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Recensione alla storia Big Bad Wolf - 22/08/18, ore 13:03
Capitolo 1: Big Bad Wolf
A leggere Big Bad Wolf non si può non pensare a quanto sia magnifico il business delle what if -incredibilmente ispirato e inspirante, quali maggiori causa e conseguenza. Il fatto è che una what if permette di spaziare, di fare, brigare, raccontare virtualmente qualsiasi cosa, limitandosi a fornire una base da cui plasmare tutta un’altra storia -ciò che è stato fatto per Big Bad Wolf, precisamente. Avevamo Chris Redfield, il protagonista della fiaba, e Albert Wesker, l’antagonista per antonomasia -poi c’erano il 2009, l’Africa, un vulcano, un sentimento per cui vivere morire e quella che doveva essere (appunto) una morte definitiva (quanto discussa). Molto discussa (ma poco definitiva), fin troppo contestata, dibattuta, oltraggiata -perché insomma, a nessuno (quasi) è andata davvero giù la mano (amarissima) che nell’ora del bisogno è stata data a Wesker. In quella che doveva essere la grande ora, l’epica battaglia in cui spade si sarebbero incrociate e scudi si sarebbero spezzati, Chris ha preferito un razzo (o due) e boom!, fine della storia -tanti baci, e soprattutto tanti saluti Albert Wesker. Una conclusione… inedita, indegna forse e fin troppo sbrigativa, ma anche l’unica che ci è stata concessa -mangia la minestra o salta la finestra, dice il saggio. Se non fosse che abbiamo le what if.
Adorate what if, in cui puoi parlare di tutto o di nulla, giocare a fare il dio per distorcere gli eventi e perfino vite intere, crearne di nuove e uniche, migliorarne i dolori, ritoccarne le felicità -basta solo avere gli ingredienti giusti e la ricetta si farà da sé. Per Big Bad Wolf avevamo un Chris e un Wesker, dall’altra parte del mondo una Alex addolorata (morente), ed era proprio questo che doveva essere cambiato -se non il morente perlomeno l’addolorata, e per farlo bastava un giochino piccolissimo, un’unica, minuscola, stupidissima forzatura del passato per ribaltare totalmente il presente. Il 2009, l’Africa, il vulcano, un sentimento per cui morire vivere -tanto era necessario perché Wesker non terminasse la propria vita in un buco infuocato. Solo per rimanere imprigionato nelle profondità della terra a stretto contatto con l’aguzzino di sempre. Ah. Ma Alex, che è un personaggio difficile e grande nella sua fragilità, potente nella sua debolezza, filosofico perfino nel suo muto dolore, è anche abbastanza spesso… scontenta. Incontentabile e mai sazia, quando viene a conoscenza della sorte del fratello per lei una sola cosa acquista significato: correre a riprenderselo. Alex Wesker è fatta così, in fondo: fin troppo emozionale in certi suoi gesti e risposte, in altre rivela un gelo assoluto e totale -percorre un sentiero mortale che si snoda sui valichi delle cime e attraversa ponti sulle voragini. E questo sentiero è lo stesso che la conduce, alla costante ricerca del di più, al centro della terra, in laboratori nascosti e isolati, là dove suo fratello è tenuto prigioniero e dove viene forgiata Alexandra Turner. Alexandra Turner, fantasma di una donna che si porta dietro un’eredità di nulla, inconsistente come l’aria, caliginosa come cenere, innestata su piedi d’argilla e prossima a cadere.
E’ grazie alle what if se tutto questo è stato possibile, se Big Bad Wolf ha potuto raccontare qualcosa di davvero nuovo rispettando il canone dei personaggi coinvolti -perché ha spianato la strada a una coppia che mai, mai in condizioni canoniche ci si sarebbe sognati di vedere, una improbabile, impossibile, incredibile, ma anche impareggiabile, impertinente -perché no? Chi disprezza compra dice la storia, e si potrebbe aggiungere che gli opposti si attraggono, ma solo se un po’ già si somigliano -e Alex e Chris ricadono nei requisiti a pennello.  

Alexandra e Christopher, il perno dell’intera Big Bad Wolf -la detonazione, l’acqua santa e il diavolo insieme per la prima (meravigliosa) volta, per mostrare ciò che sarebbe successo se, per scardinare le basi di quella che abbiamo imparato a conoscere come la nemesi per antonomasia, l’eterna lotta tra il buono e il cattivo, nero contro bianco senza via di mezzo alcuna. Perché Alexandra non era mai stata presa in considerazione. 
Innanzitutto, è doveroso ricordare come una storia firmata Nocturnia sia sempre capace di raccontare tanto in poche righe, e Big Bad Wolf ne è l’ennesima prova lampante -una vicenda lunga, certo, ma dei cui nodi focali è stata fornita molto concisamente (e anche molto chiaramente) una perfetta chiave d’interpretazione.

