono si spegnesse nuovamente. “Scusami,
sono stata tremenda, lo so. Ma è successa una cosa e quando arrivo ti spiego, e
poi il telefono…”
Interruppe
il discorso, aggrottando appena le sopracciglia, nell’ascoltare le parole di
Autumn. Vicki sgranò gli occhi, confusa.
“Perché,
che è successo a Ricki? Ma no, no che non sono alla festa, tu invece perché sei
lì?”
Si
spostò sul marciapiede, attraversando il viale che costeggiava casa Lockwood
sul davanti. Capì poco di quello che stava cercando di spiegagli l’amica, ma il
bip del telefono la informò che non avrebbe resistito ancora a lungo, e
decise di chiudere la chiamata.
“Ascolta,
due minuti e sono da te, ma non riesco a capire bene quello che dici e il
telefono si sta scaricando di nuovo. Sono di fronte a casa dei Lockwood, pochi
minuti e sono lì, ma tu calmati, Autumn.”
Due bip
più lunghi del precedente, e il telefono si spense del tutto.
Vicki
sbuffò, cercando di affrettare il passo, improvvisamente nervosa. Aveva capito
poco di quello che le aveva spiegato l’amica, perché c’era troppo rumore
dall’altra parte del ricevitore. Da quel che era riuscita a comprendere, Autumn
era andata alla festa per cercare lei. E poi, le aveva parlato di Ricki, ma non
aveva capito nulla di quella parte.
Mentre
attraversava la strada, il suono di un’ambulanza risuonò alle sue spalle,
risvegliando il silenzio che aleggiava attorno alla tenuta dei Lockwood.
“Ma che
cavolo sta succedendo?”
Esclamò
a quel punto la ragazza, guardandosi indietro. Si morse un labbro con aria
preoccupata e incominciò a correre in direzione opposta, per raggiungere casa
di Autumn il prima possibile.
***
30
minuti prima.
“Sono tornata!”
Caroline Forbes attraversò l’ingresso di casa sua,
sfilandosi il giubbotto.
“Siamo in cucina, Caroline!”
La ragazza superò il corridoio con un accenno di
nervosismo dipinto in viso, incuriosita da quel ‘siamo’ pronunciatole da Liz.
Tuttavia, i suoi lineamenti si distesero
all’istante, nel riconoscere l’uomo che sedeva di fronte alla madre, un sorriso
bonario a illuminare i tratti del suo viso.
“Ammettilo, l’hai fatto apposta a passare a salutare
Elena proprio ieri sera…” la accolse scherzosamente Matt, sollevandosi in
piedi. “…sapevi che avrei fatto la notte e non mi volevi tra i piedi!”
“Matt!”
Il sorriso di Caroline si estese, e la ragazza si
avvicinò per abbracciarlo, piacevolmente sorpresa.
“Mi sei mancato!” ammise, lasciandosi stringere
dall’amico.
“È bello rivederti, Care!” ammise Matt con un
sorriso, prima di separarsi dall’abbraccio. “In realtà, oltre che per salutare,
sono passato anche per parlarti di qualcosa un po’ meno piacevole.” aggiunse,
tornando a sedersi. Caroline prese posto sulla sedia di fianco a lui,
rivolgendogli un’occhiata interrogativa.
“Ti ricordi Leanne, la figlia di Steven?” domandò a
quel punto l’uomo. La vampira annuì brevemente, facendo scorrere lo sguardo da
Matt a Liz.
“Certo che me la ricordo; mio padre aveva insistito
per farci uscire assieme un paio di volte, parecchio tempo fa: stavo ancora con
te, l’hai conosciuta anche tu.” gli ricordò, rimestando fra vecchi ricordi
appartenenti alla sua adolescenza. Matt annuì brevemente.
“Matt dice di averla vista qui a Mystic Falls, più
volte, sempre in compagnia dello sceriffo Fell.” spiegò Liz, rivolgendole
un’occhiata seria. “....pare che si sia trasferita qui a Mystic Falls, poco
dopo il trasferimento in ospedale di tuo padre. L’ho incontrata molte volte, da
allora, ma non avendola mai vista prima se non di sfuggita o in qualche foto,
non avevo idea che fosse lei.”
“In realtà non l’avevo riconosciuta nemmeno io,
all’inizio, per questo non vi ho detto nulla.” spiegò Matt, tornando a
rivolgersi a Caroline. “Ma ieri ero al lavoro, e l’ho vista in reparto – penso
facesse visita a qualcuno - Mi ha sentito chiamare per cognome da uno dei
pazienti e mi ha riconosciuto. Ha chiesto di te, Caroline, e le ho spiegato che
ti eri trasferita a New York. Ma ha vissuto per anni a casa di Bill e da quando
si è spostata qui l’ho vista spesso in compagnia di Fell…”
“Io e Matt pensiamo che lei e Fell stiano cercando
di rimettere in piedi il Consiglio…” spiegò Liz a quel punto. “E non è da
escludere che Leanne sappia di te. Se davvero si è trasferita a Mystic Falls
per entrare a far parte del Consiglio, non impiegherà molto a scoprire che vivi
qui e che non è mia nipote, ma mia figlia ad essere tornata; soprattutto,
perché Leanne potrebbe riconoscerti, vedendoti.”
Caroline sospirò, tirandosi indietro per appoggiarsi
allo schienale della sedia.
“Proprio quando le cose sembravano essersi sistemate
…” mormorò a bassa voce, avvertendo una fitta di malinconia stuzzicarla. Non le
piaceva per niente, quella situazione; detestava essere costretta a guardarsi
le spalle ogni volta che usciva, nervosa al pensiero che qualcuno riconoscesse
in lei la figlia vivace e chiacchierona dello sceriffo Forbes: una ragazza che
a quel punto della sua vita avrebbe dovuto dimostrare almeno quarant’anni, o
giù di lì.
Detestava essere costretta a guardarsi le spalle nello
stesso posto in cui era nata e cresciuta, quando avrebbe solo voluto limitarsi
a passeggiare indisturbata per le vie di Mystic Falls, come una persona
qualunque.
“Cercherò di fare attenzione.” assicurò alla madre,
prima di alzarsi in piedi, colta da un improvviso giramento di testa; aggrottò
le sopracciglia, tornando a sedere, domandandosi quando fosse stata l’ultima
volta che si era nutrita.
E poi sentì un rumore.
“Caroline?” domandò Liz a quel punto, rivolgendole
un’occhiata preoccupata: anche Matt la stava osservando perplesso.
Caroline si portò entrambe le mani sulla testa,
gemendo per il dolore. Un rumore assordante le riempì le orecchie e le tempie
le pulsarono con forza.
“Caroline!” gridò nuovamente sua madre, mentre Matt
si affrettava a raggiungere la ragazza. La vampira urlò ancora, prima di
accasciarsi sul pavimento.
“Caroline, Caroline, mi senti?”
Caroline ebbe un attacco di vertigini, e chiuse gli
occhi, accorgendosi che qualcuno la stava prendendo in braccio. Avvertì sua
madre chiamarla per nome un’ultima volta e poi più nulla.
***
“Avete
sentito quel rumore?”
Ricki
domandò ad alta voce, rivolgendosi un po’ a tutti quelli che erano abbastanza
vicini da poterlo sentire. Si appoggiò al bancone del Grill, guardandosi
attorno con aria stranita. Jeffrey, che se ne accorse, accennò a un sorrisetto
e gli diede una pacca amichevole sulla spalla.
“No,
l’hai sento solo tu.” comunicò a Ricki, prima di scoccare una rapida occhiata
all’orologio. “Fra un po’, mi sa che ce ne andiamo a casa…” aggiunse, cambiando
poi espressione, quando si accorse dell’aria preoccupata che aveva assunto
l’amico.
Ricki
inspirò con forza, appoggiandosi il palmo di una mano sulla fronte, digrignando
poi i denti: un dolore insopportabile gli incuneò le tempie, lasciandolo senza
fiato.
“Jeff!”
ebbe appena le forze di gridare, accasciandosi contro il bancone. La testa gli
bruciava come se gli avessero raschiato via le ossa del cranio e aveva male
perfino a tenere gli occhi aperti. Si strinse le mani attorno alle tempie, come
se con quel gesto potesse riuscire a scrollarsi via il dolore.
“Jeff!”
ripeté più forte, lasciandosi scivolare a terra. Jeffrey lo afferrò con forza
per le braccia, cercando di tenerlo in piedi, spaventato da quella reazione
improvvisa.
“Ricki!”
lo richiamò più volte, ignorando le occhiate incuriosite dei presenti; lo
scrollò per le spalle, ma Ricki continuò a premersi le mani sulla testa,
gemendo di dolore.
“Fallo
smettere!” ringhiò a quel punto all’amico, minacciando nuovamente di scivolare
a terra. “Fallo smettere, non ce la faccio più!”
“Andiamo
via di qui.” esclamò a quel punto Jeffrey, sostenendolo per farlo camminare. Si
fece strada attraverso la cerchia di curiosi e puntò deciso in direzione
dell’uscita.
Solo
quando raggiunsero l’ingresso del Grill, Ricki aprì di scatto gli occhi,
avvertendo il dolore affievolirsi lentamente. Se in quel momento, Jeff si fosse
chinato per controllare l’amico, avrebbe notato la venatura giallastra che per
un attimo aveva catturato le pupille del ragazzo.
“Ti sei
ripreso?” domandò a quel punto a Ricki, accorgendosi che il ragazzo aveva
preso a camminare da solo, senza più bisogno di essere sostenuto. Lo aiutò a
sedersi e rimase ad osservarlo in silenzio, mentre il ragazzo riprendeva a
respirare in maniera più regolare, massaggiandosi le tempie.
“Erano
tipo aghi…” farfugliò a quel punto, ancora scosso da ciò che gli era appena
successo. Sollevò il capo per ricambiare lo sguardo di Jeffrey e si accorse che
lo stava fissando con aria preoccupata. “Aghi conficcati nel cervello. Faceva
malissimo...”
“Andiamo
a casa.” ribattè l’amico in tono di voce fermo, aiutandolo poi ad alzarsi in
piedi. Ricki annuì, acconsentendo a seguirlo, senza riuscire bene a comprendere
che cosa gli stesse succedendo.
Aveva
bevuto troppo, pensò fra sé più tardi, lasciandosi ricadere con stanchezza in
macchina. Aveva bevuto troppo, e si era sentito male.
Eppure,
un altro pensiero ben più allarmante continuava a tormentargli la testa,
alimentando in lui la sensazione di nervosismo.
“Devo
vedere papà.” farfugliò a quel punto, mentre Jeffrey controllava che avessero
entrambi la cintura allacciata.
“Ti sto
portando a casa.” cercò di rassicurarlo ancora una volta l’amico, mettendo in
moto. La sua mano tremò appena sul volante, e il ragazzo sospirò nervosamente,
prima di partire, guidando in direzione di casa dei Lockwood.
Puoi andare lontano.
Puoi prendere tutte le tue
piccole precauzioni, ma sei davvero partito?
La fuga è possibile?
O sei tu che non hai la forza e
l'astuzia di nasconderti al destino?
“Guidi
tu?”
Domandò
Tyler, lanciando al figlio le chiavi della macchina. Mase le afferrò al volo,
non riuscendo a nascondere un sorrisetto.
Chiuse
la portiera e si allacciò la cintura di sicurezza, mentre al suo fianco, il
padre faceva altrettanto. Tyler aspettò che il figlio mettesse in moto, tenendo
d’occhio con attenzione ogni singola manovra del ragazzo, prima di decidersi ad
aprire bocca.
“Allora…”
incominciò a quel punto, tornando a rilassarsi sul sedile. “Come è andata la
festa?”
Mason
annuì appena, le sopracciglia aggrottate e l’espressione completamente rapita
da ciò che si trovava di fronte a lui; le mani del ragazzo erano ben salde sul
volante.
“Bene.”
rispose, senza distogliere lo sguardo dalla strada. “Mi sono divertito.”
Tyler
annuì, decidendosi a spostare la sua attenzione verso il figlio, che dopo
essere partito, aveva incominciato a guidare in maniera più disinvolta.
“Perché
mi guardi?” domandò a quel punto Mase, arrischiandosi a scoccargli una rapida
occhiata. Il cipiglio dell’uomo si fece d’un tratto più severo.
“Gli
occhi fissi sulla strada.” lo rimproverò all’istante prima di ammorbidire la
sua espressione. “Non lo so.” buttò lì poi, prima di rivolgergli un sorrisetto
divertito. “Sei mio figlio, adesso non posso nemmeno più guardarti?”
Anche
Mase sorrise, questa volta, senza distogliere lo sguardo dalla strada.
“Se
cercavi labbra spaccate o sangue rimasto appeso da qualche parte, sono
spiacente di informarti che rimarrai deluso.” comunicò, accennando a un
sorrisetto canzonatorio. Tyler ghignò, non riuscendo a trattenersi dal
guardarlo una seconda volta.
In quel
momento, l’attenzione di entrambi venne catturata da un rumore improvviso alla
loro destra.
“Che
cosa è stato?” domandò subito Mase, aggrappandosi istintivamente al volante.
Tyler fece per rispondere qualcosa, quando uno spasmo acuto di dolore lo
sorprese, costringendolo a portarsi le mani alla testa.
Mase
gemette, digrignando i denti, avvertendo una morsa improvvisa serrarsi attorno
alle sue tempie. Fece virare pericolosamente il volante, perdendone il
controllo per un attimo.
“Che mi
succede?” ringhiò in preda al panico,quando venne colto da una seconda fitta di
dolore, questa volta più forte. Tyler sferrò un pugno al cruscotto, imprecando,
per via del dolore alla testa. Un fiotto di paura mista a rabbia riuscirono a
ridestarlo in parte, spingendolo a reagire.
“Accosta!”
gridò in quel momento, cercando di sfilarsi via la cintura di sicurezza. Una
seconda fitta di dolore lo travolse in quel momento.
“Mase,
spegni la macchina, spegni!”
“Non ci
riesco!” gridò in risposta il ragazzo, cercando di mantenere il controllo
dell’auto. Ma il dolore era troppo forte, perché riuscisse anche solo a tenere
gli occhi aperti. Gemette di nuovo, sforzandosi di rimanere aggrappato con le
mani a volante.
“Lascia
il volante. Lascialo!” ringhiò il padre, trafficando con furia per sganciarsi
la cintura, faticando per via del dolore.
Con la
coda dell’occhio, individuò una figura che si stagliava di fronte a loro lungo
la strada: Tyler ringhiò di nuovo, non riuscendo più a capire se si sentisse umano o lupo. Perché provava rabbia. Rabbia,paura e dolore, proprio come
duranti le notti di luna piena.
Riuscì
finalmente a liberarsi della cintura di sicurezza e allungò in fretta le mani
verso il volante, ma i suoi movimenti vennero preceduti da uno schianto secco.
Ricadde all’indietro, sbattendo la testa contro il sedile.
In quel
momento cessò tutto. I movimenti dell’auto, quel rumore assordante, il dolore alle tempie.
Tyler si
accasciò sul sedile e chiuse gli occhi, quasi sul punto di perdere i sensi.
Rimase immobile in quella posizione, fino a quando non riuscì a riscuotersi,
avvertendo la consapevolezza di ciò che era appena capitato.
Cercò
immediatamente il figlio con lo sguardo e la testa gli provocò una fitta di
dolore, non appena volse il capo nella sua direzione. Mase aveva perso
conoscenza, ed era ricaduto in avanti, le mani ancora aggrappate al volante.
“Mase!”
ringhiò immediatamente il padre, affrettandosi ad avvicinarsi a lui; avvertì un
lieve moto di sollievo, nel sentirlo respirare
regolarmente. Sfondò la portiera della macchina con un calcio e si precipitò
fuori, per poi crollare in basso, le gambe improvvisamente molli, le mani
che gli tremavano.
“No...”
fu appena in grado di mormorare, prima di perdere conoscenza a sua volta,
lasciandosi ricadere contro l’auto.
Di
fronte a Tyler, circondato da cocci di vetro e sangue, un uomo giaceva a terra
incosciente, piegato in una posizione innaturale.
Ma non è il mondo che è piccolo:sei tu.
Il destino può trovarti ovunque.
da Heroes, episodio 1x08.
Nota dell’autrice.
… Uh uh. Non so come cominciare il polpettone,
questa volta. Il punto è che ho appena terminato di scrivere e mi sento ancora
un po’… in subbuglio! Che ansia XD
Va beh, ora la smetto e passo a cercare di
aggiungere qualcosa di sensato. Vediamo di analizzare con calma questa seconda
parte di capitolo; dunque, la prima cosa che mi viene da dire è che sono
contenta di essere riuscita a inserire un pochetto di introspezione per Mase, e
soprattutto, mi è piaciuto raccontarlo in un momento in cui era un pelino più
tranquillo del solito (lettori pensano al finale del capitolo e tirano una
scarpa dietro a Laura *\\*).
Per quanto riguarda Mason e Autumn che a quanto ho
capito siete in tantissimi a shippare (sono tipo il Delena di HR D:), mi sento
proprio in dovere di aggiungere che assieme quei due non finiranno mai XD Non
ce la faccio, è più forte di me, dovevo sottolinearlo. Voglio tanto bene a
tutti e due, e mi diverto da matti a scrivere le loro frecciatine, ma assieme
non li vedo, Mase poi, avrà tutt’altro tipo di pensieri per la testa d’ora in
poi (altre scarpe colpiscono Laura).
Passiamo a una delle parti che ho preferito scrivere
più in assoluto; Anna e Casper Oliver. Se Mase l’abbiamo visto un po’
più sorridente, Olive a un certo punto lo è stato un po’ meno, e ci tenevo a
mostrare qualcosa in più a proposito di lui. Che è un discorso di cui si
tornerà a parlare più in là. E intanto Anna si lascia sfuggire qualche altra
mezza informazione criptica.
Se questo capitolo si chiama ‘Turning Point’, è un
po’ appunto anche per il fatto che molti dei nostri pargoletti stanno iniziando
a venire spinti verso questo mondo sovrannaturale che ruota loro intorno.
Abbiamo Oliver e Anna; abbiamo Xander, alle prese con uno dei diari di Jonathan
Gilbert; abbiamo i Lockwood alle prese con le maledizione di famiglia, Julian
che si appresta a immergersi un po’ più a fondo nel suo universo di maghetto, e
infine Vicki, che per colpa della sua testardaggine, sta rischiando di rimanere
incappata in qualcosa che è senz’altro più grossa di lei (Laura vede che le
scarpe incominciano a volare verso lo sceriffo Fell, e lo mandano col sedere
all’aria).
Parlando appunto del momento Vicki/Fell…Lo so, è
completamente campato per aria, ma io avevo bisogno di far accadere certe cose,
e questo è l’unico modo che mi è venuto in mente per riuscire – restando in
tema – innescare gli ingranaggi di questo racconto. *le arrivano altre scarpe
in testa* E così, quel tontolone di Fell, ha attivato il congegno (lo stesso
che nell’ultimo episodio della prima stagione attiva John Gilbert, alla festa
dei fondatori). I tre maschietti Lockwood e Caroline F., reagiscono al
dispositivo. So che quel congegno ha un raggio di azione di tot isolati, e non
so mica, se il Grill, casa Lockwood e casa Forbes rientrino tutte in quel
raggio d’azione, ma mi sono permessa di immaginare che fosse così. Tyler e Mase
erano quasi arrivati a casa, quando hanno avuto l’incidente d’auto. Questo
potrebbe forse aiutarvi a immaginare chi possa essere l’uomo che è stato
investito (ç__ç). Nessuno dei personaggi, don’t worry. Ovviamente non vi dirò
se questa persona è ancora viva o no, bisognerà attendere il capitolo
successivo (che per la cronaca – preparate le scarpe – potrebbe arrivare molto
tardi, visto che a maggio ho gli esami e devo darci sotto con lo studio).
Passando a Matt, visto quello che dice nel dialogo,
mi sento in dovere di aggiungere che è diventato medico (sì, come il padre di Elena.
Va beh XD). Il parallelismo tra l’incidente che hanno Mase e Tyler, con quello
che ha sempre Tyler nella 1x22 sempre per colpa del congegno, è piuttosto
voluto. E le citazioni di Heroes ci andavano, portate pazienza. Mi sono
esaltata un sacco inserendole, perché le trovavo azzeccatissime per questo
capitolo, per Mase, per tutti. *parte la voce di Mohinder nella testa di Laura*
Che altro posso aggiungere? Tenetevi almeno un paio
di scarpe da mettere ai piedi, non tiratele tutte a me ç___ç che questo
pomeriggio ho battuto la testa due volte e sono pure scivolata D: *e poi prendo
in giro ricki .-.*
Anticipazioni sul prossimo capitolo, per questa
volta non le faccio. Mi arrischio a dire solo una cosa, che in realtà è uno
spoilerone micidiale D: D: D: Porterà lo stesso titolo della storia vera e
propria: History Repeating. Ma io vi consiglio di guardare al
significato di quelle due parole nella maniera più letterale possibile :D
Perché non si riferisce a quello che pensate voi. Forse.
Anyway, vi saluto, che ho ancora l’ansia. Vi
spupazzo tutti quanti per bene e mi raccomando, siate gentili con i tre maschi
Lockwood, che hanno avuto davvero una serataccia u___u
“History. Pick a topic, keep it local and no Wikipedia
regurgita. These old towns have a lot of rich history, so…Just get your hands
dirty, make it sing and you’re back on track. Deal?”
“Yeah,deal!”
Episode 1x09. History Repeating
Chapter 8.
History Repeating.
Well I know the feeling
Of finding yourself stuck out on the ledge
And there ain't no healing
From cutting yourself with the jagged edge.
Lullaby.Nickelback
Il telefono squillò a vuoto diverse volte, prima che
Tyler avvertisse dall’altra parte del ricevitore la voce della segreteria
telefonica. Inspirò profondamente, continuando a camminare avanti e indietro
lungo il corridoio, lo sguardo teso, pronto a scattare alla minima fonte di
rumore. Si decise a lasciare un messaggio in segreteria, la voce scalfita da
una nota di esitazione.
“Caroline… sono Tyler.” inspirò a fondo una seconda
volta, prima di proseguire. “Stai bene?”
Una porta si aprì alle sue spalle; si affrettò a
voltarsi, osservando poi con delusione due infermieri attraversare il
corridoio: la porta della sala operatoria era ancora chiusa. Appoggiò la
schiena al muro e riprese a parlare al cellulare.
“Ascolta… ho bisogno che tu mi raggiunga in ospedale
il prima possibile. Passa di qui non appena ricevi il messaggio. Fa’ in
fretta.” aggiunse. Chiuse la chiamata e si cacciò nuovamente il cellulare in tasca,
lo sguardo a interrogare in silenzio la porta della sala operatoria. Più i
minuti scorrevano e più si trovava a desiderare che non si aprisse mai; era ansioso
al pensiero di quello che avrebbero potuto comunicargli i medici. Voleva
starsene lì, dove ancora poteva aggrapparsi a qualche brandello di fune
sfilacciata per evitare di cadere a terra. Lì, dove se ne stavano i codardi,
incapaci di mettersi in gioco quando a sfidarli erano le loro paure più grandi.
Lì, dove suo figlio Mase sarebbe rimasto per sempre un ragazzino spaventato: ma
nulla di più.
Appoggiò anche la testa al muro, incrociando le
braccia al petto. Le iridi scure dell’uomo fulminarono la porta della sala
operatoria ancora una volta, prima di saettare verso le scale, riconoscendo i
passi affrettati di due persone.
“Papà!”
Si irrigidì, nell’avvertire quel tono di voce. Ricki
camminava con andatura incerta, lo sguardo stralunato e l’aspetto scomposto di
chi è stato appena scrollato con forza, dopo aver avuto un incubo. Jeffrey
camminava al suo fianco.
“Papà, che succede?”
“Vai a casa, Ricki.”
Le iridi scure di Tyler si scontrarono con quelle
identiche del figlio e le fulminarono con aria di ammonimento. Ricki non lo
ascoltò.
“Ha appena chiamato Vicki.” continuò imperterrito
guardandosi intorno, come se stesse cercando qualcuno. “Un incidente... ha
detto… ha detto che c’è stato… dov’è Mase? Papà, dov’è…”
“È a casa. Sta bene.”
Lo interruppe bruscamente il padre, spezzando
l’incontro fra i due sguardi. “Vacci anche tu. Anzi, resta a dormire da Jeffrey
per questa notte. Guida tu.” aggiunse, rivolgendosi all’altro ragazzo che
annuì, afferrando l’amico per un braccio.
“Andiamo…” comunicò a Ricki, che tuttavia non si
mosse.
“Se Mase è a casa, come mai sei qui?” domandò
ancora, liberandosi dalla presa di Jeff. Tyler sbuffò, lo sguardo
improvvisamente più vivo, più brusco.
“Ho investito qualcuno.” ringhiò in tono di voce
meno fermo, ricambiando l’occhiata decisa del figlio. “Lo stanno operando,
adesso vai e resta dai Donovan fino a quando non ti richiamo io.”
“Ricki, muoviti…” cercò di convincerlo l’amico,
notando con nervosismo l’espressione adirata di Tyler. Lo tirò una seconda
volta per il braccio, ma Ricki si liberò dalla sua presa.
“Chi hai investito? Papà, è successo qualcosa!”
riprese, appoggiandogli le mani sulle spalle, per poi sostenere il suo sguardo
con espressione preoccupata. “Quel mal di testa strano, è successo anche a te,
vero? E a Mase? Mase sta…”
Tyler si passò una mano sul viso, riprendendo a
inspirare con forza. Ricki arretrò, indugiando sulla venatura di rabbia che
aveva preso a illuminare i suoi occhi.
“Ha bevuto troppo…” lo giustificò Jeff, afferrandolo
per il braccio e strattonandolo all’indietro. Ricki scosse il capo, allarmato
dall’eccesso di collera del padre.
“È successo qualcosa a mio fratello.” intuì,
mormorando la frase a mezza voce. Improvvisamente si sentì stanco; stanco e
pesante. Aveva attraversato l’ospedale di corsa senza mai vacillare, ma in quel
momento si sentì piombare crollare addosso tutto quello che gli era accaduto
nel corso della sera; l’eccesso di alcool, il mal di testa improvviso, la
chiamata di Vicki, la paura che aveva avuto. Tutto.
Sollevò il capo in direzione del padre e si accorse,
con paura, che il suo sguardo riluceva di rabbia. Di rado l’aveva visto così in
collera. Arretrò d’istinto.
“Ricki, cristo, fuori di qui.” ringhiò ancora una
volta Tyler, indicando le scale con un gesto fermo del braccio. “Se me lo fai
ripetere ancora una volta, giuro che fuori ti ci mando io!”
Ricki annuì. Gli rivolse un’ultima occhiata
apprensiva e gli diede le spalle, allontanandosi con Jeffrey al seguito. Tyler
sospirò, recuperando con calma il controllo su se stesso. L’eccesso di rabbia
sfumò lentamente nella stanchezza mista a nervosismo che gli aveva fatto
compagnia per i venti minuti di veglia precedenti all’arrivo del figlio. Stava
cercando una sedia, quando il cellulare incominciò a vibrare. Lo estrasse in fretta
dalla tasca e controllò rapidamente il display: era sua moglie.
“Ehy…” il timbro pacato della voce di Lydia riuscì
a lenire in parte la sua rabbia “Hai parlato con Caroline?”
“Ha il cellulare spento…” rispose Tyler, tornando a
fissare la porta della sala operatoria. “Penso si sia sentita male anche lei.”
“Ha chiamato proprio adesso Elena. Caroline è a casa
sua con Liz e Matt, Elena lo sta chiamando per avvertirli; Caroline arriverà
presto.”
Tyler annuì. Esitò un istante, prima di rivolgersi
nuovamente alla donna.
“Mase sta bene?” domandò a quel punto.
“È qui vicino a me.” rispose Lydia. “Gli vuoi
parlare?”
Tyler si irrigidì. Strinse con più forza il
cellulare, cercando di convincersi a parlare con il figlio, ma alla fine ci
rinunciò.
“Digli che andrà tutto bene.” si limitò a
comunicare, posandosi stanco una mano sul volto.
Mi dispiace, aggiunse
mentalmente in silenzio, prima di chiudere la chiamata.
And
you can't tell
I'm scared as hell
Cause I can't get you on the telephone
Lullaby.Nickelback
***
Fell attraversò in fretta la strada per raggiungere
il luogo dell’incidente, l’espressione guardinga a esaminare la macchina che
aveva causato il tutto, il cellulare appoggiato all’orecchio.
“Sì, sono già qui.” spiegò al suo interlocutore,
sorvolando sul motivo per cui avesse impiegato così poco a raggiungere quella
zona. “Ero sulla strada.” si limitò ad aggiungere, camminando vicino alla
macchia di sangue di fronte alla vettura. “Chi è stato investito?”
“Un certo Jerome Clay.” comunicò il suo collega dall’altro
capo del ricevitore. Fell fece una smorfia incredula.
“Il vagabondo?” sbottò spiccio, scoccando
un’occhiata di sfuggita alla sua auto: si assicurò che la scatola recuperata
dai Lockwood non fosse individuabile, sbirciando attraverso il finestrino.
“Sì, è un senzatetto che bazzica spesso da quelle
parti.” confermò l’altro. “Diciamo che in parte se l’è cercata, era
completamente ubriaco.”
“È morto?” domandò a quel punto Fell, frugandosi in
tasca con la mano libera alla ricerca di una sigaretta.
“Non ancora.” dichiarò il collega con un barlume di
esitazione, mente controllava gli ultimi messaggi che gli erano arrivati. “Lo
stanno operando, ma a quanto pare è davvero mal ridotto.”
“Chi ha causato l’incidente?” chiese ancora lo
sceriffo, analizzando la vettura ferma in mezza alla strada con una punta di
sospetto nello sguardo: conosceva quella macchina.
“Ah, non ci crederai mai.” ribattè il suo interlocutore,
facendo una pausa, per fomentare la curiosità dell’altro uomo. “Tyler
Lockwood.” dichiarò infine.
Fell si fermò di scatto.
“Lockwood?” sbottò di rimando. Tacque un istante,
per ascoltare le parole del collega dall’altro capo del ricevitore.
“Proprio così. Stava portando a casa il figlio da
una festa e pare che Clay sia sbucato fuori all’improvviso.”
La sua espressione inquieta, venne d’un tratto
velata un alone di consapevolezza.
“A che ora è successo tutto questo?” domandò in
fretta, spostando lo sguardo in direzione della tenuta dei Lockwood. Sorrise in
maniera appena percettibile, quando il collega gli comunicò la sua risposta.
“Saranno stati quaranta, quarantacinque minuti fa.”
Fell ignorò la sfumatura di incertezza nel tono di
voce dell’uomo e fece rapidamente mente locale: l’orario coincideva, bene o
male, con il momento in cui la figlia dei Donovan lo aveva sorpreso nel cortile
dei Lockwood. Che il dispositivo avesse funzionato sul serio? In tal caso, se
Lockwood ne era rimasto affetto, significava che le ricerche di Bill Forbes
erano corrette? I Lockwood erano oppure no afflitti da una maledizione?
“Qualche testimone, oltre al ragazzo e a Clay?”
chiese ancora una volta, tornando a dirigersi in direzione della sua macchina.
“Nessun testimone.” ribattè pronto il suo
interlocutore.“Il resoconto di Lockwood regge, comunque.Clay
non ha attraversato sulle strisce e gli è andato addosso.”
“Era sicuramente oltre i limiti di velocità…”
obiettò ancora Fell, scoccando un’ultima occhiata pensierosa all’auto di Tyler.
Il collega esitò un attimo, prima di rispondere.
“Mi dispiace.” commentò infine, mentre lo sceriffo
si affrettava a recuperare le chiavi della sua auto. “Non so proprio dirti di
più.”
Si salutarono e Fell chiuse la chiamata. Una volta
entrato in macchina si chinò per recuperare la scatola che aveva infilato sotto
uno dei sedili; ci sbirciò dentro, rimuginando sull’incidente. A quanto
scriveva Forbes nelle sue ricerche, per scatenare la maledizione dei Lockwood
era necessario compiere un omicidio. Né lui, né gli altri membri del Consiglio
erano riusciti a verificare se Tyler Lockwood avesse mai provocato la morte di
qualcuno. A quel punto, l’unica cosa che potevano fare era attendere: se Jerome
Clay fosse morto quella notte in ospedale, investigare sul passato di Lockwood
non sarebbe più stato necessario.
***
Please
let me take you
Out of the darkness and into the light
Cause I have faith in you
That you're gonna make it through another night
Lullaby.
Nickelback
Lydia appoggiò il cellulare sul comodino,
lasciandosi sfuggire un sospiro. Si sedette sul letto del figlio minore e
appoggiò con tenerezza una mano sul capo del ragazzo, per fargli una carezza;
Mason non reagì. Rimase immobile, ancora rannicchiato su un fianco, lo sguardo
impassibile puntato contro il muro. Tremava.
“Hai freddo, tesoro?” domandò la donna, accentuando
la preoccupazione sul suo volto. “Fammi controllare il taglio sull’occhio.”
Si chinò leggermente, per esaminare la fronte del
ragazzo; durante l’urto contro il volante, Mase si era provocato un taglietto
all’altezza del sopracciglio. Era una ferita superficiale, risolta con pochi
punti e un paio di raccomandazioni da parte degli infermieri. Mason aveva
voluto lasciare l’ospedale il prima possibile e non appena arrivato a casa era
corso a rifugiarsi in camera sua; non si era mosso da allora. Se ne stava in
silenzio e, di tanto in tanto, tirava su col naso. Lydia aveva continuato a
fargli compagnia, gli occhi tristi che lo vegliavano con tenerezza, il cuore in
conflitto tra la fiducia e il dolore. L’apprensione le velò il volto, nel
riconoscere tutto quello smarrimento nei silenzi, nel volto di suo figlio.
Sapeva che qualcos’altro di ben più grave stava lottando per mettere a rischio
il futuro di Mason, ma in quel momento faticava a prestare ascolto a quei
pensieri. Era rannicchiato su se stesso, tirava su col naso e tremava. Era
spaventato; l’unica cosa di cui Lydia voleva occuparsi, era cercare di stargli
vicina.
“Morirà, vero?” lo sentì domandare dopo una decina
di minuti; lo sguardo del ragazzo era ancora puntato contro il muro. “Morirà.
L’ho ucciso.” lo disse in tono di voce secco, ma Lydia avvertì distintamente un
principio di esitazione tra le sue parole.
“Starà bene, vedrai.” cercò di rassicurarlo,
accarezzandogli la schiena con dolcezza. “Non è stata colpa tua, Mase.” Mason
colpì il muro con le nocche.
“S-Sì che è stata colpa mia!” sbottò, alterando il
tono di voce. “C-Chi stava guidando?” ringhiò, inciampando nelle sillabe
iniziali della prima parola. “C-Chi, chi non ha fermato la macchina in tempo?
Io!” .
“No, Mase…”
Lydia mormorò scuotendo il capo, le mani a circondare
con fermezza le spalle di suo figlio. Sospirò, appellandosi al barlume di
controllo che ancora non aveva ceduto terreno allo sconforto.
“Non è stata colpa tua.” ripeté decisa, scandendo
lentamente le parole. Mase tornò ad affondare il capo nel cuscino, lo sguardo
nuovamente aggrappato alla parete, ferito e disilluso.
“Combino sempre casini.” mormorò infine, scuotendo
appena il capo, le lacrime a rigare silenziose il suo volto. “P-Perché…”
“Shhhh…” la madre cercò di tranquillizzarlo, prima
di chinarsi ulteriormente per abbracciarlo. “Andrà tutto bene.” lo rassicurò
con dolcezza. “Non ci pensare per ora, andrà tutto bene.”
“P-perché sono sempre io a combinare c-casini?”
insistette Mason, tornando ad alzare il tono di voce. “P-perché, perchè faccio
così schifo, perché?”
“Ehi!” Lydia lo rimproverò in tono di voce fermo,
stringendosi maggiormente a lui. “Basta così. In questa famiglia non c’è
nessuno che fa casini e non c’è nessuno che fa schifo. Sono stata chiara?” domandò,
alzando appena il tono di voce. Ma si sentì a pezzi nell’individuare le lacrime
che rigavano le guance del figlio.
Stop
thinking about
The easy way out
There's no need to go and blow the candle out
Mase non rispose; rimase in silenzio per qualche
istante, prima di inspirare con forza, voltandosi in direzione della madre.
“S-Sono quello uscito peggio dei tre.” ammise.
infine Lydia negò prontamente.
“Questo non è vero.” ribattè con fermezza.
“I miei fratelli …”
“Ricki e Caroline hanno tanti difetti, quanti ne hai
tu.” lo interruppe la madre, prima di tornare ad accarezzargli i capelli. “E vi
amiamo anche per questo, lo sai?” aggiunse con dolcezza. “Tutti e tre alla
stessa maniera. Puoi ‘combinare tutti i casini’ che ti pare, Mason Lockwood:
per quanto ci riguarda, io e tuo padre continueremo a considerarti una delle
tre cose più belle e importanti che ci siano mai capitate. E nessuna di queste
tre è uscita peggio rispetto alle altre due. Perciò non dire mai più una cosa
del genere, perché è la sciocchezza più grande che abbia mai sentito.” aggiunse,
chinandosi per baciargli il capo. “Ti voglio bene, Mase.”
Mason annuì, lasciandosi ricadere nuovamente sul
cuscino. Inspirò a fondo più volte, cercando di riprendersi.
“Ho deluso papà.” ammise ancora infine, stanchezza e
sensi di colpa mescolati nel suo sguardo. Lydia scosse il capo con decisione.
“Non dirlo nemmeno per scherzo.” lo contraddisse con
dolcezza, tornando ad accarezzagli il capo. “Tuo padre è solo preoccupato per
te. Vuole che tu stia bene, solo questo.” lo rassicurò.
Mase si decise finalmente a voltarsi, per ricambiare
lo sguardo della madre. Le lacrime ancora presenti e lo smarrimento rappreso
fra quei lineamenti generalmente fermi e scostanti le infusero ancora più
tristezza.
“E, e allora, perché non è qui?” domandò Mase a bassa
voce, accennando a una smorfia, nel sentirsi inciampare di nuovo sulle prime
sillabe.
Lydia sospirò. Il suo sguardo accarezzò con
tenerezza i lineamenti del suo ultimogenito, un barlume di tristezza
incastonato fra gli occhi chiari; pensò a suo marito, al tono di voce stanco e
risentito con cui le aveva parlato al telefono e la fiducia che l’aveva
sostenuta fino a quel momento vacillò.
“Tornerà non appena i medici usciranno dalla sala
operatoria.” lo tranquillizzò un’ultima volta. “Adesso, però, cerca di dormire
un po’.” aggiunse infine, alzandosi in piedi. Mase annuì, passandosi con un
gesto brusco il dorso della mano sulle guance. Chiuse gli occhi, tornando a
girarsi su un fianco. Non aveva più voglia di pensare,né di battersi
per cercare di evidenziare alla madre i problemi in cui finiva per invischiarsi
ogni volta che metteva piede fuori casa. Si sforzò di prendere sonno
augurandosi, in silenzio, che al suo risveglio non ci sarebbe stato più nulla
di cui preoccuparsi. L’uomo che aveva investito sarebbe sopravvissuto
all’intervento. Il mal di testa sarebbe scomparso. Il senso di colpa sarebbe
scivolato via dal suo stomaco.
Lydia lo osservò dormire per un po’, incapace di
abbandonare la stanza. Recuperò il telefono dal comodino e lo strinse forte,
interrogandone lo schermo vuoto con lo sguardo. Si chiese come stessero
procedendo le cose in ospedale; se Caroline avesse raggiunto Tyler, se in quel
momento si trovasse in sala operatoria, o se non fosse arrivata in tempo. Si
sforzò di sfuggire a quei pensieri e tornò a sedersi sul letto di Mason. Gli
fece ancora una carezza, il cuore conteso tra l’apprensione e la tristezza.
Andrà tutto bene, Mase. Pensò
fra sé, cercando di infondersi fiducia; così ad occhi chiusi, rannicchiato su
un fianco, suo figlio le sembrava ancora più bambino di quanto già non fosse.
Il suo bambino.
Non gli sarebbe successo nulla. Non doveva
succedergli nulla. Lei non l’avrebbe permesso.
Andrà tutto bene.
Because you're not done
You're far too young
And the best is yet to come
Lullaby.Nickelback
***
Si accorse che Mason si era
arrampicato su una sedia
e aveva preso a sbirciare fuori dalla
finestra con aria preoccupata.
“Ehi giovanotto.” lo richiamò,
raggiungendolo.
“È ora di andare a nanna.”
Mason scosse il capo lentamente,
voltandosi in direzione del padre.
“Lu-lupi.” mormorò con aria spaurita
indicando la luna.
“Nessun lupo verrà a darti fastidio
questa notte.”
lo rassicurò Tyler, accarezzandogli
il capo con tenerezza..
“Te lo prometto.”
da She’s
watching over us.
Di tutti i posti in cui non aveva messo più piede a
Mystic Falls, il reparto di terapia intensiva dell’ospedale era di certo
l’ultimo che avrebbe scelto di visitare per darsi una rinfrescata alla memoria.
Caroline Forbes stava rimuginando qualcosa di simile
nel momento in cui raggiunse il corridoio che portava alla sala operatoria.
Individuò subito Tyler, lo sguardo chino e le mani intrecciate appoggiate alle
labbra, seduto a pochi metri di distanza da lei.
“Tyler!” esclamò a quel punto, correndogli incontro.
“Scusa il ritardo, non so che cosa sia successo… ho sentito un dolore
fortissimo alla testa e sono svenuta.” spiegò in fretta, prima di rivolgergli
un’occhiata apprensiva. “È successo anche a te? Matt mi ha detto che stavi
guidando e che hai avuto un incidente…”
Tyler non rispose; si passò una mano sotto il mento
e inspirò con forza, appoggiando la schiena al muro. Caroline si morse un
labbro, marcando l’esitazione nel suo sguardo. “Mi ha detto anche che qualcuno
è stato investito.” aggiunse con delicatezza. “È in sala operatoria? Posso
salvarlo.”
Tyler scosse il capo un paio di volte, prima di
convincersi a incrociare lo sguardo di Caroline.
“Troppo tardi.” ammise in tono di voce atono,
tornando poi a scrutare la parete di fronte a sé. “È morto.”
La decisione tratteggiata nel volto di Caroline
scomparve; la ragazza si sedette accanto a lui.
“Tyler…” lo richiamò, analizzando tristemente la
sua espressione afflitta. Cercò di immaginare che cosa stesse provando;
entrambi avevano ucciso più di una volta, entrambi non avevano avuto scelta:
eppure, quella consapevolezza non placava del tutto il senso di colpa . “È
stato un incidente; tu non potevi fare nulla. Di sicuro ti è capitata la stessa
cosa che…”
“Caroline.” la interruppe Tyler bruscamente, squadrando
con decisione la ragazza. Rimase in silenzio per qualche istante e i suoi occhi
si spensero di nuovo, mentre l’uomo riprendeva a parlare. “Non sono stato io a
investire quell’uomo.”ammise infine, un’ incrinatura a spezzare il
tono di voce. Caroline scosse appena il capo con aria confusa, non riuscendo
capire.
“Che cosa?”
“È stato Mase.” ammise infine Tyler, abbassando il
tono di voce e indirizzando un’occhiata furtiva al corridoio. “Era Mase che
stava guidando, lui ha avuto l’incidente. È stato Mason a uccidere quell’uomo.”
ribadì infine, passandosi una mano sugli occhi. “Mase; mio figlio quindicenne.
Non sono nemmeno stato capace di…” si interruppe, notando lo stupore e
l’avvilimento nello sguardo di Caroline. “…strappargli via il volante di mano.
Non ho fatto nulla.” concluse.
La ragazza scosse il capo lentamente, sorpresa e
turbata al tempo stesso. Ripensò agli avvenimenti di quella sera; ricordò la
conversazione che aveva avuto con Mason meno di una manciata d’ora prima. Evocò
la sua iniziale diffidenza nel momento in cui l’aveva avvicinato, i sorrisi che
era riuscita a strappargli. L’aria distesa, da ragazzino qualunque, che per la
prima volta aveva colto a piegare i suoi lineamenti. Nel ricordarlo così
tranquillo e sereno a poche ore di distanza da quel momento, il suo sgomento si
estese. Quello che gli stava raccontando Tyler era ingiusto; terribile ed
ingiusto. Sia per lui, sia per Mason.
“Lui lo sa?” domandò infine con un filo di voce,
tornando a rivolgere lo sguardo verso l’amico. L’uomo riprese a fissare il pavimento
con aria assente.
“Non sa nulla.” rivelò in tono di voce asciutto,
prima di sospirare una seconda volta. “Già è sconvolto così, figuriamoci quando
dovrò parlargliene.”
“Starà bene, Tyler.” lo rassicurò Caroline cercò di
dimostrarsi fiduciosa; gli appoggiò una mano sull’avambraccio. “Tu eri da solo
quando hai scatenato la maledizione. Mason ha te.”
Lo osservò irrigidirsi nel sentirla pronunciare
quelle parole. Fino a quel momento, Tyler si era rifiutato di nominare a voce
alta la direzione brusca che aveva preso quella sera il destino di suo figlio.
La parola ‘maledizione’ lo schiaffeggiò con violenza, costringendolo ad
affacciarsi alla realtà dei fatti.
“Ha suo padre…” gli ricordò Caroline, facendo
pressione sul suo braccio. Esitò, nel riconoscere con esitazione la rabbia
farsi strada tra i lineamenti dell’uomo.
“Sì, e che razza di padre sono?” ringhiò
all’improvviso Tyler, alzandosi bruscamente. “Uno che porta il figlio a guidare
di notte, perché non riesce trovare nemmeno dieci minuti per farlo di giorno!
Gli sono stato addosso per mesi, ma questa sera era seduto lì vicino a me e non
ho potuto fare nulla per aiutarlo. Non sono nemmeno riuscito a guardarlo negli
occhi, mentre scatenava la maledizione: Jerome Clay è morto dieci minuti fa e
io non ero a casa con lui. Non lo sono nemmeno ora! Sono ancora qui, perché so
che una volta fuori dovrò spiegargli tutto. E non posso farlo, non so come
farlo. Non ce la faccio.” concluse, incrinando il tono di voce e non riuscendo
più ad aggiungere altro. Sbuffò, appoggiando una spalla alla parete e chinando
lo sguardo per sfuggire a quello apprensivo di Caroline.
“Non ha nemmeno sedici anni.” mormorò infine fra sé
tornando a sedersi, i lineamenti del volto contratti a respingere la nota di
dolore intrappolata nel suo sguardo. La ragazza gli posò nuovamente una mano
sul braccio, dispiacere e apprensione a contendersi il suo volto.
“Hai sempre fatto il possibile per cercare di
proteggere i tuoi figli. Soprattutto Mason.” affermò. “L’incidente che avete
avuto questa sera non era prevedibile; è successo e basta. Tu non hai colpa,
così come non ne ha Mase.”
Tacquero entrambi per qualche minuto, prima che
Caroline riprendesse a parlare.
“Starà bene, Tyler.” lo rassicurò ancora una volta,
guardandolo con dolcezza. “Non sarà facile… non lo è stato neanche per te. Ma
ce la farà, come ce l’hai fatta tu.”
L’uomo scosse il capo più volte.
“Lui non è me.” le ricordò a quel punto,
riavviandosi i capelli con un gesto stanco della mano. “Mason è…” si
interruppe, non sapendo bene come proseguire. Tutto ciò che avrebbe potuto
aggiungere per completare la frase impallidiva, di fronte al pensiero di ciò
che avrebbe dovuto affrontare suo figlio ad ogni luna piena. “…penso che ormai
tu abbia capito che tipo di persona sia.”
“Lo aiuteremo.” riprese Caroline in tono di voce fermo,
e guardandola, Tyler riscontrò nel suo sguardo un rinnovato barlume di fiducia:
per un attimo gli ricordò la Caroline che gli aveva dato una mano diversi anni
prima, la sera in cui lui stesso aveva scatenato la maledizione; anche quella
volta lei era rimasta con lui: lo aveva guardato allo stesso modo in cui lo
stava fissando in quel momento.
“Mason non è solo, Tyler.” ripeté la ragazza,destandolo
dai suoi pensieri. “Ci sei tu, c’è Lydia. Ci sono i suoi fratelli. E io
manterrò fede alla mia promessa.” aggiunse, tornando a scrutarlo con determinazione.
“Ho detto che l’avrei tenuto d’occhio e intendo continuare a farlo. Lo
proteggeremo.”
Quelle parole risvegliarono in Tyler un improvviso
campanello d’allarme. Qualcosa che fino a quel momento aveva accantonato in un
angolo risalì in superficie, mentre le sue iridi tornavano a cerchiarsi di
decisione.
“Nessuno deve sapere che è stato Mase a provocare
l’incidente.” dichiarò con fare risoluto. “Ero io che stavo guidando. Sono io
che ho perso il controllo dell’auto.”
La ragazza annuì.
“Pensi che il Consiglio c'entri qualcosa con quello
che è successo questa sera?” domandò, preoccupata. “Mia madre e Matt credono
che Fell stia cercando di ripristinarlo”.
Tyler si passò una mano sotto il mento.
“Non lo so.” ammise infine, recuperando il cellulare
dalla tasca e controllando il display: il numero di messaggi non letti era
aumentato rispetto a quando aveva controllato per l’ultima volta; ce n’erano
alcuni di Matt e uno di Jeremy, ma gli altri erano tutti di Ricki. Si chiese se
i suoi figli fossero sul punto di addormentarsi o se lo stessero aspettando
entrambi, in attesa di risposte. Pensò a sua figlia Caroline e fu grato al
pensiero di sapere almeno lei al sicuro e all’oscuro di tutto. “Sono preoccupato.”
continuò, tornando a rivolgersi alla ragazza. “Ricki ha avvertito il dolore
alla testa, così come me e Mase. Così come te. Questa cosa mi fa pensare alle
streghe, più che al Consiglio.”
“Ci avevo pensato anch’io.” ammise Caroline,
alzandosi in piedi e incominciando a camminare avanti e indietro per il
corridoio. “Ma non ha senso…”
Tyler ripose il cellulare nella tasca e sbuffò,
annunciando qualcosa che avrebbe voluto dire già da un po’.
“Penso che Fell sappia della maledizione…” spiegò,
portandosi le braccia sul petto. “Ci sta osservando da mesi; se ne è accorto
persino Ricki ed è stato qui due settimane appena. Fell è arrivato perfino a
fare il terzo grado a mia madre; se sa di noi, può darsi che sappia anche come
si scatena la maledizione. Per questo…” incominciò, cambiando bruscamente
espressione. Il suo sguardo si fece nuovamente teso. “…devono pensare tutti che
sia stato io a provocare l’incidente.” ribadì in tono di voce deciso. “Mase
sarà al sicuro fintantoché crederanno che a uccidere quell’uomo sia stato io.”
“Non gli accadrà nulla.” lo rassicurò Caroline. Addolcì
la sua espressione nel notare il suo rinnovato nervosismo e l’insistenza con
cui Tyler aveva ripreso a tirare fuori il cellulare dalla tasca. “Adesso vai a
casa.” lo incoraggiò, posandogli una mano sulla spalla. “Va’ da lui.”
L’uomo annuì brevemente, seppur restio ad abbandonare
l’ospedale. Aveva paura e la vergogna continuava a pungolarlo con insistenza
per questo. Aveva paura di guardare in faccia Mase, e di ammettere a sé stesso
che non avrebbe potuto aiutarlo, non questa volta. Non sapeva che cosa avrebbe
potuto dirgli per rassicurarlo, per farlo stare meglio. Si alzò ugualmente,
volgendo appena il capo per incrociare lo sguardo di Caroline.
“Grazie.” le disse semplicemente. Caroline gli
sorrise.
“Passo a controllare la zona dell’incidente, prima
di tornare a casa.” lo rassicurò, raggiungendolo per abbracciarlo. “Chiamami
domani, fammi sapere come sta Mason.” aggiunse. L’uomo annuì.
“Buonanotte, Caroline.” la salutò, prima di
abbandonare il corridoio e di dirigersi verso le scale. Non appena uscì
dall’ospedale, il suo sguardo saettò istintivamente verso l’alto: la luna era a
malapena visibile quella sera, eppure a Tyler la sua luce parve più luminosa e insistente
che mai. Avvertì il suo peso gravargli sulle spalle e improvvisamente accelerò
il passo in direzione della tenuta dei Lockwood, deciso a raggiungere casa –
suo figlio - il prima possibile.
If you can hear me now
I'm reaching out
To let you know that you're not alone
Lullaby.Nickelback
***
“Stai bene?”
Lydia domandò, non appena distinse la sagoma del
marito nel corridoio. Tyler annuì brevemente. Abbracciò forte sua moglie e
avvertì la tensione e il nervosismo allentare appena la presa. Lydia era così:
quando lo toccava, quando lo stringeva, gli infondeva sicurezza; spesso sapeva
essere abbastanza forte per tutte e due. Ma non quella notte; in quel momento,
c’era bisogno che lo fosse anche lui. Si voltò a fissare la porta che dava alla
camera di Mase: Lydia era rimasta sulla soglia fino all’arrivo del marito.
“Ti sta aspettando.” gli sussurrò la donna con
dolcezza. “Vai.”
Tyler annuì. Aprì la porta e, aguzzando lo sguardo
nell’oscurità della stanza, individuò all’istante il profilo del suo figlio
minore. Mase era accovacciato sul letto, le spalle appoggiate al muro e le
braccia a cingersi le ginocchia.
“Papà?” domandò esitante, aggrottando le
sopracciglia e guardando meglio, per assicurarsi che fosse lui. Tyler si
sedette sul letto accanto al ragazzo.
“Sì, sono io.” lo rassicurò, tendendo una mano nel
buio per sfiorargli una spalla. Lo sentì tremare; notò anche che respirava con
forza, quasi avesse il fiatone.
“Stai bene?” domandò, aumentando la pressione sulla
sua spalla. Mase esitò, prima di rispondergli.
“Ho rotto la lampada.” ammise infine, indicando il
comodino con un cenno nervoso del capo, nonostante fossero al buio. “Non so
come abbia fatto. Mi sono alzato di scatto perché mi girava di nuovo la testa.
Mi bruciavano gli occhi, volevo accendere la luce.”
“Non fa niente...”
“Ho cercato l’interruttore e quando ho premuto il
bottone di accensione… l’ho rotto. Si è aperto in due. E poi mi è venuta voglia
di rompere anche il resto. Ero arrabbiato, non lo so perché, non capisco che…”
“Non importa, Mase.” cercò di ribadire il padre, ma
il ragazzo proseguì ugualmente.
“Credo che mi sia successo qualcosa.” ammise a quel
punto, stringendosi nelle braccia. “M-mi fa male la testa, mi fanno male gli
occhi, bruciano. Fo-forse è successo quando ho sbattuto contro il volante.
F-forse dovrei tornare in ospedale.”
“Hai solo bisogno di riposare.” lo rassicurò il
padre, continuando a stringergli la spalla; un po’ più forte, per cercare di
mantenersi calmo. Tentò di parlargli, di spiegarli, ma non fu in grado di aggiungere
nulla. “Stai tremando.” costatò infine.
“Sì.” ammise il figlio.
“Hai freddo?”
“No.”
“Hai paura?”
“Non lo so!” esclamò infine Mason, lasciando
ricadere il capo all’indietro, per appoggiarsi alla parete. “Non lo so. Non so
se ho paura o se sono arrabbiato… non so perché mi brucino gli occhi, non so
perché mi faccia male la te…”
Si interruppe, passandosi una mano sulla fronte.
Tyler cercò di distinguere i suoi lineamenti al buio.
“Papà, i punti…” mormorò a quel punto il ragazzo,
passandosi una mano sul sopracciglio ferito. Il padre sospirò. “Il ta-taglio
che avevo sulla fronte; no-no-non lo sento più.”
Tyler smise di stringergli la spalla e sfiorò il
capo del figlio con la mano, alla ricerca di una ferita che non c’era più. Si
soffermò a passargli una mano fra i capelli e le lacrime che fino a quel
momento non c’erano state gli rigarono traditrici una guancia. Aveva voglia di
avvicinarselo maldestramente al petto, di prenderlo in giro e arruffargli i
capelli, come faceva quando era bambino. Come quando il figlio stringeva la
mano a pugno attorno alla manica della sua camicia, per sedare le sue paure.
Aveva voglia di ridere, di sdrammatizzare, per riuscire a strappargli a sua
volta un sorriso. Voleva recuperare uno di quei momenti in cui era riuscito a guardarlo
e negli occhi e dirgli che gli voleva bene. Spiegargli che non c’era bisogno di
avere paura di tutto, perché non c’era creatura al mondo che avrebbe potuto
ferirlo: perché Mase era suo figlio, e perché lui era suo padre. Lui non
l’avrebbe permesso. Voleva promettergli ancora una volta, come aveva fatto più
volte in passato, che nessun lupo si sarebbe mai avvicinato a lui: ma sarebbe
stata una menzogna.
Perciò non lo fece. Non fece nulla di tutto questo.
Si limitò a tacere, la mano ancora appoggiata sul
suo capo, e quando Mason si voltò a fissarlo intuì all’istante che le cose non
sarebbero andate meglio. Qualcosa era successo: suo padre gli aveva mentito.
Tutti gli avevano mentito.
“C-Che mi sta succedendo?” chiese in tono di voce
flebile, la paura disegnata tra i suoi occhi.
Tyler non seppe rispondergli: tutto ciò che riuscì a
pronunciare, fu l’ennesimo “mi dispiace”.
Richmond,
Virginia Commonwealth University.
Julian stiracchiò svogliatamente un braccio per
interrompere la suoneria della sveglia e si voltò dall’altra parte. Venti
minuti più tardi scattò sull’attenti, ricordando all’improvviso cosa aveva in
programma di fare quella mattina. Si sollevò a sedere sbadigliando, la mente
ancora rivolta alla telefonata che aveva avuto con la sorella la sera
precedente. Autumn non si era fatta sentire all’orario stabilito e nemmeno più
tardi, quando, preoccupato, aveva tentato di cercarla sul cellulare. Alla fine erano
riusciti a scambiarsi due parole su Skype in tarda nottata, ma nessuno dei due
aveva ancora toccato l’argomento ‘magia’, nonostante ci avessero entrambi
girato attorno più volte; anche se non poteva averne la certezza, Julian si era
convinto dal modo in cui gli aveva parlato che a Autumn fosse sul serio
successo qualcosa legato alla magia. O forse, era solo quello che avrebbe
desiderato accadesse. Non conoscere nessun altro che fosse come lui era spesso
frustrante, per Julian. Amava quell’aspetto di sé, per quanto fosse a malapena
in grado di usarlo e prendersene cura: gli sarebbe piaciuto avere qualcuno con
cui condividerlo, con cui confrontarsi ed esercitarsi. Se Autumn era una
strega, la faccenda avrebbe di certo giovato al loro rapporto.
Non essendo riuscito a discutere con lei di magia,
non aveva nemmeno avuto la possibilità di parlarle del grimorio, per chiederle
di trovare l’incantesimo che stava cercando. Intestardito dall’assenza di
novità, una volta chiusa la chiamata con la sorella, aveva tirato nuovamente
fuori dal cassetto il suo quaderno di formule. L’aveva esaminato per una buona mezzora,
ignorando l’ora tarda, e alla fine era riuscito a individuare una formula che
avrebbe potuto essergli utile. Stando quello che aveva scritto, serviva a
ritrovare cose o persone che avevano qualcosa in comune – parenti, oggetti
dello stesso materiale e forse, Julian ci sperava, anche due stregoni. Aveva
deciso di fare un tentativo quel mattino, sapendo che il professor Ringle si
sarebbe sicuramente diretto al pub la mattina presto. Per quello aveva puntato
la sveglia, ma come al solito la puntualità non era stata dalla sua nemmeno
quel giorno.
Si vestì in fretta e si ricordò di prendere le
chiavi per un soffio, prima di uscire sul pianerottolo. Nel raggiungere il bar,
incominciò a sentirsi nervoso; era deciso a scoprire se Ringle fosse uno
stregone o no, ma in fondo non aveva idea di cosa avrebbe fatto in caso la
risposta fosse stata sì. Gli avrebbe parlato? In fondo, forse avrebbe fatto
meglio a tenersi distanza da lui, visto ciò che era successo il giorno del
compito in classe. Julian diede una scrollata di spalle e si intrufolò nel pub.
Scrutò i vari clienti seduti al tavolo e individuò facilmente l’insegnante di
chimica seduto verso la fine del locale.
“Non eri a riposo, tu?” una voce brusca lo richiamò
dai suoi pensieri. Arielle lo superò camminando spedita, il vassoio in bilico
sulle mani. Il castano-rossiccio naturale dei suoi capelli era stato sostituito
di recente da un rosso acceso che spiccava vivace sulla divisa da lavoro,
rendendola riconoscibile anche a parecchi metri di distanza.
“Ciao anche a te!” la salutò in risposta Julian,
ormai abituato all’atteggiamento ostile della ragazza. Tirò fuori le mani
dalla tasca e focalizzò nuovamente l’attenzione sull’insegnante, la formula
bene a mente. Per far si che l’incantesimo funzionante, c’era bisogno che i due
elementi analizzati si toccassero. Doveva fare in modo che Ringle avesse un
contatto con lui. Si affrettò a correre in bagno per infilarsi la camicia della
divisa.
“Ehy, Krew!” si rivolse a uno dei colleghi di lavoro
una volta tornato nella sala principale. “Sono appena arrivato per il turno.” spiegò,
sicuro che il compagno non avrebbe trovato nulla da ridire, al contrario di
Aria. “Che porto al professore all’ultimo tavolo? Mi ha chiesto di sbrigarmi a
servirlo e in maniera non proprio carina. ” Krew, che aveva appena attraversato
il bancone, gli porse il suo vassoio.
“Tieni.” dichiarò, prima di avviarsi verso la
cucina. “Meglio tu che io.” Julian sorrise fra sé; si aggrappò istintivamente
ai manici di plastica e incominciò a dirigersi verso Ringle, l’incantesimo da
formulare ben impresso in mente; il fruscio non tardò a farsi sentire.
Non sapeva bene cosa sarebbe successo, una volta che la sua mano avesse
sfiorato il braccio con l’insegnante, ma tanto valeva provarci: pronunciò
mentalmente la formula quando ormai aveva quasi raggiunto l’uomo e siinnervosì,
quando si accorse che il professore aveva preso a fissarlo. Gli rivolse
un’occhiata insospettita e Julian perse per un attimo la concentrazione. Superò
l’ultimo metro che lo separava dal tavolo di Ringle.
“Ecco qui.” esclamò, appoggiando il vassoio sul
tavolo, in maniera che fosse particolarmente vicino al braccio del professore.
La sua mano era sul punto di toccarlo, quando il suo gomito incominciò a
tremare: qualcuno lo aveva afferrato per il braccio.
“Che cosa…” mormorò fra sé, mentre la persona lo
trascinava lontano dai tavoli, il tremore al braccio ancora presente: quella
sensazione gli ricordava incredibilmente il fruscio. La magia
sbatacchiava contro la sua pelle, cercando di entrare in contatto contro quella
della persona che lo aveva afferrato per il gomito; era una ragazza dallo
sguardo immusonito che camminava rapida, senza degnarlo di uno sguardo: Aria.
“Sei una strega?” domandò a quel punto Julian,
rivolgendole un’occhiata incredula. Arielle lo zittì con un’occhiataccia e
continuò a guidarlo, fino a quando non furono fuori dal locale.
“Tu sei fuori di testa!” esclamò a quel punto,
portandosi le braccia sul petto. “Prima l’allarme anti-incendio e adesso
questo! Completamente fuori di testa!”
“Aspetta, aspetta…L’allarme anti-incendio?” Julian
la interruppe. “Sei stata tu a cercare di impedirmi di farlo partire?” Aria
strinse le labbra e non disse nulla. Julian continuò a fissarla, nella speranza
che aggiungesse altro. Ricordava di averla avuta come vicina di banco, il
giorno del test di chimica. La rosicchia-matite. La secchiona:
era lei la strega; Ringle non centrava nulla.
Inspiegabilmente, sorrise.
“Non dovresti impiegare i tuoi poteri per stupidaggini
come i compiti in classe.” commentò infine la ragazza, sistemandosi un ciuffo
di capelli che era sfuggito alla coda.
Julian le rivolse un’occhiata confusa.
“E per cosa dovrei usarli, allora?” Aria lo ignorò.
“Non dovresti nemmeno usarli in posti dove possono
vederti tutti.”
“Nessuno ha capito nulla di quello che è successo in
cla…”
“E poi che cosa stavi cercando di fare con Ringle?”
aggiunse ancora la giovane, continuando ad ignorare i suoi commenti. Julian
prese ad arrotolarsi il colletto della camicia con un dito.
“Pensavo fosse uno stregone.” ammise infine. Da
ostile, lo sguardo della ragazza si fece incredulo; alla fine, scoppiò a
ridere. Julian fu quasi sorpreso; era la prima volta che la sentiva ridere.
“Ringle uno stregone?” chiese la ragazza in tono di
voce divertito.
Il giovane annuì. “Perché no?” Aria scosse il capo
con aria incredula, ma non aggiunse altro.
“Da che stirpe di streghe discendi?” domandò infine,
prendendo a scrutarlo con aria di sufficienza. “Non ho mai sentito parlare dei
Morgan…”
“Mi madre è una Bennett.” spiegò Julian, abbozzando
un sorriso. La ragazza si irrigidì.
“Ah.” Si limitò a commentare, indirizzandogli un’occhiata
diffidente. Arretrò di un passo, sotto lo sguardo sbigottito del ragazzo.
“Adesso si spiega tutto.”
“Perché?” domandò un sempre più confuso Julian. “Che
cos’è che si spiega?”
“La mia antipatia nei tuoi confronti.” spiegò la
giovane, portandosi nuovamente le braccia al petto. “Sei un Bennett, per forza
non mi piaci.”
“Che c’è di male nell’essere un Bennet?” domandò
ancora Julian, sempre più confuso. “Tu da che famiglia discendi?”
La ragazza roteò gli occhi.
“Ma non sai proprio niente?” domandò a quel punto. “Da
generazioni, diverse famiglie di streghe sono ostili ai Bennett, perché voi
finite sempre per immischiarvi in faccende che non vi riguardano.”
“Beh, io non ne sapevo nulla.” ammise il ragazzo. “Mia
madre non mi ha mai raccontato molto sulla nostra discendenza; ma forse
potresti dirmi qualcosa tu.” azzardò.
Aria lo squadrò con aria diffidente, prima di
scuotere il capo, risoluta.
“Preferisco averci a che fare il minimo
indispensabile con te”. ammise infine, dandogli le spalle per tornare al
locale. Julian la afferrò per il polso.
“Per favore!” la pregò. Il gomito incominciò
nuovamente a tremarle. “Non conosco nessuno come me,oltre mia madre. Lascia che
ti faccia almeno qualche domanda; prendiamoci qualcosa, un caffè , e poi
prometto che ti lascerò in pace.”
Aria gli rivolse un’ultima occhiata indecisa, prima
di annuire.
“Possiamo incontrarci dopo il turno di lavoro.” acconsentì,
interrompendo bruscamente il contatto fra il suo polso e la mano di Julian. “Mezzora
e non di più.” ribadì, prima di allontanarsi in direzione del locale.
Il giovane continuò a sorridere, osservandola
allontanarsi.
“Non mi hai ancora detto da che famiglia discendi!”
le gridò dietro quando la ragazza aveva ormai raggiunto le porte del pub. Aria
si voltò per fulminarlo ancora una volta con lo sguardo.
“Non urlare!” lo rimbeccò, prima di scuotere il capo,
esasperata. “Di cognome faccio Walcot.” Spiegò, prima di scomparire all’interno
del locale.
