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Recensione alla storia Scelgo la belva - una breve favola sull'addio - 25/05/20, ore 11:42
Capitolo 1: Scelgo la belva - una breve favola sull'addio
Quinto Posto
Scelgo la belva – Una breve favola sull’addio
Premio “Dedicato a te” al titolo che ha racchiuso meglio tutte le sfumature della storia
di Filosofa Pagana





Grammatica: 4.8/5

Non ho trovato errori grammaticali o di sintassi. Ti è solo scappata una virgola:

ma come neve tardiva in primavera, il mio Spirito di vendetta si scioglie nella misericordia del tuo sguardo→ -0.2 “ma” è legato l’avversativa “il mio spirito…” quindi va messa un’ulteriore virgola per quindi l’inciso della similitudine.


Stile: 17.5/20

Lo stile di questa raccolta è complesso, articolato, ma nel suo insieme risulta compatto e continuativo, effetto dato soprattutto dal tono costante della narrazione. Trovo, però, che esso non abbia soddisfatto del tutto quello che la sua impostazione ha promesso. Ti sei prefissata un obiettivo davvero alto e ammirevole adottandolo.
Innanzitutto c’è tanta carne a fuoco, e credo che sia la commistione di questi elementi ad aver “azzoppato” il risultato finale, perché nel tentativo di rendere conto a ognuno di essi, alcuni ne escono penalizzati, mentre altri mi sono parsi incompleti. Ma procediamo con ordine.
L’atmosfera è certamente funzionale ad accompagnare l’introspezione dei personaggi, getta una retrospettiva che in qualche modo “chiarisce” i motivi d’odio e rancore di San verso l’umanità. Riesce a far emergere dallo sfondo l’ambiente circostante. Le parole con cui descrivi non sono scelte a caso (ad esempio: “L’amore nella Foresta è fiore che sboccia” che richiama la scena finale dove, dopo la distruzione, la foresta riprende vita a partire da piccoli germogli) e il tono adottato ti permette di fornire all’ambientazione un’anima potente, suggestiva, mistica e sacra.
L’immagine, poi, della “città miserabile” dona contrasto tra ciò che è natura e ciò che è invece creato dall’uomo.

- Nella città miserabile fiati roventi marchiano la pelle→ Un contrasto fisico che è speculare del dibattito interiore di San. In qualche modo, il suo essere una persona la rende legata anche a quella città, che lei rifugge e disprezza. Il verbo “marchiare” quindi assume una doppia valenza: non solo in riferimento agli uomini che nella città vivono e che quindi si rendono disprezzabili e sacrileghi ai suoi occhi e a quelli degli spiriti, ma a essere “marchiata” è anche la pelle di San, che è comunque umana, e che quindi sente su di sé il bisogno di riscatto, di dimostrarsi diversa dai suoi simili.

A proposito del tono narrativo, risulta sicuramente tonante, appartenente a una “voce” narrante che incute rispetto e si sa saper far ascoltare. Lo stile è marcato da una forte componente descrittiva e da un uso importante di aggettivi e da un’inversione sintattica. Questo rende tutto molto denso e non fa che rallentare ulteriormente il ritmo della narrazione, grazie anche a un uso preponderante, direi totale, di frasi asindetiche.
Tutto questo entra in parte in contrasto con la scelta di un narratore in prima persona, supportato tra l’altro da un tempo narrante al presente, che rende la vicenda ancor più vicina a chi la espone e a chi la legge (io personalmente associo questa combinazione con un componimento molto espressivo, emotivo in maniera istintiva).
Quando leggo di un narratore in prima persona, che quindi si pone come obiettivo di narrare attraverso la voce di uno dei personaggi, quello che vado a cercare è la coerenza tra questa “voce” e il personaggio. Qui, questa coerenza non sempre risulta esserci. Il narratore è potente, ma anche posato, ha un tono che potrei definire “ancestrale”; un tono che si discosta dalla “voce” di San. Parte di quest’incompatibilità è mitigata, perché San comunque è un personaggio dalla cui voce si percepisce solennità, una solennità investita dal suo ruolo di “vendicatore” degli spiriti della foresta, che ha una parlata autoritaria, determinata, decisa. E trovo che sia l’inizio della prima drabble, dove si percepisce tutto il suo rapporto con l’aspetto più selvaggio e sacro della foresta, sia alcuni passaggi come “Lui è stato la mia casa, ma non c’è dimora per gli orfani e i reietti” o “Un principe degli uomini non è fatto per essere re delle bestie” marchino con il giusto equilibrio questa sua solennità, queste due frasi, in particolare, sembrano davvero pronunciate da San. D’altra parte però ci sono aspetti che invece diventano troppo altisonanti persino per lei:

- ma come neve tardiva in primavera, il mio Spirito di vendetta si scioglie nella misericordia del tuo sguardo→ La trovo troppo articolata per il passaggio “mio spirito di vendetta”, ma anche troppo complessa come struttura sintattica per un pensiero di San.

O ancora:

- Tremano le mie pupille nei suoi occhi→ Senza l’inversione, il tono avrebbe acquisito dolcezza secondo me, si sarebbe fatto più morbido e umano, meno tonante.

- Principessa degli Spettri, sono solo il fantasma di me stessa→ Qui, credo, non ti ha aiutata la punteggiatura. Io, personalmente – spero di non sbagliare – ho inteso questa frase come se San stesse ripetendo tra sé il nomignolo con cui la chiamano gli abitanti della città di ferro, conferendole quindi un ruolo regale tra tutti gli spettri, mentre lei subito dopo si sminuisce in maniera mesta affermando di essere ella stessa solo un fantasma, un’immagine sbiadita e confusa di ciò che dovrebbe essere, qualcosa di indefinito e quindi per questo “niente”. Intendendo ciò, ho trovato il tono troppo “atono”, poco espressivo. Potrei consigliare d’inserire i puntini di sospensione al posto della virgola, per marcare la distanza da quello che non è strettamente un suo pensiero, ma la ripetizione di ciò che altri dicono. E poi, usare in conclusione un punto esclamativo o un punto fermo. Separare comunque questa frase dalla seguente, in modo da dare il tempo al lettore di assorbirne l’impatto triste, disperato quasi.

