Sembra uscita da un poema greco.
Uno di quei poemi vecchi, antichi, ma mai lasciati impolverati. Poemi in cui i maestri cantano lodi alle proprie muse, dee delle arti, le chiamano e le invocano.
Muse diverse per ciascuno, perché ognuno ha la propria musa a cui fare affidamento.
Musa che in questa poesia sembra una luce, una luce palpitante, che si lascia vedere ma poi sfugge alla vista, lasciandosi desiderare.
Una musa desiderata, amata, che permette all'ispirazione di sgorgare in queste splendide parole.
Una bellissima poesia, ho solo una curiosità: nel testo si ripete per due volte la parte " il corpo tuo tutto, desiderioso, desiderato".
È una ripetizione voluta, per dare più inflessione alla parte, o è una svista.
A me non dispiace affatto, ma volevo sapere da chi ha scritto che cosa intendeva davvero.
A presto
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