***
Quel mattino, Ricki si svegliò con un forte mal di
testa e un nervosismo marcato, che lo spinsero ad uscire ancor prima che
Jeffrey si svegliasse. Percorse rapido il tragitto che lo separava dalla tenuta
dei Lockwood e una volta rincasato ignorò la porta di camera sua e quella di
Caroline per introdursi nella stanza di suo fratello: Mase stava ancora
dormendo. Rimase per un po’ nella sua stanza, analizzandolo con attenzione, per
assicurarsi che stesse bene; sembrava tranquillo e questo lo rincuorò
lievemente. Eppure, il nervosismo rimase. Il brutto presentimento trovò
conferma qualche minuto più tardi, quando Tyler lo raggiunse in camera di
Mason. Prese posto accanto a lui e lo guardò brevemente, prima di spostare la
sua attenzione verso il figlio più piccolo: Ricki non ebbe bisogno che il padre
aggiungesse nulla. Gli era bastato incrociare il suo sguardo per comprendere a
fondo quello che già aveva incominciato a intuire la sera precedente:
l’apprensione si trasformò in rabbia.
“Perché lui?” aveva domandato al padre più tardi,
nel pomeriggio. Calciò malamente la valigia ancora aperta in mezzo alla
stanza, dopo esserci inciampato per l’ennesima volta. “Perché il mio
fratellino?”
Tyler sedeva sul letto e lo osservava in silenzio,
le braccia incrociate sul petto, l’espressione tesa.
“Non lo so.” ammise infine, incrociando lo sguardo
del figlio. “Non lo so.”
Richard sospirò, decidendosi a lasciar stare la
valigia.
“Non gli hai detto ancora nulla, vero?” domandò,
guardando il padre dritto negli occhi. Tyler si sforzò di ignorare una fitta di
fastidio, nel notare nello sguardo del figlio una nota di rimprovero.
“Qualcosa.” ribattè secco, passandosi una mano fra i
capelli. “Non so bene come parlagliene; non è facile spiegare una cosa del
genere a un figlio. Io l’avevo scoperto da solo. Tu anche.” aggiunse, evitando
di ricambiare il suo sguardo.
Ricki scosse il capo con aria rassegnata, prima di
scavalcare la valigia, puntando alla porta.
“Dove stai andando?” domandò a quel punto il padre.
“A cercare il vecchio diario di tuo zio Mason.” rispose
Ricki, ricambiando il suo sguardo con aria determinata. Padre e figlio si
squadrarono per una manciata di secondi; infine, Richard si convinse a concludere
la frase. “Se non riesci a farlo da solo, allora glielo diremo assieme.”
***
"Those who cannot remember the past are
condemned to repeat it."
George
Santayana
“Allora?” Caroline sbirciò oltre la spalla di Xander
per individuare il voto sul suo compito di storia; il ragazzo voltò il plico di
fogli e fece una smorfia, soffermandosi sulle note finali del professore.
“Diciamo che è meglio del precedente.” ammise con
un sorrisetto imbarazzato, passandole il compito.
“D meno…” lesse ad alta voce la ragazza,
prima di rivolgergli un’occhiata di rimprovero. Xander diede una scrollata di
spalle.
“L’ultimo compito era una F più.” le ricordò,
incominciando a picchiettare sul banco con gli indici. “La storia non mi entra
in testa, non posso farci nulla.” proseguì poi. “È barbosa e mi fa venir voglia
di dormire. E poi non si parla nemmeno mai di cibo…”
“Mase potrebbe aiutarti.” ipotizzò la ragazza. Nel
notare l’espressione poco convinta dell’amico, gli diede un colpetto sul
braccio. “Cosa? Mio fratello piccolo è un genietto.” lo rimbeccò,
decisa. Xander sorrise.
“Secchione, non è esattamente sinonimo di genietto.”
ribattè Xander, riprendendo a picchiettare gli indici sul tavolo. “Oh, era
ora!” aggiunse, quando la campanella annunciò la fine della lezione. Caroline
tornò ad analizzare il compito di Xander con aria assente.
“Ad ogni modo, non penso che in questo momento sia
il caso di chiedere aiuto a Mase…” mormorò fra sé, ripensando all’espressione
atterrita con cui l’aveva salutata quel mattino; non era nemmeno andato a
scuola. Quando Caroline era rincasata dal lago, sua madre l’aveva presa da
parte per raccontarle dell’incidente: sapeva che suo padre aveva perso il
controllo dell’auto mentre stava guidando, la sera precedente, e che aveva
investito un uomo. C’era anche Mase nella macchina, ma sia lui, sia il Tyler,
ne erano usciti praticamente illesi. Eppure suo fratello continuava ad essere
sconvolto. Caroline era preoccupata per lui; e a giudicare dal gioco di sguardi
che aveva intercettato tra Ricki e i suoi genitori quel mattino, dovevano
esserlo anche loro.
“’Tumn ci sta aspettando fuori per andare assieme a
biologia.” esclamò la ragazza rivolta all’amico. “Sbrighiamoci.” aggiunse,
incominciando a ritirare le sue cose. Xander la imitò, ma si fermò quando il
suo sguardo capitò sul vecchio diario di Gilbert accantonato nel suo zaino: se
l’era portato dietro per poterlo esaminare in tutta calma durante la pausa
pranzo. Il che era strano per lui; detestava la storia – i suoi pessimi voti lo
dimostravano – e non era nemmeno un gran lettore. Inoltre, ben poche cose erano
in grado di distogliere la sua attenzione dal cibo, durante la pausa pranzo.
Quel diario, però, lo incuriosiva.
“Voi incominciate ad andare.” comunicò a Caroline,
infilandosi una bretella dello zaino. “Penso che andrò a implorare Lester di
farmi rifare uno dei compiti.” ammise. Caroline gli diede una pacca sulla
spalla e raggiunse il corridoio assieme ai compagni. Alexander si mosse in
direzione della cattedra e attese che il professore incrociasse il suo sguardo,
non sapendo bene che cosa dirgli: forse, in fondo, aveva mentito a Caroline.
Forse non gliene fregava niente del compito di storia; forse era un altro, il
motivo per cui aveva deciso di rivolgersi all’insegnante. Quando Lester lo notò
smise di percorrere il registro con lo sguardo e si voltò verso di lui.
“Che posso fare per te, Gilbert?” domandò,
chiudendo il quaderno: nonostante insegnasse a Mystic Falls da poco, il suo era
uno dei pochi cognomi che l’insegnante era riuscito a memorizzare quasi subito.
Un altro era quello di Caroline. Xander ricambiò incerto il suo sguardo e frugò
nuovamente nello zaino. La sua mano tentennò per un secondo sul diario di
Jonathan Gilbert, ma alla fine si limitò a recuperare il compito di storia. Lo
porse all’insegnante senza aggiungere nulla. Lester lo osservò brevemente,
prima di tornare a rivolgersi a lui.
“Sì, me lo ricordo il tuo compito.” commentò pacato,
restituendogli il foglio. “Sembra che tu non abbia nemmeno aperto libro.”
“No, l’ho aperto…” si difese maldestramente Xander.
“…è solo che non sono molto bravo e ricordarmi le date e confondo tutti i nomi.
E gli avvenimenti storici. E succedono sempre le stesse cose un po’ ovunque.”
spiegò con imbarazzo. Lester, che fino a quel momento era rimasto impassibile,
abbozzò un sorrisetto.
“L’essere umano è destinato a ripetere i propri
errori di continuo.” rispose, voltandosi in direzione della lavagna; date e
nomi di nazioni vi erano stati annotati sopra alla rinfusa col gesso. “E la
storia è fatta di uomini. E di errori. Gli scenari cambiano, ma il succo è
sempre lo stesso. In pochi ci fanno caso; le persone credono spesso che il
passato non sia importante e così lo dimenticano; c’è chi pensa sia pericoloso
e chi crede di poterlo eliminare fingendo che non sia mai accaduto. Eppure non
funziona così; ogni cosa, è destinata a ripetersi. Che ci piaccia o no, siamo
intrappolati in una sorta di circolo vizioso.”
Xander annuì svelto, non riscendo a mascherare
l’imbarazzo sul suo volto: non aveva seguito gran parte del discorso del
professore.
“Vorrei recuperare l’insufficienza.” ammise infine,
cercando di cambiare di scorso. Lester annuì brevemente.
“In che modo?” chiese, tornando a voltarsi verso di
lui. Il giovane sgranò gli occhi, confuso.
“Non lo so.” ammise, giocherellando con il foglio
che teneva ancora in mano. “Compiti extra?” propose, rabbrividendo al solo
pensiero. Lester lo osservò per qualche istante, i polpastrelli a sfiorare
ripetutamente la superficie del registro. Xander ricambiò lo sguardo; si rese
conto solo in quel momento che l’insegnante doveva essere piuttosto giovane.
Più giovane di suo padre di sicuro. Probabilmente si aggirava tra i trenta e i
trentacinque anni.
“La mia materia non ti piace, giusto?” domandò
ancora Lester, recuperando un libro di testo che uno studente aveva lasciato
sul banco di fronte alla cattedra. “Ma ci sarà pure un argomento che ti
stuzzica. Qualcosa che ti incuriosisce maggiormente, rispetto ad altri
argomenti più noio…”
“Sono interessato alla storia locale.” ribattè
Xander in fretta, interrompendolo. “Mystic Falls.” Lester aggrottò le
sopracciglia e gli rivolse un’occhiata sorpresa.
“Che periodo, con esattezza?” chiese ancora.
Alexander esitò; per un attimo fu quasi sul punto di tirare fuori il vecchio
diario di Gilbert, ma alla fine decise di non farlo.
“Il 1864.” ammise, passando istintivamente una mano
sul fondo dello zaino. “Ho sentito di alcune… ‘leggende’ – non so se si può
dire così – che parlano di quel periodo… cose un po’ folli, veramente.”
L’interesse nello sguardo di Lester si accese, “Leggende
in merito a che cosa?”
Xander arrossì, prima di rispondergli. “Ai
vampiri.”
Aveva abbassato di molto il tono di voce, sentendosi
più stupido ogni secondo che passava. Si sorprese, nel notare che l’insegnante
aveva nuovamente preso a sorridergli.
“Sei bene informato.” dichiarò asciutto Lester,
scrutandolo con espressione interessata. Xander annuì.
“So che sono solo dei racconti, ma… ho letto
qualcosa da qualche parte e mi sono incuriosito.” proseguì, appoggiando il
compito sulla cattedra e infilandosi le mani in tasca. Rivolse un’occhiata
esitante al professore, prima di domandargli: “Può parlarmene?”
Lester soppesò la sua domanda, prima di annuire.
“Ti dirò quello che so.” acconsentì infine, alzandosi.
“Ma prima, voglio vederti recuperare queste insufficienze. Portami una
relazione: argomento a scelta. Fai domande in giro, vai in biblioteca… e quando
avrai finito, ti parlerò del 1864. E dei vampiri.” aggiunse, scrutandolo con
attenzione. “Potrebbe andare bene?”
Xander annuì in fretta, sforzandosi di spazzare via
l’aria inebetita che aveva fatto capolino sul suo volto.
“Mi andrebbe bene, sì. Più che bene.” approvò,
spostandosi per permettere a Lester di passare. “Grazie!”
“Allora abbiamo un accordo.” dichiarò a quel punto
l’insegnante, tendendogli la mano. Xander la strinse, abbozzando un sorriso.
“Sì, certo. Grazie ancora!”
Lester annuì.
“E adesso faresti meglio ad andare a lezione.”
osservò l’insegnante, indicandogli la porta con il capo. Xander gli diede le
spalle per raggiungere la porta, ma si fermò sulla soglia
“Professore?” lo richiamò esitando, prima di
voltarsi nuovamente verso Lester. Attese che ricambiasse il suo sguardo, prima
di proseguire. “Come si fa a capire se in certe leggende c’è del vero o se
sono… insomma, leggende e basta? Come si fa a capire se non è tutta follia?”
chiese, tentennando incerto sull’ultima parte.
Lester recuperò le sue cose e lo raggiunse.
“Di rado si tratta di semplice follia.” rispose,
chiudendosi la porta dell’aula alle spalle. “C’è sempre qualcosa dietro le
leggende, Gilbert. Qualcosa che non dovremmo permetterci di ignorare, anche se
spesso viene fatto.”
“Che cosa?” domandò ancora Xander, incuriosito.
Lester sorrise appena. “C’è la storia.”
***
Ricki attraversò il cortile della tenuta con le mani
in tasca, lo sguardo a rincorrere distratto lo zampettare irregolare di un
corvo. Lo osservò spiccare il volo con aria inespressiva, appoggiando il gomito
alla cassetta delle lettere.
“Attenzione, prego!” una voce femminile lo distolse
dai suoi pensieri; Ricki voltò pigramente il capo verso destra. “Victoria
Donovan sta attraversando il viale! Ho pensato di avvisarti in
anticipo del mio arrivo.” aggiunse Vicki raggiungendolo di corsa, un sorriso
vispo ad arricciarle gli angoli delle labbra. “Ha funzionato! Questa volta non
hai sbattuto la testa contro la cassetta delle lettere!” dichiarò entusiasta,
alludendo all’episodio di due settimane prima.
Ricki roteò gli occhi, appoggiando anche la schiena
alla cassetta.
“Sei qui per qualcosa in particolare, Vic?” domandò,
recuperando l’espressione assente di poco prima. Vicki smise di sorridere e il
suo sguardo si fece più comprensivo.
“Come stanno tuo padre e Mase?” domandò,
analizzandolo con attenzione. “Oliver mi ha detto che Mase era molto scosso.”
Ricki annuì, pur continuando ad evitare il suo
sguardo.
“Stanno bene.” annunciò infine, portandosi le
braccia sul petto. “Mase sta bene. È agitato e ancora un po’ spaventato, ma sta
bene.” ribadì, deciso.
Victoria annuì; gli rivolse un’ultima occhiata
indecisa, prima di incominciare a trafficare con la sua borsetta.
“In effetti sì, sono passata a parlarti per qualcosa
in particolare.” Ammise infine, spalancando i due lembi della borsa e
avvicinandosela alla testa: per un attimo Ricki si trovò a domandarsi se ce
l’avrebbe infilata dentro; con Vicki, non si poteva mai sapere.
“Devo chiederti una cosa.” ammise a quel punto la
ragazza, lasciando perdere la borsetta.. “…e no, non è una proposta indecente,
quindi non c’è bisogno che mi guardi in quel modo. Anche se in effetti mi
verrebbe più facile parlare di qualcosa di simile, perché almeno lì non mi
preoccuperei di pensare a cosa dire nel caso tu non mi crede…”
“Vic, per favore…” la interruppe in quel momento
Richard, portandosi le mani alle tempie. “…torna sulla Terra e arriva dritta al
punto. Ho un mal di testa assurdo.” aggiunse, con una smorfia. Vicki sospirò
ancora una volta, cercò di soffiarsi via un ciuffo di capelli dagli occhi e
alla fine ci rinunciò.
“Ieri sera stavo andando a trovare ‘Tumn e ho
pensato di accorciare il tragitto, passando dietro casa vostra.” incominciò,
sforzandosi di evitare le divagazioni. “Mentre passavo, ho notato la macchina
dello sceriffo parcheggiata sul retro e mi sono ricordata che quando sei
tornato mi avevi chiesto se non l’avessi visto spesso da queste parti, e così…”
“Lo sceriffo Fell era qui?” la interruppe
bruscamente Ricki. Vicki gli fece cenno di tacere con la mano.
“No, aspetta, non fermarmi o perdo il filo del
discorso e poi incomincio a divagare.” ammise, prima di sorridergli con una
punta di malizia nello sguardo. “E poi se mi guardi così, non riesco a
proseguire!” aggiunse, sbattendo le ciglia. Ricki sbuffò, scuotendo il capo con
aria esasperata. Vicki estese il suo sorriso.
“Dicevo… lo sceriffo aveva parcheggiato dietro casa
vostra ed essendomi ricordata di quello che mi avevi detto, sono rimasta un po’
fuori ad aspettare, per vedere se si faceva vivo. L’ho sorpreso poco più tardi
nel giardino di casa vostra e aveva in mano una scatola; non so se fosse sua,
vostra, o di un alieno che proviene da Marte, fatto sta che…”
“Com’era fatta questa scatola?” la interruppe ancora
Richard, rivolgendole un’occhiata a metà tra l’allarmato e il furibondo. Vicki
diede una scrollata di spalle.
“Una scatola di legno, più o meno sarà stata grande
quanto uno dei tuoi palloni da calcio.” spiegò, riprendendo a frugare nella sua
borsetta.
“Fatto sta che, da quella scatola, è uscito fuori
questo.” ammise infine, porgendogli la rotellina di metallo che era caduta a
Fell la sera prima. La porse a Ricki, che se la appoggiò sul palmo della mano.
Il ragazzo incominciò ad analizzarla con le sopracciglia aggrottate. Victoria
si morse un labbro.
“Lo so che suona assurdo…” ammise, appoggiando una
mano alla cassetta delle lettere. “…ma ti giuro che è successo sul serio. L’ho
visto con i miei occhi, lo sceriffo era qui.”
Ricki continuò ad esaminare la rotellina, ignorando le
parole della ragazza. Per un po’ rimase in silenzio, ma alla fine si lasciò
scivolare l’oggetto in tasca e tornò ad appoggiarsi alla cassetta delle
lettere.
“Quel bastardo…” commentò infine con rabbia,
portandosi le braccia al petto. Vicki assunse un’espressione più sollevata.
“Quindi hai capito che cos’è?” domandò, sfilandosi
ancora una volta un ciuffo di capelli dagli occhi. “Avevo ragione, è qualcosa
di vostro?” Ricki sbuffò.
“Non ne ho idea, può darsi.” commentò infine,
tornando a rivolgersi alla ragazza. “Lo porto a mio padre, di sicuro ci capirà
qualcosa più di me.”
Victoria estese il suo sorriso.
“Allora mi credi?” domandò, vivace. Richard si trovò
costretto ad annuire.
“In altre occasioni non ti avrei creduto.” chiarì
comunque subito dopo. “Ma stiamo parlando di Fell.
Ci gironzola attorno a casa da un sacco di tempo, te l’avevo detto. E dopo
quello che è successo ieri sera…” la sua espressione tornò a indurirsi, nel
momento in cui riprese a pensare al fratello. Quel pomeriggio, aveva aiutato il
padre a raccontargli della maledizione. Fin da subito, Mase si era rifiutato di
credere a qualcosa di così assurdo. Alla fine, non avevano potuto fare altro
che mostrargli il video girato dallo zio di Tyler, Mason senior, durante la sua
prima trasformazione; da quel momento in poi, Mase non aveva più aperto bocca. A
Ricki continuava a tornare in mente la sua espressione terrorizzata.
“Sei carino a credermi, comunque!” annunciò a quel
punto Vicki, tamburellando con le dita sulla cassetta delle lettere. “Tanto
carino.”
Richard mise da parte le sue riflessioni, per
rivolgerle un’occhiata di ammonimento.
“Se preferisci sentirti dire che sei brutto, ti dirò
che sei brutto.” proseguì la ragazza con decisione.
Ricki roteò gli occhi, pur lasciandosi sfuggire un
sorrisetto.
“Buonanotte, Vic!” la salutò, staccandosi dalla
cassetta delle lettere e recuperando dalla tasca la rotellina di metallo.
“Grazie per questa.” aggiunse, facendosela saltare sul palmo della mano.
Vicki esitò; esaminò impensierita l’espressione del
ragazzo che era tornata ad indurirsi: di rado, l’aveva visto così serio e abbattuto.
“Senti…” incominciò a quel punto, chiudendo la
borsetta con uno scatto secco della cerniera. “Qualsiasi cosa stia capitando
con lo sceriffo o per il resto… io e la mia famiglia ci siamo. Lo sai. Se c’è
qualcosa che possiamo fare per te… o per Mase…”
Ricki scosse il capo, passandosi poi stancamente una
mano fra i capelli.
“Lo so… grazie, Vic.” rispose infine, sorridendo
debolmente in cenno di riconoscenza. “Ma non c’è niente che possiate fare per
lui.”
Per un attimo, fu tentato di dirle tutto. Senza
motivo, così. Voleva sputare fuori ogni cosa: parlarle della maledizione,
descriverle l’espressione atterrita di suo fratello, il mal di testa provato la
sera precedente, il terrore provato cinque anni prima nel riconoscere suo padre
in una bestia incatenata al muro. Tutto.
“Vado a portare questa a papà.” farfugliò invece,
chiudendo la mano a pugno attorno alla rotellina di ferro. Vicki si limitò ad
annuire. Fece per incominciare a correre, ma si voltò quasi subito, un dito
allacciato a una ciocca di capelli.
Si avvicinò a Ricki di qualche passo e lo abbracciò.
Il ragazzo la lasciò fare, sorpreso per via del gesto improvviso.
“Buonanotte, Ricki.” lo salutò Victoria separandosi
da lui, prima di riprendere a correre.
Richard la osservò allontanarsi in silenzio, la
rotellina di metallo ancora stretta in pugno.
***
Jeremy premette il tasto di chiamata e si portò il
cellulare all’orecchio. Mentre lo ascoltava squillare, sbirciò oltre la porta
socchiusa che dava sulla stanza del figlio minore; Oliver era seduto alla
scrivania e gli dava le spalle, intento a costruire uno dei suoi modellini di
aeroplano. Jeremy sorrise e si diresse verso la sua camera, ancora in attesa.
Al terzo squillo, la persona che stava cercando, prese la chiamata.
“Ho avuto un altro dei miei soliti incubi, questa
notte.” rivelò l'uomo in quel momento, prendendo posto sul letto. “Solo che
questa volta, eri tu a morire.”
Il suo interlocutore rise.
“Ah, io sto benissimo, Jer.” rispose Alaric,
lasciandosi ricadere sulla poltrona. “Anche se starei meglio se non avessi
finito le birre.” ammise; all’altro capo del telefono, Jeremy riuscì finalmente
ad abbozzare un sorriso.
“Tu stai bene? Elena? Hazel e i ragazzi?” chiese
ancora Rick.
“Tutto bene.” lo rassicurò Jeremy, infilandosi
istintivamente una mano nel taschino della camicia; l’ago dell’orologio-bussola
era immobile, come al solito. “Però, Xander avrebbe bisogno di qualche
ripetizione di storia...”
“Tua moglie ha ragione nel dire che ha proprio preso
da te, allora!” scherzò l’altro uomo. “Mi spiace, ma non penso che potrei essergli
di aiuto…” aggiunse poi ancora, accennando a un sorrisetto. “Ho chiuso con la
storia. Quello che ho fatto mi basta e avanza per una vita intera.”
Jeremy sorrise; si domandò se stesse alludendo alla
sua carriera da insegnante o a quella di cacciatore di vampiri.
“Non era di questo che volevo parlarti…” ammise
infine. “Per caso quando sei passato qui l’ultima volta ti ho lasciato qualcuno
dei diari di Jonathan Gilbert? Ero in soffitta, prima, e ho notato che ne
mancano alcuni.” chiese. Alaric fece mente locale per qualche istante, ma si
limitò a scuotere il capo.
“Non mi sembra.” Commentò. “Sei sicuro di non averli
spostati?”
Jeremy si sistemò i capelli arruffati con la mano
libera, cercando di ricordare quando fosse l’ultima volta che aveva messo piede
in soffitta. In quel momento, Xander fece capolino sulla soglia.
“Papà, io esco!” annunciò, infilandosi alla svelta
il giubbotto. “Ciao, zio Rick!” aggiunse ad alta voce, per farsi sentire da
Alaric.
“Dagli dell’asino da parte mia.” rispose
l’uomo; Jeremy si mise a ridere.
“Domani proverò a guardare meglio in soffitta…”
aggiunse poi, riportando il discorso sui diari di Gilbert. “È probabile che li
abbia spostati e che non mi ricordi più dove li abbia messi.”
“Vedrai che spuntano fuori.” lo rassicurò Rick.
“Stammi bene, Jer.”
“Anche tu.” ribattè Jeremy, un po’ rincuorato. “A
presto!”
Chiuse la chiamata e gettò il cellulare sul letto,
lasciandosi ricadere a sua volta sul materasso. Chiuse gli occhi per qualche
secondo, passandosi pigramente una mano fra i capelli. Li riaprì, quando
avvertì una il tocco familiare sfiorargli il capo; sorrise.
“Ehy…” mormorò, mentre la moglie prendeva posto
accanto a lui.
“Ehy!” ripeté Hazel, dandogli un colpetto col gomito
per farsi spazio. “Xander mi ha appena detto che sta andando in biblioteca per
studiare storia. Dici che dobbiamo preoccuparci?” chiese con aria divertita.
Jeremy diede una scrollata di spalle, prima di sfiorarle il capo con un bacio.
“Ti ha detto che è finito il gel?”
Hazel inarcò un sopracciglio.
“Almeno dieci volte.” rispose. “Ha attaccato il
calendario delle partite sul frigo?” proseguì la donna.
“Sì, e ha già fatto fuori metà dei biscotti dal
barattolo che abbiamo aperto questa mattina.” aggiunse Jeremy, con un sorriso.
Hazel analizzò mentalmente la situazione, riflettendo con aria critica.
“Allora non credo che dovremmo preoccuparci.”
annunciò infine la donna, sollevandosi in piedi. “È tutto come al solito.” concluse
con un sorriso furbo, prima di chinarsi ancora una volta, per baciare il
marito. Jeremy ricambiò il bacio e la osservò allontanarsi con un sorriso. Si
abbandonò nuovamente sul materasso e recuperò il cellulare, cacciandoselo in
tasca.
Aveva ragione sua moglie, pensò. Tornò a chiudere
gli occhi, passandosi poi una mano davanti alla bocca per mascherare uno
sbadiglio.
Tutto procedeva come al solito.
Nota dell’autrice.
Prima di passare al polpettone parte seconda,
comunico che da qualche mese ho aperto un gruppo facebook dedicato
esclusivamente a questa storia. Lo uso per condividere informazioni sulla
trama, spoilers, foto, sondaggi e millemila altre cavolate (e anche per
prendere in giro un po’ i pargoli, sissì.) Lo trovate QUI,
basta chiedere l’iscrizione.
Volevo anche ricondividere il sondaggio sui
personaggi preferiti che è da un sacco che non lo faccio!Lo trovate QUI. Il sondaggio
sulle coppie preferite, invece, lo trovate QUI.
Ok,
torniamo a noi. In ritardo di millemila anni luce, eccomi qui con il mio
ennesimo polpettone! A sto giro è davvero un polpettone iper-ripieno e
lungherrimo, ma anche sta volta, dovevo sopperire a un mesetto e mezzo di
assenza e ci è scappata una roba lunghetta, portate pazienza. Incomincio questo
polpettone parte seconda chiedendovi scusa: ritardo a parte, so che alcune
scene di questo capitolo non sono il massimo, avrei dovuto (e avrei potuto)
scriverle meglio, ma mi sono lasciata prendere un po’ dalla fretta e certi
pezzi li avevo scritti fin troppo tempo fa, quindi il risultato finale è stato
un pasticcio. Ho cercato di sistemare un po’ tutto in fase di revisione, spero
di essere riuscita a rendere in maniera quanto meno decente il tutto.
Passando
direttamente al capitolo… *sta volta Laura si è preparata e si è portata dietro
gli scatoloni per le scarpe che le verranno lanciate* ebbene sì: la
storia si ripete. Il titolo, in questo caso, riprende due cose diverse. In
primo luogo, ha a che fare con Mason e la maledizione, ma, come lascia
suggerire la citazione iniziale del capitolo - tratta dalla conversazione
Jeremy/Alaric nell’episodio appunto intitolato History Repeating – il
giro di boa ce l’ha anche Xander a questo giro. E il riferimento alla
storia che si ripete è letteralmente legato a lui, a Lester e alla
storia intesa come materia, come avete potuto notare. Ma andiamo con ordine.
Oh, io
ve l’avevo detto che la persona investita vi avrebbe fatto ridere. Il fatto è
che a me non piace uccidere la gente a caso (ma tanto, virtualmente, vedrete
che lo farò lo stesso xD) e poi volevo ridurre almeno di un poco il senso di
colpa di Mase XD se gli avessi fatto investire un povero giovane nel fior fiore
dei suoi anni o un uomo di mezz’età sposato con figli, mi sarei sentita troppo
in colpa. E così gli ho appioppato il Ricki ubriacone del futuro XD Se non
altro era anziano, e poi non aveva attraversato sulle strisce v.v
E
quindi, Mason scatena la maledizione, ma nessuno (a parte Caroline, la sua
famiglia e probabilmente Oliver) sa che è stato lui a provocare l’incidente; Fell
in primis, crede che a guidare fosse Tyler, e quindi, ora che Clay
è morto, saprà con certezza che papà Lockwood è un lupo mannaro.
Poi
abbiamo Mase, che nonostante fosse indirettamente il protagonista del capitolo,
non si è visto molto; ho preferito far passare tutto ciò che succedeva
attraverso il punto di vista di Tyler e in parte quello di Ricki e
serbare la reazione di Mase a quello che gli sta succedendo per il
capitolo successivo. Già qui, comunque, l’abbiamo visto oscillare un po’. Il
fatto che balbetti, come penso di aver già scritto da qualche parte, è
qualcosa che si porta dietro dalla sua infanzia, e che a volte torna a
infastidirlo (ovviamente in maniera più lieve). In genere quando è
particolarmente nervoso, spaventato o turbato per qualcosa.
Poi c’è Tyler.
Sono i pezzi in ospedale a cui mi riferivo quando dicevo che penso di non
averli scritti abbastanza bene; ho avuto un po’ di difficoltà sia con lui, sia
con Caroline. Il riferimento a “She’s watching
over us”, qui era d’obbligo, perché per me, tutto è nato da lì. Quella
one-shot è nata quando decisi che Mason avrebbe scatenato la maledizione e che
Caroline sarebbe tornata a Mystic Falls dopo tanti anni. È strettamente
collegata a questo capitolo di History Repeating, forse anche perché
spiega molto sul perché Caroline sia così decisa ad aiutare Mase, e sul come
mai tutti sembrino domandarsi “perché proprio lui?” facendo riferimento a
Mason.
Proseguendo
oltre…Il diario di Mason senior, nel caso ci fosse confusione a
riguardo, è il diario che Tyler trova nella cripta e che scopre essere di suo
zio. Quello in cui ha documentato tutto sul periodo precedente alla prima
trasformazione e che contiene il cd proprio con quella.
Poi… Lester
e Xander! Ah, la mia parte preferita del capitolo :3
Tantissimi
parallelismi a TVD in questa conversazione, non ho potuto farne a meno. Mi sono
resa conto scrivendo che i due figli di Xander stanno entrando in contatto con
il sovrannaturale grazie alle due cose che l’hanno permesso al padre: Annabelle,
i diari di Gilbert e un insegnante di storia cacciatore di
vampiri. Lester, tuttavia, non è Alaric, e Xander non è Jeremy. A differenza
del padre che ci è rimasto incappato per caso, Xander usa la sua insufficienza
per cercare di ottenere informazioni sul passato di Mystic Falls. Vedremo se
riuscirà a ricavarne qualcosa, ma confesso che la sua tontaggine un po’ mi
preoccupa XD Ah, e nel prossimo capitolo tornerà lo Xanderine, tranquilli!
Ultima nota e poi fuggo, perché sto scrivendo
davvero troppo! La telefonata Alaric/Jeremy.
Allora, su questo mi volevo proprio soffermare.
Prima di incominciare HR, non avevo un’idea ben precisa su Rick; è un
personaggio che amo e mi sarebbe piaciuto inserirlo, ma stranamente, lo sentivo
come fuoriposto. Lo immaginavo fuori città. Trasferitosi da qualche parte fuori
da MF, e così è stato. Plottando questo capitolo, mi sono resa conto che
sarebbe stato d’obbligo inserirlo in qualche modo almeno in un paragrafo,
perché tutto lo storyline di Xander e Lester si allaccia a lui, per non parlare
della citazione iniziale e del titolo. E così optai per la telefonata
Jeremy/Alaric. ___________SPOILER EPISODIO 3x20___________________________ E
poi mi hanno ucciso Alaric ç___ç E ci sono rimasta malissimo; in fondo avrei
potuto tranquillamente eliminare la scena per mantenere coerenza con il
telefilm, ma non mi andava per niente. Intanto, perché mi piace sapere che Alaric
sia vivo almeno qui, anche se non penso lo vedremo spesso. E secondo, perché
ormai questa storia ci azzecca ben più poco con la terza stagione, quindi,
essendo una what if?, non ho bisogno di adattare il tutto ai nuovi
risvolti della serie. Ma ho comunque pensato di introdurre la morte di Alaric
sottoforma di incubo. Il ‘mio’ Jeremy (quello di Pyramid e History
Repeating, per intenderci) ha spesso di questi incubi, come già ha
accennato nella conversazione con Oliver in “smells like teen spirit” e
come si può vedere in Pyramid. . E ne ho approfittato dell’incubo per inserire
un riferimento alla 3x20, , per poi smentirlo subito con un’immagine serena di
Rick. Ci tenevo proprio. E poi boh, lo ammetto, ci tenevo anche a trollare un
po’ la serie tv, visto che la morte di Rick non mi è proprio andata giù XD ______________FINE
SPOILER EPISODIO 3x20.
E poi che aggiungere? C’è stato finalmente un po’di Rictoria –w- (Ricki/Vicki) e Julian si è dato da fare per
assicurarsi di non essere l’unico maghetto di Richmond, ma ha anche scoperto
qualcosa che l’ha sorpreso un po’: non è il professore creepy ad essere
stregone, ma la ‘rosicchia-matite’ Aria ad essere una streghetta.Un
po’ ostile, tra l’altro. Scopriremo perché.
Il prossimo capitolo arriverà non so quando e
dovrebbe intitolarsi “Brave New World”, se non erro. Il capitolo si
aggancerà in parte a qualcosa che abbiamo già visto. Posso dire che torneranno
sia Casper che la sua Kat (Oliver e Anna) e che Caroline
manterrà la promessa fatta a Tyler: quella di vegliare su Mase.
Per gli altri personaggi non posso ancora dirvi nulla,perché il capitolo devo
ancora plottarlo *\\\* Vedremo!
Un abbraccio grande a chi è riuscito a sopravvivere
fino alla very end del polpettone, per dirla alla zia Rowling.
Questo capitolo è completamente interamente (e qualsiasi cosa finisca
con -ente) dedicato alla mia Wendy. L’ho
ultimato per lei, grazie a lei e per lei, quindi merita un ringraziamento speciale.
Grazie per tutto quello che fai per me e grazie per esserci sempre e per
incoraggiarmi in tutti i modi possibili. Ti vogliobene!
You're reaching out
And no one hears you cry
You're freaking out again
'Cause all your fears remind you
Desperate.David Archuleta
Trema ancora, anche se non è più notte. Anche se non fa più
freddo.
Si guarda le mani non riuscendo a sollevare il capo, orrore
e vergogna ad alterare il battito del suo cuore.
Ho ucciso.
Si guarda le mani, come se fossero macchiate di sangue.
Quelle parole, ho ucciso, sonano a
vuoto nella sua testa, simili a un disco rotto.
Le sente ripetere di continuo, lui stesso le dice, ma in
casa pare che non gliene freghi niente a nessuno. Suo padre non gli parla, si
limita a guardarlo per poi scuotere il capo. Sua madre gli sorride con quella
dolcezza che, lo sa, non è mai stato in grado di sostenere. Ricki lo segue
ovunque come un’ombra, soffocandolo con la sua presenza costante. Caroline
nemmeno è conoscenza di tutto quello, ma forse è meglio così.
E poi c’è quello stupido filmato. Ci sono quelle immagini,
quei suoni agghiaccianti, quegli occhi grigi – proprio come i suoi – che si
tingono di giallo. Le urla di dolore di un omonimo che si è macchiato le mani
del suo stesso errore. E adesso condivideranno un incubo.
Sgrana gli occhi, arretrando, per sfuggire alle immagini
proiettate sullo schermo.
Assurdo. È
semplicemente assurdo.
La sua stessa voce gli risuona nelle orecchie, forzandolo a
ricordarne il difetto di pronuncia.
“Non , non può essere vero; n-non, non può, non esistono c-cose
così.”
Sfugge alla presa del padre; suo fratello gli appoggia una
mano sulla spalla, ma lui rifiuta anche quella.
Balle, sono tutte balle. Stanno mentendo; tutti e due.
Mentono da sempre, non sanno fare altro.
Nulla di tutto quello può essere vero; semplicemente non
può. Arretra velocemente, intenzionato a raggiungere la sua stanza.
E poi la testa riprende a girargli. Il cuore accelera i
battiti, il respiro si mozza.
Non sa se è arrabbiato, nervoso, o angosciato. Ma sa che ha
paura. Unapaura fottuta.
E il disco rotto ricomincia da capo, mentre le immagini e i
lamenti tormentati che provengono dal computer gli ricordano ancora una volta
il motivo di quell’orrore.
Il perché sarà costretto a sopportare tutto quello.
Ho ucciso…
Another dream has come undone
You feel so small and lost like you're the only one
You wanna scream
because you're desperate.
Desperate.David Archuleta
Chapter 9.
Brave New World.
31 Agosto.
“Il mio corpo
sta cambiando
Sono teso,
arrabbiato, impaziente.
Impazzisco al
punto da perdere conoscenza e dimenticarmi cosa dica o faccia.
Non sono più io
da quando è morto Jimmy.
Cosa mi
sta succedendo?"
Dal diario di
Mason Lockwood sr.
(Episodio 2x10.
The sacrifice.)
“Stai bene?”
Le parole di Oliver lo
riportarono improvvisamente alla realtà. Mase sbatté in fretta le palpebre e
rivolse all’amico un’occhiata disorientata, prima di annuire.
“Sì.”
Si sistemò la tracolla sulla
spalla, ignorando volutamente di ricambiare lo sguardo dell’amico. Tenne gli
occhi bassi, l’espressione inquieta, mentre Oliver lo studiava con fare
apprensivo.
Non incazzarti, non innervosirti, ignora le provocazioni, cerca di stare
calmo.
Le sequele interminabili di
raccomandazioni snocciolate da suo padre continuavano a vorticargli in testa,
mentre camminava fianco a fianco con Oliver. Non gli riusciva facile prestare
ascolto a quei consigli: la testa gli faceva male di continuo. La rabbia, il
nervoso, la paura, erano stati d’animo che si alternavano con frequenza,
pungolandogli il petto, quasi ci fosse qualcosa in lui sempre sul punto di
scattare. Era teso, ansioso. La notte non dormiva, di giorno mangiava poco. Lo
infastidiva tutto: gli sguardi apprensivi dei suoi familiari, le persone che lo
sfioravano per sbaglio attraversando i corridoi, chiunque gli rivolgesse la
parola. E più del resto, la cosa che gli arrecava maggior fastidio, era
l’espressione preoccupata di due delle persone che più gli erano vicine, ma cui
aveva promesso di non lasciarsi sfuggire nulla:Oliver e sua sorella Caroline.
Quel mattino, Mason aveva messo
piede a scuola con la tensione già alle stelle. Il cuore gli vibrava nervoso in
petto senza alcun motivo in particolare, le mani gli sudavano. Si aggrappò con
forza alla bretella della tracolla, continuando a ignorare lo sguardo
apprensivo di Oliver, fino a quando l’amico non si costrinse a guardare
l’orologio.
“Che succede?” domandò a quel
punto, mentre i due ragazzi si fermavano di fronte agli armadietti. Ricordando
alla perfezione il disastro ottenuto cercando di aprire il proprio il giorno
prima, Mase si astenne dal recuperare i suoi libri, limitandosi a sbuffare,
infastidito.
“Non succede nulla, Oliver.”
borbottò in tono di voce secco, lo sguardo a saettare nervoso in direzione del
corridoio. “Andiamo in classe.” Cercò di troncare la discussione.
Oliver scosse il capo poco
convinto. Mase aveva incominciato a tenere un comportamento insolito sin dal
mattino successivo alla festa di Ricki, e le cose non erano cambiate dopo quasi
una settimana. Era teso, irrequieto, si faceva vedere poco in giro. Oliver
sapeva che probabilmente il tutto aveva a che fare l’incidente, ma nonostante
la gravità dell’accaduto, qualcosa lo portava a pensare che ci fosse
dell’altro. Ciò che era successo a lui avrebbe atterrito chiunque, ma a
insospettire Oliver era il modo bizzarro e maldestro con cui cercava di tenersi
alla larga da tutti. Non che Mase fosse mai stato una persona incline alla compagnia,
ma, e si sorprese ad avvertire una lieve fitta di delusione a quel pensiero, le
sue abitudini di rado valevano con lui. Mason e Oliver trascorrevano una buona
parte delle loro giornate assieme e capitava di rado che il giovane Lockwood si
impuntasse di voler stare solo,quando
era in compagnia dell’amico. Oliver aveva ormai imparato ad adattarsi ai suoi
cambi d’umore repentini, sapeva quando scherzare, quando chiedere spiegazioni e
quando invece conveniva che se ne stesse zitto. Ma da una settimana a quella
parte, anche quel genere di dinamica sembrava essere andata a farsi benedire,
assieme ai pochi sorrisi che di tanto in tanto sfuggivano al controllo di Mase.
E a Oliver, quello, non stava bene; sapeva che c’era dell’altro e per quanto
non gli piacesse insistere, aveva bisogno di saperne di più.
“Lo sai che mentire non ti esce
troppo bene con me.”commentò infine in tono di voce pacato. Mase roteò gli
occhi, appoggiandosi all’armadietto con una spalla.
“Mi lasci in pace?” ribatté
infine, rivolgendogli un’occhiata esasperata. La sua mente radunò alcune delle
raccomandazioni che il padre gli aveva fatto più spesso, nel corso di quella
settimana, e le tenne ben strette a mente, man mano che il nervoso aumentava di
intensità. Molte avevano a che fare con lui.
Non scherzare con Oliver. Non stuzzicatevi, non litigate nemmeno per gioco.
Sta’ calmo, non innervosirti.
"Se non vuoi dirmi che
cos'hai, fammi almeno capire se devo preoccuparmi oppure no."
l’ostinazione di Oliver era una qualità che di rado veniva a galla , durante le
regolari conversazioni tra di loro. Era una persona incredibilmente tranquilla,
ma quando sentiva che fosse necessario sapere qualcosa riusciva a trovare il
modo di insistere.
“La pianti di starmi addosso? Sai benissimo che cosa è successo.” sbottò il
ragazzo, ignorando volutamenteil suo
sguardo. “E sai anche che non ne posso parlare qui.” sottolineò a quel punto.
Oliver sospirò: erano in pochi a sapere la verità sull’incidente di Tyler e Mase.
In quello, il signor Lockwood era stato irremovibile: nessuno doveva sapeva che
era stato Mason a provocarlo. Suo padre gli aveva spiegato che Mase avrebbe
potuto passare dei guai seri, non essendo ancora patentato, e Tyler voleva
accollarsi le responsabilità dell’accaduto. Tutto aveva senso; la tensione dei
familiari di Mase, i sensi di colpa dell’amico, i silenzi, l’atteggiamento
ancor più brusco del solito. Eppure,perché continuava a pensare che ci fosse
dell’altro?
“Va bene, non parliamone più.” si limitò ad acconsentire infine, alzando le
mani in cenno di resa. Si era accorto del nervosismo crescente dell’amico e non
voleva esagerare nell’insistere. “Andiamo in classe.” Propose in tono di voce
più pacato, dandogli una pacca sulla spalla. Quel tocco lo fece trasalire di
scatto, quasi come se a compiere quel gesto, fosse stato uno sconosciuto.
“Devi stare calmo, però.” cercò di consigliargli Oliver, continuando ad
osservarlo con aria dubbiosa. Mason inspirò con forza, come a voler cercare di
mantenere la calma. Era teso a tal punto che Oliver quasi non si sentì agitato
a sua volta, suggestionato dalle sue reazioni.
“Stanne fuori.” lo ammonì infine il giovane Lockwood, in tono di voce secco
. L’amico aggrottò le sopracciglia, ulteriormente impensierito.
“È solo che vorrei sapere da che genere di questione dovrei…”
“Ti ho detto di lasciarmi in pace!”
L’esclamazione furente di Mase risuonò nel corridoio mescolata a un forte
clangore metallico. Oliver si sentì spingere bruscamenteall’indietro , contro gli armadietti. Solo
quando un’improvvisa fitta di dolore alla schiena lo investì, fu in grado di
realizzare che era stato il suo migliore amico a spingerlo. Si tastò il punto
dolente, sollevando sbigottito il capo per cercare Mason. Il secondo scarso in cui
i loro sguardi si incrociarono, gli bastaronoper intuire che era spaventato almeno quanto lui.
Mason arretrò di un passo, fissandosi nervosamente le mani, quasi si sentisse
scioccato lui stesso dal gesto che aveva appena compiuto.
“Scusami.”Farfugliò, continuando a
evitare il suo sguardo. Oliver inspirò con forza, sforzandosi di recuperare in
fretta la calma.
“Non fa niente.” Mormorò in risposta, staccandosi lentamente dall’armadietto,
un’aria circospetta a velare la sua espressione generalmente bonaria e serena.
“N-Non è vero.” Sbottò bruscamente l’amico, riconoscendo all’istante la nota di
esitazione che aveva tradito le parole di Oliver. Rabbia e vergogna si
contesero il suo volto, mentre arretrava ancora di qualche passo, deciso ad
abbandonare quel corridoio il prima possibile. “Non è un cazzo vero!”
Qualcuno lo afferrò per il polso. Stava per ritrarsi bruscamente dalla sua
presa, quando riconobbe nello sguardo apprensivo che gli venne rivolto, quello
di sua sorella Caroline. “Che cosa succede, qui?” domandò la ragazza, mentre
Alexander la superava a passo svelto, lo sguardo furibondo puntato contro Mase.
“Sbaglio o hai appena spintonato mio fratello?” chiese in tono di voce secco,
picchiettandoglidue dita contro la
spalla. L’altro ragazzo lo allontanò bruscamente, per poi distogliere
nervosamente lo sguardo.
“Non volevo.” Furono le uniche parole che fu in grado di pronunciare. Il
nervosismo aveva ripreso ad albergargli dentro e si domandò che altro sarebbe
successo se non fosse riuscito a gestirlo.
“Stavamo solo giocando.” gli
venne in aiuto Oliver, raggiungendo il fratello. Xander gli rivolse un’occhiata
incredula.
“Ti ha sbattuto contro
l’armadietto, Ol, non prendermi in giro.Ho visto benissimo.”
“Se ti sta dicendo che stavano giocando, sarà la verità, Xander.” Si intromise
nel discorso Caroline, squadrando il migliore amico con espressione severa.
“Oliver ha un cervello e l’età per saperlo usare a dovere, non vedo perché tuo
fratello dovrebbe mentirti.”
“Tu stai sempre a difendere Mase,
vero?” esordì a quel punto il ragazzo in tono di voce seccato. “Scommetto che
se la situazione fosse invertita e fosse stato mio fratello a spintonare il
tuo, a quest’ora gli avresti già fatto vedere i sorci verdi.”
“Stavano giocando, Xander!”
ribadì ancora una volta Caroline, alzando spazientita il tono di voce.,
“Mase non gli farebbe mai del male di proposito, è il suo migliore amico!”
“Sì, ed è una pessima compagnia
per lui, lasciamelo dire.” borbottòa
quel punto il ragazzo, mettendosi a braccia conserte.
“Questo non è vero…” Oliver si sentì in dovere di dissentire, prima di spostare
lo sguardo in direzione di Mase; aggrottò le sopracciglia, perplesso, quando si
è accorse che aveva preso ad allontanarsi.
“Mase!”lo richiamò, intenzionato a
seguirlo, ma la sua voce venne coperta da quella squillante e autoritaria di
Caroline.
“Non parlarmi più.” Stava esclamando stizzita in quel momento, l’indice puntato
contro il petto migliore amico. Girò i tacchi e si allontanò a passo svelto,
inseguita dalle esclamazioni spazientite di Xander
“Oh, non incominciare adesso.” La
riprese il ragazzo, roteando gli occhi prima di voltarsi un’ultima volta in
direzione di Oliver.
“Ne riparliamo dopo.” lo ammonì infine, prima di incamminarsi di corsa a
raggiungere Caroline. Oliver sospirò, scoccando una rapida occhiata
all’orologio, prima di tornare a guardarsi attorno, massaggiandosi il punto in
cui aveva battuto: Mase si era dileguato. Il turbamento che aveva provocato in
lui quello spintone aveva fatto altrettanto nel momento stesso in cui aveva
individuato la paura nel suo sguardo. Per un attimo gli era sembrato di
individuare fra i suoi occhi il Mason bambino. Il ragazzino che trascorreva
gran parte del suo tempo libero cercando di scovare i migliori nascondigli. Si nascondeva
per paura di imbattersi in se stesso. Lo sguardo che gli aveva rivolto poco
prima era lo stesso che aveva sorpreso nei suoi occhi in quei momenti quando
qualcuno lo aveva costretto ad uscire allo scoperto.
“Che ti sta succedendo, amico?”
mormorò fra sé e sé, prima di sospirare un’ultima volta, puntando a malincuore
in direzione dell’aula di chimica.
***
“Hai scoperto qualcosa?”
Domandò un insonnolito Ricki, non appena il padre fece ingresso in camera sua.
Tyler riservò un’occhiata critica al mucchio di vestiti disseminati per il
pavimento e alla valigia ancora semivuota in un angolo. Ricki intercettò il suo
sguardo e sbadigliò in risposta, passandosi pigramente una mano sul volto.
“Dai, che adesso metto a posto. Che ti ha detto la nonna?” domandò infine,
mentre il padre prendeva posto di fianco a Ricki, sul letto sfatto.Quel mattino presto, Tyler era passato a fare
visita alla madre, portandosi appresso la rotellina che aveva consegnato loro
Vicki qualche giorno prima. Carol Lockwood l’aveva esaminata con espressione
atterrita, gli occhi improvvisamente lucidi di lacrime: aveva raccontato a
Tyler a che cosa servisse quell’ingranaggio. Gli aveva raccontato del
dispositivo che ormai parecchi anni prima era stato messo in funzione da John
Gilbert, causando la morte non solo di diversi vampiri, ma anche di suo marito
Richard. Dopo la spiegazione di Carol, Tyler aveva incominciato a far
coincidere i vari tasselli che fino a quel momento avevano sfilato scomposti
nella sua testa. Sospirò, prima di tornare a rivolgersi al figlio maggiore.
“Quella rotellina che ha trovato Vicki è una sorta di chiave.” spiegò infine,
intrecciando le dita e appoggiando gli avambracci sulle ginocchia. “Se inserita
nel dispositivo che Fell ci ha rubato quella sera, gli ingranaggi produrranno
un suono inudibile dagli esseri umani, ma in grado di mettere fuori
combattimento qualsiasi tipo di creatura entro un determinato raggio d’azione.
Tuo nonno, Richard, reagì al dispositivo, una notte di trenta anni fa, e venne
scambiato per un…”
Si interruppe, rivolgendo al figlio un’occhiata nervosa. Richard Junior
ricambiò lo sguardo con espressione incuriosita.
“..Per un?” lo istigò a proseguire. Tyler scosse il capo con fare brusco e
ignorò la sua domanda.
“Il dispositivo è in grado di intaccare anche le persone che non hanno mai
scatenato la maledizione. Per questo tu e Mason…” e qui, lo sguardo dell’uomo
si indurì appena, cerchiato da una velatura di rabbia “…vi siete sentiti male,
quel giorno. Sarebbe successo anche a tua sorella se fosse stata qui a Mystic
Falls, ma fortunatamente, era al lago con Xander…”
“Aspetta, papà,rallenta.” lo interruppe improvvisamente il figlio a quel punto.
“E riavvolgi il nastro, per favore. Sbaglio o prima hai detto ‘qualsiasi tipo
di creatura’? Intendevi dire che oltre a noi ci sono altre persone che giocano
a fare il ‘dottor Jeckyll e MrHyde’?”
Ancora una volta, Tyler si trovò a freddare il figlio con aria severa, prima di
sbuffare.
“Lascia perdere; dimenticati quello che ho detto.” Borbottò infine,
sollevandosi dal letto. Ricki accennò un sorrisetto.
“Che poi sono le parole che uno non dovrebbe mai dire per evitare che la
curiosità salga…” spiegò allegramente, per poi stiracchiarsi in maniera
vistosa.
“Dimmi la verità, papà…”esordì infine, recuperando una pallina di spugna
appoggiata a un angolo del letto e incominciando a passarsela da mano a mano.
“Caroline Forbes è una di queste ‘altre creature’ di cui parli, vero?”
Tyler,che era ormai in procinto di abbandonare la stanza, si fermò
sull’uscio,visibilmente irrigidito.
“Che cosa te lo fa pensare? domandò infine in tono di voce asciutto, voltandosi
ad osservare il figlio. Ricki fece mente locale per un attimo, continuando a
giocherellare con la palla di spugna.
“Ti fidi troppo di lei…Non può essere un’adolescente qualunque.”Spiegò sotto lo sguardo guardingo del padre.
Tyler aggottò appena le sopracciglia, i lineamenti contratti per via del
nervosismo.
“E pensare che credevo fosse Mase l’unico dei tre ad avere un po’ di
cervello. Anche se lo usa solo quando ha il naso sui libri…” aggiunse con un
ghigno, prima che il suo sguardo si incupisse leggermente, al pensiero del
figlio più piccolo. “Caroline Forbes, aspetto fisico a parte, ha superato ormai
da diversi anni la soglia dell’adolescenza.” rivelò infine, tornando a dare le
spalle alla porta, per poi mettersi a braccia conserte. “Abbiamo la stessa
età.” Concluse infine, scrutando cauto il volto del figlio, in attesa della sua
reazione. Rickisgranò gli occhi, perplesso,
lasciando cadere a terra la palla di spugna. La recuperò poco dopo,
trascinandola pinzandola con la punta del piede,per farla slittare verso
l’alto.
“Ah…” borbottò semplicemente, cercando di palleggiare con la testa. “Forse
dovremmo dirlo a Mase…” farfugliò a quel punto fra sé e sé, assumendo un
cipiglio pensieroso. Lo sguardo di Tyler colse a scontrarsi con il suo. “Che
intendi dire?” domandò, squadrandolo insospettito. Ricki ignorò volutamente la
sua domanda. “Che cos’è, un vampiro?” buttò lì invece con fare sarcastico,
abbozzando un sorrisetto divertito. L’occhiata seria che gli indirizzò Tyler,
lo spinse a sgranare gli occhi una seconda volta.
“Stai scherzando, vero?” quasi non urlò, pestando involontariamente la pallina
di spugna. Rischiò di scivolare e si aggrappò al letto, per poi calciare via il
pallone. “Non mi stai prendendo in giro, vero?” domandò esitantea quel punto, osservando l’oggetto andare a
infilarsi proprio dentro la valigia. Fece una smorfia per poi tornare a sedere
sul letto.“E che altro creature
esisterebbero, i fantasmi?” sbottò infine, strofinandosi il capo con fare
innervosito. “Gli zombie?O magari gli umpalumpa? La mamma è la donna
invisibile dei Fantastici 4? Eh,questo sarebbe figo.”Concluse infine, esordendo poi in un fischio
compiaciuto. Il padre sbuffò, rivolgendogli un’occhiata infastidita.
“Piantala di dire cazzate, e fatti gli affari tuoi.” Sbottò a quel punto, per
poi spostare la sua attenzione alla pila di vestiti ammucchiata al bordo del
suo letto. “Pensa a preparare la valigia, piuttosto.Parti dopodomani e non hai ancora preparato
nulla.”
L’espressione di Ricki si fece d’un tratto titubante, quasi le parole del
padre l’avessero messo a disagio.
“Peccato però che tu non sia qui per la cerimonia di Miss Mystic Falls.”
Proseguì Tyler, prima di esordire in un ghigno. “Vicki ci è stata di grande
aiuto l’altro giorno, con quella rotellina. Le dobbiamo qualcosa: avresti
potuto farle da cavaliere per sdebitarci.”
Ricki si strofinò ancora una volta i capelli con vigore, gesto tipico di quando
era nervoso. Infine si rivolse al padre con espressione determinata.
“Io non parto, papà.” Dichiarò deciso, guardando poi distrattamente la
valigia vuota.Lo sguardo di Tyler si
fece improvvisamente più irritato.. “Ho già scritto un’e-mail a scuola, ho
spiegato di avere una specie di … ‘emergenza in famiglia’. In fondo non ho
proprio mentito, oh. E comunque…mi hanno abbuonato un po’ di tempo. Vedrò se
partire più in là o se…”
“No, tu non vedrai un bel niente. Parti adesso senza discutere, sono stato
chiaro?”
Lo sbraitare secco e improvviso del padre, infuse ancora più determinazione
nello sguardo del suo primogenito, che scosse il capo deciso.
“Voglio stare vicino a Mase.”Dichiarò
risoluto. “Ha bisogno di me in questo momento.
“A tuo fratello ci penso io.” ribatté secco il padre, fulminando Ricki con
lo sguardo. “Sono io suo padre, stargli vicino è un mio compito. Il tuo di
compito, invece, è quello di tornartene a scuola e studiare…”
“Ma la prima luna piena sarà proprio sabato!” lo interruppe il figlio,
alzandosi in piedi di scatto. “ Non me ne vado quel giorno, col cavolo che lo
lascio solo: voglio esserci anch’io con lui.” azzardò infine, abbassando appena
il tono di voce. Tyler serrò la mascella, stringendo le mani a pugno. Respirò
profondamente, come a voler mantenere la calma, prima di rivolgersi nuovamente
al figlio.
“Non ti permettere, Richard…” dichiarò in tono di vocebasso, ma minaccioso, le iridi cerchiate di
collera.
“Voglio venire con voi, papà.”ribatté ancora una volta Ricki con determinazione. Esitò comunque, prima
di aggiungere: “Voglio aspettare la luna con voi.”*
Tyler si limitò a squadrare il figlio con espressione furente: erano parole che
aveva già sentito, quelle. Erano frasi che gli erano già state rivolte in
passato quando Richard era ancor solo un ragazzino. Un ometto vispo e curioso
che aveva incominciato a domandarsi dove si recasse il padre una volta al mese
quando il cielo incominciava ad annerirsi.
“Azzardati a seguirci e giuro che te ne farò pentire.” dichiarò infine
asciutto, prima di voltarsi, per raggiungere la porta. Ricki sbuffò,affrettandosi a seguire l’uomo, deciso a
fargli comprendere il suo punto di vista.
“Ma lui è mio fratello!”
“E tu sei mio figlio!” ringhiò di
rimando Tyler, voltandosi bruscamente ancora una volta. “Non verrai con noi, Ricki. A costo di doverti rinchiudere in casa
io stesso.Ma preferirei non farlo…”
sbottò infine, incrinando lievemente il tono di voce. E qui la collera nel suo
sguardo venne sfumata da un barlume di risentimento.“…perché ho già un figlio che sarò costretto a vedere in quelle
condizioni, quella sera. ” concluse secco. Ricki prese a mordicchiarsi il
labbro, la sua determinazione improvvisamente minata dai sensi di colpa.
“Papà…” incominciò, grattandosi il capo con nervosismo, mentre Tyler
tornava a dargli le spalle.
“Eddai, papà!” provò a richiamarloancora, raggiungendolo; non servì a nulla.
Suo padrese ne era già andato
sbattendola porta.
***
La biblioteca della scuola era per la maggior parte gremita di studenti del
primo anno più occupati a ridacchiare di fronte agli schermi del pc che non a
darsi da fare per i compiti ancora sfatti dell’ora dopo; Xander strizzò
l’occhio a uno dei ragazzini e raggiunse il lato opposto della biblioteca;
individuò all’istante Caroline, seduta a uno degli ultimi tavoli: era tutta
presa a mordicchiare l’estremità di una matita, lo sguardo concentrato su un
plico di fogli.
“Siamo ancora arrabbiati?” esordì il ragazzo in un sussurro, avvicinandosi
di soppiatto alle sue spalle. Caroline sobbalzò, lasciando andare la matita per
la sorpresa. Rivolse un’occhiata furente al migliore amico, che prese a
ridacchiare compiaciuto per via della sua reazione.
“Cretino…” commentò a mezza voce, prima di scuotere il capo con fare
sdegnato. “Non lo so…” proseguì infine a bassa voce, continuando a scrutarlo
con aria truce. “Tu pensi ancora che mio fratello sia una brutta compagnia per
Oliver?”
Xander calcolò le sue parole con fare indeciso.
“è solo che ogni tanto tuo fratello è un tantino…” Si interruppe
bruscamente, incrociando l’occhiata furente scoccatagli dalla ragazza.
“…Un ragazzino adorabile e a modo.” Si corresse, accennando un sorrisetto a mo
di scusa. Caroline roteò gli occhi, sbuffando sonoramente, prima di tornare ai
suoi compiti.
“E comunque…” Xander proseguì quasi distrattamente prendendo posto di
fianco a Caroline.
“… I nomi delle ragazze selezionate per il titolo di Reginetta di Mystic
Falls sono stati appesi alla bacheca.”
“Oh! Vicki ce l’ha fatta?”
domandò la ragazza, continuando a scorrere il suo saggio conlo sguardo. Xander frappose la sua testa fra
il libro e l’amica.
“Siiii… E
non solo lei.”.ammise, picchiettando
con insistenza il dito sulla fronte di Caroline. “Congratulazioni, signorina
Lockwood.”
Caroline premette una mano sulla fronte del ragazzo per allontanarlo e
tornò a fissare il suo libro.
“La smetti di sparare fesserie? Per favore, Xander, sto cercando di finire
questo benedetto saggio; non ne posso più di medioevo, streghe e di usanze per
scacciare il malocchio.”
Xander roteò gli occhi e si infilò una mano in tasca per recuperare una
delle sue barrette di cioccolato.
“E lo sai che non si mangia qui.” gli ricordò a quel punto Caroline,
requisendogli il bottino.
“Uhm ricordi la scommessa con tuo fratello fatta quest’estate?” domandò il
ragazzo allungando le braccia in direzione del cioccolato, coprendo i fogli di
Caroline; nuovamente, la ragazza fu costretta a spingerlo via, ma questa volta
non riuscì a trattenere un sorrisetto divertito.
“Quale scommessa?” domandò in tono di voce un po’ troppo alto,
guadagnandosi così un’occhiataccia da parte della bibliotecaria.
Improvvisamente, il suo sguardo si fece allarmato.
“Oh, cavoli, quella scommessa!”
Ricordava nitidamente la discussione avuta con suo fratello Ricki solo
qualche mese prima. Secondo lui, né Caroline, né Xander, sarebbero mai stati in
grado di batterlo a calcio. Era un’osservazione abbastanza logica, poiché Ricki
giocava come attaccante praticamente da sempre. Ma Caroline era testarda e alle
sfide rispondeva sempre con “accetto”, senza nemmeno valutare a fondo di che
cosa si stesse parlando. Per questo, quel pomeriggio si era ritrovata a
scorrazzare per il giardino dei Lockwood in compagnia di Xander, cercando di
far andare in rete la palla ai danni di Ricki: non ci era riuscita.
“Se vincevi tu, Ricki avrebbe dovuto accompagnare Vic alla cerimonia.” le
ricordò un divertito Xander con aria canzonatoria, sorridendo all’espressione
preoccupata affiorata sul volto dell’amica. “Ma se vinceva lui…”
“..Mi sarei dovuta iscrivere. Dannazione, che fratello odioso che ho!”
Caroline e i suoi fratelli avevano sempre detestato le varie ricorrenze
legate al loro status di ‘rampolli Lockwood’ e ci giocavano spesso sopra,
sfidandosi ad accettare scommesse strambe, a creare un po’ di confusione o a
inventare una scusa sufficientemente buona per poter scampare alle molteplici
cerimonie. Si era completamente scordata che quell’estate, un sogghignante
Ricki l’aveva tenuta d’occhio mentrelei
compilava il modulo d’iscrizione a “Miss Mystic Falls”.
E adesso eccola lì; aveva passato le selezioni –il suo cognome doveva
essere bastato per riservarle un posto nella lista- e se non avesse ritirato la
candidatura,l’avrebbero attesa due settimane di incontri e lezioni di danza che
non le destavano il minimo interesse.
“Ma è fuori discussione.” annunciò a quel punto mettendo il broncio, mentre
Xander la osservava divertito, la barretta di cioccolato nuovamente tra le
mani: aveva approfittato del momento di distrazione dell’amica per
riappropriarsene. “Appena finisco questo benedetto saggio vado a ritirare la
mia candidatura; con ogni probabilità, Ricki si sarà già dimenticato della
cosa, non vedo perché dovrei farmi del male psicologico da sola”.
“Mpfh…” Xander mugugnò
qualcosa di incomprensibile sgranocchiando la sua barretta. “..Smidollata.”
aggiunse, in seguito allo sguardo interrogativo di Caroline. “Hai paura che
Vicki ti batta?” chiese infine.
“Non ho paura che tua cugina mi batta.” commentò seccamente la ragazza.
“Non ho il minimo interesse nel partecipare a un concorso simile. Sarà una noia
tremenda!”
“Tua nonna non sarà delusa nel vedere il tuo nome per poi scoprire che ti
ritiri?” domandò il ragazzo prendendo a spulciare il saggio di Caroline,
girando pagine a casaccio. Analizzò con interesse un paragrafo dedicato a un
parallelismo con la storia locale di Mystic Falls e il suo sguardo si fece d’un
tratto più interessato. Caroline sbuffò.
“Non dovresti stare dalla mia parte? Odi quel genere di iniziative tanto
quanto me.”
Alexander diede una scrollata di spalle; prelevò uno dei fogli dal plico e
continuò a leggere.
“Mi piacerebbe vederti ballare con uno di quei vestiti…” buttò lì in tono
di voce atono, all’apparenza completamente concentrato dal tema di Caroline. La
ragazza gli rivolse un’occhiata stupita.
“Stai scherzando, vero?”
Xander annuì, pur non prestando
seriamente attenzione alle parole della ragazza; era completamente assorto
nella lettura.
“Caroline me lo presti questo saggio una volta finito?” domandò, voltandosi
in direzione dell’amica, salvo poi bloccarsi nel notare la sua espressione
contrariata. Sospirò e fece mentalmente un passo indietro.
“Ti faccio io da cavaliere.” si offrì tranquillamente,incominciando a passarsi la barretta di
cioccolato da una mano all’altra. Caroline lo squadrò con aria ancor più
stupita. Il suo sguardo passò in rassegna la cresta corvina del ragazzo, la
T-shirt spiegazzata e il polsino nero che gli fasciava il gomito e scoppiò a
ridere di gusto. Questa volta fu Xander a rivolgerle un’occhiataccia.
“Grazie per la sincerità.” borbottò con aria imbronciata, tornando a
concentrarsi sul saggio di Caroline.
La ragazza lo osservò con un pizzico di tenerezza inciso nello sguardo;
fece uno sforzo incredibile per trattenersi dall’infilargli una mano tra i
capelli per scompigliarglieli e ad un tratto arrossì, come se quel gesto che
ormai era diventato un’abitudine per lei, le sembrasse d’un tratto inopportuno.
“Sul serio lo faresti?” domandò, appoggiando il capo sul pugno ed
osservandolo leggere; Xander diede l’ennesima scrollata di spalle.
“Oliver ed io dovremmo comunque andarci a quell’evento, dunque tanto vale.”
spiegò, voltando pagina e sollevando il foglio appena letto per mostrarlo a
Caroline.
“Allora me lo presti, una volta finito?” domandò ancora, sventolandole il
foglio sotto il naso.
Caroline sorrise sfilandogli la pagina di mano e riponendola assieme alle
altre.
“Grazie.” gli sussurrò in un orecchio dopo essersi alzata, prima di
scoccargli un bacio sulle guancia.
Il ragazzo annuì appena, colto alla
sprovvista da quel gesto.
“Figurati.” Commentò, scoccandole una rapida occhiata dubbiosa, prima di
tornare a leggere.
“Ma adesso levati di torno e lasciami studiare.” concluseCaroline a quel punto, tirando la sedia
dell’amico verso di sé e afferrandolo per il braccio.