È così diverso Chris - così umano.
Ha occhi sinceri, che quando ride si stringono ai lati, aprendo tutta una ragnatela di piccole rughe.
Ha un viso asimmetrico, ruvido; dita corte, dalle unghie masticate.
I capelli non gli stanno mai in ordine e ha le spalle troppo larghe - muscoli che si flettono sotto la pelle abbronzata, costruiti per resistere agli assalti delle B.O.W. come lei.
È inopportuno e spesso sguaiato - fuori posto e fuori tono.
È schietto fino a essere maleducato, un uomo di cuore e di pancia.
È tutto quello che Albert non è mai stato e questo pensiero le fa venire voglia di vomitare - di sfregarsi il punto in cui l'ha toccata, poco sopra la scapola, e continuare fino a quando non vede la pelle cadere nel lavandino e lì rimanere.


A leggere un pezzo simile viene perfino meno la necessità stessa di scrivere una recensione di questo tipo -non ce n’è semplicemente bisogno, perché tutto ciò che si potesse voler dire è già stato detto. La verità è che forse i dilemmi di Alex sono così chiari da poter essere raccontati in sette misere frasi, sviscerando a colpi secchi e precisi un argomento (sentimento) tanto evidente quanto ingombrante. In queste sette misere righe Alex sa di poter trovare celata l’amara verità -così come sa che goccia chiama pioggia, e che pioggia chiama tempesta. E l’avvicinarsi di Chris Redfield cosa chiama? Una tempesta ancora più terribile.
Innanzitutto, chiama Albert arrabbiato. Molto arrabbiato -anzi no, incazzatissimo. Big Bad Wolf in questo è l’anima dell’irriverenza, non teme di scardinare un canone sacro e sputare in volto agli antichi pilastri -perché chi l’ha detto che debba sempre essere Wesker a giocare all’infedele con Alex, la moglie tradita? Non sarebbe giusto, per una volta, far assaggiare a Wesker il suo stesso veleno? Certo che sarebbe giusto, e allora Big Bad Wolf lo fa, e anche se Albert s’incazza alla storia non frega un fico secco -per principio infatti la what if non guarda in faccia a nessuno; al massimo gli guarda i piedi per fare lo sgambetto.
La meraviglia della what if sta proprio anche in questo: insiemi di parole inizialmente discordanti sono in grado di dare vita a eventi indipendenti, dissociati dalla volontà di chi li deve vivere e qualche volta perfino da chi li deve descrivere -perché loro semplicemente fluiscono, andando dove devono andare. In questo caso gli eventi dovevano andare da Alex per trascinarla a Chris, per far assaggiare ad Albert il pane del tradimento e ad Alex il sapore della libertà -non che potesse trattarsi di un tradimento realmente consumato in realtà, perché per quanto Alex possa essere spietata o crudele, infedele non lo è mai. Alex è diversa da Albert quanto Albert lo è da Chris, e in questa diversità lei e Chris si somigliano -si avvicinano, perché per quanto Chris sia indesiderabile (e indesiderato) la verità è che può insegnarle tutto ciò che Wesker le ha sempre negato (se non altro perché non l’ha mai conosciuto nemmeno lui). In poche parole la si potrebbe mettere così: Big Bad Wolf propone l’esatta nemesi della coppia Wesker/Excella, una nemesi non solo nei fatti ma anche nelle parole e da cui traggono origine un paio di assunti importanti -dal fatto che Wesker cada vittima di uno dei sentimenti più umani (gelosia), ad Alexandra che scopre quella sconosciuta chiamata amicizia. Da questo punto di vista Big Bad Wolf è una storia così semplice da sembrare quasi disarmante: Alex deve salvare suo fratello e per farlo si infiltra nella base del nemico; impara quindi a conoscerlo per distruggerlo e nel frattempo perché no, ci