La notte ha i suoi dogmi: il mito ancestrale della paura, l'incombenza della morte, l'estremo volgere della civiltà e il sonno della ragione. È una notte profonda, quieta, quella che avvolge Alderaan e ne abbraccia il paesaggio; una fine che dovrebbe inseguire il naturale inizio offerto dal risveglio, l'alternarsi dell'oggi con il domani... ma la barbarie rischiara il cielo, viola la pacatezza delle case e la disintegra con una realtà che coglie impreparati.
Impossibilitati a rinunciare alla pigra promessa del futuro prossimo, alla routine opaca e priva di movimento, gli uomini sono rapiti dalla morte, ridimensionati nella loro finitezza. Lo squarcio impresso nell'abitudine è tale da annichilire un intero regno e di condurlo alla rovina con la sua icona regia. Crolla una testa coronata come crolla il suo dominio e non c'è sconto né per lei né per i sudditi investiti da una violenza inaspettata e celere nel recidere ciascun fiato.
Sposti l'azione su pochi e importanti dettagli: l'ancella senza nome è portavoce di un popolo che perde il suo diritto alla vita e la capacità di reazione di fronte all'ignoto; il pianto delle regina come effetto ed elemento condivisibile, che la accosta al lettore, ma anche fattore lontano dal fornire sostegno e sollievo; il presagio della sventura nel lucido pensiero volto ai cari e ai sopravvissuti, a quei vivi che piangeranno i morti e dovranno convivere con l'assenza e la perdita. Sono lacrime amare quelle che solcano gli zigomi della regina ed ella non può permettersele sino in fondo, ricordando il suo ruolo di madre, i doveri di guida politica e ciò che rappresenta non solo per i suoi sudditi. È il terrore umano sublimato dal moto d'orgoglio, dalla dignità e dagli obblighi del titolo regale.
L'abbraccio dei due amanti è il fulcro dell'abbandono, la stretta della fiducia reciproca. Nella loro impietosa dipartita c'è il ritratto della tragedia, il racconto intimo di un legame amoroso stabile: l'abbraccio è fede incrollabile, corrispondenza di un incastro biunivoco e devoto. È un fragile palliativo alla caducità umana, un estremo commiato porto al mondo, la sicurezza di essere presenti per l'altro nel momento del bisogno.
Breha traspare in tutto il suo carisma: un ascendente messo a dura prova dalla prossimità della fine. L'istinto di autoconservazione cede all'immagine di Leia e alle sue asoettative di figlia; alla sofferenza di un popolo decimato e strappato alle famiglie d'origine. È per queste ragioni che Breha non reagisce fisicamente: la sua stasi è assenza di desideri, accettazione di un destino che la obbliga a rimanere nella sua posizione, come un soldato mantiene la linea di tiro a fuoco aperto, consapevole di attendere il colpo mortale.
Con minuscoli particolari della narrazione si comprende lo spirito indomito che alberga nella regina: è una donna che deve risolvere problemi, costretta a cercare compromessi e ad agire come richiede la sua carica. Non è un ruolo che la definisce interamente: Breha regge la condanna che comporta l'essere un simbolo pubblico, tuttavia è un individuo sfaccettato, diviso nel suo essere anche madre, consorte, civile di una patria sull'orlo dell'estinzione. Un intero bagaglio culturale svanisce con lei e Bail, tramandato nei nuovi "esuli" in altri pianeti, in missione, come conseguenza di una dolorosa diaspora. Il dramma particolare di una donna viene reso senza tempo, con valenze che non si riducono alla sua esperienza di singolo soggetto (e "oggetto" di una strage).
In ambito narrativo hai mantenuto un rigore classico: epurati i fronzoli, la messa in scena è esplicativa, descrittiva. Unisci il piano introspettivo con quello dell'azione in una panomarica che scorre inesorabile verso una conclusione già annunciata. Non vuoi sorprendere, ma creare un effetto, una scossa emozionale nel lettore. Ci riesci perché sai dosare le parole ed evitare l'enfasi da lacrima facile, i qualunquismi e soprattutto il buonismo verso un personaggio di sicura simpatia. La tragedia di Breha la rende virtualmente degna di compassione, soprattutto in quanto vittima ingiusta di un sistema malato e simile alla natura selvaggia. Nel tuo ritratto non è la grandezza né la magnificenza delle sue gesta a santificarne necessariamente il decesso: resta un essere umano che si affida al suo pilastro, incapace di avere il tempo per una preghiera, una donna che teme di morire, eppure - come ogni genitore - teme il giudizio della prole. La morte la sovrasta in modo imparziale, casuale - seppure innescata da un sadico ordine - come si avventerebbe su qualsiasi altra creatura ed è probabilmente questo il punto più tragico e spietato di tutta la drabble. Si è spogliati a poco a poco di una possibilità di salvezza e il finale impartisce il colpo di grazia su una situazione desolante e densa di rumori. |