“Non posso concentrarmi con te che
sgranocchi cioccolata a tutto andare. E poi sei un rompipalle….”
“Non sono un rompipalle. Posso prendere in prestito il tuo…”
“Sì! Porca miseria, sì! E questo non è essere un rompipalle?” Ma Caroline
non ricevette mai risposta da Xander: la bibliotecaria li indicò entrambi con
aria furibonda e il ragazzo sollevò entrambe le mani in cenno di resa,
ridacchiando, prima di sollevarsi dalla sedia per abbandonare la biblioteca.
Inseguendo con lo sguardo la cresta scompigliata del ragazzo sempre più
lontana, Caroline nemmeno si accorse del sorriso che aveva preso a increspare
gli angoli delle sue labbra.
***
Quel pomeriggio, Mase era rincasato da scuola prima del solito. Non era sua
abitudine saltare le lezioni – detestava che gli venisse fatto notare, ma
studiare era una delle poche cose che riusciva a metterlo a suo agio – ma quel
giorno provava fastidio verso tutto. Perfino la sua stanza, il rifugio
quotidiano dagli sguardi insistenti della gente e dai discorsi troppo lunghi,
gli pareva fonte di fastidio, quel pomeriggio. Stare chiuso in camera gli
faceva mancare l’aria, gli dava sui nervi, come se già avvertisse le catene ai
polsi e alle caviglie. Per questo, non appena arrivato a casa, si era sistemato
sul muretto che delimitava il giardino sul retro. Il silenzio e la solitudine
l’avevano aiutato a smontare il nervosismo che aveva accumulato quel mattino.
Quando Caroline Forbes raggiunse a sua volta il retro della casa, dietro
indicazioni di Lydia, lo trovò intento a sonnecchiare, stravaccato a filo del
muretto. Aveva le mani in tasca e gli occhi chiusi, una gamba piegata e l’altra
a penzoloni, il tallone a colpire ritmicamente il blocco di mattoni. La vampira
sorrise, attraversando poi il resto del giardino per avvicinarsi al ragazzo.
Avvertendo il rumore dei suoi passi, Mase aprì gli occhi e scattò a sedere.
“Che ci fai tu qui?” sbottò infine, riconoscendo la persona che aveva appena
appoggiato la schiena sul muretto. Caroline estese il suo sorriso, osservandolo
balzare giù dal muretto; sembrava stesse facendo il possibile per prendere le
distanze da lei.
“Ciao anche a te!” lo rimbeccò allegramente, ignorando l’occhiata storta
del ragazzo e il cipiglio imbronciato di chi si sente improvvisamente violato
della propria privacy. “Tua madre mi ha detto che ti avrei trovato qui.”
“Non hai risposto alla mia domanda.” ribatté secco il ragazzo, squadrandola
diffidente. Avrebbe voluto essere meno ostile, ma non credeva di esserne in
grado; la litigata avuta con Oliver a scuola quel mattino era ancora troppo
fresca. Non voleva che si ripetesse qualcosa di simile con quella ragazza. E
poi avrebbe preferito starsene un po’ per conto suo, tanto per cambiare.
Caroline sospirò, rivolgendogli un’occhiata rassegnata.
“Voglio portarti in un posto.” asserì infine, tirando fuori dalla tasca le
chiavi della macchina e sventolandogliele sotto il naso. “Tranquillo, ho il permesso
dei tuoi genitori.”
Mason le indirizzò un’occhiata storta, prima di tornare a prendere posto sul
muretto.
“Non posso uscire.” Dichiarò asciutto, mettendosi a braccia conserte. Caroline
inarcò un sopracciglio.
“Ti ho detto che ho il permesso dei tuoi.”
“Beh, allora non voglio uscire.” Si
corresse il ragazzo dando una scrollata di spalle.
“Mi spiace, non accetterò un no come risposta.” ribatté decisa la vampira,
prima di concedersi un sorrisetto di sfida. “Vuoi che metta all’opera le mie
doti in auto-difesa?”lo prese in giro
infine. Mase la guardò storto, arrossendo lievemente.
“Non posso uscire, ho un problema.” ribatté infine, scuotendo il capo,
scocciato. Ma che diavolo voleva quella sclerata da lui? La conosceva a stento.
E poi era strana. Alle volte, quando gli parlava, lo faceva come se volesse far
intendere che si trovava un gradino avanti a lui. Quasi come se si conoscessero
da tempo. In quel momento, l’espressione di Caroline si addolcì leggermente.
“Lo so.” ammise infine la ragazza, tornando ad appoggiarsi al muretto. “Conosco
il tuo problema, Mason.”
Istintivamente il ragazzo si irrigidì, i nervi improvvisamente tesi, i sensi
allertati. Nel notare la sua reazione, Caroline si affrettò ad aggiungere
altro. “Mi riferivo alla tua scontrosaggine cronica, non stavo parlando di
quel…problema. Anche se sì, so che cosa dovrete affrontare tu e tuo padre con
l’arrivo della prossima luna piena.” Si corresse, accorgendosi di aver osato
troppo, nell’incrociare lo sguardo del ragazzo; aveva gli occhi sbarrati, come
se fosse appena stato scovato in un luogo che credeva sicuro. Sembrava
spaventato.
“C-chi te ne ha parlato?” balbettò a denti stretti, chiudendo le mani a pugno.
Caroline scosse rapidamente il capo, per poi lasciarsi sfuggire un sospiro.
“Ne parleremo a tempo debito….” Si limitò a commentare infine, scendendo dal
muretto e spostandosi in direzione del viottolo per raggiungere la macchina.
“…O magari più tardi, se vieni con me.” Concluse, raggiungendo la macchina.
Mason la seguì, imprecando a denti stretti, per nulla soddisfatto della sua
risposta.
“Questo è un ricatto.” Sbottò infine, con rabbia. Appoggiò la mano alla
portiera dell’auto, per impedirle di entrare. “Dirmi la verità non è un favore
che mi fai, è un mio diritto.”
A stento, Caroline si trattenne dall’esordire in un sorrisetto divertito. Ogni
tanto, quando le parlava, le ricordava di tutto fuorché un ragazzino di
quindici anni. Per un attimo si trovò a domandarsi quanto tempo trascorresse
chiuso in camera sua a divorare libri. “E poi sono grande abbastanza per poter
decidere da me come impiegare il mio tempo.” Proseguì il giovane, tornando a
incrociare le braccia sul petto. Caroline sostenne il suo sguardo con
decisione, per poi scuotere incredula il capo.
“Ah sì?” Fu il suo commento sarcastico a sopracciglio inarcato. “Se sei davvero
grande come dici…” incominciò a quel punto facendo il giro dell’auto. “…Non
nasconderti più.” Concluse infine, aprendo la portiera della macchina e
facendogli cenno di entrare con il capo. Mason aggrottò le sopracciglia. Le
parole di Caroline lo fecero irrigidire, come se fosse stato punto sul vivo. Le
sue movenze gli ricordarono quelle di una mamma spazientita, e la cosa, per
qualche strano motivo, lo fece imbestialire ulteriormente. Sbuffò, ma acconsentì
comunque a salire in macchina, sbattendo la portiera con un po’ troppa
violenza.
“Se al mio ritorno a casa vengo a scoprire che i miei non ne sapevano nulla, ti
denuncio.”
Borbottò infine, allacciandosi la cintura di sicurezza. Si strinse il più
possibile allo schienale, per nulla a suo agio. Nonostante fosse passata una
settimana dall’incidente, nessuno era ancora riuscito a fargli mettere piede in
auto, prima di quel pomeriggio. In silenzio trovò a domandarsi perché diavolo
avesse acconsentito. Caroline rise, scuotendo il capo, prima di mettere in
moto. La attendevano un minimo di due ore di silenzi e borbottii sommessi, ma
ci teneva a fare per lo meno un tentativo. In cuor suo sperava che ne sarebbe
valsa la pena.
***
“Lei hai fatto cosa?”
Gregory Lester si lasciò ricadere le
braccia sui fianchi con gesto spazientito, prima di tornare a squadrare con
astio lo sceriffo. “Si rende conto dell’importanza di quel dispositivo? Lei ha
rovinato tutto, agendo così.” Fell sbuffò, rigirandosi fra le mani la scatola
di legno contenente il congegno.
“Pensavo che le decisioni di un determinato peso venissero prese assieme.”
Proseguì l’insegnante di storia, visibilmente risentito. Fell aveva appena
raccontato ai due colleghi l’episodio accaduto nel giardino dei Lockwood, ormai
una settimana prima. Non appena aveva menzionato il fatto di aver azionato il
congegno, Lester si era infuriato. Ancor più, se l’era presa nel momento in
cui, un po’ a disagio, aveva spiegato ai colleghi di aver perso una parte
fondamentale del congegno. Lester sbuffò, tornando a sedere. Si era aspettato
che si sarebbero trovati tutti assieme prima di decidere cosa fare con il
marchingegno. Leanne, d’altro canto, sembrava tranquillissima. Lester le
indirizzò un’occhiata pensierosa e la donna ricambiò con un sorriso. Per un
attimo si trovò a domandarsi se lei non fosse già al corrente della faccenda da
tempo.
“Non ha poi molta importanza quello che è successo.” sbraitò infine lo
sceriffo, appoggiando il congegno sul tavolino di fronte a lui. “Volevamo la
prova che Lockwood senior fosse un lupo mannaro; ha perso il controllo della
sua auto quando quest’affare è stato azionato. Era nel raggio di azione del
dispositivo, di sicuro è tutto collegato.”
“Questo non significa nulla.” Ribatté prontamente l’altro. “Non abbiamo alcuna
prova che il problema sia quello. E i poliziotti che erano in servizio quella
sera non sembrano essere molto collaborativi. Roba strana visto che lei è lo
sceriffo.” Commentò infine, accennando un sorrisetto sarcastico. Fell si inalberò.
“Sta per caso insinuando che non so fare il mio lavoro?” si lamentò,
freddandolo con lo sguardo.
“Un uomo è morto in seguito a quell’incidente, Gregory.” Si introdusse nel
discorso Leanne, con uno dei suoi tipici sorrisi incredibilmente fuori luogo.
“Questa sì che è una prova. Possiamo aver perso l’ingranaggio principale per
mettere in funzione il congegno, ma se non altro sappiamo con certezza che
Tyler Lockwood ha scatenato la maledizione.”
“Certezza? Quale certezza?” obiettò ancora Lester, raccogliendo dal tavolino il
plico di fogli che gli aveva prestato Leanne: una delle ricerche di Bill
Forbes. “Ci stiamo basando sulle ricerche di un vecchio strambo….Senza offesa.”
Aggiunse ammorbidendo appena il tono di voce, spostandosi a guardare Leanne. La
figlia di Bill Forbes, tuttavia, si limitò a scuotere il capo per minimizzare.
“E se questa maledizione…Se questi licantropi…non esistessero? Jonathan Gilbert
non li ha mai menzionati in maniera diretta, nei suoi diari.” Esplicò infine,
passandosi una mano sulla fronte, quasi a voler sfilare via la frustrazione
manualmente. “Abbiamo bisogno di prove ulteriori.” Spiegò infine. Fell annuì.
“Ho pensato a qualcosa, in effetti.” Borbottò infine, tirando fuori dalla tasca
un foglio di carta spiegazzato. Lo gettò sul tavolino e Lester lo afferrò per
leggerlo, incuriosito. Era un volantino che elencava le ricorrenze organizzate
per quel mese dal comitato per le feste di Mystic Falls.
“Miss Mystic Falls sarà questa domenica.” Spiegò infine lo sceriffo, puntando
il dito a una delle date elencate. “La luna piena, invece, è sabato sera.
Parlerò con il comitato delle feste. Posso convincerli ad anticiparla di un
giorno. Lockwood non può mancare a una cerimonia simile. Ci saranno tutte le
famiglie fondatrici; probabilmente concorrerà anche la figlia. Se non si farà
vedere, sapremo il perché.”
“Sabato sera, però, si terrà l’asta per
gli Scapoli di Mystic Falls.” Gli fece notare Leanne, indicando un punto sul
volantino. Sollevò appena il capo a rivolgere un’occhiatina maliziosa a Lester.
“Lei non partecipa, Gregory?” domandò. Lester distolse lo sguardo,
improvvisamente a disagio. “Non credo, no.” Commentò asciutto, consapevole del
fatto che la donna lo stesse ancora osservando.
“Quella la rinviamo al sabato successivo.” Asserì infine Fell, recuperando il
foglio e alzandosi in piedi. “Farò una telefonata a Hazel Gilbert, è lei a
gestire il compitato per le feste di Mystic Falls. Sono sicuro che riusciremo a
far girare le cose nel modo giusto. Rimedieremo a quel piccolo erroretto di
distrazione, Lester.” Aggiunse infine lo sceriffo, un po’ in impaccio, quasi a
volersi scusare dei problemi causati. “E adesso scusatemi, ma devo proprio
andare.” Concluse, recuperando il cappotto dall’attaccapanni e affrettandosi a
lasciare la stanza. Lester continuò a rimuginare in silenzio, analizzando
mentalmente le ultime parole che aveva scambiato con Fell. Venne distolto dai
suoi pensieri, solo quando il sorriso quasi forzato di Leanne e il suo sguardo
insistente non lo convinsero a voltarsi nuovamente nella sua direzione.
“Sarebbe un peccato, se non partecipasse a quell’asta.” Commentò in tono di
voce affettato la donna, raccogliendo la sua borsa. “Io mi proporrei di
sicuro.” Concluse, sorridendo con malizia di fronte alla sua espressione
imbarazzata, prima di sparire oltre la porta.
***
"Puoi farmi del male?" "No." "Posso farne io a te?" "No!"
da Casper (1995)
Oliver abbandonò
il telefono sul comodino e si sistemò più comodamente sul letto, l’album da disegno
fra le mani. Si passò distrattamente una mano fra i capelli, prima di
allungarsi per pigiare il bottone della lampada sul comodino, in maniera da
farsi luce. Infine, tornò ad analizzare il suo disegno. L’aveva realizzato
qualche giorno prima della festa di Ricki e Jeff; era uno dei pochi fra quello
tratteggiati nel corso dell’ultimo periodo, che non rappresentava Anna. Era il
disegno di un aeroplano, uno dei suoi soggetti preferiti sin da quando era
bambino; ma questo non era un vero e proprio aereo: era la riproduzione di un
aeroplanino giocattolo: il suo primo aeroplano telecomandato.Non aveva idea del perché quel pomeriggio di
una settimana prima gli fosse venuto il pallino di disegnarlo. Ma quella sera,
mentre i suoi pensieri vorticavano per conto loroattraverso il tipico stato di quiete della
sua mente, Oliver si sentì quasi sicuro di averne appreso il motivo. Volse lo
sguardo versodestra per analizzare una
delle mensole sopra la scrivania: il soggetto del suo disegno, un modellino
d’aeroplano per bambini, era appoggiato in bella mostra fra il mappamondo e una
cartina incorniciata del SixFlags
di Denver. Era il giocattolo che aveva segnato la sua amicizia con Mase, quello
che otto anni prima era riuscito a strappargli per la prima volta più di
qualche parola e un pomeriggio trascorso a ridere e a rincorrersi nel giardino
dei Lockwood. Era stato grazie a quell’aeroplanino che erano diventati
inseparabili; in quel periodo Mason aveva imparato a mettere da parte un po’
delle sue insicurezze per sforzarsi di seguirlo ovunque. Dalle corse in
bicicletta ai maldestri tentativi di volo a bordo di un aeroplano giocattolo.
Dove andava Oliver, Mase lo seguiva e se gli capitava di volersi nascondere, di
fuggire o di correre ai ripari, in quel caso sarebbe stato Oliver a venire con
lui. E malgrado crescendo certe cose fossero cambiate parecchio, per loro ma
soprattutto per Mase, il loro modo di essere amici era rimasto quello di
sempre. Mason sapeva di avere Oliver dalla sua, e Oliver non si curava dei suoi
malumori continui, delle risposte brusche, degli accenni di aggressività
dell’amico, perché di curarsene se ne faceva ben poco. Lui aveva Mase; in un
modo strano e complicato, nella maniera contorta e imprecisa con cui le cose
riuscivano a farsi strada nel cuore dell’amico, ma non c’erano dubbi per Oliver
che le cose stessero così. Quel pensiero riuscì a strappargli un sorriso.
Tornò a posare
lo sguardo sul blocco da disegno e voltò pagina. La sua mente incominciò a
farsi ingombra di pensieri, mentre analizzava i lineamenti della giovane
ritratta sul foglio. Ben presto i suoi occhi si trovarono a incontrarne un paio
identico a quello disegnato sulla carta. Annabelle gli sorrise, prendendo posto
ai piedidel suo letto, un’espressione
serena a distendere i tratti del suo volto.
“Ho delle buone
notizie per te.” lo salutò, mentre il ragazzo tornava a voltare pagina,
ascoltando incuriosito le sue parole.
“Buone notizie?”
ripeté, alzandosi a sedere e portandosi le ginocchia al petto. “Di che tipo?”
Lo sguardo di
Anna si perse a contemplare delle fotografie appoggiate sul comodino di Oliver.
Si sollevò dal letto per raggiungerle, per poi soffermarsi su una cornice in
particolare: raffigurava Oliver da bambino sulle spalle di suo papà. Portava in
testa un berretto da aviatore e aveva le braccia distese come se stesse
cercando di spiccare il volo, mentre il padre lo teneva saldamente per le
gambe.Il sorriso di Jeremy era talmente
esteso e luminoso in quella foto, che ad Anna venne spontaneo sorridere a sua
volta, diluendo l’espressione malinconica che era andata a costruirsi sul suo
volto.
“Penso che si
siano spostati.” commentò infine voltando le spalle alle fotografie sul
comodino e tornando ad osservare Oliver. “Non li sento più. Credo che si siano
allontanati da Mystic Falls.”
Oliver aggrottò appena le sopracciglia, abbandonando il blocco da disegno
sul copriletto.
“Parli degli altri fantasmi?”
domandò, abbracciandosi le ginocchia con fare pensieroso. Anna si mordicchiò il
labbro, scuotendo poi il capo.
“Non sono fantasmi, Oliver.” Gli ricordò, tornando a prendere posto sul
letto. Istintivamente, Oliver si fece da parte, per farle più spazio. “Ci sono
altre creature di cui non sai nulla che hanno inciso molto sul passato della
tua famiglia. Sono pericolose.” lo mise in guardia la ragazza, rivolgendogli
un’occhiata insistente. “E sono reali.”
“Anche tu sei reale.” osservò con tranquillità il ragazzo, passando in
rassegna il suo volto con lo sguardo. Le parole di Oliver riuscirono a
strapparle un sorriso.
“Sono più reali di quanto lo sia io.” spiegò. “Loro non vivono dall’altro
lato. Non hanno bisogno di un contatto con gli umani per poterli raggiungere.
Possono toccarvi; possono fare del male. Anche io ero come loro.” rivelò
infine, appoggiando entrambe le mani sul copriletto. Oliver appoggiò i gomiti
sulle ginocchia, lo sguardo improvvisamente assorto, ancora una volta scivolato
nel suo piccolo mondo personale.
“Tu puoi farmi del male?” domandò dopo poco, tornando a rivolgersi ad Anna.
La ragazza scosse immediatamente il capo.
“No.”
“Posso farne io a te?”
“No.” ribadì ancora una volta la ragazza, abbozzando un sorriso. Oliver
appoggiò l’album da disegno sul comodino e piegò le braccia all’indietro per
stiracchiarsi.
“Bene.” ammise serenamente infine, ricambiando il sorriso, prima di apparire
nuovamente incuriosito. “Quello che non riesco a capire, è… perché queste
creature vogliono farci del male?” concluse.
Anna sospirò.
“Perché…” tentò di spiegare, scrutandolo con espressione malinconica. “La
tua famiglia in passato faceva parte di qualcosa in cui è meglio che tu non ti
immischi. Quelli come me ferivano gli esseri umani e voi Gilbert ci
annientavate in risposta. È una cosa che va avanti da secoli.”
Dopo aver ascoltato le sue parole, Oliver aggrottò lievemente le sopracciglia,
rivolgendole un’occhiata pensierosa.
“Non credo che tu ci avresti fatto mai del male.” Asserì infine.
L’espressione di Anna si addolcì, ma venne velata da una leggera patina di
tristezza.
“E invece ne ho fatto, in passato.”
“Forse non ne avevi scelta…” obiettò a quel punto il ragazzo, rivolgendole
un’occhiata tentennante. A Anna fece quasi tenerezza.
“C’è sempre una scelta.” mormorò, prima di tornare a sorridergli.
“Ti ho fatto preoccupare per nulla.” Affermò infine,“Come ti ho detto poco fa, penso che si
stiano spostando. Forse non erano qui per la tua famiglia.” concluse, alzandosi
in piedi. “Ma cercherò di tenere d’occhio la situazione ancora per un po’.”
Oliver annuì, osservandola
allontanarsi dal letto. Infine, nel suo sguardo, prese forma una vaga ombra di
determinazione.
“Volevo chiederti un favore.” ammise infine.In quel frangente lo sguardo passò a
spostarsi quasi distrattamente verso l’aeroplano giocattolo sulla mensola.
“Forse potresti aiutarmi..”
Anna gli rivolse un’occhiata incuriosita, tornando a voltarsi nella sua
direzione.
“C’entra qualcosa il tuo amico?” domandò a quel punto, notando la punta di
apprensione nel suo sguardo. Oliver si limitò ad annuire.
“Credo che gli stia succedendo qualcosa.” spiegò, evocando l’episodio
verificatosi quella mattina. Non era arrabbiato, solo confuso; di rado riusciva
a prendersela per gli atteggiamenti bruschi di Mase. Non sapeva arrabbiarsi con
lui: non quando Mase era sempre il primo ad essere costantemente in guerra con
se stesso. “Sono preoccupato per lui.”
Annabelle annuì.
“Non posso muovermi più di tanto a ridosso della vita di Mason.” spiegò,
osservandolo assumere un’aria concentrata.“Non sono legata a nessun membro della sua famiglia, ma posso provarci
lo stesso.”commentò.. Oliver la
ringraziò con lo sguardo, sorridendo riconoscente.
“Adesso però devo andare.” concluse
infine Anna, accarezzandolo con lo sguardo a mo’ di saluto. Il ragazzo annuì.
“Anna?” la richiamò tuttavia ancora una volta, mentre la ragazza gli dava
le spalle.
“Che cosa c’è, Oliver?”
“Quando sarai sicura che la mia famiglia non è in pericolo, te ne andrai?”
Quella domanda la colse alla sprovvista; Anna si volse nuovamente ad
osservare il ragazzo. Oliver aveva le ginocchia strette al petto, la nuca
appoggiata al muro e un’espressione interrogativa a modellare i lineamenti
gentili del suo viso. Per un attimo, nel suo sguardo, individuò la stessa
voglia di conoscere di Jeremy, il suo cipiglio pensieroso che l’aveva colpita
la prima volta che si erano incontrati in biblioteca. Ancora una volta, la
malinconia si fece strada sul suo volto, incrinando leggermente il suo sorriso.
“Sì.” ammise infine, ricambiando lo sguardo di Oliver. “Mi piacerebbe continuare
a vederti, ma non è così che funzionano le cose. Non sarebbe giusto. Né per me,
né per te…Né per tuo padre.” aggiunse infine; e Oliver riuscì a distinguere
chiaramente una nota di tristezza nel modo in cui le si era rivolta. Sospirò,
tornando a cingersi le ginocchia con le braccia.
“Non lo troverei ingiusto.” commentò
infine, allungandosi verso il comodino per spegnere la lampada. La figura di
Annabelle scomparve ai suoi occhi, così come il resto, lasciando il posto al
buio. “A me piacerebbe che tu restassi. Sei una buona amica.”
Le parole di Oliver riuscirono a farle accennare un lieve sorriso; rimase
in silenzio per un po’, osservando le ombre della stanza suggerire che solo lei
era in grado di vedere con il buio. Il suo sguardo si posò un’ultima volta sul
ragazzo che si stava infilando sotto le coperte.
“Buonanotte, Anna.”
Oliver chiuse gli occhi e sistemò il capo sul cuscino, un’espressione
rilassata a ingentilire il suo volto; in apparenza, non sembrava per nulla turbato
dalla conversazione che avevano appena avuto. La tranquillità che emanava il
suo volto, riuscì ad infonderle un po’ della serenità che aveva ormai perso da
tempo.
“Buonanotte, Oliver.”
Catturò quell’immagine nella sua mente intenzionata a trattenerla con sé
come se si trattasse di una foto; di un ritratto.
Infine, svanì.
“Kat?”
“Mm-hmm.”
“Posso tenerti con me?”
daCasper (1995)
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Visto che sono
scomparsa da tanto tempo lascio i link a:
Il gruppo facebookcon foto, informazioni, spoiler, sondaggi
e quant’altro a proposito di History Repeating.
Il canale
youtubecon
tutti i video dedicati aHR e la playlist della colonna sonora. (Y)
Nota dell’autrice. – Anche sempre detto ‘Polpettone time’ -
… *si guarda attorno un po’ in imbarazzo* Buona sera .-. Sì, io e i pargoli
siamo vivi .-. In imbarazzo per via di tutto il tempo passato, ma vivi. E
speriamo vivamente che vi ricordiate un po’ ancora del crestino di Xander, dei
disegni di Oliver, della follia di Vicki, del pallone di calcio di Ricki e via
dicendo :3 Detto questo, se vi ricordate ancora di noi io vi ringrazio e vi
abbraccio forte forte. Le vacanze mi avevano rubato tutta l’ispirazione e la
voglia di scrivere. Sono dovuta tornare nel mio Galles per riuscire a rimettere
in moto il cervellino, ma ora, dopo tutti questi mesi, eccomi di ritorno a
stressarvi con la prima parte del capitolo nove :3 Vediamodi riuscire a mettere in fila tutte le varie
cosette che devo dirvi per comprendere al meglio questo primo pezzo di
capitolo. Allora… Faccio la scaletta, va!
1. Mase è spropositatamente
nervoso.L’incipit del capitolo racconta
bene o male la sua reazione alla scoperta di ciò che gli sta accadendo, nel
momento in cui papi Tyler e Ricki gli mostrano il filmato di Mason Sr. Per
quanto riguarda la scena con Oliver e il comportamento di Mase in generale…Sì,
ho fatto perno più che altro sulla citazione del diario di Mason senior tratta
dal telefilm per immaginare il modo in cui potrebbe reagire. Lui di per sé è
una persona molto insicura e nervosa e ho immaginato che lo scatenarsi della
maledizione potesse renderlo ancora più teso e pronto a scattare per un
nonnulla. Il momento in cui spinge Oliver è stato molto sofferto, per me .-.
Sia ben chiaro che Oliver è una delle poche persone a cui non torcerebbe mai un
capello, ma quel momento era necessario per me per tre motivi. A, spiegare fino
a che punto Mason sia instabile in questo momento. B, cogliere l’occasione per
introdurre qualcosa che verrà riapprofondito più in là nel corso della storia,
ovvero, il rapporto un po’ rugginoso che c’è tra Xander e Mase. Infine, C, mi
serviva per approfondire il rapporto tra Mase e Oliver, qualcosa a cui ho
voluto dare tanto spazio in questo capitolo e che tornerà in maniera assidua
perché questi due li amo e perché Mase e Oliver hanno il mio cuore, ed ecco…Sì,
adesso la smetto, giuro .-.
2. A proposito del rapporto Oliver/Mase…
Trattando le loro parti ho cercando di mantenermi il più neutrale possibile,
perché quando ho incominciato questo racconto la mia visione dei personaggi era
un po’ diversa, ma credo che si intuisca facilmente che il loro rapporto sia un
poco ambiguo sotto determinati punti di vista. Chi segue i miei deliri su HR
anche al di fuori da efp sa che per me Oliver è ormai
a tutti gli effetti bisessuale ed innamorato del suo migliore amico. Non ho
ancora deciso se inserire tutto questo anche in HR, probabilmente no,
soprattutto per via delle dinamiche relazionali tra i vari personaggi, ma vi
posso dire che se ci volete vedere lo Slash,
lo potete vedere tranquillamente *O* In ogni caso, la loro è un’amicizia molto
forte. E ho cercato di lasciarlo intendere nella scena Annaver (Anna + Oliver).
3.Nella scena Ricki/Tyler, ci sono delle frasi che per chi ha letto Waitingfor the moon possono essere sembrate un déjà-vu, per questo
ci ho messo (almeno credo di averlo messo) l’asterisco. Ricki rimarca le stesse
parole che disse al padre da bambino, quando decise di andare ad ‘aspettare la
luna’ assieme a lui. Non so, spontaneamente mi sono uscite fuori quelle parole,
forse perché l’affermazione che fa (voglio venire con voi, papà) mi fa pensare
a Waitingfor the Moon.
E ho pensato che fosse stato carino inserire un parallelismo. E quindi no,
Ricki non partirà. È troppo testardo e tiene troppo al fratello per ascoltare
il padre. Anche in questa scena spiccano alcune cose nella dinamica
padre/figlio che approfondirò in futuro. Ma per ora non ci pensiamo :3 Jeffers invece tornerà a scuola, ma…C’è un ma. E lo vedremo
più in là con la storia. Ma tranquilli, non mi sono dimenticata di lui. Piano
piano ognuno avrà il suo spazio, in questo momento, però, la priorità è della
famiglia Lockwood e potrete immaginare perché.
4. Nella prossima metà del capitolo scopriremo: dove stanno andando Mase e Caroline :3 Poi…Scopriremo chi altri
parteciperà a Miss Mystic Falls
oltre a Caroline. Autumn avrà a che
fare con qualcos’altro di ‘strano’ e verrà introdotto un nuovo personaggio. Ok,
in realtà verranno introdotti due personaggi, ma uno, se qualcuno di voi legge Pyramid,
lo conoscerà già (che cosa vi suggerisce il nome ‘Tutankhamon’? <3) ah! E ci
sarà Vicki <3 Forse anche Julian, devo vedere!
5. Il titolo del capitolo, come sempre, è tratto da un episodio di TVD. Se
non erro, seconda stagione.
6. Il parallelismo tra Oliver/Anna e Casper era da secoli che attendevo di
trovare il modo di introdurlo. Finalmente ce l’ho fatta.
Ok, adesso vado, come sempre ho sparlato troppo e come sempre mi starò
dimenticando qualcosa. Non potete capirequanto sto in ansia, mi sembra di essere tornata alla pubblicazione del
primo capitolo. Spero vivamente che questo ritorno un po’ modesto vi piaccia,
ci tengo tantissimo a sapere che cosa ne pensate, perché voglio tornare a
prendermi cura di questi pargoletti e ho bisogno del vostro parere. Mi sono
mancati troppo e mi siete mancati voi.
Quella
mattina, Autumn si alzò dal letto ancor prima del
solito; si era svegliata nervosa e aveva bisogno di distendere i nervi con
l’unica cosa che riusciva a farla sentire rilassata, ad eccezione dei discorsi
strampalati della sua migliore amica: la corsa. Fece colazione e uscì, avviando
il contapassi. Cinque minuti più tardi, aveva già rallentato l’andatura. Si
sentiva già stanca, nonostante avesse appena cominciato l’allenamento. Riprese
ad accelerare, ignorando quella spossatezza. Continuò a mantenere un’andatura
sostenuta fino a quando non raggiunse il margine del bosco. A quel punto
rallentò la corsa, sforzandosi di dare poco peso alla stanchezza, per
focalizzarsi su ciò che le stava attorno; il bosco, non era fra i luoghi che
prediligeva per gli allenamenti, eppure quel mattino gli era sembrato quasi
naturale addentrarsi da quelle parti. Rallentò ancora di poco,
scendendo verso la radura, per poi interrompere bruscamente la corsa quando si
trovò di fronte ad una sorta di vicolo cieco: il bosco non proseguiva,
scendendo. Aggrottò appena le sopracciglia, perplessa, mentre con il fiato
corto, analizzava ciò che la circondava: non era sicura di conoscere quella
porzione di bosco. Scoccò una rapida occhiata all’ iPod
che teneva allacciato al cinturino. Rimpicciolì la schermata del contapassi per
controllare l’ora: le dieci e mezza. Era già passato tutto quel tempo? Eppure
era sicura di aver appena messo piede fuori casa. La sua mente sfiorò per un
attimo il pensiero di Vicki. La immaginò con una ciocca di capelli
attorcigliata attorno l’indice e un broncio in bella mostra, in seguito al ritardo
dell’amica: Autumn le aveva promesso che avrebbe
aiutato lei e Caroline a scegliere l’abito per la cerimonia di Miss MysticFalls, ma per qualche
strana ragione, quella mattina, la sua mezzora quotidiana di footing continuava
ad allungarsi. Fece per tornare indietro, quando qualcosa catturò la sua
attenzione; a una decina di metri di fronte a lei la radura si interrompeva,
terminando in un’apertura circolare scavata nel terreno. Inarcò un
sopracciglio, osservandone la forma. Tuttavia, ben presto, qualcos’altro attirò
ulteriormente la sua attenzione, convincendola a dimenticarsi di quel
dettaglio: c’era un uomo, poco distante dall’apertura. Aveva la schiena
appoggiata al tronco di un albero, lo sguardo assorto e le mani occupate a
giocherellare con qualcosa che ricordava una sorta di catenina. Nel momento
esatto in cui Autumn decise di fare retro front e ritornare sui suoi passi, lo sconosciuto si si scostò dall’albero e puntò lo sguardo dritto nella sua
direzione. Se non fossero stati così distanti, la ragazza avrebbe pensato che
avesse avvertito i suoi movimenti. I loro sguardi si sostennero a vicenda per
un istante, la circospezione di Autumn a mescolarsi
con l’aria distratta, quasi assente, dello sconosciuto. Lo vide
avvicinarsi, come se avesse riconosciuto nel suo arrivo qualcosa che stesse
aspettando da tempo. “Emily?” Chiese in
tono di voce esitante, squadrandola confuso. Nel farlo, si lasciò scivolare nel
pugno chiuso la catenina con cui aveva giocherellato fino a quel momento. “Persona
sbagliata.” lo smontò rapidamente Autumn, abbozzando
un mezzo sorriso storto di circostanza. Non riuscì a nascondere un po’ di
sconcerto, mentre analizzava con aria cinica lo sconosciuto; aveva un aspetto
piuttosto stravagante, ma non era sicura di saper spiegare il motivo che
l’aveva portata a farsi quell’impressione. Forse erano le borse sotto agli
occhi o il groviglio di capelli scuri arruffati che gli ricadevano in ciocche
distratte sulla fronte; entrambi i tratti davano l’impressione che quell'uomo
fosse appena stato svegliato bruscamente da un incubo. Indossava i jeans più
logori e consunti che Autumn avesse mai visto in vita
sua. Era stupita che non lo avessero ancora lasciato in mutande per via di
tutti gli strappi che li ornavano. La camicia, al contrario, era linda e
impeccabile, le maniche arrotolate sui gomiti del ragazzo e il colletto piegato
con cura. Aveva un’aria svampita che non faceva altro che stuzzicare il suo
cinismo, eppure non riuscì a fare a meno di individuare qualcosa di magnetico
nello sguardo dello sconosciuto. C’era qualcosa di remoto, in lui. Non aveva
nulla che le ricordasse la gente di MysticFalls; ma forse, ripensandoci, le sarebbe apparso fuori
luogo dovunque. Quegli occhi chiari la mettevano in soggezione,
stuzzicando la parte irrazionale di sé stessa, quella che puntualmente cercava
di mettere a tacere ogni volta, per dare ascolto al cervello. L’istinto cercava
di metterla in guardia da quello sconosciuto.
Lo straniero la esaminò ancora,
tornando a giocherellare con la catenella. Autumn
notò che al centro vi era appesa qualcosa, una specie di piastrina
identificativa. Fece un passo indietro, decisa a incamminarsi verso casa di
Vicki, ma il ragazzo dall’aspetto strano tornò a rivolgersi a lei.
“Sei
comunque una Bennet, dico bene?” domandò, incrociando
le braccia sul petto ed esordendo in un sorriso particolarmente insolito che Autumn non fu in grado di interpretare: quel tipo stava
seriamente incominciando a metterle i brividi. E in una maniera affatto
positiva. “No.”
Ribatté secca, squadrandolo con aria ostile. In fin dei conti non stava nemmeno
mentendo: Bennet era il cognome di sua madre. Che
cosa c’entrava quel tizio strambo con loro? Il sorriso del ragazzo si estese.
Si fece più vicino, sollevando le mani in cenno di resa. La catenella era
ancora incastrata fra il pollice e l’indice della mano destra, ma ancora
una volta, la raccolse nel pugno.
“Te la cavi con la magia?” domandò a
quel punto, studiandola con un barlume di interesse negli
occhi: quelle parole paralizzarono Autumn. “Chi sei?”
domandò bruscamente, pur sforzando di nascondere l’agitazione. Lo sconosciuto
chinò appena il capo con ironia, a mo’ di inchino. “Mi chiamo Zacheria.” rispose, tornando a studiarla con un accenno di
sornioneria nello sguardo “E tu sei?”
Autumn ignorò la sua domanda. “Che cosa
vuoi da me?” domandò invece, arretrando ancora di qualche passo. Lo sguardo di Zacheria si fece improvvisamente più acceso, quasi fossero
proprio quelle le parole che stava aspettando di sentirsi rivolgere. Si
avvicinò di qualche passo e quando il suo pollice corse a sfiorare il mento
della ragazza, Autumn si accorse di non essere in
grado di muoversi. Era talmente terrorizzata da non riuscire a muovere un
muscolo o c’era dell’altro? Indirizzò le sue iridi verso l’alto, lasciandole
coincidere con quelle incredibilmente chiare dello sconosciuto; vi riconobbe
un'insolita venatura opaca che ancora una volta la face pensare a qualcosa di
lontano, di sbiadito. Di antico.
“Aiuto.” Rispose semplicemente Zacheria, lasciandosi scivolare la catenella in una tasca
dei jeans. Con le mani libere, sbottonò i polsini della camicia e si arrotolò
le maniche poco sopra gli avambracci. “…E…uno
spuntino. Se non è troppo disturbo.” aggiunse, mentre un sorriso
indecifrabile prendeva ad arricciargli le labbra. E poi i suoi occhi si tinsero
di rosso. Autumn fece appena in tempo a riconoscere
il repentino cambio di espressione, che lo straniero si avventò su di lei. Un
dolore lancinante le attanagliò il collo e ,colta dal panico, incominciò a urlare….
“…Autumn?”
Continuò a
gridare fino a quando non si rese conto che dalla sua gola non stava provenendo
alcun suono. Il dolore svanì nel momento esatto in cui aprì gli occhi, così
come le immagini che fino a quel momento avevano ingombrato la sua visuale.
“’Tumn!”
Una voce femminile richiamò la sua
attenzione. Autumn aggrottò le sopracciglia, cercando
di mettersi a sedere. Vicki le rivolse un’occhiata a metà tra il perplesso e il
divertito, per poi accennare a un broncio infantile, lasciandosi cadere sul
materasso.
“I nostri discorsi sono barbosi o è
il tuo jogging mattutino che ti ha stancata e hai deciso di farti un
sonnellino?” domandò la ragazza. Le sfilò il cuscino da sotto la nuca e la
colpì in testa. Autumn borbottò qualcosa, ancora
confusa, prima di allontanarsi di scatto dal letto. Portò le mani dritte di
fronte al suo sguardo e le osservò con attenzione: non le prudevano così tanto
dal giorno della partita di hockey. Il giorno in cui si era verificato quel
maledetto incidente della lattina. In quel momento, ebbe un improvviso
giramento di testa. Frammenti di immagini riguardanti il sogno che aveva appena
avuto riemersero, minacciando di riempirle lo sguardo, cancellando tutto ciò
che stava realmente vedendo in quel momento. Si aggrappò saldamente al comodino
e, lentamente, la stanza di Vicki tornò a fuoco, eliminando definitivamente
l’immagine poco nitida di quell' apertura nel terreno e gli occhi chiari di
quello sconosciuto; avrebbe dovuto sentirsi tranquilla ora che l’incubo era volto
al termine. Eppure, un’insolita sensazione continuava a prevalere, la stessa
che aveva avvertito nel suo sogno: la sensazione di pericolo.
“Tumn,
tutto a posto?” domandò ancora Vicki, squadrandola insospettita. Ai piedi del
letto, Caroline Lockwood giocherellava con uno dei ponpon da cheerleader dell’amica, le gambe incrociate e
un’espressione insolitamente assorta. Vicki le rivolse una rapida occhiata
indecisa, prima di aggiungere “Problemi con quella…”
e qui si fermò, accennando a un gesto vago con le mani. Fece una smorfia,
mimando le forme di una sfera di cristallo. “ Wooooo quella
cosa, insomma?”
Caroline
rivolse a entrambe un’occhiata stranita; Autumn
freddò l’amica con un’occhiataccia.
“Sto bene.” Le tranquillizzò
entrambe tornando a sedere sul letto. Istintivamente si passò una mano sul
collo, come a voler verificare che fosse ancora integro. Nel farlo i
polpastrelli quasi bruciarono per via del prurito insistente. Ancora una volta,
l’espressione inquietante e il sorriso ambiguo di quello sconosciuto le
balzarono alla mente. Il campanello di allarme prese a vibrare
ancora più forte nella sua testa. “Ho poche ore di sonno alle spalle e
probabilmente mi sono alzata troppo in fretta, tutto qui.”
Vicki le rivolse un’occhiata poco
convinta, prima di dare una scrollata di spalle e cominciare a canticchiare fra
sé. “Tu bevi
troppo caffè.” Comunicò infine poco dopo, puntandole contro l’indice. “Il caffè
ti rende nervosetta e non ti lascia dormire la notte.” mentre parlava aveva
infilato la testa sotto al letto. Ne uscì fuori poco dopo con una pila di
riviste di moda tra le mani. Le sparpagliò sulla trapunta e tornò a incrociare
le gambe, recuperandone una a caso. “Adesso però mi servi sveglia e di buon
umore.” concluse infine, ignorando l’occhiataccia di Autumn
e sfilando i ponpon di
mano a Caroline. Li lasciò cadere per terra e le sorrise, prima di sventolare
il giornalino sotto il naso della ragazza. “Dobbiamo aiutare questa bella
biondina a trovare l’abito adatto per Miss MysticFalls.” annunciò, sfilandosi un ciuffo di capelli via dagli
occhi. Caroline sospirò.
“Vicki, te l’ho detto, non credo che
parteciperò.” ribadì infine, spostando lo sguardo in direzione di Autumn in cerca di approvazione. L’amica diede una
scrollata di spalle, mentre Victoria continuava a sfogliare assorta la rivista.
La strana sensazione, il prurito ai polpastrelli, stava lentamente scemando.
Questo la aiutò a sentirsi più rilassata.
“Non mi sembra il mio genere di
cosa.” Proseguì Caroline.
“Potrebbe essere divertente.” cercò di
sostenerla Autumn, intrecciando le gambe e
allungandole sul letto. Vicki arricciò il naso e si attorcigliò una
ciocca di capelli sull’indice, analizzando Caroline con espressione pensierosa.
“Ma dai, Care, perché no?” esclamò
infine, dandole un colpetto con il piede. “Sei competitiva fino al midollo, e
questa è una gara, in fin dei conti. Dovrebbe essere pane per i tuoi denti. E
poi sei una Lockwood, no?”
“Sì, ma mi ci vedete in abito
elegante e tacchi a spillo?” ribatté Caroline, afferrandosi le punte delle
converse e unendole l’una all’altra con le mani. “Beh, in effetti i tacchi mi
farebbero sembrare un po’ più alta, ma…” sospirò,
spostando distrattamente lo sguardo sulle riviste. Ne prese una e incominciò a
sfogliarla, sorridendo appena. “Questo è carino.” Ammise infine, indicando un
abito da sera azzurro. Vicki lo analizzò sovrappensiero per un po’, poi balzò
in piedi, si avvicinò al suo armadio e incominciò a frugare fra i vari vestiti,
tirando fuori abiti alla rinfusa.
“Vedrai che andrai alla grande;
secondo me vinci pure.” La rassicurò, con la testa ancora infilata
nell’armadio. Tirò fuori un vecchio cappellino da sole, lo soppesò con un mezzo
sorriso divertito e raggiunse Autumn, per posarglielo
sul capo. L’amica sospirò, azzardando allo specchio un’occhiata a
metà tra il divertito e il rassegnato.
“E poi, scusa, cogli l’occasione per
farti figa agli occhi di mio cugino.” Proseguì tranquillamente Vicki, sfilando
un paio di abiti dalle grucce e lanciandoli sul letto. “Magari è la volta buona
che Xander si dia una svegliata…”
Le guance di Caroline si tinsero
istantaneamente di rosso. Vicki le fece l’occhiolino, per poi scoccare
un’occhiata divertita in direzione di Autumn. La
biondina sospirò, nascondendo il viso dietro la rivista.
“Ma si capisce così tanto, che…” azzardò da dietro la pagina, poco sicura di voler
conoscere la risposta. “…Insomma, ne ho parlato solo
con Mase.” ammise infine, lasciando perdere il giornale. Vicki sorrise con aria
di chi la sa lunga.
“Penso che lo abbiano capito tutti tranne
il diretto interessato.” dichiarò candidamente, dandole poi un buffetto sulla
guancia. “Oh, e Ricki, ovviamente.”aggiunse, cambiando
improvvisamente espressione. “A Ricki piace il rosso?” domandò, quasi
sovrappensiero, per poi scuotere il capo decisa, sfilandosi un ciuffo di
frangetta dagli occhi.Raggiunse il suo armadio di corsa, quasi
avesse appena avuto una rivelazione fulminante e frugò tra i vari abiti per una
manciata buona di minuti.
“Questo è carino.” annunciò infine,
tirando fuori un abito da sera verde e mostrandolo alle due ragazze. “Secondo
me le calzerebbe a pennello.” Aggiunse, alludendo a Caroline, cercando
l’approvazione di Autumn con lo sguardo. L’amica lo
soppesò con aria critica e infine sollevò il pollice, dando l'ok all'
abito. “Sì, può andare.” confermò, abbozzando un sorriso. Vicki
sollevò il braccio in segno di vittoria e lasciò cadere il vestito sul letto,
di fronte a Caroline. “Provalo,
dai'" ordinò, unendo le mani e sorridendo entusiasta: era evidente che si
stesse divertendo come non mai.
“Potremmo esserci baciati il week
end scorso alla casa sul lago.” azzardò a quel punto Caroline. Lo aveva detto
tutto d’un fiato, come se non avesse aspettato altro che vuotare il sacco per
tutto il tempo che era stata lì. L’espressione di Vicki si fece tutto a un
tratto più vivace. Caroline non fece nemmeno in tempo ad aggiungere altro che
la ragazza le aveva già sfilato il vestito di mano. “Allora
questo non va bene!” la rimbeccò, tornando a frugare nell’armadio. “Avresti
dovuto dirmelo prima, scemina!”
Caroline scoccò un’occhiata
disorientata a Autumn che scosse il capo rassegnata,
come a volerle suggerire di non farci caso. “Che cosa è successo dopo il
bacio?” domandò, incoraggiandola a proseguire con il discorso, mentre Vicki
parlottava fra sé e sé, esaminando i vari vestiti. Caroline si morse il labbro,
tornando a tormentarsi le punte delle Converse.
“Ha rovinato tutto, proponendo di
fingere che non fosse mai Successo.” Commentò, terminando la frase in tono di
voce improvvisamente alterato. “Ecco, mi è venuta voglia di prenderlo a pugni.”
dichiarò.
In quel momento, Vicki sbucò
finalmente fuori dall’armadio tenendo in mano un secondo abito azzurro,
decisamente più corto del primo.
“Nieeente pugni!”
cinguettò allegramente, accostando il vestito a Caroline. “Una volta fidanzati,
potrai farlo a pezzi tutte le volte che vorrai. Ti insegnerò la mia piroetta
rotante, che te lo assicuro, è una meraviglia quando si tratta di picchiare gli
uomini. Ma adesso pensa solo ad essere sexy e a sfilare via il prosciutto dagli
occhi di quel rimbambito di mio cugino.”
“Sei sicura che questo vestito vada
bene per me?” la interrogò la ragazza, rivolgendo un’occhiata quasi intimidita
alla scollatura dell’abito. Vicki annuì, decisa. “Assolutamente
sì.” annunciò, indicandole la porta della camera. “E adesso fila in bagno a
provartelo; io e ‘Tumn vogliamo l’effetto
sorpresa.” Concluse allegramente, prima di sistemarsi nuovamente sul letto di
fronte all’amica. Caroline sospirò. Con riluttanza, si piegò l’abito sul braccio
e si avviò in direzione della porta. “Se faccio
ridere, vi prego, non ditemelo.” Si raccomandò, prima di chiudersela alle
spalle. Una volta sole, l’espressione di Vicki cambiò, facendosi d’un tratto
meno raggiante. “Che è
successo, prima?” domandò, voltandosi in direzione di Autumn.
L’amica sbuffò.
“Niente.” rispose la ragazza, non
riuscendo bene a comprendere se fosse sincera oppure no.
“...Credo" Vicki riesumò uno dei suoi ponpon e glielo tirò in testa.
“Ehy!” la
rimbeccò l’amica, rivolgendole un’occhiata stizzita.
“Non può non essere successo nulla,
hai fatto ‘la faccia’…” le fece notare l’altra ragazza, incrociando le braccia
sul petto e inarcando il sopracciglio. Autumn sgranò
gli occhi. “La che?”
“La faccia!” “E sarebbe?” “L’espressione
che fai solo nei momenti in cui stai pensando alla woooooo!”
ripeté quel verso e il gesto vago della mano che aveva fatto poco prima,
riferendosi alla magia. Autumn si passò le mani sulle
tempie.
“Ma perché ti do retta, perché?”
mormorò fra sé e sé, lasciandosi infine sfuggire un sospiro. “Non penso sul
serio che sia successo qualcosa.” ammise infine. “Però ho fatto un sogno
strano; e quando mi sono svegliata avevo di nuovo quella strana sensazione di
prurito ai polpastrelli, e mi sentivo agitata; come se il mio istinto stesse
cercando di suggerirmi qualcosa.” Concluse, aggrottando le sopracciglia e
chinando il capo, tornando ad osservarsi le mani. “Questa cosa incomincia a
spaventarmi, Vic.” Ammise infine, tornando a
volgere lo sguardo verso la sua migliore amica. “Forse dovrei parlarne con mia
madre, ma non mi va per niente. Vorrei solo che queste stupide impressioni se
ne andassero e…” si interruppe, lasciandosi sfuggire
un secondo sospiro. "...basta." concluse infine.
Nel vederla così turbata, Vicki le
afferrò le mani, stringendole affettuosamente. Rimasero per un po’ in silenzio,
ognuna immersa nei propri pensieri. Infine, Victoria assunse un’espressione
incuriosita.
“Pensi che potresti imparare a
leggere nel pensiero?” domandò, in apparenza più che seria. Autumn
scosse per l’ennesima volta il capo, passandosi una mano sul viso. ‘No, Vic, Ricki non pensa che tu sia sexy.” esordì
infine, scoccandole un’occhiata rassegnata. “Non c’è bisogno di saper leggere
nel pensiero, per poter rispondere a questo.”
“In realtà vorrei solo sapere se c’è
almeno una piccola possibilità che mi possa fare da cavaliere.” ammise infine,
tornando a incrociare le gambe sul letto e prendendo a giocherellare con
il ponpon che
aveva lanciato poco prima. “Jeffrey mi ha detto che sarà ancora qui nel week
end e mi domandavo se avrebbe accettato. So che gli altri anni mi ha sempre
detto no, ma…”
“Perché non glielo chiedi?” la
incoraggiò Autumn, abbandonando il cipiglio irritato.
“Chi lo sa? Magari questa è la volta buona.”
“L’hai detto perché ti è appena
capitato di percepire qualche magica vibrazione positiva o…” “Se ti sento
ancora dire le parole “magica” e “magia”, giuro che troverò il modo di far
funzionare questa cosa e mi inventerò un incantesimo per far perdere a Ricki
tutti i capelli.” dichiarò decisa.
Vicki finse un’occhiata allibita
nella sua direzione, per poi aggrottare appena le sopracciglia, come se stesse
rimuginando su qualcosa.
“Però, in
fondo, credo che sarebbe affascinante anche da pelato.” valutò infine, annuendo
a conferma delle sue parole. “Tu che dici?”
Quando Caroline fece ingresso nella
stanza, avvicinandosi con titubanza, Autumn stava
ancora ridendo.
“La risata non è per me, vero?” la
interrogò subito Caroline, arrossendo, quando gli sguardi delle amiche si posarono
ammirati su di lei. Autumn smise di ridere e fece
‘no’ con il capo. “Assolutamente
no.” la rassicurò, abbozzando un sorriso. “Sei bellissima.”
“Uno schianto” la rassicurò Vicki,
esaminandola con sguardo orgoglioso. E quando avvicinandosi al comò, Caroline
esaminò il suo riflesso nello specchio, si accorse con meraviglia, che in
fin dei conti avevano ragione.
***
And all the roads we have to walk are winding And all the lights that lead us there are
blinding There are many things that I Would like to say to you but I don't know how
Wonderwall.Oasis
Caroline tamburellò con le dita sul
volante, in attesa che il semaforo diventasse verde. Rivolse
un’occhiata impensierita alla persona che occupava il sedile del
passeggero: Mase aveva gli occhi chiusi, il gomito appoggiato al finestrino e
la guancia adagiata sul pugno serrato; sembrava essersi addormentato.
“Mason?” richiamò la sua attenzione,
rimettendo in moto. Lo osservo ritrarsi dal finestrino e passarsi assonnato una
mano sugli occhi. “Pensavo stessi dormendo.” Il giovane si accigliò.
“Come facevo a dormire?” mormorò,
tornando ad adagiare la nuca sul poggiatesta; sembrava stanco, ma probabilmente
era solo annoiato o seccato. Caroline si era resa conto in fretta di quanto
frequentemente si verificasse l’ultima opzione con lui. “ Non sei
stata zitta un attimo.”.
“Mi
annoiavo.” Si giustificò la ragazza, tornando a prestare attenzione alla strada.
“Quando guido, ho bisogno di compagnia.” Mase sbuffò; si passo pigramente una
mano sui capelli per riavviarli. Si sentiva insolitamente stanco, quasi
avessero viaggiato per tutto il giorno, invece che un paio d’ore appena.
“Dove siamo?” domandò a quel
punto, rendendosi conto che stavano rallentando. Buttò l’occhio fuori dal
finestrino, mentre Caroline conduceva la macchina dentro un parcheggio semi
affollato; schiamazzi di bambini e voci concitate di adulti si mescolarono fra
loro non appena la ragazza spense il motore. “Che cos’è, uno zoo?” azzardò il
ragazzo, prima di slacciarsi la cintura di sicurezza e uscire dall’auto. Si
guardò attorno con fare circospetto, alla ricerca di indizi. Con le braccia
conserte e le spalle irrigidite, esaminò il corteo di persone di tutte le età
che si apprestava ad attraversare il cancello d’ingresso di quello che sembrava
essere uno zoo; o forse un parco naturale. “Non
esattamente.” La risposta di Caroline arrivò poco prima che i suoi occhi
incominciassero ad analizzare l’insegna appesa a mo’ di arco sopra il cancello;
lesse il nome del parco. E ad un tratto si rese conto del motivo per cui quel
posto gli destasse così tanta perplessità. Tornò a voltarsi in direzione di
Caroline e analizzò il suo volto con attenzione. Era la prima volta che la
ragazza lo notava rivolgerle un’occhiata così diretta, e stranamente
quell’intensità la disarmò. Provò un accenno di debolezza; si sentì esposta,
quasi gli occhi di quel ragazzino fossero appena riusciti a smascherare in lei
qualcosa che nemmeno era sicura di conoscere. Non riuscì nemmeno a distogliere
lo sguardo. Lo fece lui, riprendendo ad analizzare l’insegna del parco, come se
tutto a un tratto avesse allentato la presa rispetto a qualsiasi cosa stesse
pensando.
“Sono già stato qui.” dichiarò
infine, tornando a infilarsi le mani in tasca. “Alle elementari. Ci hanno
portato in gita un paio di volte.”
Ricordava distintamente le giornate
trascorse da bambino in quel posto; era una riserva naturale. Sua sorella
Caroline, una volta, aveva addirittura deciso di festeggiare il suo compleanno
lì. Lei e Xander avevano trascorso il pomeriggio
esplorando il principio di foresta, nella speranza di individuare qualche
animale selvatico. Mase no: ogni visita a quel posto era stata un tormento per
lui, da bambino; sapeva che in alcune zone della riserva, quelle inaccessibili,
sembrava essersi stabilito da anni un branco di lupi e non c’era nulla, a quei
tempi, che lo spaventasse più di quelle creature. In quel momento, ripensando
agli avvenimenti dell’ultima settimana, si chiese se non avesse sempre fatto
bene, in fin dei conti, a diffidare da loro: gli stavano rovinando la vita.
Caroline ripose le chiavi della macchina nella borsetta e lo raggiunse, in
apparenza completamente assorta dai suoi pensieri.
“Davvero?” chiese infine con
tranquillità, tornando a rivolgersi al ragazzo.
“Perché siamo qui?” domandò a quel
punto Mase, scrutandola perplesso. La vampira prese a camminare in direzione
opposta ai cancelli. “Come ti ho
detto prima, so della maledizione della vostra famiglia e so di te.”
“…Prima
hai anche detto che se fossi venuto con te, mi avresti spiegato come diavolo tu
ne sia venuta a conoscenza.” la interruppe Mase, irrigidendosi tutto d’un
tratto. Caroline si fermò.
“Vuoi sapere perché siamo qui o no?”
“Voglio sentire entrambe le
risposte.” rispose prontamente il ragazzo. La giovane gli rivolse una rapida
occhiata, prima di scuotere il capo, rassegnata; ovviamente, pensò
sorridendo appena. “Una cosa
per volta…” lo rimbeccò infine, riprendendo a
camminare. Mason roteò gli occhi, pur acconsentendo a seguirla. Caroline si
accertò che non stesse per interromperla ancora una volta, prima di proseguire.
“Parlando con tua madre, è uscito
fuori che hai un po’ la fobia dei lupi.” esordì infine. “Cazzate.”
Fu l’immediato commento del giovane.
“Questo potrebbe complicarti un po’
le cose.” proseguì la vampira, ignorando il suo intervento. Mason si passò una
mano sulla nuca, visibilmente in imbarazzo.
“N-n-non
hai di meglio da fare che impicciarti in affari che non ti riguardano?”
proseguì, seccato. Caroline sospirò.
“Mase…” Lo
richiamò, aggrottando le sopracciglia sorpresa subito dopo; era la prima volta
che lo chiamava così. Il ragazzo sbuffò, tornando a scrutare
noncurante il viavai di persone che affollava il cancello di
ingresso. Sulla destra, un secondo accesso conduceva direttamente a un piccolo
parco ornitologico che avrebbe permesso alle persone di ammirare da vicino
alcuni animali. Caroline rimase in silenzio per qualche istante, scegliendo con
cura le parole da pronunciare. Nonostante sapesse ormai bene che l’essere
diffidente fosse un tratto distintivo del ragazzo, in quel caso
poteva comprendere il suo atteggiamento ostile. Per il poco che sapeva lui, si
stava trovando di fronte una coetanea semi-sconosciuta. Una sconosciuta che
tutto a un tratto pretendeva di prenderlo sotto la sua ala protettiva, mascherando
tutti i suoi segreti più scomodi. In altre occasioni, probabilmente, si sarebbe
spazientita, ma in quel caso nemmeno ci riusciva. Al suo posto si sarebbe
seccata allo stesso modo . Voleva aiutarlo, ma non sapeva fino a che punto
potesse raccontarsi. Le mezze verità non potevano fare altro che confonderlo e
infastidirlo ulteriormente, ma non aveva scelta.
“Voglio solo farti vedere una cosa.”
spiegò infine, guidandolo fuori dal parcheggio. “E non ci sarà nemmeno bisogno
di entrare nel parco. Fai una buona azione e fidati di me.”
Solo in quel momento, Mase si rese
conto che stavano puntando direttamente ai margini della foresta, ignorando i
cancelli d’ingresso al parco. La guardò con sospetto per poi acconsentire a
seguirla, tornando a infilare le mani in tasca. Sbuffò, ma non aggiunse altro,
mentre riprendevano a percorrere il fazzoletto di prato che separava il
parcheggio dall’inizio della selva. “Tanto, ormai…” borbottò qualche decina di metri più tardi,
mugugnando fra se e se. Caroline abbozzò un sorriso, fingendo di non aver
sentito nulla. Continuarono a camminare in silenzio per almeno una quindicina
di minuti. Man mano che si addentravano fra gli alberi, Mase si accorse che
qualcosa di insolito stava accadendo nel modo in cui i suoi sensi interagivano
con l’ambiente. Ogni minimo scricchiolio lo faceva scattare sull’attenti.
Quando urtava un rametto per sbaglio il suo istinto gli suggeriva di ritrarsi,
irritato. Gli riusciva più difficile ignorare rumori e odori; sembravano
comunicare con lui tanto quanto le parole o i gesti. Inizialmente non ci fece
caso, ipotizzando che si trattasse semplicemente di nervosismo; era una
settimana, ormai, che prestava attenzione al più piccolo dei rumori, rischiando
di temere anche la sua stessa ombra. Però non aveva mai fatto caso agli odori;
in quel momento, al contrario, incominciò a capacitarsi di quanto affinato
stesse incominciando a farsi il suo olfatto. La cosa strana era che non gli
sembravano più semplicemente…odori. Gli comunicavano
qualcosa; alcuni imprimevano in lui una sorta di allarmismo; alcuni erano
gradevoli, ma non suggerivano nulla a livello di sensazioni. Come se gli avesse
letto nella mente, Caroline si gli rivolse la parola.
“Il senso dell’udito, dell’olfatto e
del gusto sono amplificati, ora che sei quello che sei.” Spiegò, scavalcando la
congiunzione fra due tronchi e fermandosi poco dopo. Aggrottò le sopracciglia e
rimase immobile, come se fosse in attesa di qualcosa. “Molti licantropi ne sono
sopraffatti inizialmente, ma con il passare del tempo, diventa parte della
normalità. Certi odori che prima potevano sembrarti indifferenti,
improvvisamente ti ricorderanno qualcosa. Alcuni incominceranno a sembrarti
ripugnanti. Tuo padre, per esempio, era costantemente irritato dall’odore di un
certo tipo di acqua di colonia, la preferita di Matt.” Spiegò, abbozzando un
sorriso. Mase aggrottò le sopracciglia, ascoltandola con attenzione. “Penso che
gli abbia buttato tutte le boccette, a un certo punto e Matt è andato fuori di
testa, perché gli erano costate una fortuna.” Concluse, non riuscendo a
trattenere una risatina. Mase notò un lieve cambio di espressione, nel volto
della ragazza. Il modo in cui si coprì la bocca con la mano, e l’aria
sbarazzina, quasi svampita che aveva assunto tutto a un tratto, gli fecero
ricordare di avere accanto una persona appena poco più grande di lui. Alle
volte gli sembrava più un’adulta, nei modi di fare. “E tu,
queste cose le sai, perché…” incominciò la frase,
inarcando con scetticismo un sopracciglio. Caroline smise di ridere, rendendosi
immediatamente conto dell’errore commesso; aveva straparlato.
“In più…”
, affermò a quel punto, fingendo di non aver fatto caso alle sue parole. “…molti di voi sono piuttosto bravi nel riconoscere chi
mente.” completò la frase, trattenendo il fugace istinto di mordersi il labbro.
“Eccoti spiegato perché nonostante le lamentele e il broncio, tu abbia comunque
deciso di seguirmi.”
Mason aggrottò le sopracciglia
perplesso. Si appoggiò con la schiena al tronco di un albero, non sapendo bene
se irritarsi perché Caroline aveva eluso la sua domanda, se seccarsi per i suoi
riferimenti 'alle lamentele e al broncio' o se corrucciarsi per via di tutta
quella faccenda della verità; non pensava fosse vero, per quanto gli
riguardava. Non era mai stato bravo a decifrare le intenzioni altrui. E poi,
alle volte, non riusciva nemmeno a comprendere le persone che gli stavano
attorno da anni, figurarsi una tizia che conosceva appena di vista. “Io non mi
fido di te.” La contraddisse pacatamente, tornando a guardare nelle
sua direzione. Caroline sostenne determinata il suo sguardo. “E allora,
diffidente come sei, perché mi hai seguito?” gli fece notare, incrociando le
braccia sul petto. Non gli lasciò tuttavia il tempo di rispondere. Venne
distratta da un rumore appena accennato in lontananza. “Hai sentito
un rumore?” chiese.
Mase si mise a sua volta a braccia
conserte. “Quale dei tanti?” sbottò sarcastico, inarcando nuovamente un
sopracciglio. Caroline scosse il capo, sollevandosi dal tronco.
“Rumore di zampe.” rispose,
afferrandolo per il polso. “Vieni, siamo quasi
arrivati.” Mase le rivolse un’occhiata torva, nel momento esatto in
cui le dita di Caroline si strinsero attorno al suo polso. Si irrigidì, come se
quel semplice gesto fosse degno di rimprovero. Caroline si accigliò
leggermente, ma decise di non badarci, continuando a procedere.
Improvvisamente Mason si fermò. Sfilò il braccio dalla presa di Caroline e
aggrottò le sopracciglia, passandosi pensieroso una mano sulla nuca. “Questo odore…” mormorò improvvisamente, spostando lo sguardo in
direzione di Caroline; la ragazza si fermò a sua volta.
“è un odore familiare?” chiese. Mase annuì.
Era un odore che, assurdamente, gli ricordava Silver, ma l’impressione che
stava ricevendo era tutt’altra. Aveva a che fare con qualcosa che non c'entrava
niente con quel posto, o con le foreste in generale. Era piacevole, ma solo a
tratti. Era un odore che gli suggeriva protezione, una sensazione di sicurezza
e di custodia, qualcosa che in qualche modo, gli ricordava la tranquillità che
respirava solo a casa, nella sua stanza, fra i suoi libri e il silenzio. “Perché sto
pensando a mio fratello?” domandò improvvisamente, arrossendo visibilmente. In
quel momento, Caroline si premette un dito sulle labbra, suggerendogli di stare
in silenzio. Camminarono per ancora cinque o sei metri, cercando di non fare
rumore, fino a quando, Mase non si costrinse a fermarsi di colpo, per la
seconda volta in pochi minuti. Sgranò gli occhi, improvvisamente all’erta; si
sentì d’un tratto attraversare dall’inquietudine, nonostante il suo istinto si
stesse sforzando di suggerirgli che non ci fosse nulla di cui aver paura. C’era
un lupo a pochi metri di distanza da loro: un lupo adulto. Se ne stava
accovacciato sulle quattro zampe, le orecchie ritte e lo sguardo puntato
diritto contro di loro; i canini scoperti, come a volerli minacciare. Mase lo
squadrò immobile, per una frazione di secondi, le mascelle serrate, incapace di
muovere anche solo un muscolo. Il lupo sembrava aver focalizzato la sua
attenzione su Caroline, e da il modo in cui aveva arricciato il naso e
appiattito le orecchie, il giovane non faticò a intuire che la loro presenza
non fosse affatto gradita dall’animale. “Andiamo
via.” borbottò spiccio a quel punto, senza distogliere lo sguardo dal lupo. Nel
momento in cui lo udì parlare, la creatura virò il capo nella sua direzione e i
suoi occhi andarono a scontrarsi con quelli di Mase. Il giovane trattenne il
respiro, incapace di eseguire qualsiasi movimento.
“Non fare quella faccia.” sussurrò a
quel punto la ragazza, tornando a sfiorargli il polso. “Non ti farà niente. Sei
come lui, adesso.”
Mase si sforzò di rimanere
impassibile sotto lo sguardo del lupo, nonostante il suo cuore stesse
protestando con impeto, istigandolo ad allontanarsi. Un lato di sé, quello
logico e razionale, sapeva che l’animale non avrebbe potuto ferirlo.