litiga -perché conoscerlo va bene, ma andarci d’accordo? Mai. Così passa il tempo, giorni, mesi, anni -ed è vero: Alex ha imparato molto del nemico, forse perfino troppo, finché l’ultimo passo non è diventato uno scherzo (la gamba ormai troppo lunga). E’ così che Alex attraversa il confine senza nemmeno accorgersene, per ritrovarsi a godere delle serate in compagnia di Chris -fuori posto, senza dubbio, in un mondo fatto di gente semplice e (forse) per bene, che la mattina si precipita fuori casa con una scarpa blu e una rossa e a pranzo mastica un boccone sui lavori del giorno prima. Eppure anche un’altra cosa è vera: che Alex non imparerà mai cosa sia la felicità (ciò che più cerca in fondo, vestigia di un’umanità che nemmeno il Progenitore può cancellare) guardando solo dagli occhi del disprezzo e della solitudine. E’ proprio a questo che le è indispensabile Chris, qualcuno che le sia amico e forse perfino silenzioso confidente -qualcuno che si contrapponga ad Albert quale amante (Tutto) e le regali quel semplice, tanto agognato, di più.
E’ così che Alex, fredda nella lontananza da Albert, nel momento più inaspettato trova Chris e gli diventa amica così come quest’ultimo, pur ignorandolo, cede infine all’infido magnetismo weskeriano: vedendo in Alex una donna così sola e triste non può fare a meno di esserne attratto -attratto come può esserlo un eroe che nella propria indole racchiude l’istinto di aiutare gli altri. Chris finisce allora per legarsi ad Alex, e Alex si lega a lui -un vincolo di umanità, quanto umano può essere Albert che muore d’invidia nel vederli così uniti. Dire che sia Wesker a morire d’invidia credo sia piuttosto letterale a questo punto, perché c’è davvero un momento in cui lui muore -quando comincia a odiare sua sorella e si lascia avvelenare da una voce che non gli appartiene (non al vecchio Albert e nemmeno a quello nuovo -forse all’uomo intrappolato in un limbo in cui sta lentamente impazzendo). Wesker è sempre stato lungi dalla perfezione, un uomo pieno di difetti a dirla tutta, ma nella follia di un’idea malsana (Alex, piegata a un uomo diverso. Alex, che geme il suo nome - che schiude le cosce a un profilo ruvido e umano, un accenno di barba sulle guance e occhi caldi, non suoi) diventa completamente cieco, sordo a qualsiasi punto di vista che non sia il suo -e non lo si può realmente biasimare per questo, pur rimanendo lontani da qualsiasi giustificazione. In fondo, Wesker si limita solo a fare ciò che ha sempre fatto: l’umano ad ogni costo, lo sbaglio ad ogni costo, e una goccia velenosa dopo l’altra si allontana sempre più da Alex -prima psicologicamente poi fisicamente, giunge infine alla colossale stronzata di abbandonarla, salvo poi recuperare all’ultimo un barlume di senno. Ma se l’amore è cieco figuriamoci la gelosia -figuriamoci l’infinito ego di Albert, presunto ferito da un tradimento che sa non essere mai esistito-, e allora lui sbaglia ancora, persevera nei propri errori e si isola di più, comportandosi in maniera talmente puerile da chiedersi se non si tratti davvero più dell’amante di Alex ma semplicemente del fratello egoista di cui occuparsi. Vomita superbia e veleno Wesker, ciò che l’hanno sempre tradito, dando per scontati gli sforzi della donna che (non) diceva di amare; non impara mai dai propri errori e ha la presunzione di poter rifiutare gli altri quando li commettono. E’ così che Albert se ne va, a un passo dal perdere ogni cosa e credendo di farla pagare ad Alex, alla ricerca di un fantasma che l’aveva già condotto una volta alla rovina. E Alex cosa fa?