Come ti ho annunciato prima, il tempo verbale al presente, insieme a un narratore interno, mi spinge ad aspettarmi molta espressività emotiva, che qui viene sacrificata invece in nome di un tono privo di contrasti emotivi, preferendoli una continuità musicale nei toni e nei ritmi che ben richiama le musiche tipiche giapponesi.
Poi c’è da considerare le tre figure estetiche giapponesi: wabi sabi, yugen e mono no aware. Il lavoro che hai fatto con esse è davvero notevole e ti faccio i complimenti per l’idea originale di usarli come “anima” delle drabble. Trovo che le ultime due siano quelle più riuscite e complesse, utilizzate in maniera profondo, sfaccettata, mentre nella prima drabble questa fluidità viene invece sostituita da una segmentazione dei vari aspetti. Dello yugen, per esempio, hai esaltato il suo significato più ampio – il senso di mistero e fascino che si prova per quelle cose incomprensibili a cui non si riesce a dare un nome – attraverso l’espressione “C’è qualcosa che riverbera in me, soffocando ogni altro suono: come uno stagno in cui è stata lanciata una pietra, il mio animo vibra e si increspa.” Non lo chiami mai amore, la consapevolezza che San raggiunge passa dalla mancanza di parole, un sentimento tanto forte da non poter essere contenuto da alcun suono. Ma secondo me, più subdolo, è il concetto di “leggermente scuro”, che si rispecchia in questo sentimento prima confuso o sconosciuto che adesso si mostra e diventa consapevolezza, come se San si stesse finalmente guardando nel profondo. Questo è quello che intendo per “significato profondo e sfaccettato, che si può leggere a più livelli”. Dello yugen, ma anche del mono no aware, hai dato un’interpretazione profonda e sentita, che sa colpire chi legge. Nella prima figura, invece, questo non accade, l’espressività non è sfruttata al massimo.
Nella prima drabble, avevi un grande potenziale: la solitudine di San (è l’unico essere umano che vive tra i lupi) la sua privazione di una società di simili viene elevata dal suo apprezzamento di questa bellezza solitaria, di una natura ricca di potere e sacralità. Invece hai giocato di contrasti: la bellezza della natura è vista in antitesi alla “desolazione” della città del ferro. Hai scelto un approccio più duro, più occidentale secondo me, andando a marcare questi due diversi significati della parola “wabi”. A parte, hai poi esaltato un altro aspetto: il piacere delle piccole cose, ma soprattutto di quelle cose insolite, “rotte” se vogliamo, che si differenziano dal normale, e credo rappresenti sia San (divisa tra la sua umanità e la vita tra i lupi, lei è l’emblema di un oggetto “rotto”, riparato ma di cui è visibile vederne le crepe, i trascorsi sulla pelle, in quest’ambivalenza che lotta dentro e fuori di lei) sia Ashitaka, il quale è visto dalla ragazza come una piacevole anomalia a quelle prerogative che associa alla razza umana. Questo è quello che intendo quando dico che hai “segmentato i vari aspetti della figura estetica”.
Infine, gli haiku. Credo che loro siano la vera anima della storia, perché riescono a richiamare, con una forte componente evocativa, non solo l’introspezione di San, ma anche il contesto della trama. Per il vero lettore – e intendo per il lettore che conosce il fandom – sono loro il centro di tutto. Ecco che dal primo haiku si rievoca l’immagine di Ashitaka che in quella notte di fuochi si frappone tra San e Eboshi; c’è il richiamo alle lame, ma soprattutto alla risolutezza di Ashitaka. Il secondo haiku ha richiamato alla mente il momento in cui Ashitaka la stringe tra le braccia; l’ultima, infine, la solennità della loro separazione, e la conclusione, solo sottintesa, nella terza drabble.
In definitiva, trovo che lo stile tonante fluisca all’interno degli haiku meglio di quanto potesse fare uno stile più semplice e puramente introspettivo; allo stesso tempo, trovo che i due diversi componimenti rendano in maniera speculare l’effetto dello “spezzato”: la prosa lo fa con una struttura asindetica, ricca di subordinate, formata da frasi brevi e cadenzate; gli haiku ottengono un effetto simile grazie alla loro struttura grafica.
Particolare e ben riuscito nella prima drabble è il passaggio dal “suo” a “tuo” in riferimento ad Ashitaka. Marca molto bene il passaggio da un flusso di pensieri personali e introspettivi a un flusso di pensieri critici e dialogativi. M’immagino quindi questi pensieri come un dialogo silenzioso che avviene nella mente di San proprio mentre guarda in maniera determinata Ashitaka. Il passaggio alla seconda persona, quindi, minimizza la distanza tra narratore e personaggio, facendo vivere al lettore i pensieri di San come se in quel momento lei si trovasse davanti ad Ashitaka.
Complimenti per la cura quasi maniacale con cui hai scelto il lessico. È curato, vario, forbito anche. Le parole hanno forza e sono usate al massimo della loro potenza. L’uso di figure retoriche non fa altro che conferire un ulteriore musicalità e poesia solenne al loro utilizzo.

- non c’è posto per il tumulto che ferma la mia lama prima che affondi nella carne, che muta la mia fiele in linfa.→ l’Ossimoro tra “tumulto” e il verbo “fermare” regala una bellissima contrapposizione, una “contraddizione” che esalta il turbine emotivo che prova San. Altrettanto bello il gioco di assonanze delle parole “fiele-linfa”.

Ancora, devo lodare il climax introspettivo che hai creato, che nel suo picco in qualche modo crolla, come uno elastico teso e poi lasciato che ritorna indietro di colpo. Mi riferisco all’incontro inaspettato di San con quest’anima pura, il riconoscimento di questo sentimento a cui si lascia andare, per poi stroncare di botto questo sentiero per tornare di nuovo alla sua solitudine, seppure con un arricchimento maggiore, una comprensione più vasta e complessa sia delle verità del mondo sia di se stessa.
I generi segnalati, infine, sono stati tutti rispettati e trovano fortemente spazio nella raccolta. È la sinergia tra tutti e tre a dare potenza e tridimensionalità alle emozioni che attraversano il testo. Complimenti.


