Sai cosa mi colpisce di questo componimento? Non la maestria con cui hai reso palpabile l’angoscia che tiene prigioniero Mamoru, non la capacità delle parole che hai usato nel rendere vivide le immagini che si mostravano dinnanzi agli occhi di Mamoru e nemmeno la tua straordinaria bravura nel far percepire ai lettori anche le più intime sensazioni provate dal ragazzo, sia mentalmente sia fisicamente. Sei stata brava, di più: eccezionale, perché quasi quasi sentivo l’odore di questa melma - il che è tutto dire - e potrei giurare di essermela sentita in bocca anch’io, tanto era crudo e realistico lo spettacolo orrendo da te descritto.
A colpirmi, però, non sono queste mirabilie che hai saputo fare avvalendoti solo di parole ma sapientemente gestite, no. A colpirmi davvero è stato il fatto che Mamoru, per tutta la durata della sua permanenza in quella dimensione sconosciuta e terrificante, è stato permeato da un senso di diffidenza nei confronti della porta che si innalzata di fronte a lui.
Voglio dire: nella normalità, trovandosi a vivere una situazione difficile e veramente ributtante, ci si butta senza pensare verso una qualsiasi via di fuga possibile, non si ha la lucidità di riflettere sul fatto che magari quella via potrebbe portare persino a qualcosa di peggio. Non lo si pensa quando si crede di aver già toccato il fondo e Mamoru era già nel più profondo dei baratri, addirittura coperto ovunque da quella sostanza putrida e sudicia così diversa dall’abbraccio luminoso dell’amore della sua Usako. Invece Mamoru ha impiegato del tempo per decidere di aprire quella porta.
Questa sua titubanza mi ha fatto riflettere, perché l’altro lato della medaglia, quello di cui nessuno vuole mai parlare ma che esiste, è che quando si sta male e non si ha una gran forza per risollevarsi, si è più propensi a continuare a star male, a farsi travolgere da tutto quel male – come in questo caso la sostanza putrida – quasi come una sorta di masochismo, ma in realtà masochismo non è, è più che altro incapacità di concretizzare la speranza nascosta, mancanza di forza per farlo e quindi abbandono consenziente alla situazione difficile che si vive.
Mamoru voleva uscire da quella dimensione, tutto sarebbe stato meglio fuorché quello che stava vivendo, eppure da solo ha avuto difficoltà ad arrivare a maturare la convinzione di voler effettivamente aprire quella porta.
Gli è servita una grande dose di coraggio per concretizzare la sua speranza di salvarsi, coraggio che stavolta gli è stato dato proprio dalla manifestazione umana della speranza, in questo caso Chibi Chibi. Qui la bambina, il raggio della speranza, è stata lo sprone utile di cui necessitava Mamoru per trovare la forza di risollevarsi.
Molto bello.
Mi è piaciuto molto questo percorso mentale di Mamoru e la sua umanità nell’affrontarlo, con la sua debolezza e il suo realismo.
Sei stata molto brava, gioia, l’altro aspetto della medaglia nessuno lo considera mai, infatti mi aspettavo che lui si mettesse subito a correre verso la porta, che dietro la porta ci fosse la bambina; non mi aspettavo che Mamoru titubasse e nemmeno che gli si dovesse concretizzare la speranza per fargli aprire quella porta. Sono davvero colpita da questa tua analisi introspettiva tanto realistica di Mamoru, davvero. Anche perché lui è un ragazzo serio che farebbe di tutto per le persone che ama, ma la sua forza non sta né nei suoi sentimenti né nella sua volontà, la sua forza risiede nella fiducia che nutre per Usagi, colei che davvero splende dentro e fuori e che, realmente, non esita a cercare di risollevarsi e corre senza riserve verso ogni possibile via di salvezza.
Per me Mamoru sarebbe una persona gretta insicura e diffidente se non avesse deciso di abbandonarsi a Usagi, perché ritengo che lui abbracci la speranza - con tutte le difficoltà che ne derivano – solo perché si fida di Usagi e di tutto ciò che lei rappresenta con il suo operato.
Cosa dire? Sono davvero impressionata da questa tua storia, che non è assolutamente scontata o banale, anzi, ritengo sia una storia talmente profonda nei suoi significati reconditi, che in pochi hanno la maturità di comprenderla appieno.
Mi inchino di fronte alla tua bravura, Kim Na Nà. Qui sono una lettrice obiettiva, non parlo per affetto, anzi in generale non ti do mai pareri parziali dettati dall’affetto, preferisco sincerità a oltranza, anche se cruda e senza filtri.
Sono completamente e totalmente toccata dalla profondità di questa shot, sul serio. Complimenti!
Per il resto, invece, sono felicissima che piano piano tutti i tuoi lavori stiano tornando qui, dove è giusto che stiano, perché con qualunque nome ti chiami nei tuoi scritti ci sei tu, con i tuoi punti di forza e con le tua debolezze, ma sempre tu, per questo sono lavori pregevoli e degni di riconoscimento e, soprattutto, testimoniano un tuo cammino e una tua maturazione come individuo.
Non vanno rinnegati, né ignorati come se non facessero parte di te, vanno invece valorizzati e và data loro la dignità che spetta a tutti loro.
Sono fiera di te, te lo dico con orgoglio.
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