Lo lascia andare.

Finalmente. Quando Big Bad Wolf dice che Chris è esattamente il contrario di Albert si riferisce anche a questo, e quando dice che Alex ha bisogno di altro oltre a ciò che lui le ha sempre riservato fa di nuovo riferimento a questo. E’ proprio per questo che la coppia Alex/Chris ha il diritto di esistere, perché Chris è diverso e Chris serviva ad Alex per aprire gli occhi -di conseguenza (e per ironia del destino) ad Albert per spalancare i suoi. Ironia del destino (e che ironia) è anche il procione, che nel momento in cui Wesker è più vicino a completare il disastro compare, dal nulla, esattamente come lo aveva fatto tredici anni prima. La cara, vecchia Raccoon non dorme mai, come mai dormono i fantasmi che nella testa di Albert e Alex non si rassegnano a tacere (finché non impareranno a vedere il mondo diversamente, almeno) -e questa volta giunge chiedendo Capitano, sicuro sia questo ciò che vuoi?
Risvegliare i morti? Addormentare i vivi?
E Albert, nel tanto sperato (atteso) barlume di senno, risponde infine di no. Lascia finalmente il testimone per tornarsene al luogo a cui appartiene, dove ha più forme e dimensioni del solo uomo sciocco e immaturo -dove Alex sta morendo. Torna da lei e lo fa in tempo per ricostruire un legame che credeva (erroneamente) irrimediabilmente sfilacciato. Risparmiando Chris e scegliendo Alex, Albert si chiude il passato alle spalle a favore di un futuro bello, generoso perfino -perché oltre il dolore e la morte sua sorella ritrova la vita (ma sempre a scapito della piccola Natalia, poiché la serpe perde la pelle solo per rinnovarla) e con lei la ritrova Wesker, che le custodisce e restituisce un anello che era valso (e vale ancora) una vita intera.   
Big Bad Wolf si propone dunque come una storia a lieto fine e non si può negare che in essa Chris abbia giocato un ruolo fondamentale: se non ci fosse stato Alex non avrebbe visto, Albert non avrebbe aperto gli occhi (tradire Alex con Excella va bene, ma che lei mi tradisca con Chris? Inaccettabile) e quel fantomatico Tutto sarebbe andato perduto (come tante altre volte è successo in tanti altri universi). Chris ha fatto la differenza, salvando nella sua semplicità un rapporto tanto complesso quanto profondo -e a ben pensarci, non è vero che sua è la parte dello sconfitto perché non tutti i mali vengono per nuocere; perché Chris è stato sì ingannato, ma lo è stato a fin di bene. Così Alex, in quella semplicità che proprio da Chris ha imparato, non dimentica di ringraziarlo -lo cerca, per renderlo parte di una nuova vita che ha chiuso con il passato e aperto con il futuro.  