Sviluppo del tema: 14/15

Per quanto riguarda i due temi “rivelazione” e “separazione”, questa storia incarna la linearità di ciò che ho chiesto. Hai scelto l’impostazione più regolare, tanto che i due macro-temi si susseguono con fluidità. Questo probabilmente è dato soprattutto dalla scelta di caratterizzare tanto la trama e quindi seguire il personaggio di San in una determinata evoluzione. I due macro-temi sorreggono tale evoluzione, e diventano l’uno l’inevitabile conseguenza dell’altro.
È curioso notare come entrambi i temi non seguono solo l’aspetto sentimentale ma anche, e soprattutto, quello introspettivo. La consapevolezza dell’amore verso Ashitaka si sviluppa insieme alla rivelazione e presa di coscienza di questa doppia natura che convive dentro San. Allo stesso tempo, l’addio corrisponde anche alla scelta consapevole di rinunciare al suo legame con i suoi simili a favore della sua natura “bestiale”. L’amore, quindi, diventa mezzo ma anche effetto attraverso il quale il personaggio di San si scopre e viene a patti con se stessa, passando però prima dal dilemma e da un’impasse che non permettere una convivenza tra le parti.
Detto questo, ti faccio i complimenti per la personalità con cui, nella seconda drabble, la rivelazione resta quasi una sconosciuta, con un volto ma senza nome, persino agli occhi di San. Ho trovato particolare la scelta di non rendere mai tangibile la “rivelazione”, mostrarne solo l’effetto, la fascinazione. Questo tema è stato sussurrato con abilità, ed è per questo che non colpisce, non si sbraccia davanti gli occhi del lettore. Fa molto di più: lui avvolge, lo ingloba e lo imprigiona in una rete di colori e sensazioni che non possono essere fraintesi. La rivelazione non è descritta, non è annunciata: è fatta provare sulla pelle, ed è il lettore che le dà un nome. Complimenti.
Anche l’addio, seppure non punta sullo struggimento, riesce comunque a far breccia passando da un’amara e malinconica consapevolezza: l’amore si scontra con una realtà più dura, una natura che non può essere cambiata né piegata.
Purtroppo è venuto un po’ meno l’elemento centrale della coppia. Atmosfera e contesto ti hanno privato dello spazio per dare personalità ad Ashitaka, mentre l’attenzione sull’evoluzione non solo “amorosa” ma anche psicologica di San rende il personaggio maschile un’essenza potente, ma mai tangibile. L’impressione più forte, quindi, è la centralità di San, non di San e Ashitaka.

Titolo, Introduzione e impaginazione: 5/5

Il titolo sicuramente attrae il lettore. È particolare, forte, e la sua doppia composizione, ricca di antitesi, lo rende denso di possibili significati. I sentimenti che traspaiono sembrano lottare tra di loro: da una parte la risolutezza, dall’altra la tristezza.
A primo impatto, la forza del titolo sta nella sua musicalità, o meglio sul contrasto tra le sue musicalità. Trovo la prima parte molto forte a livello fonetico, di suono. È rude, se posso dire, dona il giusto tono risoluto. Sembra stupido ma la mancanza di assonanza tra le due parole “scelgo la belva”, quell’unica “l” a fare da collante, rende il suono pieno di contrasti. In compenso, la seconda parte è più musicale, la sua forma più lunga ti permette di conferirgli dolcezza. Inoltre l’articolo indeterminativo gli dona un senso di indefinito che ben si adatta al suo aspetto più malinconico. Sembra annunciare una storia mesta, così breve da non avere quasi importanza o potere, eppure è stata scritta, e questo la rende speciale. Inoltre sembra annunciare una “vecchia” storia, una di quelle raccontate e che profumano di leggenda, che portano intrinseco un insegnamento o un particolare tema.
Il “doppio titolo”, poi, è perfetto perché è strettamente legato alla doppia natura della composizione: quella grafica – la prosa e gli haiku –; quella introspettiva soprattutto - l’amore per Ashitaka e la presa di consapevolezza del suo io più profondo.
L’introduzione ha il giusto equilibrio, perché fornisce al lettore quelle “coordinate” che io reputo necessarie per attirarlo e spingerlo a leggere la storia. C’è un contesto, che viene presentato giustamente con un’aria mistica e sacra, restando attinente al fandom e allo stile; c’è il tema di fondo – la lotta tra natura e uomo – e la sua faccia speculare – il contrasto tra Ashitaka e San, ma anche tra la parte umana e quella bestiale che lottano all’interno di San. Infine c’è la bravura di saper formulare un’introduzione che stuzzica, intriga, graficamente resa dai quei puntini di sospensione, espressa da quell’ultima frase che preannuncia in qualche modo un esito non del tutto felice. C’è la capacità, quindi, di trasmettere anche emozioni, dando un assaggio di tutti i livelli di cui è composta la raccolta.
L’impaginazione non mancava di nulla. Sono tanti gli elementi che hai inserito, ma ognuno di essi trova spazio e modo di spiccare all’interno della pagina. Il titolo centrale, i sottotitoli a sinistra e la loro “immagine” italiana a destra (questo elemento è un tocco di classe), il testo in prosa occupa in maniera candida e ordinata la parte lineare della pagina, mentre la centralità delle haiku, nonché il loro isolamento, le incorona protagoniste e perno intorno a cui ruota il resto. A un primo occhio il tutto appare segmentato ed elaborato, ma vista la complessità della prosa e tutti i vari livelli di lettura inseriti, credo che sia la scelta più coerente che potessi fare.