Era più forte e più agile di un normale essere umano, ora. E le sue ferite si
sarebbero rimarginate in poco tempo. Eppure restava quel barlume di
inquietudine; la paura irrazionale che si era cucito addosso da bambino e
che sembrava ancora presente, nonostante avesse pensato di averla
ormai dimenticata. Ignaro dello scontro fra pensieri che stava avendo luogo
nella testa del suo avversario, il lupo smise di arricciare il naso e, pur
continuando a osservarlo guardingo, si sdraiò a terra. Mase lo analizzò
perplesso, stranito da quel suo improvviso gesto di resa. Solo in quel momento,
Caroline notò qualcosa che le fece sgranare gli occhi dalla sorpresa. “Oddio!”
sussurrò, indicando un punto di fronte a loro ad un ancora frastornato Mase.
“Guarda lì.” Finalmente il ragazzo riuscì a distogliere lo sguardo dal lupo,
permettendo così ai suoi occhi di concentrarsi su ciò che né lui, né Caroline,
erano riusciti a notare prima. Due cuccioli stavano giocando poco distanti
dalla schiena della madre. A uno sguardo più attento, il ragazzo si rese conto
della presenza di altri due piccoli intenti ad azzuffarsi, che fino a quel
momento erano rimasti mascherati dall’erba alta. Li osservò giocare per un po’,
in tralice. Cercò di mettere a fuoco un pensiero che sentiva gli appartenesse,
ma che per qualche strana ragione continuava a sfuggirgli, come se non fosse
ancora in grado di comprenderlo. Molto lentamente, la vampira si avvicinò di
qualche passo in direzione della lupa. Mase distolse lo sguardo dai cuccioli e
le rivolse un’occhiata inquieta “Che fai?”
mormorò, tenendo d’occhio i movimenti dell’animale. Cercò di farla desistere.
“Lascia stare…”
La creatura si sollevò nuovamente da
terra, arretrando in direzione dei piccoli. Minacciò di tornare a ringhiare a
Caroline, il naso arricciato e i denti scoperti. “Forse
dovremo allontanarci.”Si trovò infine d’accordo con lui la
ragazza, rinunciando al tentativo di farsi più vicina. Ancora una volta, nel
momento in cui con un movimento un po’ troppo busco, Mase attirò l’attenzione
della lupa, la creatura sembrò cambiare atteggiamento. Lo fissò per un po’ ,
come se lo stesse valutando, e infine gli diede le spalle, raggiungendo i
piccoli. Incominciò a badare a loro, leccandoli e incalzando le loro baruffe,
mentre i cuccioli le trotterellavano attorno, tendendole agguati.
“La tua presenza sembra
tranquillizzarla.” commentò a quel punto Caroline, tornando a sorridere. Guardò
Mase di sottecchi, ed assunse un’espressione divertita. “Forse ti ha
riconosciuto come membro di un’altra cucciolata.” lo prese in giro,
arruffandogli i capelli. Nuovamente, Mase parve irrigidirsi sotto il suo tocco.
Ritrasse il capo di lato per scansarla con espressione infastidita. “Piantala.” mugugnò,
arrossendo lievemente. Caroline ridacchiò a bassa voce. “Che bisbetico.” Lo
stuzzicò, arretrando di qualche passo e accovacciandosi sul tappeto d’erba. Il
ragazzo roteò gli occhi, per poi tornare a spostare la sua attenzione in
direzione della cucciolata, appoggiandosi a un tronco con la spalla. Osservò a
lungo la madre mentre interagiva con i piccoli. In quel momento stava
assecondando il gioco di uno dei lupacchiotti, spingendolo a sdraiarsi con le
zampe all’aria. Lo lasciò ribattere per un po’, incassando i
suoi morsi, per poi attirarlo a sé e incominciare a lavarlo. Mase si
perse in quell’immagine, non riuscendo più a negare un’evidenza che aveva
cercato di rimbalzargli in testa sin dal primo momento in cui aveva notato quei
cuccioli: si rivedeva in loro. L’atteggiamento ostile della madre nei confronti
di chi si avvicinava ai suoi piccoli, ricordava molto il modo di fare un po’
brusco e protettivo di suo padre. Anche in quel momento, nonostante in
apparenza avesse giudicato Mase inoffensivo, etichettandolo forse come
‘cucciolo’ di un altro branco , continuava a vegliare con costanza sui suoi
piccoli e a tenere sotto controllo Caroline. Osservava vigile i cuccioli più
spavaldi, quelli che osano avvicinare di qualche passo i due sconosciuti,
continuando ad azzuffarsi fra di loro. E vegliava anche
su quel cucciolo che si ostinava a lottare tra le sue grinfie, agitando
inutilmente le zampe, come a volersi fare giustizia da solo. Si domandò che
cosa pensasse di se stesso quel cucciolo. Forse vedeva le premure fin troppo
morbide della madre come la prova che non fosse ancora abbastanza temprato,
abbastanza in gamba; abbastanza lupo, a differenza dei coetanei. Forse stava
semplicemente provando a dimostrare di essere forte; forte abbastanza da
sapersela cavare da solo, alla larga dalla presa protettiva della madre. Forte
forse quanto i suoi fratelli. Forse.
“Andiamo?” il sussurro morbido di
Caroline sciolse quei pensieri, convincendolo infine a distogliere lo sguardo
dalla cucciolata. Mase le rivolse un’occhiata distratta e annuì, la mente
ancora altrove, alla ricerca di qualcosa che ancora gli stava dando motivo di
riflettere. Osservò la famiglia di lupi un’ultima volta e seguì la ragazza,
ripercorrendo a ritroso il percorso per raggiungere la macchina. Stettero in
silenzio fino a quando non arrivarono all’auto.
“Sei come noi,
vero?” domandò a quel punto il ragazzo. Infilò le mani in tasca e
si appoggió alla portiera. “Come me e
papà.” Caroline scosse il capo, raggiungendo la parte opposta della vettura.
“No, non sono un lupo mannaro.”
Rispose, soffermandosi a ricordare con malinconia il momento in cui
qualcun altro gli aveva posto la stessa domanda. Mase inarcò un sopracciglio,
per poi fare una smorfia poco convinta, appoggiando il gomito al tetto della
macchina.
“Spiegherebbe molte cose.” Commentò
infine, dando una seconda scrollata di spalle. Caroline esibì un sorrisetto
divertito.
“Fidati…”
incominciò, rivolgendogli un’occhiata eloquente. “…non
le spiegherebbe tutte.” “E allora
spiegami tu le restanti.” ribatté prontamente il ragazzo, decidendosi
finalmente ad entrare in auto. La ragazza occupò il sedile dell’autista,
sbuffando sonoramente. “Tu non hai
dei segreti, Mason?” lo rimbeccò a quel punto, mettendo in moto. Mase inarcò un
sopracciglio.
“Non per te, a quanto pare….” Commentò, allacciandosi la cintura di sicurezza.
Caroline scosse il capo con fare rassegnato.
“Ne dubito.” Concluse, accennando
una rapida occhiata nella sua direzione; abbozzò un sorriso e tornò a guardare
la strada.
“E comunque…” riprese a quel punto Mase, facendo bene
attenzione a puntare il suo sguardo contro il finestrino.“…Non
è che mi sia ben chiaro il perché… Ma penso di
doverti un grazie.” rivelò infine, continuando a guardare fuori. Caroline
Forbes estese il suo sorriso.
“Non c’è di
che.”
Because maybe, you'regonnabe
the one that saves me
Wonderwall.Oasis
***
“They say bad things happen for a reason
But no wise words gonna stop
the bleeding.”
Breakeven.The script
“L’hanno fatto apposta.” dichiarò decisa Elena, in
risposta alle parole di Jeremy. Era con il fratello, quando quest’ultimo aveva
ricevuto una telefonata da parte di una collega di Hazel,
per conto del comitato delle feste di MysticFalls. La donna si era raccomandata di lasciar detto alla
collega che c’erano stato uno spostamento del giorno in cui si sarebbe tenuta
la cerimonia di Miss MysticFalls.
Sabato sera, invece che domenica. L’asta degli scapoli, sarebbe stata rinviata
alla settimana successiva. “Sabato sera c’è la luna piena.” Puntualizzò Elena,
appoggiando la borsa sul tavolo e sfilandosi il giubbotto. Jeremy
sospirò.
“C’è sicuramente lo zampino dello
sceriffo Fell, in tutto questo.” Commentò, alzandosi per spegnere il bollitore.
Spartì l’acqua in due tazze e raggiunse nuovamente la donna. “Come
se i Lockwood non avessero già abbastanza problemi.” Osservò a quel
punto Elena, afferrando la tazza che le stava porgendo il fratello.
Jeremy prese posto di fronte a lei, l’espressione improvvisamente meno distesa.
“Oliver è preoccupato per Mason.” Rivelò infine, passando lo zucchero a Elena e
intingendo il cucchiaino nel suo tè. “Sa dell’incidentee
per un po’ ha fatto affidamento su di quello per giustificare lo
scombussolamento di Mase, ma ultimamente lo vedo più inquieto.” Osservò
assorto la propria tazza per qualche istante, prima di proseguire. “Pensi che
il Consiglio arriverebbe a sospettare anche di Mason, se non si presentasse
alla cerimonia?” Elena soppesò per qualche istante le sue parole, prima di
scuotere il capo. “Sono
convinti che sia stato Tyler a provocare l’incidente. Perché dovrebbero?”
commentò, prima di avvicinarsi la tazza alle labbra. “Al momento, il problema
principale è un altro.” gli fece notare infine. “Sarà difficile
giustificare al Consiglio l’assenza di Tyler Lockwood a un evento così
importante per le famiglie fondatrici. Parlare di lavoro non servirà a nulla,
se si parla di una notte di luna piena. Anche non fosse stato vero, avrebbero
tratto comunque le loro conclusioni.”
“Parlerò con Hazel sta sera o domani.” la rassicurò infine Jeremy,
appoggiando il proprio tè sul tavolo. Rivolse lo sguardo a scontrarsi con
quello della sorella. “Non so ancora bene cosa dirle, ma mi inventerò qualcosa.
Penso che possa riuscire a trovare un compromesso per la data.”
Elena analizzò la sua espressione
con attenzione, prima di annuire. “Sembri stanco.” Osservò infine, preoccupata.
Jeremy abbozzò un sorriso
amaro, lasciando trasparire sul suo volto una lieve velatura di tristezza.
“Siamo tornati ai segreti…” commentò infine, bevendo
l’ultimo sorso di tè e stringendo la tazza tra le mani per trattenere il
calore. "...E la cosa non mi piace per niente."
In fondo, lo sapeva bene, quel tipo
di segreti c’erano sempre strati: tra lui e sua moglie; tra lui e i suoi figli.
Erano segreti del passato, rilegati in un angolo in disparte, separati dalla
sua quotidianità. Eppure, anche se alle volte – molto spesso, in realtà-
emergevano in superficie, non c’era mai stato bisogno di mascherarli dietro
bugie. Semplicemente, quei segreti non richiedevano spiegazioni. Raramente lo
aveva appesantito il pensiero di non poterne parlare con la
famiglia. Ultimamente, al contrario, le cose avevano incominciato a
rendersi nuovamente difficili.
Elena sospirò; si portò le mani al
capo, massaggiandosi la fronte con i polpastrelli. “Non piace a nessuno.”
commentò, tornando a sorseggiare il suo tè. “La cosa più importante, al
momento, è stare vicino ai Lockwood. E cercare di tenere a bada quei ficcanaso
dei membri del Consiglio” Sospirò di nuovo, anche se questa volta, il suono
ricordò più uno sbuffo. “Sai che sono quasi sollevata al pensiero che domani
Jeffrey riparta per la Florida?” concluse infine, spingendo la tazza al centro
del tavolo. Jeremy fece roteare il contenuto della sua, in apparenza senza un
motivo ben preciso. “Tra le macchinazioni del Consiglio, e la tensione di
questi ultimi giorni, di sicuro starà meglio lì che qui.”
Il fratello si limitò ad annuire,
ancora completamente assorto dai suoi pensieri.
“Devo andare.” Commentò infine
Elena, controllando l’orologio appeso sopra il televisore. “Ho ancora una marea
di compiti da correggere per domani e non ho ancora pensato a cosa preparare
per cena.” “Non ti
preoccupare." la rassicurò il fratello, sollevandosi dalla sedia. "Ci
vediamo domani.” Elena fece altrettanto. “Dai un bacio ai ragazzi da parte mia,
ok?” si raccomandò, schioccandogli un bacio sulla guancia. “E chiamami, dopo
aver parlato con Hazel…”aggiunse, tirando fuori dalla
tasca della borsa le chiavi di casa.
“Va bene,” la rassicurò Jeremy,
seguendola fuori dalla cucina.
“E cerca di stare tranquillo…”
“Va bene, Elena, va bene.”
Attese che la sorella fosse uscita,
prima di tornare in cucina a riporre le tazze nel lavandino. Solo una volta
resosi conto che senza la presenza di Elena, la casa era diventata
insolitamente silenziosa, intuì di essere l’unica persona in casa; Hazel era ad una riunione per il comitato delle feste e i
ragazzi dovevano essere usciti. Quel silenzio non fece altro che incidere sul
suo momentaneo stato di malinconia. Decise di fare un salto nel suo studio;
avrebbe lavorato per un po’, in attesa del ritorno a casa di sua moglie. Salì
le scale per andare a recuperare un progetto in camera sua; nel farlo, notò la
luce accesa in camera di Oliver; doveva aver dimenticato di spegnerla quel
mattino, prima di andare a scuola: il solito distratto. “Sei proprio
un pilota, eh, Ol?” borbottò tra sé, pur non
riuscendo a trattenere un mezzo sorriso. “Sempre con la testa tra le nuvole.”
Spense la luce e attraversò la stanza per chiudere la finestra,
anch’essa rimasta aperta. Prima di tornare indietro notò l’album da disegno del
figlio sul letto. Era aperto all’ultima pagina, esibendo una riproduzione in
carta e carboncino dell’aeroplanino giocattolo che
teneva su un mensola – una riproduzione molto fedele, tra l’altro. Jeremy
estese il suo sorriso: con un sospiro prese posto sul letto e incominciò a
sfogliare il blocco. Pagina dopo pagina, immagine dopo immagine, i pensieri e i
sogni di suo figlio suo piccolo si raccontarono ai suoi occhi; aeroplani,
motociclette, cieli stellati, nuvole, ritratti. Il tocco di Oliver spiccava
indelebile su ogni disegno; non aveva bisogno di andare alla ricerca della
firma al bordo destro, per riconoscere un suo lavoro. C’era suo figlio in
ognuno dei fogli che stava esaminando. Erano incredibilmente diversi dai
disegni che abbozzava lui alla sua età. C’era più luce. Non per forza più
colore, ma c’era più luce, in qualche modo. Un sacco di disegni avevano a che
fare con Mason, altrettanti avevano un legame con il cielo. E fu proprio dopo
uno di questi disegni, l’immagine di un ragazzo che rincorre un aquilone, che
Jeremy scoprì in quell’album da disegno qualcosa che non si sarebbe mai aspettato
di trovare. Si trovò di fronte a un ritratto, il ritratto di una ragazza.
Jeremy analizzò con occhi sgranati, i lineamenti tratteggiati a
matita, riconoscendoli istantaneamente. Interrogò gli occhi della ragazza del
ritratto, sfiorandone i contorni con i polpastrelli: quante volte li aveva
tratteggiati a sua volta in passato? Aveva tracciato quei lineamenti più e più
volte nella speranza che ne rimanesse un ricordo nitido, anche quando le
fotografie nella sua mente avrebbero incominciato a sbiadire. Perfino la
quantità di luce racchiusa in quel ritratto eguagliava quella contenuta dai
lavori di Jeremy; quando la disegnava, non poteva fare altro che mettere in
risalto il bianco e scacciare via le ombre. Perché era in fondo quello che
anche lei aveva fatto con lui, prima che qualcuno voltasse la matita per
cancellare quel breve tratto di vita con il gommino. A volte, nel dormiveglia,
gli capitava ancora di avvertire il tocco della sua mano fra i capelli o lungo
la schiena. Spesso, si era sorpreso domandarsi se fosse solo un’impressione o
se quella sensazione potesse provare che in fondo lei non se ne fosse mai
andata veramente. Alle volte gli capitava di avere il sospetto che lo stesse
osservando; talmente minuta che faceva tenerezza, un sorriso dolce e
malinconico a ammorbidirle il volto. Il nome della ragazza si tratteggiò nitido
nella sua mente, simile a una delle firme a fondo pagina dei suoi disegni; che
cosa ci faceva Annabelle nell’album di suo figlio? In quel
momento, il vetro della finestra vibrò, facendolo sobbalzare. “Anna?”
mormorò d’istinto, alzandosi rapidamente in piedi. Spostò lo sguardo verso la
fonte del rumore: il vento aveva incominciato a farsi più capriccioso con
l’arrivo dell’autunno, e da giorni continuava a strattonare con violenza le
chiome degli alberi. Jeremy sospirò, tornando a far coincidere i propri occhi
con quelli del ritratto. Una forte malinconia impregnò i suoi gesti, mentre
allontanava quell’immagine dalla sua mente, sfogliando le pagine dell’album di
Oliver. Tornò all’ultimo disegno, quello dell’aeroplanino,
e sistemò con cura il blocco sul letto, così come l’aveva trovato. Rivolse
un’ultima occhiata malinconica alla finestra e tornò in corridoio, chiudendosi
la porta alle spalle.
Dall’altra parte della stanza,
qualcuno stava assistendo alla scena in silenzio. Annabelle
sorrise - un sorriso triste - mentre il suo sguardo malinconico lo osservava
abbandonare la camera.
“I’m still alive but I’m barely breathing”
Breakeven.The script
***
Where did all the people go?
They got scared when the lights went low.
I get you through it nice and slow,
When the world's spinning out of control.
Soldier.GavinDegraw
Mase si svegliò di soprassalto, il
fiato corto e una forte sensazione di panico ad avviluppargli il petto. La
confusione regnò sovrana nella sua testa, mentre a fatica si sforzava di
ricordare l'incubo appena avuto, incapace di comprendere cosa gli stesse accadendo.
Il cuore gli vibrava forte, quasi qualcuno l’avesse appena afferrato e scosso
con violenza. Nel corso dell’ultimo periodo i suoi battiti proseguivano a ritmo
sfasato con frequenza, quasi ci fosse una falla nel meccanismo principale, ma
quello che gli stava capitando in quel momento era diverso: la maledizione non
c’entrava nulla con quella sensazione. Era l’impressione di annaspare, perché
non si riesce ad accumulare aria; era la sensazione di essere vicino al perdere
il controllo all’improvviso, senza un motivo specifico. Fu sul punto di
imprecare, mentre mettendosi a sedere, tentava invano di sfilarsi via quella
orrenda sensazione di dosso. E poi anche il bisogno di sbottare venne subito
meno, dilaniato da un’improvvisa rivelazione: non c’era modo di fuggire. Non
quella volta. Non l’indomani: era fottuto. Incominciò a respirare
con più affanno, recuperando un libro dal comodino; aveva la cassa toracica
rinchiusa in una gabbia e il cuore si ribellava con violenza. Lanciò il libro
contro il muro, come se sfogarsi in quel modo potesse aiutarlo ad infrangere le
pareti di quella gabbia; a distruggere ciò che gli impediva di respirare, di
pensare lucidamente. “Mase”. La
porta della sua stanza si aprì di scatto, seguita dalla voce di suo fratello.
Invece che allentarsi, la tensione nervosa sembrò farsi più accentuata.
“Vattene.” mormorò, dando le spalle
a Ricki, e inspirando con forza, cercando di recuperare il controllo. “Che
succede?” Il maggiore ignorò il suo monito e si chiuse la porta alle spalle, raggiungendo
il ragazzo. Mason diede una scrollata di spalle, passandosi una mano sul viso. Un
attacco di panico, rispose mentalmente, ignorando lo sguardo insistente di
Ricki; il maggiore dei due sospirò. “Hai di
nuovo sognato domani notte?” domandò, notando l’espressione atterrita del
fratello. Mase scosse il capo, stringendosi nelle braccia, come a volersi
riparare dal freddo.
“Sto, sto, sto bene, a-avevosolo….” incominciò, prima di interrompersi bruscamente.
Stette in silenzio per un po’, sforzandosi di recuperare il controllo di se
stesso, - dei suoi respiri e della sua voce - prima di proseguire. “Va’ a
dormire, sto bene.” Dichiarò infine in tono di voce più secco, come se parlando
in quel modo potesse evitare le esitazioni di pronuncia. Ancora una volta,
Ricki si rifiutò di eseguire. La mano del ragazzo avvolse con decisione la
spalla del fratello.
“Puoi farcela.” Esordì, infine.
Mason scosse il capo, eludendo il suo sguardo. “Possiamo farcela; verrò io con
te.” proseguì deciso il maggiore dei due.
“Non…”
Mason allontanò con uno strattone la mano del fratello. “Non ce la fai a capire
che non funzionerà? Io non sono papà.” sbraitò poi con furia, alzandosi in
piedi. “O te. O Caroline. Sono solo…”
“…Sei mio
fratello.” ribatté Ricki, rivolgendogli un’occhiata determinata. “Sei un
Lockwood. Ti sbarazzerai di quella fottuta luna piena in un battito di ciglia.”
“Balle.” Mason gli sputò addosso,
per poi esaminare la sua stanza con sguardo smarrito. Voleva colpire qualcosa,
voleva sfogare quella rabbia in qualche modo, voleva rompere le cose e basta.
Quello sì, che gli riusciva bene. Afferrò il primo libro che gli capitò sotto
mano e lo scaraventò contro la parete opposta della stanza. Ricki trasalì.
Appoggiò entrambe le mani sulle spalle del fratello, sforzandosi di ignorare i
suoi tentativi di scansarlo.
“Adesso calmati, va bene?” lo ammonì
secco, forzandolo a sedere di nuovo. “Se ti sente papà andrà in agitazione
anche lui e nessuno dei due ha voglia di vederlo nervoso.”
“Non andrà tutto bene.” Mason
ribadì a denti stretti, stringendo convulsamente le mani a pugno. “Smettetela
di ripeterlo.” mormorò infine, abbandonando la nuca contro la parete.
Ricki sbuffò. La sua mano tornò a
stringersi attorno alla spalla di Mase, per poi spostarsi dietro al suo collo.
Si sforzò di imprimere in quel gesto tutto il conforto possibile.
“Ce. La. Farai.” Scandì
infine lentamente. “Domenica mattina avrò il mio fratellino ancora tutto intero
pronto a prendermi in giro e a soffiarmi le ragazze sotto il naso.”
“Ma…” “ ‘Ma’ un
corno, Mase.” Lo interruppe all’istante il più grande. “Sono tuo fratello
maggiore o sbaglio? Non ti direi una cosa, se non ci credessi. Non racconto
palle.” Lo rassicurò, prima di fare una smorfia. “O meglio, sì, ne racconto, ma
non di certo a te. Chiara la cosa?” spostò lo sguardo in direzione del
fratello, che si limitò a sbuffare, stringendosi le ginocchia al petto. Seguì
un silenzio che durò una manciata di secondi, e che Ricki non osò interrompere,
consapevole che il ragazzo stesse elaborando qualcosa da dire.
“Perché sono così?” sbottò
infatti poco dopo, continuando a circondarsi le ginocchia con le braccia.
Arrossì leggermente. “Perché non posso essere come te?” mormorò infine,
scoccando un’occhiata torva al vuoto di fronte a lui. Ricki lo squadrò con aria
perplessa per qualche istante, prima di sfregarsi con forza il capo, pensando a
come potergli rispondere.
“Non puoi essere come me, perché non
ti chiami Richard, ma ti chiami Mason.” osservò infine, fingendosi serio,
mentre il fratello roteava gli occhi. Ricki diede una scrollata di spalle. “Se
tu fossi me, ci sarebbero due Ricki e sarebbe palloso. È come avere due Ciop e nessun Cip. Due Pippo e nessun Topolino…” aggiunse, facendo mente locale alla ricerca di
qualche altro esempio. “…due Ciuchino e nessun…” “Stai
dicendo che io sarei Shrek?” lo interruppe
bruscamente il minore, guardandolo torvo. Ricki ridacchiò. “Tralasciando gli
esempi dei cartoni animati…” proseguì infine,
intrecciando le dita dietro alla nuca e appoggiando la schiena su un cuscino. “…cercherò di farti capire in breve, perché la tua domanda
non abbia senso. E no, non interrompermi!” lo ammonì, notando che Mase stava
per aprire bocca. Il minore dei due sbuffò, lasciandosi poi ricadere
sul letto. “Senti, lasciamo stare e tornatene a dormire.” Commentò, chiudendo
gli occhi e voltandosi dall’altra parte. Ricki lo ignorò.
“Dunque, i fratelli Lockwood….” Incominciò, con il tono di voce di chi è in
procinto di raccontare una storia. “…che poi saremmo
io, te e Caroline… sono tre persone completamente
diverse. E per fortuna, aggiungerei, altrimenti sai che noia?” “Ricki…” farfugliò Mase in risposta, infilando il capo sotto
al cuscino. “Ti prego…” Ancora una volta, il fratello
lo ignorò. “Ricki, che
poi sarei io, è quello casinista.” Proseguì, sfregandosi orgoglioso le unghie
sulla maglia del pigiama. “L’iperattivo, la peste, quello che parla sempre a
sproposito. Forse non sarò una cima a scuola, e vado in fissa ogni volta che
vedo un bel paio di tette e una carrozzeria da sogno, ma spacco i culi a
calcio, sono decisamente divertente e so di per certo che i miei fratellini mi
adorano. Perciò… Mi vado bene così. Stai di nuovo per
interrompermi?” aggiunse, notando che il fratello aveva allontanato il cuscino
dalla testa, scattando a sedere. “Ti ho già detto che non puoi.” Mase roteò gli
occhi.
“Ero scomodo.” Borbottò,
appoggiandosi allo schienale del letto e tornando a cingersi le ginocchia con
le braccia. Ricki sorrise e riprese il suo discorso.
“Poi c’è Caroline.” annunciò,
abbassando lievemente la voce e indicando il muro alle sue spalle, alludendo
alla camera a fianco. “Beh, Caroline è … Una tipetta
bella tosta. Anche lei spacca i culi! A lacrosse, però.” specificò, mimando il
gesto di lanciare una palla con la mazza da lacrosse. “… E da bimba prendeva a
cazzotti i ragazzini che le rompevano le scatole: che piccola grande donna!
Caroline non è proprio la femminilità in persona, ma i maschietti la amano e io
non amo i maschietti, quindi capisci, che questo è un dettaglio che
sono costretto a far passare come difetto. Non che non ce ne siano altri –di
difetti: Care è testarda e cocciuta come pochi e capita spesso che voglia
atteggiarsi un po’ a capetto; Xander è un santo a
starci tutto il giorno assieme. Ma la nostra Caroline è anche un concentrato di
dolcezza e altruismo. È una coccolona! E questa era
la nostra adorata sorellina. Adesso manca solo più…”
Si interruppe, guardandosi attorno, come alla ricerca di ispirazione. Mason
roteò gli occhi, pur concedendo a un leggero sorriso di arricciare gli angoli
delle sue labbra.
“Dopo Ricki la peste e Caroline la
cocciuta, abbiamo Silver: il cane. Oh, manca qualcuno?”
Domandò poi, individuando il
cipiglio del fratello. Si coprì la bocca, fingendosi mortificato. Mason gli
diede un pugno sulla spalla.
“Cretino.”
Ricki scoppiò a ridere. “Tra
Caroline la cocciuta e Silver, il cane, abbiamo Mason. Il “fighetto.”
specificò. Incassò un secondo pugno da parte del minore e riprese il discorso.
“Tolto il cane, Mase è il
‘cuccioletto’ di casa Lockwood.” “Fottiti, Ricki…” “È il più
piccolo, e va un po’ sorvegliato. Da bambino era un adorabile peluche timidoe
coccolone…” “Sto per
fracassarti il cranio…” “… Sì, devo
ammettere che mi manca quel Mase…Ahy!”
Si coprì il volto con le mani,
sforzandosi di sfuggire alla tempesta di pugni che si avventò su di lui. I due
fratelli si azzuffarono per qualche minuto, ignorando il trambusto prodotto fra
colpi, risate e imprecazioni.
“Ora che è cresciuto…”
esordì Ricki infine, sgusciando fuori dalla presa del minore. “…Mason non è più un peluche, ma un fighetto. Con questo
faccino da belloccio dannato e l’eterna aria da musone, Mase è parecchio
puntato dalle ragazze anche se lui ha l’abitudine di snobbarle. A meno che non
ci voglia andare a letto, credo. Dì un po’, si fanno queste cose,Masey?” “Ma c’è un
modo per spegnerti?” ribatté prontamente il fratello, tornando a stendersi. “E
poi, senti chi parla…”
“Mason è un gran cacasotto, un
violento, e si incazza spesso, specie quando Ricki, sì, sempre lui, lo stressa
con la sua brillante e adorabile parlantina.” Proseguì imperterrito il più
grande dei due, in tono di voce teatrale.
“…Che tra
l’altro hai in comune con Vicki; siete proprio fatti l’uno per l’altra.” gli
fece notare Mase, sorridendogli affabile; questa volta fu lui a doversi scansare,
per schivare uno scappellotto.
“Questo Mason “fighetto” ha
l’abitudine di sfottere un po’ tutti.” rincarò la dose Ricki, “ma se poi il
disco cambia e quello a venire preso per il culo è lui, allora si salvi chi
può.”
Mase sbuffò, sistemandosi più
comodamente sul letto ed intrecciando le dita dietro la nuca.
“C’è però da dire in sua
discolpa, che Mase ha davvero una gran mente.” aggiunse infine, Ricki scoccando
un’occhiata rilassata in direzione del fratello.
“è un cervellone! Tipo Einstein,
forse, solo che non ha tutti quei capelli per aria. Ed è dotato di una
sensibilità incredibile, che molte volte mi sorprende. Mase è scaltro, si fa in
quattro per ottenere quello che vuole e, anche se ultimamente sembra essersene
dimenticato, ha un cuore grande quanto casa Lockwood. E un fratello con un bel
culo.”
Concluse, indicandosi, prima di
improvvisare un lieve inchino. Mason gli mollò un calcetto con poca
convinzione.
“Scommetto che non vedevi l’ora di
chiudere il discorso per arrivare a questa parte.” Lo rimbeccò, abbozzando un
mezzo sorriso. Il fratello annuì. “Ovvio che
sì, ma il punto, in tutto ciò, è un altro…” gli fece
notare, prima di arruffargli giocosamente i capelli e di sollevarsi dal letto.
Fece mente locale, cercando ancora una volta l’esempio che potesse fare a caso
suo. “…Io, te e Caroline, potremmo anche avere una
marea di difetti, ma ognuno di noi, visto nel complesso, è tutto sommato un bel
tipo.” Spiegò, per poi aggrottare le sopracciglia e assumere un’aria
pensierosa. “ Siamo un po’ tipo i Chipmunks.
In apparenza, Alvin sembra essere quello più
problematico, ma…”
“Stai dicendo che Alvin sono io?" lo interruppe Mase, scoccandogli
un’occhiata incredula. Ricki fece una smorfia e scosse il capo con decisione. “Nah, scordatelo.” ribatté infine, infilandosi le mani in
tasca. “Io sono Alvin. Tu sei Simon.” concluse,
cerchiandosi gli occhi con le mani, a mo’ di occhiali. “Ricordi? Sei un
cervellone.” “Al
diavolo.” borbottò infine Mase, sistemandosi sotto le coperte. Ricki
ridacchiò sommessamente, osservandolo rannicchiarsi su un lato.
“Verrò con te, fratellino.”
concluse infine, abbassando ulteriormente il tono di voce. Non ebbe bisogno di
aggiungere dove; Mase aveva capito perfettamente a cosa si stesse
riferendo “ Che ti piaccia o no, domani sera verrò con te.”
Gli scoccò un’ultima occhiata
pensierosa, prima di dirigersi in direzione della porta.
“Rick…” lo
richiamò suo fratello a quel punto. Richard si fermò. “Quand’è che devi tornare
in Florida?”
La domanda di Mase non lo sorprese
più di tanto. Rifletté un istante al pensiero di cosa rispondergli. Sapeva bene
che una volta detta una cosa a suo fratello, difficilmente avrebbe potuto
ritrattarla. Funzionava così, con Mase. Quando alla fine si decise a parlare,
lo fece con la consapevolezza di aver appena tracciato una linea importante su
ciò che costituiva il suo futuro.
“Non ci torno più.” dichiarò infine.
Annuì alle sue stesse parole, come a volersi suggerire di aver preso la
decisione giusta. “Resto qui con voi.”
Mase non
aggiunse nulla. Ma, proprio come gli capitava con il padre, Ricki comprese
senza alcuna fatica quello che stava passando per la testa del fratello; i
silenzi di Mase non avevano quasi mai bisogno di interpretazioni.
“Buonanotte, fratellino.” Lo salutò
infine, prima di socchiudere la porta alle sue spalle.
Alexander Davies scoccò un’occhiata distratta ai pedoni che stavano
attraversando sulle strisce e sbadigliò. Si sistemò con la mano i capelli
arruffati per poi far scorrere un dito sui bottoni dell’autoradio, deciso a
trovare una canzone decente da ascoltare. Aveva lo sguardo meno vispo del solito
solo perché aveva deciso di sfidare il piagnisteo esasperato della sveglia fino
all’ultimo, rinunciando così alla sua dose quotidiana di caffeina. Aveva
cominciato a bere caffè quando era poco più che uno sbarbatello vivace e
perditempo; a lungo andare l’abitudine si era trasformata in effettiva
dipendenza, seconda solo al suo interesse per le donne. E le scommesse, forse.
Quel mattino, tuttavia, non poteva concedersi più minuti di ritardo rispetto a
quelli che si era già ritagliato, perciò si era alzato di controvoglia, aveva
arraffato una maglietta e dei jeans e si era fiondato in macchina. I
quarantacinque minuti che separavano Denver da Boulder avevano costituito la
parte più tediosa della sua mattinata: detestava stare fermo troppo a lungo e
le attese lo rendevano ancora più impaziente e irrequieto. Non che non ci fosse
abituato, ai lunghi viaggi. Fare il paleontologo richiedeva spostamenti
continui, innumerevoli giornate spese in aereo e capatine ai luoghi più
impensabili del globo, spesso per assistere a convegni barbosissimi che non
destavano in lui il minimo interesse. Se si tratteneva più di due mesi in un
posto, Lex incominciava a sentirsi pressato, spremuto tra due lembi di terra,
sopraffatto dalle abitudini che stavano iniziando a costruirsi attorno a lui. E
così si spostava; anche solo per un paio di giorni. Fortunatamente i suoi
impieghi lo tenevano di rado inchiodato da qualche parte troppo a lungo; aveva
imparato a convivere con quello stile di vita giusto l’indispensabile, in
maniera da potersi godere a pieno l’altro aspetto della medaglia: il
vagabondaggio in giro per il mondo senza preoccupazione alcuna oltre al lavoro.
Il non avere radici, né aspettative. L’esserci e basta. Se non altro, si
trovava a pensare spesso, l’immobilità non sarebbe mai stata una costante nella
sua vita.
Lex incominciò a rallentare solo una quindicina di minuti dopo essere
arrivato a Boulder. Sorrise istintivamente quando riconobbe l’ingresso al
campus principale della University of Colorado, prima di attraversarlo.
Parcheggiò infine di fronte a uno degli edifici più vecchi, non troppo distante
da quello di geologia. Scese dall’auto e si concesse un minuto per guardarsi
attorno, un sorriso accattivante ad arricciargli le labbra: in quell’università
aveva trascorso cinque dei suoi anni migliori. Era piacevole scoprire che non
fosse cambiata poi più di tanto, rispetto all’ultima volta che ci aveva messo
piede. Dieci minuti dopo stava già bighellonando nella Lecture Hall
dell’edificio principale, strofinandosi le mani fra loro. Analizzò
l’esposizione di reperti archeologici con scarso interesse, per poi spostare lo
sguardo in direzione di una coppia di studentesse a un paio di teche di
distanza. Sorrise, quando le due ragazze rivolsero una rapida occhiata nella
sua direzione; una delle due si lasciò sfuggire un risolino, parlottando a
bassa voce con l’altra. Lex era sul punto di esordire con una delle sue
classiche frasi di adescamento, quando una terza persona si introdusse nel
salone.
“Alexander! Ti stavo aspettando.” esclamò il nuovo arrivato, porgendogli
la mano con un sorriso amichevole. Lex la strinse. “Professor Harlow….” lo
salutò, sorridendo affabile.
Harlow era uno dei docenti di archeologia della facoltà. Da quando Lex era
tornato a Denver, l’insegnante gli aveva proposto di passare a trovarlo almeno
cinque volte, e all’ultimo invito il ragazzo aveva deciso di accettare. I due conversarono
del più e del meno per una decina buona di minuti, fino a quando Harlow non si
decise a tirar fuori il motivo del suo invito.
“Forse converrebbe spostarci nel mio ufficio…” costatò a voce bassa,
analizzando con espressione insicura la studentessa che stava osservando le
teche in fondo al salone: la sua amica doveva essere uscita mentre loro due
parlavano. Nuovamente, Lex intercettò lo sguardo della giovane e abbozzò un
sorriso accattivante.
“Mi piace qui.” dichiarò infine
con fare sornione, mettendosi a braccia conserte. Rivolse all’uomo un’occhiata
attenta, per invitarlo a proseguire con il discorso. Harlow scoccò un’occhiata
innervosita alla ragazza, ma infine sospirò, arrendendosi alla sua presenza.
Estrasse il suo iPad da una cartellina che portava sotto il braccio e prese a
frugarne il contenuto.
“Queste foto sono state scattate
ieri sera da un collega in Virginia.” borbottò infine a bassa voce, passando
l’oggetto a Lex. L’uomo analizzò le immagini con attenzione: erano fotografie di
alcuni reperti recuperati da uno scavo archeologico a Saltville – così diceva
la didascalia. Le ultime foto, tuttavia, non ritraevano oggetti, ma parte di un
cranio umano.
“Non mi occupo di
primati.” commentò, notando che diverse fotografie testimoniavano la
riesumazione di ossa umane. L’unica cosa che riuscì a intuire era che fossero
decisamente più recenti rispetto ai reperti archeologici delle prime foto.
Harlow fece scorrere un paio di volte il dito sullo schermo, fino a quando non
trovò le foto che cercava.
“È su queste ultime
immagini che volevo chiederti un parere.” commentò infine, additandone una.
Conteneva una schiera di ossa che ricordavano dei denti, ma dopo averla
osservata per una manciata di secondi, aggrottò le sopracciglia, perplesso:
c’era qualcosa che non quadrava in quella fotografia. Alcuni dei reperti
sembravano completamente fuori posto in mezzo agli altri, quasi fossero stati
ritratti assieme a serie di denti appartenenti ad individui diversi. O
addirittura a specie distinte. “Che cosa ne pensi?” domandò a quel punto
Harlow, indicandogli un punto della fotografia. “Hai mai visto dei canini così
pronunciati in un essere umano?”
Lex non rispose.
“Dove hai detto che
sono state scattate queste foto?” domandò invece. Harlow gli rivolse
un’occhiata esitante da sopra le lenti degli occhiali.
“A Saltville,
in Virginia.”
“Ci andrò.” si limitò a
dichiarare il ragazzo. “Puoi girarmi queste foto via e-mail?”
Un paio di minuti più
tardi, il docente fu costretto a congedarsi, per andare a tenere una lezione.
Lex estrasse il cellulare dalla tasca dei jeans e digitò un tasto di chiamata
rapida, prima di avvicinarsi il ricevitore all’orecchio; nell’udire la voce del
suo interlocutore, le sue labbra si incresparono a formare un sorrisetto
beffardo.
“Parlo con un certo
signor architetto?” esordì infine, incominciando a frugare nel taschino del
giubbotto, “Chiamo per proporti una piccola rimpatriata: ho una cosetta da fare
in Virginia e mi manca la mia famiglia di tonti preferita…”
Continuò a parlare al
telefono per una decina di minuti. Quando infine tornò a riporre il cellulare
nella tasca si stiracchiò, sorridendo compiaciuto: lo attendevano più di
quattro ore di viaggio, sommando macchina, aereo e autobus; doveva
assolutamente procurarsi quel caffè. Ma sarebbe partito l’indomani, rifletté,
mentre con un ghigno raggiungeva la studentessa all’altro capo del salone.
Quella sera avrebbe avuto ben altro di cui occuparsi. E da come la giovane gli
sorrideva,Lex convenne compiaciuto che
fosse pienamente d’accordo con lui.
***
Jeremy Gilbert chiuse
la chiamata, accennando un lieve sorriso divertito. Appoggiò il cordless sulla
scrivania e tornò a focalizzare la sua attenzione sul progetto di cui si stava
occupando; la voce di Lex ancora gli solleticava la mente, rievocando ricordi
che non avevano nulla di spigoloso o di appuntito. Erano i ricordi migliori
della sua adolescenza: quelli legati all’anno trascorso a Denver, la città in
cui aveva conosciuto Hazel. Il luogo in cui aveva ricominciato a pianificare, a
fare progetti: a vivere. Tante cose non avrebbero mai trovato posto nella sua
vita, se Denver non ci fosse stata. Il matrimonio con Hazel; la nascita di
Xander e Oliver. Per non parlare del suo lavoro: senza quell’anno trascorso
nella metropoli, nulla l’avrebbe mai spinto a riesumare la vecchia passione per
il disegno. Ricordava ancora in maniera più che nitida il pomeriggio in cui
Alaric gli aveva fatto piovere sulle gambe una serie di brochure universitarie
sulle facoltà di architettura degli Stati Uniti. Era stato Rick a guidarlo
verso quella che riteneva essere la strada migliore da percorrere per uno come
lui; ma Jeremy dubitava che sarebbe mai riuscita a intraprenderla senza aver
conosciuto la luce e l’ispirazione di Denver. Senza aver trascorso almeno un
pomeriggio su una delle panchine disseminate per il parco in cui aveva visto
Hazel per la prima volta. Senza Howie e Demetria, i due coniugi che, seppur
anziani, erano riusciti a dimostrargli che c’era ancora qualcuno disposto a
prendersi cura di lui. E, soprattutto, senza quel ragazzino che un giorno,
notando il suo album da disegno, gli aveva chiesto di disegnargli una piramide.
Il pomeriggio in cui Jeremy conobbe Alexander Davies, risaliva ormai a quasi
vent’anni prima. Doveva molto a quel ragazzino chiacchierone e iperattivo,
ormai diventato uomo. Lex faceva riecheggiare in Jeremy la parte migliore di
sé, oltre ai suoi figli. Riportava alla luce per lui Denver e quell’anno
meraviglioso in cui aveva ricostruito la propria vita da capo, allo stesso modo
in cui, nel suo studio, dava origine ai suoi progetti.
“Chi era al telefono?”
Hazel si introdusse nel
suo studio, prelevandolo da quel rimestare di ricordi. Recuperò il cordless e
prese posto sull’unico angolo della scrivania che non era ricoperto di fogli.
Jeremy le sorrise.
“Era Lex. Pare che
riceveremo presto visite da parte sua.”
La donna inarcò un
sopracciglio, pur non riuscendo a nascondere un sorrisetto divertito.
“Ma non lavora mai quel
ragazzo?”
Jeremy sospirò.
“Ha detto che ha delle
faccende da sbrigare in Virginia…Quindi a meno che non si riferisse al nome di
qualche nuova fiamma… Suppongo che si tratti di lavoro.” concluse, sorridendo
del modo in cui la moglie aveva preso a far ciondolare le gambe dalla scrivania
come una ragazzina. Tuttavia, la sua espressione si fece d’un tratto più
apprensiva, come si fosse appena ricordato di qualcosa.
“Haze,
ho bisogno di un favore…” dichiarò a quel punto, guardando la donna negli
occhi.
“Spara.”
“Sarebbe possibile
rispostare la cerimonia di Miss Mystic Falls a domenica sera?”domandò il marito, sforzandosi di apparire il
più rilassato possibile. “Elena, sabato, ha un impegno di lavoro urgente che
gli è impossibile rimandare. Sarebbe piuttosto brutto se non si presentasse,
visto l’importanza delle famiglie fondatrici per queste cerimonie…”
“Jer…”
Hazel gli rivolse un’occhiata esasperata. “La data è appena stata cambiata
sotto richiesta dello sceriffo, andrà su tutte le furie se con così poco
preavviso mi ostinassi a…”
“… e poi c’è Vicki tra
le candidate.” proseguì l’uomo, osservandola con insistenza. “Sai bene quanto
sia importante questo concorso per tua nipote…”
“…ehy,
non arruffianarmi, ragazzino!” lo rimbeccò, inarcando pericolosamente un
sopracciglio. Infine sospirò. “Parlerò con gli altri del comitato.” si arrese,
passandosi il cordless da una mano all’altra. “…se ci incontriamo oggi può
anche darsi che si riesca a posticipare di nuovo la data. Ma per la sera è
impossibile, il salone è già prenotato, l’unica sarebbe rimandare a domenica
mattina.”
“Sarebbe già un
qualcosa.” le garantì Jeremy, leggermente più sollevato. Si chinò in avanti per
baciare la moglie. “Grazie, tesoro.”
La donna, tuttavia,
continuò ad osservarlo con fare impensierito.
“Perché è così
importante che questa cerimonia venga spostata?” domandò infine, mantenendo lo
sguardo puntato sul marito. Jeremy aggrottò le sopracciglia.
“Te l’ho detto: Elena
ha un impegno, quella sera.”
“E io ti ho sentito, ma
non sei suonato convincente.” rispose la donna, e assumendo d’un tratto
un’espressione meno rilassata: per un attimo aveva riconosciuto nello sguardo
del marito, la stessa espressione distante e malinconica dell’adolescente sperduto
di Denver. Quella del Jeremy che disegnava piramidi e che la ritraeva di
nascosto, cercando di scacciare via con quei disegni preoccupazioni ben più
grandi di lui.
“…Che succede,
ragazzino?” domandò, addolcendo il tono di voce e accarezzandogli una guancia.
La conversazione venne
interrotta da una rapida sequenza di passi e una trafelata richiesta di
attenzioni da parte di Xander.
“Papà!” il ragazzo si
intrufolò nello studio del padre senza nemmeno bussare. “Papà, ti devo parlare
urgentemente, in gran privato e da uomo a uomo. Ok, la mamma può restare….”
aggiunse infine, accorgendosi della presenza di Hazel. La donna rivolse
un’occhiata ammonitrice a Jeremy, lasciandogli intuire che la conversazione fra
i due non fosse conclusa, per poi spostare la sua attenzione al figlio. Jeremy
sospirò, voltandosi a sua volta verso il ragazzo.
“Dimmi tutto, Xander
bello.”
Alexander, che a
giudicare dal borsone che reggeva sulla spalla doveva essere appena tornato
dagli allenamenti, si sgranchì la voce.
“Diciamo che avrei
bisogno di un aiutino per via di Miss Mystic Falls…” spiegò, prima di
appoggiare a terra il borsone e di lasciarsi ricadere con aria stanca su una
delle sedie. “…Emh, vabbè, per farla breve, non so
ballare.”ammise infine, sistemandosi il
polsino che gli fasciava l’avambraccio sinistro.“Il che è un guaio grosso visto che dovrò
farlo, se voglio fare da cavaliere a Caroline.”
La madre gli rivolse
un’occhiata a metà tra il divertito e l’intenerito.
“Se lo vieni chiedere a
tuo padre sei proprio diseparato, bello mio.” obiettò, dandogli un buffetto
sulla guancia. Il marito si accigliò.
“Ma perché mi devi
sminuire così?” commentò, fingendosi offeso. Hazel gli diede una gomitata
scherzosa.
“Ma guardalo! Se l’è
presa, il ragazzino!” ribatté, scoccando un’occhiata complice al figlio. Jeremy
abbozzò un sorriso.
“Già, e adesso mi
prendo anche qualcos’altro.” dichiarò infine, prima di avvicinarsi alla moglie
per darle un bacio. Xander sbuffò, facendo poi ciondolare stancamente il capo.
“Seh,
seh, molto carini, ma il mio grande problema rimane.”
Borbottò, appoggiando la fronte sul legno fresco della scrivania del padre.
Hazel fece mente locale per una manciata di secondi.
“Beh, Oliver se la cava
con il ballo.” ricordò, appoggiandosi al bracciolo della sedia di Jeremy.
“Scusa, ma perché non
chiedi a tua cugina?” propose invece il padre, voltandosi in direzione del
ragazzo. “Fa danza da quando era piccolina ed è una testa dura, vuoi che non
riesca ad insegnarti qualche passo?”
Xander si sollevò di
scatto a sedere e si batté una mano sulla fronte.
“Vicki!” esclamò ad
alta voce, recuperando la sua sacca da hockey. “Come ho fatto a non pensarci
prima?” osservò, precipitandosi fuori dallo studio. “Grazie papà!”
“Ehy,
Xander bello!” gli gridò dietro il padre, mentre Hazel rideva, sollevandosi a
sua volta dalla scrivania. “Lo sai che alla cerimonia non potrai andare con
quei capelli, vero?” aggiunse, osservando la moglie rivolgergli un’occhiata di
sfida. “Io e te facciamo i conti dopo.” dichiarò la donna decisa. Gli fece una
carezza sulla schiena e seguì il figlio in corridoio. Jeremy annuì in silenzio
per poi sospirare, cercando di tornare a concentrarsi sui suoi progetti; in
cuor suo sperava che quel ‘dopo’ arrivasse il più tardi possibile.
***
Quando Oliver era molto
piccolo, aveva creduto a lungo che i
punti del vicinato oltre i quali non gli fosse concesso addentrarsi,
delimitassero i confini del mondo. Si concludeva tutto lì: all’angolo fra South
Road e il vicolo che ospitava la sua casa e quella dei Donovan. Con l’inizio
della scuola, i suoi orizzonti si erano ampliati: una sequenza di villette
allineate di fronte alla strada, il parco, le scuole, la chiesa e il campetto
dietro il Mystic Grill. Questo era il mondo dal punto di vista dell’Oliver di
quattro anni. Crescendo, erano arrivate le prime capatine a casa Lockwood con
suo fratello, e poi i giri dell’isolato in bicicletta assieme a Mason. Il mondo
di Oliver si era esteso in fretta, guadagnando terreno ogni volta che il
bambino otteneva il permesso di recarsi da solo in un nuovo punto della
cittadina. In quei momenti Oliver sorrideva, felice di poter andare e venire da
quei luoghi come volesse, senza dover dipendere dai suoi genitori. Ad ogni
nuova meta raggiunta sentiva di possedere una porzione sempre più grande del
suo mondo, anche se in fondo sapeva bene di essere lui stesso parte di ciò che
lo circondava. La sua prospettiva partiva dall’alto, perché in fondo lui, con
la testa, era sempre rivolto alle nuvole, agli aerei e alle stelle. Guardare le
cose a modo suo aveva il dono di farlo sentire leggero, spensierato e libero.
Se si è sulle nuvole e si guarda verso il basso, è piuttosto difficile sentirsi
turbati: sembra tutto incredibilmente piccolo che il cuore quasi si riempie al
pensiero di avere il controllo sulle cose. I fiumi che straripano si possono
contenere pizzicandoli con due dita. Gli incendi possono essere spenti
soffiandoci sopra: le persone si possono salvare semplicemente con l’uso di un
polpastrello. Ogni cosa è sostenibile; ogni problema è risolvibile. Quello era
il mondo come lo vedeva Oliver nei momenti in cui lo si sorprendeva sorridere;
pensava a questo, le volte in cui la pioggia gli scrosciava addosso e lui
rideva da solo di se stesso, perché ancora una volta si era dimenticato a casa
cappotto e ombrello. Il suo blocco da disegni, la sua moto, gli aerei, non
erano altro che scorciatoie che lo aiutavano ad accedere a quella prospettiva.
Ed era quello, che
stava accadendo in quel momento; per nulla infastidito dai laccetti del casco
che premevano sulla sua pelle, Oliver virò in direzione del parco, sorridendo
dalla pressione del vento appoggiato sulle sue spalle. La sensazione di beatitudine
trasparita dallo sfrecciare delle due ruote sull’asfalto non sfumò, nemmeno
quando la corsa si interruppe. Il ragazzo scese dalla moto, si sfilò il casco e
attraversò un cancelletto in legno che delimitava l’ingresso del parco
pubblico. Sette o otto bambini erano sparpagliati per la distesa di prato, alcuni
in fila per andare sullo scivolo, altri a contendersi un’altalena. C’erano
anche diversi genitori, intenti a chiacchierare in piccoli gruppi. Oliver
proseguì a camminare fino a quando non raggiunse i margini del parco; individuò
uno degli alberi più in disparte e prese posto sull’erba appena umida, appoggiando
la schiena al tronco della pianta. Si sfilò la tracolla e ne estrasse una matita
e il suo album da disegno.Sorrise,
accorgendosi di non essere solo. Annabelle si sedette alla sua destra,
ricambiando il sorriso del ragazzo.
“Venivo qui con tuo
padre, qualche volta.” ammise, stringendosi le ginocchia al petto. Il suo
sguardo rincorse per un po’ le corse impacciate di due bambini piccoli, prima
di spostarsi nuovamente su Oliver. “è uno dei posti che preferisco di Mystic
Falls”.
“Hai un luogo preferito
in generale?” domandò il ragazzo, appoggiando i gomiti sulle ginocchia e
incastrando la matita dietro un orecchio. Annabelle annuì.
“La mia casa natale.”
rivelò, tornando ad osservare i due bambini.“L’ho detestata a lungo, perché nei due anni in cui sono stata malata
non potevo mai uscirne. Ma mi rendo spesso conto che, dopo tutto questo tempo,
è quello il posto che deciderei di visitare se mi fosse possibile tornare
indietro. Mi manca quello che rappresenta, credo. Mi manca trascorrere le
giornate a rincorrere gli altri bambini nei campi e rincasare solo per la cena
o per aiutare mia madre con i lavori. Mi manca tutto ciò che c’era prima che mi
ammalassi.” concluse, tornando ad osservare Oliver. “Qual è il tuo posto
preferito?” chiese infine, rimbalzandogli la domanda. Oliver rifletté per
qualche istante, immergendo lo sguardo nel nulla.
“La ruota panoramica al
SixFlags di Denver.”
rispose infine, sorridendo al ricordo della sua città preferita vista
dall’alto, contornata dai sorrisi e dalle risate dei visitatori del parco. “O
ovunque in cielo. Mi piacerebbe pilotare un aereo, un giorno. Sai, stare in
alto mi fa sentire come se potessi avere più controllo sulle cose: è una bella
sensazione.”
“Deve essere bello, volare.” commentò la ragazza, abbracciandosi le ginocchia.
“Non ho mai preso un aereo in vita mia. …E nemmeno da morta, a dirla tutta.”
Scherzò, abbozzando un sorriso.
“Lo prenderai il giorno in cui ne piloterò uno per la prima volta.” commentò il
ragazzo, dando una scrollata di spalle. “Puoi seguirmi ovunque vada , giusto? ”
Annabelle continuò a
sorridere, ma non rispose. Oliver recuperò la matita da dietro l’orecchio e
prese a giocherellarci, facendola scorrere tra l’indice e il medio. “Hai
scoperto qualcosa su Mase?” domandò infine. L’espressione di Anna si fece d’un
tratto più titubante; infine annuì, prendendo a mordicchiarsi un labbro.
“Credo di aver capito quale sia il suo
problema.” concluse infine, voltandosi ad osservare Oliver ancora una volta.
“Posso solo dirti che Mase nonè in
pericolo e che non è solo. La sua famiglia lo aiuterà.”
“Immagino che non ci
sia proprio modo di scoprire in cosa debba essere aiutato…” mormorò il ragazzo,
assumendo un’espressione impensierita. Annabelle sospirò.
“Non sarebbe meglio che
fosse Mason a parlartene, quando si sentirà pronto a farlo?” chiese. Oliver continuò
a giocherellare con la matita, lo sguardo nuovamente disperso nell’andirivieni
di bambini e biciclette.
“Che cosa posso fare
per lui?” domandò infine, rassegnandosi a uno sguardo di resa. La giovane
scosse il capo.
“Nulla di più che
stargli vicino.” concluse, sorridendogli con dolcezza . “Specialmente in questi
giorni.”
“In realtà credo che mi
stia evitando.” ammise il ragazzo, abbandonando la matita sul blocco. La
osservò rotolare fino a raggiungere un lembo della sua felpa e infine sospirò.
“Probabilmente pensa che sia arrabbiato con lui; spero di riuscire a parlargli
alla cerimonia di Miss Mystic Falls.”
L’espressione di Anna
si fece d’un tratto più vivace.
“Si terrà questa
settimana?”
Il ragazzo annuì.
“Questo sabato.
Concorrono sia mia cugina che la sorella di Mase e Xander farà da cavaliere a
Caroline. Tra l’altro, ora che ci penso, mio fratello mi ha chiesto di
incontrarlo da Vicki, questo pomeriggio. Forse farei meglio ad incamminarmi
verso casa…” commentò, sollevandosi rapidamente da terra e spolverandosi il
dietro dei jeans. Annabelle sorrise.
“Lo sai…” incominciò la
ragazza, alzandosi a sua volta. “…c’è stato un anno in cui avrei dovuto
concorrere anch’io. Ero talmente entusiasta all’idea, che ho provato e
riprovato l’abito da cerimonia per giorni.”
“Mi sarebbe piaciuto vederti…” dichiarò il ragazzo con un sorriso, prima di
aggrottare leggermente le sopracciglia. “Che successe poi?”
La ragazza esitò con
titubanza, per poi lasciar trasparire nel suo sguardo un barlume di malinconia.
“L’evento venne
posticipato e non potei più partecipare.” accennò brevemente, posandosi le mani sulle ginocchia. “Per chi
farai il tifo?” domandò infine, in un’evidente tentativo di cambiare discorso.
Oliver diede una scrollata di spalle. “Non saprei…” ammise, prendendo ad
attraversare il parco. “So che Vicki ci tiene tanto… Ma sarei contento anche se
vincesse Caroline. Penso che lei lo stia facendo più che altro per mio
fratello… anche se Xander fatica ad accorgersene.”spiegò, raggiungendo la sua moto con
Annabelle al fianco.
“Sai molte cose.” considerò con un sorriso la ragazza, osservandolo mettersi il
casco.Oliver sorrise a sua volta,
tornando a riporre il suo album da disegno nella tracolla.
“Sono un buon
ascoltatore…”spiegò, liberando la moto
dal lucchetto. “E sono bravo a custodire segreti degli altri.”
“E tu non ne hai di segreti?”
Oliver si issò sulla
moto e diede una scrollata di spalle.
“Tutti hanno dei
segreti.”costatò infine, frugandosi in tasca,
alla ricerca della chiave di accensione. Non si meravigliò nemmeno quando, tornandoa volgere lo sguardo verso la ragazza, non la
trovò più al suo fianco. Sorrise, mettendo in moto e avviandosi in direzione di
casa sua: Annabelle era senza dubbio parte di uno dei segreti più grandi che
avesse mai avuto.
***
"Didyour family journalstellyouwhathappened to Emily?
Whataboutmygrams? Itneverendswell for peoplelike me.”
Episodio
2x07.Masquerade
Richmond,
Virginia Commonwealth University.
“Ti va un
caffè?”
Era la seconda
settimana di fila che Julian attendeva l’arrivo di Aria all’ingresso dell’aula
di biologia, per proporle di prendere qualcosa assieme. Dopo il primo
disastroso incontro che avevano avuto il giorno della rivelazione della ragazza,
le cose avevano incominciato a migliorare lievemente. Arielle continuava a
comportarsi in maniera scorbutica e diffidente, ma nel corso dell’ultima
settimana aveva incominciato ad abbandonare un po’ di ostilità, lasciandosi
andare a qualche saluto amichevole e perdendosi in conversazioni articolate che
il più delle volte vertevano sullo stesso argomento: la magia.
Quel
pomeriggio in particolare, Julian sperava di poter ascoltare qualche altro
particolare a proposito dei conflitti tra Walcot e Bennet; nei giorni
precedenti Aria gli aveva menzionato più volte l’astio tra le due famiglie,
spiegandogli che le motivazioni legate a quel rancore erano legate a qualcosa
accaduto in passato. Ma non era ancora riuscito a scoprirne il perché.
Quando Julian le venne incontro, Aria era occupata a cercare di infilare due
spessissimi tomi di biologia nella borsa.
“è giorno di
riposo per entrambi al pub.” specificò il ragazzo, osservandola trafficare con
i libri. “…e ci sono ancora diverse cose che mi devi raccontare a proposito
di…” si interruppe appena in tempo, prevedendo l’imminente minaccia di
un’occhiata di fuoco da parte dell’amica. La ragazza si limitò a uno sguardo
torvo, prima di annuire lentamente.
“Ok.”
acconsentì, sistemandosi una ciocca di capelli rossi dietro l’orecchio. “Va
bene; ma il posto lo scelgo io.” concluse, strattonando la borsa e spingendoci
dentro uno dei due libri di testo. Julian sorrise.
“Se vuoi
posso…”
“No, grazie.”
Arielle lo interruppe prontamente, incominciando a camminare per il corridoio.
Il ragazzo si strinse nelle spalle.
“…mettere quei
libri nel mio zaino. Va bene, non fa niente.”
Concluse
alzando le mani in cenno di resa. Seguì la ragazzain direzione delle scale e poi fuori
dall’edificio.
“Dove stiamo
andando?” chiese infine, notando che si stavano dirigendo verso l’Art Center,
una delle strutture più estese del campus. Finalmente, Arielle abbozzò un lieve
sorriso.
“Hai detto che
volevi prendere un caffè...Il Globe Cafè dell’Art
center è probabilmente il posto che preferisco in tutto il campus.” spiegò.
Julian sembrò sorpreso.
“Non sapevo ci
fosse un bar qui dentro…” osservò. Per quanto ne sapeva, l’edificio ospitava
solo uno Starbucks e una tavola calda al piano terra. La ragazza diede una
scrollata di spalle, stringendosi il libro che non era riuscita ad infilare
nella borsa contro il petto. “è all’ultimo piano…Lo frequentano in pochi. È più
tranquillo rispetto allo Starbucks e ha le vetrate…Sembra quasi di essere sul
tetto. Allora, vieni?” lo incitò, prendendo a salire le scale. Julian le
rivolse un’occhiata poco convinta.
“Non possiamo
prendere l’ascensore?” domandò, abbozzando un sorrisetto speranzoso. Aria strinse
le labbra e continuò a salire.
“Non vado
esattamente matta per gli ascensori: mi sento soffocare…” ammise, mentre sospirando,
Julian recuperava qualche gradino per stare al suo passo. “…Anche per mia nonna
e mia sorella è così. Forse è una cosa che ha che fare con…” si interruppe,
scoccandogli un’occhiata eloquente. “…hai capito, no? Con l’essere una strega.”
Julian estese
il suo sorriso.
“Oh, giusto.
Probabilmente voi preferite le scope agli ascensori.” scherzò, superando
finalmente l’ultimo gradino. L’occhiataccia bieca di Arielle, lo fece scoppiare
a ridere.
“Non farmi
nemmeno rispondere, Bennett.”
“Va bene…Arielle.”
“è Aria!” si
impuntò la ragazza, indicando l’entrata del bar alla loro destra. Julian estese
il suo sorriso.
“E io sono
Julian, Julian Morgan: non Bennett.”le
fece notare, incominciando a cercare con lo sguardo un tavolo libero. La
ragazza sospirò, seguendolo fino a raggiungere le vetrate.
"..E va
bene…Julian.” Si arrese, prendendo posto su uno degli sgabelli liberi. Quindici
minuti più tardi, Aria incominciò a raccontare qualcosa a proposito della
discendenza Walcot. Julian ascoltava con attenzione, deciso ad assorbire ogni
dettaglio di quella realtà che sentiva vicina, ma che era al contempo distante
rispetto al modo in cui era cresciuto.
“Ci sono delle
specie di ‘nozioni base’ che le streghe Walcot si tramandano di generazione in
generazione…”stava spiegando la ragazza, facendo oscillare il contenuto della
sua tazzina di caffè. “…Anche se ormai è difficile trovare dei Walcot che
ancora si appoggino a quei paletti. In generale, i discendenti della nostra
stirpe si sforzano di vivere il più possibile a contatto con la natura.”
“Perché?” la
interruppe Julian, sorseggiando il suo caffè. Aria diede una scrollata di
spalle.
“La magia non
è un qualcosa di artificiale,” rispose. “è frutto della natura. E come tale,
stare a contatto con ciò che l’ha generata dovrebbe accrescerla. Gli elementi
della natura sono al tempo stesso una fonte da cui attingere energia e un sostegno
a cui appoggiarsi. Le generazioni più anziane, in aggiunta, diffidano da tutto
ciò che è artificiale e tecnologico. E stiamo parlando di ben più di un
ascensore…”
“…Non è un po’ stupido?” azzardò Julian,
seppur con un po’ di titubanza. La ragazza strinse le labbra e scosse il capo,
prima di proseguire con il discorso.
“Teoricamente,
le streghe Walcot sono anche piuttosto reticenti all’utilizzare la magia per
stupidaggini. Per questo ho cercato di ostacolarti con la storia dell’allarme
anti-incendio.” Aggiunse.
“Ma
ostacolandomi, non hai anche tu utilizzato la magia per stupidaggini?” le fece
notare il ragazzo. Aria roteò gli occhi.
“Per quello ho
detto “ teoricamente.” gli ricordò, facendo spallucce. “Ma in generale, c’è
l’intenzione di sfruttare la magia solo per ciò che è positivo ed estremamente
essenziale: curare qualcuno o aiutare qualcun altro... E i Walcot, in generale,
sono molto rigidi e categorici per carattere…”
“Non me ne ero
accorto…” scherzò a bassa voceil
ragazzo, abbozzando un sorriso.
“...una
tempo non era esattamente così. Sono sempre stati molto fedeli al Grimorio e ai
suoi principi, ben decisi a non abusare troppo dei propri poteri, ma in passato
c’era più collaborazione tra varie famiglie. Fino a quando i Bennett non hanno
deciso di invischiarsi in faccende che non li riguardavano...”
“Ti va di
spiegarmi che cosa è successo tra Walcot e Bennett?” chiese il ragazzo,
impaziente di scoprire la verità. Aria prese fiato e proseguì con il discorso.
“Anzitutto
bisogna dire che tra la mia famiglia e la tua non è mai corso buon sangue. I
Walcot sono molto discreti e attenti, i Bennett erano meno restii a mantenere
il proprio dono segreto. Spesso hanno confidato nelle persone sbagliate e sono
stati traditi, mettendo a rischio anche le altre discendenze. Ciò che
maggiormente ha segnato l’astio tra le nostre due famiglie è stato il principio
di collaborazione dei Bennett con i vampiri…”
La ragazza
si costrinse a interrompersi, notando l’espressione allibita dell’amico.
“Vampiri.”
ripeté Julian, abbozzando un sorrisetto divertito. “Questa è buona.” commentò.
Aria inarcò un sopracciglio e si chinò sul tavolo, per raggiungerlo.
“Credi
davvero di poter essere l’unico ‘diverso’, Julian Morgan?” mormorò, per poi
tornare a drizzare la schiena. “I vampiri esistono. E non sono nemmeno pochi.”
aggiunse, estendendo il sorriso nel notare un accenno di preoccupazione nello
sguardo del ragazzo.“Le streghe per istinto
diffidano da loro, perché la transizione da umano a vampiro è qualcosa che non dovrebbe
esistere in natura. Ma non i Bennett, ovviamente.” aggiunse, prima di terminare
il suo caffè e di spingere la tazzina di lato.