Ormai questo commento ha parlato fin troppo e dimenticandosi troppe cose, e per una storia del calibro di Big Bad Wolf non va bene. Ciò che è assolutamente obbligatorio considerare è come questo in fondo non sia che un esordio, l’avvento di una coppia simpaticamente strampalata che pur tuttavia ha contribuito a delineare dinamiche del rapporto Weskers/Redfield che altrimenti non sarebbero mai potute emergere. Rimane allora da sperare che, presto o tardi, nuove storie si prenderanno in carico questo compito -nuove storie che concederanno ad Alex (e perché no anche ad Albert) di ampliare le proprie vedute su un mondo che non è solo ciò che sono sempre stati abituati a vedere.       
(Recensione modificata il 22/08/2018 - 01:05 pm)
Recensione alla storia Creeping in my soul - 13/08/18, ore 02:29
Capitolo 1: Creeping in my soul
E’ quasi illuminante notare come, ogni volta che si parli di Albert Wesker, sia praticamente inevitabile citare la lunga, lunghissima lista di donne che vanta (più o meno verosimilmente) nel proprio harem -siano esse reali (una), presunte (poche) o sperate (troppe), Jillian ovviamente non poteva non far parte del gruppo.
Esiste qualcosa, nel capitano della squadra speciale S.T.A.R.S., nonché scienziato e futuro bioterrorista Albert Wesker, che intimidisce, ma allo stesso tempo affascina: un bel fisico e lineamenti per nulla scontati, la forza, l’orgoglio e il mistero celati dietro un paio di occhi di ghiaccio -senz’altro; ma forse c’è anche quel qualcosa in più che accende, e al tempo stesso spegne. E’ bravo Albert Wesker a lambire, e innumerevoli donne sono cadute nel tranello -Jill né prima né l’ultima, una delle tante, l’ennesima vittima cosciente nella fiaba del principe senza volto (che le principesse non le salva dal lupo cattivo, ma le mangia direttamente in un boccone). E così Jill, fisicamente e moralmente incapace di sottrarsi alla volontà del nuovo padrone, viene risparmiata dalla morte solo per consegnarcisi nuovamente, poiché innamorata di un’immagine più che dell’Albert Wesker reale -perché non si può amare un uomo del genere a meno che non lo si conosca profondamente, e nessuno (solo una) è mai vissuto abbastanza da poterlo fare e pretendere di tornare. L’errore universale (e irrimediabile) di quasi tutte queste donne è che è al cavaliere romantico che tutte finiscono immancabilmente per cedere, con il solo problema che in Albert Wesker del cavaliere romantico c’è ben poco. Pochissimo. Praticamente nulla, a dire la verità.
Ma Jillian, tanto per cambiare, ci casca comunque in pieno (e non è la sola, oh no, è in ottima compagnia). Wesker su tutte queste donne esercita la stessa attrazione del mostro sotto al letto, che ti impaurisce ma allo stesso tempo incuriosisce, che sussurra il tuo nome, ti chiama, e alla fine ti cattura nell’incubo -con la sola differenza che Albert Wesker è decisamente reale. E carogna anche, perché ti fa credere un sacco di belle cose (balle, bugie, menzogne, panzane, il succo non cambia e il risultato nemmeno) per poi fregarti in pieno e tak!, scaricarti in un pentolone strapieno di merda fino al collo -cottura a fuoco lento rigorosamente, e buon appetito, quello sempre. Il vantaggio più grosso che gioca a favore di Wesker è che c’è una dannatissima dialettica, finemente curata e imbellettata dietro quegli occhi rabbiosi, una ars oratoria degna dei più antichi maestri della retorica -perché ogni parola ha un significato nel suo vocabolario, e a ogni significato corrisponde un’azione e la sua diretta conseguenza. Sempre a vantaggio di Wesker s'intende. Se si prendono le cose come stanno, ossia in questo modo, diventa allora facile comprendere il motivo dell’infinita lista di nomi -femminili- al seguito di Albert Wesker: datemi una leva e vi solleverò il mondo diceva Archimede, unisciti a me e ti farò regina, ha modernizzato Wesker -e chi più chi meno, ci cadono sempre tutte come polle.    
Jill poi ha la sua storia particolare: una notte tempestosa, una villa sul crepaccio, un nemico terribile e un amico mortalmente in pericolo -detto fatto, il sacrificio d’amicizia non era che il naturale seguito della fiaba. Poi è venuto il P30, altrimenti noto come Progenitore, che ha scombinato tutto -i piani, le buone intenzioni, la mente della povera Jillian. E non si può biasimarla per questo: quando ti mettono i ferri nel cervello e tirano c’è ben poco da fare. Wesker ha scelto il virus come mezzo di selezione (e non posso che essere d’accordo) e il virus ha parlato: kaputt. Tabula rasa. Eppure Jill qualcosa di prima ha mantenuto, ed apparentemente è stato proprio questo a fregarla -a permettere a Wesker di manipolarla per bene. Magari Jill non ha mai provato nulla per quel Capitano così competente e affascinante, oppure potrebbe essersene anche invaghita: questo a noi non è dato saperlo -ma se è vero che qualcosa c’è stato, di certo non è mai stato ricambiato. Non c’è virus evolutivamente sviluppato, sintetico o ricombinante che valga la candela quando ci si addentra in quest’ambito, anche se si tratta di Progenitore: Wesker non ama, punto. Fine della storia. Finge e inganna, certo, circuisce, plagia e manipola, senza dubbio -ma al di fuori della strettissima lingua di terra in cui si sente davvero a casa, lui non ama. In un certo senso, è come se Albert Wesker seguisse la fisica dei buchi neri: agisce come una mina vagante, invisibile e funesto, talmente gravido di oro di Mida da attrarre chiunque gli capiti a tiro -belli, buoni, cattivi, tutti finiscono per farne un centro di gravità (permanente direbbe qualcuno, ma che permanente non lo è proprio per niente) finendone regolarmente ingoiati. Puff: spariti. Spaghettizzati, direbbe un buon divulgatore scientifico. Morti è un ottimo sinonimo.
Ma che cosa ci si può fare, alla fine: Albert Wesker è fatto così. Un mostro si potrebbe pensare, un criminale magari -le definizioni sono il cavallo di battaglia di due scuole di pensiero differenti, ma entrambi valide (con tutti i loro pro e i loro contro). Magari Albert Wesker non è che un uomo pieno di cattive intenzioni, oppure di buone intenzioni che sono marcite strada facendo -questo sicuramente ci è dato saperlo, ma è più facile fare orecchie da mercante (e da un certo punto di vista potrei anche essere d’accordo). In ogni caso, Jillian Valentine altro non è stata che una delle tante a inciamparci sopra, e il risultato è stato una marionetta scombussolata, con sentimenti confusi quanto probabilmente montati o falsificati. Crudele è il Progenitore, e Wesker è Progenitore (o perlomeno si sforza di esserlo. Ci prova. Ogni tanto gli viene, ogni tanto no) -per il resto, a conti fatti del cavaliere con l’armatura splendente c’è solo l’armatura, o magari neanche quella. Almeno in un caso, però, Wesker è sincero.