Caratterizzazione dei personaggi: 20/20

Il ruolo di Ashitaka è troppo limitato per poterne tranne una vera e propria caratterizzazione. Diciamo che ti sei limitata all’essenziale, un po’ ai suoi contorni, o comunque a delineare ciò che lui rappresenta all’interno dell’economia del fandom, ma non è mai protagonista (o co-protagonista) della raccolta.
Significativa, comunque, risulta l’immagine della “misericordia del suo sguardo” (lui è “mandato” a osservare cosa sta succedendo con occhi privi di odio) e anche il primo haiku, che evoca la sua risolutezza, la determinazione (spirito come lama) con cui non ha mai preso partito all’interno di questo conflitto tra uomo e natura, forse perché lui proviene da un popolo che conserva il rispetto per gli dei, anzi ha sempre cercato di aprire gli occhi a entrambe le due figure femminili. Altrettanto IC è il paragone del suo sguardo con la carezza, che mette in risalto la dolcezza e l’amore profondo e protettivo che prova per San.
San è la vera e indiscussa protagonista del componimento. Lei non è una figura delineata, ma si evolve, si solidifica davanti agli occhi del lettore. San sboccia attraverso gli occhi di Ashitaka e assume la sua vera forma quando ne diventa “indipendente” per forze maggiori.
Hai fatto davvero un lavoro mirabile con lei, caratterizzando le sfumature, dando profondità ai particolari, spingendo il lettore a comprenderla, non solo ad ammirarla. Inoltre è perfettamente IC con il personaggio originale.
L’attaccamento di San per Ashitaka passa dalla comprensione che lui possa essere o meno uno di quegli uomini che usurpano la foresta. San, quindi, è strettamente legata al suo lato “bestiale”, o meglio alla sua famiglia adottiva e fa di tutto per rimarcare tale fedeltà. Ashitaka rappresenta il punto d’impatto di questa fermezza. In San s’insinua un “dubbio”, legato ancora una volta strettamente alla sua doppia natura, si viene a formare una crepa. Nella prima drabble la sorpresa della purezza di Ashitaka, comunque, viene arginata, San risponde con fermezza e tono solenne, cercando d’ignorarlo e di ribadire il suo scopo. Qui hai rappresentato bene quindi l’atteggiamento di San prima e durante lo scontro nella città del ferro con Eboshi, quando Ashitaka interviene per fermarle.
Nella seconda drabble invece riesci perfettamente a far emergere la sua fragilità, la stessa che nel fandom rivediamo anche quando piange al collo della sua madre adottiva Moro. La stessa che fa venire a galla Ashitaka quando si lascia pugnalare.

- Non c’è carezza paragonabile al suo sguardo → Il paragone con la “carezza” non caratterizza solo il modo di guardarla di Ashitaka, ma esprime soprattutto le sensazioni che provoca in San, ne richiama la femminilità, l’umanità. La carezza è un atto prettamente umano, e il fatto che è la sua voce a darle questa definizione basta a caratterizzare quella “crepa” di cui parlavo prima.

Concludo dicendo il personaggio di San risulta forte, complicato, e consapevole nel finale, ammantandosi di quella determinazione che si era già intravista nella prima drabble, ma che nel finale diventa più matura. Davvero un ottimo lavoro con lei.