“Alcune
streghe Bennett hanno stretto patti di alleanza con i vampiri. Li hanno
protetti, hanno creato dei talismani per far sì che non fossero ostacolati dal
sole. I vampiri hanno intuito presto quanto quel genere di alleanza avrebbe
potuto rivelarsi utile e hanno cercato di trarne beneficio. Cercandole,
provando a scendere a patti con loro, talvolta corrompendole, talvolta
minacciandole. Diverse streghe vennero uccise, ma il vero massacro avvenne in
seguito, nella seconda metà del 1800.” Si interruppe momentaneamente, per
riprendere fiato.
“Hai detto di essere nato a Mystic Falls, vero? è lì che accadde. Intorno alla
metà del secolo, viveva una tua antenata di nome Emily. Uno dei vampiri la
tradì: informò il Consiglio della cittadina a proposito della discendenza Bennett.
Rivelò loro che Emily era una strega. Quell’episodio scatenò la più violenta
caccia alle streghe mai avuta in Virginia.” rivelò ad un ormai completamente
rapito Julian. “Diverse donne vennero bruciate al rogo, la prima delle quali fu
Emily: molte di esse erano Walcot. Non tutte le donne uccise erano streghe.” concluse,
chinando lo sguardo a cozzare contro la superfice nivea della tazzina da caffè.
“Molte famiglie di streghe, quelle sopravvissute alla caccia, si sono spostate
in altri stati per sfuggire al pericolo. Gli stessi Walcot lo hanno fatto; mia
nonna è stata la prima strega della nostra stirpe a tornare in Virginia dal
1870.” rivelò, stringendosi nelle spalle. “L’astio nei confronti della stirpe
Bennett risale a quel massacro.”
Julian
rimase in silenzio durante l’intero racconto della ragazza. Quando Aria terminò
il discorso, continuò a meditare sulle sue parole, mentre con il polpastrello
raggruppava i granelli di zucchero sperperati sul piattino. Stralci del
discorso della giovane giravano in tondo nella sua testa in maniera tutt’altro
che positiva: non era poi più così convinto di aver fatto la scelta giusta,
addentrandosi nel passato della sua famiglia. Non sapeva un bel niente di quel
mondo. Cinque o sei formulette apprese da un vecchio libro non erano
sufficienti a renderlo uno stregone. Sì, c’era quel prurito ai polpastrelli, la
sensazione di poter controllare e plasmare le cose a suo favore se solo avesse l’voluto,
ogni volta che era agitato per qualcosa: c’era il fruscio. Ma per il resto? Era davvero pronto ad affrontare quei
poteri come aveva sempre pensato? C’era ancora troppo che non sapeva. Ma era
arrivato a un punto di non ritorno: ormai, anche quello che sapeva era
diventato troppo per poter mettere tutto da parte e tornare al punto di
partenza.
“Adesso devo
andare.” concluse infine Aria, raccogliendo la borsa ed alzandosi in piedi.
“Sono indietro con lo studio e nemmeno di poco.”
Julian
annuì.
“Aria?” la richiamò infine alzandosi a sua volta, per recuperare
il portafoglio dalla tasca posteriore dei jeans. “Cambierai mai idea su di me?”
domandò infine, rivolgendole un’occhiata esitante.
La ragazza
lo analizzò con attenzione.
“Veramente penso
di avere già incominciato a farlo…” ammise infine, seppur evitando il suo
sguardo. Julian le rivolse un sorriso di gratitudine. “Meglio che non lo dica
troppo forte, però.” proseguì la ragazza, abbozzando a sua volta un lieve
sorriso. “Non vorrei finire prima o poi a dovermi rimangiare tutto.” aggiunse,
fingendo un’occhiata di ammonimento. Julian la osservò allontanarsi verso
l’uscita del bar, per poi accorgersi all’ultimo che il libro di testo della
ragazza erano rimasti sul tavolino.
“Aria! Il
libro!” la richiamò, raccogliendo il volume e seguendola fino all’ingresso del
locale. Nel porgerglielo, le loro mani si sfiorarono e Julian si sorprese nel
ritirare bruscamente indietro la sua, assumendo un’espressione allarmata.
“Qualcosa non va?” domandò la ragazza,
recuperando il libro e ritirando lentamente il braccio. Julian scosse il capo,
sfregandosi le mani con fare pensieroso.
“Ho preso la
scossa…” buttò lì, per nulla convinto delle sue parole. La sensazione provata
ricordava più il tremolio avvertito quando aveva formulato l’incantesimo di
riconoscimento. Ma una volta ritratta la mano aveva continuato a pulsare per un
po’, come se fosse effettivamente stato colpito o punto da qualcosa. Come se
quel contatto gli fosse costato una sorta di ammonimento; quella era la
sensazione che il suo corpo aveva recepito. Tornò a sorridere ad Aria, che
sembrava confusa dalla sua reazione.
“Ci vediamo domani.” esclamò infine il ragazzo,
tornando a parlare in tono di voce amichevole. La ragazza annuì, seppur
esibendo un’espressione un po’ interdetta. Si strinseil libro di testo al petto e
puntò alle scale dell’edificio.
Quando, dopo
aver pagato il conto, Julian si allontanò a sua volta dal bar, decise di
ignorare le scale e di prendere l’ascensore. Mentre premeva il bottone per scendere
al piano terra, la sua attenzione era ancora completamente assorbita dal
racconto di Aria. Per questo impiegò almeno una trentina di secondi, prima di accorgersi
che l’ascensore non si stava muovendo: dopo quasi un minuto era ancora all’ultimo
piano. Premette ancora una volta il pulsante di partenza, ma notò che le luci
che contornavano i tasti erano spente, così comeil display del quadrante con i vari bottoni.
“Forse
allora sono agli ascensori che non piacciono le streghe e non viceversa…”
borbottò fra sé, appoggiando scocciato le mani sulle due lastre di
metallo.Cercò di aprire le porte con
l’intenzione di raggiungere le scale, ma non successe nulla.
“…No…”
Avvertendo
le prime avvisaglie di panico, Julian prese pigiare bottoni a caso, accanendosi
in particolare con quello da premere in caso di emergenza; non ottenendo alcun
risultato, si sforzò di fare perno su quel fruscio
che tormentava i suoi polpastrelli dal momento in cui aveva sfiorato la mano di
Aria. Proprio nel momento in cui incominciò ad esercitarlo, sforzando si di
tramutarlo in magia, quello scomparve. Non avvertiva nulla, quasi qualsiasi
cosa lo stesse trattenendo in quell’ascensore avesse neutralizzato tutto ciò
che lo rendeva diverso dai coetanei.
E infine,
quando il ragazzo era ormai sul punto di gridare, per farsi sentire da
qualcuno, l’ascensore tornò in funzione. All’improvviso, come se nulla fosse
successo. Il bottoncino con lo “zero” si illuminò e meno di un minuto dopo
Julian era al piano terra, fuori dall’ascensore e da quell’infernale momentaccio.
Una volta fuori dall’edificio, prese ad aprire e a chiudere in fretta le mani,
sperando di veder affiorare il regolare pizzicore ai polpastrelli.
Accidentalmente, appiccò fuoco a una carta di gomma da masticare per terra:
estinse la fiamma e schiacciò ciò che rimase della carta con il tallone,
tirando un sospiro di sollievo: il fruscio
era tornato.
Scoprì
tuttavia che la cosa non lo rasserenava poi così tanto come aveva immaginato: che
cosa cavolo gli era successo in quell’ascensore’
***
“You're
so teaching me how to do
the handjive!”
Episode
1x12. Unpleasantville.
Prima di raggiungere il
fratello e la cugina dai Donovan, Oliver fece un salto un salto in casa per
posare il suo album da disegno. Quando
si introdusse nella sua stanza, trovò qualcuno ad aspettarlo: Jasper, il
cucciolo di casa Gilbert, gli corse incontro scodinzolando, per poi
accoccolarsi sui suoi piedi. Il piccolo di Golden Retriever era arrivato di
recente in famiglia, in seguito al quindicesimo compleanno di Oliver; gli era
stato regalato da Mason che l’aveva personalmente ribattezzato “Ollie due” per
via del carattere mite e solare che ricordava quello del padroncino. Jasper era
dolce e fedele come il più piccolo dei fratelli Gilbert, ma anche vivace e
giocherellone come Xander: un autentico mix dei due giovanotti di casa. Era
completamente devoto a Oliver, e lo seguiva ovunque, fuorché non ci fossero dei
gradini troppo alti da superare: a quel punto piangeva fino a quando il
padroncino non accorreva in suo aiuto.
Oliver sorrise e si
accovacciò, permettendo al cucciolo di premere il muso contro il suo ginocchio.
“Buon pomeriggio anche
a te, Jasper.” Lo salutò con dolcezza, dandogli una grattatina dietro le
orecchie. “Ti va di fare una passeggiata?”
Dal modo frenetico in
cui il cucciolo agitava la coda intuì facilmente che la risposta fosse “sì”.
Dieci minuti più tardi
Oliver e Jasper attendevano sul pianerottolo di casa Donovan che qualcuno
venisse ad aprire la porta: arrivò una trafelata Vicki; la ragazza sorrise
sorpresa, quando vide il cagnolino.
“Quando ti ho detto che
potevi portarti dietro anche l’altro piccoletto, mi riferivo a Mase…” scherzò,
inginocchiandosi e battendosi le mani sui polpacci. Jasper le andò incontro,
mordicchiandole entusiasta un lembo dei jeans. “…Ma anche questo cucciolotto
qui va benissimo; quanto sei bello, eh, piccolino? Dillo alla zia Vick!” Jasper
si lasciò coccolare per una buona manciata di minuti, prima di fiondarsi in
casa, riconoscendo la voce di Xander.
“Cuginona, io sono
pronto!” esclamò il maggiore dei fratelli Gilbert, quando Vicki e Oliver
raggiunsero lui e Autumn in soggiorno. Appallottolò la carta della sua
merendina, e la buttò nello zainetto appoggiato sul divano, prima di
stiracchiarsi vistosamente. “Mi stai salvando la vita, sappilo!”
“Super Vicki al tuo
servizio, cuginetto!” dichiarò Vicki, prendendo a saltare sul posto, prima di
spingere una poltrona di lato con il piede. “Ma vedi di trattare bene Caroline
alla cerimonia, o dovrai vedertela con le mie strabilianti piroette rotanti!
Dunque…” proseguì poi, abbozzando una giravolta. “…ci serve una pista da
ballo!” valutò, sistemando un tavolino di fianco alla poltrona.
Incrociò le braccia sul petto e osservò i mobili del soggiorno con aria
critica. “Spostiamo i divani di lato e dovremmo essere a posto!” concluse, additando
il divano più distante. “Ollie e ‘Tumn, mi date una mano con quello lì?
Xander, muovi il sederino e sposta questo.” concluse, picchiettando con la mano
sull’imbottitura del secondo divano e tirando fuori l’iPod dalla tasca. Quando il soggiorno fu libero, Xander e Vicki si sistemarono al centro della
pista con Jasper che trotterellava loro attorno.
“Dobbiamo ballare anche noi?” domandò un confuso Oliver, voltandosi in
direzione di Autumn. La ragazza si sistemò su uno dei divani e gli fece segno
di sedersi accanto a lei. “Noi facciamo da supporto morale…credo.”commentò, battendo il piede a ritmo di
musica.“Ehy, la conosco questa canzone!”
Vicki batté le mani con
aria soddisfatta.
“È di Grease: ‘Born to handjive’ ”, spiegò, alzando il
volume delle casse. “Xander bello, sei fortunato. Giusto ieri ho preparato una
coreografia per i bimbetti del corso di danza di questa sera.”
“Aspetta, aspetta,
aspetta…” la interruppe il cugino, scoccandole un’occhiata sconcertata. “…Vuoi
farmi imparare un balletto per bambini?”
A lato della pista da
ballo improvvisata, Oliver e Autumn si scoccarono un’occhiata divertita. Vicki
si sfilò via un ciuffo di capelli dagli occhi e portò con decisione le braccia
sul petto.
“Xander bello, non sei
qui per imparare come si balla!” spiegò, scrutandolo con una serietà incredibile.
Il ragazzo le rivolse un’occhiata confusa.
“Ah, no?”
“No! Sei qui per imparare a capire che tu in
realtà sai già come si balla!”
“Intricato!” commentò
Oliver, sorridendo ai maldestri tentativi di Jasper di balzare sul divano. Prese
il cucciolo in braccio e lo depositò fra lui e Autumn, permettendogli di
zampettare avanti e indietro per un po’.
Xander si portò le
braccia al petto, aggrottando le sopracciglia con fare pensieroso. Infine
scosse il capo. “Non ho capito.” ammise infine, intrecciando le dita dietro la
nuca. “Ma tutte queste parole mi stanno facendo venire fame.”
Victoria sospirò,
appoggiandosi le mani sui fianchi. Infine, andò ad abbassare il volume della
musica.
“Vedi, cuginetto…”
spiegò, tornando al centro della “pista”. “…ballare non significa solo
oscillare a destra e a sinistra, fare qualche piroetta su se stessi e far sballonzolareseni e chiappe, come pensa qualcuno.”
aggiunse quasi casualmente, appoggiandosi allo schienale della poltrona. Autumn
accennò un sorrisetto divertito.
“Primo riferimento a
Ricki del pomeriggio!” dichiarò, fingendosi seria e sollevando il dito indice.
Victoria le fece la linguaccia e proseguì con il suo discorso.
“È una disciplina: è
uno sport!” enfatizzò l’ultima parola, mimando il gesto di agitare una mazza da
baseball. “Come il tuo hockey, Xander, o l’atletica di ‘Tumn…O il calcio…”
“Secondo riferimento a Ricki…” si trovò in
dovere di sottolineare nuovamente Autumn. Victoria prese un cuscino dalla
poltrona e lo lanciò in testa alla migliore amica.
“Nel momento in cui ti
accorgerai che ballare non è poi così diverso dal praticare uno sport
qualunque…” riprese, chinandosi, per evitare di venire a sua volta colpita. “…Allora
ti sentirai più a tuo agio nel farlo e sarai pronto per le prove ufficiali
della cerimonia! I passi di danza te li insegnano poi lì.” concluse, balzando
giù dalla poltrona e raggiungendo Xander, che ancora stava ascoltando con le
dita intrecciate dietro la nuca.
“Adesso è più chiaro,
porcospino?” domandò, facendo strisciare il palmo della mano sul crestino del
ragazzo.
“Chiarissimo!” dichiarò
il ragazzo, dandole uno schiaffetto sul polso, per poi prendere a sistemarsi i
capelli con la mano. “Ma lascia stare il mio povero crestino.”
“Come farai a sopravvivere un’intera giornata
senza cresta, sabato?” domandò la cugina. “Ehy, a
proposito, dovremmo darle un nome! Vediamo, umh…”
“Ernesta la cresta!” le
venne in aiuto Autumn. Oliver si mise a ridere.
“O Tino il crestino se è maschio!” aggiunse
il giovane.
“Tino!” ripeté ad alta
voce Xander, circondandosi la cresta con le mani, come se volesse proteggerla.
“Mi piace Tino! D’ora in poi si chiamerà così!”.
“Aggiudicato!” esclamò
allegramente Vicki, raggiungendo un’ultima volta le casse e il suo iPod. Alzò
il volume e fece partire la canzone da capo.
“Allora, Tino crestino,
Xander il cugino…” incominciò, voltandosi verso il ragazzo. “…E Jasper il
cagnolino…” aggiunse, notando il cucciolo acquattato proprio al centro della
pista da ballo improvvisata. “…siete pronti?”
Jasper abbaiò,
improvvisamente interessato a uno dei laccetti dei pantaloni di Vicki.
“Lo prenderò come un
sì.” Concluse la ragazza dandogli una grattatina dietro le orecchie e
sistemandosi di fronte a Xander.“E allora incominciamo!”
***
Take
me whereI'veneverbeen,
Help
me on myfeetagain.
Show
me thatgoodthings come to thosewhowait.
You can. David Archuleta
Xander, Oliver e Autumn
erano rincasati ormai da almeno un paio d’ore, quando il campanello di casa
Donovan suonò per la quarta volta in un pomeriggio. Elena andò ad aprire, una
penna rossa in mano e il tema di un alunno nell’altra, convinta che uno dei
suoi nipoti si fosse dimenticato qualcosa in soggiorno. Trovò invece Ricki ad
attendere sul pianerottolo.
“Buonasera!” esclamò in
tono di voce allegro il ragazzo “Disturbo?”
“Ricki!” lo salutò la
donna con un sorriso, prima di aggrottare leggermente le sopracciglia. “Ma non
sei ancora partito per Jacksonville?”
Il ragazzo scosse il
capo.
“Pensavo di restare a
Mystic Falls ancora per qualche tempo…” ammise, prima di abbassare leggermente la
voce. “…per papà. E per Mase.”
Quando Ricki aveva
rivelato al padre di voler sospendere gli studi, Tyler si era opposto in
maniera piuttosto brusca. Le discussioni tra i due e gli eccessi di collera del
capofamiglia si erano fatti particolarmente frequenti nel corso degli ultimi
giorni, ma il ragazzo non aveva ceduto.
Elena sembrò sul punto
di aggiungere qualcosa, ma Ricki parlò per primo.
“Vic è in casa? Volevo
parlarle…” domandò, sbilanciandosi leggermente all’indietro. Sbirciò in
direzione delle finestre al piano di sopra, come se si aspettasse di trovare
Vicki che li spiava dal vetro. Sperava che quello che stava per fare avrebbe
per lo meno alleviato la collera del padre nei suoi confronti; dopotutto era
stato proprio Tyler a proporgli la cosa per primo.
“L’hai mancata per
dieci minuti.” rispose la donna, rivolgendogli un’occhiata dispiaciuta. “È
appena andata alla scuola di danza. E si è anche dimenticata i panini per la
cena…” aggiunse, scuotendo il capo in cenno di rassegnazione. “…la solita
pasticciona. Non tornerà prima delle dieci, comunque.”
“Nessun problema!” la
tranquillizzò il ragazzo, esibendo un sorriso rilassato. Elena si stupì nel
notarlo quasi sollevato. “Passo un’altra volta...”
“Sei con la macchina,
Ricki?” domandò la donna osservandolo fare dietrofront e puntare al vialetto; il
giovane si fermò.
“Sì…Perché?”
“Me lo faresti un
favore?”
Ricki si strinse nelle
spalle, infilandosi le mani in tasca.
“Che genere di favore?”
Elena rientrò in casa e
ne uscì poco dopo con una busta in mano.
“Sono i panini di
Vicki…” spiegò, porgendoli al ragazzo. “...Se facessi un salto a portarglieli mi
faresti un favore immenso. Lo farei io, ma ho ancora una valanga di temi sulla
prova di evacuazione di ieri da correggere prima di cena…”
“Che noia!” commentò
scherzosamente Ricki, prima di sospirare, tendendo la mano per afferrare la
busta. Sospirò,“E va bene, dà qui!” acconsentì
infine, abbozzando un mezzo sorriso. “Lo farò; ma solo perché sei la moglie del mio
stratosferico padrino!”
Elena si mise a ridere.
“Grazie, tesoro. La
scuola di danza sai dov’è?”
Il ragazzo si strofinò
i capelli con la mano, assumendo un’espressione pensierosa.
“Credo di sì, mi pare
di averci portato Ruby qualche volta.” ammise, ricordando i saggi di danza
della cuginetta a cui aveva assistito più volte. “Scappo a portarglieli!”
dichiarò infine, esibendo la busta e scendendo i gradini di fronte a casa.
“Ricki…” lo richiamò
ancora una volta la donna, prima che Ricki raggiungesse la sua auto.
“Sì?”
Elena sospirò, prima di
proseguire.
“So che sei convinto
che restare vicino alla tua famiglia sia la cosa più giusta da fare. Ed è
comprensibile, ma penso che tuo padre si sentirebbe più tranquillo se tornassi
a scuola.” ammise, cercando di parlare con delicatezza. “…è preoccupato per te
quanto lo è per Mase.”
Ricki rimase in
silenzio per qualche istante, giocherellando con le chiavi dell’auto. “Lo so…” rivelò,
prima di raggiungere la macchina, voltandosi un’ultima volta in direzione della
donna. “Ci vediamo!”. concluse infine, infilandosi nella vettura. Non impiegò
molto a raggiungere la scuola di danza, mentre si trovò in difficoltà nel
momento in cui si trovò nell’atrio, non avendo idea di quale corso seguisse
Vicki. A dirla tutta non sapeva nemmeno che ballasse al di fuori del cheerleading.
Infine, decise di chiedere informazioni alla segretaria della palestra, La
donna gli indicò una stanza, spiegandogli che Vicki aveva quasi concluso la
lezione. Dapprima Ricki fu sul punto di abbandonare i panini sul bancone,
spiegandole la situazione. Gli ci vollero meno di dieci secondi per cambiare
idea, notando il viavai di ragazze che entravano e uscivano dagli spogliatoi.
Intuì all’istante che la stanza in cui si stava allenando Vicki doveva
probabilmente essere piena di belle ragazze dalle gambe lunghe in tutù e body
attillati.
“Sa, penso che porterò
i panini a Vicki personalmente…” dichiarò alla segretaria, sistemandosi i
capelli con la mano, prima di socchiudere la porta della palestra. Si era
aspettato che il suo ingresso imprevisto nella sala avrebbe attirato
l’attenzione di tutti su di sé; tuttavia, ciò che non aveva minimamente
previsto, era che quel “tutti” avrebbe compreso una dozzina di paia di
occhietti curiosi che lo scrutavano da sotto in su.
“Erm,
mi sa che ho sbagliato stanza…” commentò, sorridendo al gruppetto di bambine
sedute per terra che lo osservavano stranite.
“Ricki?” esclamò una stupita Vicki,
riconoscendolo sulla porta. “Che ci fai qui?” Teneva per mano una delle bambine
più grandi del gruppetto, che il ragazzo riconobbe all’istante come la sua
cuginetta.
“Ricki!” cinguettò Ruby, correndogli in
contro. Il giovan si chinò per prenderla in braccio.
“Ciao, principessa!” la
salutò con un sorriso, per poi rivolgere un’occhiata interrogativa a Victoria.
“Carucce, le piccoline,
ma io cercavo quelle un po’ più grandicelle…Dove le posso trovare?” domandò,
porgendo alla ragazza la busta. “Tua madre mi ha chiesto di portarti i panini… L’avrebbe
fatto lei ma era in ritardo con i temi da correggere.”
Vicki afferrò la busta senza dire nulla, un sorriso sorpreso ad arricciarle gli
angoli delle labbra. Era strano trovarla a corto di parole, ma la ragazza si
riprese quasi subito.
“Sei stato carino,
grazie.” ammise infine, appoggiando i panini sul davanzale della finestra.
Ruby, che era ancora in braccio al cugino, gli fece cenno con la mano di
chinare il capo, per dirgli qualcosa a bassa voce nell’orecchio.
“Sei il principe
azzurro di Vicki?” domandò, mettendosi a giocare con il colletto della sua
maglia. Ricki le rivolse un’occhiata sorpresa.
“Ehm, non esattamente.”
rispose, posandola a terra per permetterle di raggiungere le altre bambine.
Victoria si mise a ridere.
“Stanno preparando una
canzone di Cenerentola per il saggio di fine anno…” la giustificò, mentre Ruby
tornava a sedersi assieme alle compagne di corso. “…è da un paio di settimane
che ogni volta che entra un ragazzo in palestra gli domandano se sia il
principe azzurro di qualcuno.”
“Lo sai? Non sapevo mica che studiassi danza…”
ammise Ricki a quel punto, incrociando le braccia sul petto.
“In realtà al momento
non la studio…Insegno solo.” rivelò Victoria, prima di raggiungere i bambini
seduti a terra, che stavano incominciando ad agitarsi un po’ troppo: solo in
quel momento Ricki si accorse che c’erano anche un paio di maschietti, nel
gruppo.
“Bimbi, questo è
Ricki!” Vicki presentò il ragazzo, cercando di non lasciare che l’attenzione
dei ragazzini si disperdesse. “è venuto a vedere come ballate, perché ha
sentito dire che siete tutti bravissimi!”
“Lui è mio cugino!”
esclamò prontamente Ruby, indicandolo alle sue amichette.
“Io sono bravissimo!”
stava strillando al contempo uno dei due maschietti, alzando la mano.
“E anche io!” commentò
un’altra bambina in risposta.
Richard si mise a
ridere.
“Mi sa che siete addirittura
più bravi della vostra maestra!” commentò, accovacciandosi, per essere alla
loro altezza. Sua cugina scosse vigorosamente il capo.
“No, la maestra Vicki è
bravissima!” ribatté, incrociando le braccia sul petto. Il bimbo alla sua
destra sollevò il braccio, come a voler chiedere la parola.“Ed è anche bellissima!” dichiarò,
stropicciandosi i capelli biondi con la manina libera. Vicki rise di nuovo,
accarezzando il capo del bambino.
“Grazie, Anton! Tu sì
che sei un vero principe azzurro!” dichiarò, facendo cenno ai bambini di
alzarsi in piedi.
“Facciamo vedere a
Ricki la canzone che abbiamo imparato oggi?” propose, per cercare di mantenerli
tranquilli. “Ti dispiace? Hanno un po’ di problemi a ballare di fronte al
pubblico.” aggiunse poi, voltandosi in direzione del ragazzo. Richard diede una
scrollata di spalle, appoggiandosi alla sbarra con la schiena.
“Nah,
tanto ormai sono qui.” commentò, mettendosi nuovamente a braccia conserte. La
ragazza sorrise. “Fidati, ballano meglio loro di Xander!” dichiarò, battendo le
mani, prima di raggiungere lo stereo, per far partire la musica.
“Siete pronti? Guardate
che comincia subito!” avvertì i bambini sistemandosi di fronte a loro, davanti
agli specchi. I piccoli allievi si guardarono l’un l’altro, ridendo entusiasti,
prima di incominciare a ballare, imitando le mosse della loro insegnante.
Richard si sforzò di
seguire i movimenti buffi e dolci dei bambini, ma finì ben presto per spostare
lo sguardo verso la loro maestra, osservandola interagire con i piccoli
attraverso lo specchio. Non era la prima volta che vedeva Vicki ballare, eppure
c’era qualcosa di diverso nel modo in cui si muoveva a ritmo di musica in
quella palestra. E non era per via della coreografia a misura di bimbo,– Ricki
si divertì da matti nell’immaginare Xander intento a ballarla – che stava eseguendo per i suoi piccoli allievi.
Non aveva nemmeno a che fare con la mancanza della gonnellina corta da cheerleader
che la ragazza era solita sfoggiare alle partite. La Vicki in pantaloni di tuta
e coda di cavallo che aveva di fronte in quel momento era una Vicki diversa
rispetto alla ragazzina logorroica e insistente che era abituato ad avere
intorno in altri contesti. Aveva messo da parte i suoi modi stravaganti e
spesso forzati per stare dietro a quei bambini, pur mantenendo la vivacità
contagiosa e l’energia che esibiva sempre in tutto ciò che faceva. Era davvero
una buona insegnante, e gli bastarono pochi minuti per rendersene conto. In
quella palestra, di fronte a quei ragazzini, Vicki gli sembrò più donna di
quanto non gli fosse mai capitato di pensare, osservandola eseguire uno dei
suoi numeri di cheerleading.
Quando la coreografia terminò, sia Vicki, sia Ricki, batterono le mani.
Sentendosi incoraggiati, i bambini presero a saltellare con entusiasmo.
“Ma siete fenomenali”
dichiarò il ragazzo, annuendo convinto. “Voglio un autografo!”
Victoria sorrise.
Raggiunse lo stereo, per abbassare il volume della musica, e infine tornò da
Ricki.
“Grazie per i panini!”
esclamò, appoggiandogli una mano sull’avambraccio. “è stata una bella sorpresa…E
grazie per essere rimasto a guardarli. Gli hai fatti felici, sai?” dichiarò,
sorridendo in direzione dei bambini, che avevano già incominciato a scorrazzare
per la palestra. Ricki minimizzò con un cenno della mano.
“Senti, Vic…”
incominciò, prima di interrompersi bruscamente, imbarazzato dalla mezza dozzina
di testoline voltate verso di lui. “…puoi chiedere ai ragazzini di non
guardarmi così? Insomma, lo so che sono un figo…Ma ci vorrà ancora una decina
d’anni prima che anche queste bimbe imparino ad apprezzare la cosa…”
Vicki si mise a ridere.
“Ok, bimbi, facciamo
una cosa!” esclamò poi, tornando ancora una volta allo stereo, per far partire
la canzone. “Visto che ormai siete diventati davvero bravissimi, perché non
provate un po’ la coreografia da soli, così poi la facciamo vedere a Eric e
agli altri maestri prima di andare a casa?”
I piccoli sembrarono
entusiasti della proposta.
“Chi è Eric?” domandò
invece Ricki. Victoria fece spallucce, andando alla sbarra e recuperando la
felpa della tuta.
“Un amico…Insegna anche
lui ai bambini qui alla scuola.” spiegò, prima di sgranare gli occhi, colta da
un’illuminazione improvvisa. “Verrà alla cerimonia di Miss Mystic Falls!” si
ricordò, tirando fuori il cellulare dalla tasca. “Devo avvertirlo del cambio
data...”
“Ecco, sì, era a
proposito di quello che ti volevo parlare…” buttò lì Ricki, sentendosi
stranamente impacciato. Vicki lasciò il messaggio a metà e distolse lo sguardo
del display, perdendo subito interesse in quello che stava facendo. Tornò ad
osservare Ricki, che aveva preso a sfregarsi le mani l’una contro l’altra.
“Sì, insomma, volevo
ringraziarti per la storia dello sceriffo Fell…con quell’ingranaggio di non so
cosa. Mio padre dice che ci sei stata di grande aiuto e visto che ho deciso di
non tornare in Florida, almeno per ora…”
“Davvero non parti più?” lo interruppe la ragazza, estendendo il suo sorriso.
“Devo fare un grande sforzo per non mettermi a saltellare per la gioia, lo sai
questo, vero?”
“E comunque…” Il ragazzo si sfregò il capo con
la mano, intenzionato a concludere in fretta il suo discorso. Più impiegava
tempo e più aumentava il suo imbarazzo. “Adesso non metterti in testa strane
idee. Ma pensavo, visto che sarò comunque qui per la cerimonia di Miss Mystic
Falls, che magari potrei farti da cavaliere. Sarebbe una specie di ‘grazie’ per
quella questione di Fell.” concluse, tornando a infilarsi le mani in tasca.
Victoria lo osservò allibita per un po’, incapace di proferir parola. Infine la
sua espressione si fece seria, e la giovane gli puntò un dito contro.
“Non mi stai prendendo in giro, vero?” si assicurò, mordicchiandosi
nervosamente un labbro.
Ricki scosse il capo.
“No…sono serio.”
ammise. “Ma come ti ho già detto poco prima, non devi metterti in testa strane
idee. Sarebbe una cosa da ami…” si interruppe a metà discorso, sorpreso dalla
reazione della ragazza. Vicki lo abbracciò con slancio, non facendo caso ai
bambini che avevano preso a osservarli incuriositi.
“Grazie…” mormorò Vicki, prima di lasciarlo andare, recuperando il telefonino
dalla tasca.
Ricki scoccò
un’occhiata impacciata ai ragazzini, riprendendo a sfregarsi le mani.
“Emh…Prego?”
“E adesso fuori di qui.”
lo intimò infine Victoria, incominciando a digitare freneticamente sul
tastierino dell’apparecchio. “…devo chiamare ‘Tumn, devo chiamare tua
sorella…In pratica devo chiamare il mondo intero, e non posso farlo se ci sei
tu.” concluse, accorgendosi a malapena della presenza di Ruby al suo fianco.
“Visto? L’avevo detto
che eri il suo principe azzurro!” cantilenò la bambina, indicando il cugino con
l’indice.
Ricki scrollò il capo
con fare contrario, incamminandosi verso il corridoio della palestra. Se non
altro, si trovò a pensare una volta raggiunta la macchina, fare da cavaliere a
Vicki si sarebbe rivelato forse un po’ meno traumatico rispetto a come l’aveva
immaginato al principio.
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Angolo Link pre-polpettone:
Ilgruppofacebookcon foto,informazioni,spoiler,sondaggie quant’altro a proposito diHistoryRepeating.
Ilcanaleyoutubecon tutti i video dedicati a HR e laplaylistdella colonna sonora. (Y)
Angolino
pubblicitario pre-polpettone.
Nel periodo natalizio ho scribacchiato un paio di
storie legate a HistoryRepeating,
se vi va date un’occhiata!
We can be heroes.One-shotdedicata
a Mason, Oliver e alla loro amicizia.
Pillole di
Quotidianità.Una piccola raccolta di dieci drabble
incentrate sui protagonisti di HistoryRepeating
A very...Lockwood…Christmas.Ovvero,
le 10 cose che si verificano ogni anno la vigilia di Natale in casa Lockwood.
HistoryRepeating
– Gli spin offs. Questa è la
serie in generale che contiene tutti quanti gli spin off legati a HistoryRepeating,
Nota dell’autrice. – Aka:
il polpettone nel polpettone -
Buongiorno! Sono tornata in vita dopo
due mesi, alè! Purtroppo il tempo è quello che è,
come immagino ormai sappiate bene tutti. Ma passiamo subito a noi, che voglio
cercare di essere breve e concisa (ahah…che bella
battuta! XD)
Allora…Capitolo, questo, che è il
capitolo di transizione più ‘transizionoso’ nella storia dei capitoli di transizione,
perché non succede praticamente nulla! Ho voluto distanziarmi un po’ dal filone
principale della trama (la faccenda della luna piena) per concentrarmi su altri
personaggi e filoni narrativi, comunque essenziali per portare avanti il tutto.
Ma, come al solito, procediamo con ordine!
1. Finalmente, dopo aver dato il falso allarme nel capitolo scorso, è arrivata
l’introduzione di Alexander (Lex) Davies.
Per chi segue Pyramid (che tra l’altro ho intenzione di
riprendere i prima possibile, perchéè
da troppo ferma in cantiere) lo conosceva come Xander, il piccolo monello iperattivo che Jeremy conobbe una volta traferitosi a Denver. Ebbene, ora Lex è cresciuto e ho pensato di buttarlo in
mezzo al calderone di HR, come se non avessi già abbastanza personaggi da
sfamare a suon di filoni narrativi…Ma questi sono dettagli, torniamo a noi! Ho
deciso che Lex sarebbe diventato paleontologo perché mi sembrava un lavoro
adatto a lui e, cosa più importante, gli avrebbe permesso di viaggiare, e ho
sempre immaginato il Lex adulto che sviaggia di qua e
di là, perché lo stare fermo troppo a lungo lo annoierebbe. E poi mi sembrava
una buona alternativa all’archeologo e ai rimandi con le piramidi del passato
di Lex.
2. Per quanto riguarda la comparsa di
Lex nel capitolo, ho qualche informazione inutile da aggiungere. La Boulder University l’ho scelta perché
sembra essere una delle università migliori del Colorado. Non è troppo distanze
da Denver dove vive/viveva Lex e c’è un reparto di geologia. Altra informazione
inutile: il professor Harlow non ci serve a molto, in realtà,serviva solo per menzionare l’arrivo di Lex
in Virginia e quelle foto che forse vogliono dire qualcosa e forse no. Il nome l’ho fregato a Harry Harlow, un
ricercatore che ha effettuato degli esperimenti legati all’attaccamento su
piccoli primati.
3. Come
accennato prima, Lex come personaggio è nato in Pyramid, che racconta dell’anno che Jeremy ha
trascorso a Denver da adolescente, e di come lui e Hazel si sono conosciuti. Tutti i pensieri di Jeremy legati al suo passato nella scena con Hazel sono ancorati a
quella storia.
4.
Passiamo all’Annaver!
Anzi tutto mi sono resa conto che si è creato un lieve parallelismo tra le
battute finali della scena Masoline alla riserva e le parole di Anna e Oliver
al parco in merito al fatto di avere dei segreti). Ma questa è un’informazione
inutile >.< Le cose importanti da dire a riguardo sono due: a) i
riferimenti alla casa natale di Annabelle sono completamente inventati, non
sono riuscita a trovare molto sul suo passato in giro per la rete. Mentre per
quanto riguarda il fatto che dovesse partecipare a miss Mystic Falls nel 1864, è tutto vero: vi riporto ciò che c’è
scritto nella wikipedia di TVD (aka,
la mia bibbia) The pageantwasmeant to be held in 1864, but the hunt and capture of vampires in the townpostponed the event. Anna, a vampire, wassupposed to haveentered, butwhenall the vampiresgottaken to the tomb, shecouldn't.
5. Aria e Julian.
Finalmente scopriamo qualcosina di più riguardo ai Walcot e a questa strana discordia che aleggia tra le due famiglie.
Anche in questa occasione, alcune delle cose raccontate con Aria coincidono con
la trama di TVD: Emily Bennett è
stata effettivamente tradita da Katherine che ha rivelato al Consiglio il fatto
che fosse una strega. Successivamente la donna è stata uccisa, e sono
incominciate le persecuzioni. §Per quanto riguarda l’episodio dell’ascensore
possiamo trarre due ipotetiche conclusioni; a) o Julian è sfigato come la
sottoscritta con la tecnologia b) c’è ancora qualcosa che ci sfugge. Vedremo!
6. La scena con i due Gilbert, Vicki e ‘Tumn non aveva una vera e propria funzione all’interno della trama,ma mi sembrava carina come scena. Finalmente ho avuto
la possibilità di inserire anche qui Jasper,
il cagnolino di Oliver, che è
apparso per la prima volta in “A very…Lockwood…Christmas”.
La canzone che Vicki insegna prima a Xander e poi a Vicki, tra l’altro, , è “Born to HandJive”
di Grease XD Ci tenevo a dirlo perché Grease prima o poi tornerà in questa storia – e qualcuno sa
anche già com.
7. Concludiamo con ilRictoria –
beh, ma qui non c’è molto da dire. Ruby,
la cuginetta di Ricki, è un altro personaggio che ha fatto per la prima volta
comparsa in uno spin off attualmente in corso, “A Very Lockwood
Christmas” e che mi sembrava carino introdurre anche qui. Ovviamente,
se abbiamo la principessina, non potrà mancare quell’uragano di suo fratello
minore: Damian “Twister” Blackwell
arriverà tra un paio di capitoli e farà qualche comparsa qua e là.
8. Per concludere, un paio di accenni al
prossimo capitolo: finalmente arriverà la luna
piena. E come tale, il nuovo capitolo sarà interamente dedicato a Tyler, Caroline, Mason e Ricki (con lievi sprazzi di Jeffrey) che in fondo sono un po’ i
protagonisti principali di HR. A quella parte tengo molto, perché sta per
volgere al termine la prima parte della storia e tutti i capitoli precedenti
vertono a quello, quindi vorrei che ne uscisse fuori qualcosa di decente xD
Basta ho straparlato!
Io vi ringrazio infinitamente come al
solito se siete riusciti a leggere tutto il polpettone senza collassare!
Un abbraccio forte!
Non sai mai
quanto sei forte, finché essere forte è l’unica scelta che hai.
ChuckPalanhiuk
Caroline
Forbes parcheggiò la macchina il più vicino possibile al delimitare degli alberi
e spense il motore, preparandosi a scendere. Una volta chiusa la portiera
incominciò ad addentrarsi nella foresta, camminando a passo svelto: per quanto
amasse quella riserva naturale, non si sarebbe mai aspettata di tornarci a meno
di una settimana dall’ultima volta in cui ci aveva messo piede; evidentemente
non aveva tenuto conto di un’abitudine ben radicata nel minore dei fratelli
Lockwood:il vizio di sparire nei
momenti meno opportuni, secondo solo alla sua abilità nel nascondersi nei
luoghi più improbabili. Si sorprese a tirare un sospiro di sollievo, nel
momento in cui individuò il ragazzo accovacciato di fronte a un albero. Mason
aveva la schiena appoggiata al tronco , le ginocchia strette al petto e il
cappuccio della felpa tirato su. Il suo sguardo sembrava assorbito dalla
vegetazione di fronte a lui, ma era evidente che la sua mente stesse vagando
altrove, impegnata da qualche riflessione che avrebbe trattenuto il ragazzo per
un bel pezzo, se non fosse arrivata Caroline a distrarlo. La vampira si
avvicinò di qualche passo, appoggiando una mano sulla corteccia dell’albero.
Mason aggrottò appena le sopracciglia e volse il capo verso la ragazza. Non
sembrava particolarmente sorpreso e la cosa la stranì: di norma, Mase, si
innervosiva per molto meno. Ipotizzò che stesse incominciando ad abituarsi ai
sensi iper-sviluppati: probabilmente l’aveva sentita arrivare.
“Sapevo che
avrebbero mandato la baby-sitter a recuperarmi.” commentò il ragazzo. Accennò
un debole sorriso che, tuttavia, svanì in fretta.
“Ti
diverti a far preoccupare i tuoi così?” domandò la vampira, inarcando un
sopracciglio con aria di rimprovero. Mase roteò gli occhi, sistemandosi i
gomiti sulle ginocchia.
“Ho
lasciato un messaggio a mia madre.” si difese, appoggiando la nuca contro il
tronco dell’albero. “Sarei comunque tornato a casa prima delle quattro.”
“Come ci sei arrivato fin qui?” chiese ancora Caroline, prendendo posto accanto a lui.
“Ho preso l’autobus.” rispose asciutto il ragazzo, mettendosi a braccia
conserte. Se inizialmente la ragazza aveva trovato la reazione di Mase al suo
arrivo inaspettatamente rilassata, in quel momento notòin lui un improvviso irrigidimento.
“Tuo
padre ti ha cercato dappertutto.”proseguì Caroline, estraendo il cellulare dalla tasca. Incominciò a
trafficare con i tasti per inviare un messaggio a Tyler.“Ha parlato di un posto di nome Havenill:
pensava che fossi lì.”
Mason scosse il capo.
“Non
oggi.” si limitò a rispondere, tornando a distogliere lo sguardo. Caroline
lasciò perdere il cellulare e prese ad analizzare l’espressione del ragazzo:
aveva un’aria tesa, smarrita. Per un attimo le sembrò di essere tornata al
pomeriggio precedente alla luna piena di quasi trent’anni prima. Richiamò alla
mente l’espressione atterrita di un Tyler diciassettenne, nel momento in cui
avevano preso ad incamminarsi assieme verso la cripta. C’erano state altre lune
piene, dopo quella prima, terribile nottata. Serate trascorse nell’ansia
dell’attesa, nell’angoscia al pensiero di ciò che sarebbe accaduto quando l’amico
avrebbe incominciato a trasformarsi; più per il terrore di doverlo sentire
soffrire un’altra volta, che per la paura che qualcosa potesse andare storto.
Eppure, nessun ricordo relativo alle altre notti era tanto nitido quanto il
primo: in momenti come quelli, quei pensieri risalivano a galla con maggior
limpidezza. Lo sguardo nervoso di Mason e i movimenti rigidi e fermi con i
quali cercava di mostrarsi risoluto, non erano altro che segnalibri fra le
pagine del passato di Caroline. La ragazza sospirò, sforzandosi di trovare
qualcosa da dire per rincuorarlo o, quantomeno, distrarlo.
“Non
avevo mai sentito parlare di Havenill.” decise di ammettere infine,
intrecciando le dita e posandosele in grembo. “Si trova qui vicino?”
Mason
si voltò brevemente verso di lei. “Un paio d’ore…” spiegò, “…Forse meno. È il paese in cui è cresciuta mia
madre; mio nonno e la maggior parte dei miei parenti vivono ancora lì. È un
posto tranquillo …” aggiunse, piegando un ginocchio e appoggiandoci sopra il
gomito. “…Ci vado spesso, quando ho bisogno di stare conto mio.”
Caroline
annuì, continuando a mantenere un’espressione pensierosa. Il nervosismo inciso
nello sguardo del ragazzo non accennava ad allentarsi. Gli sfiorò la spalla;
lui non si ritrasse. Le sembrò già un notevole progresso rispetto
all’irrigidimento dei giorni precedenti.
“Mi
dispiace, Mase.” ammise infine, stringendogli con delicatezza il braccio.
“Vorrei poter fare qualcosa per te.”
Il
ragazzo inarcò appena un sopracciglio, prima di scuotere il capo.
“Devi
dispiacerti anche per papà.” ribatté, controllando l’orologio: erano passate da
poco le due del pomeriggio. Trasse un lungo respiro, sentendosi improvvisamente
a corto d’aria; era da quella mattina che i suoi polmoni sembravano aver preso
a funzionare in modo anomalo: non immagazzinavano abbastanza ossigeno e il
fiato si era più fatto corto, come se stesse annaspando nel tentativo di
recuperare più aria. Si sentiva soffocare e si era sorpreso più volte a
tremare, nonostante si sentisse la pelle incandescente. La situazione
peggiorava ogni volta che i pensieri del ragazzo sfioravano la luce pallida
della luna piena.“Anche lui sarà nelle
mie stesse condizioni, questa sera.”
Caroline
sospirò.
“In
realtà, ancora una volta, non mi stavo riferendo alla luna piena.” commentò,
intercettando la sua espressione confusa. Si abbracciò le gambe e appoggiò il
mento sulle ginocchia. “É che alle volte, quando ti guardo, mi sembri… triste.”
rivelò infine. Ogni parola pronunciata era stata appoggiata sull’aria con
cautela, come se Caroline si stesse sforzando in tutti i modi di parlare con
delicatezza. “E non sempre mi convinco che questo sia dovuto soltanto alla luna
piena.”
Mason
non le rispose; aggrottò appena le sopracciglia, prima di tornare a poggiare la
nuca contro il tronco dell’albero, voltandosi dal lato opposto rispetto alla
ragazza. Caroline immaginò che la sua osservazione si sarebbe estinta nel
nulla, soffocata dal silenzio che stava incominciando ad assorbire le sue
domande. Passarono un paio di minuti, prima che Mason si decidesse a fornirle
qualche risposta.
“Ho
litigato con Oliver.” Dichiarò il ragazzo, tornando a volgere lo sguardo di
fronte a sé; prese a giocherellare con un rametto che aveva raccolto da terra:
quel pomeriggio gli riusciva impossibile mantenersi fermo e immobile come al
solito. Caroline tornò a studiare la sua espressione, decisa a individuare la
falla nel groviglio di pensieri del giovane.
“Sono
sicura che riuscirete a risolvere presto.” lo rassicurò in tono di voce
risoluto. “Tu e Oliver sembrate piuttosto uniti; le cose andranno a posto, ne
sono sicura.”
“Forse
è proprio questo il problema.” ribatté in risposta il ragazzo, sorprendendola.
Mason gettò il rametto per terra e si passò una mano sulla nuca, prima di
proseguire.“Forse non dovremmo
risolvere affatto: non mi controllo, sono pericoloso per lui.”specificò, tornando ad assumere
un’espressione nervosa. “Potrei fargli davvero male… potrei farne a chiunque.”
Concluse, non trovando il coraggio di ammettere che in fondo già ne aveva fatto.
Aveva ucciso un uomo e nessuno, tranne lui, sembrava darci peso più di tanto.
Aveva sbattuto il suo migliore amico contro un armadietto e non gli era stato
torto un solo capello; nemmeno Xander l’aveva picchiato. Mason si era
arrabbiato: si era arrabbiato, perché avrebbe potuto succedere di nuovo. Si era
arrabbiato perché, forse, avrebbe preferito che Oliver ricambiasse il colpo,
più e più volte, fino a farlo sanguinare, invece che permettergli di fuggire
come sempre. Era stufo di farla franca. Ed era anche stufo di fare del male:
non voleva che accadesse di nuovo. Né con Oliver, né con nessun altro.
“È
questo che ti spaventa così tanto?” domandò a quel punto Caroline, ammorbidendo
il tono di voce. Stava incominciando a scorgere i punti in ombra nella matassa
di riflessioni ingarbugliate, ben custodite oltre i suoi silenzi. Sentiva
comunque che ci fosse ancora tanto a sfuggirle: c’era qualcosa radicato ancora
più a fondo rispetto alla paura del ragazzo di poter ferire il migliore amico.
“Il pensiero di fare del male alle persone a cui vuoi bene?”
Ancora
una volta Mase non rispose subito. Caroline cercò di non mettergli fretta,
limitandosi a sfilacciare un paio di ciuffi d’erba.
“Ho
paura per stasera.” ammise infine il giovane, evitando la sua domanda. Sbuffò,
prima di posare una mano a terra per alzarsi in piedi. Sembrò tuttavia
ripensarci quasi subito e tornò ad appoggiare la schiena alla corteccia
dell’albero. Caroline non badò alla sua risposta elusiva: era riuscita a notare
una punta di rassegnazione nello sguardo di Mase che le aveva infuso
determinazione. Sentiva di essere vicina a ottenere qualcosa.
“Lo
so.” mormorò. “Ed è più che normale averne, ma ti prometto che andrà tutto
bene. Tuo padre ti sarà vicino fino alla fine.”
“Farà,
farà male, vero?” domandò il ragazzo, sforzandosi di mantenere un tono di voce
fermo, lo sguardo immerso nel vuoto. L’espressione di Caroline si addolcì
ulteriormente. Incominciava a comprendere come mai Mase esitasse così tanto
ogni volta prima di rispondere: occorreva del tempo per assicurarsi che le sue
parole non vibrassero tremule, ripetendosi o spezzandosi in sillabe gemelle.
“All’inizio
sì.” si sentì in dovere di ammettere, mordendosi il labbro . “Ma andrà meglio
ad ogni trasformazione. Il processo si velocizzerà e diventerai più forte. Sarà
sempre più facile gestirlo.”
Mason
aggrottò le sopracciglia, riflettendo sulle sue parole.
“Potrò controllarmi, alla fine?” chiese ancora: lo sguardo attento che
le rivolse le impresse addosso una strana sensazione. Le sembrò che quella
fosse la domanda per cui più gli premesse ottenere risposta.
“Non
del tutto.” rivelò, cercando di mantenere un tono di voce fermo. “Per questo tu
e Tyler andrete nella cripta; lì starete al sicuro. Ti prometto che non farete
del male a nessuno.”
Mason scosse il capo, inspirando con forza. C’era stato qualcosa, nella
sua ultima frase, che sembrava averlo messo a disagio più degli altri argomenti
affrontati quel pomeriggio. Più del timore di poter ferire qualcuno o del
dolore che avrebbe comportato la trasformazione.
“Che
cos’è che ti preoccupa così tanto?” insistette la ragazza. La sua mano tornò a
posarsi sulla spalla di Mason e questa volta il ragazzo sembrò farci a malapena
caso, rapito dal cruccio dei suoi pensieri. Sentiva di essere vicina a trovare
uno spiraglio fra le sue barriere e voleva riuscire a sbirciarci attraverso. Le
sarebbe piaciuto trafiggere quella spaccatura con il braccio e sporgersi,
valicando i silenzi che le sbarravano la strada. Avrebbe volentieri rinunciato
a quel tocco appena abbozzato sulla spalla del ragazzo, pur di raggiungerlo,
sciogliendo quel garbuglio di pensieri faticosi che lo divoravano dall’interno.
.
And I'dgive
up forever to touchyou 'Cause I knowthatyoufeel
me somehow You're the closest to heaventhatI'llever be And I don'twant to go home right now
Iris.GooGooDolls
Mason
inspirò con forza ancora una volta, tornando a stringersi le ginocchia al
petto. La preoccupazione di Caroline era reale, e si sorprese nel percepirlo, così
come aveva riconosciuto un fondo di verità nelle sue rassicurazioni, quando
l’aveva portato per la prima volta alla riserva. La vampira lo osservò curvare
le spalle e chinare leggermente il capo: sembrava volesse proteggersi;
ripararsi da quel genere di premure che non era abituato ad accogliere senza
difendersi.
“È
questo.” mormorò infine, con espressione d’un tratto innervosita. Caroline gli
rivolse un’occhiata confusa.
“Questo?”
“È questo a spaventarmi più di tutto. Il non potermi
controllare.” specificò il ragazzo. “Non mi piace.”
Caroline
ascoltò con attenzione le sue parole, ignorando il nugolo di interrogativi che
avevano preso forma nella sua testa. Sentiva che, se avesse posto la domanda
sbagliata, Mason avrebbe potuto decidere di lasciar perdere, evitando di
proseguire.
“Per anni non sono stato in grado di
controllare il mio modo di esprimermi.” riprese il ragazzo, eludendo lo sguardo
della vampira. “Ascoltarsi balbettare senza poter fare nulla fa davvero schifo.
Un conto è non saper controllare le proprie emozioni… ma non riuscire a parlare
è da stupidi.” ammise,arrossendo. “A
stento riesco a gestire quello che dico: non voglio perdere anche il controllo
su quello che faccio.”
Caroline
continuò a mantenere il silenzio. Alcuni tasselli del puzzle che la sua mente
aveva incominciato ad assemblare da qualche tempo, sembrarono trovare
finalmente una loro collocazione. Pensò all’atteggiamento distaccato del
ragazzo; alla sua maniera di irrigidirsi quando qualcosa di inaspettato lo
sorprendeva. Prendere le distanze da ciò che non sapeva gestire lo aiutava a
sentirsi più sicuro.
“Nulla di tutto ciò è da stupidi.” cercò di rincuorarlo,
tornando ad appoggiarsi le mani sulle ginocchia. “Supererai anche questa, Mase.
Sei più in gamba di quanto tu creda.”
Mason
diede una scrollata di spalle. Sollevò il braccio per controllare il display
del suo orologio e infine si alzò, indirizzando al terreno un’espressione
risentita. Sembrava arrabbiato.
“Devo tornare alla fermata dell’autobus.”
comunicò, sfilandosi il cappuccio e prendendo a ravviarsi i capelli spettinati.
“Oh,
non ce n’è bisogno!” costatò Caroline, alzandosi a sua volta; prese a frugare
nella sua borsa, alla ricerca delle chiavi dalla macchina. “Sono venuta fin qui
in auto.”
I
due ragazzi presero ad incamminarsi in direzione del parcheggio. Il silenzio si
arrampicò tra di loro, simile a quello cheaveva caratterizzato quell’identico tragitto, meno di una settimana
prima.
“Grazie.”esordì infine Caroline, abbozzando un sorriso
riconoscente. Mase aggrottò lievemente le sopracciglia, esibendo
un’espressione confusa.
“Per
cosa mi ringrazi?”
“Per quello che mi hai confidato; per esserti fidato di me.”
chiarì la ragazza, fermandosi, quando raggiunsero la macchina. “È strano che tu
ti sia convinto a parlarmene.”
Mase
diede una scrollata di spalle.
“Me
l’hai chiesto tu.” si giustificò. I suoi occhi saettaronoin direzione del pullmino, fermo alla fermata
a una decina di metri da loro. “E poi mi andava di farlo; non ho idea di cosa
succederà sta sera: tanto valeva liberarsi di qualche peso.”
“Andrà
tutto bene, Mase.” dichiarò ancora una volta la ragazza, sbloccando l’auto.
“Tuo padre si assicurerà che non ti accada nulla di male; e ci sarò anch’io con
voi.”
Un
rumore sordo li colse di sorpresa. L’autista aveva appena preso posto sul
sedile del conducente,e stava azionando
il motore del pullmino.
“Credo che prenderò l’autobus.”
dichiarò all’improvviso il ragazzo. Caroline lo osservò incamminarsi verso la
fermata, spiazzata da quella decisione repentina.
“Ne sei sicuro?” lo interrogò.
Per un attimo il ragazzo esitò,
come se stesse valutando in silenzio cosa fare. Infine, annuì.
Caroline
si mordicchiò il labbro, visibilmente fra due fuochi. Se inizialmente, alla riserva,
scovarlo fra quegli alberi l’aveva fatta sentire sollevata, in quel momento si
sentì quasi rattristata: qual era il trucco, con quel ragazzo? Aveva davvero
bisogno di tutta quella distanza fra sé stesso gli altri, o ci voleva solo
qualcuno che lo forzasse a restare, che lo trattenesse per il polso,
impedendogli di nascondersi ogni volta? Non sapeva come comportarsi, non
conosceva i suoi tempi; forse, i ritmi giusti, non li conosceva nessuno, e alla
fine lasciavano perdere tutti.
“Va bene.” si arrese infine, pur non riuscendo a dissimulare
un’espressione contrariata. Mason sembrò non farci
caso.
“Ci vediamo.” mormorò debolmente,
prima di incamminarsi a passo svelto verso l’autobus.
Caroline si limitò ad
annuire; lo osservò salire e sistemarsi su uno dei sedili nelle prime file,
mentre volgeva lo sguardo contro il finestrino. Aveva un’espressione stanca,
rassegnata. Era tornato a nascondersi in quei silenzi attraverso i quali
nessuno riusciva a scovarlo.
Ancora una volta, nel
momento in cui sentiva di averlo finalmente raggiunto, Caroline gli aveva
permesso di fuggire.
And I don'twant
the world to see me 'Cause I don'tthinkthatthey'dunderstand Wheneverything'smeant to be broken I just wantyou to knowwho
I am
Iris.GooGooDolls
***
Harper Fell si affrettò a percorrere le scale di
casa sua, facendo oscillare la busta che teneva appoggiata sul braccio; era
ansiosa di rimirare l’abito verde che aveva appena comprato, scelto assieme a
sua zia Meredith. Si accorse di non essere sola non appena mise piede in
camera; suo fratello, appollaiato al mergine del letto, la accolse con un
sorriso.
“Ehi!” lo salutò allegramente la ragazza, scompigliandogli i capelli: Gabriel
Leo Fell aveva compiuto da poco quattordici anni, ma lo sguardo ingenuo e i
modi di fare infantili, lo rendevano ai suoi occhi poco più che un bambino. In
quel momento sedeva a gambe incrociate sulla trapunta, il gomito appoggiato al
davanzale alla finestra. I suoi occhi chiari, completamente assorbiti dalle
tonalità grigiastre del cielo, erano gli stessi della madre, Arleen; taglio
identico, e medesimo modo di sgranarsi, nell’abbracciare con curiosità ogni
cosa che catturava la loro attenzione. Per Harper, nulla al mondo era più
importante di suo fratello; Leo era la sua casa: il porto sicuro che entrambi
avevano rischiato di perdere in seguito alla morte della madre.
Quel ragazzino dai capelli arruffati e lo sguardo
perennemente rivolto fuori dalla finestra era anche il motivo per cui Harper
aveva accettato di concorrere alla cerimonia di Mystic Falls.
“Dovresti partecipare.” aveva suggerito Leo un
mattino, fissando impensierito il volantino del bando nella bacheca della
scuola. “A mamma avrebbe fatto piacere.”
La ragazza aveva accettato di buon grado; l’aveva
fatto per Leo. L’aveva fatto per sua madre.
Harper non era mai stata interessata a quel genere
di iniziative; non amava i concorsi, né avere i riflettori puntati contro, per
di più sfoggiando abiti eleganti e costosi. I suoi interessi erano di nicchia,
piuttosto inconsueti per le ragazze della sua età; aveva incominciato a tirare
di scherma quando aveva sette anni, a meno di un anno dalla perdita della
madre. Dopo la morte di Arleen Fell suo marito Marion, il padre di Harper e
Leo, era diventato quasi un fantasma nella vita dei suoi due figli. Se ne
interessava raramente, abbandonandoli alle attenzionidella sorella Meredith, ma aveva dato origine
aun modo tutto suo per prendersene cura: aveva
smesso di dar loro il bacio della buonanotte, ma li indirizzava di continuo
verso qualsiasi disciplina permettesse di imparare a difendersi: semi-contact, arti marziali, corsi di difesa personale. Li
voleva preparati ad ogni occasione, quasi temesse che mostri sanguinari
tramassero alle loro spalle, in agguato dietro ogni angolo. Quasi come se
pensasse che, un giorno, Harper e Leo avrebbero potuto fare la fine della loro
madre: ma Arleen non era morta per l’attacco improvviso di un mostro. Arleen si
era semplicemente dimenticata di guardare a destra e a sinistra, prima di
attraversare la strada.
Se fosse stata ancora con loro, in quel piovoso
pomeriggio di Novembre, probabilmente avrebbe sorriso, nel rimirare assieme
alla figlia l’abito verde spiegato sul braccio dell’adolescente. Perciò, anche
Harper sorrise; scacciò via i pensieri malinconici e si portò il vestito sulle
ginocchia, prendendo posto accanto al fratello minore.
“Penso che pioverà presto.” osservò Leo, continuando
a guardare fuori dalla finestra; al contrario di Harper, che era testarda e
combattiva, suo fratello era dotato di quella tranquillità d’animo tipica di
chi vive il mondo dall’interno. Fin da piccolo era sempre stato etichettato
come quello un po’ strambo fra suoi compagni di classe, per via di quei suoi
occhi perennemente sgranati, impegnati a stupirsi di continuo per il più
insignificante dei dettagli. “Papà si è di nuovo dimenticato di comprarmi i
panini: dopo domani ho gli scout.” aggiunse, voltandosi in direzione della
sorella. La ragazza sorrise.
“Ci penso io; sto uscendo per andare a scherma.” lo
tranquillizzò. Abbozzò una carezza sul suo capo,e recuperò la sua sacca con l’attrezzatura,
prima di abbandonare nuovamente la stanza. Scendendo le scale, si accorse che
qualcuno stava discutendo in cucina: le voci di suo padre e suo zia erano
entrambe alterate, come capitava di frequente in casa loro: specialmente nel
corso dell’ultimo periodo.
“Allora è questo il motivo?” stava
esclamando Meredith, probabilmente rivolta al fratello. “Queste manovre…Lo
spostamento di Miss Mystic Falls, il tutto per delle assurde indagini sulla
famiglia Lockwood?”
“Nulla di tutto ciò è assurdo,
Meredith.” ribatté secco lo sceriffo Fell. “I Lockwood sono una famiglia di
mostri e ho finalmente trovato il modo di dimostrarlo.”
“Tutto questo accanimento verso
quelle persone non ti porterà a nulla!”
Harper scese le scale, cercando di non fare troppo rumore. Giunta in
corridoio si appoggiò alla parete della cucina, cercando di captare qualche
stralcio di conversazione. Sua zia aveva ripreso a discutere in tono di voce
più basso, forse ricordandosi solo in quel momento che lei e Leo fossero in
casa.
“Prendertela con i Lockwood non ti condurrà a nulla: non ti porterà
indietro Arleen, Marion!”
Seguì un momento di silenzio che suscitò la preoccupazione di Harper;
rimase in silenzio, le sopracciglia appena aggrottate, cercando di scoprire se
la conversazione sarebbe andata avanti.
“Se per stare dietro a questa tua stupida
ossessione ci andranno di mezzo i ragazzi, dovrai vedertela con me.” dichiarò infine
la donna, prima di incamminarsi a passo svelto verso la porta della cucina: uno
scatto secco comunicò ad Harper che la zia se ne era andata. In seguito a un
secondo scatto, appena un minuto dopo, intuì che il padre aveva fatto
altrettanto. L’adolescente sospirò; rimuginò per qualche minuto sugli insoliti
scambi di battute avvenuti tra i due, prima di decidersi a raggiungere la porta
d’ingresso. Non era la prima volta che li sentiva discutere per qualcosa di
bizzarro. Spesso, Harper, aveva individuato fra i discorsi del padre frasi che
l’avevano costretta ad inarcare il sopracciglio; ogni tanto parlava di
leggende: ogni tanto parlava di mostri. Di norma non ci dava peso più di tanto.
Erano appunto leggende, vecchie superstizioni di un uomo abituato ad avere a
che fare con il dolore e con la morte, in un connubio di episodi legati alla
sua professione e alla sua vita personale. Ma era la prima volta che Harper
l’aveva sentito associare quei discorsi a qualcuno in concreto: conosceva i
Lockwood. La figlia di mezzo, Caroline, frequentava un paio di corsi assieme a
lei. E il più piccolo doveva avere pressappoco l’età di Leo. Si domandò cosa
avessero potuto fare, quelle persone, per attirare così l’ira del padre. Decise
comunque di mettere da parte quei pensieri. Recuperò la sua borsa
dall’attaccapanni ed uscì, spingendo le assurde conversazioni fra suo padre e
sua zia in un angolo appartato della sua mente.Prima di raggiungere l’auto, rivolse un’occhiata impensierita al cielo:
la luna, pallida e paffuta, stava incominciando a fare capolino fra le nuvole:
nonostante il suo corpo tozzo fosse quasi completamente oscurato, riuscì
comunque a intuire che quella sarebbe stata una notte di luna piena. Realizzò
anche che Leo aveva avuto ragione: sicuramente, si sarebbe messo a piovere.
***
“Hey, Tyler…How do youfeel?” “…I’mstill human.”
Episode 2x11. By The Light of The Moon
Quando
Mason tornò a Mystic Falls, di pomeriggio ormai inoltrato, la prima cosa che
gli venne in mente fu quella di andare a cercare Silver. Non sapeva bene come
mai avvertisse il bisogno di stare a contatto con l’animale, ma una volta tanto
non si porse interrogativi. Attraversò il cortile a passo svelto, guardandosi
attorno con le sopracciglia aggrottate; Silver gli venne incontro non appena mise
piede sui gradini d’ingresso. Il cane gli colpì
affettuosamente un ginocchio con il muso, per poi accoccolarsi contro le sue
ginocchia. Accorgendosi del ritorno del figlio, Lydia prese ad osservarlo dalla
veranda, un abbozzo di sorriso malinconico a piegarle le labbra. Quando Mason
la notò si limitò a chinare il capo, concentrandosi sul manto scuro di Silver.
“Mi piacerebbe poterla portare con me.” ammise infine alla donna prima di
voltarsi verso il giardino, nel riconoscere lajeep del padre fare ingresso; Tyler parcheggiò e scese dall’auto, per
raggiungere lui e Silver. Lo fece con passi talmente lenti, che a Mase dette
l’impressione di voler rallentare il più possibileil momento della partenza. Tyler non disse
nulla: non lo sgridò per l’essere fuggito, né lo rincuorò in qualche modo. Si
limitò a fissare la moglie con intensità, per poi rivolgere al figlio un cenno
del capo,suggerendogli che fosse giunto
il momento di andare; Mason annuì. Accarezzò le orecchie di Silver ancora una
volta, come in cerca di conforto,e salì
i gradini di ingresso per raggiungere la madre; Lydia lo abbracciò,
tenendolo stretto a sé per qualche secondo. C’era qualcosa di quell’abbraccio
così tiepido, così impregnato di amore materno, che gli fece quasi venir voglia
di piangere. Avrebbe voluto rannicchiarcisi dentro, come se fosse il migliore
dei suoi nascondigli. Un po’ come quando era bambino e la notte gli si
stringeva attorno, serrandogli gli occhi con mani guantate di paura; in quei
momenti solo l’abbraccio di sua madre riusciva a scacciare via ogni mostro. A
respingere ogni lupo, ricordando a Mason quanto fosse protetto, amato e al
sicuro.
“Ti aspetto qui.” lo rassicurò con
dolcezza la donna, accarezzandogli un’ultima volta il viso. Mason annuì,
sforzando di imprimere in quel cenno del capo almeno metà della sicurezza che
aveva cercato di infondergli la madre. Scese le scale e raggiunse la jeep del
padre.
“Ho già portato le catene alla
cripta.” gli comunicò Tyler, stringendogli appena una spalla. Indirizzò
un’ultima occhiata in direzione della moglie, prima di prendere a incamminarsi
per il bosco assieme a Mason.
Cinque minuti più tardi, incominciò
a piovere. Dapprima furono solo gocce sottili; lo scroscio, tuttavia, aumentò
di intensità fino a trasformarsi in una pioggia copiosa, poco prima che
arrivassero alla cripta. Padre e figlio si affrettarono ascendere le scale, rallentando l’andatura
solo una volta essersi chiusi la porta dei sotterranei alle spalle. Mason si
strinse nelle braccia, rabbrividendo del rivolo d’acqua che si era insinuato
nel colletto della sua felpa. Si diede un’occhiata attorno, sgranando appena
gli occhi, nel notare l’ammasso di catene accantonate in due mucchi in uno
degli angoli più in ombra. Il padre si diresse verso uno dei cumuli e incominciò
a scioglierlo, fissando le estremità delle catene alle pareti della cripta. Ne
testò la resistenza, tirando con forza, prima di decidersi a voltarsi verso il
figlio, che stava osservando tutte quelle operazioni con sguardo teso.