C’è mai stato qualcosa di vero?
No.

Alla fine, è così che le cose sono sempre andate (e devono continuare ad andare): sia essa Jillian, Excella o l’ennesima altra donna, di Wesker nessuna di loro ha mai visto nient'altro che un riflesso, un’eco distorta della realtà -della loro scommessa perdente. Ma il buon Wesker, che in fondo è anche un uomo onesto (terribilmente onesto), nonostante inganni, picchi e uccida non si è mai trattenuto dal lesinare verità -agli indegni, certo (a se stesso mai). E solo ed esclusivamente se fosse in grado di fare male.   
(Recensione modificata il 13/08/2018 - 02:29 am)
(Recensione modificata il 13/11/2018 - 10:13 pm)
Recensione alla storia Withering bones - 01/08/18, ore 00:58
Capitolo 14: Uroboro
Per quest'ultimo capitolo, epilogo, l'associazione non potrebbe essere migliore: tutto torna, tutto combacia -Uno il Tutto e l'Uroboros, inizio e fine. Alex e Albert non erano che i protagonisti, il pretesto, ma Withering Bones di tanti ha raccontato la storia -e per ognuno l'ha conclusa annunciandone una nuova (Uroboros, la fine che morde l’inizio).

La guerra è finita, evviva i vincitori -anche se nessuno in queste situazioni lo è mai davvero. Chris ha trionfato, sconfiggendo il cattivo in battaglia ha conquistato onore e gloria -rovesciando la monarchia ha reso tutti più liberi (illusione), consapevoli (bugia), ha accettato un fardello che forse si rivelerà troppo perfino per lui. Rimane comunque suo l’onore (l'onere) della vittoria, poiché chiunque altro è morto -onore e gloria, un ciclo che si chiude sulla guardia del Re destinata a distruggere il trono.  
***
Claire, al contrario di Chris, compie invece il suo destino di messaggero -diventa la mano bianca di una serpe ormai morta, viva nel simbolo della casata consegnato alla piccola Eve. Claire è una mosca bianca, un jolly a suo modo, più vicino al serpente di quanto non desiderasse realmente essere -sceglie dunque in pegno il frammento di una storia in parte conclusa, in parte iniziata, restituendolo all’erede di sangue e legandovisi a doppio filo. E’ proprio in questa nuova Claire che Stuart trova un'inattesa alleata -la paradossale connessione tra la città da cui sta fuggendo e che, allo stesso tempo, rappresenta di storia e diritto la vera casa di Eve.
***
Per quanto riguarda Stuart, come era stato predetto si è rivelato la carta realmente vincente di Alex, la sua via di fuga, il servo fedele prima, durante e dopo. Custode dell'Uroboros, Stuart è l’unico a non essere davvero soggetto alla legge del serpente: uomo che non cambia, coerente coi propri principi e leale al giuramento a Lady Alex, rappresenta la colonna portante di una casata quasi estinta, infine destinata all'oblio -che senza di lui sarebbe davvero per sempre dimenticata.
***
Questi sono solo alcuni dei tanti teatranti, come li hai definiti tu, dietro i quali sfilano tutti gli altri -chi più importante, chi ha preferito rimanere nell’ombra. Ognuno di loro ha cominciato con una parola, un gesto; ha poi proseguito nella sua storia e ha agito, ottenendo infine (apparentemente) ciò che meritava -realizzando ciò che la Voce aveva in serbo per lui. Alcuni otterranno un’altra parte in futuro, altri l'hanno perduta per sempre e altri ancora invece la riacquisiranno, fintanto sarà necessario da parte loro la recitazione di quel ruolo -ma questo non saremo certo noi a deciderlo. Per ognuno di loro la ruota ha girato, e che fosse più o meno infausta (o dolorosa) poco importa: la Voce non ha scrupoli e non si dispiace abbastanza delle sue efferate azioni per pensare di porvi rimedio. La verità è che l'Uroboros ha girato per tutti, e se Alex e Albert sono morti come sono nati -insieme-, Chris e Claire si sono seduti sul trono -nemesi-, William si è sacrificato -una vita per Annette-, Simmons e i suoi scagnozzi sono bruciati -morti. Per tutti l'Uroboros è stato il perfetto contrappasso, che senza scrupoli domani tornerà per esigere quanto oggi ha -crudelmente- donato.
 
P.S.: con questo capitolo si conclude Withering Bones, un grande progetto che ci ha tenuto compagnia per tanto tempo. Credo tu abbia investito molto nella sua stesura, ma vedo anche che ne sei stata ampiamente ripagata. La qualità di ciò che hai scritto per come lo hai scritto è, come sempre, molto elevata, ma ciò che davvero splende di questa storia è la cura con cui ogni personaggio è stato trattato, dalla minima comparsa al grande eroe o antagonista. Nessuno è stato introdotto per essere messo da parte e dimenticato, poiché a ognuno la Voce ha assegnato un ruolo mettendo poi a nudo le colpe, i crimini e i semplici misfatti; inoltre, l’impegno e la coerenza con cui hai cercato (riuscendoci tra l’altro) di adattare ogni personaggio preesistente (Eve esclusa) a un universo del tutto nuovo (che tuttavia permettesse appieno l'espressione di quelle caratteristiche per cui abbiamo imparato a conoscerli) sono davvero ammirevoli.
Insomma, un tale progetto non poteva che richiedere tempo e fatica, ma quando è la passione a trainare la baracca non c'è cosa che non si possa fare (o storia che non si possa scrivere) -perciò complimenti. Withering Bones è stato un traguardo enorme, che tuttavia ha aperto la strada a un sentiero nuovo di zecca e pieno di opportunità (che devi solo cogliere) -potrebbe quasi sembrare che, a forza di parlare di Uroboros, il ciclo alla fine sia valso anche per te.
(Recensione modificata il 01/08/2018 - 12:59 am)
Recensione alla storia Withering bones - 27/07/18, ore 02:37
Capitolo 13: Uno il Tutto
Dovevamo arrivarci prima o poi, e ci siamo arrivati. La fine di tutto, della storia di Alex e Albert -e dire che sei stata capace di articolarla in maniera magistrale è dire poco, perché così tante sono le scene e le frasi a uso figurato che hai scelto per la narrazione che è impossibile elaborare un commento completo tentando di citarle tutte. Eppure sappi che il risultato è inevitabilmente enorme, un rincorrersi di dramma e azione che giungono crudelmente (superbamente) al loro apice in un finale intenso e doloroso quanto lo è la storia di Alex e Albert.
Tuttavia, c’è un estratto in particolare (tra i vari degni di nota) a cui è giusto dedicare una citazione

"Ti fidi di Chris?"
"Sì."
"Ti fa sentire al sicuro? Protetta, amata?"
"Ogni giorno."
"Conosce le tue paure, le tue debolezze - le tue ferite?"
"Tutte."
"Morirebbe per te?"
"E io per lui."