Gradimento personale: 4.5/5

È arriviamo all’ultima voce, il mio personale angolino.
Ammetto che avrei tanto voluto più Ashitaka, mi è mancato un dialogo, una componente più tangibile, più concreta. Una scena stabile, ecco. Secondo me, hai sentito molto la pressione della seconda fase del contest, e ti sei premurata di dare un minimo di contesto a cui far aggrappare anche i lettori che sconoscono il fandom. Questo mi ha dato l’impressione che togliesse spazio ai personaggi – sicuramente Ashitaka è stato largamente sacrificato – e mi è dispiaciuto non avere più centrale il loro rapporto.
Ma in qualche modo mi ha affascinato davvero tanto il tuo stile, al di là di pregi e difetti, mi è piaciuto tanto il modo in cui la narrazione ha parlato a me/lettore. È il tipo di stile che mi incanta, perché sembra senza tempo. Dona una sacralità particolare al testo, un’atmosfera venerante e suggestiva. E poi io ho una vera e propria ossessione per il lessico, anche quando leggo cerco sempre di memorizzare più termini nuovi possibili, perché credo fortemente nel potere delle parole. Quindi la cura con cui hai scelto ogni singolo termine, la forza di cui lo hai impregnato mi ha davvero stupito. Davvero brava.
Al di là dell’uniformità di stile e trama, la mia drabble preferita resta la terza. Ha fatto male, perché è la bellezza che ferisce, non è qualcosa di brutto, ma qualcosa di estremamente bello, e delicato, e profondo, da cui non è qualcosa o qualcuno a strapparti, ma sei tu/personaggio/San a dovertene separare. Ed ecco che la rinuncia, unita a questa bellezza e all’amore che continua San a provare, fa struggere e soffrire il lettore. Tanto bello da ferire. Complimenti.
La parte più bella? Beh, oltre l’immagine di “lui è stato la mia casa” e quella finale, io ho semplicemente adorato questa qua: “non c’è posto per il tumulto che ferma la mia lama prima che affondi nella carne, che muta la mia fiele in linfa.” Perché mi ha fatto tanto patteggiare per San, mi ha reso complice del suo dolore ma anche della sua forza. Sembra affermare che l’amore non può sopprimere la natura di una persona (donna, in questo caso, il che rende tutto più forte secondo me) e che San dopotutto ha scelto il rispetto verso se stessa. San vuole essere libera, libera di odiare, libera di non perdonare. L’amore è bello, potrebbe guarirla, farla stare bene, ma lei non vuole perdere una parte tanto importante di sé. È difficile spiegare a parole quello che mi ha dato questa frase, spero che una parte dei brividi e delle sensazioni che ho provato, siano comunque passate.

Punteggio: 65.8/70
Recensione alla storia Quando la vita è uno stiletto di cristallo (che non si conficca nel cuore). - 30/11/17, ore 11:44
Capitolo 1: Quando la vita è uno stiletto di cristallo (che non si conficca nel cuore).
Sesto Posto
Quando la vita è uno stiletto di cristallo (che non si conficca nel cuore)
di Claireroxy





Grammatica: 8.8/10

La grammatica va piuttosto bene. L’unico errore smodato che fai è quello della d eufonica, che è sempre saggio usare solo davanti a vocale uguale, soprattutto perché in alcuni casi è proprio rude da sentire pronunciare. Un errore che non commetti sempre ma che a volte dimentichi di tenere a mente è la virgola tra coordinate dirette, che hanno lo stesso soggetto: non bisogna metterla perché spezzi un legame sintattico fondamentale.
Per il resto, anche la sintassi è ottima. Di seguito, gli errori che ho trovato.

ad osservarla → -0.5 (Penalità generica. Togli la d)
Questo atteggiamento non ti fa davvero pensare a niente?Sarai mai sensibile → 0.1 (manca uno spazio dopo il punto interrogativo)
Invece, mi espone all'oscurità della notte, e mi porge all'esiliato. → 0.2 (togli la virgola)
Il principe finalmente si toglie il bavaglio, e sorride alla signora → 0.2 (togli la virgola)
Poi, sono velocemente attorcigliata alla mano del ragazzo (e sento la fredda maledizione fluire sotto la pelle) e portata via sul suo cavallo, immergendomi nell'oscurità della notte → 0.2 (Non è lei che compie l’azione, ma la subisce. Quindi, credo sia più corretto dire “immersa nell’oscurità della notte”, per concordanza dei verbi)
ad osservare le stelle → (togli la d)
ed a sperare che lui la rimembri → (togli la d)