“Vieni; dammi una mano con queste.”
ordinò l’uomo, spostandosi verso il secondo gruppo di catene. Il giovane
obbedì, sollevandosi da terra. Un po’ intimidito, si inginocchiò di fianco al
padre e prese ad imitare ciò che faceva lui. Avvertiva il suo atterrimento
aumentare ogni volta che il freddo dell’acciaio premeva sulle sue mani; gli
sarebbe piaciuto catalogare tutto quello come un incubo: svegliarsi di colpo ed
etichettare come ridicolo il pensiero di aver creduto anche solo per un secondo
a una faccenda simile. Tuttavia, quelle catene, l’umidità della cripta e il
freddo pungente che gli penetrava le ossa, erano i segnali vividi di una realtà
che aveva cercato di ignorare per giorni, e che gli sarebbe piombata addosso
quella sera.
Continuò ad aiutare il padre,
sforzandosi di non incrociare il suo sguardo, per nascondergli il nervosismo;
di tanto in tanto, aveva preso a scoccare occhiate inquiete all’ingresso della
cripta.
“Aspetti qualcuno?” domandò ad un
certo punto Tyler, accorgendosene: Mason si affrettò a scuotere il capo. “Non hai parlato di questa cosa con nessuno,
vero?”lo interrogò ancora l’uomo; il
figlio esitò.
“Ne ho parlato solo con Ricki. E … C-Caroline
Forbes.” rispose nervosamente, temendo di aver commesso qualcosa di sbagliato.
Il padre continuò a scrutarlo con attenzione per un po’, ma la sua espressione
sembrò rilassarsi.
“Ricordati una cosa…” riprese,
lasciando perdere le catene e voltandosi verso il ragazzo.“Nel momento stesso
in cui ti accorgerai di non avere più controllo sul tuo corpo, smetterai di essere
Mason Lockwood;diventerai un lupo.”
Il figlio ascoltò in silenzio, aggrottando
appena le sopracciglia.
“Quando capiterà, dovesse mai succederti di
avere qualcuno al tuo fianco che non sia io, mandalo via. Che sia tua madre, i
tuoi fratelli o Caroline Forbes, non importa: potresti ucciderli. Potresti
uccidere chiunque.” rafforzò il concetto Tyler. “Hai capito?”
“Sì.”
Mason annuì, distogliendo lo
sguardo da quello insistente del padre. Incominciò ad avvertire la tensione
avviluppargli i polmoni, riesumando la sensazione di assenza d’aria che aveva
avvertito l’intero pomeriggio.
In quel momento avvertì dei passi
fuori dalla cripta: qualcuno stava scendendo le scale per raggiungerli.
“Stai indietro…” ordinò Tyler al figlio
alzandosi in piedi, prima di riconoscere la ragazza che aveva appena fatto
ingresso nel sotterraneo. “Che cosa ci fai tu qui?” domandò, quando Caroline
Forbes si avvicinò a loro, tirando fuori un pacchetto di carta dalla borsetta.
“È un lupo mannaro anche lei.” mormorò Mason,
suscitando l’espressione interdetta del padre. Caroline si lasciò sfuggire un
risolino.
“Ti ho già detto di no; sei proprio
fissato con questa storia!” lo rimbeccò con un sorriso, prima di porgere a
Tyler il pacchetto di carta. “Vi ho portato lo strozzalupo.” comunicò infine.
L’uomo srotolò l’involucro, adagiandolo poi a terra; conteneva un mazzetto di
erbe dall’aspetto insolito, che Mason non riuscì a riconoscere. Le esaminò con
fare diffidente, mentre il padre ne diluiva un paio in due bottigliette
d’acqua, facendo bene attenzione anon
toccarle direttamente.
“A cosa servono quelle?” domandò
poi il ragazzo, rivolgendosi a Caroline. La vampira prese posto accanto a lui.
“Diminuiranno la tua forza, in
maniera che tu non possa liberarti dalle catene.” spiegò, analizzando il suo
volto con attenzione; l’irrequietezza segnata fra i suoi occhi lo tradivano, ma
sembrava leggermente più tranquillo rispetto a quando si erano incontrati alla
riserva, quel pomeriggio: immaginò che stesse facendo del suo meglio per non
mostrarsi troppo teso di fronte al padre.
Tyler scoccò una breve occhiata al
suo orologio e poi a Caroline, prima di alzarsi in piedi.
“Dovresti andare, ora.”dichiarò infine, guardando negli occhi la
ragazza. “Grazie per essere passata.” Caroline non si mosse.
“Pensavo di restare fino alla fine
della trasformazione.” ammise invece, ricambiando decisa il suo sguardo. Tyler
scosse il capo con decisione.
“È fuori discussione.” ribatté.
“Hai già rischiato fin troppo in passato.”
Mason aggrottò le sopracciglia.
“In passato?” ripeté, rivolgendo un’occhiata confusa
al padre: Tyler lo ignorò.
“Voglio stare vicina a Mase; e a
te.” insistette la ragazza, continuando a sostenere lo sguardo dell'uomo. Tyler
sbuffò, mettendosi a braccia conserte. Indirizzò un’occhiata pensierosa al
figlio e, infine, tornò a voltarsi verso di Caroline.
“Va bene…”
acconsentì, “…ma te ne andrai non appena incomincerà la trasformazione.”
La ragazza annuì. Tyler raccolse le due bottigliette di strozzalupo e ne
consegnò una al figlio, appoggiando la seconda vicino ai due cumuli di catene.
Mason si rigirò la bottiglia fra le mani, domandandosi che cosa sarebbe
successo, una volta bevuto un sorso di quell’acqua. A giudicare dal nome
dell’erba che il padre ci aveva inserito, ingurgitarla non sarebbe stato
affatto piacevole.
Nel frattempo, Tyler si era sfilato
la maglietta e i jeans, rimanendo in pantaloncini. Con un cenno del capo ordinò
al figlio di fare altrettanto,invitandolo a raggiungere le catene. “Sei pronto?” domandò infine, rivolto
al ragazzo. Mason annuì a stento,consapevole del fatto che pronto, in fondo, non lo sarebbe mai stato. Si
spogliò controvoglia, imbarazzato dalla presenza di Caroline alle loro spalle,
e si fece aiutare dal padre con le catene. Il nervosismo nel suo sguardo
incominciò ad intensificarsi, man mano che il suo corpo veniva ancorato a quei
fissaggi; avvertiva il freddo del metallo dappertutto. Non
era legato solo ai polsi e alle caviglie, ma anche alle gambe, attorno alla
pancia e al collo; lui che era così abituato a fuggire, improvvisamente si
sentì in trappola.
“Andrà tutto bene.”dichiarò improvvisamente Caroline, notando la
sua espressione tesa. Mason arrossì, nell’accorgersi che la ragazza li aveva
raggiunti. Annuì brevemente, per poi provare a sedersi a terra di fianco al
padre, faticando a disincastrare le catene nel compiere l’operazione; Caroline
si chinò per aiutarlo, ma si voltò di scatto, avvertendo un rumore di passi
avvicinarsi.
“Sta arrivando qualcuno.” mormorò,
portandosi istintivamente di fronte all’adolescente. Tyler si alzò in piedi in
fretta, tenendo d’occhio l’ingresso della cripta con espressione guardinga; i
passi incominciarono a farsi più vicini, provenendo dalle scale.
“È quel rimbambito di mio figlio.” dichiarò
infine Tyler, sbuffando sonoramente; aveva riconosciutol’odore del suo primogenito ancor prima che
Ricki mettesse piede nella cripta. Il nervosismo sul suo volto si tramutò in
collera, nel momento in cui il ragazzo fece comparsa sulla porta.
“Mi sono perso qualcosa?”domandò allegramente Ricki, avvicinandosi al
gruppetto.
“Fuori di qui.” Ordinò subito
Tyler, strattonando le catene per liberarsi. “Subito.” “Papà, aspetta…” cercò di guadagnare tempo
Ricki. Si accovacciò di fronte al fratello e il suo sorriso sfumò; fece una
smorfia, analizzando con fastidio il modo in cui era stato imbracato.
“Vedo che ti hanno impacchettato
per bene, eh?” commentò, stringendogli affettuosamente una spalla. “Cacchio,
devi averla davvero combinata grossa, se per punizione ti hanno imbacuccato
così!” Mason non rise, ma la sua espressione si era
fatta visibilmente più distesa, da quando era arrivato suo fratello. Tyler
imprecò a bassa voce, facendo poi cenno a Caroline di aiutarlo con le catene.
“Lascia stare: è quasi ora." gli suggerì la
ragazza, scoccando un’occhiata apprensiva al display del suo cellulare.
“Richard, se non muovi all’istante quel culo che
tanto adori, giuro che te lo disintegro a suon di calci.” “Sì, ancora un minuto, papà…”
Il figlio approfittò del fatto che Tyler
fosse ancora impegnato con le catene per prendere posto accanto al fratello.
“Stai bene?” domandò infine,
abbandonando il tono di voce scherzoso. Il minore dei due annuì, stringendosi
le ginocchia al petto.
“Grazie per essere qui.” mormorò
poco dopo, distogliendo lo sguardo dal maggiore. Ricki sorrise.
“Figurati, fighetto…” rispose,
arruffandogli scherzosamente i capelli. “...Uhhh,
carini quei pantaloncini!” osservò poi, punzecchiandogli il fianco con il
gomito. “Ti fanno il pacco più grande…”
“Fottiti…” imprecò a denti stretti Mason,
arrossendo violentemente. Spintonò il fratello maggiore, che incominciò a
ridere, ricambiando il colpo. Anche Caroline esordì in una risatina, voltandosi
poi verso Tyler, che era finalmente riuscito a liberarsi delle catene.
“Ma perché te la prendi così? Guarda che ti
fanno fare bella figura: chiedi a Caroline!….” “Taci!”
“Ricki, muoviti.” ribadì ancora una volta il
padre, affrettandosi a recuperare i jeans. L’espressione di Mason, tornò
improvvisamente a farsi tesa.
“P-Pe-Perché ti stai rivestendo?” osservò,
mentre Ricki si sollevava da terra con riluttanza. Tyler gli rivolse
un’occhiata titubante, prima di indossare anche la maglietta.
“Accompagno tuo fratello a casa.”
rispose infine, scoccando l’ennesima occhiata nervosa all’uscita della
cripta.“Voglio assicurarmi che ci torni
sul serio e che non mi prenda per il culo.”
“Lo accompagno io.” si offrì
istintivamente Caroline, notando l’espressione preoccupata di Mase. “È troppo
tardi; non ti conviene uscire dalla cripta.”
L’uomo spazzò via la proposta con un cenno
deciso del capo.
“Conosco mio figlio e non mi sentirò tranquillo
fino a quando non l’avrò visto rientrare in casa di persona.”rispose, in tono di voce secco. Ricki prese a
guardare altrove, consapevole di aver scatenato l’ira del padre. L’uomo sbuffò,
tornando a rivolgersi a Caroline. “Resta qui con Mase, per favore.”la pregò, voltandosi poi verso il figlio più
piccolo. “Devi prendere lo strozzalupo.” si raccomandò, guardandolo brevemente
negli occhi, prima di appoggiargli una mano sulla spalla. “Torno subito: non ti
muovere da qui.”ordinò infine, facendo
cenno a Ricki di seguirlo. Il ragazzo strinse un’ultima volta la spalla del
fratello minore e si incamminò assieme al padre verso l’uscita.
Mason inseguì l’echeggiare dei loro
passi fino a quando non poté più udire nulla al di fuori del fragore prodotto
dalle catene, ogni volta che si muoveva. Caroline gli rivolse un’occhiata
dubbiosa, prima di raccogliere la bottiglia con lo strozzalupo diluito. Si
sedette accanto a lui: riusciva ad avvertire distintamente i battiti accelerati
del cuore del ragazzo, che protestavano per l’assenza di Tyler. Si sentì
agitata a sua volta, quasi si trovasse anche lei a dover gestire quella
situazione per la prima volta. Tyler le aveva affidato suo figlio e quella
responsabilità le premeva con prepotenza sul petto, ogni volta che scorgeva un
segno di inquietudine da parte di Mase; ogni volta che il suo respiro si faceva
più affannoso, o che il suo sguardo tornava a saettare con nervosismo verso la
porta ancora chiusa della cripta.
“Tornerà presto.” cercò di rassicurarlo,
svitando il tappo della bottiglietta;le
bastò un’unica occhiata diffidente del giovane, per decidersi a
richiuderla.“Possiamo aspettare tuo
padre, se preferisci.”propose,
appoggiandola a terra.Il ragazzo scosse
il capo con decisione. “No, la prendo ora.”mormorò, tendendo la mano, per farsi passare
la bottiglia. Inspirò con forza, prima di portarsela alle labbra, dopo aver
svitato nuovamente il tappo. Non riusciva a spiegarsi come mai quella
situazione potesse arrecargli così tanta inquietudine. Era solo acqua, in
fondo: probabilmente non sarebbe successo nulla di poi così traumatico. Si
affrettò a deglutire il primo sorso, deciso a liberarsene il prima possibile,
ma lasciò andare quasi subito la bottiglietta. Caroline la recuperò al volo,
evitando che il contenuto gli si riversasse sulle gambe. Mason si chinò
rapidamente in avanti, rantolando in maniera convulsa. Serrò una mano a pugno e
aggrappò l’altra al proprio collo, come a voler imporre al dolore di allentare
la presa sul suo corpo.
“Mase…” Caroline prese a mordersi preoccupata
il labbro. Cercò di calmare il ragazzo, appoggiandogli una mano sulla schiena.
Mason prese a picchiare il pugno contro il terreno, incapace di focalizzarsi su
nulla che non fosse quel dolore soffocante alla gola.
“Basta!” ringhiò fra i lamenti,
quandola morsa pungente incominciò ad
affievolirsi. Lentamente, riuscì a riacquistare il controllo dei suoi respiri.
“È passato.” mormorò la ragazza,
allontanando la bottiglietta in un angolo. “Niente più strozzalupo.”
Mason tornò ad appoggiare la
schiena alla parete, stringendosi ulteriormente le ginocchia al petto. Il
dolore si era affievolito, ma non riusciva ugualmente a controllare la sua gola
e i polmoni; sentiva di riuscire a respirare a stento. Sapeva perfettamente che
la causa di quel che gli stava accadendo non andava attribuita allo
strozzalupo: la colpa era del panico, che aveva incominciato a diramarglisi sottopelle.
“Qu-Qu-Quandoi-incomincerò a trasformarmi?” farfugliò,
voltandosi dal lato opposto rispetto a Caroline, per evitare di incrociare il
suo sguardo.Maledisse in silenzio
quella voce tremolante. Ogni sillaba di troppo ricalcava il dolore di quel liquido
bruciante nel petto; aveva sempre saputo che sarebbe successo: sapeva bene che
alla fine la tensione avrebbe preso il sopravvento.
Caroline sospirò, facendogli una
carezza sul capo.
“Non lo so.” si trovò costretta ad ammettere
infine, sperando che il ragazzo non si ritraesse. “La prima trasformazione può
cominciare parecchio tempo prima che la luna raggiunga il suo
apice.”
“Perché non torna?” sbottò improvvisamente il
ragazzo, senza più riuscire a trattenersi. Non gli andavagiù il fatto che suo padre non fosse ancora
tornato;la sua assenza era la cosa che
lo metteva in agitazione più di tutto. Lo voleva lì: ne aveva bisogno. Tyler
avrebbe saputo cosa fare. Gli avrebbe spiegato come comportarsi, avrebbe
affrontato la trasformazione assieme a lui.
“Arriverà, stai tranquillo.” Provò
a rassicurarlo Caroline, sforzandosi di apparire convincente. Era quello che si
augurava, ma non ne aveva certezza assoluta. Le trasformazioni non avvenivano
tutte allo stesso modo; i lupi mannari adulti subivano la mutazione prima e più
in fretta, rispetto a quelli più giovani. Si trovò a sperare con tutta se
stessa che Tyler sarebbe riuscito ad arrivare in tempo per dare una mano al
figlio.
“E se non dovesse tornare?”
Questa volta fu lei ad avere l’impressione che
Mase fosse riuscito ad individuare la preoccupazione nel suo sguardo; Caroline
scosse il capo con fermezza, voltandosi verso di lui. La sua mano cercò
quella del ragazzo e la strinse, ignorando l’espressione sorpresa del giovane.
“Tornerà.” confermò ancora, questa
volta con espressione determinata. “Ma se così non dovesse essere, allora ti
aiuterò io. Sono qui per te, Mase.” gli ricordò, cercando di congiungere il
proprio sguardo a quello del ragazzo. “So che cosa va fatto.Non sei solo: non sarai mai solo finché ci
sarò io.” Mason annuì brevemente, tornando a inspirare con
forza.La mano di Caroline era ancora
avvolta attorno alla sua, ma non premeva con insistenza, né lo faceva sentire
come se lo stesse trattenendo. Spesso, i contatti prolungati come quello, lo
facevano sentire a disagio. Gli capitava di non saper riconoscere il momento
giusto per ritrarsi, e si limitava a ricambiare debolmente la stretta in
maniera quasi meccanica, per poi allentare la presa sempre troppo presto; in
quell’occasione, tuttavia, non si ritrasse. Si oppose al disagio iniziale,
lasciandosi rassicurare dal tocco tiepido delle dita di Caroline intrecciate
alle sue. Quella stretta di mano era l’unica cosa, all’interno della cripta,
che lo aiutava a ricordarsi di essere ancora umano. Poco importava se il modo
in cui era stato incatenato alla parete suggerisse al contrario: non era un
lupo; non ancora, per lo meno. Era solo un ragazzo. Era solo Mase.
“Mi spiace per prima.” mormorò ad
un certo punto,ricambiando lo sguardo
della ragazza. “Alla riserva, dico.”
Caroline impiegò qualche secondo,
per realizzare a cosa Mason si stesse riferendo.
Sembravano passati giorni, da
quella mezzora trascorsa alla riserva assieme a lui; il viaggio in macchina del
ritorno e l’incombenza della luna piena sembravano aver assorbito l’intero
pomeriggio, offuscando il resto.
“Non è niente.”rispose, minimizzando le sue preoccupazioni
con un cenno del capo. “Volevi stare un po’ solo; lo capisco.”
“Ma ti ha dato fastidio.” osservò
il ragazzo in tono di voce asciutto. Caroline gli rivolse un’occhiata sorpresa. “Ma no, perché dici così?”
Mase diede una scrollata di spalle,
esibendo poi una smorfia di dolore mentre scostava la nuca dal muro: quella
posizione stava incominciando a indolenzirlo. “Hai fatto una faccia…”rispose con fare quasi distratto, cercando di
sistemarsi meglio contro la pietra. “Quale faccia?” insistette la ragazza, decisa a
saperne di più . Il ragazzo si limitò a scuotere il capo, distogliendo la sua
attenzione da lei. Sembrava essersi tranquillizzato, ma nel momento in cui
prese a osservarsi i polsi fasciati dalle catene,il suo sguardo tornò a oscurarsi. “Mase!” lo richiamò ancora Caroline, lievemente
indispettita;si era accorta che, ogni
tanto, Mason sembrava perdere improvvisamente interesse nel suoi interlocutori,
estraniandosi completamente dal mondo esterno. Con quegli atteggiamenti la
spingeva a riesumare la Caroline adolescente di una volta; quella frenetica e
tutt’altro che paziente, per nulla disposta ad attendere che il ragazzo si
degnasse con calma di rispondere. “Mi spieghi che faccia avrei fatto?”
Mason lasciò perdere le catene e tornò a
voltarsi verso Caroline; il nervosismo nel suo sguardo parve attenuarsi. Infine
le sue labbra si rilassarono, increspandosi lievemente agli angoli: Mase le
stava sorridendo. Fu un qualcosa che la sorprese, spiazzandola piacevolmente.
Il suo momento di broncio sembrò cadere in secondo piano, rispetto a quella
piccola conquista; nemmeno Ricki era riuscito a compiere un’impresa simile,
quel pomeriggio.
“Che ne so, una faccia offesa .”
commentò il ragazzo, continuando a esibire quel lieve ghigno divertito. Si
allungò arecuperare il cellulare che
aveva accantonato in un angolo assieme ai vestiti. I suoi occhi inquieti
indugiarono sull’ora segnalata nella parte alta del display.
“È quasi sera.” mormorò, voltandosi
in direzione di Caroline. La ragazza annuì, riprendendo a mordicchiarsi il
labbro inferiore. Il suo stato d’animo stava mutandoancora una volta; dall’indispettito, al
rassicurato dopo aver individuato quel debole sorriso sul suo volto, stava
tornando a farsi preoccupato. Accarezzò con tenerezza il capo del ragazzo.
Mason tornò a spostare la sua attenzione verso di lei, ma non disse nulla. Se
avesse avuto la certezza che l’avrebbe lasciata fare, Caroline lo avrebbe
avvolto volentieri in un abbraccio; l’avrebbe tenuto al caldo, fino a quando la
luna non l’avrebbe costretto a soffrire, piegandosi al suo volere. Lo avrebbe
assistito come aveva fatto più volte con Tyler, aiutandolo a sostenere il
dolore con la sua presenza, con le sue carezze. Perché era quello, ciò di cui
avrebbero avuto bisogno entrambi, quella sera. Perché era quella, l’unica cosa
che meritavano;non il dolore, ma
qualcuno accanto, disposto a vegliare la luna assieme a loro. “Non tornerà.” dichiarò improvvisamente il
ragazzo, appoggiando il cellulare a terra. Sembrava sicuro delle parole che
aveva appena pronunciato; non era più alla ricerca di conferme. “Non arriverà
in tempo.”
“Andrà tutto bene.”ribadìancora una volta Caroline. Aveva ormai perso il conto di quante volte lo
avesse ripetuto nel corso di quel pomeriggio, ma ancora si ostinava a sforzarsi
di rassicurarlo. Prese di nuovo la mano del ragazzo e la raccolse tra le sue.
“Ce la caveremo. Ti fidi di me?” .
Mason non rispose; si sentiva
strano. Provava un caldo soffocante, e la pelle aveva incominciato a tirare,
come se si stesse seccando. Il panico riprese a prendersi gioco di lui, ma si
sforzò di mantenersi tranquillo. Caroline, che se ne accorse, gli strinse con
più forza la mano: non sembrava intenzionata a lasciarlo solo. Ciò che Mason
provò in quel momento, gli ricordò come si era sentitoquel pomeriggio, quando la madre lo aveva
abbracciato. Avvertiva un insolito nodo alla gola e un bisogno di piangere
immotivato, che lo intimidiva. Ricacciò indietro la sensazione, preoccupandosi
solo di immagazzinare abbastanza aria nei polmoni, per poter dare origine a un
respiro regolare.
E poi accadde: un dolore sordo,
improvviso, lo costrinse ad emettere un gemito. Il caldo soffocante si irradiò
in ogni fibra del suo corpo, spezzandogli il fiato d’un colpo. Si sentiva in
fiamme: bruciava. Bruciava dall’interno.
“C-Caroline…” farfugliò, portandosi
le mani al collo. La ragazza si allarmò. Si affrettò ad inginocchiarsi di
fianco a lui, mentre il ragazzo riprendeva a boccheggiare, strizzando con
violenza gli occhi.
“Ehi…” lo richiamò con fermezza,
passandogli una mano fra i capelli. Lo osservò chinarsi in avanti e premere le
mani sul terreno. “Cerca di concentrarti sul respiro, ok? Pensa solo a
respirare.”
“No-non, non…” tentò di incominciare il ragazzo,
prima che il dolore aumentasse di intensità, stroncandogli il fiato. Aveva
voglia di scorticare ogni brandello di pelle di suo pugno, privarsi di quel
bruciore insopportabile.
“Shhh..” Si sforzò di
tranquillizzarlo Caroline, avvolgendogli le spalle con le mani. “Caroline…” “Sono qui.”ribatté istantaneamente la ragazza, non riuscendo a comprendere se
stesse provando a confortare Mase, o se stesse solo cercando di farsi forza da
sola. “Sono qui.”
Mason gemette di nuovo, grattando
le unghie contro il terreno duro. Il dolore e quella morsa soffocante erano gli
unici due pensieri che gli attanagliavano la testa.
La sua attesa eraappena terminata: la luna piena era arrivata
a ghermirlo.
“Tyler…” “I’m burning
up….”
“Ehy…”
“It burns!”
“I know. Just breathe through
this, okay?”
“I’m trying.”
Episode 2x11. By The Light of The Moon
***
The
secret side of me I neverletyousee I keepitcaged But I can't
control it
So stay away from me The beastisugly I feel
the rage And I just can'tholdit
Monster.Skillet
Era ormai trascorsa una decina di
minuti, da quando Tyler e Ricki avevano incominciato a incamminarsi verso casa
Lockwood;tuttavia, nessuno dei due
aveva ancora aperto bocca. La pioggia appena accennata aveva reso il terreno
scivoloso e, per uno come Ricki, abituato ad inciampare di continuo, quel
dettaglio rendeva concreto il rischio continuo di scivolare nell’erba.. Da
qualche metro, il ragazzo aveva preso a calciare una pietruzza. La rinviò
un’ultima volta di fronte a sé, osservandola rimbalzare più volte a diversi
metri di distanza. Infine si stufò.
“Però non dovresti incazzarti
così.” commentò infine, interrompendo il silenzio fra sé e il padre. L’uomo gli
rivolse una rapida occhiata brusca, ma non gli rispose. “Volevo solo stare
vicino a mio fratello.” “Quando avrai una famiglia e dei figli tuoi,forse capirai il perché di questa mia
incazzatura.” ribatté il padre, continuando a mantenere un’espressione
risoluta.“E a quel punto potrai fare
quello che ti pare, ma per ora ti tocca obbedire a quello che dico io.”
Ricki sbuffò, roteando leggermente il capo. Si passò una mano
fra i capelli, resistendo all’impulso di prendere a calci una seconda
pietruzza.
“Non è facile per la mamma, sai?”
rivelò infine, tornando a voltarsi verso l’uomo. “Vorrebbe stare vicina a te e
a Mase. Non fa altro che camminare avanti e indietro per la casa, sgridare
Silver, fare pulizie, cose così. Ha spolverato la libreria di Mase tre volte:
tre volte, papà! E non penso che esista posto al mondo più pulito e ordinato di
quella libreria.”
“So bene quanto sia difficile tutto questo per
tua madre.” rispose Tyler in tono di voce asciutto, “Ma non posso nemmeno permetterle
di rischiare la vita per noi. Ho bisogno di sapervi al sicuro; ne ho proprio
bisogno, Ricki. Sopportare la maledizione è già abbastanza difficile, senza
dover anche pensare che vi possa accadere qualcosa.”concluse, guardando negli occhi il figlio;
non poteva permettere che qualcuno o qualcosa facesse loro del male. Era una
promessa che aveva fatto a se stesso, poco dopo essersi sposato. La sicurezza
di sua moglie, e dei loro eventuali futuri figli, sarebbe sempre stata al primo
posto, nelle priorità della sua vita. Li avrebbe protetti sempre, a costo di
imporsi con la forza. Con Mason aveva in parte fallito: ma avrebbe fatto del
suo meglio per rimediare. Tenendo al sicuro lui, sua madre e i suoi fratelli.
“Ma Caroline Forbes è rimasta con
voi.” osservò a quel punto Ricki, rivolgendo un’occhiata incuriosita al padre.
Tyler sbuffò.
“Caroline Forbes è un vampiro,
Ricki.” ribatté secco,prendendo
improvvisamente ad accelerare il passo: incominciava ad avvertire le prime
avvisaglie della trasformazione, e non voleva in alcun modo rischiare di
trasformarsi col figlio accanto, né tantomeno arrivare troppo tardi per aiutare
Mase. “Sa come comportarsi; l’ha già fatto altre volte.”
Ricki diede una scrollata di
spalle, infilandosi le mani in tasca.
“Credo che a Mase piaccia.”
commentò infine, facendo poi una smorfia, in seguito all’occhiata fulminante
che ricevette dall’uomo. “Intendevo dire che si fida di lei. Non è una cosa che
si può dire di molte perso...”
Ricki non ebbe il tempo di completare la frase, perché il
padre lo spinse improvvisamente dietro un albero; gli fece cenno di tacere,
passandosi l’indice sulle labbra. Una manciata di secondi più tardi, il ragazzo
riconobbe il mescolarsi di due voci maschili in avvicinamento. Quando la sagoma
dello sceriffo Fell si stagliò all’inizio della radura, Ricki arretrò di
qualche passo assieme al padre. Si acquattarono dietro agli alberi, per evitare
di essere visti.
“Non c’è nessuno in questi boschi, Fell.” esordì la voce del
secondo uomo, che stava raggiungendo lo sceriffo al centro della radura. Ricki
lo riconobbe a stento come il nuovo professore di storia al liceo: il signor
Lester, se non ricordava male. “E anche se ci fosse qualcuno, la cosa mi
parrebbe abbastanza normale. Ci sono spesso ragazzi che gironzolano per questi
boschi nei fine settimana. Per non parlare degli Scout. O i turisti. O i
campeggiatori.”
“Dove altro potrebbe nascondersi un lupo mannaro, la vigilia
della luna piena?” ribatté l’altro a bassa voce, stringendo convulsamente la
mano attorno al calcio della pistola. Ricki si affrettò a rivolgere un’occhiata
preoccupata al padre, che scosse lentamente il capo per rassicurarlo. Gli occhi
scuri dell’uomo fulminarono con odio le due figure in piedi a diversi metri da
loro.
“Ammesso che lo trovassimo…”
riprese a mormorare Lester, scrutando la radura con le sopracciglia aggrottare.
“…che cosa avrebbe intenzione di fare? Se questa storia della maledizione è
vera, Lockwood è pericoloso.”
“Non fino al sorgere della luna.” rispose prontamente Fell. Si
voltò poi in direzione dell’altro, scuotendo lentamente il capo. “Voglio solo
trovarlo.” spiegò, ritirando la mano dalla pistola. “Una volta che avrò la
certezza di non essermi sbagliato sul suo conto, torneremo indietro.”
Lester gli rivolse un’occhiata poco
convinta, prima di riprendere a scrutare la radura. “Dov’è Leanne, comunque?”
domandò infine, incrociando le braccia al petto, dando le spalle al punto in
cui Tyler e Ricki erano nascosti: Fell lo imitò.
In quel momento, Tyler cercò di attirare l’attenzione del
figlio, stringendogli la spalla.
“Andiamo.” sussurrò, facendogli
cenno di arretrare lentamente. Riuscirono a muoversi senza destare l’attenzione
di Fell e Lester, e ripercorsero un tratto di strada a ritroso, bloccandosi a
una ventina di metri prima dell’ingresso della cripta.
“Devi tornare indietro facendo
un’altra strada.” mormorò infine Tyler, affinando i sensi, per assicurarsi che
i due uomini non li avessero seguiti. Scoccò un’occhiata inquieta al cielo,
rendendosi conto solo in quel momento di quanto ormai avesse incominciato a
oscurarsi. “È troppo tardi, perché ti possa accompagnare.” “Non ti preoccupare.” dichiarò con decisione il figlio,
dandogli le spalle. “Quei pagliacci non mi vedranno.”
“Ricki…” incominciò il padre,
rivolgendogli un’occhiata inquieta; sbuffò. “…fa’ attenzione.”
Il figlio gli diede una pacca
giocosa sulla spalla e annuì. Tyler lo osservò allontanarsi fino a quando non
riuscì più scorgerlo. Prese a incamminarsi nuovamente verso la cripta, lo
sguardo teso e le mani strette a pugno; se quel Fell avesse continuato a
tormentare la sua famiglia gliel’avrebbe fatta pagare, su quello non aveva
dubbi. Ma in quel momento aveva ben altro di cui occuparsi. Improvvisamente, un
grido lo costrinse a fermarsi per l’ennesima volta: il sangue gli si gelò nelle
vene. Sgranò gli occhi, avvertendo il cuore minacciare di fracassargli la cassa
toracica, per il modo in cui gli rimbalzava in petto: era la voce del suo
primogenito, quella.
Si mise a correre in direzione
dell’urlo, ignorando noncurante ogni cautela. Quando raggiunse il figlio, trovò
finalmente il modo di riprendere a respirare regolarmente, nel trovarselo di
fronte illeso. Ricki stava bene; i suoi occhi sgranati e l’espressione
rivoltata, tuttavia, lo spinsero a ad avvicinarsi di corsa verso il ragazzo.
“Ricki…” lo richiamò, voltandosi di
scatto, nel riconoscere il motivo di quell’urlo: a terra, di fronte a loro,
giaceva il cadavere di un uomo. Il capo era rivolto a faccia in su, ma il resto
del corpo sembrava essere voltato dall’altra parte. Ciò che più di tutto aveva
destato l’orrore di Ricki era stato il modo in cui il cadavere appariva
sbrindellato; frammenti di quel corpo erano sparpagliati attorno alla carcassa
e le braccia erano state strappate via dal busto del morto e ammassate una
sopra l’altra. Richard fece diversi passi indietro, trattenendo a fatica
l’impulso di vomitare. Il sangue e il fetore del corpo erano a stento
sopportabili dallo stesso Tyler.
“…è il professor Finn, non è vero?”
domandò a quel punto il ragazzo, avvicinandosi istintivamente al padre. Tyler
si irrigidì. Le sue iridi scure si ridussero a due fessure e il suo sguardo
teso si affrettò a rivolgersi verso il figlio.
“Scappa.”dichiarò secco, in tono di voce che non
ammetteva repliche. Richard scosse il capo più volte, arretrando ancora di
qualche passo.
“E se ci fosse in giro qualcun
altro come…”
“Mi sto trasformando, vattene subito!
Il ringhio di Tyler lo costrinse a
voltarsi di scatto. Ricki sgranò gli occhi, riconoscendo nello sguardo del
padre qualcosa di insolito e terrificante – di inumano, di lupesco. Tyler cadde
a terra in ginocchio ed emise un lungo lamento. Ricki osservò inorridito le sue
ossa spezzarsi ad una velocità impressionante, e le sue braccia piegarsi in
posizioni innaturali. Ogni gemito di dolore del padre lo colpì come un colpo
secco, paralizzandolo: era inchiodato in quel punto a pochi metri da lui,
incapace di muoversi.
“Scappa!” ringhiò incollerito il
padre, ancora una volta: i suoi occhi erano diventati quelli di una bestia.
Ricki lo vide accucciarsi a terra e digrignare i denti – denti gialli e
affilati – mentre la schiena dell’uomo si inarcava all’improvviso. “Vattene!
Ora!”
Ricki rabbrividì; riuscì finalmente
a dare le spalle al padre e incominciò a correre, puntando alla villa dei
Lockwood. Continuò a percorrere il bosco al contrario, avvertendo ancora in
lontananza i lamenti del padre; incominciò a rallentare solo quando non udì più
nulla. Si fermò un istante per prendere fiato, appoggiandosi ancora
boccheggiante al tronco di un albero. Nel momento esatto in cui riprese a
correre, qualcosa balzò fuori dal nulla, tagliandogli la strada. Ricki cadde a
terra, ritrovandosi di fronte a una creatura dal pelo nero e le fauci
spalancate; le orecchie appiattite sul capo e il muso arricciato del lupo
spinsero il ragazzo ad arretrare velocemente, in preda al panico. Cercò di
alzarsi in piedi, ma dopo pochi passi scivolò di nuovo a terra, inciampando in
un sasso. Il lupo – suo padre -rimase
immobile sul posto, i denti ancora digrignati. Infine si fiondò in avanti.
Ricki urlò, coprendosi il volto con le braccia. Dopo un paio di secondi,
tuttavia, si accorse che l’animale aveva preso ad allontanarsi in un'altra
direzione rispetto a lui; una decina di secondi più tardi era scomparso. Il
ragazzo si accasciò nuovamente contro il tronco dell’albero, scostandosi i
capelli fradici dalla fronte. Ansimò, fino a recuperare il controllo dei propri
polmoni, massaggiandosi un braccio graffiato.
“Che serataccia per noi Lockwood,
papà.” mormorò fra sé, decidendosi finalmente a sollevarsi in piedi. Una
smorfia di dolore gli distorse i lineamenti, quando cercò di posare il peso del
corpo sulla gamba destra: doveva essersi storto la caviglia, inciampando.
“Spero che a Mase stia andando meglio.”
Si incamminò zoppicando in
direzione di casa sua, sobbalzando ogni volta che un rumore improvviso lo
sorprendeva. Quando raggiunse la villa, la luna era ormai alta nel cielo e
aveva da poco ricominciato a piovere: rabbrividì al pensiero del cadavere di
Finn, mentre in silenzio si interrogava sul da farsi. Chiamare la polizia era
da pazzi: Fell avrebbe immediatamente sospettato di suo padre, anche se il
cadavere, o quel che rimaneva del corpo, era stato trovato prima del sorgere
della luna – senza tener conto del fatto che puzzava come se fosse stato
rinchiuso da qualche parte per giorni. Decise che avrebbe lasciato perdere,
almeno per quella sera: non disse nulla nemmeno alla madre. Non avrebbe fatto
altro che alimentare ulteriormente la sua agitazione. Una volta in casa, Ricki
andò a rassicurare Lydia e salì in camera sua per cambiarsi, stando ben attento
a non evidenziare il dolore alla gamba alla madre e, soprattutto, a non
menzionare nulla di ciò che era successo dopo l’abbandono della cripta.
Infine, tornò al piano di sotto e
uscì in giardino, le chiavi della macchina che gli tintinnavano in tasca; si
infilò nell’auto e uscì fuori dal vicolo, diretto verso il Mystic Grill. La
caviglia gli faceva ancora male, ma non al punto tale di impedirgli di guidare:
e lui aveva decisamente bisogno di bere qualcosa di forte.
***
“I want to
help but I don’tknowwhat to do.”
“ There’snothingyou can do.”
“Oh mygod. Tyler…”
“Get out!”
“No!”
“Get out! I don’twant to hurtyou.”
“ No! No.”
Episode 2x11. By The Light of The Moon
Mase si aggrappò al cerchio di
catene che gli legava il collo e lo strattonò con violenza, cercando di
liberarsene; il freddo del metallo gli sembrò d’un tratto rovente ed ebbe
l’impressione che gli stesse portando via quel filo di aria che ancora stava
riuscendo a immagazzinare. La sua pelle era in fiamme e le ossa della schiena
avevano incominciato a spezzarsi; il dolore era talmente intenso che a stento
riusciva a gridare. Voleva farla finita; strapparsi via ogni fibra di quel
corpo maledetto esbarrare gli occhi,
dimenticare tutto, perdere coscienza. Morire, piuttosto. Non c’era più nulla
che riuscisse a mantenerlo lucido. Un interrogativo acuminato gli aveva
squarciato la mente, diramandosi a fondo nella sua testa: quanto dolore si può
trattenere in corpo, prima di esplodere?
“Mase…”
Caroline cercò di richiamare la sua attenzione,
avvicinandosi con espressione preoccupata. Tese la mano ad accarezzargli i
capelli, sforzandosi di ignorare i rantoli spezzati del ragazzo. Mason prese ad
ansimare in maniera più convulsa, portandosi ancora una volta le mani al collo,
tirando le catene con quanta forza aveva in corpo. Un urlo gli impregnò la
gola, nel momento in cui il braccio destro scattò improvvisamente all’indietro,
spezzandosi all’altezza del gomito. Caroline sussultò, portandosi le mani alla
bocca.
“Basta!” ringhiò a quel punto il
ragazzo, liberandosi dalla presa di Caroline. Emise un secondo lamento, mentre
il dolore lo ghermiva con violenza, lottando contro la sua schiena. Udì lo
schiocco secco delle sue ossa che si frantumavano, incitandolo a piangere, a
urlare, a pregare la luna di porre fine alle sue torture. “Fa male!” gemette
infine, mentre le braccia di Caroline tornavano ad avvolgersi attorno al suo
corpo, questa volta con più determinazione.
“Lo so…” mormorò la ragazza,
appoggiando la fronte contro la sua schiena.
“Fa, fa, fa male, f-fa-fallo
smettere!”
“Vorrei
poter fare qualcosa…” gli sussurrò contro la ragazza, ormai sull’orlo delle
lacrime. Aveva
affrontato quel momento tante di quelle volte prima di allora, eppure non c’era
mai stato verso per lei, di abituarsi all’insostenibile sensazione di
sconforto. Al dolore che comportava il realizzare di sentirsi impotente,
impotente e inutile. Quell’impronta di vulnerabilità finiva sempre per
tracciarsi nella sua mente all’improvviso, portandola alle lacrime,
prosciugandole l’istinto a persistere. Alla fine, tuttavia, la determinazione
riemergeva sempre. Stava tornando anche in quel
momento, seppur si fosse accorta di aver incominciato a tremare. Con le mani
molli di tremiti, cinse più forte le spalle di Mason. Provò a rassicurarlo a
parole, non potendo fare nulla per sedare quel dolore, né il terrore dilatato
nel suo sguardo. Ricacciò indietro un brivido, quando avvertì le ossa del
ragazzo vibrare sottopelle, prima di spezzarsi e ricomporsi un’ultima volta. Il
suo corpo si stava preparando a scacciare in un angolo il ragazzo, per
accogliere il lupo.
“Starai bene.” lo incoraggiò, cercando di
placare i suoi movimenti bruschi, impedendogli di portarsi le mani al collo
ancora una volta; avrebbe voluto fargli capire che si sentiva addosso il peso
di ogni singolo osso spezzato. C’erano dentro insieme, a quella situazione: non
gli avrebbe mai permesso di sentirsi solo, in quel campo di battaglia interno
ase stesso. “Non mollare, Mase.”
“Dov’è…”
farfugliò a quel punto il ragazzo, digrignando i denti. “…Dov’è papà?”
Caroline
sospirò, riprendendo ad accarezzargli il capo.
Dopo
quell’ultima frase, Mason sembrò calmarsi leggermente, incominciando a
respirare in maniera più regolare. Caroline sapeva, tuttavia, che la
trasformazione avrebbe ripreso presto. Avvertì il dolore del ragazzo, il
risentimento che provava nei confronti del padre, al pensiero di essere stato
abbandonato da lui. Lo stesso risentimento che doveva aver provato Tyler nei
confronti dello zio, quando si era sentito costretto a badare da solo alla
maledizione. Senza l’appoggio di Mason; senza l’appoggio di nessuno, al di
fuori di Caroline.
Rimasero
entrambi immobili per qualche minuto; Mason riuscì finalmente a concentrarsi su
qualcosa che non fosse il dolore lancinante, e il bruciore della pelle
incandescente. Avvertì il proprio cuore divincolarsi forte nel petto, come se
stesse lottando a sua volta, per debellare la maledizione. E percepì anche il
calore emanato dal corpo di Caroline adagiato contro la sua schiena. La
consistenza di quel contatto inombrò la sensazione di pesantezza provocata
dalle catene ancorate al suo corpo. Il ragazzo inspirò con forza, sforzandosi
di tenersi stretto anche il più sottile brandello di lucidità. Le lacrime
minacciavano di scivolargli oltre le palpebre, stanche di farsi carico di quel
dolore, ma per la prima volta nella sua vita, non se ne curò; sapeva che fino a
quando avrebbe provato quel genere di emozioni, sarebbe stato umano. Da umano
non avrebbe ferito nessuno; da umano avrebbe potuto controllarsi e il suo corpo
non gli sarebbe stato strappato via, affinché si piegasse al volere della luna.
Cercò di mettersi a sedere, ma il dolore era ancora troppo. Si chiese quanto a
lungo sarebbe durata quella tregua; si domandò se fossepossibile riuscire a rialzarsi da terra, dopo
che ogni singolo osso si è spezzato, frantumato e ricomposto con fattezze diverse.
All’improvviso,
così come si era arrestato, il tormento riprese. Questa volta, tuttavia, c’era
qualcosa di diverso, in quel dolore: questa volta, nemmeno la mente del giovane
rispondeva più al suo volere. Con uno scatto violento, Mason allontanò Caroline
da sé, balzando all’indietro. Gli occhi incominciarono a bruciargli e i suoi
sensi si annebbiarono. Il dolore intenso alle mascelle si tramutò in rabbia,
nel momento in cui il ragazzo intuì cosa gli stava per succedere. Si chinò in
avanti per riprendere fiato, ma scosse il capo con forza, quando la ragazza
cercò di avvicinarsi ancora una volta a lui.
“Vattene!”
ringhiò con quanto fiato aveva in gola, per poi emettere un ennesimo lamento.
Cercò di rimarcare il concetto, ma una fitta acuta gli penetrò il capo; si
sentì il volto incandescente, e anche se non poteva vedersi, intuì all’istante
che qualcosa stava cambiando nella struttura del suo viso. Ricominciò ad
avvertire il dolore acuminante delle ossa in fase di scomposizione.
Caroline
scosse il capo a sua volta, seppur arretrando; aveva incominciato a scorgere
l’ombra del lupo nello sguardo del ragazzo. Gli occhi gialli di Mason
indugiarono su di lei con odio, mentre i lineamenti del giovane sembravano
lottare per trattenere le fattezze umane.
“No.”
ribatté decisa, osando avvicinarsi di qualche passo. “Resto con te.”
“Ho
detto vattene!”gridò ancora una
volta Mason, digrignando i denti per proteggersi dal dolore. Il controllo del
suo corpo traballava: a tratti lo avvertiva ancora, ma c’erano momenti in cui
si accorgeva di non sentirsi più. L’incapacità di gestirsi lo terrorizzava. Non
voleva ferire Caroline; non voleva ferire nessuno.
“Non vado da nessuna parte.” ribadì
con determinazione la ragazza, tornando a inginocchiarsi di fianco a lui. “Non
fino a quando non sarà tutto finito.”
“V-Vuo-vuoi
restare, s-soloperché te l’ha detto
lui!” ribatté Mason, sollevando di scatto il capo per guardarla negli occhi.
“Ma a me ha chiesto di mandarti via. S-Se, se resti qui ti attaccherò,
qu-quindi vattene!”
“Non ti lascio da solo, Mase.”
“Papà capirà che…”
“Non è solo per tuo padre , lo capisci?”
sbottò improvvisamente Caroline. Si morse il labbro, accorgendosi solo in
quell’istante di aver gridato. Mason sollevò nuovamente il capo per osservarla;
aveva nuovamente il fiato corto, e i gemiti di dolore erano ricominciati.
Tuttavia, le parole di Caroline sembravano aver suggellato la fine di quella
discussione. La ragazza tornò a sedersi di fianco a lui; cercò di impedirgli di
rannicchiarsi sul pavimento, mentre gli spasmi di dolore lo costringevano a
piegarsi su se stesso.
“N-non r-ri-riesco
a, a, a controllarmi…” mormorò con fatica il ragazzo, alterando ancora una
volta il ritmo dei propri respiri. “Non vo-voglio fa-farti del male.”
“Non succederà.” lo rassicurò a
bassa voce la ragazza, accarezzandogli il capo. “Presto finirà tutto.”
Mason cercò di annuire, ma tutto
ciò che riuscì a ottenere fu un respiro più prolungato degli altri. Il suo
collo scattò all’improvviso verso destra, facendogli battere il capo contro il
pavimento. Gemette, cercando di trattenere il controllo sui suoi movimenti, ma
era ormai evidente che gli stesse fuggendo tutto di mano, e che ci fosse ben
poco da fare per trattenerlo.
“Ho paura…” farfugliò infine, abbandonando la
testa a terra; spinse la guancia contro il terreno, per avvertire la sensazione
di fresco, ormai estenuato dal caldo pungente che gli tormentava la pelle.
“Va tutto bene.”tornò a sussurrargli Caroline, riprendendo ad
accarezzargli i capelli. “Starai bene.”
In quel momento, qualcosa prese ad
agitarsi nell’animo del ragazzo, spingendolo a respingere quel tocco. Mason
sollevò la schiena di scatto, portandosi a quattro zampe. Il tenue sollievo che
aveva provato fino a quel momento, affiorato da quelle mani tiepide a contatto
con la sua pelle, era svanito all’improvviso, provocandogli fastidio: fastidio
e rabbia. Non era più lui: non era più Mason.
“Vattene!” ringhiò con ferocia,
digrignando i denti in direzione di Caroline;gli occhi gli si venarono di giallo e un bruciore lancinante prese ad
attraversargli le gengive, diffondendosi lungo i canini del ragazzo.
“No.” ribadìCaroline con fermezza mentre, lentamente,
Mason tornava a prendere il controllo su se stesso. Provò una collera
improvvisa nei confronti della sua seconda natura: quel qualcosa che aveva
preso il sopravvento su di lui stava cercando di tenerlo lontano dall’unico
barlume di conforto che gli era rimasto. Avevalottato a lungo contro se stesso, quel pomeriggio, ma l’aveva fatto
inutilmente. Si era sforzato di annientare le barriere che si era costruito
attorno, per lasciarsi stringere e accarezzare. Per accogliere le parole di
conforto di Caroline. Ma nel giro di pochi minuti, quel pensiero aveva perso
importanza: perché non era più in lui. Il lupo aveva preso il comando del suo
corpo, imprimendogli addosso una sensazione di collera violenta; intuì
all’istante, che voleva essere lasciato solo.E lo intuì anche Caroline: la ragazza si alzò, arretrando di qualche
passo. Mason gemette di nuovo, mentre uno spasmo di dolore incontrollabile gli
azzannava con ferocia le gambe, mescolato al rumore secco delle ossa che si
spezzavano. Il volto del ragazzo incominciò ad allungarsi e la sua dentatura si
fece più affilata, sporgendo dalle labbra. Quando i suoi occhi gialli
individuarono i movimenti lenti della vampira, si ritrovò ad emettere un
ringhio sommesso, avvertendo distintamente il proprio naso arricciarsi: un naso
che, di umano, aveva ormai ben poco.
“Ehi…” Caroline mormorò a bassa
voce, cercando di trattenere la calma. Si sforzò di non fare movimenti troppo
bruschi, mentre gli occhi da lupo del ragazzo la scrutavano con rabbia, non
dando alcun cenno di riconoscerla. “Ehi… Mase, sono io. Sono Caroline.”
La mente di Mason si annebbiò e l’istinto
lupesco prese il sopravvento, spingendolo ad avventarsi contro la ragazza.
Caroline scattò all’indietro. Si affrettò a raggiungere la grata che bloccava
l’ingresso della cripta. Si fermò, nell’udire il lamento tormentato del
ragazzo: Mase aveva preso a strattonare con forza le catene che lo trattenevano
per le caviglie. Un ringhio disumano echeggiò nella cripta, mentre la schiena
del giovane riprendeva a deformarsi, così come gli arti. Caroline aprì la porta e se la richiuse alle
spalle con forza. Gridò, quando un improvviso rumore di ferro che piomba a
terra, venne susseguito dall’avventarsi di qualcosa contro le inferriate della
porta. Un Mason più lupo che umano incominciò a scagliarsi con violenza contro
la grata, ferendosi, pur di provare ad abbatterla.
“Mi dispiace, Mase”.
Caroline si coprì il viso con le
mani, sforzandosi di ignorare quello sguardo bruciante di collera. Sussultò,
quando la porta di ferro prese a vibrare con violenza. Si alzò in piedi di
scatto, raggiungendo i gradini della cripta. Tuttavia, non osò allontanarsi
oltre. Ipotizzò che non avesse senso allontanarsi, con Tyler completamente
trasformato e in giro a piede libero per il bosco. Sentiva comunque che quel
bisogno di trattenersi vicino alla cripta fosse dovuto a ben altro, rispetto al
timore di venire attaccata. Per quanto quella paura fosse grande, il pensiero
di lasciare solo Mason la angosciava ancora di più. Aveva giurato che gli
sarebbe stata accanto e non ci fu modo, per lei, di venir meno a quella
promessa. Non riuscì a muovere un solo passo da quella posizione per l’intera
durata della trasformazione.
Quando, diverse ore più tardi, la
luna si decise finalmente a desistere, liberando Mason e Tyler dalle sue
redini, la vampira era ancora lì; appoggiata a quella grata arrugginita.
“Caroline?”
L’esclamazione di Tyler spinse la
ragazza ad alzarsi in piedi di scatto. Caroline salì gli ultimi gradini della
cripta, ma si affrettò a distogliere lo sguardo imbarazzata, nell’accorgersi
che l’uomo fosse ancora nudo.
“Non mi abituerò mai a questa
cosa…” commentò la ragazza scuotendo il capo, le guance improvvisamente
imporporate.
Tyler, si lasciò sfuggire un
ghigno.
“Andiamo, Care… non è nulla che tu
non abbia già visto.” scherzò, prima di appoggiare la mano sulle inferriate
della porta. “Lui sta bene?” mormorò, aggrappandovisi maggiormente con le dita:
analizzò con espressione d’un tratto risentita i nuovi segni che ne rigavano i
bracci.
“Credo che starà meglio, non appena
ti vedrà arrivare.” rispose la ragazza, osservandolo spingere la porta della
cripta. Tyler annuì. Mosse un paio di passi avanti, ma si voltò un’ultima
volta, per poter guardare la ragazza negli occhi.
“Grazie.” mormorò stringendole una mano, prima
di addentrarsi da solo dentro la cripta.
“Tyler?”
“Caroline…”
“Tyler!”
“You're okay. You made it. Youdidn’tget out. You’re
okay!”
“No,
I’mnot.”
Episode 2x11. By The Light of The Moon
***
Al
Mystic Grill echeggiava, come al solito, un vociare confuso misto a musica. Ricki
sbuffò, portandosi poi per l’ennesima volta il bicchiere alle labbra. Erano
trascorse ormai un paio d’ore dal suo arrivo nel locale; una volta dentro,
complice il suo fido documento di identità falso, aveva ordinato da bere e si
era trascinato pigramente in un angolo del bancone, mantenendosi insolitamente
silenzioso per l’intera serata. Dopo aver svuotato il fondo del bicchiere e
fatto cenno al barman di riempirlo di nuovo, venne distratto dal display
illuminato del cellulare. Una volta riconosciuto il nome sullo schermo, tentò
di rispondere alla chiamata, trascinando il polpastrello sul display. Dopo
diversi tentativi, maledicendo a gran voce gli schermi dei dispositivi touch, riuscì
finalmente nel suo intento e si portò il telefono all’orecchio. “Ehilà, vecchia
quercia!” esclamò in tono di voce strascicato, strofinandosi con la mano i
capelli sulla fronte. “Cosa ti porta a chiamare il tuo migliore amico di un
sabato sera? Va bene che la mia compagnia è insostituibile, ma… Com’è che non
sei impegnato con qualche bella avvocatessa? ”
Dall’altro
capo dell’apparecchio, Jeffrey sorrise.
“Niente
avvocatesse, purtroppo: stavo studiando. Lunedì ho un esame piuttosto
importante. E comunque, niente…” si interruppe, mentre spingeva il computer a
bordo del letto per stiracchiarsi sul materasso. “…volevo solo sapere come te
la passavi. Mase sta meglio?”
Ricki
fece una smorfia, appoggiando la guancia al pugno chiuso.
“Mase
sta che è una meraviglia.” commentò in tono di voce sarcastico,“E io anche; meglio di così si muore.”
biascicò; la sua voce incominciava a suonare impastata dall’alcool.
Jeffrey
aggrottò le sopracciglia, intrecciando i piedi uno sopra l’altro.
“Hai
bevuto?” domandò, per poi alzare gli occhi al cielo. “Ma che domande ti faccio?
È sabato sera…”
“Lo
sai, Jeff…” Ricki esordì improvvisamente, tornando a drizzarsi sullo sgabello.
“…Hai presente quando eravamo piccoli e io cercavo di farti cagare sotto,
raccontandoti storie di cadaveri sanguinolenti e orripilanti mostri
succhia-sangue?”
Jeffrey assunse un’espressione perplessa.
“Me
lo ricordo fin troppo bene, direi…”
“Ricordi anche quando cercavo di convincerti che mio padre fosse un lupo
mannaro?”
Jeffrey abbozzò un sorrisetto divertito.
“Per
via di quella storia, avevo incominciato ad andare nel panico ogni volta che
rimanevo da solo in una stanza con lui…”
“…E se ti dicessi che non tutte le stronzate che dicevo da bambino fossero
effettivamente delle balle?” azzardò Ricki, esitando, prima di proseguire. “…Se
ti dicessi che c’è del vero in tutto questo?”
L’amico
si mise a ridere.
“Ti
risponderei che bevi troppo.” osservò con un sorriso, scuotendo rassegnato il
capo. Mentre Ricki riprendeva a farfugliare qualcosa a proposito di cadaveri e
mostri sanguinari, Jeffrey appoggiò il cellulare sul cuscino, intrecciando le
dita dietro la nuca: gli erano mancate le chiacchierate notturne con il suo
migliore amico. La stanza che condivideva con Ricki al campus sembrava vuota,
senza il gran baccano che era in grado di generare il ragazzo, composto da
chiacchierate strascicate fino a tardi, musica e palloni da calcio che facevano
la spola fra i due letti. Di tanto in tanto, poi, Ricki tirava fuori discorsi
talmente folli da far concorrenza ai vaneggiamenti comici di Vicki – una cosa
che gli faceva spesso presente, giusto per stuzzicarlo un po’. Ascoltare
l’amico blaterare di cose senza senso, riusciva sempre a lenire un po’ di
quella nostalgia che Jeff provava nei confronti di Mystic Falls; di sua sorella
e della sua famiglia.
In
quel momento, tuttavia, la sua attenzione venne d’un tratto strappata via al
chiacchiericcio di Ricki: Jeffrey spostò lo sguardo verso la finestra,
analizzandone i vetri con aria perplessa. Era sicuro di averci intravisto
qualcosa, fuori: un’ombra. Si morse un labbro, sforzandosi di tornare a
concentrarsi sulla conversazione con il migliore amico. Si sentiva osservato,
ed era una sensazione che gli era capitato di avvertire di frequente,
nell’ultimo periodo: sin da quando era tornato a Jacksonville.
“Jeff, ci sei ancora?”
L’interrogativo perplesso di Ricki riuscì ad attirare nuovamente la sua
attenzione.
“Sì,
ci sono ….” borbottò, prima di tornare a sorridere. “… Cambiando discorso… ho
sentito dire che domani farai da cavaliere a Vicki.”
Ricki
sbuffò sonoramente.
“Se
i cadaveri sanguinolenti non mi prenderanno prima…”
“Devo
dedurne che domani a Mystic Falls nevicherà, visto il miracolo.” osservò
Jeffrey, alzandosi a sedere per controllare le nuove notifiche al PC.
“…Possono anche ridurmi in poltiglia,
l’importante è che mi lascino stare il sedere, perché il mio culo è sacro…Eh?
Ma quale miracolo?” esclamò l’altro ragazzo, assumendo un’espressione
contrariata.“È che mi annoio senza di
te, quindi faccio cose stupide per passare il tempo.”
“Quelle le fai sempre…” lo corresse Jeff,non riuscendo a reprimere uno sbadiglio; sospirò. “Adesso devo tornare a
studiare.” annunciò infine, riprendendo ad analizzare la finestra con
espressione nervosa; dopo aver azzardato una seconda occhiata fuori, e non
notando nulla di insolito, decise che l’ombra che aveva visto fosse stata solo
dettata dalla stanchezza.
“Che
bravo bambino…” lo schernì l’amico, dall’altro lato del ricevitore. “Non fa
niente; mi terrà compagnia il mio amico bicchiere.” scherzò, facendone
tintinnare il vetro con l’indice. “è un tipo di poche parole, ma ti assicuro
che è un gran simpaticone! Quasi quanto me.”
Jeffrey
sorrise.
“Credo
che tu abbia bevuto abbastanza per sta sera,” osservò infine, sistemandosi un
paio di ciuffi biondi con la mano. “Se va a finire che ti senti male e domani
non ti presenti alla cerimonia, giuro che chiederò ai cadaveri sanguinolenti di
tagliarti il culo a fettine. E tratta bene mia sorella.”
Ricki sbuffò sonoramente.
“Va bene, mamma.” commentò sarcastico, abbozzando poi un sorrisetto.
“Buonanotte, Jeff.” mormorò infine, prima di chiudere la chiamata e abbandonare
il cellulare sul bancone. Quando, due ore più tardi, si sollevò barcollando
dallo sgabello per abbandonare il Grill, incominciò a valutare il pensiero che,
forse, avrebbe fatto meglio a seguire il consiglio del suo migliore amico.
***
I remembertears
streaming down your face
When
I said, I'llneverletyou
go
Whenallthoseshadowsalmostkilledyour light
I
rememberyousaid, ‘Don'tleave
me here alone’
Butallthat's dead and gone and passedtonight
Safe and
Sound.Taylor Swift
In un primo momento, socchiudendo
leggermente gli occhi, Mase non riuscì a comprendere se fosse giorno, o ancora
notte inoltrata. Né se fosse tornato umano, o se il suo corpo avesse ancora
fattezze da lupo. L’ unica cosa a cui riuscì a pensare, fu che aveva freddo. Si
raggomitolò su se stesso, per proteggersi dal gelo della cripta. Quando
realizzò dove fosse, i suoi pensieri si spostarono istintivamente a Caroline:
ricordò d’un tratto che avrebbe dovuto gridarle di allontanarsi, chiederle
andare via. Non lo fece; si sentiva stanco, troppo debole anche solo per
parlare.
Una mano gli strinse
affettuosamente una spalla, avvolgendola con delicatezza. Mase intuì
all’istante che non potesse trattarsi di quella di Caroline; perché quella mano
era grande e ruvida: perché quella mano apparteneva ad un uomo.
“Papà…”si sforzò di mormorare, tornando ad aprire
gli occhi. La presa sulla spalla del giovane si fece più intensa e Mason si
accorse di sentirsi improvvisamente al sicuro. Per la seconda volta in due
giorni, alcuni ricordi d’infanziatornarono a sfilargli nella mente, riportati in vita dal tocco del
padre. C’erano stati dei momenti, quando era bambino, in cui la paura dei lupi
aveva preso il sopravvento, impedendogli di addormentarsi. In quelle occasioni,
suo padre era solito promettergli che non avrebbe mai permesso ai lupi di
avvicinarsi a lui.
Ed era stato così: il lupo non
l’aveva preso, nemmeno quella notte.
Quella notte, Mason aveva vinto.
“Ehi…” La voce profondadi suo padre
trovò il modo di rassicurarlo con la stessa intensità di quel tocco sul
braccio.“…È finita: ce l’hai fatta. Te la sei cavata benissimo.”
lo sentì mormorare,senza smettere di
stringergli la spalla. “È finita, Mase.”
In quel momento, il ragazzo avvertì sulla schiena il tocco morbido di una
coperta. Riconobbe anche un respiro diverso, nella cripta: percepì un movimento
alle sue spalle e intuì che Caroline dovesse essere lì con loro. Non ce la fece
a voltarsi verso di lei; né a domandarle se stesse bene. Aveva male ovunque e
il freddo gli si era incuneato nelle ossa, rendendo difficoltosi i movimenti;
suggerendogli di non parlare.
“Papà...”ripeté ugualmente ancora
una volta, tornando a socchiudere gli occhi.
“Sono qui.” lo rassicuròprontamenteil padre,
sistemandogli al meglio la coperta sulla schiena. “Sono qui.”
La luna piena se n’era andata. Il
lupo era stato sconfitto.
Rimanevano solo loro, Mase e suo
padre. Un ragazzo stanco e un uomo riconoscente.
La paura scivolò lentamente via;
e Mason si addormentò.
Just closeyoureyes, the sunisgoing
down
You'll be alright, no one can hurtyounow
Come morning
light
You and I'll be safe and sound.
Safe and Sound.Taylor Swift
------
Grazie a Ely
91 per la pazienza e la rilettura del capitolo <3
Angolo Link pre-polpettone:
Qui potete trovare il gruppo facebookcon
foto, informazioni, anticipazioni, fumetti, foto e quant’altro
a proposito di History Repeating.
Qui, invece,
il canale youtubecon tutti i
video dedicati a HR.
Angolino pubblicitario pre-polpettone.
Durante il
periodo di pausa fra il precedente capitolo e questo ho pubblicato un paio di spin
off della storia, che ho pensato di riportare qui!
Havenill. Un
piccolo approfondimento su Havenill che è stata menzionata proprio in questo
capitolo, e sui suoi abitanti.
Molto forte,
incredibilmente vicino. one-shot con protagonisti Mase e Caroline Forbes, che aiuta
a inquadrare un po’ Mase e il suo carattere chiuso e diffidente.
Gli altri spin off della storia li trovate
QUI
eQUI.
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Nota dell’autrice.
Questo capitolo giunge con talmente
tanto ritardo, che mi vien voglia di nascondere la testa sotto la sabbia, come
gli struzzi; ma ho finalmente terminato con l’università, quindi ne ho
approfittato per gettarmi a capofitto nella stesura. Anzitutto, chiedo scusa
per la lunghezza spropositata di questa parte. Penso che questo sia il capitolo
più lungo in assoluto scritto fino ad ora, ma non me la sentivo proprio di
dividerlo, visto che è interamente concentrato sulla luna piena.
Vediamo un po’ di spiegare
qualcosina in merito a questa parte. Intanto, le citazioni che precedono le
parti di racconto relative alla trasformazione di Mase, così come il titolo del
capitolo, sono state prelevate dall’episodio 2x11; By the Light of The Moon, appunto. Ho cercato di mantenere il
parallelismo fra la prima trasformazione di Tyler e quella del figlio, pur
cercando di distaccarmi, per non calcare troppo. Ho fatto questa scelta
inizialmente perché ci tenevo che le due trasformazioni avvenissero in modo
analogo, in parte perché la storia verte poi proprio su questo: le cose che
avvengono in passato sono destinate a ripetersi. D’altra parte, ammetto che
avevo talmente tanta paura al pensiero di rendere male quei momenti, che ho
cercato di attenermi il più possibile alla trasformazione di Tyler, rivedendo
quel benedetto filmato fino alla nausea. Un altro parallelismo alla serie si
verifica quando Ricki si imbatte nel padre trasformato in lupo; anche qui, per
descrivere la reazione di Tyler, mi sono basata sul comportamento di Mason
(senior) nell’episodio 2x03. Da come
il Mason lupo si allontana, rinunciando ad attaccare Stefan e Caroline, non
appena riconoscendo Tyler, ho immaginato che i licantropi siano in grado di
riconoscere i parenti, o comunque le persone maledette , anche sotto
trasformazione. Ricki se l’è vista piuttosto brutta in questo capitolo; lui e
il padre hanno scovato il cadavere di Finn,
il professore di storia che era scomparso da un po’, e che occupava la cattedra
che al momento è di Gregory Lester.
Non lo biasimo se questa sera finirà per bere qualche bicchierino di troppo…Mh, in realtà mi sa che già l’ha fatto. Che altro
aggiungere?
Anche in questo capitolo, come nei precedenti, ci sono un paio di riferimenti a
one-shot volanti, in giro per il mio account; il
riferimento ad Havenill
deriva dalla one-shot omonima, che introduce la
famiglia di Dylan Scott, padrino di Mason, nonché il buon vecchio nonno Aaron, il
papà di Lydia. I riferimenti al Mason bambino e ai lupi, invece, derivano dal She’swatching over us, che è un po’ il prequel di questa storia.
In questo capitolo sono anche stati
introdotti, seppur brevemente, due nuovi personaggi: i figli del tanto
(comprensibilmente) odiato sceriffo Marion Fell: Leo e Harper.Li troveremo di nuovo già nel prossimo
capitolo, visto che Harper parteciperà a Miss
Mystic Falls. Nella loro scena ha fatto brevemente comparsa anche Meredith Fell, un personaggio che voi
tutti già conoscete. Scopriamo quindi che è sorella dello sceriffo, e quindi zi
dei due ragazzi.
Finalmente abbiamo anche rivisto un
po’ di Jeffrey; vi anticipo che dovremmo vederlo molto più spesso fra un paio
di capitoli, dopo Miss Mystic Falls. Dopo la cerimonia, incomincerà la seconda
parte di questa storia, incentrata più sui vampiri.