poiché riassume in pochi concetti (ma profondi, terribilmente profondi) la base della relazione cruciale di cui tanto abbiamo parlato nel corso di Withering Bones, ma di cui non ci siamo mai davvero soffermati ad analizzare le ragioni.
E’ un dialogo emblematico quello tra Alex e Claire, perché evidenzia senz’altro ciò che accomuna le due sorelle ma anche ciò che le separa categoricamente. Così ne deriva un contrasto davvero eccellente, poiché imperniato sul rinforzo (la costruzione è avvenuta molto prima, lungo le pagine della storia) di un legame che, nonostante tutto, manterrà Claire unita alla Serpe Bianca anche dopo la sua morte. E’ sempre stato un personaggio sveglio la giovane Redfield, caparbia ma comprensiva, l’occhio che vede e il cuore che pensa -un carattere raro a ben pensare, una personalità capace di comprendere senza giudicare, realizzare senza inorridire. E’ diversa in questo da Chris almeno quanto Alex lo è da Albert, eppure il loro è un legame indissolubile, tale da riuscire a trascendere (come i fratelli Wesker) perfino la morte.
Al riguardo, un posto d’onore in questo capitolo e in questa tragedia è da assegnare ad Alex, che come hai saggiamente scritto è sia carnefice, sia vittima. Alexandra è un grande personaggio, tragico eppure caro nella sua fragilità -difficile e complesso, certo, ma che proprio in questo rivela un’infinita bellezza.
Sei un mostro
le dice Claire, e forse in parte ha ragione -ma chi sono poi i mostri per giudicare altri mostri?
Non sei una brava persona, e forse è vero anche questo -ma ci sono talmente tanti cattivi che una volta erano buoni (o che sarebbero potuti essere buoni) che alla fine una distinzione sensata è difficile (se non impossibile), perché altrettante sono le ragioni che li hanno portati ad evolvere in mostri.
Non chiede mai comprensione Alexandra, ed è cristallina e tremendamente coerente in questo -non chiede una condivisione, perché certi drammi (esigenze) possono essere compresi solo da chi li ha veramente vissuti. Così, diventa proprio questo il principio che conduce inevitabilmente alla guerra, perché è il medesimo che ha portato Alex e Albert nello stesso letto (conosce le tue paure, le tue debolezze? Le tue ferite?). Credo tuttavia ci sia un problema di moralità di fondo che affligge questa coppia, e che ci sarà sempre finché non si avrà l’abilità di prescindere da certi concetti (o meglio dire vizi) -poiché è proprio qui che cadono Alex e Albert: osceni, senza morale, corrotti, da giustiziare; giudicati colpevoli da una commissione che si è macchiata dei loro stessi crimini ma è stata più astuta (e fortunata) da riuscire a nasconderli per più tempo (nemmeno troppo in realtà, perché non si può pensare di ingannare a lungo il fiuto del cane e tantomeno di fuggirne il morso).
E’ comunque un’affermazione in particolare ad essere tra le più crudeli

La verità è che non hanno mai avuto altra scelta    

perché è dura, ed è vera. Ciò che ha avvicinato Alex e Albert della casata Wesker non è mai stato nulla di veramente sbagliato, poiché tremendamente comprensibile e una delle più ammirevoli virtù umane -ma che, nonostante le premesse, Destino ha voluto fosse causa di così tanto dolore e distruzione. E la grande tragicità del tutto è che si è davvero trattato di Destino -non si può scegliere di amare, chi amare e se amare, lo si fa e basta e Alex non fa eccezione. Destino ha voluto che l’oggetto disgraziato di questo amore fosse suo fratello, e sempre Destino ha voluto che si trattasse di un fratello e di una sorella eredi al trono di un regno tanto odiato quanto ambito -a ben pensare peggior posizione non si sarebbe potuta scegliere, e come sempre è proprio quella che ad Alex e Albert è stata assegnata. Ciò significa che non c’è scampo a una tale maledizione, non c’è via di fuga -la morte forse, oppure nemmeno quella: questi fratelli sono stati condannati non appena venuti al mondo, e come condannati hanno vissuto e sono morti -ma sempre insieme, e questa è la vitale differenza (che ha fatto e che farà la differenza).

Ora, bisogna anche riconoscere che un ipotetico commento a un capitolo del genere dovrebbe utilizzare poche parole ma ben studiate, perché non c’è bisogno di lunghe analisi quando è di un sentimento così… semplice di cui si sta trattando (reso complesso alla fine dalle altrui macchinazioni più che dai soggetti coinvolti in sé). Non c’è bisogno nemmeno di uno svisceramento assoluto di ciascuna vicenda, poiché ogni riga che hai narrato è perfetta e compie l’impresa di illustrare meravigliosamente qualsiasi aspetto fosse tuo interesse mostrare -e, personalmente, credo proprio risieda in questo la potenza di Withering Bones, che cela, nasconde e inganna pur narrando, mostrando e rivelando.
In quanto a noi, sapevamo fin dall’inizio che non sarebbe potuta finire bene per Alex e Albert -o per tanti altri oltre a loro, siano essi buoni (William e la sua solitudine, Claire e la sua innocenza, Chris e i suoi sinceri ideali) o cattivi (Simmons e la sua cupidigia, Carla e la sua morte dentro, Morgan e i Gionne e i loro figli spezzati)- ma quando il momento è arrivato non siamo stati comunque pronti: è distruttiva la conclusione, atroce e insopportabile, inaccettabile perfino -eppure allo stesso tempo brilla, formidabile e indimenticabile nella propria tragedia, commovente nelle espressioni immortali di chi è stato impresso inalterato nelle ceneri. Pensare che tra di essi figurano anche Alex e Albert è straziante, eppure toccante: immortalati per sempre in quel gesto così semplice (sincero) che li ha contraddistinti, nulla di loro appartiene più davvero a un mondo tanto ingrato -solo un medaglione, per consegnarne il ricordo a chi, dopo di loro, dovrà sopportarne il fardello. Null’altro rimarrà, null’altro sarà più prigioniero: come erano inseparabili in vita Albert e Alexandra lo sono nella morte, e così sono volati via -leggeri infine, liberi da quelle catene che era stato loro imposto di chiamare vita.     
(Recensione modificata il 27/07/2018 - 02:37 am)
Recensione alla storia Withering bones - 15/07/18, ore 00:24
Capitolo 12: Sangue e polvere
Se solo le cose potessero andare diversamente, senza dubbio questo sarebbe il capitolo più bello, dolce e luminoso di tutta Withering Bones -e invece, per amara ironia, non è altro che il più disperato, triste e commovente.