Stile: 7/10

Secondo me, c’è un errore di fondo che penalizza l’intera storia: il protagonista è lo stiletto, eppure la voce narrante è femminile, come se dentro l’oggetto ci sia uno spirito del tutto diverso da quello che si direbbe guardando l’oggetto. Lo stiletto in questione è antico, un veterano di guerra; ha diverse “ferite” sopra di sé. Tu ne hai dato un’interpretazione molto diversa da quella che è non solo la sua funzione ma anche il suo aspetto. Questo contrasto mi ha molto confuso, lo devo ammettere. Ho visto il film una volta sola e un po’ di tempo fa, forse c’è qualcosa che non ricordo bene, comunque le sensazioni che ha dato a me erano un po’ differenti. La tua scelta, quindi, mi è parsa insolita, tanto che all’inizio non avevo completamente colto il soggetto, chi fosse la voce narrante. Me la sono spiegata pensando che il sesso dello stiletto sia affine a quello della giovane, che hai associato una guida femminile perché lei è una ragazza.
Un altro problema lo riscontro nel lessico: è contraddittorio, a tratti anacronistico. Il contesto è antico, non dico primitivo ma comunque parecchio in là; addirittura, poi, lo stiletto proviene da ere ancora più antecedenti, la sua anima è vecchia, la sua memoria remota. Eppure il suo linguaggio è molto “moderno”, informale. Ci sono termini, come “rimembri”, adatti alla sua antichità, ma altre espressioni che sono persino inadatte al contesto presente in cui i personaggi si muovono. Quindi non è possibile sentirli, neanche volendo considerare che il lessico dello stiletto si sia evoluto adattandosi al tempo in cui la storia si svolge.
In generale, il lessico comunque è molto semplice e colloquiale, l’ho trovato troppo piatto per essere esplicativo di un oggetto così antico.
Invece ho trovato azzeccata, un po’ obbligatoria, la scelta del narratore interno, tra l’altro il punto di vista dello stiletto è sorprendente e originale, e la sorpresa di per sé è stata ben gestita, proprio perché non rivelata dall’inizio.
La lettura, infine, è scorrevole e non ha grosse incespicate. La punteggiatura ha alcuni difetti, però non penalizza eccessivamente il testo. In alcuni punti, però, sei andata a capo senza motivo, come quando devi inserire i dialoghi. Ti faccio un esempio:

Ashitaka, seduto sulla sua cavalcatura, si gira ad osservarla. Non si toglie la stoffa dalla bocca quando la rimbecca con gentilezza.
"Kaya! È proibito vedermi partire."

Il paragrafo tratta le sensazioni di Ashitaka e introduce le sue parole: dovresti utilizzare i due punti e portare il dialogo nel rigo sopra.
In definita, ci sono alcuni accorgimenti da adottare, lo stile ha pregi e difetti, però la flash si legge comunque abbastanza bene, seppur con i suoi difetti.


Originalità e trama: 10/10

L’idea di dare coscienza a un oggetto inanimato mi piace molto. Ho partecipato a un contest di recente che aveva proprio voluto concentrarsi su questo tema, quindi vedere che qualcun altro me la ripropone mi ha fatto piacere. Trovo che il punto di vista dello stiletto di Kaya sia originale, un nuovo modo per presentare la scena. Inoltre sei stata molto brava a non uscire fuori dalla sua visione, mostrando però allo stesso tempo tutti i passaggi salienti della scena, cosa importante i loro sentimenti. L’idea originale c’è.
Ho trovato il missing moment molto ben riuscito, questa telecamera che ci mostra una diversa angolazione. Sulla trama in sé, non c’è molto da dire. Hai sfruttato un’unica scena e ti sei concentrata molto bene sui sentimenti e le emozioni dei personaggi, ma ancora meglio sui silenzi e i sottintesi della vicenda. È stata un’idea semplice, ma carina, senza particolari colpi di scena ma che non presenta buchi o contraddizioni. Inoltre l’aspetto introspettivo è stato studiato e adoperato.