Infine, cosa aspettarsi dal
prossimo capitolo? Beh, come già anticipato ampiamente praticamente
dappertutto, la protagonista indiscussa sarà questa sacrosanta cerimonia. Il
capitolo verrà come al solito diviso in due parti, quindi, o in una o
nell’altra, aspettatevi di vedere le diverse miss – Vicki, Caroline L. e Harper
– con i loro accompagnatori, una bella spolverata di Anna e Oliver, e le
reazioni di Mason dopo questa prima, importante prova a cui è dovuto
sottoporsi: molti aspetti della sua personalità sono usciti allo scoperto in
questo capitolo, sia nella scena iniziale alla riserva, che durante la trasformazione.
Posso solo dire che il Mason del prossimo capitolo sarà lievemente diverso,
rispetto a quello che abbiamo imparato a conoscere all’inizio di questa storia.
Credo di aver detto tutto – anche
se sicuramente ho dimenticato qualcosa. Questo è un capitolo che aspettavo da
tantissimo tempo; ho fatto del mio meglio per scriverlo, sapendo quanto fosse
importante per la trama, e spero tanto di aver reso il tutto abbastanza bene.
Intatto vi ringrazio infinitamente per essere arrivati a leggere fino a qui, perché
per me significa tantissimo. E probabilmente significa anche che siete dei
santi o dei pazzi – o tutte e due le cose assieme.
Spero di riuscire a incominciare al più presto la prima parte del prossimo
capitolo!
Mase si stropicciò un occhio
con un pugno, rannicchiandosi ulteriormente su se stesso. Mise a fuoco le voci
delle persone che gli stavano tenendo compagnia nella cripta e che fino a quel
momento aveva riposto da parte, considerandole semplici rumori di sottofondo.
“Guarda” stava esclamando
Caroline alle sue spalle. “Non ha nemmeno morso i vestiti.”
La risata di Tyler echeggiò in
risposta alle parole della vampira.
“Alla mia prima trasformazione
li avevo mangiati tutti”ricordò l’uomo.
In quel momento Mase sollevò il capo, decidendosi finalmente a socchiudere gli
occhi.
“Ben svegliato, dormiglione” lo salutò il
padre, appoggiandogli una mano sulla schiena. Era seduto a terra di fianco a
lui e lo stava osservando con un mezzo sorriso abbozzato in viso.
“Ch-che,
che ore sono?” balbettò il ragazzo, alzandosi a sedere. Si strinse nella
coperta, accorgendosi solo in quel momento di non avere più nemmeno i
pantaloncini addosso. Aggrottò le sopracciglia, cercandoCaroline con lo sguardo. La vide avvicinarsi
poco dopo con i suoi vestiti piegati sull’avambraccio.
“Le sette un quarto” rispose
l’uomo, facendosi passare gli abiti del figlio. “Hai dormito ancora una buona
mezzora da quando ti abbiamo trovato.”
Mason se ne stupì: era convinto
di aver chiuso gli occhi solo perun
attimo, in seguito all’arrivo del padre. Allungò il braccio per recuperare i
suoi vestiti, esibendo una smorfia di dolore.
“M-mi, mi fa m-ma-male
dappertutto” farfugliò, portandosi i jeans sulle ginocchia. Tyler lo osservò a
lungo, ancora sorridente.
“Per stasera sarai a posto” lo
tranquillizzò, dandogli una pacca amichevole sulla nuca: la tensione che aveva
caratterizzato il suo sguardo nei giorni precedenti sembrava essersi
affievolita.
Mase annuì e sollevò lo sguardo
per cercare Caroline. Quando la ragazza gli sorrisele rivolse un’occhiata inquisitoria,
avvolgendosi meglio la coperta attorno al corpo.
“Mi hai visto nudo?” domandò in
tono di voce scontroso, non riuscendoa
mascherare l’imbarazzo. La ragazza si mise a ridere.
“Non ho visto nulla, stai
tranquillo!”lo rassicurò, prima di
raggiungere la porta della cripta. “Dai, vestiti, io vi aspetto fuori!”
Mason si vestì in fretta,
mordicchiandosi il labbro di tanto in tantoper aiutarsi a sostenere il bruciore alle ossa. Nel momento in cui lui e
il padre abbandonarono la cripta per unirsi a Caroline si sentiva ancora
intorpidito e stanco, come se non avesse dormito per giorni. Non desiderava
altro che arrivare acasa e rifugiarsi
sotto le coperte, poltrendo fino a sera al sicuro nella sua stanza.
Il padre sembrò accorgersi
della sua spossatezza, perché gli strinse con delicatezza una spalla, come a
volerlo incoraggiare.
“Sono fiero di te" mormorò. Mase gli
sorrise: fu il suo primo vero sorriso da giorni e, nell’osservare la sua
espressione distesa, Caroline si sentì d’un tratto rasserenata. In poco tempo
era riuscita ad affezionarsi molto a quei sorrisi rari che di tanto in tanto
sorprendevano le labbra del ragazzo. Era contenta che la luna piena non fosse
riuscita a portarglieli via.
***
Quando Ricki si decise ad
aprire pigramente gli occhi, si accorse di avere la testa in fiamme e un dolore
acuto alla guancia destra, per via di tutto il tempo che aveva trascorso
conil capo abbandonato sul volante.
Sollevò il capo e si guardò attorno spaesato, massaggiandosi le tempie con le
mani. Doveva essersi addormentato in macchina la sera precedente: non era la
prima volta che gli capitava.
Il rumore secco di qualcosa che
picchiettava contro il finestrino lo fece sobbalzare: Ricki aggrottò le
sopracciglia, cercando il responsabile di tutto quel fracasso. Il colpevole era
un ragazzino che stava battendo le nocche contro il vetro: aveva uno sguardo
vispo e una matassa di capelli biondi ritti sulla testa come aculei di
porcospino.
“Ricki!” gridò il bambino,
bussando ancora una volta. “Perché stai dormendo nella macchina?”
Richard strabuzzò gli occhi
riconoscendo la vocetta vivace di suo cugino, il fratello minore di Ruby.
“Piccoletto!” esclamò,
concedendogli un debole sorriso prima di frugarsi freneticamente nelle tasche
alla ricerca del cellulare. “Come mai sei in giro da solo?” aggiunse, sovrappensiero.
Il bambino scosse vigorosamente
il capo, spiaccicando il naso contro il vetro.
“Non sono da solo! Stiamo
andando alla festa delle ragazze che si vestono belle! Io e Buckster* non ci
volevamo andare perché è una noia…”
Ricki sbuffò, passandosi una
mano fra i capelli. Aveva trovato il cellulare, ma era scarico; riuscì a
tenerlo acceso per una decina di secondi, ma quando l’aggeggio incominciò a
vibrare per comunicare le chiamate e i messaggi accumulati si spense di nuovo.
“…ma la mamma dice che ci saranno
i confetti e le tortine di tutti i colori e anche i palloncini! ”
Improvvisamente l’attenzione di
Ricki tornò a focalizzarsi sul ragazzino.
“Aspetta, aspetta” interruppe
il fiume di parole del bimbetto, aprendo la portiera della macchina. “State andando
a Miss Mystic Falls? Adesso? Ma che ore sono?”
Il cuginetto scosse il capo e
fece roteare per aria il suo missile giocattolo.
“Non lo so!” dichiarò, facendo
spallucce. “Non la so leggere l’ora: ho quattro anni, io!” aggiunse,
mostrandogli quattro dita di una mano belle stese, comea volersi giustificare.
“Damian!”
Una voce di donna richiamò la
loro attenzione. Il piccolo Damian salutò Ricki con la mano e corsedalla madre, il missile giocattolo ancora
sospeso per aria. Richard fece un cenno di saluto ai suoi zii prima di imprecare
a denti stretti, mettendo in moto l’auto: sapeva fin troppo bene che la
famiglia di Damian e Ruby arrivava sempre in ritardo alle cerimonie, per
evitare che i bambini si stancassero o facessero troppa confusione. O per quel
pomeriggio avevano miracolosamente deciso di presentarsi con largo anticipo,
oppure lui era fottuto. Una sola, rapida occhiata all’orologio sul cruscotto fu
in grado di comunicargli il verdetto: era fottuto.
“Grandioso” commentò. Una
smorfia gli catturò il viso al pensiero di una furibonda Vicki che senza un
accompagnatore, pronta ad assestargli un bel calcio-piroetta nel didietro. La
smorfia si accentuò, quando i pensieri del giovane si spostarono verso il padre
e la sfuriata con i controfiocchi che l’avrebbe sicuramente atteso al
concludersi della cerimonia .
“Vabbè” commentò infine, uscendo dal
parcheggio e immettendosi nel viale. “Andiamo a farci tirare le orecchie da
papà lupo!”
***
Una volta raggiunta la villa
dei Lockwood, Mase si diresse subito a tranquillizzare la madre. Raggiunse poi
camera sua, dove non impiegò molto ad addormentarsi un’altra volta. Il dolore
stava incominciando ad affievolirsi, ma la stanchezza era ancora tanta.
Trascorse una quarantina di minuti ad accogliere e ad allontanare il sonno,
svegliandosi spesso ma senza mai abbandonare il dormiveglia. Quel continuo
addormentarsi e svegliarsi gli ricordava i viaggi in macchina che la sua
famiglia era solita fare nel cuore della notte in estate, per raggiungere la
solita località di villeggiatura. Tyler preferiva guidare di notte, così da
evitare il caldo insopportabile e l’iperattività dei due figli maggiori che non
avrebbero retto a sette ore di macchina da svegli. Durante il tragitto i tre
piccoli Lockwood sonnecchiavano nel retro della jeep. A Mase dormire in auto
era sempre piaciuto. Il suo era uno svegliarsi e capitombolare nel sonno
continuo, cullato dal tragitto regolare delle ruote che si interrompeva solo
quando il sole era ormai alto nel cielo e il viaggio stava per volgere al
termine. In quel momento, mentre per la terza volta in pochi minuti Mase si
sorprese ad aprire gli occhi, si sentì esattamente come quando, durante quei
tragitti in piena notte, dormiva accucciato fra i suoi fratelli. Si passò una
mano fra i capelli, cercando di indovinare come mai tutto a un tratto si
sentisse così rilassato, così al sicuro. In quel momento riconobbe un rumore
familiare alla sua destra: quello della mina di una matita che scorre sulla
carta. Distinse anche un odore particolare, che non aveva nulla a che vedere
con quello dei famigliari. Era un odore che sapeva di conforto e protezione.
Traboccava di affetto e serenità, e per un attimo Mase fu grato alla sua
seconda natura lupesca che lo portava ad associare odori e sensazioni: lo
aiutava a inquadrare più facilmente le persone.
Si voltò, dando le spalle alla
parete. Oliver aveva lo sguardo concentrato e il blocco da disegno appoggiato
sulle ginocchia. Quando si accorse del suo risveglio gli sorrise, appoggiando
la matita sul blocco. Mason cercò di sollevarsi a sedere, ma l'amico glielo
impedì.
“Resta giù” lo ammonì con
dolcezza. “Tua madre mi ha detto che hai un bel po’ di febbre.”
Mason si alzò ugualmente.
“Mi dispiace” mormorò poi,
guardando negli occhi l’amico. “Per lo spintone…Per tutto” si corresse poi,
appoggiando la nuca al muro. “Sono stato uno stronzo.”
“Va tutto bene” lo rassicurò
Oliver, per nulla turbato. “Anche se, in effetti, se tu la smettessi di
evitarmi mi faresti un favore: è piuttosto fastidioso!” dichiarò in tono di
voce scherzoso, riprendendo a disegnare. Mason lo osservò a lungo, prima di
decidersi a parlare di nuovo. Nel corso degli ultimi minuti aveva valutato in
silenzio una trafila di espressioni più o meno allusive da pronunciare per
liberarsi del peso che lo opprimeva da settimane; alla fine si arrese ad
un’unica, diretta affermazione.
“Sono un lupo mannaro, Ol” dichiarò. Lo disse in tono di voce deciso, nonostante
la sua espressione si fosse fatta esitante. Arrossì, quando lo sguardo del
migliore amico si posò perplesso su di lui, ma non distolse il proprio, come a
voler suggerire che non stesse scherzando. “Lo sono da quando ho avuto
quell’incidente. ”
L’altro ragazzo aggrottò appena
le sopracciglia, la matita ancora sollevata a mezzaria, mentre Mason attendeva
a disagio una risposta, pentendosi tutto un tratto di aver detto la verità.
Poi, però, Oliver sorrise. Era
uno dei suoi classici sorrisi dolci e bonari, privo di alcuna nota di scherno.
Per un attimo sembrò addirittura un po’ sollevato.
“Beh, io vedo i fantasmi”
dichiarò infine, osservando divertito l’espressione interdetta dell’amico. “E
ti assicuro che non sto facendo dell’ironia.”
Mason si passò una mano dietro
la nuca, inarcando spiazzato le sopracciglia.
“Fantasmi?” ripeté nuovamente,
scrutando l’amico con attenzione. Oliver annuì.
“Un fantasma solo” si corresse
poi, sfogliando un paio di pagine del suo blocco da disegno, “Ti ricordi la
ragazza che stavo disegnando?”
Mase lo squadrò confuso per un
po’, prima di annuire. La rivelazione di Oliver era assurda e bizzarra, ma in
quel momento non aveva nemmeno la forza di allarmarsi, né aveva voglia di
rifletterci su. Era ancora assonnato e fin troppo grato ad Oliver per essere lì
in quel momento. Per non aver posto alcun tipo di domanda alla sua confessione,
limitandosi a sorridergli – comportandosi come l’Oliver di sempre, nonostante
le incomprensioni dell’ultimo periodo. Mase cercò di chiedere qualcosa
all’amico, ma rinunciò quasi subito: la testa aveva incominciato a girargli e
sentiva ancora le palpebre pesanti. Tornò a sdraiarsi, appoggiando il capo al
cuscino.
Oliver lo osservò chiudere gli
occhi, prima di tornare al suo album da disegno. Abbandonò a metà il bozzetto
che aveva incominciato quel mattino e voltò pagina, con l’intenzione di
lavorare a qualcosa di nuovo, ispirato dalle parole di Mason. Di tanto in tanto
si fermava per indirizzare una rapida occhiata verso l’amico e sorrideva,
tornando poi al disegno. Quando la mina della matita riprese a scorrere sul
foglio, Mason parlò di nuovo.
“Oliver?”chiamò, continuando a tenere gli occhi
chiusi.
“Sì?”
Il ragazzo sembrò esitare,
prima di decidersi a proseguire.
“Resti ancora un po’?”
Oliver sorrise. Si alzò dalla a
sedia e prese posto sul letto di Mason, incrociando le gambe sulla trapunta.
“Dai, torna a dormire” lo
incoraggiò, riprendendo a disegnare. Rimase ancora una mezzoretta in camera di
Mason, fino a quando Lydia non lo avvertì che fosse arrivata l’ora di
incamminarsi. A quel punto si alzò, cercando di non fare rumore.
“A più tardi” mormorò,
sfiorando con affetto la spalla del migliore amico. C’erano tante cose che gli
sarebbe piaciuto dirgli: frasi che non aveva avuto il tempo di abbozzare
nell’aria, delineandone al meglio contorni, come in uno dei suoi disegni. Ma
non aveva importanza; ci sarebbero state altre occasioni. In quel momento
l’unica cosa davvero importante era il pensiero di avere nuovamente a fianco
quel brontolone del suo migliore amico.
Pensai di svegliarla.
Ma non era necessario.
Ci sarebbero state altre notti.
E come si fa a dire ti voglio bene a una
persona a cui vuoi bene?
Ecco il senso di tutto quello che ho cercato
di dirti, Oskar.
È sempre necessario.
Molto forte, incredibilmente vicino.Jonathan SafranFoer
***
Non appena i Lockwood fecero
ingresso assieme a Oliver nel salone principale della Founding
Hall,vennero accolti dal
chiacchiericcio diffuso dei presenti. Notarono subito i due coniugi Donovan
assieme a Carol Lockwood, dall’altro lato della sala.
“Vedete Ricki da qualche
parte?” domandò Lydia, guardandosi attorno con fare apprensivo. “L’avrò
chiamato dieci volte e mi ha sempre risposto la segreteria.”
“Probabilmente è rimasto a
dormire a casa di qualcuno e ha dimenticato di avvertire” commentò Caroline,
frugando il salone con lo sguardo. Sorrise a Vicki che le stava facendo cenno
di raggiungerla, sporgendo con il capo da una porta a fondo della stanza.
“Vai pure a cambiarti” propose
Lydia alla figlia, rivolgendole un sorriso rassicurante. “Io ti raggiungo subito!”
Caroline annuì e si diresse
verso l’amica, fermandosi solo per salutare i Donovan e la nonna.
“Ma guardati!” esclamò Elena
rivolta a Oliver, una volta raggiunto il gruppetto. “Tutto vestito elegante
sembri proprio un ometto.”
Il nipote le sorrise.
“Mamma e papa sono già qui?”
chiese poi. Matt scosse il capo.
“Loro no, ma tuo fratello è
venuto con noi”, rispose, dando al ragazzo una pacca sulla spalla.“Sarà sicuramente da qualche parte, intento
ad abbuffarsi di salatini.”
“Aguzza bene la vista per trovarlo,
perché non si è fatto il crestino, oggi!” comunicò Elena, sorridendo divertita.
Oliver rise.
“Vado a cercarlo!” annunciò
infine, prima di allontanarsi verso i tavoli del rinfresco. Quando anche Oliver
se ne fu andato, le espressioni dei cinque adulti si fecero d’un tratto meno
distese.
“Mason come sta?” domandò
subito Carol, rivolta a Tyler.
“Sta bene, mamma” la rassicurò
l’uomo, rivolgendo un’occhiata furtiva a un gruppetto di persone dall’altro
lato della sala. Incrociò lo sguardo dello sceriffo Fell e i due si scambiarono
uno sguardo ostile. La rabbia gli arrovellò allo stomaco e la sua espressione
si fece furente: gli sarebbe bastato un rapido scatto in avanti per strappargli
via la testa del corpo e a quel punto la sua famiglia sarebbe stata finalmente
al sicuro.
Accorgendosi del suo cambio di
espressione, Lydia gli poggiò una mano sull’avambraccio. Tyler distolse lo
sguardo dallo sceriffo e tornò a voltarsi verso la madre. “L’abbiamo lasciato a
casa con Caroline Forbes.” spiegò infine. “A sua sorella e a Oliver abbiamo
detto che aveva l’influenza.”
“Forse è un bene che Caroline
non ci sia” esordì in quel momento Matt, indicando con il capo Leanne
Willard-Forbes, che in quel momento era impegnata in una conversazione con il
professor Lester. “Quella donna non fa altro che gironzolare attorno a Fell. Se
riuscisse a riconoscere Care non credo che impiegherebbe molto a parlarne con
quell’idiota patentato dello sceriffo.”
“Faremo tutti attenzione”
concluse Lydia, incrociando lo sguardo del marito, che annuì. La conversazione
piombò nel silenzio fino all’arrivo dei due coniugi Gilbert. Mentre le quattro
donne uscivano dal salone per andare ad aiutare Vicki e Caroline a prepararsi,
Tyler riprese a parlare.
“C’è un’altra cosa che volevo
dirvi” disse.Raccontò brevemente di ciò
che era accaduto la notte precedente, soffermandosi sulla conversazione fra
Fell e il professor Lester e sul ritrovamento del cadavere di Finn.
“Sembrava essere morto da
parecchi giorni” concluse, osservando le espressioni inorridite dei due uomini.
“Non è strano che il cadavere
sia saltato fuori proprio la sera della luna piena?” domandò Matt, preoccupato.
“Non pensi che qualcuno stia cercando di incastrarti?”
Tyler gli rivolse un’occhiata
pensosa, prima di scuotere il capo.
“Può essere. Ma è più probabile
che questo qualcuno abbia abbandonato il corpo nel bosco semplicemente per
liberarsene” concluse, “Chissà da quanto tempo era lì prima che lo trovasse
Ricki.”
“Da come lo hai descritto
sembrerebbe più opera di un animale, che di una persona” osservò Matt. “E se
fosse stato un vampiro?” azzardò, abbassando il tono di voce. “Ce ne sono in
giro che si dedicherebbero a martoriare così un cadavere.”
“Non fra quelli che conosciamo”
si inserì improvvisamente nel discorso Jeremy: quel mattino sembrava
particolarmente assente. Continuava a rivolgere occhiate pensierose ai suoi
figli che stavano chiacchierando di fronte al buffet. “Se si tratta di un
vampiro deve essere qualcuno di passaggio che non si pone quindi il problema di
coprire le proprie tracce. O qualcuno di inesperto. Altrimenti non avrebbe
abbandonato il corpo in bella vista.”
La conversazione dei tre uomini
venne interrotta dal ritorno di Carol. Tyler si guardò attorno un’ultima volta
alla ricerca del figlio maggiore, prima di rassegnarsi a seguire la madre e i
due amici al centro della stanza, attendendo l’inizio della cerimonia.
***
In attesa dell’arrivo di Lydia,
Caroline seguì Vicki nella stanza adiacente al salone principale. Le altre
partecipanti –tutte ragazze del suo
liceo - erano intente a truccarsi o a sistemarsi i capelli, aiutate dalle madri
o dalle sorelle. Delle concorrenti, oltre a Vicki, conosceva bene solo Harper,
la figlia dello sceriffo. La salutò con un cenno della mano e la ragazza
ricambiò con un sorriso, mentre Victoria tornava indietro con in mano una
trousse di trucchi. Solo a quel punto Caroline ebbe il tempo di osservare per
bene l’abito bianco che fasciava il corpo slanciato dell’amica.
“Vicki, sei bellissima!”
esclamò, osservandola improvvisare una posa elegante. La giovane le sorrise,
visibilmente emozionata.
“Ne ho scelto uno corto, perché sapevo già che
altrimenti tuo fratello avrebbe trovato il modo di pestarmelo tutto”spiegò, alludendo al vestito. “La sua
imbranataggine è adorabile, ma non ci tengo molto a rimanere in mutande nel bel
mezzo della pista da ballo.”
Caroline si morse il labbro di
fronte all’entusiasmo di Victoria: Ricki non era ancora arrivato e la cerimonia
avrebbe avuto inizio entro una quindicina di minuti al massimo.
“Ma dove si è cacciato?”
domandò poi la ragazza, sbirciando oltre la porta che dava sulla sala
principale. L’amica sospirò.
“Ricki non è ancora arrivato,
Vic” ammise infine, mettendosi a mangiarsi le unghie. Era un vizio che aveva da
sempre e il nervosismo lo alimentava con facilità anche in momenti come quello,
dove tutto ciò che doveva fare sarebbe dovuto essere mostrarsi carina, posata e
in ordine. Vicki si voltò verso di lei.
“In che senso non è ancora
arrivato?” domandò, sgranando appena gli occhi. “Non è venuto con voi?”
La vivacità nello sguardo della
ragazza sfumò lentamente, mentre Caroline scuoteva il capo.
“Sicuramente sta arrivando”
cercò poi di rassicurare l’amica. Vicki rimase in silenzio per un po’, prima di
lasciarsi sfuggire un sospiro.
“Non fa niente.” Mormorò
infine, con espressione rassegnata. “Questo significa che avrò ancora i piedi
tutti interi al termine della cerimonia” dichiarò poi, tornando a sorridere.
“Per fortuna è venuto anche Eric: vado a chiedergli se gli va di farmi da
cavaliere!”
“Vic…” la interruppe Caroline,
prendendole le mani per confortarla. “Ricki sarà pure un rincitrullito per
molte cose, ma non è il tipo di persona che si tira indietro quando decide di
fare una cosa: arriverà.”
Victoria annuì, ma nonostante
si sforzasse di esibire il solito sorriso sbarazzino non sembrava molto
convinta.
“Vado comunque a chiamare Eric”
comunicò infine, abbandonando la stanza. Caroline sospirò; raggiunse la sua
borsa per recuperare il cellulare e controllò il display, ma non c’era alcun
messaggio da parte di Ricki. Per un attimo si sentì smarrita: un po’ le
spiaceva non avere al suo fianco i suoi fratelli, quel giorno. Sapeva che Mase
era a letto con l’influenza, ma non vedeva Rickidalla sera precedente e in quel frangente le
era sembrato teso, perciò non riuscì a non sentirsi un po’ preoccupata.
“Io lo ammazzo” borbottò fra
sé, controllando per l’ultima volta il cellulare, prima di riporlo nella borsa.
“Giuro che gli farò il sedere a strisce se non si presenta al più presto e con
una scusa più che credibile: ho una mazza da lacrosse a casa e non ho paura di
usarla.”
Un paio di ragazze partecipanti
alla cerimonia si voltarono a osservarla. Caroline diede una scrollata di
spalle, ignorando il loro cipiglio stizzito: non era mai stata molto curata nel
modo di esprimersi e non era esattamente l’emblema della femminilità, ma non
avrebbe di certo incominciato a cambiare quel mattino. Sbuffando, si avvicinò
alla porta che dava al salone principale e la socchiuse per sbirciare
attraverso lo spiraglio. Individuò sua madre e sua nonna che parlavano fitto
fitto con Hazel e gli altri membri del comitato per le feste: probabilmente
stavano cercando di posticipare di poco la cerimonia, fino all’arrivo di Ricki.
A qualche metro di distanza, di fronte al tavolo degli stuzzichini, Caroline
trovò la persona che stava cercando. Xander sembrava intento a strafogarsi di
pizzette e rotolini farciti. Gli fece cenno con la mano e, dopo il terzo
stuzzichino, il ragazzo finalmente se ne accorse. Sorrise allegro e sventolò la
mano nella sua direzione. Si indicò poi orgoglioso la testa, accennando ai
capelli pettinati all’indietro e alla totale assenza di crestino. Caroline gli
mimò un ‘bravo’ con le labbra e poi gli sorrise un’ultima volta, prima di
tornare dentro. Un barlume di entusiasmo le ravvivò d’un tratto gli occhi. Le
importava poi poco della cerimonia – in cuor suo sperava quasi che fosse Vicki
a vincere -ma non vedeva l’ora di
scendere quella gradinata sotto lo sguardo ammirato dei presenti e di afferrare
il braccio del suo sorridente cavaliere senza cresta.
***
“This was really important to
my mother. It’s a legacy she left for me.”
(Elena)
Episode 1x19. Miss Mystic Falls
Harper si sistemò l’ultimo fermaglio tra i capelli.
Quando finalmente anche l’acconciatura fu in ordine, si sedette allo sgabello
di fronte allo specchio, lasciandosi aiutare dalla zia Meredith per il trucco.
A lavoro ultimato, osservarono entrambe con un
pizzico d’orgoglio il riflesso sorridente della ragazza.
“Sei meravigliosa” commentò infine la donna,
poggiandole entrambe le mani sulle spalle. “Sei senz’altro la nipote più bella
e in gamba della cittadina: ma forse sono troppo di parte, uh?”
“Giusto un tantino!” ribatté la ragazza con un
guizzo divertito nello sguardo, lisciando poi un lembo del suo abito con la
mano. “Grazie per essere qui” mormorò infine, rivolgendo alla donna un sorriso
riconoscente. Meredith le prese una mano e la strinse con dolcezza.
“Non me lo sarei persa per niente al mondo”
rispose, “So quanto questo concorso sia importante per te e per Gabriel. E,
anche se non riesce a dimostrarlo, tuo padre è molto orgoglioso di te.”
La ragazza annuì, ricambiando la stretta della zia.
“Andiamo a cercare Leo?”chiesepoi, raggiungendo la porta che dava al salone principale. Cercò suo
fratello con lo sguardo e lo trovò poco dopo, intento a chiacchierare con il
più piccolo dei fratelli Gilbert. Leo la notò e si congedò da Oliver, prima di
andare incontro a lei e a Meredith.
“Sembro un pinguino!” si lamentò immediatamente il
ragazzo, accennando al suo smoking.
“Sciocchezze!” lo contraddisse la zia. “Sei un
figurino, vestito così! Che te ne pare?” domandò poi,
facendo girare Harper su se stessa. Leo rivolse a entrambe un sorriso luminoso.
“Sei bellissima” dichiarò poi rivolto a sua sorella,
“Somigli tanto alla mamma” aggiunse, con il suo solito candore. Harper gli
sorrise.
“Grazie, pulce” mormorò, scompigliandogli i
capelli. Lo sguardo della ragazza si soffermò per qualche istante sulla sala,
come se fosse alla ricerca di qualcuno in particolare.Individuò suo padre intento a parlare con
delle persone che non conosceva, ma non riuscì a intercettare il suo sguardo:
come sempre sembrava più interessato al suo lavoro che ai tre membri della sua
famiglia.
“Vado a trovarmi un buon posto all’ingresso per
godermi al meglio il tuo arrivo. Tu dovresti tornare dentro, tesoro” le fece
notare Meredith, prima di fare cenno al nipote di seguirla. “Andiamo, Gabriel.”
Leo sorrise un’ultima volta alla sorella e seguì la
zia verso la scalinata. Harper li osservò allontanarsi per un po’, prima di
tornare indietro verso la porta che dava alla saletta adiacente.
***
Erano ormai le undici passate, quando Mason si
convinse ad alzarsi dal letto. Il dolore della trasformazione era scomparso, ma
si sentiva insolitamente caldo e febbricitante come se si fosse svegliato nel
bel mezzo di una torbida estate Californiana. Prese un paio di jeans a caso
dall’armadio e se li infilò, prima di scendere in salotto ancora a torso nudo.
Caroline gli sorrise vedendolo arrivare dalle
scale.
“Buongiorno!” lo salutò allegramente. Mase aggrottò
le sopracciglia, bloccandosi all’ingresso.Le rivolse un’occhiata perplessa prima di raggiungerla.
“Dove sono tutti?” chiese poi, passandosi una mano
dietro la nuca.
“Alla cerimonia di Miss Mystic Falls” rispose la
vampira, “Come ti senti?”
Mason prese posto sul divano.
“Brucio” farfugliò, sistemandosi i capelli sulla
fronte.“È come
se mi stesse andando a fuoco la pelle.”
“È normale” lo tranquillizzò la ragazza. “Il tuo
corpo sta cercando di abituarsi alla maledizione. Il sistema immunitario la
vede ancora come un qualcosa di esterno, una minaccia, e così la temperatura si
alza. Nei prossimi mesi te ne accorgerai sempre meno.”
Mason annuì, cercando di ignorare l’ultima frase di
Caroline: non si sentiva ancora pronto per pensare alle trasformazioni future.
“E queste cose, a te, chi te le ha dette?” chiese,
mentre la ragazza si sedeva accanto a lui. La vampira sorrise.
“Nessuno: le ho imparate da sola.”
“In che modo?” insistette il ragazzo. Sembrava più
che altro incuriosito, deciso a far dissolvere l’alone di mistero che aleggiava
attorno a quella ragazza. “Dubito che esistano dei manuali sul come gestire la licantro..”
La voce di Mase si smorzò e il suo volto si
contrasse in una smorfia di dolore.
“Fanculo, fa male” si lamentò a bassa voce il
ragazzo, fasciandosi il torace con le braccia. “Ho la pelle che brucia.”
“Dovresti farti un bagno” gli suggerì la
vampira,“Vedrai che ti aiuta.”
Mason annuì, affrettandosiraggiungere le scale. Una volta sola, la
vampira incominciò ad aggirarsi per il soggiorno alla ricerca di qualcosa da
fare. Aveva sempre preferito la compagnia alla solitudine e quando aveva dei
tempi morti si sentiva un po’ a disagio, non essendo abituata al silenzio.
Sfogliò un paio di riviste che erano state lasciate su un comodino e diede
un’occhiata a ciò che stavano trasmettendo in quel momento in TV,ma dopo un’ora incominciò ad indispettirsi, domandandosi
se non fosse il caso di salire a controllare. Era probabile che Mase fosse
semplicemente tornato in camera sua, ma il vizio cronico del ragazzo di
allontanarsi all’insaputa di tutti la insospettiva. Inoltre, un po’ la
amareggiava quella distanza che il ragazzo cercava sempre di mettere fra se
stesso e il resto del mondo – lei inclusa. Si stava ormai affezionando alla sua
compagnia: i dieci minuti trascorsi assieme a lui oscillavano ancora a coprire
l’ora di vuoto che li aveva seguiti.
Dopo qualche minuto un rumore leggero si frappose
al silenzio della casa, ma era solo Silver che fece ingresso nel soggiorno
scodinzolando. Raggiunse il centro della stanza e si accoccolò sul tappeto di
fronte a Caroline.
“Ehi!” la salutò intenerita la vampira, felice di
avere finalmente un po’ di compagnia. “Secondo te che cosa sta combinando quel
musone del tuo padroncino?” la interrogò poi, affondando la mano nel manto
dell’animale. Silver rotolò sulla schiena e si lasciò grattare la pancia,
agitando di tanto in tanto la coda. Dopo averla coccolata per un paio di minuti
Caroline si alzò in piedi, decidendosi a salire le scale per andare a
controllare cosa stesse facendo il ragazzo.
“Mase?” lo chiamò, bussando alla porta del bagno.
Seguì un silenzio interrotto solo dal rumore dell’acqua e da uno sbuffo
infastidito che non sfuggì all’udito ipersensibile della vampira.
“Che c’è?” rispose finalmente il ragazzo in tono di
voce strascicato. Caroline si mise a braccia conserte.
“Che stai facendo? È più di un’ora che seilì dentro.”
“Sto bene”, si limitò a rispondere il ragazzo.
“Torna pure di sotto.”
Caroline si accigliò.
“Mase, esci di lì.”
“Ho detto che sto bene” ribadì il ragazzo con fare
annoiato.
La vampira roteò gli occhi, irritata dal suo tono
di voce.
“Guarda che sto entrando” comunicò infine, aprendo
la porta del bagno. La scena che si trovò davanti le strappò un risolino. Mason
era ancora immerso nell’acqua schiumosa della vasca, ma i gomiti erano
appoggiati al bordo, mentre le sue mani erano intente a sfogliare un libro.
“Cosa ti ridi?” domandò scontrosamente il ragazzo,
arrossendo.
“Ti sei
messo a leggere” osservò la vampira, scuotendo il capo divertita, “Non potevi
farlo dopo essere uscito dalla vasca?”
Mason sbuffò.
“Di certo non avrei potuto farlo di sotto con te a
fianco, perché non saresti stata zitta un attimo” ribatté, portando le braccia
nella vasca per coprirsi. “Te ne vai o no? Forse non te ne sei accorta, ma sono
un tantino nudo.”
Ancora una volta la ragazza si mise a ridere.
“Me ne sono accorta, ma non mi scandalizzo di
fronte a un quindicenne magrolino in una vasca da bagno” lo prese in giro,
alimentando il rossore sulle guance del ragazzo,“Quindi smettila di brontolare ed esci di
lì.”
Mason distolse lo sguardo con espressione più
scontrosa che mai.
“Non sono
magrolino” borbottò fra sé, tornando a leggere il suo libro. Caroline inarcò un
sopracciglio.
“Mase… se mangi un po’ meno sparisci” gli fece
notare. Il giovane roteò gli occhi.
“Ma chi sei, mia madre?”
“Peggio” ribatté la ragazza con un sorriso. “Lo
sai, ora che sei un licantropo dovresti cercare di irrobustirti” aggiunse,
“Diventi più forte ogni giorno che passa e prima o poi le persone
incominceranno a domandarsi come faccia un ragazzino secco come te ad avere
tutta questa forza. Potresti incominciare a fare un po’ di movimento.”
“Scusa, ma che ti importa di quello che faccio io?”
la rimbeccò Mason, posando il libro.
“Lo dico per te” precisò Caroline, abbozzando un
sorriso sbarazzino. “Non vorrai mica che qualcuno si insospettisca e venga a
domandarti se hai frequentato un corso di auto-difesa…” lo punzecchiò prima di
mettersi a ridere, ricordandosi di quando il ragazzo le aveva posto una domanda
simile. La frecciatina suscitò nuovamente il rossore sulle guance di Mason, che
rivolse un’occhiataccia alla vampira.
“Fottiti!”
esclamò infine, immergendo il braccio nell’acqua e spruzzando in direzione
della ragazza. Caroline si lasciò sfuggire un gridolino, colta di sorpresa.
“Hai osato schizzarmi?” esclamò stizzita,
scostandosi una ciocca di capelli dal volto. Mase abbozzò un sorrisetto.
“Pare di sì” confermò,“Vuoi che te lo faccia rivedere?” chiese,
prima di sferzare nuovamente l’acqua con la mano, sollevandone un generoso
schizzo. Caroline arretrò in fretta per non bagnarsi.
“Stai bagnando tutto il pavimento!” rimproverò il
ragazzo, recuperando un bicchiere appoggiato al lavandino. Mase non fece
nemmeno in tempo ad accorgersi delle sue manovre che un fiotto d’acqua lo aveva
già colpito in pieno volto.
“Ma come diavolo…”
Si passò il dorso della mano sugli occhi,
osservando poi la ragazza appoggiare il bicchiere sul rubinetto. Caroline gli
aveva rovesciato l’acqua addosso e lui non l’aveva nemmeno vista avvicinarsi:
come aveva fatto a muoversi così in fretta?
“Ti sei proprio impegnata” la schernì con un
sorrisetto. Afferrò poi il soffione appeso sopra al rubinetto che regolava il
getto d'acqua della vasca. Caroline gli rivolse un’occhiata di ammonimento,
seppur non riuscendo a trattenere un mezzo sorriso.
“Se apri quel rubinetto ti affogo” lo avvertì.
“Sì, come
no” la punzecchiò Mason con un ghigno, appoggiando una mano sulla manopola.
L’espressione stizzita della vampira non fece altro che accentuare l’aria
beffarda del ragazzo. Mase puntò il getto d’acqua contro Caroline e spinse la
manopola al massimo, ridacchiando divertito alla reazione furibonda della
ragazza.
Strillando, la vampira scattò in avanti e gli sfilò
il soffione di mano.
“L’hai voluto tu, stronzetto!”dichiarò, chiudendo il rubinetto e appoggiando
la mano sulla testa di Mase. Lo spinse sott’acqua, lasciandolo emergere una
manciata di secondi dopo.
Mason tossì e sputacchiò, esibendo una smorfia
disgustata per via della schiuma che gli era entrata in bocca.
“Oh ohoh, ma guarda un po’…” cantilenò Caroline, mentre il
ragazzo si stringeva le gambe al petto per coprirsi, “Non siamo più così
sbruffoni, adesso, eh?” commentò, ricominciando a spruzzarlo con l’acqua della
vasca.
“Levati di torno!” ribatté il ragazzo. Si mise a
ridere, riprendendo a schizzarla a sua volta.
Anche
Caroline rise, cercando di alzarsi in piedi senza scivolare. Era a dir poco
sorpresa da quella situazione:l’adolescente musone e scorbutico con cui era abituata ad avere a che
fare si era trasformato tutto a un tratto in una piccola canaglia dispettosa.
Non sapeva se stupirsi di più per il fatto di non aver mai sorpreso Mase a
ridere così tanto o per quello di essersi accorta, cogliendo distrattamente il
suo riflesso nello specchio, di avere a sua volta un sorriso che andava da
guancia a guancia.
“Direi che per oggi può bastare” si sentì in dovere
di concludere, attraversando il bagno per tenersi fuori portata dagli attacchi
del ragazzo. “Abbiamo allagato tutto, i tuoi genitori mi uccideranno!”
aggiunse, guardandosi allarmata attorno.
Mase diede una scrollata di spalle.
“Nah, daranno la colpa a
me” la rassicurò, allungandosi, per prendere l’asciugamano. “Ti spiacerebbe
concedermi un po’ di privacy almeno mentre esco dalla vasca? O hai intenzione
di starmi addosso per il resto della giornata?”
Caroline gli rivolse un’occhiata critica,
trattenendo a stento l’impulso di spingergli la testa sotto l’acqua una seconda
volta.
“Vado ad asciugarti questo” dichiarò infine,
sventolandogli il libro sotto il naso. “Prenditi pure tutta la privacy che
vuoi…”
“Ti ringrazio” commentò asciutto il ragazzo,
frizionandosi i capelli con l’asciugamano.
“ …Tanto
quello che ti ostenti a nascondere l'ho già visto alla cripta, no?”non riuscì a trattenersi dall’aggiungere
Caroline, abbozzando un sorrisetto malizioso. Le guance di Mason tornarono a
tingersi di rosso.
"Anche se, in effetti, non è che ci fosse poi
così tanto da vedere..." lo stuzzicò ulteriormente la vampira.
“Te ne vai o no?” ripeté scontrosamente il ragazzo.
“Va bene, va bene!” lo tranquillizzò Caroline,ridacchiando, prima di decidersi a
raggiungere la porta.
***
Xander allungò la mano per prendere l’ennesima
pizzetta da un vassoio; si guardò vivacemente attorno alla ricerca di qualche
volto conosciuto. Suo fratello era rimasto con lui fino a qualche minuto prima,
ma si era allontanato per andare a salutare un amico e non era ancora tornato.
In quel momento la porta che dava alla stanza ospitanti le concorrenti al
concorso si aprì. Notò che ne era uscita la figlia dello sceriffo Fell, una sua
compagna di corsi, ma non fece in tempo a individuare Caroline, perché venne
distratto da una voce alle sue spalle.
“Lascia qualcosina per gli altri ospiti, Gilbert”
scherzò la persona che l’aveva appena raggiunto al tavolo degli stuzzichini.
“Professor Lester!” riuscì a mugugnare Xander
ancora con la bocca piena, affrettandosi a recuperare un tovagliolo. “Anche lei
qui?”
Lester gli rivolse un’occhiata pensierosa, prima di
annuire.
“Un
insegnante di storia non può perdersi ricorrenze simili” spiegò, seguendo con
la coda dell’occhio il via vai di gente che li circondava. “A che punto sei con
la relazione di storia?”
“Quasi finita!” dichiarò fiero Alexander, pulendosi
la bocca con il tovagliolo. “Avrei una domanda da farle, però.”
“Chiedi pure” rispose l’uomo. Xander rivolse
un’occhiata circospetta alle altre persone vicine al buffet, prima di
riprendere a parlare.
“Beh, ho scelto di scrivere la mia relazione sulla
battaglia di Willow Creek a Mystic Falls, nel 1865”
spiegò. Quando il professore annuì, il ragazzo riprese a parlare. “La mia
domanda è: se trovassi in casa mia una fonte scrittadi
quell’epoca che parla della battaglia, potrei usarlo per il mio compito?”
Lester aggrottò le sopracciglia.
“Che genere di fonte?”
“Un diario” specificò il ragazzo. “Scritto tra il
1864 e il 1865: apparteneva a uno dei miei avi, credo.”
L’espressione dell’uomo, fino a quel momento
impassibile, si fece tutto a un tratto attenta.
“Apparteneva
a Jonathan Gilbert?”
Xander sgranò gli occhi, stupito dalla domanda del
professore.
“Sì, proprio a lui. E lei come faceva a saperlo?”
Il professore non gli rispose. Xander prese una
manciata di salatini da uno dei contenitori e proseguì con il discorso.
“Il punto è…” biascicò, dopo essersi riempito la
bocca. “ … che in questo diario il mio antenato parla anche di cose un
po’…Strambe. Chepoi è il motivo per cui
le ho fatto tutte quelle domande la settimana scorsa in classe: sa, le leggende
che circolano su Mystic Falls, i vampiri e tutto il resto.”
Lester annuì più volte, continuando a mantenere il
silenzio.
“Pensi che potresti mostrarmi questo diario?”domandò infine, mettendosi a frugare in una
tasca della giacca. Xander si aspettava che ne avrebbe tirato fuori un paio di
occhiali o un blocchetto per appunti –il genere di cose che associava in
automatico alla sua idea di insegnante - ma l’uomo si limitò a prendere un
accendino e un pacchetto di sigarette.
“Penso di sì” rispose infine il ragazzo con
espressione incerta. “Come mai lo vuole vedere?”
L’uomo prese una sigaretta dal pacchetto e rimise
le restanti in tasca.
“Volevi saperne di più riguardo ai vampiri e aciò che li lega a
Mystic Falls, giusto?”
Il ragazzo annuì.
“Forse è arrivato il momento di darti qualche
risposta, allora.” Concluse Lester. “ E quel diario ci sarebbe d’aiuto. Sei
l’erede di una delle quattro famiglie fondatrici ed è giusto che tu conosca
almeno in parte il segreto che accomuna i Gilbert, i Lockwood, i Forbes e i
Fell. Ora, se vuoi scusarmi…” concluse poi, mostrandogli la sigaretta e
indicandogli l’uscita.
“Ma certo!”
Xander lo osservò allontanarsi con espressione
pensierosa, riflettendo sugli ultimi scambi di battute che aveva avuto con il
professore.
***
Poco distante Harper si stava ancora aggirando
vicino ai tavoli del buffet, in attesa di raggiungere le altre aspiranti miss
nella saletta. Aveva appena ricevuto un messaggio dal suo accompagnatore,
Bryant, e lo stava cercando per assicurarsi che si ricordasse dove aspettarla
per accompagnarla sulla pista da ballo. Voleva molto bene a Bryant –tiravano di
scherma assieme fin da bambini – ma l’amico era anche una delle persone più
smemorate e confusionarie di sua conoscenza, perciò voleva assicurarsi che non combinasse
alcun disastro. Harper era sul punto di tornare indietro per cercarlo
dall’altra parte del salone, quando per caso ascoltò parte della conversazione
che stava avendo luogo fra il suo professore di storia e uno dei suoi compagni
di corso, Alexander Gilbert.A catturare
la sua attenzione fu il fatto che nel discorso dell’insegnante venissero
menzionati i Fell. Rimase in silenzio, fingendo di essere intenta a scegliere
uno degli stuzzichini; Lester stava parlando di un segreto legato alle quattro
le famiglie fondatrici, tra cui i Lockwood. La mente della ragazza prese a
lavorare rapidamente, portandola a riflettere sugli stralci di conversazione
fra suo padre e sua zia che aveva origliato di frequente. Che quel segreto
fosse legato all’accanimento dell’uomo nei confronti di quelle persone?
Xander aveva anche menzionato delle leggende,
racconti simili a quelli di cui aveva spesso sentito parlare per via del padre.
L’attenzione di Harper venne attirata da un paio di parole in particolare: una
era ‘diari’. Il suo compagno di classe aveva una testimonianza scritta che
confermasse quelle leggende? E i vampiri che cosa centravano?
I pensieri della ragazza vennero interrotti dal
saluto amichevole del maggiore dei fratelli Gilbert, che si era appena accorto della
sua presenza al tavolo del rinfresco. Solo in quel momento Harper si accorse
che l’insegnante si stava allontanando verso l’ingresso.
“Ehilà!” la salutò con un sorriso Xander, prima di
accennare al suo abito con un cenno del capo. “Urca! Stai benissimo!”
Harper ricambiò il sorriso.
“Grazie!” rispose, improvvisando scherzosamente una
riverenza. “Che fine ha fatto la tua cresta?”
Xander si passò una mano sui capelli lisci.
“Ho dovuto farne a meno per oggi, anche se un po’
mi manca…Povero Tino: non vorrei mai che si sentisse abbandonato dal suo papà!”
scherzò, prima di cambiare argomento. “Chi è il tuo accompagnatore?”
“Bryant Cooper” rispose la ragazza, riprendendo a
guardarsi attorno. “Che tra l’altro dovrebbe essere qui da qualche parte, ma
non riesco a trovarlo.”
“Cooper!”
ripeté Alexander, improvvisamente ravvivato. Conosceva piuttosto bene Bryant,
perché era il portiere della quadra di hockey della scuola. “Sono contento che
ci sia anche lui, deve ancora scusarsi per avermi massacrato all’ultimo allenamento.”
Harper sorrise, ma non aveva prestato molta
attenzione alle sue parole: la mente della giovane era ancora impegnata in
tutt’altro tipo di riflessioni.
“Ho visto che stavi parlando con il nuovo supplente
di storia” affermò infatti poco dopo, “Sembra essersi ambientato bene qui.”
Xander diede una scrollata di spalle.
“Direi di sì. Anche se, pur essendo nuovo, sa tante
di quelle cose su di noi che un po’ mi da i brividi!” ammise, stringendosi
nelle braccia. “Ed è pure un gran curiosone!
“In che senso “su di noi?” chiese Harper,
rivolgendogli un’occhiata interrogativa. Xander si procurò un piatto e lo
riempì di salatini.
“Intendevo dire che sa tante cose sulla storia
delle nostre famiglie. E secondo me vorrebbe anche saperne di più, perché mi fa
sempre un mucchio di domande.” concluse, riempiendosi la bocca di cibo per
l’ennesima volta. L’espressione di Harper si fece d’un tratto insospettita.
“Che c’è di speciale nella nostre famiglie da poter
interessare così tanto un professore che arriva da New Orleans?”
Xander fece di nuovo spallucce. Prima che potesse
risponderle, tuttavia, la sua attenzione venne catturata da qualcos’altro. Le
ragazze iscritte al concorso avevano appena fatto ingresso nel salone
principale e si stavano avviando verso la gradinata sotto lo sguardo
incuriosito di tutti i presenti. Xander individuò subito Caroline e si sorprese
ad osservarla incantato per qualche istante. Provò quasi impaccio,
nell’accorgersi di quanto fosse rimasto colpito nel vedersela arrivare così
bella, posata e femminile – in aperto contrasto con la Caroline giocosa e
maschiaccio che era solito coccolare con affetto quasi fraterno.
Nell’individuare la sua espressione sorpresa
Caroline estese il suo sorriso, facendogli cenno con la mano di raggiungerla.
“Puoi scusarmi?” domandò meccanicamente Xander
rivolto ad Harper, prima di incamminarsi verso la gradinata. La ragazza annuì,
seppur apparendo a sua volta ancora distratta.
Qualcuno gli bussò sulla spalla e Harper riuscì
finalmente a mettere momentaneamente da parte i suoi pensieri. Era un ragazzo
alto e corpulento, in smoking.
“Ti ho trovata, finalmente!” esclamò Bryant,
trafficando con il nodo della cravatta. “Nel messaggio hai scritto che stavi
parlando con Gilbert e mi sono messoa
cercare qualcuno con un crestino da gallo in testa, ma lui non l’aveva, per
questo non vi trovato!”
“L’importante è che sei qui ora” lo rassicurò la
ragazza, spostando poi lo sguardo verso la gradinata. “Devo salire con le altre
ragazze. Hai capito dove devi aspettarmi?”
L’amico annuì.
“Sono quasi convinto di sì, ‘Leen*,
ti prometto che non farò danni” rispose tranquillo il ragazzo, osservando le
altre concorrenti che erano già ai loro posti. “Ma quella è la Lockwood?”
domandò poi, notando la ragazza bionda a cui era appena andato incontro Xander.
Harper abbozzò un sorrisetto.
“Sì, Cooper, è lei. Sappi che se ti metti a
sbavarmi sul vestito le chiedo in prestito la mazza da lacrosse e te la tiro in
testa” commentò, notando l’espressione imbambolata del suo cavaliere, “La
smetti di tormentare quel povero affare?”aggiunse poi, alludendo alla cravatta.
Bryant si grattò la testa con fare imbarazzato.
“Ti prego, mi aiuti a sistemare il nodo?” la
supplicò. “Mi sono impegnato per farlo bene, ma è
venuto male comunque: sono una frana con queste cose.”
“Sei il solito casinista” commentò affettuosamente
Harper, abbozzando un sorriso. Lo aiutò con il nodo e si avviò apasso svelto verso le altre ragazze,
sforzandosi di pensare solo allo sguardo ammirato dei presenti, all’occhiolino
incoraggiante di Bryant e al sorriso raggiante di sua zia e di suo fratello.
Tuttavia, un unico pensiero fastidioso continuava a tormentarla, nonostante in
quel momento lo trovasse decisamente fuori luogo. Il ricordo della
conversazione origliata fra Xander e il professor Lester la distraeva, perché
era convinta del fatto che fosse in qualche modo legato al litigio fra suo
padre e la zia Meredith. Si era annotata mentalmente tre cose che, pensava,
l’avrebbero aiutata a trovare una risposta alle sue domande: Mystic Falls,
1864. Vampiri.
***
“Youseem to be in a good mood.”
“Isthat a badthing?
Wouldyouprefer me to be brooding and tortured?
“Hey, I’mnotcomplaining!”
(Elena e Stefan)
Episode 1x19. Miss Mystic Falls
Dopo aver concesso a Mason la
sua tanto bramata privacy, Caroline si spostò in camera sua per aspettarlo. Il
ragazzo arrivò qualche minuto più tardi, tenendo in mano una T-Shirt ripiegata.
“È di mia sorella” spiegò in
risposta all’occhiata interrogativa della ragazza, passandogliela. “Così puoi
cambiarti”.
Caroline gli sorrise.
“Ti ringrazio”rispose, osservandolo recuperare il libro che
gli aveva appoggiato sul comodino.“Credo che mi sia entrata acqua addirittura nei calzini, sei proprio unostronzetto.”
Mason diede una scrollata di
spalle.
“Se hai bisogno di altri
vestiti, li puoi prendere in camera di Caroline” spiegò, sedendosi sul
letto.“Puoi cambiarti qui, se vuoi”
aggiunse, abbozzando un sorrisetto malandrino. La vampira inarcò un
sopracciglio.
“Dovrei spogliarmi con te nella
stanza?”
Il ragazzo fece nuovamente
spallucce.
“Beh, tu mi hai visto nudo,
quindi non vedo perché no.”
“Ma senti un po’ questo!” lo
rimbeccò Caroline, schiaffeggiandolo con la maglietta. Mason ridacchiò,
sollevando un braccio per ripararsi. La giovane scosse il capo con fare
esasperato, per poi concedersi un sorriso. Erano rare le volte in cui lo vedeva
comportarsi come un semplice ragazzino della sua età – senza l’espressione tesa
e diffidente che caratterizzava di norma il suo volto. Ipotizzò che
quell’ondata improvvisa di buon umore fosse collegata al fatto di aver superato
la prima luna piena.
“Ti senti meglio?” domandò, con
una punta di apprensione nello sguardo. Mase annuì; aprì il libro e riprese a
leggere.
“Perché non sei andata alla
cerimonia?” chiese poi.
Caroline sospirò.
“Non sono cresciuta a Mystic
Falls, quindi non mi interesso molto alle sue tradizioni” mentì. Richiamò alla
menteil ricordo ancora vivido del
giorno in cui era stata eletta Miss della cittadina. Risaliva ormai a una trentina
di anni prima, ma era stato uno dei suoi momenti più belli e significativi
della sua adolescenza e al rievocarlo le spuntava sempre un sorriso.
Mason le rivolse un’occhiata
poco convinta.
“I Forbes sono una delle
quattro famiglie fondatrici. Se ti fossi candidata ti avrebbero iscritto al
concorso di volata” osservò.
“Non fa niente, tanto non avevo
un cavaliere” rispose la ragazza. Ricordò in silenzio il momento in cui aveva
sceso le scale della Hall dei fondatori in compagnia del suo accompagnatore. Quel
pomeriggio Matt non aveva potuto accompagnarla, ma si erano rifatti alla
parata, di cui ricordava ancora bene il bel carro intarsiato di fiori a bordo
del quale lei salutava sorridente, con il braccio del fidanzato che le cingeva
il fianco.
Mase fece spallucce.
“Figurati se una come te non lo
trovava...” commentò, voltando pagina.
Caroline gli rivolse
un’occhiata sorpresa, distolta d’un tratto dai ricordi della sua adolescenza.
"Una come me?" ripeté,
cercando di capire cosa intendesse.
Mase annuì, ma la sua
attenzione sembrava già essersi nuovamente spostata al suo libro: come al
solito, l’intenzione del ragazzo di fare conversazione era sfumata piuttosto in
fretta.Caroline decise di lasciarlo
leggere tranquillo. Si spostò nella camera a fianco per cambiarsi e, una volta
tornata, accese il televisore. Non voleva insistere con Mason, ma non le andava
nemmeno di attendere da sola in salotto il ritorno degli altri Lockwood.
Facendo zapping trovò una vecchia telenovela e incominciò a seguirla. Dopo
nemmeno dieci minuti, Mase incominciò a mostrare segni di irrequietezza.
“Questi programmi mi danno sui
nervi” commentò infine, rubandole il telecomando di mano. “Non c’è proprio
nient’altro che vuoi vedere?”
Caroline gli diede uno
schiaffetto sul polso.
“Giù le mani, peste” lo ammonì,
riappropriandosi dell’oggetto. “Non si ruba il telecomando agli ospiti: cos’è,
siamo già diventati migliori amici?”
Mason cambiò canale, scuotendo
il capo.
“Scordatelo: ce l’ho già il
migliore amico” ribatté.
“Comunque, smetterei volentieri
di guardare la telenovela, se ti degnassi di rivolgermi la parola” commentò la
vampira , spegnendo il televisore. “Perché non chiacchieriamo un po’?”
“Ma abbiamo già
chiacchierato”le fece notare Mase,
abbozzando un sorrisetto.
Caroline gli rivolse
un’occhiata interdetta.
“Nemmeno due minuti!”contestò.
Il ragazzo roteò gli occhi,
lasciando ricadere il capo sul cuscino.
“Com’è New York?” si arrese
infine. Caroline sorrise.
“È bella, movimentata” rispose,
avvertendo una lieve fitta di nostalgia. “A Stefan piace definirla fresca.
Penso intenda dire che lì si riesce sempre a scovare qualcosa di nuovo.”
“Stefan è tuo ragazzo?”
“Il mio migliore amico” lo
corresse la ragazza.
“E non ti manca?”
Caroline annuì
“Molto” ammise. Viveva assieme
a Stefan ormai da più di dieci anni e i primi tempi, dopo il suo ritorno in
Virginia, aveva trovato difficile dissimulare l’abitudine di averlo sempre
attorno. “Ma nemmeno lui è a New York in questo momento: è andato a trovare suo
fratello a New Orleans.”
Mason assunse un’espressione
pensierosa.
“Non credo che riuscirei a
vivere da un’altra parte rispetto a Oliver” ammise infine, prima di rivolgere
alla ragazza un sorriso sornione. “E a Stefan l’hai detto che ti sei presa una
sbandata per un tizio di mezza età?” chiese, intrecciando le dita dietro la
nuca e appoggiandosi al muro dietro al letto. Caroline gli rivolse un’occhiata
allibita
“Scusa?”
“Sto parlando di papà,
ovviamente” specificò il ragazzo. “Ho visto come lo guardi.”
“Non ho una cotta per tuo
padre!” lo rimbeccò stizzita la ragazza, seppur sentendosi d’un tratto a
disagio.
“Come vuoi” commentò, dando una
scrollata di spalle. La ragazza sospirò. Tutto a un tratto si sentì gravare
addosso il peso di tutti quei segreti che stava cercando di mantenere da quando
era tornata a Mystic Falls.
“Ci sono diverse cose che non sai, Mase” si
limitò a spiegare.
“Questo me l’hai già detto”
rispose il ragazzo. “Ma avevi anche detto che me ne avresti parlato dopo la
luna piena” le ricordò poi. Caroline ricambiò il suo sguardo per un po’, prima
di sorridere.
“Com’è che oggi sei così
chiacchierone?” osservò.
“E tu com’è che oggi ti
comporti come una della tua età? Di norma sembri vent’anni più grande.” ribatté
il ragazzo, tornando a riaprire il suo libro. Caroline glielo tirò via da sotto
il naso.
“Non ti stanchi mai di
leggere?” domandò la ragazza, scorrendo rapidamente le pagine “Non sembra
nemmeno interessante, come libro.” Aggiunse. Si aspettava l’ennesima delle sue
rispostacce, ma il ragazzo si limitò a sbuffare.
“Vuoi che metta un film?”
domandò infine Mase, dirigendosi verso il televisore.
Caroline annuì.
“Che cosa vuoi vedere?”
“Qualcosa di romantico!”
esclamò la ragazza, mettendosi comoda sul letto. Mason roteò gli occhi.
“Ma anche no.”
“Tu che cosa vuoi vedere?”
“Qualcosa di intelligente.”
“Oh, Mase… ” esordì la ragazza,
sospirando esasperata “ …non ci credo che hai quindici anni.”
Dopo qualche minuto di
battibecco i ragazzi riuscirono finalmente ad accordarsi per il film. Seguirono
i primi quindici minuti in silenzio, distratti solo dall’arrivo improvviso di
Silver che si accoccolò ai piedi del letto di fronte a loro. Mase si sentiva
ancora fiacco, ma il dolore era svanito e la sua temperatura corporea, sebbene
si sentisse ancora le mani e la fronte particolarmente calde, doveva essersi
abbassata, perché la pelle aveva smesso di bruciargli.
A venti minuti scarsi
dall’inizio del film, Mase scoccò una rapida occhiata a Caroline, aggrottando
appena le sopracciglia.
“Stai seguendo?” domandò
infine, notando la sua espressione distratta. “Se non ti piace lo possiamo
cambiare.” propose, alzandosi per raggiungere il televisore. La vampira scosse
il capo.
“No, mi piace” lo rassicurò la
ragazza, trattenendolo per il polso. “Va benissimo, davvero.”
Mason le rivolse un’occhiata
poco convinta, ma alla fine tornò a sedersi. Caroline spostò lo sguardo verso
la TV, concentrandosi sulle immagini che riempivano lo schermo. Il film che
avevano scelto sembrava interessante, ma per quanto si sforzasse non riusciva a
seguire la vicenda più di tanto. C’era qualcosa in quella stanzetta silenziosa,
nei movimenti casuali della coda di Silver e nel battito regolare del cuore di
Mase che era riuscita a rilassarla a punto tale da assopirla, quasi come una
ninnananna.Le mille problematiche
comportate dal suo ritorno a Mystic Falls erano cadute in secondo piano, così
come la paura e la frustrazione della sera precedente. Quel pomeriggio si
sentiva umana: umana quanto il corpo caldo del ragazzo seduto di fianco a lei.
Per questo le venne spontaneo appoggiare il capo sulla spalla di Mase per
racimolare un po’ di quel calore. Finse di dimenticare per un istante quanto lo
mettesse a disagio quel genere di contatto e le fu di conforto scoprire che il
ragazzo non sembrava intenzionato a scansarsi. Cullata da quella atmosfera
confortevole Caroline socchiuse gli occhi, ignorando il fatto che il tempo di
comportarsi come una ragazzina fosse sfumato ormai da tempo.
***
“In the running for miss
Mystic Falls?”
“Sometimesyouhave
to wearunconfortablehills to blend in.
I rememberthisevent from 1864; I wassupposed to enterbeforeeverythinghappened.”
“Ahh…Nostalgia’s a bitch.”
(Damon & Annabelle)
Episode 1x19. Miss Mystic Falls
Caroline trasse un profondo
respiro, mentre Harper si preparava a scendere la gradinata per prima: stando
all’ordine alfabetico a cominciare avrebbe dovuto essere Victoria, ma Carol
Lockwood aveva pensato di farla scendere alla fine, nella vana speranza che
Ricki si presentasse all’ultimo minuto. Caroline si affacciò oltre la
ringhiera, osservando con un sorriso i cinque cavalieri che avrebbero scortato
le partecipanti al concorso: Bryant era il primo seguito da Alexander, che
continuava a guardare in alto verso di lei, come se avesse paura di commettere
qualche errore. Caroline gli sorrise e si avvicinò alla scalinata, mentre
Harper veniva scortata fuori dalla Hall dei fondatori dal suo cavaliere. Si voltò
verso di Hazel, che aveva il compito di annunciare una ad una le partecipanti
al concorso, e la donna le fece l’occhiolino.
“La signorina Lockwood” esclamò
poi, sbirciando in basso e osservando il figlio con un pizzico di orgoglio. “E
il suo accompagnatore Alexander Gilbert.”
Caroline incominciò a scendere
la gradinata, arrossendo per gli applausi dei presenti: non aveva mai mostrato
alcun tipo di imbarazzo di fronte alle decine di persone che riempivano le
tribune durante le sue partite, ma quella era una circostanza del tutto
diversa. Mentre scendeva individuò i genitori nella calca, in prima fila
assieme ai Donovan e al signor Gilbert: sua madre la stava incoraggiando con lo
sguardo e suo padre le sorrideva orgoglioso. Quella cerimonia le parve un successo
già solo per essere riuscita a distendere per qualche minuto l’espressione d
Tyler che nel corso dell’ultimo periodo le era parso costantemente preoccupato
e nervoso.
La ragazza raggiunse finalmente
Xander che le sorrise, facendo un passo verso di lei. Lo aveva già visto un
paio di volte prima dell’inizio della cerimonia, eppure ogni volta si
sorprendeva ad osservarlo un po’ intenerita e a stupirsi, per come avesse
acconsentito a farle da cavaliere in maniera così spontanea. Per un giorno
aveva scelto di mettere da parte la cresta e gli atteggiamenti un po’ infantili
solo al fine di renderla felice.
“Sei bellissima” dichiarò in quel momento il
ragazzo, chinandosi in avanti verso di lei per farsi sentire oltre la musica.
Caroline si morse appena il labbro, sforzandosi di trattenere il sorriso più
vistoso del mondo.
Mentre la coppia attraversava
la sala per raggiungere l’esterno della Hall, Oliver li osservava sfilare con
un sorriso a pochi metri di distanza da Leo e Meredith Fell.
“Quelli sono mio fratello e la
sorella di Mason” mormorò all’improvviso, apparentemente a nessuno in
particolare. Sorrise alla sua sinistra e solo lui riuscì a scorgere lo sguardo
addolcito di una ragazza che stava ricambiando il suo sorriso.
“Lo so” rispose Annabelle,
tornando ad osservare la coppia. “Sono carini assieme!”
Oliver annuì, spostando poi lo
sguardo verso la gradinata, dove Victoria aveva appena incominciato a scendere
le scale. Tutte le partecipanti erano molto belle e sorridenti, ma quel mattino
c’era qualcosa in Vicki che colpiva in maniera particolare, puntandole conto i
riflettori: era evidente che a quel concorso tenesse davvero molto. Oliver
aveva temuto chel’assenza di Ricki
avrebbe potuto smorzare il suo entusiasmo, ma fu felice di intravedere il
sorriso solare che rivolse a Eric, nel momento in cui lo raggiunse, superando
l’ultimo gradino.Il giovane batté le
mani e si voltò nuovamente verso di Annabelle, che stava osservando ammirata
Vicki. Stava sorridendo, ma il ragazzo non faticò a scorgere una punta di
malinconia nel suo sguardo. Non poté fare a meno di domandarsi a cosa stesse
pensando: se si stesse immaginando al posto di Victoria, vestita in maniera
splendida e con a fianco un cavaliere pronto a danzare con lei. Tese la mano
per stringere quella della ragazza; Anna la prese e, anche se Oliver non sentì
nulla, per un attimo gli parve quasi di poterne percepire almeno il calore.
Indirizzò una rapida occhiata ai genitori e ai suoi zii, prima di rivolgersi
nuovamente alla ragazza.
“Vieni con me” mormorò infine,
facendo bene attenzione che nessuno lo stesse guardando. “Ti porto in un
posto.”
Annabelle gli rivolse
un’occhiata sorpresa, ma alla fine annuì, lasciandosi guidare lontano dalla
calca di persone.
Mentre i due ragazzi si
allontanavano, Ricki stava correndo trafelato verso l’edificio, facendo voltare
i presenti che si erano sistemati al fondo dell’atrio.Aveva i capelli scompigliati, la giacca
sbottonata el’aria stravolta da chi si
è appena alzato dal letto – senza tenere conto del fatto che ancora zoppicava
leggermente.
Quando raggiunse il salone
principale Victoriaaveva da poco
afferrato la mano del suo accompagnatore. La osservò avanzare sorridente verso
l’esterno della Hall dei fondatori sotto lo sguardo ammirato dei partecipati,
la mano riposta in quella di Eric. Ricki avrebbe voluto mettersi in mezzo e
chiedere al ragazzo di farsi da parte, ma non era sicuro che fosse il caso.
