Di un gusto squisitamente decadente e impreziosito di innumerevoli forme di immedesimazione immediate. (e ho fatto l'allitterazione,uhuhuh.)
A parte gli scherzi,era da un po' che tenevo d'occhio i tuoi scritti e finalmente eccone uno che potrei dire "quasi aspettavo" con matematica certezza...insomma,per chiarirmi meglio,uno dei tuoi capolavori assoluti con in seno la tua inconfondibile firma.
Ci sarebbero così tante cose da dire,eppure mi par quasi di scarnificare il tuo meraviglioso scritto con il mio convulso blaterare: ho amato la frase dove "forse non sapeva che questo andava a sua discapito e che lo show non piaceva a nessuno". Rende bene l'idea di una solitudine inconfutabile cui tutti noi andiamo soggetti in particolari momenti della nostra vita,nel mezzo dei quali godiamo quasi nel procurarci le nostre stesse sofferenze. Quante volte la gente si fa del male consapevolmente,gioendo quasi di questo perverso "attaccamento alla vita"? Soffrire ci rende forse più consapevoli di essere vivi?
Non è da escludere. Il dolore risveglia in noi la sensazione di esistere,gusci di carne e involucri di molte più cose non dette.
Questo è uno di quei testi che secondo me non possono essere letti soltanto una volta. Vanno approfonditi,sviscerati,compresi: ma nondimeno è una delle tue opere migliori,quasi un inno al Decadentismo e al Simbolismo francese ottocentesco.
I miei più sentiti complimenti,Queen. E' bello vedere quanto sei cresciuta ed evoluta,da quel primo scritto da me recensito.
Il tuo fedele lettore,
Dave. |