E facciamo l'en pleine.
Dal tre al due. Recuperiamo. L'ho promesso. Ne?
Orfeo e Euridike.
Una storia d'amore; senza dubbio. Una bella rilettura in chiave saintseiya e "moderna" della loro favola. E, lo sai, se c'è la mitologia per me è un invito a nozze.
Più che la storia in sè (che ho molto apprezzato e poi ti commenterò per bene), mi ha interessato la tua versione del loro mito. Perchè di loro due ho sviscerato la storia per una mia originale e quello che avevo creato era un'ossessione così vicina e assieme lontana dalla tua da invitarmi solo ad uno stupendo confronto.
L'Orfeo che emerge dal tuo scritto è assieme cavaliere e uomo; è il dovere d'amore verso la donna amata e la dedizione ad una causa trasposta in assoluto. E un uomo che fa dell'armatura un uso personale, il più grande uso che un'armatura e Atena stessa possano accettare: quello di un atto d'amore.
Tanto è traditore Orfeo per l'abbandono del Tempio, tanto è grande il suo gesto perchè altro non è che la volontà di Atena per una delle mille tortuose possibili vie di manifestazione.
E c'è lei. Euridike.
La sua esistenza proiettata al passato (è con un ricordo che la introduci. Non a caso); la sua esistenza che è consumata nel rimpianto, nella più sottile e dolce delle pene: rimpianto per la vita, rimpianto per il sole, rimpianto per l'inganno di cui sono stai vittime; rimpianto per quell'esistenza crepuscolare che non concede pace nè a lei nè ad Orfeo e non si esaurisce in strazio ma in continua illusoria speranza. Per quella non vita abbandonata in altri fiori diversi dai bianchi asfodeli di morte di un giardino tanto conosciuto, ormai, quanto è diventata estranea la campagna di Grecia con il solletico dell'erba sulle caviglie e il profumo del sapone e del sole nel bucato. La dolcezza di un gioco di ragazzi che imparano come di fa l'amore, che imparano l'amore e si innamorano prima che fra loro, del desiderio di amarsi.
Euridike è solo alla fine, in morte, la donna e la sposa che avrebbe voluto essere in vita; la donna di un uomo che ha fatto della battaglia il primo dei doveri e il più grande degli onori; di un uomo che ha rovesciato gerachie e valori per restarle accanto e che raccoglie con l'orgoglio del riscatto un ruolo che potrebbe strapparglielo per sempre. E la dolcezza tragica della figura della madre, di quella voce di coscienza che tanto ricorda gli umili dei testi drammatici greci, la loro verità troppo onesta e reale per poter essere solo accettata. E che va prima di tutto vissuta.
(scusa. Temo proprio che sia diventata sconclusionata, come recensione.) |