Victoria l’aveva visto arrivare e il suo sguardo sembrava essersi fatto più
acceso per un istante, ma si era subito spostato oltre, come se la cosa non
avesse più poi così tanta importanza. Forse era davvero così. Era difficile far
cadere Vicki nello sconforto e non era di certo la prima volta che Ricki la
deludeva eppure, quel mattino,il
ragazzo provò un insolito disagio al pensiero di non aver mantenuto fede
all’impegno che aveva preso con lei.
E più Vicki sorrideva,
stringendo la mano del suo cavaliere, più Ricki avvertiva il timore di aver
fatto accadere l’irreparabile.
Volente o nolente, doveva
trovare il modo di rimediare.
Angolo Links pre-polpettone.
1.Qui
potete trovare il gruppo Facebook con foto, informazioni, anticipazioni, fumetti,
fotoe quant’altro a proposito di History Repeating.
2.Durante il periodo di pausa fra il precedente capitolo e
questo ho pubblicato un paio di missingmoments della storia che trovate qui!
Il polpettone (aka le note
dell’autrice).
*Buckster è l’amico immaginario del piccolo Damian
**Bryant chiama Harper ‘Leen,
perché è il soprannome che le hanno affibbiato gli amici e i familiari. Sta per
Arleen che è il suo secondo nome, così come il nome della madre.
Buon pomeriggio! Intanto
ringrazio Ely 91 per aver letto in anteprima il
capitolo, segnalandomi gli errori di battitura!
Il capitolo è venuto di nuovo
troppo lungo, nonostante l’abbia diviso in due parti: sono davvero senza
speranze! Ormai mi conoscete, mi sa che non ne posso fare a meno. C’è troppa
roba da dire e troppi personaggi da gestire ed è davvero difficile condensare
tutto in pochi capitoli. Provo a commentare il capitolo in generale nella
maniera più breve possibile. In questa prima parte abbiamo assistito ai
preparativi della cerimonia. Abbiamo approfondito un personaggio introdotto per
la prima volta nello scorso capitolo, Harper, che abbiamo visto interagire per
la prima volta con uno dei protagonisti: Xander. Quest’ultimo si sta
addentrando sempre di più nella storia della sua famiglia, grazie a Lester e
Harper sta incominciando a sospettare qualcosa a sua volta. In questo capitolo
è stato anche brevemente introdotto un personaggio, Bryant Cooper – amico di
Harper, Xander e Caroline - che apparirà di tanto in tanto nei prossimi
capitoli. Un piccolo cameo l’ha fatto anche il briccone Damian, il cuginetto
dei Lockwood che già aveva fatto comparsa in “A Very Lockwood Christmas”. Nel frattempo, mentre alla
Hall dei Fondatori le tre miss si preparavano a scendere la gradinata
principale, una ‘ex’ miss era occupata a fare da baby-sitter al musone di casa
Lockwood! Mase sta incominciando a mettere un po’ da parte la sua diffidenza
nei confronti di Caroline, specialmente per via di ciò che è accaduto durante
la luna piena. Dopo la prova difficile che è stato costretto ad affrontare la
sera precedente un po’ della paura e della tensione se ne sono andate, così
abbiamo avuto l’occasione di vedere il piccolo dei fratelli Lockwood un po’ più
sereno, rispetto al solito.
Nella prossima parte del
capitolo avremo il proseguo della cerimonia (Ricki deve ancora farsi
perdonare), qualche ballo e il ritorno a casa dei Lockwood.
Il prossimo mese sarò parecchio
impegnata con il lavoro, quindi dubito che la nuova parte possa arrivare prima
di Agosto! In ogni caso, per qualsiasi aggiornamento, informazione e altro,
comunico sempre tutto QUI, nel
gruppo Facebook dedicato alla storia.
“Hai visto come sono bravo?” esclamò Xander, appoggiando una mano sulla vita di Caroline. La
ragazza si strinse a lui, sorridendo divertita. Era da poco terminato il primo giro
di danze e le coppie protagoniste del concorso stavano cominciando il secondo
in compagnia di alcuni presenti. “So fare perfino ilcasquet,
vuoi vedere?”
Caroline si mise a ridere.
“Sei un bravo ballerino” lo appoggiò, premendo
una mano sulla sua spalla. Alexander gonfiò il petto, sorridendo orgoglioso.
“Non si può dire lo stesso di tuo fratello,
eh?” commentò, indicando Ricki con un cenno del capo. Il giovane stava
ondeggiando a ritmo di musica a fondo pista, suscitando l’ilarità di un
gruppetto di ragazze che l’attorniava. Caroline scosse il capo rassegnata: fare
il buffone durante gli eventi più formali di MysticFalls era tipico di suo fratello. Aveva un talento naturale
nel riuscire ad attirare l’attenzione e sapeva sempre come ravvivare l’atmosfera,
quando le cose incominciavano a farsi noiose.
“E il piccolo teppista dove l’hai lasciato?”
chiese ancora Xander, guardandosi attorno alla
ricerca di Oliver. Non riuscì ad individuare nemmeno lui.
“A casa con l’influenza” rispose la ragazza,
dando una scrollata di spalle. “Mi preoccupa un po’, ultimamente” ammise poi.
“Si comporta in modo strano, è sempre nervoso e sembra più distaccato del
solito.”
“Ma va, sta benissimo” la rassicurò
bonariamente Xander. “Magari si è trovato la
fidanzatina. Tra l’altro, a proposito di fidanzati, dame e accompagnatori…”
aggiunse, facendo ruotare leggermente Caroline per poterle indicare qualcuno
alle sue spalle, “…Sembra che al cavaliere di Harper
caschi un po’ troppe volte l’occhio verso di te” osservò, mentre Caroline sbirciava
in direzione della coppia. Intercettò lo sguardo di Bryant che le sorrise,
chinandosi poi in avanti per sussurrare qualcosa nell’orecchio alla sua
dama.“Il buon vecchio Cooper si è preso
una cottarella, mi sa!” proseguì Xander, abbassando il tono di voce. “Mi toccherà fargli il
sedere a strisce durante i prossimi allenamenti di hockey!”
“E perché mai?” lo interrogò la ragazza,
inarcando un sopracciglio. “Non sarai mica geloso, Xander
Bello?”
L’amico le fece la linguaccia
“Proprio no, nanetta,
ma ho promesso a tuo fratello maggiore che ti avrei tenuta d’occhio” spiegò,
facendole fare una giravolta. “Etvoilat! E poi insomma, stiamo parlando di Cooper”
aggiunse, tornando ad appoggiare una mano sul fianco di Caroline. “Dai, quello
si spreme il formaggio spray direttamente in bocca! Non va bene per un tipetto
schizzinoso come te!”
“Parli proprio tu che odori sempre di biscotti e
patatine!” lo rimbeccò Caroline, dandogli un colpetto con il piede.
“Beh, ma quelli sono buoni! Io profumo!” si difese
tronfio il ragazzo, prima di abbandonare l’espressione scherzosa. “Ti ho già
detto che vestita così stai benissimo, vero?” chiese.
Caroline si sentì arrossire. Distolse lo sguardo,
non riuscendo a non sorridere.
“Anche tu sei carino” rispose, analizzando con tenerezza
l’aspetto insolitamente curato ed elegante dell’amico, “Anche se ammetto che il
tuo crestino un po’ mi manca: non c’è gusto a spettinarti così e non posso
nemmeno più chiamarti porcospino!”
gli fece notare, improvvisando un broncio infantile. Xander
sorrise.
“Io invece
posso ancora chiamarti nanettabionda, guarda un po’!” commentò
scherzosamente. “Mi hai sorpreso, signorina Lockwood” esclamò poi, tornando ad
assumere lo sguardo addolcito di poco prima. “Non pensavo che avresti accettato
sul serio di partecipare alla cerimonia. È stato bello vederti scendere da
quelle scale.”
Caroline sorrise.
“Sono felice
di averlo fatto, sai?” ammise, distogliendo lo sguardo, appoggiando il capo sul
petto del ragazzo.
Lo era davvero.
“Sono felice anch’io.”
Xander
le sorrise. Si chinò in avanti per posarle un bacio sui capelli e tornò a
cingerle la vita, guidandola lungo la pista da ballo. A prescindere da come si
sarebbe concluso il concorso, Caroline sentiva di aver già ottenuto una piccola
vittoria.
***
I'm dying to catch my breath
oh why don't I ever learn
I've lost all my trust that
I'm sure we try to
Turn it around
All I Need.WithinTemptation
Dopo l’ennesimo bicchiere di
vino e qualche risata strappata ad alcune ragazze che aveva conosciuto quel
mattino, Ricki incominciò a domandarsi come se la stesse passando Vicki. La
cercò al centro del salone e la trovò intenta a ballare un lento assieme al suo
accompagnatore. Sembrava radiosa; per nulla delusa, in apparenza, dalla
presenza di Eric al suo fianco, lì dove avrebbe dovuto esserci lui. Il giovane
sbuffò, posando il bicchiere ormai vuoto sul tavolo e si incamminò zoppicante
lungo lo spiazzo adibito al ballo. Intercettò l’espressione vivace di sua
sorella che stava ridendo di qualcosa che Xander le
aveva appena sussurrato all’orecchio. Le fece l’occhiolino e raggiunse
Victoria, facendo del suo meglio per non esordire in smorfie di dolore ogni
volta che poggiava il piede a terra. Si schiarì la voce e picchiettò una mano
sulla spalla di Eric, che gli rivolse un’occhiata incuriosita.
“Ehilà!” esclamò,stringendosi nelle spalle. “Bella cerimonia,
eh?”
“Che cosa c’è, Ricki?” lo interrogò Victoria.
Non c’era rabbia o delusione nel suo sguardo, ma nemmeno il classico brillio di
vivacità che era solito ravvivarlo.
“Quindi sei tu Ricki?”
chiese l’accompagnatore della ragazza, aprendosi in un sorriso amichevole. “Io
sono Eric” comunicò , tendendogli la mano. Ricki la strinse, analizzando
circospetto l’espressione imperturbata del giovane. Aveva l’aria di essere una
bravo ragazzo e la cosa, stranamente, lo infastidì.
“Sì, molto piacere” rispose
sbrigativo, ritirando la mano. “Ti spiace se prendo in prestito la tua dama per
un ballo?”
Tornò ad osservare Victoria
che sembrò esitare, combattuta tra la sorpresa e il desiderio di opporsi.
Eric si voltò verso di lei
come a volersi assicurare che fosse d’accordo. Vicki gli rivolse un timido
cenno del capo che risultò fuori luogo, in contrasto con i modi di fare
esuberanti e decisi che la caratterizzavano in genere. Eric si allontanò e
Vicki si lasciò guidare da Richard al centro dello spiazzo lasciato libero per
le danze.
L’emozione provata nel
momento in cui lui la cinse per i fianchi si affievolì in fretta, respinta dal
ricordo della delusione di poco prima. Ripensò al proprio sguardo che frugava
speranzoso la folla e non riuscì a non rivolgergli un’occhiata di rimprovero,
nel sistemargli le braccia attorno al collo.
Non era la prima volta che le capitava di
aspettarlo inutilmente. C’era una parte di lei che aveva l’abitudine di
cercarlo ovunque, senza nemmeno sforzarsi di nasconderlo. Alle feste, sugli
spalti durante le partite e perfino in giro per casa, quando Jeffrey non era in
Florida. Vicki era abituata a non lasciarsi intaccare dalla delusione
quandole sue ricerche non andavano a
buon fine, ma quella volta le cose erano andate in maniera diversa. Era stato
Ricki a decidere che ci sarebbe stato, a promettere che si sarebbe fatto
trovare.La sua promessa, tuttavia, non
era stata mantenuta.
Sospirò, decidendosi
finalmente a ricambiare lo sguardo del ragazzo. Avere quegli occhi scuri che la
osservavano così da vicino riusciva sempre a provocarle il bisogno di dimezzare
ulteriormente la distanza tra di loro. Quel pomeriggio, tuttavia, la sua
attenzione venne focalizzata su altro.
“Hai un aspetto orribile”
annunciò, alludendo all’aria stanca del ragazzo e al suo aspetto scombinato.
Ricki tirò un sospiro di sollievo.
“Grazie per aver aperto bocca.
Quando stai zitta troppo a lungo mi inquieti un attimino.”
“Si può sapere che avevi di
tanto urgente da fare stamattina?” chiese la ragazza, osservandolo con
insistenza. In quel momento Ricki le pestò un piede, ma Vicki non sembrava
affatto turbata dai suoi movimenti impacciati sulla pista. “E come mai
zoppichi? Sei andato a giocare a calcio?”
“Magari” commentò il
ragazzo, prima di intercettare la sua espressione interrogativa. “Intendevo dire… magari ci fossi andato ieri sera. Non parlavo di
questa mattina!” si affrettò a specificare. “Il fatto è che ieri, dopo il
Grill, ero talmente esausto che mi sono addormentato sul volante. Ho dormito in
macchina e mi sono svegliato tardi, così sono corso a casa per cambiarmi. Ho
cercato di arrivare qui in tempo, ma ho mancato l’inizio della cerimonia per
unsoffio….Scusa!”
fu costretto ad aggiungere, quando il suo piede si scontrò accidentalmente con
quello della ragazza. Vicki spostò il suo, minimizzando con un cenno del capo.
“Sei senza speranze”
commentò poi, lasciando affiorare un sorriso divertito. Ricki diede una
scrollata di spalle.
“Sono dannatamente simpatico
e incredibilmente sexy, per questo mamma e papà mi hanno fatto goffo: non
potevo nascere senza difetti” spiegò, improvvisando un inchino con il capo.
“Sul sexy non ho nulla da
ridire” osservò la ragazza, “Ma lo è anche Eric e lui non mi ha mai pestato il
piede in tutta la mattinata”commentò,rivolgendogli
un’occhiata eloquente. Ricki fece una smorfia.
“Beh, questo Eric è
sicuramente gay” concluse, rivolgendo al ragazzo un’occhiata di sottecchi.
“Non è gay, Ricki. Te lo
posso assicurare.”
“Dai, hai visto con che genere di abbronzatura
se ne va in giro?”
Vicki gli rivolse
un’occhiata interdetta.
“Ma che cosa c’entra?”
“E poi balla! Scommetto che a
casa ha una collezione di tutù rosa…”
“Insegna hip
hop, non danza classica”lo contraddisse
la ragazza, pur non riuscendo a trattenere un sorriso. Ricki le rivolse
un’occhiata attenta, cercando di scorgere in lei qualcosa che potesse
suggerirgli se fosse arrabbiata o meno.
“Quanto mi odi al momento su
una scala da 3 a 10?” domandò infine, inclinando appena il capo.“L’uno e il due non ce li ho messi perché ho
immaginato che non ce ne fosse bisogno”aggiunse poi in tono di voce scherzoso.
Vicki non gli rispose.
“Ti sei ubriacato ieri
sera?” domandò invece, senza più sorridere.
Ricki scosse il capo.
“No, certo che no!”
La ragazza non sembrava
convinta. Ricki sbuffò, fermandosi un istante per far riposare la caviglia
dolorante.
“Avevo avuto una serataccia,
Vic” commentò in sua difesa, ripensando con un
brivido agli avvenimenti della sera precedente. Victoria lo scrutò con
attenzione, le braccia ancora allacciate al suo collo .
“In questo momento vorrei
tanto sferrarti una delle mie letali piroette rotanti, lo sai?” commentò
infine, continuando a sostenere il suo sguardo. La delusione era evidente nei
suoi occhi, eppure continuava a sembrare incredibilmente tranquilla. Ricki si
era aspettato a più riprese che lo sorprendesse con uno schiaffo o una scenata
di qualche tipo, ma intuì presto che Vicki non fosse il tipo da lasciarsi
andare a quel genere di comportamenti. L’aveva sempre reputata un po’
infantile, troppo bambina nei suoi modi esuberanti, e per l’assenza totale di
vergogna che la spingeva a esternare ogni cosa con semplicità. Eppure, ogni
tanto, sapeva dare sfoggio a un certo livello di maturità che non si sarebbe
mai aspettato da lei.
“Vieni con me” dichiarò infine, sfilando la
presa dai suoi fianchi e porgendole la mano. La guidò oltre le coppie di
persone che ballavano, fermandosi a una decina di metri dai tavoli del buffet.
Vicki gli rivolse un’occhiata incuriosita, mentre Ricki tornava a mettersi le
mani in tasca. “Voglio solo essere sicuro che tu capisca questo: non l’ho fatto
intenzionalmente” spiegò il ragazzo, stringendosi nelle spalle. “Sarò anche un
cretino patentato, ma non sono uno stronzo. Non fino a questo punto. Non ti
avrei mai proposto di farti da cavaliere se non fossi stato sicuro al cento per
cento di volerlo fare. E non avrei corso il rischio di combinare un casino
rimanendo addormentato in macchina, se non ci fosse stato un motivo più che
valido.”
Vicki lo ascoltò in
silenzio, tenendo le braccia incrociate sul petto. Lo guardava con espressione
attenta, intenzionata ad analizzare con minuzia ogni sua parola ed espressione,
per paura di coglierci una falla.
“E qual è questo motivo più che valido?”
chiese infine, sistemandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
“Come?”
“Dicevi
che ieri sera hai avuto una serataccia” ricordò ancora Victoria. “Per caso
c’entra qualcosa lo sceriffo?”
Richard
esitò, colto alla sprovvista.
“Mi
devi almeno la verità, Ricki” osservò la ragazza, sostenendo il suo sguardo con
determinazione. Richard si sfregò il capo con nervosismo e annuì.
“Stavo
aiutando mio fratello” ammise infine, guardandosi poi attorno. Trovò subito
Fell: stava parlando con un gruppetto di persone dall’altra parte della sala.
Ricki fece una smorfia nella sua direzione e tornò a rivolgersi alla ragazza.
“Senti, Vic, la verità è questa. Ci sono delle
persone qui a MysticFalls
che hanno delle doti fuori dal normale. E non sto parlando del mio sedere
perfetto, ma di roba forte, cose che non si vedono tutti i giorni. E allo
sceriffo Fell queste persone non piacciono per niente.”
“Doti
fuori dal normale?” ripeté Vicki, scrutandolo con aria improvvisamente
allarmata. “Mica starai parlando dei Morgan, vero?”
Ricki
le rivolse un’occhiata sbigottita.
“Che
diavolo c’entrano i Morgan, adesso?” chiese, tornando a guardare Fell con espressione
guardinga. “Io parlavo di Mase” aggiunse poi, abbassando il tono di voce.
Questa
volta fu Vicki a sgranare gli occhi.
“Tuo
fratello ha un dono?”
“Shhhh!”
Ricki
si affrettò a zittirla, prima di passarsi con nervosismo una mano fra i
capelli.
“Sì,
quello di riuscire a rompere le palle come nessuno. Vic,
mi spieghi che cosa c’entrano i Morgan in tutto questo?”
La
giovane si morse il labbro, visibilmente in conflitto. Era sul punto di
rispondere qualcosa, quando Carol Lockwood li raggiunse, interrompendo il loro
discorso.
“Victoria,
dovresti incominciare a raggiungere le altre concorrenti” spiegò, indicandole
la gradinata principale, “Stiamo per comunicare i risultati del concorso.”
La
ragazza annuì: tutto a un tratto avvertì le prime avvisaglie dell’agitazione
punzecchiarle lo stomaco.
“Arrivo
subito” rispose alla donna, voltandosi poi nuovamente verso di Ricki che
sembrava intento ad analizzarsi con imbarazzo la caviglia.
“Ti
fa male?” chiese, osservandolo apprensiva. Il giovane diede una scrollata di
spalle.
“No,
è che credo di essermi messo un calzino al contrario. Ascolta, Vic…” aggiunse
poi, tornando serio.“Dobbiamo
decisamente riprendere il discorso sui Morgan, dopo la cerimonia. È
importante.” sottolineò, accennando a Fell con un cenno del capo.
Vicki
non sembrava molto convinta, ma annuì comunque.
“Devo andare a raggiungere le altre” dichiarò
infine, cercando Caroline con lo sguardo. “Sappi che, comunque, non ti ho
ancora perdonato. Ma non sono arrabbiata.”
Ricki assunse un’espressione colpevole.
“Lo capirei
se tu lo fossi”
Vicki si scostò la frangetta
dagli occhi e sorrise.
“Dopo tutti questi anni, se
non avessi imparato a non prendermela con te, avrei trascorso ogni ballo
scolastico ingollando gelato e deprimendomi, di fronte al DVD di DirtyDancing… Ecco tua sorella!”
esclamò poi con un sorriso, facendo cenno con la mano a Caroline. “Vado da lei,
prima che incomincino a tremarmi le gambe per l’agitazione!”
Il ragazzo annuì, tornando a
infilarsi le mani in tasca.
“Ehi, Vic!”
la interruppe poi, trattenendola per il polso. Si chinò verso di lei per
assicurarsi che riuscisse a sentirlo, al di là del frastuono generale.“Grazie per il ballo” le disse all’orecchio,
prima di incamminarsi verso i tavoli del buffet con le mani in tasca e l’andatura
ancor più zoppicante rispetto a poco prima. Vicki lo osservò allontanarsi in
silenzio,posando poi lo sguardo sulle
coppie che ancora danzavano al centro della stanza. I suoi occhi erano tornati
a ravvivarsi della solita vivacità.
“Avrei mai potuto dirti di
no?” sussurròin risposta, consapevole
del fatto che Ricki fosse troppo distante per poterla sentire.
I tried many times but nothing
was real
Make it fade away, don't break
me down
I want to believe that this is
for real
Save me from my fear
Don't tear me down
All I Need.WithinTemptation
***
“Sono un ottimo ballerino, ricordi? Posso tenerti con
me?” Casper.1995
Oliver guidò Annain una delle tante salette adiacenti al
salone principale. La musica risuonava attutita in lontananza, suggerendo che
le tre coppie protagoniste del concorso avessero già incominciato a ballare. Di
tanto in tanto la voce di qualche presente li raggiungeva dal corridoio. La
preoccupazione di Anna al pensiero che qualcuno potesse sorprendere Oliver a
parlare da solo sfumò quasi subito. Era difficile restare impensieriti troppo a
lungo in compagnia di quel ragazzo.
“Come mai mi hai portata
qui?” domandò incuriosita. Oliver le sorrise.
“Tutte le partecipanti a Miss MysticFalls dovrebbero aprire le danze contemporaneamente”
rispose, sistemandosi di fronte a lei. “Non hai potuto partecipare la prima
volta, ma potresti farlo ora.”
Annabelle gli rivolse un’occhiata incredula,
senza riuscire ad aggiungere nulla.
“Forse non te l’ho detto, ma sono un ottimo ballerino” proseguì il ragazzo,
tendendole la mano. “Ti va di ballare?”
Anna annuì, stringendo la mano che il ragazzo le porgeva. Quel contatto non
aveva consistenza, così come il tocco di Oliver sul suo fianco. Le dita del
ragazzo erano disegnate sulla sua pelle, sul suo vestito, ma non la sfioravano
per davvero.
“Non possiamo toccarci” osservò
infine la ragazza, un po’ in imbarazzo. Il sorriso di Oliver si estese.
“Sono un’artista” le ricordò,
stringendosi nelle spalle. “Non ho bisogno di sforzarmi più di tanto per
immaginare quello che non c’è.”
Annabelle ricambiò il sorriso, stringendosi a
lui. Quella frase racchiudeva alla perfezione tutto ciò che pensava di Oliver.
Non erano molte le cose che riuscivano a ostacolare il suo ottimismo; aveva la
capacità innata di sapersi fabbricare la felicità con poco. Certe volte gli
bastavano una manciata di fogli bianchi e una matita, altre un cielo stellato o
la scia di qualche aereo solitario. Spesso anche solo un sorriso. Sapeva
lasciare in chiunque lo circondasse un’impronta di quella serenità che doveva
averlo caratterizzato fin da piccolo.
Anna era grata di aver trovato la sua amicizia. Le piaceva ascoltarlo quando
fischiettava qualche vecchia canzone ad un ritmo pacato, completamente sfasato
da quello originale, come se anch’esso fosse calibrato a rispettare l’animo
tranquillo del ragazzo. Aveva trascorso molti pomeriggi a chiacchierare con lui
o ad osservarlo lavorare a uno dei suoi modellini e la sua compagnia l’aveva
aiutata a sentirsi meno sola.
Every now and then
We find a special friend
Who never lets us down
I due ragazzi continuarono a
ballare, ignorando il volume basso della musica che proveniva dal salone
principale. Oliver non aveva detto una bugia: se la cavava davvero bene come
ballerino.
“Sembri felice” osservò
improvvisamente Anna. “Più del solito” .
Il ragazzo arrossì leggermente.
“Lo sono, perché ho risolto i miei
problemi con Mase” ammise, riferendosi alla conversazione avuta con l’amico
quella mattina. “In realtà sono un po’ spaventato per via di quello che mi ha
confessato, ma non riesco a preoccuparmene in questo momento. La mattinata è
trascorsa benissimo; sembrano tutti sereni e anche tu sorridi di più” aggiunse.
Anna strinse le braccia attorno al collo del ragazzo e chinò appena il capo per
nascondere l’improvviso filo di malinconia nel suo sguardo.
“Vi meritate un po’ di tranquillità” disse con
decisione, prima di tornare a ricambiare lo sguardo di Oliver.“Tu e la tua famiglia…
I tuoi amici. Sono contenta che non siate più in pericolo.”
“Dovrei ringraziarti per aver
cercato di metterci in guardia” osservò in quel momento Oliver. “Sono felice
che tu sia venuta da me: ho guadagnato un’amica”ammise con semplicità. Quelle poche frasi
sembrarono alimentare la tristezza tratteggiata nello sguardo di Anna.
Who understands it all
Reaches out each time you fall
You're the best friend that I've found
“C’è qualcosa che non va?” domandò
improvvisamente il giovane, rivolgendole un’occhiata impensierita. “Non sorridi
più.”
Lentamente, la ragazza scosse il
capo.
“Stavo ripensando alla sera in cui
mi hai vista per la prima volta” spiegò infine.“Non avrei mai immaginato che fosse
possibile comunicare con te. Quando eri più piccolo mi fermavo spesso a
osservare la tua famiglia, sai?” aggiunse, sorridendo della sua espressione
incuriosita. “Mi piaceva sedermi accanto a te e a Jeremy per guardarvi
disegnare. I tuoi fogli erano sempre pieni di nuvole e aerei di tutti i colori”
ricordò, facendo ridere il ragazzo. “In un certo senso credo di averti
considerato mio amico sin da allora. Eri sempre sorridente e mi riusciva facile
immaginare che qualcuno di quei sorrisi potesse essere rivolto a me.”
Oliver si strinse nelle spalle.
“Ti avrei sorriso di sicuro, se
avessi saputo che eri lì” confessò,ripensando alle tante serate trascorse a disegnare alla luce delle
stelle in compagnia del padre. “Vorrei che tu non avessi quello sguardo”
dichiarò a un certo punto, destando la preoccupazione della ragazza.
“Quale sguardo?”
“Lo sguardo di chi sta per
andarsene.”
Annabelle gli rivolse un’occhiata colpevole.
“Sapevi che non sarei rimasta ancora
a lungo” gli ricordò, avvolgendo in maniera un po’ più salda le proprie braccia
attorno al collo del ragazzo. Non servì a molto; l’assenza di consistenza del
proprio corpo la faceva sentire come se potesse scivolare via da un momento
all’altro. “Forse non dovresti più cercarmi così spesso.”
“Perché?” la interrogò il giovane,
smettendo di ballare. “Perché le cose non possono restare così come sono? La
tua presenza non fa del male a nessuno.”
Annabelle scosse il capo.
“Sono un fantasma, Oliver” rispose.
“Non faccio parte del tuo mondo. Tu vivi nel presente, io sono il passato. Non
è mai un bene mescolare le due cose tra di loro troppo a lungo.”
“Non voglio che tu vada via” ammise
il ragazzo, raccogliendo le mani di Anna nelle sue. “E non ho paura di fare
confusione fra presente e passato. Ho appena scoperto che il mio migliore amico
è un lupo mannaro. Penso di potermela cavare anche con un’amica fantasma, no?”
Quell’ultima osservazione fece
sorridere la giovane.
“Non me ne andrò” promise,
stringendogli le mani.“Sarò sempre qui
quando avrai bisogno di me. Anche le volte in cui non potraivedermi.”
I know you can't stay
A part of you will never ever go away
Your heart will stay
Oliver sembrò rassicurarsi al suono
di quelle parole. Annuì, portando le braccia della ragazza a cingergli
nuovamente il collo.
“Balliamo ancora?” suggerì infine. Annabelle rise. Quando sollevò il capo perguardare il ragazzo negli occhi non poté fare
a meno di evocare il ricordo di un secondo sguardo, un po’ meno limpido, ma
tanto intenso quanto quello rivolto a lei in quel momento. Ripensò a un altro
giovane Gilbert dal sorriso dolce. A delle dita che si intrecciavano alle sue
con la stessa delicatezza di quelle di Oliver.
I due ragazzi tornarono a ballare,
questa volta in maniera più sciolta, come se avessero dimenticato di non poter
percepire l’uno il tocco dell’altro. Quando Anna spostò lo sguardo oltre le
spalle del giovane sobbalzò, notando all’improvviso la figura immobile di un
uomo. Qualcuno li stava osservando con sguardo incredulo dal lato opposto della
stanza.
Anche Oliver si accorse della sua
presenza; i suoi occhi indugiarono apprensivi sulla figura del padre e si
soffermarono sulla sua espressione confusa, quasi smarrita. Smise di ballare,
la mano ancora intrecciata a quella della ragazza. Jeremy fece qualche passo
verso di loro.
“Anna?” mormorò, incapace di
distogliere lo sguardo da lei. Il ricordo di Annabelle
aveva occupato i suoi pensieri per l’intera mattinata, estraniandolo dal
presente e riportandolo mentalmente a un’altra cerimonia di MysticFalls. All’epoca lui non era poi molto più grande di
Oliver. La noia provata al pensiero di dover partecipare a una simile
ricorrenza era scomparsa nel momento in cui la ragazza aveva fatto ingresso nel
salone principale della Hall. Spazzata via in fretta dal sorriso che Annabelle aveva rivolto a Jeremy quel pomeriggio di
venticinque anni prima.
Da tempo pensava che non
l’avrebbe più rivista. Anna era da sempre il fantasma di quel passato che
ancora gravava sulle sue spalle. Un passato che stava imparando a lasciarsi
indietro pocoa poco per nonrischiare di venire schiacciato a terra dal
suo peso.
Adesso che lei era di nuovo
lì, di fronte a lui, non avrebbe più voluto distogliere lo sguardo. La chiamò
ancora, come se temesse di vederla sparire da un momento all’altro.
I'll make a wish for you
And hope it will come true
That life would just be kind
To such a gentle mind
Annabelle annuì. Continuava a non avere percezione del proprio corpo, ma
le sue emozioni si erano fatte improvvisamente nitide, con un’intensità tale da
fare male. Per anni la giovane aveva vegliato su di Jeremy in silenzio. Più
volte gli aveva sorriso, posandogli una carezza sul capo quando il pensiero
delle persone che aveva perso lo opprimeva, spegnendo il suo sguardo
all’improvviso. In quei momenti era stato più facile dirgli addio, promettendo
a se stessa di non tornare ogni volta. Sembrava tutto più complesso ora che i
suoi occhi erano consapevoli di essere attraversati dallo sguardo di Jeremy.
Ora che lui la vedeva per davvero.
“Ciao, Jeremy”
La sua voce si incrinò leggermente mentre quel
nome scivolava fuori dalle sue labbra, accarezzandole come aveva smesso di fare
da tempo. Annabelle lo guardò a lungo, sforzandosi di
sorridergli. Gli occhi di Jeremy si erano fatti lucidi e l’espressione spenta
che aveva offuscato il suo volto nel corso della mattinata aveva lasciato il
posto a una maschera di incredulità e malinconia.
C’erano tante cose che
premevano sulle labbra dell’uomo per farsi avanti e venire pronunciate.
Talmente tante che alla fine Jeremy scelse di non dire nulla. Tutto a un tratto
gli sembrò di aver parlato per ore solo guardandola.
Annabelle scosse il
capo, come a volerlo rassicurare. Infine tornò a sorridere. Ciò che Jeremy vide
in quel momento fu il sorriso della Anna dei suoi quindici anni; quella ragazza
un po’ strana, ma carina che aveva incontrato un pomeriggio in biblioteca.Lapersona che l’aveva risvegliato dal torpore forzato che si era cucito
addosso per cercare di sfuggire al dolore.
Rispose a quel sorriso, un
sorriso rigato dalle lacrime di lei, e tese la mano in avanti, adagiandola
contro quella di Anna. Ancora una volta, come era accaduto anni prima, le loro
dita si intrecciarono e Jeremy sentì i propri polpastrelli affondare nel nulla.
Per un attimo gli parve quasi di poter avvertire il caloredelle lacrime di Annabelle
che scivolano a inumidirgli la pelle.
If you lose your way
Think back on yesterday
Remember me this way
Fece appena in tempo a sorriderle
un’ultima volta e a tenderle la mano libera per asciugarle una guancia, che la
ragazza scomparve.
Il panico subentrò con prepotenza,
avvolgendogli lo sterno.
“Non c’è più?” mormorò, voltandosi
verso il figlio e interrogandolo con lo sguardo. Oliver scosse il capo,
rivolgendogli un’occhiata malinconica. Annabelle era
ancora lì vicino: la mano di Jeremy le stava sfiorando delicatamente una
guancia, ma lui non poteva saperlo. La ragazza annuì flebilmente in direzione
di Oliver, senza riuscire a controllare le lacrime che continuavano a rigarle
gli zigomi.
“Non se ne è andata” ammise il
giovane, avvertendo tutto a un tratto il cuore pesante. “Ma tu non puoi
vederla”.
Jeremy aggrottò appena le
sopracciglia prima di guardarsi attorno. Sperava di riuscire a scorgere la
figura di Anna da qualche parte nella stanza, ma non ci fu nessuno a ricambiare
il suo sguardo.
Sapeva che era lì, eppure poteva più
vederla.
“Perché?” mormorò, cercando una
risposta nello sguardo del figlio. Si passò una mano sul volto, la stessa che
poco prima aveva avvolto quella di Annabelle, e a
Oliver parve improvvisamente stanco, stanco e affaticato.
Si chiese quanto avesse sofferto da ragazzino
nel vedersi strappare via le persone che amava una alla volta, senza avere
nemmeno il tempo di poter dire loro addio. Si chiese quanto ancora avrebbe
sofferto e quanto fosse ingiusto il fatto che non potesse fare nulla per
aiutarlo a lenire quel dolore.
“Perché vuole che tu sia felice”
ammise infine, poggiando una mano sulla spalla del padre.
And I'll be right behind your shoulder watching you
I'll be standing by your side and all you do
And I won't ever leave
As long as you believe *
Solo in quel momento si accorse che la
stanza era piombata nel silenzio. La musica era cessata e la voce di Carol
Lockwood era appena percepibile per via della lontananza di quella stanza dal
salone principale. Il basso volume non riuscì ad impedire ad Oliver di
avvertire distintamente il nome di sua cugina, seguito da un boato di
approvazioni: Victoria aveva vinto.
“Dobbiamo tornare di là” riconobbe,
muovendosi in direzione delle porte. Solo quando tornò a voltarsi verso il
padre si accorse che Annabelle non c’era più.
Trascorse il resto del pomeriggio in compagnia dei suoi familiari,
ammirando orgoglioso il sorriso entusiasta di sua cugina. Vicki gli era
sembrata più volte sul punto di mettersi a saltellare per la gioia mentre
rimirava affascinata la fascia da Miss che portava al petto.
Oliver non ebbe modo di parlare da solo con il padre fino a sera, quando
Jeremy venne a trovarlo in camera sua. Chiacchierarono fino a notte fonda e
gran parte dei loro discorsi girarono attorno ad Annabelle.
Oliver riferì al padre di come avesse scoperto la sua foto in soffitta e Jeremy
gli raccontò del loro primo incontro in biblioteca. Oliver gli fu grato per
essersi confidato con lui. Sperava che, ascoltandolo, l’avrebbe aiutato ad
alleggerire il peso di quei segreti che manteneva in silenzio da tempo.
Prima di andare a dormire Jeremy chiese al figlio se pensava che Anna
sarebbe tornata presto
Oliver rispose di sì.
Eppure, una parte di lui non faceva
altro che domandarsi se l’avrebbero ancora rivista.
“Aspetta… Dove vai?”
“Dove posso proteggevi, fino a che non saremo di nuovo
assieme”
Casper.1995
***
“Ehi!” esclamò Caroline,
non appena individuò Tyler all’ingresso del giardino sul retro. Erano da poco
trascorse le otto e i quattro Lockwood dovevano essere appena rincasati. “Come
è andata la cerimonia?”
Tyler si strinse nelle
spalle.
“Siamo stati bene” rispose, infilandosi le
mani in tasca. “Il titolo l’ha vinto Vicki, ma ho visto mia figlia davvero
contenta. Le ragazze si sono divertite parecchio. A voi come andata?”
“Tutto
tranquillo” rispose la ragazza, cercando Mase con lo sguardo. Lo trovò
seduto di spalle sul muretto che delimitava il giardino della tenuta . “Tuo
figlio mi ha fatto il bagno” non riuscì a fare meno di aggiungere.
Tyler le rivolse un’occhiata perplessa.
“Mi ha tirato l’acqua addosso” specificò
Caroline,non riuscendo a trattenere un
sorrisetto. “Ma poi si è calmato: ha passato tutto il pomeriggio a leggere.”
“Questo è già più da lui” osservò Tyler. “Mason
legge di continuo. Non lo diresti, ma è piuttosto intelligente e studia
volentieri.A scuola ha una media molto
alta.”
“Siamo sicuri che sia tuo figlio?” lo interrogò la
vampira, dandogli un colpetto con il gomito. L’uomo scosse il capo con fare
divertito.
“La sua condotta però fa schifo, però!” specificò,
mettendosi a braccia conserte. “Ha già rischiato di venire sospeso più volte.”
“Ecco, ora riesco a vedere le somiglianze!”
Tyler si mise a ridere.
“Pensi che
stia bene?” domandò poi, voltandosi in direzione del figlio.
“Io credo di sì” rispose la ragazza con
convinzione, guardando a sua volta verso Mase. Lo osservò stiracchiarsi e intrecciare le
dita dietro la nuca con il capo rivolto verso l’alto. Si sorprese a sorridere,
cercando di indovinare a cosa stesse pensando: i suoi silenzi la incuriosivano.
Dentro quella mente in continuo movimento avrebbe potuto esserci davvero di
tutto.Si chiese quanti pensieri dovesse
avere accumulato a forza di tenersi dentro ogni cosa.
Quando distolse lo
sguardo dal ragazzo si accorse che l’attenzione di Tyler era tornata a
rivolgersi verso di lei. Tutto a un tratto si sentì quasi a disagio, come se lo
sguardo dell’ uomo l’avesse sorpresa a compiere qualcosa di sbagliato. Fu una
sensazione che durò troppo poco per poter essere afferrata a pieno.
“Hai una bellissima
famiglia” ammise infine. Lo disse con semplicità, stringendogli affettuosamente
un braccio. Prima del suo ritorno a MysticFalls non pensava che sarebbe mai riuscita a rivolgersi a
lui con la scioltezza di una volta. Temeva di aver dimenticato come fare a
sorridergli senza sentirsi gli occhi umidi di lacrime. La lontananza aveva
rafforzato le sue paure e indebolito il ricordo di quanto ci fosse stato tra di
loro ancor prima che diventassero più che amici.Quando aveva abbracciato Tyler per la prima volta
dopo dieci anni si era tuttavia riscoperta forte, molto più incline a fare un
passo indietro rispetto che a fuggire ancora una volta e a perdere tutto di
nuovo.
“Sono davvero orgogliosa del padre che sei
diventato” aggiunse.
Quando guardava Tyler negli
occhi vi leggeva qualcosa che i primi tempi l’aveva messa in soggezione, ma che
ormai riusciva solo più a strapparle un sorriso malinconico. Il suo era uno
sguardo che la spingeva ad evocare ricordi che nemmeno ricordava più di
possedere. Immagini poco nitide di una ragazzina bionda sulle spalle del padre
durante la parata di MysticFalls.
Si sentiva piccola di fianco a Tyler. Era davvero un’adolescente che osservava
con ammirazione un padre di famiglia e provava orgoglio nei confronti del
percorso che aveva fatto.Era fiera del
suo essere uomo, marito e padre. Anche se la donna al suo fianco non aveva
potuto essere lei.
Tyler le sorrise, ma la
sua espressione si fece meno distesa quando il suo sguardo tornò a sorvegliare
i silenzi del figlio minore.
“Non penso di essere poi
così in gamba, come padre” ammise. “Certe volte ho perfino paura a guardarli,
perché temo di scoprirli arrabbiati o delusi.”
“I tuoi figli ti adorano” osservò la vampira, sorridendogli rassicurante. “Tu e
Lydia avete fatto un ottimo lavoro con loro.”
Tyler si strinse nelle
spalle.
“Vorrei solo che
stessero bene” spiegò. “Faccio del mio meglio per proteggerli, ma a volte mi
fisso così tanto con questa cosa che finisco per perdermi dei pezzi importanti
per strada. E ho paura di poter diventare come lui.”rivelò, voltandosi verso di Caroline.
“Tu sei migliore di tuo padre”rispose la ragazza in tono di voce fermo.
Tyler la fissò con
intensità con qualche istante, come se stesse cercando di trarre convinzione
dalle sue parole. Infine annuì.
“Grazie per
l’aiuto che ci stai dando” disse infine.
Caroline gli sorrise.
“Mi piace
passare del tempo con voi” rispose.
Istintivamente il suo sguardo tornò a dirigersi
verso di Mase. Il giovane aveva lo sguardo rivolto verso l’alto e sembrava
intento ad analizzare con diffidenza la luna.
Caroline sentì che era arrivato il momento di tirare
fuori qualche verità taciuta a lungo.Attese che Tyler fosse rientrato in casa e raggiunse il muretto al fondo
del giardino.
“Non
guardarla così” mormorò infine, sedendosi di fianco a Mason. Il ragazzo le
rivolse un’occhiata distratta prima di tornare a fissare bieco la luna. “Non ti
farà più del male. Non questa sera.”
“Ma tornerà a farmene
fra un mese ” rispose il ragazzo, distogliendo lo sguardo dal cielo. La
tranquillità che aveva mostrato quel pomeriggio sembrava essersi dissolta con
l’arrivo del buio. “Ad ogni
luna piena si ripeterà tutto di nuovo. E io ce l’ho fatta a malapena a superare
questa.’
“A lungo andare diventerà
un’abitudine” cercò di rassicurarlo la ragazza; lo osservò rivolgerle
un’occhiata sfiduciata e sospirare, mentre il nervosismo tornava a tinteggiare
di ombre la sua espressione. “Tuo padre ci convive da quando era poco più
grande di te, ci riuscirai anche tu” aggiunse, addolcendo il tono di voce.
“Io però non sono come lui” rispose
asciutto il ragazzo, incominciando a colpire il muretto con il tallone.
Caroline si morse un labbro. Intuì di aver scelto le parole più sbagliate del
mondo per rincuorarlo. “Mio padre è la persona più forte che conosca: può
gestire tutto questo. Io sono solo…”
Mason si interruppe, sforzandosi di
trovare le parole adatte per completare la frase. Infine sbuffò e saltò giù dal
muretto. Era arrossito e la sua espressione sembrava essersi fatta nuovamente
tesa, quasi arrabbiata. Caroline sapeva che avrebbe impiegato poco ad innalzare
nuovamente le sue barriere. Presto sarebbe fuggito, un po’ come immaginava
avesse fattoper anni quando la balbuzie
interveniva nei suoi discorsi, mettendolo in imbarazzo. Se da bambino
balbettava a parole, adesso sembrava che fossero le emozioni ad uscirgli fuori
sfasate. Mason ci inciampava di continuo, bloccandosi alle prime sfumature dei
suoi pensieri, senza mai raccontarsi del tutto. Dopo qualche tentativo si
stancava e la cosa finiva lì.
“Non devi pensare che tuo padre sia sempre
stato come lo vedi ora” riprese il discorso la vampira, per evitare che la
conversazione si estinguesse. “Da ragazzo ti assomigliava molto” aggiunse,
consapevole di quanto si stesse tradendo nel pronunciare quelle parole.
“E tu che ne sai?” ribatté
l’adolescente, rivolgendole un’occhiata infastidita. “Smettila di parlare di
lui come se lo conoscessi.”
La reazione brusca di Mason le
strappò un sorriso. Solo qualche minuto prima Tyler le aveva espresso le sue
insicurezze per il modo in cui stava crescendo i suoi figli. E adesso Caroline
aveva di fronte quel ragazzo che la guardava storto, pronto a sbraitare contro
chiunque osasse sporcare l’idea che si era costruito sul padre. Era evidente
che fosse il suo eroe. Gliel’aveva letto negli occhi quel mattino, quando Tyler
aveva affermato di essere orgoglioso di lui.
“Ne parlo così, perché io conosco
davvero tuo padre, Mase” ammise infine la vampira. “Lo conosco praticamente da
sempre.”
“Balle”ribatté secco lui, distogliendo lo sguardo.
“Ti sei solo presa una stupida cotta. Per un uomo sposato, tra l’altro.”
La sua espressione seccata convinse
Caroline a cambiare approccio. L’ultima cosa che voleva erafargli credere che si sarebbe messa in mezzo
fra i suoi genitori.
“Ricordi quando mi hai detto di
essere già stato alla riserva naturale?” domandò improvvisamente. Mason le
rivolse un’occhiata diffidente, prima di annuire.
“Lo sapevo già: ci siamo incontrati
lì una volta, quando eri piccolo. Eri in gita con la scuola e penso che ti
stessi nascondendo dai tuoi compagni.”
Mason aggrottò le sopracciglia,
ascoltando diffidente le sue parole. Tutto a un tratto si sentì a disagio; non
amava parlare della sua infanzia. Aveva sempre avuto un rapporto conflittuale
con i ricordi legati al suo passato.
“Non me lo ricordo” concluse poi
asciutto, sedendosi nuovamente sul muretto. Non stava mentendo: gli era tornata
in mente una gita alla riserva in cui si era allontanato dai compagni, ma non
ricordava di aver incontrato alcuna bambina, quel pomeriggio. Solo una coppia
di anziani un po’ burberi e una ragazza che all’epoca gli era parsa quasi
un’adulta. Una ragazza che si era seduta a terra vicino a lui e gli aveva
spiegato cosa significasse essere coraggiosi.
“Ti ho trovato vicino alla
staccionata” aggiunse la vampira, tenendo d’occhio la sua espressione con fare
vigile. “Abbiamo parlato dei lupi. Mi hai detto il tuo nome, prima di tornare
dalle insegnanti.”
Mason
scosse il capo, ricominciando ad apparire nervoso: le parole di Caroline lo
stavano mandando in confusione. I ricordi di quel pomeriggio alla riserva si
erano fatti più vividi, ma non coincidevano con quelli della giovane. Non
poteva essere lei la ragazza a cui sei anni prima aveva rivelato la sua paura
dei lupi. Caroline non era molto più grande di lui, quindi all’epoca avrebbe
dovuto essere poco più che una bambina.
Si
accorse di sentirsi inquieto. C’era qualcosa che non tornava, qualcosa che stava
incominciando a metterlo in agitazione. Ripensò alle varie annotazioni mentali
che aveva raccolto sul conto della ragazza nel corso degli ultimi mesi. Ricordò
quanto gli fosse sembrata insolitamente familiare i primi tempi e di come gli
avesse rivelato con tranquillità di conoscere il segreto dei Lockwood. Ripensò
al rapporto insolito che sembrava aver instaurato con Tyler e al modo in cui ne
aveva parlato poco prima.
“Come
conosci mio padre?” domandò infine, scrutandola diffidente. “E non rifilarmi la
balla delle conoscenze di famiglia, perché tanto non me la bevo.”
Caroline
sospirò.
“Eravamo
compagni di scuola” rivelò infine, analizzando apprensiva l’espressione del
ragazzo. “Io, Tyler, i Donovan e Bonnie Bennett. Andavamo tutti al liceo di MysticFalls.”
Mason
scese d’istinto dal muretto, come a volersi distanziare fisicamente dalle sue
parole. Nel farlo si accorse che avevano preso a tremargli le mani: brandelli
di supposizioni si stavano scaraventando l’uno contro l’altro nella sua testa,
troppo in fretta perché il giovane potesse riuscire a metterli in ordine. La
lucidità continuava a minacciare di abbandonarlo mentre cercava di fare ordine
fra quegli indizi accumulati un po’ a caso. Cercava disperatamente di trovare
qualche risposta in fretta, ma non c’era nulla che gli sembrasse
sufficientemente plausibile.
“Mia
sorella si chiama come te” mormorò, formulando la frase con lentezza, come se
avesse paura di incespicare nelle parole.
Caroline
Forbes era andata a scuola con suo padre. Di certo non era un’adolescente e
forse non era nemmeno umana. D’un tratto Maseripensò alla conversazione che aveva avuto assieme ai genitori, pochi
giorni dopo la partita di hockey.
“Non
era tua madre che usciva con papà” concluse infine. “Eri tu.”
Caroline annuì, sostenendo l’espressione accusatoria
del ragazzo. Gli doveva la verità e filtrarla o alleggerirla in qualche modo
avrebbe solo concluso per peggiorare la situazione.
Mason sbuffò, posandosi una mano dietro la nuca.
Caroline avrebbe voluto avvicinarsi e cercare di confortarlo, ma il modo in cui
il giovane la freddò con lo sguardo glielo impedì. Sembrava arrabbiato e
deluso, più che smarrito o spaventato.
“Come?” si
limitò a mormorare, guardandola con insistenza,“C-co-come è possibile?”
“Tu sei un lupo mannaro” rispose la ragazza,
scendendo dal muretto. Mase fece un passo indietro. “Le tue ferite guariscono,
hai i sensi iper-sviluppati
e una forza e un’agilità fuori dal normale. Anche io ho qualcosa di diverso”
rivelò, muovendo qualche passo avanti. “Quello che sono mi permette di non
invecchiare mai. Posso crescere, ma non invecchiare.”
Mason rimase in silenzio, limitandosi a scrutarla
incollerito.
“Mi hai mentito!” ringhiò infine, continuando a
tenersi a distanza. Caroline si sorprese di quella reazione improvvisa.
“Non ti ho mentito!” si oppose,scuotendo il capo con decisione. “Avevo
promesso che ti avrei detto tutto subito dopo la luna piena, e infatti…”
“Avevo ragione!” sbottò il ragazzo, impedendole di
completare la frase. “Tutto il tempo che hai passato con me, i pomeriggi alla
riserva, la luna piena… L’hai fatto per papà, solo
perché te l’aveva chiesto papà!”
“Tyler non mi ha chiesto di fare nulla!”ribatté la ragazza in tono di voce fin troppo
alto. Le sue parole incollerite l’avevano lasciata di stucco. Non aveva mai
preso in considerazione l’idea che Mason attribuisse così tanta importanza a
tutto quello che faceva per lui. Il più delle volte sembrava accorgersi a
malapena della sua presenza, come se averla a fianco non facesse alcuna
differenza per lui. Solo in quel momento si rese conto di quanto fosse sempre
stato evidente il contrario. Si era sbagliata.
“Sono stata io a chiedergli se potessi tenerti
d’occhio” spiegò, sforzandosi di lasciar trasparire la sincerità attraverso il
tono di voce. “Ho scelto io di starti vicina.”
Mason scosse il capo e distolse lo sguardo.
“Ma l’hai fatto per lui” ribatté in tono di voce
improvvisamente atono. La nota di accusa di poco prima sembrava essere svanita.
Non c’era più rabbia nel suo sguardo. Solo una delusione intensa e dolorosa che
Caroline faticò a sostenere. Si sentiva in dovere di rassicurarlo come aveva
fatto nel corso degli ultimi due mesi. Aveva promesso a se stessa che se ne
sarebbe presa cura,ma alla fine a
fargli del male era stata lei.
“Forse all’inizio sì” ammise infine, “Sono tornata a
MysticFalls per
riallacciare i legami con il mio passato e Tyler era uno dei motivi principali
per cui volevo farlo. Ma poi ti ho conosciuto” aggiunse, abbozzando un
sorriso.“Ti ho visto fare a botte alla
partita di hockey e credo di aver pensato che ti avrebbe fatto comodo un po’ di
aiuto. Quando hai scatenato la maledizioneho capito che starti vicina avrebbe fatto bene a entrambi. Ed è stato
così” si interruppe per riprendere fiato, voltandosi in direzione del ragazzo.
Mason era tornato ad appoggiare la schiena al muretto e scrutava impassibile il
retro della tenuta, le braccia conserte sul petto.
“Qui a MysticFalls non c’era più nulla
che riuscisse a farmi sentire me stessa, ma starti accanto mi ha aiutato.
Spesso mi ha fatto sentire come se non me ne fossi mai andata. Mi sto
affezionando molto a te.”
Mason non rispose. Caroline non aveva mai dato peso
più di tanto ai suoi silenzi prolungati o alle loro conversazioni che calavano
bruscamente nel nulla, ma quella sera l’assenza di risposte da parte si stava
rivelando difficile da sostenere. Cercò di guardarlo negli occhi; vi lesse la
stessa diffidenza marcata che aveva riconosciuto nel suo sguardo i primi tempi.
D’un tratto si sentì agitata.La
impensieriva il pensiero di dover rinunciare ai timidi progressi che la loro
amicizia aveva mosso nell’ultimo periodo.
“Hai tutto il diritto di esserearrabbiato con me” disse, tornando a sedersi
sul muretto.“Ma ho bisogno che tu mi
creda. Guardami” lo richiamò decisione. “Ti sembra che stia mentendo?”
Finalmente il ragazzo si decise a ricambiare il suo
sguardo.
“Chi sei?” domandò, appoggiando un gomito al
muretto. “Che cosa sei?”
Caroline si lasciò sfuggire un sospiro.
“Un vampiro” rivelò, mordicchiandosi il labbro.
Mase sgranò gli occhi.
“Non devi
avere paura di me” si affrettò ad aggiungere la ragazza. “Non farei mai del
male a te o alla tua famiglia. Convivo con questa cosa da diverso tempo, ormai,
e so controllarmi.”
“Succhi il sangue alle persone?” domandò il giovane,
scrutandola con diffidenza. Il modo infantile in cui lo chiese la fece
sorridere. Sembrava ancora distante, volutamente distaccato, ma in manieraminore rispetto a poco prima.
“Ogni tanto. Il più delle volte mi rifornisco di
sacche ematiche rubate a qualche ospedale” spiegò, continuando a tenere
d’occhio la sua espressione di sottecchi. Notò che Mase era tornato a sedersi
sul muretto come lei e questo la rassicurò leggermente. “Non è la stessa cosa,
ma si finisce per farci l’abitudine. Meglio il sangue umano in sacche che
quello degli animaletti, comunque, su questo non ci sono dubbi. Gusto orrido a
parte, certi hanno dei musetti così teneri e indifesi…”
“Se sei un vampiro significa che sei morta?” domandò
improvvisamente il ragazzo, interrompendo il suo fiume di parole. Caroline
annuì.
“Avevo
diciassette anni” rispose, ripensando con una stretta al cuore alla confusione
e al panico di quella notte.
Mason le rivolse una lunga occhiata che la vampira
non fu in grado di decifrare, prima di distogliere lo sguardo. Sembrava
turbato. Più volte parve sul punto di chiederle qualcosa, ma non lo fece.
“Mio padre ti è stato vicino?” domandò
all’improvviso, riprendendo a colpire ritmicamente il muretto con il tallone.
Nonostante l’atteggiamento impassibile Caroline riuscì ad individuare una punta
di apprensione nel suo sguardo e si sentì attraversare da un moto di tenerezza.
“Molto più di
quanto lui stesso creda” rispose, sorridendogli con dolcezza.“La nostra amicizia ha incominciato a
crescere proprio in quel periodo. Tyler ha scatenato la maledizione poco dopo
la mia transizione in vampiro e questo ha inciso molto sul nostro rapporto.”
Mason aggrottò le sopracciglia.
“Quanti anni hai?” domandò.
Caroline arrossì.
“Ho la stessa età di tuo padre” ammise, portandosi
le mani in grembo. “Non mentivo quando ti ho detto che andavamo a scuola
assieme.”
“Che?” esordì Mason, sgranando gli occhi, allibito.
“Stai dicendo che sei vecchia?”
La vampira gli rivolse un’occhiata stizzita.
“Non osare!” lo rimbeccò, dandogli uno schiaffetto
sulla spalla. “Non sono per niente vecchia!”
“Come no! Sei quasi decrepita!”
“Mason!”
Caroline gli sferrò una spintarella, cercando di
sbilanciarlo dal muretto. Mason scoppiò a ridere, sollevando un braccio per
difendersi dai colpi della ragazza.
“Scusa, perché adesso ridi?” lo interrogò la vampira, scrutandolo
indispettita.
Mason scosse il capo.
“Perché è disgustoso!” dichiarò
infine, passandosi una mano dietro la nuca. “Non avrei mai pensato di trovare
sexy una vecchia” ammise infine, abbozzando un sorrisetto malandrino.
Questa volta fu Caroline a
squadrarlo allibita.
“Sexy?” ripeté, inarcando un
sopracciglio. “Ma per favore!” lo schernì, lasciandosi sfuggire a sua volta un
risolino.
“Che hai da ridere tu, adesso?” la interrogò bruscamente il ragazzo.
Caroline
scosse il capo con fare incredulo.
“Rido perché ho quasi
quarantacinque anni, e…”
“Che schifo…”
la stuzzicò Mase, esibendo una smorfia disgustata.
“ …e le
tue uscite da ragazzino con gli ormoni in subbuglio mi mettono in imbarazzo”
proseguì la vampira, arrossendo leggermente. “E se dici ancora una volta ‘che schifo’, giuro che ti butto giù dal muretto!”
“Non oseresti mai” la provocò il ragazzo.
Scartò improvvisamente all’indietro, quando Caroline si allungò in avanti per
strofinargli un pugno sul capo.
“Questo me lo può fare solo Ricki”
si lamentò scontrosamente, cercando di allontanarla. “Levami le mani di dosso!”
“Qualcuno si sta arrabbiando!”osservò la ragazza, sorridendo soddisfatta.
Mason sfuggì alla sua presa e
incominciò a sistemarsi i capelli spettinati con le mani, mentre Caroline al
suo fianco lo osservava in silenzio. Vederlo scherzare così l’aveva rassicurata
e l’agitazione di poco prima si era notevolmente affievolita. D’un tratto
avvertì l’impulso di abbracciarlo. Non lo fece, ben sapendo quanto lo
rendessero incerto i gesti d’affetto spontanei.
“Sexy…” non poté
evitare di ripetere poco dopo, scuotendo
il capo con espressione divertita.
Mason
arrossì.
“Smettila.”
“L’hai capito che ho l’età per
essere tua madre, vero?”
Il ragazzo accennò un sorrisetto
malizioso.
“Beh, sai come si dice…”
commentò, intrecciando le dita dietro la nuca. “…MILF.”
**
Caroline lo squadrò stupefatta.
“Mason!” lo riprese, arrossendo imbarazzata.
“Sei tremendo!”
Il ragazzo si mise a ridere. Cercò di
riparasi dagli spintoni di Caroline, che riuscì senza troppo sforzo a buttarlo
giù dal muretto.
“Una volta, forse” esordì improvvisamente
il ragazzo, sollevandosi da terra. Tornò ad appoggiarsi al muro con la schiena
sotto lo sguardo perplesso di Caroline.
“Una volta cosa?”
“Una volta mi guardavi come se fossi mia madre” si
spiegò meglio Mason.“Ma ultimamente hai
cambiato sguardo.”
Caroline
gli rivolse un’occhiata confusa.
“Che
intendi dire?”
Il giovane non
rispose. Si limitò a dare una scrollata di spalle, scavalcando poi il muretto
per rientrare in giardino.
“Mase!”lo richiamò la ragazza. “Come ti guardo adesso, scusa?”
Il giovane
abbozzò un sorrisetto.
“Andiamo dentro, inizia a fare freddo”
propose, infilandosi le mani in tasca eincominciando a incamminarsi verso la tenuta.
“Mi
vuoi rispondere?” insistette Caroline, affrettandosi a seguirlo. “Dio, non ti
sopporto quando fai così!”
Mase si mise a ridere. Nonostante la
vampira reagisse con stizza ai modi di fare dispettosi del ragazzo, quella
risata riuscì ancora una volta a strapparle un sorriso.
In fondo non era poi così sicura di voler conoscere
la risposta alla sua domanda.
Even the best fall down sometimes.
Even the wrong words seem to rhyme.
Out of the doubt that fills my mind,
I somehow found you and I collide.
Collide.Howie Day
***
Florida, Jacksonville University.
La piazzetta che ospitava i quattro edifici
principali del campus era gremita di gente, quel pomeriggio. Giovani studenti
intenti a chiacchierare e ascoltare musica riempivano a gruppetti le panchine e
le gradinate, impigriti dal caldo.
Solo tre figure solitarie, quelle di due uomini e
una donna, sembravano poco intenzionate a godersi la giornata soleggiata. Il
trio attraversò spedito il corridoio meno illuminato della biblioteca, sbucando
a pochi metri da un locale semi-deserto.Una volta dentro le tre persone scelsero un tavolo e lo occuparono. Si
erano sistemate da meno di dieci minuti quando un ronzio e il motivo di qualche
vecchio spot pubblicitario si frapposero alle voci dei presenti nella stanza.
“Non mi
abituerò mai a questi” borbottò uno degli uomini, estraendo dalla tasca il
cellulare.Se lo portò all’orecchio e
ascoltò attentamente le parole dell’interlocutore, mentre gli altri due
occupavano il tavolo da biliardo più vicino.
L’uomo conversò per una manciata scarsa di minuti,
parlando con voce bassa e leggermente rauca.
“Era Zacheria” dichiarò
infine, chiudendo la chiamata. “Ha trovato uno dei ragazzi. Vivono
nell’edificio più a ovest del campus. Possiamo andare a prenderlo non appena
farà buio.”
“Quale dei due?” lo interrogò la donna, chinandosi
sul tavolo per posizionare al meglio la stecca.
“Il mezzo Gilbert” rispose l’altro. “Lockwood sembra
essere ancora in Virginia.”
“Era proprio necessaria questa deviazione?” sbottò
improvvisamente il secondo uomo, guardandosi freneticamente attorno: sembrava
avere qualche problema a mantenere gli occhi puntati su qualcosa troppo a
lungo. “Avremmo potuto incominciare da MysticFalls e tornare dopo per il ragazzo Non mi piace, qui. C’è
troppa luce.”
“Zacheria dice che può occuparsene lui” proseguì
l’altro in tono di voce secco, ignorando la sua protesta. Si rivolse alla
donna, che aveva abbandonato la stecca sul tavolo e lo stava fissando con
sguardo carico di disappunto. “Se per te andasse bene potrebbe farlo anche ora,
Lyra. Quel bastardo non ha problemi a stare esposto
alla luce del sole.”
La donna sembrava contrariata.
“Dì a ‘Ria
che è un folle e un masochista se spera di riuscire a soffiarmi via la preda”
rispose freddamente, allontanandosi dal tavolo da biliardo. “Non mi importa se
la sua vittima non è più qui. È il mio turno per giocare.”
Si tastò i canini con la lingua, esibendo un
sorrisetto deliziato. Aveva la gola arsa, bramosa di sangue ele mani avide di vendetta.
“I Gilbert sono miei.”
Presto avrebbe estinto entrambi i tipi di sete.
_____________________________
*Remember me this way – Jordan Hill
** MILF – Mom
I’d Like to Fuck. Da Wikipedia:
MILFè unacronimotratto dallinguaggio gergaleanglo-americanoche riguarda generalmente donne mature
considerate sessualmente appetibili da maschi più giovani.
Nota dell’autrice.
Ed eccomi
qui, finalmente, con la seconda parte del dodicesimo capitolo.
Vi
chiedo scusa in anticipo nel caso troviate errori di distrazione/battitura o
altre sviste.So che sono solita
disseminarne diversipur ricontrollando
di volta in volta i capitoli e questa volta ho revisionato in maniera un po’
frettolosa, perché la prossima settimana mi assenterò da casa e ci tenevo a
pubblicare prima della partenza per non posticipare ancora. Cercherò di
rimediare quanto prima, intanto mi scuso!
In
generale questo capitolo mi ha fatto dannare parecchio. Per ora è forse quello
che mi convince di meno, ma forse è perché avevo in programma di scrivere
alcune di queste scene da molto tempo e credo di essermi creata troppe
aspettative a riguardo xD
Passiamo al mio polpettone nel polpettone.
Sulla
scena Xanderine
non c’è poi molto da dire, si racconta da sola. Per quanto riguarda Ricki e Vicki mi sono accorta in fase di stesura che le dinamiche tra i due
si sono svolte in maniera molto più pacata rispetto al solito. Vicki era
decisamente meno pazzerella di come siamo abituati a vederla, ma ho pensato che
la situazione lo richiedesse. E grazie al casotto combinato da Ricki i due
giovincelli incominciano a scambiarsi informazioni sui rispettivi segreti. Nei
prossimi capitoli scopriremo se la cosa verrà approfondita e se ci saranno
conseguenze di qualche tipo.
La scena
Annaver/Jeranna è un
concentrato di riferimenti al filmCasper: non ho potuto fare a meno di inserire un
piccolo tributo a quel filmper bambini
che nonostante tutto riesce ad emozionarmi ogni volta che lo guardo xD Inoltre il parallelismo con Anna, Oliver e Jeremy era
troppo calzante per non volerlo inserire.La canzone che intervalla la scena in questione (Remember me this way di Jordan Hill) è proprio la canzone che accompagna la scena finale del film, in cui Kat balla assieme al Casper
umano.
Nella
scena Annaver c’è anche unlieve riferimento alla canzone She’s
the sunlightdei Trading
Yesterday, che ho sempre trovato perfetta per
loro due. I versi che mi hanno ispirata sono “sheistomorrow, I amtoday”.
Purtroppo
non ho potuto dedicare una scena vera e propria alla vittoria di Vicki. Sarebbe venuto fuori un papiro
troppo lungo, perciò ho preferito menzionare la cosa nella scena Annaver/Jeranna.
La scena
Masoline è
forse quella che mi convince di meno assieme a quella Rictoria.
Spero che la contrapposizione fra la prima parte della scena in cui avviene la
rivelazione e la seconda, in cui le cose si fanno più distese e non stoni
troppo. Mase alla fine riesce ad accantonare la sua diffidenza per riprendere i
modi di fare un po’ da stupidotto
del capitolo precedente xDCredo che Caroline alla fine abbia trovato il
modo per rassicurarlo e a questo è dovuto il suo cambio di atteggiamento.
Con
questo capitolo si chiude la prima parte, decisamente introduttiva, di questa
storia –Werewolves.
Dal prossimo avrà inizio la seconda parte, intitolata Vampires. La scena di chiusura
di questo capitolo è un grandissimo indizio per comprendere cosa aspettarsi
dalla futura seconda parte. Chi saranno questi quattro loschi individui che
gironzolano per l’università di Jacksonville? Uno di loro, Zacheria, lo conosciamo già. Dal
prossimo capitolo incominceremo a conoscere di più anche gli altri tre.
Finalmente i prossimi episodi dovrebbero dare più rilievoa quei due pargoli che per ora sono rimasti
un po’ più in disparte: Jeffrey e Julian.
Credo di
aver detto tutto! Sicuramente il nuovo capitolo arriverà, molto in là. Ho
bisogno di un attimo di pausa per plottare al meglio
la seconda parte della storia.
Grazie a
chi ancora continua a seguire questi nove pargoletti, non sapete quanto
significhi per me <3
Ricordo
come sempre che per informazioni sugli aggiornamenti, scleri
vari, anticipazioni, lavoretti grafici e quant’altro mi trovate me e i pargoli
sempre QUI, al gruppo facebook su HistoryRepeating.