Titolo: 5/5

Il titolo è molto lungo e poi presenta quella parte tra parentesi che io non amo molto nei titoli, ovvero non mi piace vedere le parentesi nei titoli. Però qui mi ha conquistato, semplicemente. Il titolo è forse la parte migliore della storia, mi fa quasi desiderare maggior phatos all’interno della storia, maggiore struggimento, mentre invece i toni si sono mantenuti soffusi, quasi frettolosi, resi bene tra l’altro perché Kaya stava compiendo qualcosa di proibito. Però il titolo mi ha dato questo desiderio in più.
Esso si riferisce sia allo stiletto e alla vita che scorre in lui, sia allo stiletto conficcato nel corpo della signora, dolore e preoccupazione. Mi piace questa doppia valenza. Esso richiama il fulcro fondamentale della flash, eppure ha in sé un significato molto più recondito, così come lo ha anche il dono che Kaya fa ad Ashitaka. Inoltro esso richiama la dolcezza del gesto che ella compie, ma anche quel dolore sordo della separazione, proprio nella relativa contenuta tra parentesi: il tuo dire “non si conficca nel cuore” a me sa tanto di amore e struggimento. Complimenti!


Caratterizzazione dei personaggi: 9/10

A prescindere da ciò che penso del tuo “stiletto”, devo dire che la scelta della caratterizzazione di questo oggetto è molto libera, poiché non ne abbiamo un IC con cui confrontarlo, perciò mi limiterò ad analizzare la caratterizzazione che ne hai data tu. E devo dire che è piuttosto originale, a tratti direi divertente, in modi che non mi aspettavo e che io non avrei mai associato a un oggetto simile.
Lo stiletto è il protagonista in discusso della vicenda, la sua antichità e il suo ruolo così onorifico all’interno della famiglia di Kaya sembrano aver fatto insorgere in lui questo aspetto “egocentrico”, un po’ da prima donna: troppo importante per finire nelle mani di quel ragazzo maledetto. È bello vedere però come lo hai dotato di sensazioni umane (sbigottimento, stupore, offesa) e anche di un cuore, all’interno del quale si riversa parte di quello di Kayra. Hai quindi sfruttato questo aspetto, l’essere portatore di un grande compito poiché importante per la sua padroncina, per far sì che egli accettasse la missione, quasi che la accettasse con onore, fiero di poter vegliare su una parte così importante per la sua signora.
Per gli altri due, ti sei mantenuta sui tratti peculiari, senza andare ad approfondire o estendere quello che è il loro tratto principale. Ashitaka lo mostri come un ragazzo silenzioso, distante, serio, che guarda più in alto e in generale del singolo; però il pensiero di Kaya, così intimo e pericoloso fa, breccia, tanto che egli abbassa la protezione del “bavaglio” come a diminuire per un attimo la distanza che gli separa. Kaya, invece, è dolce, sensibile, a tratti coraggiosa e impulsiva. Di lei fai percepire il dolore della separazione e quel senso di unione che la sorte del principe non può cancellare, né tantomeno può farlo il divieto della città.


Gradimento personale: 3.5/5

La storia è stata un po’ un miscuglio di sensazioni: da una parte c’è stata la confusione di fondo, quel dovermi abituare a uno stiletto “femmina”; dall’altra c’è però la capacità di emozionare già solo con il titolo, e poi con i personaggi, che hai reso molto bene. L’effetto “telecronaca” da parte dello stiletto mi ha ricordato – scioccamente, lo so – Sebastian quando incoraggia il principe a baciare Ariel, ovvero ci sono state parti così, di questo oggetto che la sa lunga e sembra tollerare l’atteggiamento sciocco e infantile dei due ragazzi, che sembra spingerli e alla fine accettare le loro stupidaggini, con l’amore di chi li vuole bene, quasi con compassione e un occhio da adulto. Peccato però che alcune espressioni non erano adatte al suo ruolo.
Se la storia avesse avuto una struttura più curata nella forma, sarebbe stata una perla. Il titolo merita un corpo più evocativo, una voce narrante più antica, coerente con la magia che egli ha saputo creare. Ti dico questo non perché voglio offendere il tuo scritto, ma perché mi piacerebbe – da fan – vedere una versione di questa flash “migliore”, perché hai davvero un talento e parecchio buon materiale su cui lavorare.
La storia mi è piaciuta, però non è riuscita a essere all’altezza delle aspettative.

Punteggio: 43.3/50