Eve.
Eve, finalmente. Dopo tanti capitoli passati a temerla, nasconderla, pensarla, proteggerla, alla fine nel dodici compare. Ed è bello che sia proprio il 12 il momento in cui hai scelto di presentare la piccola al mondo, così come sono certa che non si tratti né di una coincidenza, né di un caso fortuito.
12 come il Progetto Wesker, 12 come Alex -sorella e madre, passione e amore, forza e disperazione (forza della disperazione). Nella sua piccolezza, nella sua dolcezza, Eve è il motore trainante di tutta la storia, la famosa bestia a due teste con la coda di serpente figlia di un’ignoranza scellerata e di una moralità morbosa che tutto pretende di sapere, tutto pretende di giudicare -uno scricciolo già segnato dal momento in cui è stato concepito. Eppure, nonostante tutto, Eve brilla nel momento in cui nasce, nient’altro se non la cosa più bella che ad Alex e Albert poteva capitare da quando… da quando sono nati, ripensandoci.
Ciò che è ancora più bello e ben si sposa con la figurina di Eve è, tuttavia (e ancora una volta complimenti a te), l'accostamento che hai scelto per le scene nel corso della narrazione. Ho sempre sostenuto che uno dei punti di forza maggiori delle tue storie fosse quello di saper accompagnare i personaggi non solo nello stile, ma anche nella forma del testo e nelle parole -ma questa volta con Eve hai applicato con ancor più particolare attenzione questa formula.
Ora, se è vero che le radici della relazione tra Albert e sua sorella risalgono all'infanzia, alle innocenti fughe notturne l'uno nel letto dell'altra per timore del fulmine e del tuono, è anche vero che è proprio nel bel mezzo della tempesta che Eve nasce -che Eve sorride, giovane, innocente e senza paura. Eve non teme il fulmine perché da esso deriva, e l’alternarsi della sua piccola voce al cozzare delle spade (alla guerra) ne rappresenta perfettamente l'essenza. Eve e la guerra sono l'essenza di questo capitolo 12 -e se non è un limpido significato questo, allora nulla può esserlo.
Ciò che distrugge, purtroppo e tuttavia, sono però l’avidità e il potere, la mano nera e crudele di chi (non) si veste di moralità (sacralità) per condannare, torturare e cancellare. Se è così che vogliamo vederla, allora Withering Bones non lascia scampo a quelli come Eve: maledetti fin da subito, il destino (la Voce) non ha pietà in capitolo per loro -ma è anche vero che saranno proprio loro a scegliere di non arrendersi, loro a sacrificarsi per concedere respiro (una chance) a chi dopo farà la Storia (perché prima l’hanno fatta loro). Loro, loro, loro, sono sempre loro i cardini della vicenda -Albert, Alex, Stuart (che nell'ora del bisogno è la via di fuga oltre la morte), William, Claire, Chris, Ada -senza, Withering Bones non ci sarebbe potuta essere. Senza, non ci sarebbe potuta essere Eve.
Alla luce di ciò, sangue e polvere costituisce una profezia esemplare -estremamente adatta a una prosa dall’onere altissimo, drammatica quanto lo sono le reazioni che ciascun personaggio inscena sul palco della guerra -sangue (sulla spada, a terra, tra le cosce, sulle lenzuola) e polvere (sul trono, al patibolo, tra le pagine della Storia). È semplicemente perfetta l’armonia (cruda) con cui vita e morte si attorcigliano al procedere della narrazione, il beffardo equilibrio con cui Eve e Guerra si intrecciano mentre la Serpe Bianca e quella Nera affondano -perché sarebbe meraviglioso poter contare nella gioia di un lieto fine, ma è anche vero che l'equilibrio uccide il demone -e per ciò che di bello si è avuto è sempre richiesto pagare lo scotto.
(Recensione modificata il 15/07/2018 - 12:24 am)